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BARBARA di Marco Codognotto

Copyright 2013 by Marco Codognotto

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Ogni riferimento a persone e luoghi è puramente casuale

L’immagine di copertina è tratta da kispalhi on http://indafoto.hu/kispalhi (via Wikimedia commons)

B A R B A R A

Ogni tanto, per spezzare la monotonia di questi lunghi pomeriggi di settembre, quando Cindy deve ancora ritornare a casa e quando la piccola Samantha è davanti al televisore impegnata a guardare il suo cartone preferito, prendo in mano il mio diario e comincio a sfogliarlo, fermandomi a leggere più volte chissà perchè - l'ultima pagina. “Ieri sono andato ai Laghi con Cindy e Jack. Cindy dice di avere il fidanzato: non le credo. L’ha detto così, la povera Cindy, senza nemmeno un preavviso, senza pensare che mi avrebbe ferito. Mi ha solo intristito. Avrei voluto chiederle se almeno una volta ogni quattr'anni, come le Olimpiadi e l'Euroflora, avremmo potuto temerariamente spingere i nostri discorsi ad un "come stai? - Bene, grazie, e tu? - Benissimo". O dirle: "Conoscere una persona non vuol dire sapere che giorno è nata, che musica le piace, quanti orologi ha nella sua collezione: conoscere una persona vuol dire: capire molte cose osservando un solo gesto e un particolare sguardo". Ero steso sull'asciugamano, vicino a lei, prono. Lei era seduta. Avvicinai pian piano la mia mano verso lei. Se ne accorse e si sedette più in là, vicino a Jack. Ogni tanto si voltavano a guardarmi mentre accarezzavo il lembo dell'asciugamano. Sulla via del ritorno Jack e Cindy stavano davanti a me, sul motorino, viaggiando per due, per potersi parlare. Per poter sparlare di me. Aggiustò anche lo specchietto retrovisore per non vedermi. E poi presero una scorciatoia, per discutere indisturbati. Dai quei pochi gesti mi resi conto di aver sprecato quattro anni della mia vita a combattere i mulini a vento per salvare la mia Dulcinea" A che serve ormai leggere storie vecchie dieci anni? A nulla. Quel che conta è il presente. Ora Cindy è mia moglie e abbiamo una bellissima figlia. Ho una bellissima figlia: è il frutto del mio precedente matrimonio, con Barbara. Appena la vidi mi piacque. Era un pomeriggio di settembre, come oggi. Quel giorno avevo acquistato una rivista di nudi femminili, per trovare qualche soggetto interessante da dipingere. Era l'anno 1994 e io avevo vent'anni. Giunsi nella lettura fino a pagina 30. Mi apparve una ragazza dai capelli biondi, lisci, lunghi, nuda, rivolta di schiena, con

le braccia in alto, appoggiata all'arco di mattoni di un grande caminetto. Si vedeva appena di profilo il piccolo seno. Mi guardava. Nella pagina accanto il titolo del servizio: "Da conoscere / Barbara" e sotto "Lolita in pelliccia", grande, con la L e la P in rosso. V'erano quattro foto e il testo del servizio. Nella prima Barbara era appoggiata su un divano: una classica posa fotografica: sdraiata, gambe incrociate con calze velate bianche, una mano fra i seni e l'altra chissà dove, il reggiseno di pizzo bianco sul ventre. Nella seconda era ritratta a cavalcioni sulla pelliccia bianca. Ciò che mi eccitava di più era il gioco di luce e di ombra sulla sua schiena inarcata, fra reni e collo, che proseguiva sui bei capelli d'oro, che magicamente apparivano di bronzo. Aveva il viso e parte del busto voltato indietro. E mi fissava. Ero molto eccitato, pur conservando la calma dell'artista mentre ritrae la propria modella. In un altra fotografia era seduta con le gambe incrociate e un ginocchio le copriva il seno. Un libro in mano, le dita in bocca, i tacchi a spillo. Ma non sapevano ancora i miei occhi cosa avrebbero visto un momento dopo. E' strano constatare come la vita di un uomo possa cambiare solamente voltando la pagina di una rivista. Di nudi. Pagina 32. La posa era simile alla precedente: seduta in terra, con la testa e una mano dolcemente appoggiate su un rialzo, forse il bracciolo della poltrona. Che bel visino, come quello di una bambolina di qualche favola svedese: pelle liscia, lineamenti morbidi, una boccuccia dipinta di rosso, un nasino piccino piccino, le orecchie minute coi capelli che fluivano dietro e sul collo, lasciando vive le tempie da baciare. Teneva le sottili sopracciglia rilassate e le palpebre col rimmel, e aveva gli occhi socchiusi e stretti, come se desta sognasse... Sognasse me tuffarmi nel nero cupo delle sue pupille tonde e nuotare nel bianco accecante dei suoi occhi di cerbiatta impaurita. Trasalì dal mio cuore una forza a me estranea, un getto di vita, un flusso caldo d'amore e desiderio. Lessi in questa chiave le altre fotografie del servizio, che erano sì ancor più esplicite e il petto mi batteva forte. Lessi un poco l'articolo."Barbara è nata a Budapest vent'anni fa... quasi ogni mese fa la sua puntatina in Italia... è nata sotto il segno dei pesci..." E' strano constatare come la vita di un uomo possa morire a pagina 32 di una rivista di nudi. E rinascere a pagina 37.

