Graziano Braschi
Arrivederci, mondo
disegni di Massimo Presciutti
Youcanprint Self-Publishing
Copyright © 2013 Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
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Titolo | Arrivederci, mondo Autore | Graziano Braschi ISBN | 9788891109316 Prima edizione digitale 2013
© Graziano Braschi © Massimo Presciutti per i disegni
Si ringrazia Berlinghiero Buonarroti per la grafica della copertina.
I disegni di Massimo Presciutti possono anche essere visti su http://goo.gl/T7rKX
Questo romanzo è frutto della fantasia dell'autore. Nomi, personaggi, luoghi e
avvenimenti sono fittizi e usati in modo fittizio. Veri sono i caratteri di quegli Anni Settanta.
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Sommario
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Nota su Arrivederci, mondo
Note biobibliografiche sull'autore e sull'illustratore
Capitolo 1
La notte, il maresciallo Ciavantesta scende nient'affatto bel bello gli orti di Portici. Striscia, lavorando sodo di gomiti e di ginocchia, tra file di cavoli. Quei cavoli non sono normali. Formano un'ipertrofica vegetazione con riflessi elettrici e lumacosi, di un verde vomichevole. - Com'è che dice il poeta? C'è a chi ci piacciono i vruoccoli, i crauti. Ma perché, diosanto? A me danno l'acido in pancia e rutti nel gorgozzule - sagra arrancando. Le scoregge al cavolo sono le sue spiacevoli madeleines. Gli risvegliano angosce infantili: puzzo di povero, zaffate di lavori pericolosi, il grisou, i minatori, la diossina. - Ma insomma che è questa puzza!? Scivola come un lombrico in quella minigiungla. All'improvviso una frenata di gomiti. Davanti a lui un piccolo ostacolo cumuliforme. Rimane di princisbecco. Una merda fresca con pochi minuti di vita, massimo un quarto d'ora. Una neonata. Bestemmiando, cambia filare. Lì ce n'è un'altra ancora più fresca! All'improvviso intravede qualcosa davanti a sé. Una montagnola bianca! Un escremento alieno che si drizza davanti ai suoi occhi esterrefatti. Il buon soldato Italo, reggendosi con la sinistra i pantaloni, porta la destra alla visiera per il saluto regolamentare. - Mi permetta di farle notare - dice - che il rancio stasera non era gran che. - Porcocane! - ruggisce Ciavantesta - non faccio altro che inciampare in bovazze d'omo che tu semini dappertutto, rottinculo! D'ora in avanti, la mattina... tutte le mattine... quando intoppo il cesso libero... sgombro per miracolo dei guaglioni e di tutto il gineceo di casa... chi? ... cosa?... m'aspetto di veder stravaccato sul vaso che mi fissa col facciazzone smerdato di sorrisi??!... lui!!!... tu!!! - Se avessi saputo che questo era un suo desiderio - risponde Italo serafico - mi ci sarei fatto trovare, anche se questo m'avrebbe fatto perdere una buona
mezz'ora di sonno. - Diolamadonna!, - dice lentamente il maresciallo fissandolo negli occhietti lucidi di voglia di servire - con un pugno stamperei un medaglione su quel naso!... che voglia d'inguaiarti nel cipierre a vita!…raus… via… sparisci!… anzi no, aspetta! È contrariato perché colto nell'adempimento del suo compito segreto: peripatetico della morale, cerca soldati che s'appartano con donnine allegre; presi in flagrante, li rispedisce in caserma dopo averli ammoniti. La stratificazione dell'immoralità attuale gli fa calare a zero gradi il morale, ma l'impulso pedagogico e l'empito paterno in fleboclisi lo fa rondare di nuovo con dinamismo in orti arrangiati, viuzze decrepite, cupe senza speranza, recessi ambigui, retrobottega promiscui, albergucci sfitti, loculi subaffittati, dove appena intravisto, o soltanto annusato, il viluppo sussultante lo sottopone ad una prova empirica: un marsc’! isterico. Composto invariabilmente da un soldato e da una puttana, il nodo si scioglie: alla metà caudata indica biblicamente la via della caserma. - Vieni di ronda con me. Avanti… marsc'! - Sissignore, sono pronto - risponde Italo scattando sugli attenti. - Sul lavoro bisogna venire cacati, come dicono nell'edilizia. E io lo sono! S'avviano giù per i filari di cavoli. Italo marcia baldanzosamente, pestandone le orecchie verdi. Canta.
"Osteria numero venti!
Se i buchi avessero i denti,
quanti pipi all'ospedale,
quanti buchi in tribunale!
Dammela a meeè biondina.
dammela a meeè biondaaaa…"
- Italo, cornuto, zitto o ti rifilo ergastoli di consegna! - Scusi, ma quando sono di ronda mi sento felice come quel pastore che ritrovò la pecorella smarrita o come la massaia che la sera conta i pulcini, uno per uno, e vede che ci sono tutti… - Va bene… va bene - sospira Ciavantesta. Con la mano cerca di cacciare la mosca dello sproloquio del soldato. - Al tempo di quando si stava meglio quando si stava peggio - mastica feroce col ritorno di fiamma - … al tempo insomma dell'Impero… quando ero giovane… t'avrei sistemato per le feste! - Quando possedevamo l'Impero - dice solennemente Italo - io ero un ragazzo e la sera m’addormentavo felice nel mio lettino sapendo che sopra un Impero non tramonta mai il sole. Ha visto, del resto, che succede laggiù, in Africa, ora che non ci siamo più noi? Gli si sono seccate le fonti dell'immaginazione e della creatività. Ho letto ieri sul giornale che, in Somalia, tale Mohamad Ahmin, colpito violentemente in testa da una noce di cocco non ha scoperto nulla di nuovo sulla legge di gravitazione universale. Si è limitato a morire sul colpo. Il maresciallo sospira di nuovo. Guarda in basso dove il porticciolo brulica di luci e, sicuramente, d'approcci. Decide di rastrellare, veloce veloce, gli orti frapposti fra lui e le luci e con Italo discende lunghesso i muretti di tufo guardandosi intorno.
S'avvicinano alle prime case, sordide catapecchie con rari lampioni che mandano un lucore cinerognolo.
Sotto un lampione diversi soldati accoccolati si sono disposti in cerchio. Alcuni di loro seguono con allegra partecipazione un bruco al centro del cerchio, altri fissano estatici la lampadina, altri ancora sorridono all' infinito. I due s'avvicinano. -Che facciamo? Iiin piedi! Presentarsi e poi, marsc'!, iiin caserma! Quelli non si scompongono, né s'alzano. Voltano la testa verso la coppia sorridendo serafici. Il quadretto sommove l'anima nazionalpopolare del maresciallo: si rompe il trotto del diktat: quei soldati non vanno a donne e si dividono cameratescamente una sola sigaretta. Infatti una cicca arrangiata su un bocchino di stagnola circola fra le spine in cerchio: chi la riceve la succhia a fondo non lasciandosi sfuggire, per così dire, neppure una stilla. - Mi permetta, maresciallo, voglia favorire - dice quello che ha in mano il calumet e glielo porge con delicatezza. Ciavantesta si fa una lunga tirata. Aspira il fumo acre. C'è abituato, ha poppato fin dalla giovinezza le macedonia per poi continuare con i toscani e le nazionali. Il mozzicone ha preso una scorciatoia e ritorna velocemente a lui. Aspira, aspira. Pallini colorati come mosche dentro gli occhi. Gli s'apre la cassa toracica: ha voglia di risucchiare il mondo. I pallini colorati, dopo l'ennesima boccata, diventano palloni, poi bolle di sapone che scoppiano. Blup. Blup. Un turcaccio di soldato gli s'avvicina, camminando in tralice. Il nero sopracciglio somiglia ad una perfida gronda. Ha in mano una siringa. "Permette…" gli dice togliendogli la giacca, "permette è un secondo…" e gli rimbocca la manica sinistra della camicia, "stringa, prego, il pugno…" e lo perfora nella piega del gomito, iniettando piano piano. - Mannaggia!, - esplode il maresciallo - qui si scoppia, si striscia, si svacca, si precipita, si sciacqua!
Si sta innalzando in otto volante. Ecco, ecco che lampi di razzi katiuscia filano, filano via. Uragani rosso-verdi deflagrano. Traiettorie gialle di proiettili da ogni parte. Schiacciato dallo spostamento d'aria viola di una bomba ad alto
potenziale, spiaccicato al suolo, piegato a cartoccio. Poi si gonfia e s'innalza, s'innalza e vede. Vede milioni di gialli che avanzano, s'occultano, balzano, si deformano, riappaiono, scompaiono. Gialli di un giallo-giallo-giallo. Lui è un'enfia mongolfiera verdastra che scoreggia gas. Il SCK2. Che si deposita sui gialli. Poi lui ricade. Ricade svuotandosi. Ricade afflosciandosi. Ricade su milioni di baionette cinesi. File fulgide all'infinito. Crepitî di mitragliatrici Thompson dentro e fuori di lui. Di carabine Winchester dietro l'ondulazione rossa che ondula ondula laggiù. Una bomba a biglie gli esplode davanti agli occhi. Le biglie glieli spaccano, gli occhi. Pliff. Pliff. Pliff.
Gli occhi di Ciavantesta via via che si liberano dalle crosticine dell'ebetudine scorgono un soldato Italo-sambernardo che lo sta vegliando con assoluta dedizione. I soldati sono spariti. Sta per chiedere spiegazioni, quando il volto gli si raggrinzisce. Poggia la fronte sulle mani paterne di Italo ed insieme ad una cena tipicamente meridionale vomita fuori grumoli d'ingiurie. - Non se la prenda, - lo consola Italo - l'uomo è in questo mondo per imparare. E ne ha tutto il tempo. Oggi ha imparato che il fumo e le iniezioni le fanno male. Domani saprà che il vino la schifa. E doman l'altro apprenderà che il maraschino non è fatto per lei. In fondo non credo che le allergie dell'uomo siano infinite! - Un giuramento sulla testa dei guaglioni: niente più fumo! Mai più! - Ne sono felice, maresciallo. Come quella del generale Sestini Cavoli, la sua è una decisione che mi si scolpisce imperitura nel cuore. - E che fu 'sta decisione del cavolo? - Si dice che il generale Sestini Cavoli, durante un'importante battaglia della Grande Guerra, puntando il cannocchiale sulla barriera di bruma gelata e semovente e vedendone sgorgare uno dopo l'altro soldati nemici, esclamasse "Se ne esce ancora uno scappiamo!".
Ciavantesta accenna a qualcosa, ma un nuovo conato sopravanza le parole. Quando si riprende, è Italo che comanda l'avanti marsc'!, con piglio da kriegblitz, contro i soldatini puttanieri. Rondano per luoghi che hanno l'aria di
una provvisorietà assoluta, poi puntano sul Bar Mocambo, che è chiuso per turno di riposo settimanale. Dirottano sull'Hotel Lavinia. Il parrucchino della bionda maîtresse fa un saltello da rana alla vista del maresciallo. Ammette subito tutto: le camere che possono interessarlo sono la 52 e la 60. Con i duplicati delle chiavi s'avviano al piano.
Italo apre di soppiatto la porta della 60. Davanti ai suoi occhi si compone la seguente natura morta: un letto matrimoniale sfatto, un armadio con gli specchi macchiati, due poltroncine sdrucite e pisciose, un tralcio moschicida che fa scendere il barlume di una tristissima lampadina su un tavolo. Sopra a questo stanno chinati due figuri vestiti alla paramilitare. - Che ci fanno qui un gatto e una volpe? - si chiede indignato. Piomba alle loro spalle, ne afferra le collottole: proietta il tutto dalla finestra. - Ormai le bestie te le ritrovi fra i piedi da ogni parte e con che pretese! Ad esempio, quel gatto inteccherito e scacazzante di paura da non saper più movere una zampa sul cornicione di un 30° piano in Chinatown, New York, non voleva essere recuperato dal presidente degli Stati Uniti?
Sul tavolino c'è distesa la pianta di una città. Un cartiglio in alto fumetta: PISA. Dal Campo dei Miracoli, proprio davanti alla torre pendente, inizia un tratteggio a zigzag fatto col pennarello rosso, al cui termine un cerchio con freccia ha inscritta una parola: MACHINA. In basso, alcune istruzioni. - Adoro le cacce al tesoro, - esclama Italo - non vi si spreca mai il tempo! Ripiega la carta e se la mette nel taschino. Nel corridoio incontra Ciavantesta che gli racconta che nella 52 è intoppato in un soldato agile come una scimmia! È zompato nudo dal letto, ha preso il volo dalla finestra con la divisa a gliommero sotto il braccio, lasciando lì la bella. - Nella 60, c'erano un gatto e una volpe. Stavano sporcando le istruzioni per una caccia al tesoro. - Non ho tempo da perdere per dei fottuti indovinelli!
Appena fuori dall’Hotel Lavinia, il maresciallo guarda il cielo apprensivo. - Che ore sono? - Se dobbiamo credere al poeta che ha enumerato puntiglioso i segni distintivi di questo momento magico della giornata, direi l'alba. Il maresciallo geme. S’avviano di corsa verso la caserma. Mentre ne varcano il portone, il sole che stralicia sulle sbrendole dei cavoli già ha cominciato a rosolare l’immondizie convenientemente umettate di guazza.
Al corpo di guardia dicono a Ciavantesta che il colonnello ha chiesto diverse volte di lui: incacchiato nero va alla sala comando, dove, andando su e giù come un minotauro nervoso, aspetta che il superiore lo chiami. - Cazzolamadonna! - fa il colonnello appena lo scorge - Ma dovecacchio t'eri nascosto? Possibile che devi imboscarti proprio nei momenti cruciali? Siamo da mezzora in stato d'allarme! Alle sette in punto dobbiamo partire per Pontedera, in Toscana. Ti do venti minuti per preparare tutto. Marsc'!
Ciavantesta incoccia Italo che se ne va lemme lemme per i corridoi. - Scostati… da parte! Anzi, no! Proprio nel buco dell'emergenza ti ficco. Preparati a partire! Un tafanaro… un panaro… un mazzo… un culo… così… ti faccio! Mentre nelle camerate si scatena il bailamme, Italo si prepara lemme lemme a partire.
Capitolo 2
Un paio di giorni prima, millecinquecento chilometri più a nord, a Santa Croce sull'Arno, uno scrittore americano di fantascienza veniva risucchiato e digrumato dalla Cosa orribile che aveva immaginato due anni prima. Si chiamava Roger Lovin ed aveva scritto un romanzo in cui immaginava che nelle profondità inquinate del Lago Michigan si fosse formata una massa gelatinosa pensante. La Cosa aveva tanto proliferato da mettere in pericolo l'esistenza dell'uomo sul nostro disgraziato pianeta. Finché…
Mentre Lovin scriveva a Los Angeles il suo romanzo, un giornalista italiano, Lucio Ciaponi, aveva scoperto che la Cosa, quel muco puzzolente e pensante, esisteva realmente a Santa Croce, ad appena una ventina di chilometri da Pisa. C'era andato una prima volta per buttare giù un articolo sulle numerose concerie del luogo. Aveva scritto: "Chi viene in auto da Pontedera, sulla strada che porta a Santa Croce, il primo colpo in gola lo riceve a Ponticelli. Siamo già entrati nella terra del veleno." E ancora: "È una terra ormai marcia, entrata di forza, giustamente, per meriti d'inquinamento, nel lugubre elenco dei territori al limite del segnale di guardia della zona 'A'." E ancora: "Le concerie, antri bui e spettrali in cui si muovono e annaspano, tuffando gli stivali su uno strato di fanghiglia nera e pestilenziale, pochi uomini col volto contratto e gli occhi gonfi per il gas, scaricano quasi tutte le loro scorie acide e velenose nei torrenti e nel canale Usciana (e di conseguenza nell’Arno), ridotto oggi ad una fossa continua…Su queste strade e piazze la gente cammina, fa la spesa, si ferma al caffè, discute di politica e affari, parla male di Fanfani e Leone; i bambini mangiano pizza e gelato all'ammoniaca nei giardinetti, giocano tra gli alberi anch'essi arrugginiti e tubercolosi, come se la vita gli appartenesse ancora e non fosse invece già stata consegnata da tanto tempo al monte dei pegni del cromo." E così via. I conciari se l'erano presa a male. Avevano mandato il Ciaponi in domo… Mia siamo bischeri, dicevano. Lo sappiamo che tutto questo fa morire. Ma anche se smettiamo noi, non smettono certo gli altri. Tutto è ormai sopra a noi, al di fuori di noi. E allora meglio contribuire, giorno dopo giorno, all'accumulo di polta schifosa, cromo, ammoniaca e carniccio, piuttosto che affogarci da spettatori.
Insomma era. la solita questione: fai autogestire a qualcuno il veleno e ne sarà gratificato. E così si portavano il loro in casa, lo suddividevano, per poi ricostituirlo socialmente. Dopo cena se ne occupava l'intera famiglia, veniva responsabilizzata anche la nonna. Mentre ci si avvelenava, in altri paesi vicini si portavano in casa telai che uccidevano dal rumore, o fuochi artificiali che scapocchiavano l’ultima nata, o lampadine di natale che sgrullavano i nervi. I conciari formavano una tribù con le sue strane ragioni, il suo linguaggio. Ma sotto sotto un po' di paura ce l'avevano. Ognuno di loro pensava “T'è venuto 'r culino, eh!”. Ma, in fondo, Lucio Ciaponi apparteneva ad un'altra tribù. Non s’intendevano. Questioni tribali.
Qualche tempo dopo, il giornalista ritornò a Santa Croce sull'Arno per un secondo servizio. Parcheggiò la sua Ford Fiesta blu proprio vicino ai detriti del canale Usciana. Discese pensando che l'inizio poteva essere questo: "Sui viali della zona industriale di Santa Croce e paesi vicini le fabbriche lavorano, producono e riciclano di pari o con le concerie per il progresso dell'industria, del comprensorio e dell'Italia, lugubri monumenti del tumore toscano…". Ma non pensò oltre. Un gruppo di conciaioli ostili gli si pressò intorno. Senza dire nemmeno una parola uno lo colpì sul naso. Ciaponi non era un vigliacco: piroettò per qualche minuto scazzottando alla cieca. Ma erano troppi e per di più erano armati di bastoni e pale. Sgambando a tutta forza, scappò lungo il canale finché gli resse il fiato. Si fermò ansante. Si guardò indietro: non l'avevano inseguito. Intorno a lui piccoli stagni puzzolenti, mucchi di detriti e il corso immobile dell'Usciana, belletta color merda con tracce mercuriali. S'avvicinò ad uno stagno: il liquido era nero come il catrame. Aveva intenzione d'aggirarlo e tornare indietro. Fu allora che apparve la Cosa. Uno pseudopodio grommoso, come un tronco d'albero flessibile, uscì dal catrame. Ciaponi ebbe appena il tempo di dire “ostia!”.