Non ebbi il coraggio di voltare pagina e guardare altre modelle. Già il nome Barbara mi suonava familiare. Presi in mano il bisturi che avevo sulla scrivania come tagliacarte, tagliai le pagine, le rifilai con cura, e le misi in cinque fascette trasparenti di plastica. Il tutto in un elegante quaderno raccoglitore. Budapest: troppo lontano. Eppure ci dovetti andare, per lavoro, l'ultima settimana di dicembre. Partii il 24 notte e arrivai all'aeroporto di Budapest la mattina del 25. E' triste festeggiare il Natale lontano da casa, in una camera d'albergo senza nemmeno un addobbo e con i caloriferi mal funzionanti. E pensare al lavoro del giorno dopo: - solo qui in Ungheria si deve lavorare il giorno di Santo Stefano - mi dissi. Uscii per le strade innevate di Budapest, fra insegne colorate di osterie e alberi di natale con mille palline rosse. Per le strade di Budapest, il giorno di Natale, da solo, a pensare a Cindy che sfascia pacchetti sotto l'albero e nemmeno le viene in mente che io sono qui, senza regali, senza auguri, come un povero cristo, come un vecchietto di vent'anni. Da solo. Per le strade di Budapest. Guardare le vetrine? Chi ce ne ha voglia... Andare a bagasce? Non avevo un soldo pur avendo la voglia. Ero in una città a me sconosciuta: non potevo chiedere al primo ante, in un ungherese biascicato "Scusi, buon uomo, mi sa dire, per cortesia, dov'è il bordello più vicino?" E poi le puttane si riposano a Natale. Vidi un locale che assomigliava ad un'osteria. Mi infilai dentro. Camlo alla porta, tavolini di legno, banco di legno, panche di legno, caminetto scoppiettante, poca gente, e silenziosa: un localino come si deve. Senza togliermi l'impermeabile mi sedetti a un tavolo e ordinai da bere una crema whisky. Dopo poco me la portarono. - Cosa ci faccio a Budapest con una crema whisky? pensai. Poi dissi a voce alta: "Cosa ci faccio a Budapest con una crema whisky? Dovrei berla in Irlanda, no?" Nessuno si voltò. Dietro di me una voce, femminile: "Ma qui a Budapest, in Ungheria, la crema whisky ha un sapore particolare". "Anche se sull'etichetta c'è scritto Irish cream?".

Mi voltai. Mi apparve una ragazza dai capelli biondi, lisci, lunghi. "Anche se sull'etichetta c'è scritto Irish cream!" Si sedette vicino a me. "Cosa ci fai da solo il giorno di Natale? Sei qui in vacanza?" "No, sono qui per lavoro. Anche a Natale. Sono uno scrittore" "Da solo?" "Da solo. Solo qui, solo a Genova..." "Genova è una bella città. Ogni tanto la visito. Mi piace molto l'Italia" "Sei di Budapest, vero?" "Sì Ma per lavoro mi reco in Italia, a Milano. Lavoro come fotomodella" Che bel visino come quello di una bambolina di qualche favola svedese. "Sei giovane e molto carina" "Mi sembri triste..." "Triste?" "Sì, triste. Certo da solo, in una città che forse non conosci, a Natale..." "Già. Per fortuna ci sei tu a tenermi compagnia: un po' di calore in questa giornata così fredda..." "Parlami un po' di te" Pelle liscia, lineamenti morbidi, una boccuccia dipinta di rosso, un nasino piccino piccino, le orecchie minute coi capelli che fluivano dietro e sul collo, lasciando vive le tempie da baciare. "Mi chiamo Marco Felis, sono nato a Genova vent'anni fa e faccio lo scrittore, oltre studiare da geologo all'università. Niente fidanzata, pochi amici, fumo la