In quello stesso momento, nemmeno a 150 chilometri di distanza, un vecchio artigiano fiorentino, Alighiero Marilli, prendeva una decisione: rompeva con il partito (che lì, per antonomasia, significava il Partito Comunista Italiano). Stop alla partecipazione e alle umane sorti progressive. Molta rabbia gli s'era cagliata in corpo, parte era diventata malinconia che gli faceva traslucidi gli occhi. Era convinto d'aver deciso all'improvviso (con il retrogusto dell' imprevidenza): in
realtà tutto covava da molto tempo ed era precipitato, raggiunto l’acme, in caduta libera. Ne avrebbe convenuto anche lui se avesse riletto l'ultima parte del diario che redigeva diligentemente da anni su un grosso registro. Ma non lo faceva. Per gli addetti ai lavori intellettuali si trattava di crisi (connotata come negativa), e più precisamente di solipsismo qualunquistico tutto teso a corrodere i legami (peraltro debolissimi per le sue origini anarcoindividualistiche) con la realtà circostante, di tentazioni autonomistiche che ribaltavano (apprendistato ed inesperta monofagia) una malintesa ricerca d'identità. Proprio in quei giorni gli addetti ai lavori intellettuali stavano dandosi alla bicicletta e al footing: le folate d'ossigeno al cervello li rendevano un po' profeti.
Sul grosso registro c'era scritto:
22 maggio Finalmente faccio parte di un gruppo di pattuglianti democratici che opera in città dalla mezzanotte alle 4 di mattina. Partiamo svantaggiati perché di giorno lavoriamo, mentre è risaputo che la sovversione (gli autonomi, i brigatisti rossi, i fascisti) dorme la mattina fino a tardi, sonnecchia nel pomeriggio ed eccola bella e fresca per la notte. Per questo, bevo in continuazione caffè e ingurgito qualche pasticca energetica. Il nostro capo, il compagno Fenigoni, ha sconsigliato il servizio agli operai ed ai turnisti in genere e lo ha assolutamente vietato ai manovali. La preferenza è data agli impiegati degli enti pubblici, ai funzionari ed ai bottegai affiancati nel loro esercizio da famiglia numerosa e valida. Come ha ben spiegato Fenigoni, il loro è "un lavoro più fluido". Iernotte siamo usciti su due alfasud e abbiamo fatto il solito giro per la città. Ero felice. Avevo un porto d'armi recentissimo e una pistola stralucida. Dopo mezz'ora abbiamo intercettato un grupppetto di persone che s'aggiravano con fare sospetto. Abbiamo intimato l'alt. Questi sono scappati come unti, urlando “ai fascisti”. Siamo avvampati d'indignazione: noi fascisti?!? Presi dalla sacrosanta esigenza di spiegare a quei cittadini (oltretutto sospetti) che il nostro impegno era il risultato di un'ampia consultazione popolare e di una larga convergenza fra le forze democratiche e antifasciste, li abbiamo inseguiti a piedi, sparando alcuni colpi in aria a scopo didattico.
Improvvisamente un altro gruppetto armato è apparso in fondo alla via, sparandoci addosso e urlando “fascisti!”. Abbiamo risposto al fuoco. All'improvviso ci è venuto il sospetto che fosse un altro gruppo di pattuglianti. “Ooo-compagni…”, ha urlato Fenigoni. Si è subito accorto che il vocativo era scorretto per la larga convergenza nelle pattuglie. “Ooo-amici…”. Anche questo non andava bene. “Ooocittadini…”. Spari in risposta. Un proiettile lo ha colpito alla gamba. “Ooo-figli di puttana…”, gemeva a pecoroni sul marciapiede. Ho cominciato a sparare anch'io. Ho sparato ad un fascista di gatto accoccolato sotto un'auto, ad un ante di chiara marca fascista, ad una vecchietta con verruca fascista, alle grondaie: fasciste fasciste!
15 giugno Nonostante tutto ho fiducia nel futuro. Se anche, sostenevo l'altrieri, lo stato s'estinguesse, se anche gli enti locali fero bancarotta, se anche vi fosse una carestia mondiale, io sarei disposto a ricominciare tutto daccapo. Ad esempio, dicevo, mi piacerebbe metter su un banchino e vendere yogurt preparato da me. Naturale, con frutta, con malto, con miele. “Guarda…” mi fa Scalzoni, che è un qualunquista nato “se c'è la carestia totale non ci sono mucche. Se non ci sono mucche, non c'è latte. E se non c'è latte, niente yogurt”. “Comincerei quest'attività” ho risposto, giustamente irritato “solo se si trattasse di carestia mondiale in cui si siano salvate le mucche”.
20 giugno Ho paura di sbagliare. Non so più quando una critica è costruttiva e quando non lo è. Ho criticato l'operato dell'ospedale. Il segretario di sezione m'ha detto di stare attento con le critiche, bisogna essere coscienti di quanto possono contribuire ad alimentare il qualunquismo. Bisogna anche sapere che la maggioranza del consiglio d'amministrazione dell'ospedale è di sinistra. Ho risposto che la mia critica aveva scopi preventivi e didascalici. Mi ha chiesto di spiegargli quest'asserzione. “Scopo preventivo: anticipa la critica che senz'altro verrà dai radicali… e proprio del tipo che mi volevi attribuire. Scopo didascalico: vuol suggerire in
anticipo la risposta atta a provocarne l'isolamento popolare”. “Se è così, va bene” m'ha detto.
1 luglio Clamori contraddistinguono questa fine riunione del consiglio di quartiere. Due gruppi avversi intorno ad una scrivania. Quelli del gruppo Tricolore I portano un giustacuore verde, una camicia bianca e i calzoni rossi; gli altri del Tricolore II indossano un giustacuore rosso, la camicia bianca e i calzoni verdi. Sbraitano, si fanno le fiche reciprocamente. Alcuni scalciano verso l'altro tavolo, poggiando le mani sui bordi della sedia come su delle parallele. Divergenza d'opinioni sul modo di combattere le zanzare del quartiere. C'è chi vorrebbe il momento decisionale nel consiglio di quartiere. C'è chi preferirebbe spostare la deliberazione in Comune. C'è chi vocia: "Roma! Da lì venga la decisione!". Sopra il baccano volano, s' inabissano e rivolano i versi del Bigozzi, il Mameli locale:
Felice la città dove vive
il forte impegno programmatico
promovente una più vasta possibile
partecipazione popolare
che rimuova i gravi urgenti problemi.
Con elevata tensione ideale-politica ideare
una nuova gestione sociale dei servizi
e del territorio nell' ambito di una sana
tradizione popolare. Non mero decentramento amministrativo
ma istanze democratiche di gestione della città,
non strumento d'organizzazione del consenso
ma articolarsi dell'autogoverno locale.
Sforzo costante per elaborazione discussione
progettazione regolamentazione zonizzazione.
Ipotesi aperte in un consesso né d'eguali né diseguali.
Agorà città!
Datevi la mano che io possa chiudere gli occhi felice
su questo confronto proficuo con le nuove realtà di quartiere
fondendo l'esperienza dei lunghi anni trascorsi
con i freschi entusiasmi dei nuovi organismi
e delle nuove leve in uno sforzo di collaborazione
incline ad affrontare i problemi zonali in un ambito
più ricco di proposte culturali e politiche
non ristretto alle esigenze del rione
ma aperto arioso su tutta la città.
3 luglio Una barzelletta. Nell'isola deserta Robinson Crusoe incontra Venerdì. Gli fa: "Sono diversi giorni che non ti fai vedere. Come mai?" "Lavoro di quartiere".
14 luglio Ho salvato Malvestiti. "Dimmi qualcosa, presto!” mi fa “Sto precipitando nel buco del disfattismo, nella malinconia più nera." "Partecipazione" butto là. "Partecipazione? Grazie! Magnifica parola! Mi distende e mi dà la carica nello stesso tempo."
2 settembre "S'è determinato uno scollamento fra sindacato e categoria" m'ha detto un dirigente sindacale. "Ah, bene! E io che credevo che non vi volessero più."
4 settembre Sono stufo di deliberare al fianco del bottegaio democratico, del ceto medio progressista, dello speculatore aperto, del padroncino disponibile. I' mi' culo seduto tocca quello di un piccolo proprietario immobiliare. Non perderà (i' mi' culo, intendo) la propria identità di classe?
5 settembre Delibero su cosa? Forse su quello che è compendiato nell'indicazione del Presidente: “Siete liberi di spostarvi in vettura, ma lasciate in pace il manovratore.”
8 settembre Giro per il festival de l'Unità, ma non partecipo. Mi rifiuto. Giro e sogno invenzioni sabotatrici. Ad esempio, palchi e impalcature collegati ad un filo. Tirando il filo, crolla tutto.
Nei momenti liberi Alighiero Marilli era inventore. Suoi erano: il tirabusciò universale "Dante" (dalle istruzioni: "il manico di robusto metallo pressofuso porta riprodotta in rilievo una terzina dell'immortale poema."); la pastiglia eterna Valda. Forma, colore e sapore di una vera. Anche se masticata e ciucciata a lungo, dopo qualche tempo si ricomponeva (dalle istruzioni: "inavvertitamente inghiottita la nostra pastiglia si ricomporrà nello stomaco. Ma
nessuna preoccupazione! La recupererete sempre perfetta e senza nessun danno per voi, nelle feci del giorno dopo."); l'inchiostro umido per ciechi, la cui traccia permanentemente molliccia veniva seguita dal dito ansioso del nonvedente (dalle istruzioni: "La linea rorida dà la sensazione di un'alba di rinascita."). E così via.
Ora possedeva qualcosa che gli faceva brillare gli occhi. Non era più grande di una macchina fotografica di metallo brunito e ci assomigliava molto. Se ne stava chiotta chiotta fra le mutande e i calzerotti del comò. Riteneva di aver inventato un'arma capace di annichilire il mondo, l'arma totale. Ogni tanto era tentato di provarla. Correva allora al comò, apriva il cassetto, allungava le dita, accarezzava il metallo e le protuberanze circolari delle viti. Verso la fine d'agosto ebbe un'idea balzana: avrebbe regalato la macchina agli organizzatori della grande lotteria al Festival de l'Unità. - Che diavolo è? - domandò il compagno che la ricevette. - Con questa, compagno, fai il flash al mondo.
Faccio un'ipotesi, al cui sostegno non porto che ragioni di cuore, ed è questa: che Alighiero Marilli altri non fosse che lo scienziato Ettore Majorana scomparso nel marzo 1938. Chi fosse adescato per propensione poliziesca da questa ipotesi, sappia che era un vecchio di anni settantasettantacinque, alto circa metri 1,70, snello, capelli bianchi, occhi scuri, con una lunga cicatrice sul dorso della mano.
La scomparsa di Lucio Ciaponi non provocò grandi reazioni. Si disse, e si scrisse, che fosse fuggito (com'è costume dei veneti) in Sudamerica con una suora. Solo Paese Sera aveva pubblicato un articolo sul drago nero dell'Usciana e i suoi misteri: un rosario di "si dice". Titolo: Pontedera come Loch Ness? C'era la testimonianza di un conciaro che aveva visto Ciaponi "molto da lontano", prima aggirarsi fra i detriti, poi inamidarsi di fronte ad "un tronco nero che frustava l'aria".
L'articolo era capitato sotto gli occhi di Roger Lovin, in vacanza da più di un mese in Italia. Fu la rivelazione che lo fece cadere in ginocchio. God God God mormorava. Tutto questo succedeva in un albergo fiorentino. Prese una decisione: l'indomani avrebbe raggiunto Santa Croce. Era inquieto. Uscì dall' albergo. Camminò per le strade. Un manifesto con una silhouette nera di alberi secolari e una grande U tricolore attrasse la sua attenzione. C'era scritto che al Parco delle Cascine si stava svolgendo il festival nazionale de l'Unità. Non aveva mai visto un festival di quelle proporzioni. Ci andò. Una città di tende multicolori e di tubi Innocenti era accampata sui prati e fra gli alberi del parco. Fasci di luce violenta formavano poliedri traslucidi, illuminavano la coltre di fumi d'arrosto che rutilava sopra tutto. Trovò la cosa molto beautiful, lo sforzo molto constructive e molto democratic. Si divertì un sacco. S'aggirò fra gli stands, giocò al porcellino, bevve vodka, mangiò gulash. Alla Grande Lotteria vinse proprio la macchinetta d'Alighiero Marilli. Avutala in mano capì subito di cosa si trattava. Ne aveva descritta una uguale in un suo romanzo: con quella i comunisti stavano provando a selezionarne l'effetto solo sui capitalisti. Ma quando credono di aver raggiunto lo scopo e la provano, sono loro ad esserne annichiliti perché hanno l'animo più capitalista dei capitalisti.
E lì, i comunisti italiani gli hanno dato per sole cento lire una macchina reale, tosta e bruna! Rientra in albergo in uno stato d'indescrivibile esaltazione. E dire che ha perso buona parte della sua vita in città provinciali e senza eventi come New York, San Francisco e Los Angeles! Si convinse d'essere al centro dell'Impero. E dal magma un po' alessandrino e barocco della causalità poteva scorgere d'un tratto il bandolo della matassa: la realtà supera l'immaginazione. Decise di raggiungere subito Pisa in treno. Era notte inoltrata. Nel mezzo del Campo dei Miracoli, a quell'ora deserto come una landa, vicino alla torre pendente, sotterrò la macchinetta. Raggiunse di nuovo la stazione ferroviaria. Acquistò una pianta di Pisa disegnandovi l'ubicazione della sepoltura. La spedì per raccomandata espresso ad Emiliona la Bionda, una prostituta conosciuta a Portici, l'unico macaroni di cui si fidava. L'accompagnava un breve messaggio in cui si diceva quanto la faccenda fosse importante e segreta e che quindi se la tenesse per sé. Dopo aver compiuto un'indagine, anche questa top secret, l'avrebbe raggiunta per riprendersela. Partì per Santa Croce con un'auto a noleggio. Il primo colpo in gola e agli occhi a causa del puzzo di zolfo lo ricevette a Ponticelli. Guidava
rigido e perseverante come un crociato.
Emiliona la Bionda ricevette il plico due giorni dopo. L'aprì. Vide la carta. Scorse le parole sul foglio formato memorandum. Decise di decifrarle dopo il lavoro. I suoi primi clienti della sera furono due tipi pelosetti anzi che no. Puzzavano di selvatico e ambedue avevano sornione l'angolo dell'occhio. Sembrava poi che del pelo fero velame. Ma le regole della professione non vietavano clienti con i pelliccioni o proponenti triangoli erotici (come le fu esplicitato), purché pagassero! Salirono in una camera della lezzosa scatola dell'Hotel Lavinia, dove i due tipi (finì per inquadrarli: un gatto e una volpe) la impegnarono di botto, senza nemmeno levarsi i guanti, in un'altalena con confricazioni dove il massimo del ritmato intoppo si riscontrava sui mappamondi (i due medi anteriori e il grande posteriore). Al termine delle confricazioni triangolari si trovò legata, imbavagliata e riposta nel bagno.
Cinque minuti più tardi Gatto e Volpe furono catapultati attraverso la finestra nel buco della notte. Batterono l'osso sacro sul cortile sottostante, il loro Io rintronato li inondò di flashbacks: due anonimi agenti segreti che inseguivano fuggendo e fuggivano inseguendo, che della bestialità s'eran fatti una tuta mimetica, che s'aggroppavano se qualcuno gridava alle loro spalle "Fino alla vittoria sempre! Patria o morte!" o il didascalico "Creare uno, due, tre molti Vietnam!", che si contorcevano aI ricordo di un episodio di controguerriglia avvenuto in Bolivia.
Poi rimossero, si spolverarono, rientrarono nell'Hotel Lavinia. Italo e Ciavantesta erano scomparsi. Dieci minuti più tardi uscirono anche loro vestiti da combattimento: la tuta mimetica ne esaltava la belluinità.
A quell'ora alcuni generali stavano scartabellando dei documenti intorno ad un tavolo in un ufficio del Ministero della Difesa. Era il loro hobby: che sarebbe diventato poi meditazione soporifera sulle disgraziate condizioni del Paese. Infine qualcuno avrebbe proposto un poker. Squillò il telefono. Il generale più anziano sollevò il ricevitore. - Pronto. - Giusto lei. Sa la notizia di quel turista americano scomparso vicino a Pisa? La voce conosciuta fece rizzare in piedi il veterano. - Certo. Ci sono in giro dicerie incredibili. Alcuni testimoni asseriscono che è stato divorato da un mostro. Non è di nostra competenza ma abbiamo raccolto ugualmente alcune notizie. Qualche tempo fa è scomparso nello stesso luogo un giornalista italiano. - Non sono dicerie. Aggiorno le sue notizie. La gente della zona è in subbuglio. S'è rintanata in casa temendo altre incursioni del mostro. Vi sono pattuglie di carabinieri che stanno perlustrando il canale e il territorio circostante. - Brutta gatta da pelare. - Una gatta che dobbiamo pelare noi. La scomparsa di un cittadino americano, uno solo intenda, è un fatto gravissimo per un Paese come il nostro. Noi tutti siamo responsabili della sgraffiatura più lieve, che il più sudicio, hippie, drogato ed emarginato cittadino americano si procuri sul nostro territorio. L'esercito deve intervenire. - Non vedo come sia possibile. - Ottenga dal ministro la proclamazione dello stato d'emergenza nella zona. E faccia assomigliare, e poi coincidere la mobilitazione per lo stato d'emergenza a quella per l’operazione "Secret 2021/b". Riattaccò. Il generale non si ricordava niente di questo cazzo d'operazione Secret 2021/b. Andò a vederne l'incartamento: era il piano dettagliato sull'intervento
dell'esercito in caso di gravi turbative all’ordine pubblico che mettessero in pericolo lo stato democratico e sulla sua “temporanea” assunzione del governo del Paese.