pipa, sono un po' orso... e poco simpatico" "Invece sei simpatico" "Sei la prima che me lo dice" "Marco è un bel nome. Felis è interessante" "Anche il tuo è un bel nome mi piace" "Ma se non te l'ho ancora detto!" "Giusto parlami un po' di te!" "Mi chiamo Barbara, sono nata a Budapest vent'anni fa e lavoro come fotomodella. Niente fidanzato, molti amici, non fumo, sono estroversa e molto simpatica!" "Hai dimenticato una cosa..." "Cosa?" "Bella come una principessa" Aveva gli occhi socchiusi e stretti, come se sognasse... "Una Lolita in pelliccia" aggiunse. Stavo mandando giù l'ultimo sorso di liquore. Barbara! Pagina 32! Crema whisky per traverso. Mi strinse la mano mentre tossivo. Mi riebbi. "Come hai detto?" Un campanile lontano suonò otto rintocchi. "Devo andare a casa, a cenare. E' già tardi. Devo scappare. Domani mattina ti trovo qui?" "Domani mattina lavoro. Ma di pomeriggio no" "Benissimo. Alle quattro. Buon Natale!" e se ne andò di corsa.

Prima di uscire le chiesi: "Di che segno sei?" "Pesci. A domani!" e uscì. Ordinai un'altra crema whisky, irlandese o ungherese che fosse, e me la gustai fino in fondo. A Budapest ha un sapore particolare. La mattina di Santo Stefano lavorai presso un giornale locale. Ovvero la mattina di Santo Stefano pensai a Barbara. Da Natale a Capodanno a Budapest, con Barbara. Come mai il Signore è stato così misericordioso? Avrò fatto qualche fioretto senza accorgermene. Le vie del Signore sono infinite! Le vie di Budapest, invece... Natale da soli: da meschinetti! Natale da soli a Budapest: da sfigati. E bere una crema irlandese in Ungheria: non ci siamo! Puffete: la donna dei miei sogni, che ho visto tre mesi prima su una rivista di nudi, mi tacchina davanti ad una crema irlandese, in Ungheria, a Natale. Cambio lavoro: troppo pericoloso. Quel pomeriggio mi incontrai con lei, e così i pomeriggi e le sere che seguirono, fino al 30 dicembre. In pochi giorni eravamo già buoni amici. E qualcosa di più intimo stava per nascere. Mi pareva di conoscerla da sempre. Venne l'ultima sera, quella dell'addio. Mi portò a cena, lei, in un localino romantico, di quelli con le candele e i violini. "Senti, Barbara: domani prendo l'aereo e ritorno in Italia. Vorrei rimanere, vorrei... Tu mi hai tenuto compagnia, hai sollevato e riempito il mio cuore d'affetto... Mi spiace dirti addio, o arrivederci soltanto, Perchè io... io... io ti..." Mi fissava con i suoi occhi dolcissimi, mi sorrideva con la sua piccola bocca rossa, e annuiva ad ogni mia titubanza, come se leggesse ogni mio pensiero e ogni mio sentimento. Mi prese la mano. Avevo gli occhi lucidi. Stavo per piangere. "Non dire niente, Marco. Verrò con te: trascorreremo il capodanno insieme"

"Perché ?" Non mi rispose. Uscimmo dal ristorante a braccetto. L'accompagnai a casa. Sull'uscio mi dette un bacio. E mi disse: "Domani ti o a prendere alle 6 in punto" ed entrò in casa. Rimasi lì come un cretino. O mi amava, o si voleva divertire. Io l'amavo. Quella notte non dormii, stordito com'ero da quel bacio. Facevo sogni su sogni, a occhi aperti. Già tutto era un sogno. In aereo per Genova mi disse "ti amo". Barbara me lo disse come se fosse stata una cosa di poco conto: era seduta vicino a me e lo disse mentre guardava le nuvole dal finestrino, senza voltarsi. Rimasi stupito da tale rivelazione con tanta noncuranza. Barbara era fatta così: prendeva ogni cosa con leggerezza, ma l'affrontava con saggezza. Durante il volo mi chiese se io avessi letto il servizio che la ritraeva nuda: mentii. Trascorremmo il capodanno con i miei genitori e con gli altri parenti. Mi sentivo fiero di lei, di ogni cosa fe o dicesse; e provai orgoglio quando la presentai a tutti: così bella, così simpatica, così intelligente, la mia Barbara. Mia. Fino all'epifania Barbara volle stare in casa o uscire sempre in compagnia dei miei genitori: per lei era importante essere accettata dalla mia famiglia. Per tutto il periodo che stette a Genova, prima di sposarsi, aiutò mia madre nelle faccende domestiche e tenne compagnia a mio padre, discutendo spesso su argomenti impegnati. La sua simpatia li conquistò. Un pomeriggio era in camera mia. La vidi con il quadernetto in mano. "Perché mi hai mentito? Queste sono le pagine di quel servizio fotografico!" Era adirata: non l'avevo mai vista così alterata. Avevo paura che il sogno della mia vita finisse lì. Tentai di giustificarmi. Mi assalì di improperi. "Te lo chiesi apposta: volevo che tu ti innamorassi di me per quel che ero, non per il mio corpo. Speravi di divertirti e basta: ammettilo!" Non so cosa mi spinse: forse la paura di perderla. Comunque feci la cosa più giusta. E più sincera.