Capitolo 3
- Forza, animo! - fa Italo, seduto sulla panca di uno dei camion che in lunga fila percorrono l'autostrada. Guarda i compagni di viaggio che tengono straccamente il fucile fra le gambe ed hanno le facce ingrugnite. - Avete notato come gli stati d'emergenza e i colpi di stato si somiglino? Stessa preparazione, stessi ordini, stesse ore di partenza, stessa gente! E l'ottimismo e l'allegria sono essenziali in ambedue i casi. Sennò va tutto a puttana. Nell'ultimo tentativo di colpo di stato a cui ho partecipato, c'era con noi un profeta millenarista. Eravamo tutti e due sul camion capofila. Ad un tratto il profeta urla all'autista di accostare e di fermarsi nella corsia d'emergenza, che è urgente. Questi accosta, si ferma, seguito da tutti gli altri. Attimi di silenzio tanto da poter sentire spaccare un capello in quattro. Poi il profeta millenarista comincia a parlare. Ha una voce irriconoscibile. Dice: 'la morte è il peggiore dei mali: così dio la considera altrimenti anche lui morirebbe, la morte è troppo terribile, spaventose sono le profondità dell' inferno, da cui non v'è ritorno!'. Chino sul volante gli fa eco l'autista. La voce gli spurga dal profondo dello stomaco: 'sopra di me incombe la morte e il potere supremo del fato, la cosa migliore è non essere nati affatto, e subito dopo il morire il più presto possibile'. Sotto il telone i soldati salmodiano: 'abbiamo in noi una grande stanchezza della vita e contemporaneamente la paura di morire, bisogna pensare costantemente ad essa, chi non è disposto a morire non è disposto a vivere: infatti la vita ci è data solo a condizione della morte.' Le geremiadi si propagano agli altri camion. Ci si lamenta, ci s'interroga. Si prega. Con le lacrime agli occhi, l'autista rialza la testa e guarda speranzoso il millenarista. Fa: 'ma la morte non è soltanto per ciò che vive? Non è annientamento totale ma soltanto un annientamento che si annientada-sé, un annientamento che in sé non è nulla. La morte non è allora effettivamente la morte della morte?'. Il profeta lo ributta spietatamente giù nel buco della disperazione. Dice: 'lo stesso universo è di durata limitata, nel fondo di ogni cosa aspetta - sicura della vittoria finale - la notte della morte.' A quell'ora antelucana cominciano a are pendolari. Credono di sognare vedendo ai margini dell'autostrada quelle strane cappelle a forma di camion militare da cui vengono fuori piagnistei. '…il tempo si spalanca sulla morte, sulla mia morte, sul mio destino, tempo-abisso: vertigine davanti a questo tempo al fondo del quale è la mia morte che mi risucchia in esso'. Alcuni s'avvicinano
compunti alle cappelle su ruote, si fermano a pregare insieme ai soldati. Un capufficio del Ministero della Marina chiama la nuova religione Chiesa Militare del Nuovo Avvento. Si porta in ufficio le preghiere e lo stile di vita. In una settimana fa molti proseliti. Inutile dire che quella volta non andammo avanti… I soldati sono ancora più ingrugniti. - Su, coraggio, su! - dice ancora più pimpante Italo - che dagli stati d'emergenza se ne esce sempre bene. Come dai colpi di stato, anche quelli falliti. Basterebbe ricordarsi del caso di Antonino Caciollà…
Antonino Caciollà era uno dei golpisti che nella notte del 7-8 dicembre 1970, occuparono il Viminale. Appartatosi per un impellente bisogno in un buio e freddo cesso, perdeva i contatti con gli altri. Allora aveva indugiato smarrito nei corridoi, attraversato stanze su stanze. Niente. Il vuoto. Non avendo quindi potuto ricevere l'arcinoto "contrordine", trascorreva tutta la notte in quel "labirinto burocratico" (dai quotidiani). La mattina, stremato, impaurito e colto da quel sentimento che è stato definito "il richiamo ineluttabile della democrazia" (sempre dai quotidiani), si era intruppato con gli impiegati che entravano nel ministero alla spicciolata, sedendosi alla prima scrivania capitatagli davanti. Era così incominciata la "carriera" di Antonino Caciollà, intimamente mischiata alle altre nel magma della "giungla delle attribuzioni" (ibidem) del pubblico impiego. Un equivoco negli organici, "equivoco di fondo ma non di sostanza" (ibidem), aveva fatto il resto.
A più di cinque anni da quella notte, l'ex-golpista viene scoperto. Scoppia il "caso Caciollà", un caso umano, "italianamente umano"(ibid.). Antonino deve essere immediatamente allontanato: questa è la prima reazione. Ma si levano ben presto voci in sua difesa: si fanno notare il suo attaccamento al lavoro (primo ad entrare, ultimo ad uscire dall'ufficio), la modestia dell'auto attribuzione del livello (ib.: "carriera esecutiva, com'è destino storico dei derelitti"), la condizione generale dell'assunzione nel pubblico impiego (ib.: "non si entra clandestinamente, 'di notte', anche con la raccomandazione?"). "Se de jure il caso è lampante, de facto cinque anni di servizio creano problemi difficilmente risolvibili se ci si riferisce, in generale, ai diritti dei lavoratori": questo il giudizio
del sindacato. Del "caso Caciollà" se ne sta occupando il Parlamento.
Italo s'accorge che in fondo al camion ci sono Gatto e Volpe che lo stanno fissando, ferini, da sotto l'elmetto. Non si stupisce gran che: ci sono reggimenti che si portano dietro la mascotte e la vestono da clown. C'è persino Laika II, la cagnetta spaziale, infagottata in una tuta da astronauta (ma questo è un intervento preventivo verso Ivanov, il coabitatore umano, perché non cada in tentazioni di bestialismo). - Zitti, lì, a cuccia, o vi butto di sotto con un calcione! - ammonisce col dito. Gatto e Volpe digrignano i denti, ma non si muovono.
I camion filano verso il nord per tutta la mattina. Sulla campagnola in testa alla colonna il colonnello riceve in codice la conferma che stanno eseguendo l'operazione Secret 2021/b. Devono lasciare l'autostrada all'altezza di Albano. Qui la colonna militare prende una strada secondaria fra le colline, poi devia ordinata in un lungo viale alberato per fermarsi davanti ad un'enorme villa traforata da numerose ed allineate finestre. - C'è davvero da essere ottimisti - commenta Italo - se la nobiltà ha deciso di sposare la causa dell'emergenza e della solidarietà nazionale. Il bravo soldato vede il colonnello attraversare sportivo il prato all'inglese, salire la scalinata, sparire nel grande androne. Lo seguono a pochi metri alcuni ufficiali e sottufficiali, fra cui il maresciallo Ciavantesta. Allora Italo scende dal camion per sgranchirsi le gambe, si dirige stiracchiandosi verso l'ombra di un grosso pino. Vi si sdraia e pensa che avrebbe fatto volentieri una dormitina. Una grinfia che lo sta frugacchiando addosso lo risveglia. Socchiude un occhio. - Voglia spostare la zampa sulla schiena - dice - è lì che mi prude.
- Stavo scherzando - spiega Volpe che ha alle spalle Gatto - come stava scherzando lei quando ci ha buttati giù dalla finestra. Ci siamo divertiti moltissimo. - Ci piace volare - aggiunge Gatto. - Ora certamente non le dispiacerà restituirci la carta - continua Volpe mellifluo. - Alto là, come disse il padrone all'asino che non voleva camminare – intima Italo. Blocca maestosamente la richiesta, mettendo avanti il palmo della mano destra. - Alto là! Non concepisco che una carta disegnata, frutto di quattromila anni di storia umana, divenga proprietà di due bestie! Orecchie afflosciate dalla delusione. - Se volete, potete partecipare con me alla caccia al tesoro - aggiunge. - Grazie, grazie, dio gliene renda merito. Possiamo cominciare subito - mugola Volpe, dando una gomitata a Gatto. - Calma, calma, non si può giocare durante lo stato d'emergenza.
- Ecco com'è facile farsi criticare! - dice Italo ai due che lo tallonano. Indica davanti a sé: un autocarro, fra gli altri perfettamente allineati, sporge di un paio di metri. Vi sale sopra. Gatto e Volpe vedono il grosso culo sparire, lassù in alto, nel vuoto teschio della cabina che si riempie d'animazione. Il motore prende l'aire, rintronando i paraggi. L'autocarro sussulta, scatta in avanti sbriciolando un muretto. I due si scansano terrorizzati: il maciulla s'esibisce in retromarcia, una perfetta traiettoria a C, urtando un basamento che regge una Diana cacciatrice.
Mentre Italo mulina sul cambio, un minuscolo cane scende lo scalone, andando incontro ai soldati. È Vergine, una femmina yorkshire terrier, prediletta dai padroni di casa. Vergine odia gli intrusi e tutti coloro che emanano puzzo. Va incontro a quel gregge in tuta mimetica, annasando ringhiante. Tutto quanto si
riesce a vedere fra il pelo della piccola testa (gli orecchi a V, gli occhi scuri e lucenti, la bocca piegata in giù, la chiostra seghettata dei denti) sprizza odio. A suo modo, anche il pelo scaruffato odia.
- Vualà!, come disse la marchesa che se la faceva col marziano, scendendo allegra il suo ottovolante - dice Italo, che ha incocciato di nuovo nella retromarcia riuscendo a calettare il suo fra altri due autocarri. S'alza un guaito. Una A canina in alfabeto morse: caaaaiii cai. Un leggero crocchiare. Gatto e Volpe guardano esterrefatti sotto l'autocarro. Poi Volpe vi estrae un migliaccio peloso. Si stupiscono della metamorfosi subita dallo yorkshire terrier. Dal piattello irregolare emergono ancora i due orecchi a V. Un domestico appare dal nulla, guarda incredulo con gli occhi a palla, poi mugola. Altri ne appaiono alle finestre, sul portone, nell'aldilà delle siepi, dietro i vetri della limonaia. Un altro esercito si sta materializzando, veste livree grigio topo. In un salone del primo piano, il conte Fedifraghi, noto fuggiasco alla fine della guerra mondiale ed eminenza grigia del golpe, consulta col colonnello alcune carte. Durante l'ultimo conflitto era stato il primo ad impiegare i porci con le ali, bombe grugnenti e gravide che fornite di minuscole ali da cherubino volavano contro le navi alleate, ed a scoprire che il cammello rende di più ed è più scattante, bestia veramente 'taliana, se robustamente salassato prima dell'operazione militare. Sta seduto dietro un grosso tavolo con sopra un telefono, alcune carte e una foto incorniciata. Al colonnello, che polipa in avanti gli occhi e li curva a sinistra per la sbirciata, appare il volto di una donna anziana, forse la defunta moglie del conte: niente testoni o grugni protesi in avanti come ci s'aspetterebbe. In un angolo del salone, vicino al camino, le due figlie dell'ospite servono il the con pasticcini agli ufficiali. Sono idrocefaliche, bionde, ricciolute, molto slavate, slavatissime. Il maresciallo Ciavantesta sta in piedi vicino ad una poltrona. Guarda affascinato il soffitto dorato: aliti misteriosi stanno colando da lassù, facendolo tremolare come una mongolfiera legata al canapo, vogliosa di partire.
L'idillio - i tintinnî, le risatine, i ticchettî, i flebili raschi, i fruscî - dura poco. Entra inaspettata la disperazione ed ha l'aspetto di una domestica forsennata. Un groppo le fa pistone in gozzo, colorando di rosso-turchino-giallognolocinerognolo il viso disgregato. Riescono a realizzare: - Vergine… bambina…bestiolina… schiacciata… orribile … Le contessine urlano disperate, senza ritegno. Una pensa bene di svenire. Non senza combinarvi una doppia azione, consistente in una colata di the bollente sulla mano con tazza di un tenente e nella caduta ad uscio sul Ciavantesta che s'era fatto avanti. La nuca neanderitaliana incoccia i denti marescialleschi, ne svelle alcuni.
- Vergine morta… oh no, oh no, oh no! - bada a ripetere il conte, tenendosi la testa fra le mani. - Conte, si riprenda, mi faccia capire cos'è successo! - lo scuote il colonnello. - Vergine… oh, adorata piccolina… morta… schiacciata… oh no, oh no, oh no! - Vergine? Ci sono vergini qui? - chiede intorno faceto un tenente. Riceve uno schiaffo col mazzapicchio dall'idrocefalica superstite, che lèvati!
Tutto s'anima, s'accelera come nelle pellicole di un tempo, luminose di polvere. Scalpiccî per le scale e ai piani di sopra, pianti dalle cucine, apparizioni alle finestre, materializzazioni fra lo spolverio bianco e nero. Facce farinose strabuzzanti gli occhi bistrati.
- Oh-no, oh-no, oh-no!… rinviare tutto… annullare… - farfuglia il conte. Afferra il telefono. Il colonnello mette avanti le braccia. Fanno a pugnino più 'n su sulla cornetta, intrecciandosi le dita. Poi s'afferrano per il collo. Una pistola appare in
mano al conte. Uno sparo. Ciavantesta cade come un crocifisso. Esala un pensiero: 'i vruoccoli non mi piacciono'.
La guerriglia si sviluppa qua e là. Il giardino fa la sua parte: i roseti fremono, fra i pini appaiono guerriglieri grigio topo che sparano verso i soldati. Lo scroscio di un vetro rotto. Una nuvoletta bianca si vaporizza nel riquadro di una finestra. Lo zip incastonato nel radiatore di un autocarro.
Non ti permettono di finire nulla - dice Italo - come disse quello a cui la polizia aveva interrotto il coitus interruptus… Un paio di camion strapieni di soldati si muove, esce dal piazzale precipitosamente. C'è aria di diaspora tra i soldati che fissano lo scalone della villa. Imperterrito Italo prosegue: - Tutto questo mi ricorda le vicende di mio zio l'8 settembre del '43. Era ospite da qualche settimana di una famiglia in un paesino del bergamasco. Sbandato, si riteneva svincolato da ogni impegno, era felice. Ma proprio quel giorno, nel bel mezzo della piazza con fontana, lo punse nostalgia dei genitori, dei parenti, della fidanzata, del focolare (ivi compreso Puzzo, un buon vecchio gatto tigrato, nume tutelare di quell'angolo). Decise di tornare subito a casa. Partì a piedi che era primo pomeriggio, muovendosi verso il Sud. Dopo diverse ore arrivò in vista di Treviglio. Alle prime case lo colse un subitaneo pensiero. Proprio in una piazza con fontana, del tutto simile a quella lasciata, pensò: 'ma chi me lo fa fare?' Perché tornare alle solite beghe, al solito lavoro? La vita a casa gli sembrò un pozzo grigio, la fidanzata un'arpia ridente. E cosa lasciava? Affetti, speranze di una vita diversa. E il caldo di un focolare, più quello di un'ascella. Decise di tornare indietro. Sul far della notte, con la luna piena, si trovò seduto sul bordo della fontana della piazza del paese di partenza. Dove lo colse un insopportabile rimorso: a casa, a casa! All'alba si ritrovò di nuovo a Treviglio. Dove lo riprese la paura di proseguire: gli s'era materializzata davanti a sé l'arroganza del ato. Ritornò indietro. Il giorno dopo aveva deciso di ripartire. All'uscita del paese, un tizio l'avvicina. Ha un pacchetto in mano. Gli chiede se va a Treviglio. Sì, ci va. Può portare ad un suo amico il pacchetto? Accetta. Arriva a Treviglio, consegna il pacchetto. Poi lo prende la
voglia irresistibile di tornare indietro. Mentre muove i primi i, una vecchietta gli chiede il favore, se non gli dispiace, di portare a sua nipote che abita a Verdello delle uova fresche, che lei proprio non può andarci. Gli mette in mano una moneta. Per il disturbo, dice. Ed è così che mio zio è stato per diversi anni fattorino e spedizioniere in quella zona del bergamasco. Gatto e Volpe non si dimostrano grandi ascoltatori. Guardano preoccupati verso la villa. Dove alle finestre finisce di materializzarsi l'esercito privato. Pesantemente armato. - Gambe! - strillano. Saltano tutti e tre sull' autocarro più vicino. È Italo che mette in moto, ingrana la marcia, timoneggia a sinistra. Il bestione decolla, lascia il piazzale, infila la strada. La villa si miniaturizza dietro di loro. - Uffa!- fanno all'unisono - siamo in salvo! Mica vero. Non sanno ancora che Italo è dominato dai demoni dell'incompetenza e della velocità. E, in più, il luciferino maciulla su quattro ruote, ha deciso di fare quello che vuole. Italo smanetta, smania e si precipita per tutto il pomeriggio su una strada che va verso nord. Via uno, via due, via tre, zoom, svaporiscono cartelli indicatori. Nomi ostrogoti appena intravisti: Pomezia, Acilia, Ladispoli, Civitavecchia, Orbetello, Grosseto, Follonica, Bibbona, Cecina … Nel tramonto che cosparge di strati sempre più consistenti di inchiostro grigiocenere, la campagna e le case sprofondano nel buio. I rari anti vedono sfrecciare i fari vampireschi e i numerosi fanalini rossi di un'astronave che salta dossi e fossi, che va contromano nelle curve pericolose, che accelerando stappa strettoie.
Viene loro incontro una piazza. Nel bel mezzo una macchina-torta cosparsa di lampadine, drappi, incastellature. Inevitabile: ci sbattono contro. Una caduta di tubi metallici, drappi e legni sommerge il camion. - Cos'è successo? Dove siamo? - si lamentano Gatto e Volpe ammaccati. La risposta ce l' hanno lì davanti a loro sull'intreccio che s'affastella sul radiatore: uno striscione con una grande U bianca su fondo rosso e verde dove c'è scritto Festa de l'Unità.
Scendono. Un gruppetto di persone s'è radunato nient'affatto amichevole. In un angolo, un tizio con un grembiale bianco si lamenta, tenendosi la testa tra le mani. Capiscono d'avere infranto un destino al suo acme. Osvaldo Bacicchi, cuciniere volontario da molti anni alle feste de l'Unità, in gran forma questa sera, mescolando gulash, pinchos, crauti e cipolle alla polacca insieme ad un ragù toscaneggiante sta ottenendo, per fortunata combinazione, una squisitezza da leccarsi i baffi e i peli del pube. Sta assaggiandola incredulo, quando succede quel po' po' di casino! Entrano in un bar lì vicino. S'accorgono d'essere digiuni dalla mattina. Ordinano qualcosa di caldo e una decina di paste alla crema cadauno. Un frullato di parole alle loro spalle li fa voltare. In un angolo un tizio parla al telefono, eccitato ma responsabile.
- Nel dormitorio pubblico - dice- si dà ricovero gratuito e temporaneo ai poveri: uomini, donne, ragazzi, esclusi contagiosi e dementi. I bambini fino a 12 anni dormono con la madre. Si può ottenere il ricovero per 10 notti consecutive ogni mese. Decodificazione: è in atto un colpo di stato, carrarmati hanno circondato gli stands. - Per l'ammissione al Pro Derelictis sono necessari: domanda in carta libera, certificato di nascita, battesimo, vaccinazione, immunità da malattie contagiose, studi fatti, stato di famiglia. La dichiarazione medica attesti anche le condizioni intellettuali normali, e che il fanciullo non soffra di enuresi notturna. Decodificazione: truppe scelte fermano tutti, sono in atto i primi massacri. - L'associazione Arte Benefica raccoglie rifiuti di ogni genere (compresi vetri rotti, scatole vuote di sardine e simili) e ne confeziona graziosi giocattoli che distribuisce in premio agli alunni meritevoli delle Scuole catechistiche. Decifrazione: che fare? Introdurre la discussione o tirare le conclusioni? Il tizio infine scorge i tre. Con un gemito lascia andare il ricevitore. Di fuori diverse persone stanno schiacciandosi il naso sui cristalli per vedere quello che
succede dentro. Poi entrano nel bar mugugnando. È giocoforza farsi largo a gomitate. Italo usa e abusa di una gag classica: lancia paste dolci in faccia agli assedianti. Tracce d'avidità compaiono sui volti. I tre comunque escono di volata. È calata intanto la notte. Corrono nel buio, con i vantaggi che comporta: si può chiudere gli occhi, sognare, pensare un po' a se stessi. Ed è quello che i tre fanno. Nel mezzo della campagna si fermano. Nessuno più li insegue.