"Ti amo. Vuoi diventare mia moglie?" Si zittì. "Vuoi sposarmi, Barbara?" Mi abbracciò e mi baciò: era un si. Da quel giorno non ebbi più dubbi: mi amava e mi avrebbe amato per tutta la vita. Quando Barbara si metteva un'idea in testa non c'era verso di farla ragionare: volle subito progettare il matrimonio: cosicché andammo ogni giorno per agenzie immobiliari, per chiese (voleva sposarsi qui, a Genova), per tipografie per le partecipazioni, in comune per carte e papiri, e via di questo o, invece di andare al cinema o a divertirci in qualche luogo caratteristico. Ma , a pensarci bene, progettare il nostro futuro mi divertiva molto. Io decisi la data delle nozze: il primo giorno di primavera. A metà febbraio era già tutto pronto. Il giorno del suo compleanno partimmo per Budapest: i suoi genitori non sapevano del matrimonio e io dovevo, da buon cavaliere, chiedere la mano della loro figliola. Il giorno del suo compleanno in aereo per Budapest. Barbara aveva un aria preoccupata: non faceva altro che guardare le nuvole, sospirare e dirmi: "Vedrai che i miei genitori saranno contenti di veder sposata la loro bambina" Lo diceva a se stessa. Era molto preoccupata: temevo che i suoi fossero contrari al matrimonio. "Mi è venuta fame, Marco. Quando si mangia su questo aereo? Vorrei mangiare qualcosina..." Chiamai l'hostess. Dopo poco ritornò con una torta. Avevo organizzato tutto. I eggeri e il personale cantarono: "Happy birthday" e applaudirono. "Grazie, Marco: hai fatto tutto questo per me. Che caro! Ti amo tanto..." "Anch'io" "Ora devo spegnere queste ventun candeline ed esprimere un desiderio!"

La tenue luce di quelle candeline illuminava debolmente il suo volto e i capelli sembravano d'oro e gli occhi brillavano di piccole fiammelle, come fossero lucide sfere di cristallo vicino ad un caminetto . Qualcosa di familiare, di ancestrale. Osservava emozionata le candeline. E' il ricordo più vivo che ho di Barbara. Le spense con un solo soffio e mangiò (divorò) avidamente mezza torta! Com'era bella... Perchè il Signore si porta via le persone più brave, più buone, le più care? Barbara. Mi manca tanto. Le regalai l'anello di fidanzamento: un anellino piccolo, semplice. Mi abbracciò. Si mise a piangere, forte. "Perché piangi, amore?" Non rispose. Piangeva e basta. Era felice. Tanto fu l'emozione che si addormentò sulla mia spalla. Le accarezzai i capelli. "Fra poco saremo a Budapest" dissi, stringendola a me. Era felice, forse per la prima volta. Anch'io lo ero. Barbara abitava con i suoi genitori a Pest, la parte più ricca della città, in una villetta di Hegyalja ùt. Arrivammo in perfetto orario all'aeroporto Ferihegy e prendemmo il treno-navetta per Budapest. Il clima è molto rigido a febbraio: il termometro della stazione segnava 4 gradi: a Budapest bisognerebbe andarci a maggio, non a febbraio! Prima di andare a casa volle portarmi al Halàszbàstya, il bastione dei pescatori, un grande monumento sul Danubio. "Non possiamo andare fin là con quattro valige! Conviene andare a casa. I tuoi vorranno vederti" le dissi. "Certo che possiamo!" e si incamminò. La seguii brontolando. Testarda come un mulo! Ma a me piaceva così: in quei momenti era assai divertente stare con lei. Giungemmo al bastione. Buda era immersa in una atmosfera grigia: la Duna e il cielo avevano lo stesso livido colore, come il metallo del Margit hid; e l'isola del fiume magiaro pareva inghiottita dalla densa e fredda aria di Pest. Nel silenzio Barbara ammirava la striscia gialla che andava formandosi nel cielo, poco più su dell'orizzonte. Teneva gli occhi stretti, la bocca serrata, pallida, con i capelli svolazzanti sul cappuccio impellicciato del suo parka rosa, a causa del gelido vento del nord. Le