Gatto e Volpe chiedono scusa, spariscono dietro una caspa. Riemergono indossando abiti civili. Gatto è un attempato Charlie Brown: maglione bianco con striscia nera orizzontale, calzoni alla zuava, calzettoni alla tirolese. Volpe, più rigoroso, è infagottato in un impermeabile, ora enfio ora sgonfio come l'otre di una cornamusa, grinze e colore di un testicolo cachettico. Italo li guarda con disapprovazione. - Ho conosciuto - dice - il gestore di un ristorante che si cambiava tre volte al dì. Se era vestito senza pretese, i clienti lo salutavano con camerateschi 'giorno, Pasquà', invece se indossava lo smoking veniva accolto da cerimoniosi "ossequi alla signora". Un giorno tenta la fortuna. Emigra in Australia, a Sidney, dove apre un ristorantino tipico. Ma il cambio di fuso orario gli gioca un brutto scherzo. Si veste come usava fare la mattina e lì è già sera, indossa un abito da sera ed è l'ora della prima colazione. Si sente fuori posto, fuorigioco, fuorilegge. Diventa nevrastenico. Crolla quando un poliziotto gli fa una multa per eccesso di velocità. Gli sferra un pugno e gli ruba la rivoltella. Spara ad un canguro, poi ad un aborigeno. Si rifugia nel cesso di una stazione ferroviaria e urla che non uscirà più di lì finché non riceverà istruzioni precise. Lo hanno ricoverato in manicomio. - Grande è la responsabilità di ognuno di noi - conclude - su come ci si veste.
Capitolo 4
Camminano, camminano, camminano… Camminano sottovento per evitare i controlli e gli odori del ato, soprattutto Gatto che ha lasciato la femmina con cui si è accasato gravida e soletta e gli ultimi nati, di cui il leggero afrore fiutato fra i ghirigori del vento potrebbe scatenarne il rimorso. Si interrogano a vicenda, un quiz dopo l'altro ('Pesa più un chilo di ferro o un chilo di merda?' 'Sono stitico')…e, alla fine, all'ora di cena ('È nata prima la cena o la colazione?') arrivano stanchi morti all'Osteria del Gambero Rosso. Il Gambero Rosso, alias L'Antico Pescatore, alias La Lanterna Azzurra, alias La Vecchia Bigoncia o, continuando, il Savini o il Doney o l'Osteria dell'Orso o il Biffi Scala o il Sabatini o il Gourmet o… senza fine, seguendo balzane mimetizzazioni; ricetto poliforme a seconda degli umori e delle stagioni, ora Taverna dei Sette Peccati, ora Chen ristorante cinese, ora buchino macrobiotico o mensa aziendale od Osteria del Calice o Bottega del Caffè o anche Angelo Azzurro…facendo da potta e da culo alla sua svariatissima clientela. All'improvviso Italo dà la stura ad un rivolo di storie sulle bestie. - La morte di quel cagnolino dovrebbe servire d'ammonimento a quelle bestie che non sanno stare al loro posto. Saranno i tempi sempre più balordi, ma la discriminazione fra l'umano e il bestiale è andata a farsi fottere. - Scusatemi - continua, ammiccando alle zampe pelosette che cercano di nascondersi in tasca, ai gibbi sospetti e agli occhi che sfuggono imbarazzati il suo sguardo papale papale, e nel far questo esaltano la loro felinità e caninità, anzi una sfrenata ferinità - scusatemi, ma l'attuale presunzione delle bestie avrebbe fatto urlare Socrate nell'agorà. Mi aspetto ormai che qualche bestia ci ordini un bel periodo d'austerità! Tutto questo mi fa venire in mente la barzelletta del cavallo parlante. Questo cavallo si presenta al botteghino di un cinema. Un biglietto platea, dice. Un cavallo che parla!, urla terrorizzata la cassiera. Sì, ma quando sono dentro sto zitto, risponde il cavallo.
- E mi viene in mente il dramma di un centauro ammesso nella buona società. Aveva un torso umano perfetto e classico, direi inappuntabile, un volto nobile, le labbra che sorbiscono the con lievità e da cui fuoriescono forbite parole. Ma che dal retro equino (s'alza la coda! s'alza la coda!) petava fragorosamente, diaframmando ad intermittenza rapida monticelli di stallatico fumante. E, sempre a proposito d'animali, ho letto da qualche parte che, su denuncia dell'Ente Nazionale per la protezione degli animali, è stato multato il proprietario di un rinomato circo delle pulci. L'individuo è stato sorpreso nel folto di un boschetto mentre faceva eseguire dalla sua affiatata équipe di pulci un ignobile esercizio. Saltando dall'ombelico del turpe individuo nudo e disteso, le povere bestioline dovevano infilare un preservativo sul suo pène ritto, mentre una mondana ben nota nei paraggi come Anna la Sorcona attendeva ridacchiando lì vicino. La denuncia parla di "maltrattamento" delle pulci sottoposte a quel massacrante ed interminabile esercizio di bilboquet degno della fantasia perversa di un de Sade e di "offese alla morale che è comune sia agli uomini che agli animali". - Recentemente - conclude - uno scienziato evoluzionista cattolico ha sostenuto che la proboscide degli elefanti era in origine un pène evolutosi "in maniera nobile" a causa della vicinanza del cervello.
Danno l'aire contemporaneamente alle zampe o biette che fossero. Entrati nell'osteria si pongono tutti e tre a tavola, esattamente nel momento in cui, in un catarroso palazzone condominiale di Genova, muore Oreste Magnavillani che ebbe, nel lontano aprile 1962, il suo quarto d'ora di notorietà trovando in una lattina d'olio d'oliva una lucertola (nubioleoso presagio del poi!). Il postumo pio riscontro dei familiari delle cose appartenute al morto, darà luogo al ritrovamento della lattina ancora piena d'olio rancido e al piccolo scheletro del rettile.
Gatto non ha fame. Lo sta martirizzando uno scoppiettante meteorismo, figlio degli strapazzi del giorno. Piegato su se stesso, ausculta con terrore le mine viscerali che qua e là deflagrano. Vuol chiedere bicarbonato e acqua di cannella. - Garçon!- urla con quella gentilezza di tono con cui la nostra epoca si riconosce nel chiamare il metéco di turno (nel caso specifico, un meridionalotto scuro). E
contemporaneamente scoreggia a ritmo elevato, sorretto da una grande forza mentale e da una perseveranza luciferina. Senza incappare, per loro e nostra fortuna, in un avvenimento contenuto nello scatolone delle congerie: il concatenarsi di tutti i peti del mondo in una reazione a catena distruttrice che uscendo dal canticchiare in sordina del privato diventi coro pubblico, annichilirsi del mondo.
Avrebbe potuto essere l'inizio di questa catena di Sant'Antonio, l'episodio avvenuto in una viuzza stretta del centro storico e ritenuto, a torto, pressoché irripetibile. E che la cronaca cittadina scrupolosamente riporta:
Città, data d'oggi. Ieri mattina alle ore otto la signorina Gianna Franchini camminando frettolosamente verso l'ufficio incrociava, sfiorandolo, il pensionato Angelo Macinai. A causa dell'incontro-quasi scontro, il Macinai emetteva un peto che, combinandosi con gli abbondanti effluvi di profumo emanati dalla signorina, provocava una tremenda esplosione. I due seriamente ustionati, venivano ricoverati nel vicino ospedale. All'inizio si è pensato ad un attentato, poi con una certa fatica, è stato possibile ricostruire la dinamica dello scoppio e le sue cause, anzi concause. Il notevole potere esplodente e calorifico dell'inconsueta miscela sta interessando un noto laboratorio di chimica cittadino, che non ha nascosto la difficoltà di definire con esattezza i componenti. Mentre è relativamente facile l'elencazione di quelli appartenenti alla Franchini (colonia parfumé Orgia, un comune deodorante e un'abbondante sudorazione), più difficile è stabilire quelli del péto del pensionato (bisognerebbe conoscere la quantità e la qualità degli alimenti ingeriti la sera prima e al mattino, il grado di putrescenza delle feci, lo stato del colon, la temperatura d’uscita del gas, ecc.). D'altra arte non è possibile affidarsi a prove empiriche perché, come si sa, ogni peto è di per sé unico. Fra l’altro, il Macinai, un vecchio timido e molto scontroso, non collabora affatto.
Volpe ha nausee così polpute che si potrebbero divorare. Avendogli il dottore ordinato una rigorosissima dieta chiede nulla, che non gli viene comunque portato.
Il medico di Volpe è quello stesso che aveva fatto adottare negli ospedali italiani un nuovo ingegnoso metodo di diagnosi dello scorbuto. Erano gli anni successivi all'epidemia delle cozze & cotiche che fece dimenticare il marcio che c'era in Danimarca (i falsi & candidi ospedali danesi pieni di bacilli caseari!). Durante il ballo tenuto nell'ospedale per festeggiare contemporaneamente i cinquant'anni di servizio ininterrotto dei cateteri di un assassino-primario (che, ad onor del vero, aveva realizzata la sua vera aspirazione in maniera estremamente parsimoniosa: due sole volte in cinquant'anni, via, zac! aveva resecato la vita ad un manovale generico e ad un elettrauto particolarmente antipatici, particolarmente untermenschen!), una coppia si distinse per il fervore danzante: il medico di Volpe e una degente di mezz'età, ricoverata per una ciste all'orecchio destro. I due si stavano esibendo in un tango vertiginoso (sequenze rapide di cortes, volteggi, pasei, corride) quando in una quebrada, una spettacolare torsione all'indietro della donna con la faccia di lato e il sorriso a tutta faccia, successe l'imprevisto: le caddero tutti i denti! All'occhio ormai esercitato del suo partner non sfuggì la causa: scorbuto. Il ballo, in particolare quello chiamato liscio (e non si sa perché, date le molte asperità montanare e gli altorilievi folklorici in cui viene praticato…), è stato così adottato come metodo diagnostico in molte cliniche italiane.
Che il ballo liscio sia oggi in Italia al centro di una occulta querelle, risulta chiaro da un recente bollettino sulla contrapposizione ideale della Democrazia Cristiana al Partito Comunista Italiano: "È soprattutto urgente strappare ai comunisti l'egemonia nel ballo liscio".
Quello che mangia meno di tutti è Italo. Chiede un antipasto misto, poi un'insalata di mare e spuma di tonno. Seguono spaghetti all'amatriciana che dividono lo spazio nel piatto-vassoio con le lasagne pasticciate. Poi würstel con i crauti, abbacchio al forno, zampone con lenticchie, paëlla alla va1enciana, e come tornagusto pizza giardinetto. A mo' di precompletamento si fa portare una porzioncina di trippa con fagioli. Conclude col semifreddo al pistacchio e un melone bellavista.
- Siamo circondati dalla nausea, viviamo di nausea, il nostro orizzonte è la nausea, siamo Nausea! - afferma Volpe che visibilmente si sta avvicinando in cima al maelstrom dentro cui tutti discenderanno. - Una nausea davvero unica, dovuta ad improvvisa privazione cameratesca - dice Italo - ci viene riferita da La Frontiera Tricolore. Vi leggo la notizia: "Su su dove l'abete sostituisce il castagno, su su ancora più su dove le nevi sostituiscono l'abete, un gruppo d'alpini intona alto. Ne è seguita una valanga. Uscito dallo sturbo, l'unico superstite - l'alpino Andrea Panironi - ha affermato nauseato: “Non mi abituerò in un altro coro".
- Siamo circondati dal sospetto e dall'ansia e abbiamo scoperto un solo modo di liberarcene: quello di esorcizzarli sagrandoli nel nome collettivo di complotto dice ancora Volpe, e si guarda intorno sospettoso con gli occhietti carboniosi, parlando lentamente. Una specie di distillazione dissociata: una parola ogni cinque minuti, un'affezione cronofobica. Prendiamo ad esempio il dottore che mi ha ordinato la dieta: è morto assassinato, vittima di un complotto che, come un bozzolo cachettico, si è costruito involontariamente addosso. Era il medico fiscale di una grande industria chimica. La proprietaria di questa industria è una multinazionale che controlla numerose società, gestisce linee ferroviarie e marittime e possiede piantagioni di banane che commercia in tutto il mondo. Queste banane sono tutte marcate con uno stemma di qualità: un'etichetta ovale azzurra con un giallo geroglifico di frutta. La direzione italiana della multinazionale inviava in dono al dottore dei caschi di banane, che si sentiva lusingato e perplesso ad ogni arrivo dell'inequivocabile scatola di cartone: gli sembrava di appartenere ad una grande famiglia sconosciuta e di partecipare ad un gioco che si svolgeva malgré lui con l'oliato sincronismo delle ruote dentate. Aveva un'affollata condotta. Si doleva di non poter stringere legami con ognuno dei mutuati, sul tipo di quelli che Socrate annodava con sfacciata facilità: toccando il gomito ad un futuribile amante, prendendo a braccetto un Alcibiade, deambulando bel bello, ponendo domande ed ottenendo domande ed ottenendo risposte che… altro che Jonesco!, sbevacchiando e ridacchiando… dando la baia… sempre a scopo maieutico. Ecco, il dottore era affascinato dalla maieutica. Il 50% dei mutuati erano operai dell'industria chimica. Non si
interessavano affatto di maieutica e schernivano il dottore per quella che lui riteneva, insieme a questa, un miracoloso toccasana: la cura intensovegetale. L'uomo disprezzava questi pazienti grezzi, un po' fangosi, che scoreggiavano spesso e volentieri: si scusavano con un ghigno spiegando che loro ingurgitavano tutto il giorno l'aria mefitica della fabbrica. Avevano un cattivo odore, sulfureo ed acidoso. Su una parete dello studio un grande grafico provava quanto andava sostenendo da tempo. Due linee vi s'incrociavano: una discendente, l'altra ascendente, come i bracci nella croce di S. Andrea. Una rappresentava le qualità morali nella classe operaia negli ultimi 80 anni, l'altra il di lei consumo di carne. La carne portava la gotta. La gotta l'infingardaggine. L'infingardaggine l'assenteismo. Per questo aveva inventato la cura intensovegetale: un rimedio sicuro. Erano diete formate esclusivamente di frutta che si doveva consumare in un ordine progressivo, puntigliosamente descritto in tabelle maniacali. Certe idiosincrasie infantili, certi dettami della macrobiotica, certi antichi consigli della su' cara mamma s'accozzarono insieme un giorno che era solo in ambulatorio: una combinazione miracolosa, una rivelazione. Così forte e luminosa che cadde inerte ai piedi del lettino fissando l'alto. In ambulatorio teneva queste tabelle con sequenze di frutta, ognuna con minuscole didascalie: infruttescenze multicolori con zone nere di piccoli pidocchi. Su un tavolino un canestro ripieno di frutta. Netta la preferenza per quella polposa e granulare: sferoidi ombellicati, ovoidi esperidii, cocurbitacee gravide. Arance, pompelmi, cocomeri, poponi. Curiosamente ogni dieta terminava con le banane. Anche sul cumulo di frutta c'era un casco giallo-verde di queste capsulone incurvate. Chiaramente un'infrazione al dettato della rivelazione: un do ut des grato e riverenziale. Un giorno gli capita lì un mutuato mai visto: un borsalino calcato in cima al cilindro, fasciato quasi tutto da un impermeabile bianco, e formato (procedendo verso il suolo) da testa-collo-busto-gambe. Come uscito da un film ispirato ad un romanzo di Chandler. Il tizio appoggia il culo sul lettino e non favella. Poi d'impatto dice (l'altro è fradicio d'ansia), dice che la multinazionale proprietaria dell'industria chimica di cui lui è il medico fiscale è molto-molto scontenta. Lassù sono convinti che lei abbia commesso gravi errori, dice. Di quali errori va cianciando?, dice il dottore. Sappia che la mia correttezza professionale, direi persino la mia lealtà, è stata costante e assoluta. Per esempio sull'assenteismo degli operai venga, venga a leggere il comunicato che ho affisso sulla porta dell'ambulatorio, anzi glielo leggo io. Legge: “Informo i signori pazienti che metterò in mutua per il tempo necessario solo coloro che al momento della visita risulteranno realmente malati. Non voglio assolutamente perdere il mio tempo con coloro che non hanno voglia di lavorare. Se così fi non farei altro che
approvare con la mia firma delle truffe a carico della mutua e del datore di lavoro. I sigg. assenteisti sono avvertiti, eccetera eccetera”. Beh che avete da rimproverami?, domanda. Calma-calma dottore non è questo che lassù le rimproverano, dice il cilindro. O cosa allora? Ci prova: Non sarà mica per la mia cura intensovegetale? Se così fosse ci si dimentica allora quanto abbia faticato a farla are fra i miei pazienti. Rifà la storia della rivelazione, del legame esistente fra disaffezione al lavoro ed eccessiva alimentazione con carne. Il difficile rapporto con gli operai, i suoi pioneristici tentativi di proselitismo. E questo è tutto! Dov'è che ho sbagliato? Ci siamo arrivati, cocco bello, ci siamo arrivati! E sentite se questo non è un vero giallo! Sentite che dice il cilindrone tetragono. Ho qui, dice, alcune fotografie dell'ambulatorio e degli immediati dintorni dopo le applicazioni della sua cura intensovegetale. Ecco qui, vede?, un angolo del pavimento: bucce di banane con ancora attaccata l'etichetta. E gli fa vedere la foto con porzione di una buccia di banana con il solito ovalino ortofrutticolo azzurro e oro. Questo non è piaciuto lassù. E questa è la sala d'aspetto: ancora banane sbattute da lei sulla testa dei recidivi: ancora in evidenza l'etichetta! Un po' irascibile il nostro dottore! E questo è il tratto di strada sotto l'ambulatorio: ancora banane con tanto di carta d'identità, tesserino sanitario e magari aporto allegato! Da far scivolare una caterva di anti, magari un'autorità sanitaria o persino il Papa in persona! Con i vari contrattempi anche internazionali che si possono immaginare! Magari qualcuno si rompe una rotula… Perché la rotula?, chiede il dottore d'improvviso medicalmente curioso. Non lo so, ammette il cilindrone. Che sa però che a questo punto deve estrarre un pistolone lungo lungo di un raggricciante nerolucido da far venire il vomito. Lassù queste sue sconsiderate azioni sono state giudicate un vero tradimento. Per cui…
- C'è una buccia di banana anche per i servi più fedeli. - conclude con filosofia Italo. - Ma com'era l'etichetta? - chiede Gatto. - Molto semplice: ad ancìle con avellane in croce su campo inquartato su decusse color viola arancio argento e oro con o formato da due ippogrifi coronati e sostegni di lauri verdi fasciati da nastri rossi. Il tutto su un manto coronato azzurro e porpora su cui predominano motivi di controermellino nero e argento - spiega Volpe, che è animale molto prudente.