sue manine bianche erano appoggiate sui bigi marmi del bastione. La presi per le spalle, le baciai la tempia e la strinsi a me, guancia a guancia. Guardammo entrambi la Duna scorrere lentamente. "Quando ero piccola mio padre mi portava sempre qui, ad ammirare il Danubio e i vecchi palazzi di Buda. Era un giorno di febbraio, come oggi, e papà mi disse: ‘Guarda, Barbarella, come è largo il Danubio: se vuoi Buda tutta per te, ti basta attraversare il fiume. Ma qui, dal bastione, non ci sono ponti: sono tutti nel tuo cuore’ Peccato che oggi non l'abbia trovato..." "Verrai qui altre volte, finchè non lo troverai" Si voltò, mi abbracciò e mi baciò. Sentivo le sue labbra fredde e le gote che accarezzavo umide. "Andiamo a casa" disse. Credevo fosse un simbolico addio alla sua città, ma era in vero un altro addio. Prendemmo il metrò e in breve fummo a casa. Conobbi i suoi genitori: gentili, comprensivi, ospitali. E soprattutto entusiasti che la figlia si maritasse. Chissà perché? Mi conoscevano poco, ero un ragazzo di un altro paese, non ero ricco. Due giorni dopo: lunedì: c'è poca vita: Budapest si riposa dopo il weekend. Andai a Buda con suo padre, al Vàrosliget, un parco cittadino che fino al secolo scorso era riserva di caccia del re. Parlammo di molti argomenti: voleva sapere bene che lavoro svolgessi, cosa studiassi, che fede politica avessi, quali fossero i miei hobby, ecc... Ci sedemmo un poco su una panchina del parco, di fronte al Vajadahunyad, il castello incantato. "Tu ami Barbara?" "Si, molto" "‘Molto’ è una parola pericolosa: amala e basta. Voglio che mia figlia sia felice vicino a te, per quel poco che le resta della sua vita"

Non compresi il significato di ‘quel poco’: lo imputai alla non perfetta conoscenza della mia lingua. Dopo una settimana io e Barbara ritornammo in Italia. Ci sposammo e andammo in "luna di miele". In campagna, dove ero solito trascorrere le ferie estive. Dove conobbi Cindy. La portai nei luoghi più caratteristici della zona: sebbene non fossimo alle Canarie o in Florida, Barbara era ugualmente felice, entusiasta di vedermi felice. Per lei le mie colline erano un luogo nuovo e affascinante. Per prima cosa volli presentarle i miei amici e Cindy. Una sera decisi di portarla al bar del paese. Prima di scendere dalla macchina le dissi: "Ti farò conoscere i miei amici: sono tutti brave persone, e simpatici. Soprattutto vorrei che fi amicizia con una ragazza: si chiama Cindy: ha molto bisogno di affetto e di veri amici". Annuì. Giunti nel bar, la presentai a tutti.

"Salve, ragazzi. Questa è Barbara" "Non ce l'avevi detto che ti eri fidanzato. E' la tua ragazza, vero?" "Molto di più" risposi. Io e Barbara ci guardammo. Lei rise maliziosamente. "E' mia moglie" aggiunsi. Rimasero tutti stupiti: dapprima non vollero crederci, ma poi si complimentarono all'evidenza delle fedi nuziali. Cindy appariva turbata. Barbara cominciò a parlarle e in breve, grazie alla propria simpatia e alla propria spontaneità, conquistò la sua amicizia. Una sera andammo in discoteca. Mai l'avevo vista così scatenata: ballava, si sedeva sui divanetti con me, scuoteva la testa al ritmo della musica, mi trascinava in pista, mi baciava e rideva, rideva, rideva. "Ti amo, ti amo, ti amo!" urlava ogni tanto. Pensavo, fra me e me: mi ci voleva proprio una moglie così per togliermi di dosso la mia antica pigrizia. Le luci psichedeliche le illuminavano il volto mettendo in risalto una multicolore bellezza. Mi accorsi che era stanca: aveva ballato per ore senza posa. "A cosa pensi, Marco?" "Che sono fortunato ad avere una moglie come te" Ci baciammo. "Mi ami tanto?" mi chiese. "Molto" Rise, e mi baciò nuovamente. "Molto è una parola pericolosa: amami e basta"

Le stesse parole di suo padre, quel giorno, di fronte al Vajadahunyad. Improvvisamente portò una mano alla fronte, e con le dita si premette le tempie. Il suo sguardo cambiò. "Cos'hai, Barbara? Stai male?" "Mi gira la testa" "Hai ballato troppo. Stai qui seduta un po': vedrai che ti erà" "Portami a casa" "Vuoi un po' d'acqua?" "Portami a casa!" Anche la sua voce era cambiata: aveva un tono grave, adirato. Mi stupii. Le chiesi un chiarimento. Mi rispose seccamente: "Portami a casa, ti ho detto! Sei diventato sordo? Maledizione!" Uscimmo e ritornammo a casa. Appena seduta in macchina si addormentò. Aveva una smorfia di dolore. Da quella sera fu sempre un poco debole e predisposta agli svenimenti e ai giramenti di testa: andavano e venivano come un fulmine. Erano episodi rari e non pensai che fosse malata. Il giorno dopo era nuovamente gioiosa e piena di vita. Quel poco di vita che le restava. Ma io credevo che fosse per sempre. Cindy, ogni volta che dico "per sempre", mi ricorda: "Per sempre è molto lungo, ma è meno di quanto lo fosse ieri". Cindy deve aver assimilato la saggezza di Barbara, quella saggezza che io ammirai e non compresi. Giunse l'estate in breve tempo e trascorsi come tradizione le ferie estive in campagna, questa volta con Barbara. Ogni pomeriggio andavamo a bagnarci al fiume. A Barbara piaceva il sole, il caldo, l'acqua limpida e dolce. Un giorno giungemmo sul greto ciottoloso del fiume un poco in ritardo rispetto all'appuntamento accordato con gli amici. Era una giornata molto calda. Avevo

paura che fosse affaticata e invece era normale, una normalità surreale. Eravamo accaldati. Salutò gli amici. Si spogliò in fretta e rimase in costume: un bel costumino rosa, due pezzi, malizioso. Notai orgoglioso lo sguardo di ammirazione dei miei amici verso mia moglie. E ancora di più quando Barbara si tolse il pezzo del reggiseno prima di immergersi in acqua. Nuotava spensierata nel fiume e amava andare contro la corrente, come fosse quel fiume la vita e la sua una lotta contro la morte! E lo faceva con estrema grazia, con un'indicibile facilità, che la mia ignoranza altro non vedeva se non un effimero divertimento estivo. Ed era anche quello: un divertimento. Pareva davvero sorridessero i suoi seni che emergevano a tratti dall'acqua, come fossero... Non so. Forse niente. Uscì dall'acqua e si stese al sole accanto a me. La baciai sulla fronte. Poi sulla bocca. Mi abbracciò e mi strinse forte, per molto tempo. Sentivo i suoi seni che premevano il mio petto. Il mi cuore. Pieno di gioia. Che gioia fosse, non so. Forse la sua. Barbara ava la maggior parte del suo tempo con Cindy, più che con me. Diventarono in breve amiche inseparabili. Non avevo mai visto Cindy così felice: parlavano, scherzavano, ridevano, uscivano spesso insieme. Cindy ritornò ad essere piena di vita e il suo sguardo non era più triste e melanconico. Un giorno entrai nel bar a cercare Barbara: ero preoccupato perché erano già le otto e mezza della sera e lei non era ancora rincasata. E le vidi sedute ad un tavolino che ridevano come due pazze. Barbara aveva i capelli che teneramente le accarezzavano il viso, e Cindy quelle fossette ai lati della bocca e quegli occhi sorridenti che un tempo mi fecero innamorare. Un pomeriggio Cindy mi disse: "Barbara è una ragazza simpaticissima. Ho finalmente acquistato quella gioia di vivere che tu mi hai sempre predicato. Ti ringrazio" "Devi ringraziare Barbara, non me" Mi guardò come non aveva mai fatto prima. "No, Marco. Devo ringraziare te" Mi aveva parlato e per di più mi aveva ringraziato. Mi venne da ridere. Rise pure lei. Ne parlai con Barbara. Mi disse:

"Sono felice che Cindy ora ti sia più vicina. Vorrei che in futuro lo fosse di più. Tu meriti di essere felice. E anche lei lo merita" "Io sono felice con te" Mi sorrise. Come si sorride di fronte all'ingenua innocenza di un bambino. ò così un anno e venne l'agosto del 1995. Eravamo tutti davanti al bar, pronti per andare al fiume. Un amico mi chiamò da parte per raccontarmi un curioso fatto accadutogli. Dopo poco mi chiamarono: "Marco, vieni! Tua moglie è svenuta!" Accorsi subito e la misi seduta sulla panchina. Ero preoccupato. Dissi: "Portatemi dell'acqua! Accidenti, non fa che svenirmi! Anche ieri mattina. Dice di sentirsi debole e mangia per tre! E poi sta male di stomaco e sviene di nuovo". Mi portarono un bicchiere d'acqua. Rinvenne. Le dissi: "Sei stata dal dottore e non mi vuoi dire che hai. Sono mesi che va avanti questa storia..." "Quattro" "Pure! E non mi dici niente! E io mi preoccupo per te. Dimmelo adesso, cos'hai, per la miseria!" "Certo!" e mi porse il bicchiere con ancora un po' d'acqua. La sorseggiai con calma. Proseguì, con un'aria di noncuranza: "Oh, caro: non volevo farti preoccupare o arrabbiare per così poco: sono incinta, di quattro mesi" Acqua per traverso. Cominciai a tossire. Come a Budapest. "Ma proprio quando bevo mi devi dire queste cose?" Cogitai un poco. Aggiunsi:

"Un bambino? Come? Non ci credo. Che bello! Che bello! Una bambina, anzi!" L'abbracciai, la baciai. Ridevo come un matto. Ridevano anche gli altri, un po' sorpresi e un po' felici. "Ah, Barbara! Che bella notizia che mi hai dato! Sta sera cucino io! Tutte le sere! E farò pure le pulizie tutte le mattine! E andrò a far la spesa tutti i giorni! Non ti devi stancare. Giammai! E..." "Smettila un po'! Non sono malata!" La parola "malata" la pronunziò quasi sottovoce. Poi si rivolse a Cindy: "Vedi come sono gli uomini? Svieni davanti a loro e nemmeno ti vedono. Quando vengono a sapere di aver combinato qualcosa di buono nella loro vita, diventano subito crocerossini! Ridicoli!" Cindy annuì. Guardarono me, sperando in una controbattuta. Ma io gioivo e saltavo come un grillo! La gravidanza di Barbara fu un evento emozionante per me. Mi feci in quattro per aiutarla nelle faccende domestiche e presi pure le ferie per stare tutto il giorno a parlare con quel pancione. Non facevamo altro che parlare del nascituro. "Se è femmina si chiamerà Samantha!" dissi io. "Non mi piace tanto..." e fece una smorfia arricciando il naso. "Come no? E' stupendo! Se nasce maschio il nome lo deciderai tu" "Va bene. Sarà maschio!" "Io voglio una femminuccia: bionda, carina e intelligente come la sua mamma!" "E io invece voglio un maschio: che non sia scemo come suo padre!" "Ah, grazie!" "Prego!"

Il ruolo di novello padre mi affascinava: contavo i giorni che mi separavano dal lieto evento. Vedere Barbara incinta mi faceva sentire forte, protettivo, con nuove responsabilità. Prima Barbara, poi la piccola Sammy: avevo raggiunto la mia completezza. Cindy trascorse molto del suo tempo con Barbara e si interessava assai alla gravidanza, come se volesse avere un figlio anche lei. Come se intuisse che sarebbe stata lei a fare da madre a quella piccola creatura. Come se fosse lei a dover partorire. Come se m'amasse. Barbara partorì a gennaio: una bellissima bambina. Quando la vide per la prima poppata eravamo tutti presenti per ammirare quella dolcissima creatura: amici, parenti, mia cugina Steewy e Cindy. Dissi con fierezza: "Mia figlia si chiamerà Samantha!" E non feci altro che coccolare Barbara e nostra figlia, come pure lo fecero i presenti. Meno Cindy. Se ne stava in disparte, con gli occhi lucidi, e guardava la piccola. Barbara se ne accorse. "Cos'hai, Cindy? Stai bene?" Cindy annuì, poi si mise in disparte, lontana da tutti, e pianse. Barbara mi disse di andare da lei. La raggiunsi. "Cindy, Perchè piangi? Come sei cara: ti sei commossa" "E' così bella la tua bambina che..." "Cosa?" "...Che vorrei averla io" Non seppi far meglio che abbracciarla. Barbara mi vide e sorrise. "Su, Cindy: andiamo da Barbara..." "E da Samantha: hai scelto proprio un bel nome!" ammo momenti felici con la nostra bambina. Ricordo le lunghe eggiate