Quelli del tavolo vicino sono i primi a scendere nel maelstrom. Sono in tredici a tavola, ma non sembrano farci caso. Forse non se ne sono resi conto perché la sera escono quasi sempre insieme, sono inseparabili. L'oste li chiama "i dodici più uno". Dove il "più uno", ogni volta che entrano in sala tutti insieme, si precipita per mettersi a capotavola o si piazza nel mezzo esatto del lato lungo della tavola. Piluccano i crostini posti a spirale sul vassoio, farciti di tuorli d'uovo al DDT, carciofini sott'olio all'acido erucico, brandelli d'acciuga al mercurio: innaffiandoli col vino, uno stupendo rosso da pasto all'anilina e all'acido solforico, gradazione alle stelle per zucchero zootecnico addizionato, con dentro qualche traccia di catrame che crea, versandolo dalla boccia, effetti fantasmagorici d'arcobaleno e con quel retrogusto speciale così difficilmente definibile nonostante il gran schioccare della lingua. Insomma fin dall'inizio viene "creata l'atmosfera": una catena sferragliante di pazzie e d'equivoci, di tartagliamenti ed improvvisi inceppamenti. L'avanguardia antipasto raggiunge di volata il cranio, picchia in testa; le rotelle si mettono a frullare in un senso, poi nell'altro e così via… Il pane: diverso nella forma e cottura (azzimo, carré, schiacciato, a filoni, pane di Susa e d'Altopascio), ma uguale nell' indispensabile percentuale del 50% di talco, creta, carbonato di calcio e del 2% di biossido d'azoto che più bianco non può renderlo. Uno zinzino di segale cornuta esalta la sua vocazione alla naturalità.
"Il più" spezza il pane e lo distribuisce agli altri, mesce ripetutamente il vino. Quest'azione da anfitrione chissà perché diverte un sacco gli altri, tranne uno che sogguarda storto sia il "più uno" che la giostra delle vivande sulla tavola. Si potrebbe attribuirgli un sospetto, la voglia d'esternarlo: un rancore per qualcosa che lo rode dentro. Ma non parla, non può parlare perché il vinsolforico gli raschia la gola. Arrivano i vassoi a scomparti carichi di fumanti spaghetti: dove soprattutto fumano le ossa macinate, l'allume, il bicarbonato… Poi, ed è un trionfo in tavola, l'arrosto misto di pollo che ha ruspato nel dieldrin (1, 2, 3, 4, 10, 10 - hexachloro - 6, 7 - epoxy 1, 4, 4a, 5, 6, 7, 8, 8a -octahydro - 1, 4 endo, exo - 5, 8 - dimetbnopaphthalene), di tacchino farcito di heptachlor epoxide (1,
4, 5, 6, 7, 8, 9 - heptachlor - 2, 3 - epoxy - 2, 3, 3a, 4, 7, 7, 7,7a – hexahydro - 4, 7- methethanoindene), di vitello al dietilstilbestrolo (DES), di cacciagione anonima al mercurio… Il "più uno", vincendo un singulto da sincope, dice: - Qualcuno di voi mi ha fregato la salsiccia di cinghiale. E non scherza! È questa la perla del vassoio degli arrosti misti, una rarità posta sul cumulo (lo chef ne ha messa solo una, cazzo, non ha certo abbondato!). La quintessenza della salsiccia ricavata da un'irsuta bestia maremmana, il cinghiale, che per anni ha digrumato ghiande pregne di T-2, 4, 5 (2, 4, 5 trich1orophenoxycetate), lo stupendo defoliante già usato in Vietnam, denominato in gergo militaresco "arancia"; una bestiaccia che ha resistito per anni con belluino eroismo ai fertilizzanti, ai diserbanti, ai pesticidi stringendo gli occhietti porcini e le zanne cinghialesche, cascando e risollevandosi come un marine ferito a morte e grufolando fra il terriccio-merda pesticida che la macchia gli veniva via via proponendo. Crepato (alla fine!), il norcino, tritando il tutto, ne aveva ricavate un migliaio di sorelline (vere "bombe"!) eguali a quella che color fignolo esultava in cima al poggiòlo degli arrosti. Ed era sparita! - Chi è stato? Chi è stato? - si farfuglia tutt'intorno alla tavola. Il più giovane dei dodici (che fino allora aveva vomitato sotto la tavola) si riversa verso il petto del "più uno" e péta: - Chi è stato? Chi èèèè staaatooo? Tutti l'hanno capito chi l'ha sgraffignata. Perché l'ha fatto? Complessità della psiche umana! Invidia e sospetto, voglia di martirio (la salsiccia, infilata furtivamente in tasca, gli rode già l'osso) e rimasugli di volontà: voglia di capirci qualcosa nello stridio di rotelle che ha in testa… Il "più uno" accenna a dire qualcosa e/o indica qualcuno ma gli occhi mulinanti degli altri non vedono che vortici e sentono un rumore del tutto simile a quello provocato da un miliardo di cinesi sgranocchianti grissini… Poi arrivano il formaggio, il dolce (o gelato), il caffè e l'ammazza… Per loro è l'ultima cena.
Così va il mondo. Chi fuoriesce e chi permane. Gli espulsi nella poltiglia della notte, s'affaticano discendendo per il sentiero poltaceo che unisce le diarree di
tutti gli uomini: un pericoloso slalom fra gli escrementi. Effetti di una roulette russa alimentare che pazzamente indica ora il velenoso, ora il sofisticato, ora il semplicemente emetico, ora lo schiettamente cancerogeno. Dentro, fra i tavoli, cominciano tutti a discendere nel maelstrom. Ci s'inabissa nell'imbuto nauseabondo schiacciati sul fondo del piatto-barca, vomitando l'anima ridotta ad ectoplasma acido e fumante. Bestemmiando tutti i santi, viene assassinata ogni speranza. La vita e il mondo maciullati: dove la nascita è una livida visione (tu già obsoleto espulso dall'utero: dalla melma nella palude!) e l'annichilamento un avido tendere (fievole lucignolo che s'attorciglia in alto con la speranza che una mano, fra pollice e indice, lo smorzi). Centrifugati sempre più in basso si bestemmia e si scalcia. Le bocce degli occhi giostrano intorno ai colori del maelstrom subalimentare: acidissimi gialli, vomitevoli crema, velenosi verdi. Anche Italo vomita: per cortesia. Appena ha finito, dice: - La sofisticazione totale è invenzione italiana e come tutte le autentiche rivoluzioni culturali taglia di colpo, come uno schietto taglio d'accetta, la ragnatela delle sottili induzioni e deduzioni atte a stabilire la benché minima differenza fra gli alimenti e gli escrementi. Pane = Merda. È l'apoteosi dell'egualitarismo evangelico: non ci sono né primi né ultimi; non c'è neppure traguardo. È un'ouverture mica male! Tutti i musi lo fissano in attesa.
- La sofisticazione totale - prosegue - è questione più di testa che di stomaco. Un nostro industriale alimentare che ha inviato quintali di mortadelle alla merda all'estero lo ha ben capito. S'è adeguato ad un mercato estero in espansione: la crescente nostalgie de la boue, la nostalgia della melma/merda che, vuoi per il fascino masochistico delle condizioni dei proletari, vuoi per il desiderio di un ritorno al semplice e al genuino, sembra affliggere la borghesia smidollata e supercivilizzata del Nordeuropa. Ed eccoti gli svizzerosi, gli svedeschi, i germanesi e tutti gli altri, chi più ne ha più ne metta, abbuffarsi! - Ma è la cronaca di tutte le notti – prosegue ancora - che ci dà le risposte più agghiaccianti di questo stato di cose. Di notte ci si dedica alla roulette russa alimentare. Due ladruncoli, ad esempio, la giocheranno così. La coppia penetra nei locali di un supermercato. All'inizio s'aggirerà per orientarsi fra le teorie di
scaffali strapieni di merci nel lucore velenoso e fosforescente che è caratteristico dell'illuminazione supermarchettara. Poi i due si dirigeranno appaiati verso il settore degli alimentari. Afferrano, quindi, a caso una scatoletta di carne ciascuno, sfidandosi con gli occhi. L'aprono con l'unito apriscatole con movimenti ritmati. Il primo afferra una manata di carne filaccicosa con gelatina e se la spinge in bocca. Mastica reiteratamente. Niente di niente. Sospiro di sollievo, leggero sorriso. L'altro ne afferra un brandello dalla propria scatoletta e l'ingurgita. Tutto bene. Leggero brillio di sudore sulle labbra. Abbrancano, lì accanto, due scatolette di alici formato famiglia. Le sbudellano freneticamente, ciucciano il contenuto a turno con aria di sfida. Ancora tutto bene… Il duello prosegue su binari di suspence per un falso allarme provocato da un ruttino acido. E così via, fino alla fine.
- Personalmente preferisco quella variante che permette di usare una più ampia gamma di colpi alimentari. In questo caso si procede su linee parallele fra due file di scaffali afferrando ed assaggiando a turno ora un omogeneizzato, ora una marmellata, ora un biscotto, ora uno yogurt, ora un salume, ora un liofilizzato… Finché il colpo in canna non capita ad uno dei due (un botto, uno sfiato nello stomaco!). - Sempre personalmente, e non so qual'è la vostra opinione, su cui d'altronde ci caco, amo questo tipo di selezione. Non m'impressionano le cronache sempre più fitte di ritrovamenti, in ore antelucane, a piè degli scaffali di supermarkets e magazzini, di ladruncoli raggomitolati, verdastri e gelidi. Mi impressiona più un gatto fatto paniccia sull'asfalto, solo la coda intatta irta di peli: orrore e sconforto. Non ha scelto nulla, il poveraccio: nessun antecedente ludico. Ritornava a casa, era lontano mille miglia dal pensare che otto cinturati gli sarebbero rullati sopra. Era zeppo di pensieri familiari: ciaver, magner, televisioner, educher. Ma di poveri morti ne abbiamo piene le tasche: raggomitolati, ripiegati in quattro e in otto, squartati, scarnificati, vaporizzati, avvelenati, disintegrati, inceneriti, disciolti… L'incontro del cittadino medio con il mattatore che lo concia in maniera inverosimile, ci ha ormai stancati! A Vigevano hanno ritrovato il corpo di un calzolaio che rimpinzava uno scarponcello mica poi tanto grande! Il lavorio delle sue dita all'interno della tomaia, tanto da formare un tracciato da cremagliera, ha fatto concludere che si era suicidato.
- Ora abbiamo un caso di metamorfosi. È successo in un paesetto dell'hinterland milanese. Il garzone di una macelleria, tale Alfonso Menegatti, dopo una notte vuota di sogni, si è trasformato nel suo letto in un enorme insetto verdastro, completo di carenatura e sottili zampine. Per una combinazione disgraziata (un certo alimento sofisticato mescolato ad un altro inacidito e la risultante miscela consumata in un habitat pestifero), il disgraziato ha superato l'acme oltre il quale non c'è ritorno. È riuscito a scendere dal letto buttandosi di sotto col grosso addome carenato e, trampolando sulle numerose zampe pietosamente esili rispetto alla sua mole, ha traversato la camera per raggiungere la cucina dov'era riunita la famiglia per la colazione. Andava come in navigazione: suo malgrado. Sulla soglia, colto dal terrore del non ritorno e da un'acuta nostalgia, si è voltato indietro. O meglio: ha fatto stridere la carenatura sul lato sinistro e con immani sforzi ha fatto emergere il triangolino della testa da dove ha polipato all'indietro gli occhi-sonda. La cameretta dell'adolescenza! Delle fantasie erotico-somatiche e delle care letture! Sul comodino un mucchio di fumetti. Prediletti Nembo Kid, Tex Willer, Vampirella. Un volume spaiato sulle divise militari della Seconda Guerra Mondiale dichiarava il suo interesse storico. Due fotoromanzi sgraffignati alle sorelle, sul fondo della piccola pila, macchiavano di colore il marmo grigio e freddo. Un pitale di latta smaltata non era un revival, ma una mera necessità per la giovane vescica già defatigata, colpa forse della forte uricemia prodotta dal tagliolo di carne trafugato giornalmente. Un sollievo nell'accalcarsi mattiniero dell'intera troupe familiare nell'unico gabinetto! Sull'anta del comodino l'acme dell'attività umoristica del nostro: un autoadesivo con scritto in rosso (oltre la croce inscritta nel cerchio) PRONTO SOCCORSO. La rilesse con viva gratitudine verso se stesso. Un armadio appartenuto ai nonni conteneva la congerie dei vestiti da lavoro e da svago. Con quest'ultimi imbastiva la melopea del tempo libero con le ragazzine che vanno a prendere il latte, o nelle balere o sul retro della motocicletta. Una di queste cavallette meccaniche era effigiata (rossa) in un poster attaccato alla parete. A cavalcioni c'era un guanto marrone. Dentro questo, un campione della motocicletta. Ma quello che più gli crepò il cuore fu la visione dell'ammasso di lenzuola e
coperte che avevano l'aspetto della materia cerebrale. Era lì che si accartocciava in un'autodifesa perfetta, era lì che lo afferrava il sonno senza sogni: quindi senza i rendiconti diurni. Forse si portava fino al margine delle lenzuola un certo rimorso per la vittima ridotta in braciole, ma lì, al calduccio, poi si dimenticava di tutto. Guardò davanti a sé il corridoio: sempre il solito budello. Solo che sembrava più lungo. Sul pavimento di mattonelle grigie e nere un po' grommate, correva e poi sostava fremendo qualche laniccio: esito di una conduzione familiare appena visibile nella semioscurità. Qualcosa sulla sinistra interrompeva il perfetto defilarsi delle due pareti. Una stufa marrone a cherosene, che assomigliava a un mini-altoforno. Ai suoi barbagli un po' fetidi, rientrando la sera tardi, si scaldava i piedi gelati, al ritmo dei borgorigmi sornioni. Ed ecco le porte, ognuna con le sue esclusioni. Tranne il bagno (con i rimasugli masticati di queste privacy): sempre aperto (tolto la prima mattina quando attraverso la porta beige sbarrata giungeva il reiterato “occupato occupato”) mostrava di primo acchito la sua natura di magazzino: il boiler, la vasca con doccia, il lavabo, il vaso, il bidet ne occupavano buona parte con le incongrue masse. Gli spazzolini in mazzo, i tubetti strizzati, i vasetti, le creme, i sali tonificanti, i pettini, i peli, i capelli, i rasoi, eccetera, eccetera, davano tocchi di colori diversi: come in un camerino di un teatro il fuggi fuggi iniziale, i ritorni precipitosi e, nel mezzo, la sosta attonita degli oggetti presenti. Ma il garzone uncinò nostalgico (merito dell'eccezionale presbiopia degli occhi da insetto) un caccolino di sebo non più lungo di 2 millimetri Ø 1,5, color cera d'api, con in cima una concrezione (Ø 1,8 mm.) della forma di un molare, dove stava appeso un lungo capello biforcuto (nero ebano, madido). Stavano lì attaccati nell'angolo sinistro di una piastrella bianca che, sulla parete destra, occupava la posizione P41. Il capello, molleggiandosi a sinistra, traversava l'interstizio a croce che divideva le piastrelle. Il caccolino e il capello si burlavano del garzone-insetto, simulando un misterioso nesso di causalità-necessità: di fatto, erano lì per caso: forse la sorella dattilografa che nello svuotare un cratere particolarmente evidente del naso strizzandolo fra i due indici, lo aveva poi con le dita attaccato sulla parete, in fretta!, in fretta! (si appropinquava il solito autobus col solito carico umano). Più avanti, la stanza definita da lavoro. C'erano poche cose: una macchina da cucire, un attaccapanni a muro, un tavolinetto, una scatola di cartone. Una stanza surrealista (trovò questa definizione nella scatoletta cranica da insetto), in cui
strani squarci di luce si depositavano sulle pareti e vi si sagomavano artificialmente: vampe gelide che poi si solidificavano per mesi. Era una stanza, per così dire, che ti proiettava sull'esterno: il mondo, la vita extra muros ti ciucciavano. Entravi lì e ti veniva in mente che poteva arrivarti il calcione paterno: alé!, vola via, fuori dal nido, c'est la vie! Alla fine ti accosciavi fra le zampe di ghisa della macchina da cucire. Lì, la camera delle sorelle; là, quella dei genitori: con odori mai più risentiti da altre parti e dotata di un'irripetibile asincronia. Il dipanarsi della casa gli s'affollava addosso come se lo zampettare fosse diventato un'andatura da treno. Lì, in quell'angolo, papà lo colse con la mano destra sulla patta dei pantaloni: un'improvvisa secchiata di rossore e sudore addosso, l'incredibile giravolta all'indietro nel tentativo di scomparire (“Ha fatto una capriola con doppio salto mortale che manco l'ho vista al Circo Togni!”, raccontava papà: l'evento miracoloso aveva dileguato la vergogna). Qua, sul canapè, papà (nudo) pompava la mamma (nuda). Là, fra la credenza e il tavolo, s'era bloccato una volta col panino in mano, come in trance, per collocarsi una volta per tutte le varie parti del corpo, proprio come dovevano stare. Cogitava, cogitava. Rimembrava, rimembrava. Zampettando zampettando (sembrava un vagoncino sfuggito ad ogni controllo) si dirigeva verso la cucina. Pur non avendo mai letto Kafka tremava tutto, immaginandosi la reazione della famiglia (del caro padre, della cara madre!): un fuggi fuggi generale, urla, svenimenti; la possibilità di una reazione inconsulta: il lancio di oggetti contundenti, un fitto bombardamento di mele. Potevano ferirlo. Ucciderlo.
- Appena messa la zampa sulla prima mattonella della cucina, è accaduto il miracolo. Di quelli che inteneriscono il cuore anche al più incallito dei cronisti. I familiari gli si sono fatti incontro a braccia aperte, come nel ritorno del figliol prodigo, vezzeggiandolo e lodandolo. (Ma che belle zampettine! Ma che delizioso colore! Ma guarda che antennuzze! E questi stimmi allora?!) e prospettandogli per il suo bene e per quello della famiglia un radioso avvenire: avrebbe potuto impiegarsi vantaggiosamente presso un circo internazionale o in un baraccone di fenomeni o in uno zoo qualificatissimo, o in tutti e tre contemporaneamente. Se preferiva (abbandonando il garzonato che lo faceva correre come un pazzo di qua e di là in bici: una fettina per la professoressa, un bisteccone per il notaio…), avrebbe potuto lavorare in un'industria
all'avanguardia, con tutte quelle zampe e quella testa da calcolatore che si ritrovava! Italo continua: - È azzardato parlare di un appiattimento delle divergenze o addirittura (per un fenomeno di transfert psico-alimentare causato dalla sofisticazione totale) di superamento delle ideologie, della politica, delle autobiografie, delle differenze di nascita per cui qualcuno è figlio di mammà e qualcuno figlio di puttana? Direi di no: se in Honduras certo Carlos Ramirez ha gridato al plotone di esecuzione "Non mirate al mio sorriso!"; se ognuno di noi ha l'aria che avrebbe Cristo se fosse vissuto sessant'anni; se l'autocritica è il momento più alto di ogni azione, dopodiché si ricomincia a sbagliare; se è stabilito, in questo paese, che l'opposizione vada al governo per smussarsi gli angoli (il potere logora) e l'attrito dia sangue alle gote dei governanti; se il… È interrotto dalla diarrea collettiva che fluisce. La merda gli arriva al tallone: al tallone d'Achille. Spiccicando le suole dal chewing gum escrementoso, dice: - Mi assento un attimo. Vado in bagno a lavarmi le mani. L'astuto tempismo non è affatto notato. - Quest'esperienza - dice al ritorno - ci ha cambiati più di cinquant'anni di riformismo.
Sfiniti chiedono un buco per riposarsi un po'. Una camera per Volpe e Gatto, un'altra per Italo. Dall'inzaccherato salgono al lurido del piano superiore. Volpe parlotta con l'oste. Alza la voce quando Italo si avvicina.
- Abbiamo una fretta birbona. Ci svegli a mezzanotte. La mezzanotte! L'ora dell'upupa (se la troia è in orario), del fantasma di Canterville e del babbo di Amleto: il banale incontro della più banale fantasia con la sbiadita immagine speculare di se stessa! La mezzanotte! Come scelta per la sveglia chissà perché non insospettisce Italo per la sua trasparente evidenza di cosa pensata, costruita; come d'altra parte lo è l'ora della levata allo sgobbo per molti di noi, ponzata da Chissà Chi.
Capitolo 5
Appena Gatto e Volpe sono entrati a letto (un biposto matrimoniale) afferrano ciascuno un giornale. Nel far questo si toccano con le zampe: il leggero contatto li sospende in un empireo di imbarazzo ed esaltazione. Come quasi-umani cattolici, hanno il gusto del piccolo contatto furtivo e del gioco erotico non dichiarato da cui traggono prudorini filoerotici, proiezioni, slegami e nuovi accordi di coppia appena appena precisati. E infine la speranza di sfuggire al solito trantran. Si ricordano entrambi della prima volta. Estate, crepuscolo immane, famiglie riunite intorno al tavolo sotto il tiglio. Nel buio incipiente le loro zampe s'erano toccate inavvertitamente, s'erano allontanate come scottate, s'erano sfiorate di nuovo. Alla fine quella di Volpe era rimasta accovacciata su quella di Gatto. I cuori sifonarono con forza, i cervelli stantuffarono effervescenti. Rispondevano a vanvera alle domande del parentado. - Hai comprato il giornale oggi? - aveva chiesto la moglie a Volpe. -Probabilmente - aveva risposto Volpe.
Riassestati i loro equilibri, cominciano a leggere:che a Roccaraso ha festeggiato il suo 97° compleanno Zelinda Cagliati, madre di ben 32 figli. Data l'età della vegliarda, è comprensibile che del marito (morto tanti anni fa) non si ricordi quasi nulla e che dei figli (alcuni morti, altri viventi in città diverse) si sia dimenticata i nomi e le fisionomie. Di una cosa però è certa: che erano in ordine crescente d'altezza;
che è stato scientificamente provato che la filastrocca Tre civette sul comò è di origine extraterrestre;
che un postelegrafonico genovese acquistò qualche tempo fa un orologio su una bancarella. Nonostante il perfetto funzionamento del pataccone, l'uomo incuriosito dall'assoluto silenzio dei congegni (non un minimo ticchettio, un esilissimo ronzio o sfrigolìo, diosanto!), ne aprì con precauzione la cassa. L'interno era completamente vuoto! Neppure la più piccola, inutile ruzzolina! Dopo un accurato esame, insigni scienziati avrebbero appurato che l'orologio si muoveva di sua volontà, spinto da una forte devozione verso l'ambulante e pataccaro venditore;
che all'Università di Firenze uno studente del Movimento, incrociando un docente noto per l'implacabile gestione del potere e per essere iscritto al PCI, è stato colto da raptus linusiano. - Una volta o l'altra ti avrò, Barone Rosso! - gli ha urlato dietro;
che secondo l'Osservatore Romanoi rapporti prematrimoniali sono dovuti allo "spirito d'imitazione insito nella coppia";
che lo scienziato se immersosi col suo batiscafo nella fossa della Marianne, dove ha sostato per ben quarantatré giorni, riemergendo ha avuto la sorpresa di: 1) trovare sostituita la carta da parati nella sua abitazione; 2) constatare la sparizione della gatta soriana Colette; 3) apprendere che sua moglie aveva inoltrato domanda di separazione legale;
che secondo il dottor David Reuben il coito anale è sconsigliabile perché "sarebbe come carezzare un gatto contropelo";
come un operaio, durante uno sciopero generale della primavera scorsa, eggiasse tutto solo per il Lungosenna. Ad un certo momento, sollecitato forse dal solicello che occhieggiava fra il fogliame, discese gli scalini di pietra che da uno dei ponti conducono sulla riva del fiume. Ne è risalito soltanto qualche giorno fa completamente trasformato in clochard barbuto e avvinazzato, con la tuta stinta e stracciata, col fiato maleodorante di vino e pernod. È risultato che fosse sopravvissuto tutto quel tempo con l'indennità di disoccupazione involontaria ottenuta tramite i maneggi di un ultrà di sinistra conosciuto sotto i ponti, nipote degenere e drogato di un ministro, in cambio di favori "innominabili" ma “immaginabili”, avendo il giovane abitudini "particolari". La Confederation Générale du Travail ha protestato per l'implicita "lezione" che il giornale ha voluto trarne. "Se l'operaio non avesse trascorso la mattinata in quel modo inconcludente e solipsistico, esternandosi in uno sciopero solitario e individualista, ma avesse partecipato alla manifestazione unitaria promossa dal Sindacato - conclude il comunicato - tutto questo non sarebbe avvenuto.";
che un produttore di emmenthal è stato fortemente multato. Praticava buchi falsi con uno speciale strumento in una partita di formaggi. Sua difesa: il guadagno in presentabilità commerciale era compensato dalla perdita di peso specifico;
che la bambina campeggiante sulla sovraccoperta colorata della prima edizione dell'opera "The Common Sense Book of Baby and Child care" di Benjamin Spock ha oggi sposato l'illustre e anziano pedagogo;
che all'ufficio pubblicitario di una società produttrice di acciai inossidabili è giunta questa lettera anonima: "Egregi signori, la vostra pubblicità sulla durata e inalterabilità dell'acciaio inox è troppo modesta e riduttiva. Ve ne convincano queste due righe frettolose, scritte in ginocchioni sul bordo del mio pozzo, sul cui fondo senz'acqua lo scheletro di uno sconosciuto, ucciso da me più di venticinque anni fa, ghigna da laggiù verso l'alto, con le mandibole. Sulla parte destra della chiostra superiore
dei denti brilla ancora lucente e inalterabile un dente fatto col vostro acciaio inossidabile.";
che a Padova è stato esemplarmente punito uno scippatore. Un ladruncolo di 16 anni, accostatosi ad un vecchietto gli strappava di mano una pingue borsa di cuoio. Con raccapriccio, s'era accorto d'avergli asportato anche il “braccio”, cioè la protesi che aveva sostituito l'arto mancante dell'anziano, grande invalido di guerra. La meraviglia del ladruncolo non era durata a lungo, perché l'asportazione dava inizio ad un'imprevedibile reazione a catena. Un inesplicabile ed invincibile stimolo motorio ("come un prudorino…") s'era trasmesso dalla colonna vertebrale alla testa e da questa all'altro braccio ("buono, per grazia di Dio!") e da questo alla mano rifugiata in tasca che impugnava una calibro 9. La pistola ("guidata da una forza invincibile ed estranea come la bacchetta di un rabdomante") puntava la nuca del fuggitivo lasciando partire un colpo. Il ladruncolo decedeva immediatamente, interrompendo quel sentimento in crescita d'orripilata meraviglia che, a giudizio del medico legale, gli sarebbe stato fatale. Il misterioso fenomeno cinetico è sotto controllo;
che in un paesino dell'Astigiano, due banditi contrariati per aver trovato la banca locale chiusa, s'infuriavano nel vedere i gesti di scherno che un impiegato mandava loro ben protetto dalla lastra di vetro antiproiettile. Cambiavano allora obiettivo e facendo irruzione nel vicino ufficio postale, vi compivano una rapina. L'atteggiamento del bancario è sottoposto ora al vaglio del magistrato per decidere se ravvisarvi o meno l'istigazione a delinquere;
che un onorevole socialdemocratico ha dichiarato di nutrirsi dal dopoguerra di libertà occidentale e di digerirla bene;
che lavorando per un socialismo integrale, ha affermato un altro onorevole socialdemocratico, era inevitabile trovarvi molta crusca;
che il presidente del consiglio, avendo effettuato del tutto casualmente diverse capriole sul prato della propria villa, ha deciso di portare a conoscenza degli italiani il loro potere bonariamente allucinogeno e fortemente ludico;
che francamente sono scioccato che ci siano persone che cercano di scavare nella vita degli altri (dichiarazione di Mr. Christopher Costanzo, funzionario economico e spia della CIA in Italia);
che non tutti sanno che le dimensioni de La Repubblica sono quelle proporzionali all'altezza e all'estensione delle braccia del suo direttore;
che il presidente degli Stati Uniti d'America è stato scippato, proprio mentre usciva dalla Casa Bianca, della sua borsa di cuoio modello Gucci portata con disinvoltura a tracolla. La guardia del corpo, sorpresa dalla proditoria e rapidissima azione, è rimasta immobile. L'unico a non lasciarsi sorprendere è stato proprio il Primo Uomo d'America che ha iniziato una formidabile rincorsa, immediatamente impedita, ahimè!, dall'abbigliamento scelto quella mattina. Infatti, come tutti sanno, il presidente degli Stati Uniti d'America si reca nel suo ufficio vestendosi in uno dei tre seguenti modi 1) da mezzofondista (scarpette chiodate o di gomma, calzoncini blu, maglietta bianca con stelle e strisce, tuta sportiva); 2) da nuotatore (piedi nudi, slip rossi, cuffia blu, accappatoio bianco con stelle e strisce); 3) da sciatore (scarponi con cavigliera attaccati agli sci, bastoncini con rotella, pantaloni e giacca a vento con stelle e strisce). Sfortunatamente l'abbigliamento adottato quella mattina era quello corrispondente al numero 3). L'insigne Uomo di Stato ha tentato una cristiania di slancio ma, birillando a destra, è piombato immediatamente a terra. L'atteggiamento del ladruncolo, per i tempi e i modi scelti, è stato unanimemente considerato antisportivo e sleale;
che se avete del catarro, tenetevelo. Conservato maturerà, assumendo una bella consistenza opalino-collosa, di un bel verde con marezzature giallo-grigie." È un consiglio utile della serie Fatelo da voi;
che l'esercito straniero, dopo aver messo a soqquadro in 48 ore l'equilibrio ecologico del paese, al terzo dì impalò il nonno. Poi fu la volta della nonna: squartata. Ed ancora: fucilato, bruciato, seviziato, violentato, consunto, garrottato, frantumato, trattato al napalm-alla varechina-all'acido nitrico, sulfureggiato, vaporizzato ed atomizzato tutto il parentado. - Tutto ha un limite! ha esclamato un superstite - mi costringono ad inviare una protesta all'ONU!;
che l'apoteosi del metodo deduttivo si è avuta in un laboratorio d'analisi mediche. Dalla percentuale di ferro contenuta nell'orina di una donna, l'analista ha dedotto l'uso (imposto) della cintura di castità;
che del dramma di Rouen s'è tutti partecipi! Un attempato medium se ha avuto un' improvvisa ed imprevista uscita di ectoplasma bianchiccio, proprio mentre stava viaggiando su un autobus affollato. L'abnorme scolatura che gli pendolava dal naso ha attirato l'attenzione di una focosa e robusta massaia che, urlando d'indignazione, ha tentato di nettare con un capace fazzoletto il "moccio" tirandolo di qua e di là. Lo choc psichico ha purtroppo provocato un collasso al povero medium che è deceduto;
che il giorno del Giudizio Universale (mattina presto, lampi, tuoni, terremoti, angeloni che solcano il cielo, clangori di rame) Lui è svegliato nella solita maniera dalla mamma. Un sommesso e dolce “Svegliati, caro, fai tardi in ufficio”;
che la bambina è strana in questi giorni, dice la mamma (maestra elementare). Perché è strana?, domanda il babbo (professore in belle lettere). Dimmi perché sei strana? La bambina: - Manu fustive si os fregit (collisitve) libero CCC, si servo CL poenam subito, si iniuriam faxsit, poenae sunto. Sed leviter poenas frangit Venus inter amorem Blandaque refrenat morsus ixta voluptas. Quae mihi utilissima factu visa sunt quaeque tibi usui fore credidi, quam paucissimis
potui perscripsi. Mormora meditabondo il babbo: - Effettivamente la dicotomia fra padri e figli è piuttosto notevole. L'incomprensione generazionale è in aumento;
che è stato risolto il mistero della cosiddetta "Banda Yale". È una storia diurna e diuturna dell'Italia d'oggidì. Si tratterebbe, secondo voci accreditate, della sostanziosa riduzione dei tempi di chiusura automatica, applicata di nascosto da un gruppo di uscieri dei ministeri romani, su tutti i dispositivi Yale, che obbligherebbero gli impiegati e le autorità a contrarre il busto in una dolorosa e faticosa torsione in avanti per non ricevere un'usciata nelle terga;
che una foglia di tutto rispetto era quella della lattuga fagocitata l'altro ieri. Tagliata con un affilato coltello, si ricomponeva nel piatto: una lunga cicatrice verdechiara testimoniava il suo martirio;
che la Pasqua non è più quella di una volta. L'ho detto in ufficio e m'hanno chiamato sovversivo, disse il babbo. Per la stessa faccenda m'hanno cacciata dalla scuola, disse la bimba. Esclamarono tutti e due “Che voglia di ridirlo!”. Si chio in una stanza e gridarono insieme “La Pasqua non è più quella di una volta!”. La mamma, con l'orecchio alla toppa della porta, urlò d'orrore e gridò all'incesto. Accorse la polizia e li arrestò. Salirono sulla sedia elettrica gridando con convinzione “La Pasqua non è più quella di una volta!”;
che nel 1947 herr Eisler, cittadino tedesco di origine ebrea, deportato sin dal 1940, dispersa tutta la sua famiglia, ritornò nella cittadina natale. Nello stesso giorno un eminente concittadino gli telefonò. Aveva un tono accattivante, lardellato di disponibilità. Parlò, fra l'altro, di "riparazione". Chiese di vederlo. Ed eccolo infatti bussare alla porta di Eisler. Con la sinistra reggeva un oggetto bianco e lucido che Eisler riconobbe come una piccola anfora di maiolica. La faccia del concittadino eminente s'aprì in un sorriso. - Era mio dovere - disse recarle le ceneri di sua moglie…;
che ogni notizia è riprova del clima di confusione, smarrimento ed indifferenza provocati dalla crisi economica. Ieri s'è suicidato, gettandosi sotto le ruote di un treno, l'impiegato esecutivo Vito Saporelli da sempre convinto di possedere "forse" il pène più grosso del mondo (il "forse" se l'era imposto per onestà scientifica, non disponendo dei dati relativi ai samoani ed ai bantu). Il Saporelli s'era esibito sulle pensiline della metro, estraendolo completamente dalla patta dei pantaloni, le mani congiunte sul dorso, la pancia inarcata in avanti, il sorriso furbo sulle labbra. L'esibizione ha avuto purtroppo esito negativo, nonostante le notevoli dimensioni dell'arnese. I eggeri sono scivolati intorno a lui senza voltarsi, andando (ci sia consentito il pesante gioco di parole) per i cazzi loro. Il Saporelli s'è allora suicidato;
che a Roma l'associazione Ragazzi del Sessantatré, un gruppo di nostalgici degli anni del boom economico italiano (appunto gli anni Sessanta), ha inviato una sdegnata lettera ad un anziano contadino, Tito Mazzacani, che per la prima volta nella sua vita ha visitato la Capitale. "Non ci sembra giusto - si dice fra l'altro nella lettera - che qualcuno affisi attento lo sguardo, appunto da neofita, sugli aspetti negativi dell'Urbe in concomitanza e in conseguenza della rilevante crisi economica e morale che attanaglia e travaglia il nostro Paese.";
che non tutto è perduto, se ci arrivano notizie come queste. A Roma un appuntato dei carabinieri ha riso suo malgrado nell'udire una delle numerose barzellette sui carabinieri;
che durante una perquisizione in un monolocale, presunto covo delle Brigate Rosse, un carabiniere ha scambiato l'effige del Che, riprodotta in un manifesto affisso alla parete, per quella di Giuseppe Garibaldi;
che un professionista napoletano, l'ebreo Mose Pisa, miracolosamente scampato durante la seconda guerra mondiale alle camere a gas di un campo di sterminio
nazista, è morto l'altra settimana a causa di un banale guasto alle tubazioni del gas cittadino che gli operai dell'azienda municipalizzata, rientrati al lavoro dopo uno sciopero di quarantotto ore, producevano particolarmente arzillo e denso;
che il biglietto lasciato da Dio dopo la creazione del mondo dimostra che: 1) è un satirico; 2) è inglese
che tra via Taspula e via Rapiratti, quasi all'altezza di via Kraminskokaja (gemellaggio), là dove s'incastra il rio Boleto e ristagna anzi s'agglomera in polta lassa, bavosa e fetida, polpettone maldigrumato di una pittoresca e incredibile accolta d'escrementi triregni, decollano zanzare per notturni prelievi. Si giustificano affermando: - Il nostro è lavoro di quartiere;
che è aumentata del 10 % la selvaggia positura dell'impiegato italiano;
che è altresì aumentata l'idiota voglia di vivere degli imbecilli con tanta voglia di comunione e tanta voglia di liberazione;
che un funzionario di un ente pubblico, contrariato da certi suoi colleghi malevoli verso una sua relazione sugli "aspetti culturali di vita associativa di quartiere" è uscito dall'ufficio sbattendo la porta e gridando “après moi le deluge!”. Qualche istante dopo la tubazione dell'acqua, improvvisamente scassata, innaffiava senza pietà i malcapitati presenti;
che ha destato scalpore nei circoli artistici la notizia che il noto scultore Christo ha potuto "incartare" negli ultimi tempi, a causa dell'inflazione galoppante, solo un paio di etti di salame, e non del migliore;
che il presidente di quella giunta militare sudamericana è stato colpito da una noiosa infiammazione agli occhi provocatagli dai forti afrori ammoniacali del vello pubico strappato ad una prigioniera politica e che lui porta - quale richiamo ammonitore ed indicazione politica - a mo' di baffi;
che… I due si sono addormentati di botto. I giornali abbandonati sulle coperte sfrigolano altre notizie.
Italo sogna. Gli pare d'essere in mezzo a un bananeto, e questo bananeto è pieno di banani carichi di caschi di banane, e questi caschi sono gravidi delle banane d'oro che, dondolandosi mosse dal vento, fanno ding dong dang, quasi volessero dire allusive "ma ce l'hai la banana?". - L'oro l'oro! - sente dire a se stesso. - Papaia nel Salgàri! L'oro l'oro, merce inquieta e fortemente ludica! L'oro l'oro che non t'impone di definirti, ma anzi ti proietta in possibilità infinite di definizioni. O semplicemente ti consente di non definirti. La banana d'oro! La summa delle potenzialità del denaro e dell'oro! Credete che la banana d'oro abbia due sole facce! Testa e croce? Palle e santi? Ingenui! Ce n'ha cento, mille, centomila… Ma che deludente impiego di queste potenzialità: per acquistare la merce-merce immobile che inevitabilmente ti delude e ti definisce: una giacca sghemba, cibo che ti traccia il futuro, una mazza da golf con facoltà d'interromperlo…
Ma quando è sul più bello della sua analisi della merce e del denaro (quando cioè allunga la mano per afferrare le banane d'oro e mettersele in tasca) viene svegliato all'improvviso dai colpi dati nella porta di camera. È l'oste (nella sua funzione di portiere di notte) che viene a dirgli che è la mezzanotte. Tiene in mano i giornali di Gatto e Volpe. In pieghe cachettiche, i fogli esalano un' ultima notizia: "Frnz, 15 - Du mrtl ncdnt sl lvr sn vvnt n Toscn. A lcc ha prdt l vt n givn tcnc mnttr d infss, Mrc Brncl d 30 nn, l ql cdnd d n' mplctr lt crc 8 mtr …".
-I suoi compagni sono già partiti. - Meglio così. Gli do un po' di vantaggio e poi li raggiungo.
- Hanno ricevuto via telex la notizia che un loro zio si è appiccato il fuoco e che nel tentativo di spengerlo la squadra dei pompieri si è buscata il raffreddore. -Conosco una persona ancora più sfortunata. È un commesso viaggiatore di Forlì, poligamo per vocazione, che s'è creato una famiglia quasi in ogni città. Una notte giunge a Verona, va direttamente alla casa della su' donna, data l'ora apre cautamente ed entra di soppiatto, e che ti vede? Che quella è alzata e sta piangendo. La figlioletta ha la febbre alta, delira. Aspettano il dottore. Appena questi arriva, il commesso viaggiatore saluta la donna, promette di telefonare la mattina dopo, se ne va. Ha un'altra famiglia a Padova: ci va subito in macchina. Lì trova la su' donna completamente scentrata da un orribile mal di denti. Si tiene le mandibole con le mani, urla. L'uomo borbotta qualcosa di commiserazione, se ne esce stanco e disperato. Gli viene in mente una certa Ines che tiene una casa d'appuntamenti in un vicolo vicino. Le telefona da una cabina pubblica (sono ormai le tre di notte). Non si meraviglia affatto di trovare la donna sveglia che gli comunica con voce grave che per quella notte l'attività è sospesa per lutto familiare: l'è morta la madre e ne sta vegliando il corpo. - Allora che fa? - chiede l'ex-chef (ora portiere di notte), ormai esausto. - Quello che avrebbe dovuto fare fin dall'inizio. Se ne va in un albergo, chiede una camera e un sonnifero. Il portiere di notte sospira. Italo non paga la vomitata, paga invece il sogno, aggiunge cinque cent per quelli eventuali dei compagni, ed esce benaugurando al portiere di notte una felice frustatina e una distensiva e gratificante strigliatina a sangue. Con un vaffanculo, questi gli sbatte la porta alle spalle.
Capitolo 6
Fuori dell'osteria c'è buio pesto. Molti pensano che in notti come queste l'unica cosa da fare sia rintanarsi nel letto e masturbarsi. Invece si può operare ed essere di sentinella, mormora a se stesso Italo. - Lo ha dimostrato la Questura che, nella notte del 2 corrente mese, ha stretto in una morsa la città. Con squisita sensibilità ecologica, l'operazione era denominata Oca Ne-Ne, a sostegno del magnifico uccello, in pericolo d'estinzione. La centrale operativa era collegata con tredici posti di blocco, contraddistinti con i nomi Mustela nigripes, Lupo della criniera, Coguaro Orientale, Uro, Gazzella rossastra, Otaria Orsina, Sfenodonte, Procellaria, Falcone Pellegrino, Oca delle Eleutine, Caribù, Tetraone delle Praterie. Un commovente omaggio agli animali estinti o in via d'estinzione, un ammonimento solenne a salvare la Natura! I nottambuli e i radioamatori turbati hanno sentito ripetere, sotto l'immensa calotta stellata, i nomi di questi membri sfortunati del Regno Animale, ora solamente "voci"! Persino alcuni malviventi bloccati dai solerti tutori della legge avevano le lacrime agli occhi. "Sfenodonte chiama Oca delle Eleutine. o." I cani che dai cascinali hanno insistentemente abbaiato, sembravano unirsi al memore omaggio.
All'improvviso un rumore. Due forme incappucciate sono a un o da lui e una pistola gli si conficca nel ventre. - Fermo lì! Fuori la carta! - urla quella più alta. - Signori miei, non avrei nessuna difficoltà a darvela. Non ho certo voglia di farmi sforacchiare per un pezzo di carta. Come dice l'altissimo poeta, il personale è politico e anche una tattica a brevissimo termine deve prevedere la salvaguardia dei propri calli. Purtroppo quella carta non ce l'ho più. Ho partecipato qualche ora fa ad una diarrea collettiva. Io ho usato la carta d'identità di un rappresentante di materie plastiche. Un mio vicino ha avuto la fortuna di
pulirsi il culo con il diploma di laurea di un neodottore. Ho prestato la carta ad una mano affiorante dal mucchio, non l'ho più rivista: riposerà in pace in qualche pozzo nero. D'un tratto le due figure si piegano in avanti e cominciano a gemere. Corrono nel buio. S'accoccolano sulla proda sghemba di un campo. Un attacco di diarrea mica male! - Signori, - grida Italo - mi spiace di non avere di che aiutarvi! S'avvia nel nero totale, seguendo l'appena percettibile lucore del fondo stradale. Lontano brillano delle luci. Dopo una mezz'ora Italo giunge in paese. Vicino ai giardini pubblici c'è la stazioncina. Entra nella biglietteria. Dietro lo sportello, abbiosciato su una sedia, se ne sta l'assistente di stazione Suspicioni. Pisola, non senza far emergere ogni tanto uno scandaglioperiscopio particolarmente sensibile: un occhio dall'iride nera-olivastra sotto un sopracciglio grifagno.
Da quando è stato insignito del IV° Premio "Dovere Civico" per aver segnalato all'amministrazione delle FFSS un errore contenuto nell'Orario Generale, in cui nella Tavola VII, Quadro 61, riga 10a, al posto di Casteggio (come doveva esserci scritto) era stato stampato Costeggcio, Suspicioni è convinto d'avere compiti speciali e doveri altrettanto speciali. Italo gli chiede l'ora di un treno per Pisa e il costo di un biglietto ridotto. A Suspicioni è balzata addosso una strana decisione: sondare un po' intorno e dentro quel soldato. - Da dove viene il nostro soldatino? - chiede a sua volta. Ed accenna significativamente la mezzanotte e mezzo segnata sull'orologio attaccato alla parete e nello stesso tempo addita fuori verso l'imbuto nero della notte. - Vengo da lontano e vado lontano - risponde Italo. È verità letterale, ma a Suspicioni pare risposta emblematica, piena d'allusioni. - Se ne sanno di cose stando in stazioncine come queste, apparentemente isolate dal mondo! dice Suspicioni. - C'è questa (ed accenna verso la radiolina MF
poggiata sul tavolo), c'è questo (indica il telegrafo) e questo (addita il telefono). Ma soprattutto c'è l'attrazione che i grandi criminali hanno per i binari. Si voglia o no, ogni stazione è un crocicchio obbligato della politica mondiale. - Sull'attrazione per i binari sarebbe stato d'accordo mio zio Gustavo che vi si suicidò. Lasciò scritto che era l'unico mezzo che gli fosse venuto in mente, facendo un po' d'attenzione e stando ben distesi e rigidi attraverso, per dividere in tre il proprio corpo. - È portato all'umorismo nero il nostro soldatino, eh? Non so se questo è il momento più adatto. L'ora è grave! Ha sentito? È successo qualcosa di grosso a Roma. Ho ascoltato la radio un'ora fa. Sembra che ci sia stato un tentativo di colpo di stato. Una colonna di autocarri militari è entrata in città e militari golpisti hanno occupato per alcune ore il Ministero della Difesa e … - Il Ministero degli Interni… - precisa Italo. -Ah, si? -È evidente che per golpisti appena appena un po' preparati il boccone più succulento è il Ministero degli Interni. Suspicioni cambia discorso. Dice a Italo che il treno per Pisa arriverà fra quaranta minuti e che viaggia in perfetto orario. Gli consegna il biglietto e si fa richiedere per ben tre volte il prezzo. Italo si siede sulla panchina della sala d'aspetto. Per ingannare il tempo ha due possibilità: o girare i pollici o contare gli sbadigli emessi.
Nel frattempo Suspicioni vive una vita agitata: si calca il cappello in testa, se lo toglie, smania sulla sedia battendosi le mani sulle cosce, s'alza di scatto aggirandosi per la stanza. S'è convinto che Italo abbia a che fare col colpo di stato e che addirittura ne sia uno degli ispiratori. Decide di dividere l'angoscia e la responsabilità di una decisione con la moglie. Sale quindi le scale che dalla biglietteria portano al primo piano della stazioncina, entra nel suo appartamento.
- Zemira, Zemira, svegliati! - Rompicoglioni indefesso! - esclama Zemira che, dopo averlo ascoltato, ha realizzato con la velocità di un calcolatore elettronico - una volta hai fatto piombare qui dieci ambulanze e gli ufficiali sanitari di tutt'Italia per alcune macchiette rosse visibili sulla faccia di un viaggiatore. Prova, secondo te, di una grave forma d'epidemia bubbonica o che altro. Ed era poi un'allergia da finocchio! Lascialo in pace! Sarà un povero soldato in ritardo che rientra in caserma: eccolo il tuo cospiratore! - Con gli elementi che ho in mano, non credo proprio. - Allora ti dico io chi è: il mio amante! È venuto qui, a quest'ora, per me. Zemira si butta giù e gli volta le terga coprendosi persino il capo: chiude ogni comunicazione. Suspicioni discende. Ora ha in più la spina della gelosia. Guarda dallo sportello: il soldato è sempre immobile. Ne squadra la corpulenta figura, specula la faccia a luna piena rosa-porcello e il piccolo pomello del naso. Cerca d'immaginarselo amante di sua moglie. Non gli sembra possibile. Ma non si sa mai, pensa, perché i gusti delle donne sono strani. Ne conosco una che ama alla follia un grande invalido, un mezz'uomo che s'estende da sopra l'inguine alla testa. Dice che lo preferisce così perché le lascia la libertà d'immaginarsi il resto come vuole.
Un altro dubbio: telefonare o telegrafare alla stazione del capoluogo? Nel culmine dell'andirivieni psichico e motorio guarda aldilà della vetrata. Vede due ombre vicino ai binari. Incolla il viso al vetro. Le due figure sono ferme ora sotto un lampione: due soldati barbuti, anzi pelosi. Ha la certezza che siano due lealisti. Esce dalla porta che dà sulla pensilina e si avvicina ai due.
- Se cercate un soldato è nella sala d'aspetto. - Proprio così, capo - dicono insieme Gatto e Volpe, rivestiti alla paramilitare. - Fatemi un favore: ditemi se non ho indovinato ritenendolo implicato nel fallito
colpo di stato… - Ne è uno dei capi. - Diobono - esulta Suspicioni - ma è fantastico! Ma perché, me lo chiedo incredulo, mammà m'ha fatto con quest'intuito? - Shhh! I due si pongono l'indice destro davanti al naso e indicano con l'altro la stazione. Suspicioni riferisce sottovoce tutto quello che sa su Italo. - Lo arrestate subito? - No, sarebbe una mossa sbagliata. Avrebbe qualche possibilità di fuga. Meglio farlo in treno, lì non avrà possibilità di scampo. A Suspicioni cadono le gote dalla delusione: gli sta sfuggendo lo spettacolo, anzi il diritto alla sua porzione di partecipazione. Volpe accarezza l'idea d'eliminarlo e lasciarlo lì sui binari. Ma qualcuno deve pur far ripartire il treno! Addolcisce la pillola, assicurandogli che avrebbe arrestato Italo appena fosse entrato in uno scompartimento: trattenga il treno un minuto di più in stazione e potrà seguirne le varie fasi dalla pensilina. - Non posso esimermi - vuole concludere con severità Gatto - dal condannare il voyeurismo sempre crescente dell'uomo della strada. Il dovere è rapportato alla visione dei suoi effetti. Non c'è più un Cincinnato che si ritira poi discretamente dietro l'aratro. O Tizio dietro il vaso da snellire. O Pinco all'umile posto assegnatogli. Tutto vogliono vedere, vogliono toccare. Ho conosciuto un ragioniere che dopo aver fatto identificare un rapinatore, ne esigeva lo scalpo: il primo della sua carriera!
Finalmente il camlo annuncia il treno in arrivo. I due s'appostano dietro le latrine. Mentre i riquadri luminosi cominciano a are con lenta accelerazione davanti a Suspicioni (ha dato la partenza girando sul verde la paletta e soffiando tutto se stesso nel fischietto, rimanendo poi come un manichino abbandonato davanti alla sfilata), pensa a come è curiosa la forma moderna del catturare.
I due, saliti in coda, hanno raggiunto lo scompartimento in cui s'è seduto Italo. Questi non ha mostrato sorpresa, anzi ha sorriso. Non gli sono piombati addosso, né hanno estratto nulla. Si sono seduti di fronte. Ora, nella confortevole luce dello scompartimento, stanno conversando piacevolmente.
Quando la luce intermittente color magenta dell'ultimo vagone sparisce nel buio, singhiozzando rapidi e beffardi addii, Suspicioni piomba in una crisi d'esclusione e d'invidia. Vorrebbe conoscere tutte le persone importanti, partecipare ad ogni avvenimento di un certo peso. Crepa d'amore per tutto questo e l'ansia lo rende fortemente cardiopatico. Ma gli avvenimenti e gli uomini gli dicono: pussa via, escluso, lì! Ora le lacrime gli ingemmano le gote. Rientra nella biglietteria. Afferra l'ascia dalla cassa antincendio: ammazzerà la moglie.
- Olà - dice Italo - eccovi dunque qui sani e salvi. Pensate un po', mentre aspettavo in sala d'aspetto, mi frugo nel taschino del giubbetto tanto per ingannare il tempo, e cosa ci trovo? La carta. Credevo di averla prestata… - Ah, bene! - gridano i due eccitati. - Cosa avrò ato a quella mano durante la diarrea collettiva? - si chiede Italo. Tira fuori la carta, la sciorina davanti a sé. Gatto e Volpe si piegano in avanti e con la zampa destra fanno il rapido movimento di chi vuole acchiappare una mosca. Italo, sempre sorridente, è più rapido di loro: piega la carta, la stira, se la ripone nel taschino che abbottona con scrupolo. I due rimangono di princisbecco, le zampe scentrate. Dal pugno di Volpe esce davvero una mosca che s'avvita frullando.
- Bisogna stare attenti con le mosche: hanno reazioni imprevedibili - ammonisce Italo. - A Genova un marittimo di colore aveva l'hobby di chiappar mosche senza ausili meccanici: a mano appunto. Un giorno ne avvista una sulla carta da parati a fiori e foglie del salotto. Era notevole. Ruzzante e pelosa, zompettava come un mammuth in una foresta… il marittimo s'avvicinò. Con la notevole esperienza acquisita riuscì ad acchiapparla. Vi fu un attimo d'attesa in cui presentì l'orrore del poi: che venne con dei colpi d'ariete sui calli dei polpastrelli.
Irresistibilmente qualcosa gli apriva da dentro il medio e l'anulare come Tarzan le sbarre della prigione. La mosca gli sfuggì di mano. S'alzò, virò e lo mitragliò in picchiata.
C'è un quarto eggero nello scompartimento. Ha l'aspetto d'un insetto multicolore: rosso fulvo, viola cardinalizio, verde molva, bordò vomito. Un parruccone rosso gli nidifica in testa, gli occhi bistrati sono di una mucca inquieta, sulla faccia gessosa le mascelle ricordano un campo di stoppie sotto la neve. Se per Italo si ha a che fare con una signora particolarmente inquieta e infelice, per Gatto e Volpe ci si trova di fronte ad una presenza fra le più sgradite durante un viaggio: un individuo né carne né pesce, imprevedibile la sua aggressività frocesca. - Nonostante tutto, nonostante il pudore-pudore, intendo il valore-valore, che do alla privacy altrui - esordisce l'insetto multicolore - ho ascoltato la vostra conversazione. È irresistibile-irresistibile per me, godo-godo nell'ascoltare gli altri, il loro delizioso-delizioso modo di parlare di cose concrete, bruscoli minuti ma così reali-reali: come calli, mestruazioni, cose così in famiglia, l'ultimo naso incontrato per strada. O di gastronomia o di politica. Al di fuori del proprio io sanguinolento che piange su se stesso! Lo sapete che v'è stato un tentativo di colpo di stato? Peccato, in fondo, che sia fallito! Pensate-pensate a quanti bei soldatini da tutte le parti: per strada, dietro le scrivanie, alle biglietterie dei cinema, ai bagni pubblici! Ma torniamo a me-me. Vorrei raccontarvi perché sono qui. Ma odio-odio rendere piatto piatto il mio vissuto. Vorrei recitarvelo: uno, due, tre recitanti sopra la melma. - Faccia pure - dice Italo. - Dunque. Se fossimo tutti e quattro disponibili, ciascuno reciterebbe un quarto del recitabile; se tre, un terzo cadauno; se due, ognuno reciterebbe una delle due parti, se uno (e questa credo proprio che sia la situazione di stanotte) reciterebbe da solo il tutto alternando il falsetto al tono basso. -È ovvio, - dice Italo - credo proprio che nessuno abbia voglia di recere. Gatto e Volpe, inverdendo sul muso, si portano le zampe davanti alla bocca. - Dunque - dice l'insetto. S'alza in piedi, rivelandosi protobrechtiano e à la page sui metodi dell'animazione teatrale.
-Eccovi MARIA. Emette dei suoni acuti, in falsetto. Squitt squitt squitt. - Ripeto MARIA: squitt squitt squitt. Bene. Ora LUIGI: squott squott squott. Un tono basso, da trombone, che ristorna con toni bronzei sulle maniglie dello scompartimento. Si attenuano le luci. Una lampadina si spenge. Si tirano le tendine. Comincia la recitazione.
MARIA Ma come, Luigi, sono vent' anni che non ci vediamo e mi chiedi all'improvviso di fare all'amore?!? LUIGI Vent'anni fa mi dimenticai di chiedertelo. Ho vissuto tutto questo tempo nel rimorso. Oggi ho molto più tempo disponibile e fra le cose che avrei voluto fare e che ora vorrei fare c'è anche questa. MARIA Com'è ragionevole tutto questo, Luigi! E io adoro le cose ragionevoli! (cambia espressione per un pensiero improvviso). Ma… vedi… ho cambiato sesso! Ora sono un uomo. Intendo, anatomicamente parlando. LUIGI Tutto bene, Maria, anch'io ho cambiato sesso…sono donna ora! (Ridono) MARIA È molto buffo tutto questo. LUIGI È vero. Ridiamoci sopra… e poi facciamo l'amore. MARIA (improvvisamente seria) Impossibile! LUIGI Perché? MARIA Perché ti amavo come uomo, ma non ti amo affatto come donna… (rivelatrice) vedi, anche se sono anatomicamente uomo sono rimasta nell' animo donna. LUIGI Per me la cosa è ancora più complicata (all'improvviso appare smarrito e insieme rivelatore…), mi sento un miscuglio indefinito dei due sessi… o di un terzo… o di un quarto… un cocktail sporgente-rientrante… circoscritto-
inscritto… miscelato-sbattuto al di fuori della mia volontà… né carne, né pesce, capisci? MARIA Mi spiace, Luigi… LUIGI All'inizio mi sentivo esaltata… o esaltato?… o esaltata?… boh?… insomma libera… insomma work in progress con possibilità infinite… finché, un giorno, mi è stato brutalmente rivelato che ero già definita, un oggetto… un mascalzone mi ha violentata… o violentato?… boh? MARIA (vendicativa) Ben ti sta, Luigi! Vent'anni fa mi violentasti tu!! (Luigi piange) Non te la prendere… anch'io ho i miei problemi… (rivelatrice) sono omosessuale… (doppiamente rivelatrice) … amo un negro… (triplamente rivelatrice) … che è ermafrodito. LUIGI Povera Maria! MARIA Proprio ermafrodito. Perfetto! Non so come questo sia possibile… mi è stato detto che qualche volta succede laggiù fra i selvaggi… forse il sole che scotta… (piange). LUIGI Dimenticalo, Maria! Mettiamoci insieme… possiamo insieme incominciare a… MARIA Questo me lo dicesti vent'anni fa… quando mi violentasti. LUIGI Allora ero un uomo giovane e non capivo la differenza fra amore e sesso… MARIA (scandalizzata) Esattamente le stesse parole di quando vent'anni fa mi venisti dentro col tuo sozzo…!!! LUIGI Maria, te lo giuro sulla testa del mio bambino… MARIA Hai un figlio, Luigi? LUIGI Sì. MARIA (speranzosa) Mio? Nostro?
LUIGI Ho detto bambino, non un giovanotto! MARIA E di chi è, allora? LUIGI Di un negro. Di un semplice negro a senso unico. MARIA (materna) Com'è? LUIGI Bello… un… un giglio mulatto. MARIA (vendicativa) Mi spiace, Luigi, ma se è mulatto non troverà facilmente lavoro! LUIGI Capisco la tua delusione, ma in ogni caso non potevo essere io la madre, allora… MARIA E perché? LUIGI Perché allora ero uomo! MARIA Sì, ma avevi un forte istinto materno. LUIGI Non basta, Maria… non basta. MARIA E perché? LUIGI (rassegnato, didascalico) Chiedilo al tuo ginecologo. MARIA Il mio ginecologo è il mio confessore. LUIGI Chiedilo a lui! MARIA Buono quello! Vede ancora in me la femmina e mi tenta di continuo… LUIGI E… tu? MARIA Sono omosessuale, Luigi… e lui è alto, roseo, bello… LUIGI Sei una puttana! MARIA Omosessuale, Luigi, omosessuale.
- A questo punto è prevista un'interruzione - dice l'insetto - che deve essere resa evidente da un artificio. Ma qui non c'è l'attrezzatura adatta. E poi sento dell'ostilità intorno a me! Accenna con la testa a Gatto e Volpe, rigidi sui sedili. - Ad esempio dovrebbero spengersi le luci, o lampeggiare per un minuto degli spots multicolori, od irrompere un gruppo di tzigani con violino od alcuni notabili democristiani che ballano follemente il charleston. Ma proseguiamo: i due cominciano a ridere alternativamente: risate mefistofeliche, omeriche, forzate, irresistibili, a fior di labbra, sardoniche, scomposte, rabelaisiane, sguaiate, grasse e spappolate per almeno dieci minuti. Poi…
LUIGI (rosso in volto, le lacrime agli occhi, sfinito dalle risate) Oh, dio, dio! Basta… basta con questo scherzo! MARIA (idem come sopra) Sì, basta, basta! (ispirata) Che bello essere normali! LUIGI È pronta la cena?
L'insetto si getta esausto e sudato sul sedile. Ma di lì a pochi minuti assume una posizione da mantide religiosa. - Se volete - dice - vi recito Il mio Io fetido buca nella germinazione utopica… - Basta! Basta! - stridono Volpe e Gatto, irti di pelo e gonfi di rabbia - la pazienza ha un limite! Non se ne può più! La bava frigge fra i loro denti. Italo cerca di allisciarne il pelo. Niente. La positura è quella: irrevocabile come gli aghi di un istrice. I due saltano addosso all'insetto graffiandolo, mordendolo, pesticciandolo. Là sotto la creatura squittisce. Se Italo, afferrandoli per la collottola, non li estire da sopra ne farebbero paniccio. L'insetto (ecce homo, infine!) guarda smarrito l'ecatombe d'oggettini colorati ai piedi, poi esce di volata col fazzoletto sotto i buchi del
naso verso la toilette. - Bucaccio! Depravato! Culattone! Invertito! Rottinculo! Finocchiaccio! - gli urlano dietro Gatto e Volpe. - In questo paese - dice Italo - non funziona nulla, fuorché i riflessi condizionati. Nel parapiglia una valigia stracarica, cadendo dalla rete del portabagagli, s'è sbuzzata. Fuoriescono le viscere: gonne lunghe alla zingara, un paio di stivaletti di cuoio, camicette di seta plissé, una parrucca bionda. - Perdio! - esclamano Gatto e Volpe. Italo, incuriosito, afferra il lembo d'una gonna, tasta gli stivali, dice che gli piacerebbe un sacco provarseli. Detto fatto, si leva gli scarponi e infila gli stivaletti; s'introduce nella gonna che gli arriva precisa precisa ai piedi; la camicia, larga com'è, se la mette senza togliersi nulla sotto: le pieghe si stirano. Quando s'infila la parrucca bionda sulla calotta rasata, Gatto e Volpe gettano un ooohhh! di meraviglia. Una signora bionda sta davanti a loro accattivante. Non è più Italo ma una donna che lo ricorda: come la sorella il fratello, quando gli somiglia. Sogguarda e ammicca, sorride come Italo ma sembra ne sappia molto più di lui, e giudichi di più e meglio. Il rinvio, fra lo psicologico e il somatico, getta in uno stato d'ansietà i due. - Basta, levati di dosso quella roba o…!
Non proseguono perché la potenza cafona e imprevista della forza d'inerzia li getta distesi sui sedili. I freni Westinghouse si sono messi a funzionare per benino all'apparire del rosso ad un posto di blocco, appena a cento metri da una stazioncina. Il treno s'è bloccato fra stridori, sfrigolî e gemiti. Pif e paf, piffete e paffete, si sono accesi i fari di molte autoblindo. Soldati a frotte emergono dal buio, salgono sul treno, percorrono concitati i corridoi gettando sguardi satanici dentro gli scompartimenti. Giunti davanti a quello dei tre, urlano “Eccone due!” e afferrano Gatto e Volpe. Senza lasciar loro il tempo di dire né ai né bai li trascinano in un cellulare, da dove alternano l'ascolto via radio di un revival di canzoni di Sanremo di trent'anni prima con le notizie che esplicitano come e quando l'assistente di
stazione Suspicioni (en ant, uxoricida) avesse informato le Autorità, via etere e via filo congiunte, che una compagnia di soldati golpisti era salita sul treno per Pisa con l'intenzione di minare la Torre pendente ed abbattere così il simbolo dello stato democratico. - Stia tranquilla, signora, - dice un soldatino a Italo - lei può proseguire il viaggio. - Ma è Ave Ninchi! - esclama un altro più navigato. - Mi détti, la prego, una ricetta per la mi' mamma.
- Per la su' cara mamma consiglierei i cardoni con la besciamella. Scarti, la cogliona, le costole più dure, netti le altre dai filamenti e le lessi a mezza cottura. Qui, sia detto una volta per tutte a queste cazzone d'atte a casa!, gli erbaggi vanno messi al fuoco ad acqua bollente e i legumi ad acqua diaccia. Tagli le costole dei cardoni a pezzetti lunghi tre dita circa e le tiri, la fottuta!, a sapore con burro e sale a sufficienza, e finisca di cuocerli aggiungendo latte, o meglio panna, poi li leghi, la stronza!, con un poco di besciamella. Aggiunga un pizzico di parmigiano grattato e li levi subito senza farli più bollire. Senza alcun merito, avrà ottenuto così un eccellente contorno agli stracotti, alle bracioline, allo stufatino di rigaglie e ad altri simili piatti. Nella stessa maniera si possono cucinare le rape a dadi grossi, le patate e gli zucchini a spicchi, ma questi ultimi, e qui dubito che riuscirà a farglielo capire!, non vanno lessati. Il soldato ha trascritto tutto diligentemente su un taccuino. Ringrazia e esce dallo scompartimento salutando militarmente. Di lì a qualche minuto, il treno riparte. Ritorna l'insetto. Perplesso fa per proseguire verso un altro scompartimento, credendo d'aver sbagliato. Poi ci ripensa, afferra la maniglia della portiera ed entra deciso.
- Bene! Li hanno arrestati quegli energumeni - dice soddisfatto. - E che ci fai con i miei vestiti addosso? Levateli subito! Italo acconsente di buon grado, tanto più che cominciano a prudergli addosso. L'insetto abbraccia con tenerezza la gonna, gli stivaletti, la parrucca e la
camicetta. Poi dice che sono stati profanati e che li brucerà; perdona Italo e gli permette d'essere presente alla cremazione. Li pone in mucchio sopra la valigia e con l'accendino appicca il fuoco. S'alzano, vermicolanti, le fiamme ed il fumo riempie lo scompartimento. Aprono il finestrino: nugoli di fumo grigio sono inghiottiti dalla notte.
- E questo che è? - bocia, poi, il capotreno indicando sul pavimento i resti dell'arrosto. - Quel che resta d'un bonzo - risponde Italo. Il capotreno sviene. Per empatia, lo segue l'insetto.
È proprio per la loro posizione di a terra che Italo ha un'illuminazione: i due si sono scambiati l'abito e, più in generale, ognuno di noi indossa gli abiti altrui. Per non esporli al ludibrio del eggero (tipo scortese-tetragono-maggioranza silenziosa), li spoglia e riveste ognuno con gli abiti dell'altro.
Perché avvengono questi scambi è un mistero epocale. In teoria potresti scambiare le tue cianfrusaglie con quelle del Papa. E, dato che insieme agli abiti ti s'appiccica un'appannata immagine delle funzioni dell' altro, potresti impartire una benedizione urbi et orbi fuori tempo: con le conseguenze sulle stagioni che si possono immaginare. Si pensa che la causa di tutto questo sia d'origine extraterrestre. Forse uno scherzo dei Cromliani. I tizietti, dimensioni e colore di una bottiglia di coca cola, sono indignati per quanto è accaduto durante l'ultimo incontro ravvicinato del terzo tipo. Il professor Krenz, capo dell'équipe terrestre, li ha attesi nel bel mezzo della zona d'atterraggio, indossando un impermeabile bianco. Proprio mentre l'immenso baraccone volante con le innumerevoli lampadine pulsanti si posa ronzando, tintinnando e flautando piacevolmente, il professor Krenz s'apre con le due mani l'impermeabile. È nudo. Schernisce e minaccia i Cromliani con la modesta proboscide situata poco sotto il buzzetto teutonico.
Italo decide che, dopo essere stato al Campo dei Miracoli, si dedicherà alla seguente opera pia: far recuperare ai venuti meno i propri vestiti, rimettere addosso agli esanimi la propria personalità. Quanti sono annualmente gli svenuti nel mondo? Milioni, forse miliardi. L'immensità di questa opera missionaria lo commuove.
Capitolo 7
Italo discende solo soletto alla stazione di Pisa. Chiede al capostazione insonnolito la strada per il Campo dei Miracoli. Questi che sta fissando ancora stupito l'incongrua racchetta rossa e verde con cui ha proiettato il treno nell'imbuto notturno, si riscuote e gli indica la direzione: dopo una piazza con un giardinetto alberato, nel cui centro c'è un grosso signore a cavallo, prenda per via d'Azeglio, poi per via Mazzini, finché non arriva sui lungarni. In un angolo, Italo scorge alcuni mazzi di fiori accatastati e una ghirlanda con nastri rossoneri. Ad un nottambulo che a, chiede perché quei fiori siano lì. L'uomo risponde che la polizia vi ha ammazzato un anarchico. - E com'è successo? - Se l'è fatti piombare addosso. - Oh, il bucacciolo! - Ha disteso le braccia come fosse crocifisso, obbligandoli ad afferrarlo. - Il malnato! - Ha piegato la testa in avanti costringendoli a manganellarlo. - Il provocatore! - Non ci crederà, ma nella caduta ha fatto la mossa esponendo le costole e i fianchi. I poliziotti, che non sono di ghiaccio, ci sono cascati, era inevitabile! S'è fatto calciare con i piedi e i fucili! - La mossa dell'anarchico - dice Italo - è oggi questione centrale. Cui bono? A chi giova? Me lo chiedo spesso.
Salutato il nottambulo, Italo attraversa il ponte sull'Arno e di lì a poco arriva al
Campo dei Miracoli. Estrae la carta dal taschino e la distende sull'erba in una zona illuminata da un lampione pendente. Sulla mappa v'è indicato il punto di partenza: l'arcata a destra della porticina della torre pendente. Da qui, bisogna contare dodici i in avanti, dieci i a sinistra virando di 90°, tre i a destra e infine quattro palmi di una mano media. Tutto qui. Niente complicazioni alla Poe: né scarabei d'oro, né irsute palme nane, né teschi, né crittogrammi, né inchiostri simpatici disciolti in acqua regia, né ostelli del vescovo, né sedili del diavolo, niente di niente. Scava una piccola buca con le mani, tira fuori una scatoletta di metallo brunito: un incrocio tra un frullatore e una macchina fotografica. Il pomello cromato sporgente da un lato, minuscola sfera divinatoria, riflette le miniature dei monumenti e una guardia notturna con bicicletta che lo sta osservando da poco lontano.
Seduto sulla modesta altana del sellino, le mani sul manubrio e il piede destro posato a terra, l'argo osserva-spia (non senza ponderare & rilevare) lo strano escavatore in divisa. I bianchi monumenti, immobili nel mezzo del prato, sono torte-macchine dotate di una forte propensione all'attesa: si rattengono. Sotto le torte, il grosso soldato sta scavando. Un atto insolito, con molta probabilità criminale: in ogni caso sospetto. La guardia quasi uggiola costretta ad attendere che il criminale si inoltri nel culde-sac della flagranza. All'improvviso un pensiero (contemporanea controazione insorge nella coppia uomovelocipede): “Ma chi me lo fa fare? Che m'importa di lui? Certo non più di quanto a lui importi di me. E certamente non meno che a me, gli importerà tornare a casa.” E, ispirato dall'epoca, ripete le parole che Voltaire aveva una volta insufflato a Candide: “So anche che bisogna coltivare il proprio giardino.” Pedalando rotondo se ne va via. Queste imbrogliate righe potrebbero interrompersi qui, o lettore, con lo sguardo
che non esito a definire commosso su quella gobba che s'allontana, sicuramente la punta dell'iceberg d'umanità.
Italo, tenendo l'arnese sotto il braccio, entra in un albergo di Borgo Stretto. Chiede una camera e dice di svegliarlo molto tardi. - Non all'una e trentacinque, ma nemmeno a mezzogiorno - precisa. Dopo aver posto nel bel mezzo del letto la macchinetta, vi si distende tutto vestito. Prima d'addormentarsi pensa che quando si sarà risvegliato, magari dopo la rasatura e una robusta colazione, la proverà.
ADDIO, MONDO!
Nota su Arrivederci, mondo
Scritto fra il 1976-77, Arrivederci, mondo fu pensato come tragicommedia all'italiana su alcuni avvenimenti socio-politici di quegli anni, come il tentativo di colpo di stato del 1970, in cui i personaggi risultano divisi fra pochi burattinai e molti burattini, uniti tutti però dall'andamento zigzagante del Caso, che sempre assume sembianze di demiurgo comico, satirico e comunque bizzarro. Braschi si ispirava esplicitamente al “buon soldato Švejk”, il personaggio-carattere universale del capolavoro di Jaroslav Hašek. E questa influenza è da subito evidente nei disegni di Presciutti. È anche evidente l'influenza del Pinocchio di Collodi e dei romanzi di quegli anni scritti da Kurt Vonnegut, il grande scrittore della fantascienza satirica. Arrivederci, mondo è anche un'avventura on the road, in cui il “buon soldato” Italo attraversa mezz'Italia di quegli anni: le strade solitarie dall'ora antelucana percorse dalla colonna di camion militari; un Blog da film di fantascienza, generato dall'inquinamento degli scarichi industriali; il Partito comunista con le sue sezioni e le feste dell'Unità; la villa dell'eminenza grigia golpista; i generali felloni; la taverna che tanto somiglia a quella del Pinocchio; le stazioncine e le notti buie dove si incontrano fatalmente gli Assassini e – ultima ma non ultima - la Macchina-fine-del-mondo, con cui si conclude la storia. Dentro questo slapstick (e insieme parodia e, in certi casi, pastiche) si affollano le ininterrotte digressioni del “buon soldato Italo”, a cui fanno da coro quelle dei molti personaggi. Una storia sugli ultimi giorni dell'italianità.
Nota biobibliografica
Graziano Braschi è stato redattore della rivista satirica e di umorismo grafico "Ca Balà". Suoi disegni satirici e scritti umoristici sono apparsi su importanti riviste italiane ed estere. Da lui curate, sono uscite almeno una decina di antologie di racconti gialli, noir e horror, di cui l'ultima è Riso nero (Delos Books, 2010). Ha scritto diversi racconti, ospitati in antologie e riviste.
Massimo Presciutti vive a Firenze, dove lavora come insegnante elementare, artista grafico e musicista. Negli anni Settanta ha esordito come disegnatore umoristico e satirico. Nel 2001 pubblica il primo CD. Ha coltivato l'esperienza del Laboratorio Linguistico Musicale, il cui percorso comprende musica, immagine e letteratura. Ha diversi video su You Tube.