con Barbara e Sammy sul eggino, i suoi primi i, le sue prime parole... Barbara diceva che la viziavo troppo. Era vero: mi allarmavo ogni volta che la sentivo piangere; l'assecondavo in ogni capriccio; ed ero quasi sempre io a cullarla, vestirla, coccolarla, metterla a letto, cantarle la ninna-nanna. Barbara brontolava che la viziavo, dunque. Ma era comunque felice. Sammy era contenta delle nostre attenzioni, e dimostrava ciò abbracciandoci, dandoci bacini, facendoci partecipi di ogni sua scoperta. Ci amava. Ma nulla e nessuno poteva frenare il suo entusiasmo quando arrivava la "zia" Cindy, come lei la chiamava. Cindy amava Samantha come fosse una figlia, tanto da diventare una seconda madre. Il fatto più strano è che Barbara non ne era affatto gelosa, anzi: era lei ad invitare quasi tutti i giorni la "zia Cindy" a casa, affinchè si affezionasse sempre più alla sua bambina. Un giorno chiesi a Barbara: "Dov'è Sammy?" "Oh, scusa, mi sono dimenticata di dirtelo: Cindy ha portato Samantha ai grandi magazzini a far compere" "Ma non credi che si stiano affezionando un po' troppo? Dopotutto sei tu sua madre ed è con te che dovrebbe trascorrere la maggior parte del suo tempo". "E' questo che voglio: dovranno essere come madre e figlia!" "Certe volte non ti capisco, Barbara". Non la capivo, come al solito. Solo quando Barbara morì tutte le sue frasi enigmatiche mi furono chiare. Era un giorno di settembre del 2001: accompagnai Barbara all'aeroporto. Partiva per Budapest. Mi disse, sorridendo: "Troverò il ponte che dall'Halàszbàstya va a Buda, senza cadere nella Duna!" La salutai con un bacio. Samantha agitò la manina. Vedemmo l'aereo già lontano nel cielo. Barbara...

Tre sere dopo ricevetti una telefonata da Pest: era suo padre, con una voce insolita, smozzicata. "Marco... una disgrazia... Barbara è morta... quel suo male..." Il giorno dopo portai Sammy da Cindy. Lei piangeva. Samantha non capiva. Dovevo parlare con mia cugina Steewy, la quale era molto amica di Cindy e di Barbara. "Steewy, com'è morta male la mia Barbara: un tumore..." "Lei lo ha sempre saputo e ha fatto di tutto per darti un futuro sereno". "Capisco ora le sue frasi incomprensibili, i suoi svenimenti... Ma cosa intendi per ‘futuro sereno’?" "Barbara si accorse subito che tu eri ancora innamorato di Cindy e ne ebbe conferma da me. Quando quel giorno andammo a vedere Sammy neonata e Cindy si mise a piangere, Barbara mi disse: "Guarda, Steewy, guarda come si vogliono bene: Samantha sarà il loro punto d'unione". Poi mi raccontò del suo male..." Compresi tutto. Dissi: "Adesso ha finalmente trovato il ponte per Buda". "Cosa?". "Niente..." Mi venne alla mente quel giorno al bastione dei pescatori. Sentivo ancora le sue labbra fredde e le gote che accarezzavo, umide. Era davvero un altro addio. Cindy venne a vivere da me, per occuparsi di Samantha. Con lei ritornò quel calore familiare che se ne era andato con Barbara. La "zia Cindy" in breve diventò "mamma Cindy", per la piccola Sammy. Cindy era felicissima di ciò: aveva finalmente appagato il proprio istinto materno. Avevo di nuovo una famiglia. Sarebbe meglio dire: Samantha aveva di nuovo una famiglia. Cindy pensava solo alla bambina, e parlava sempre di lei. Finii per sentirmi solo, pur vivendo sotto lo stesso tetto con le persone che amavo di più al mondo.

Barbara mi mancava. Moltissimo. Un giorno cedetti al dolore: ero da solo in casa: Cindy e Samantha erano uscite, non so dove. Non so per quale motivo presi il quaderno dove avevo riposto le pagine di quel giornale con Barbara ritratta. Appena le guardai, appena vidi quel suo bel visino da bambolina e la sua boccuccia dipinta di rosso, mi ritornarono al cuore tutte le sensazioni che provai allora. E il ricordo del nostro incontro. Avevo un nodo alla gola, che mi faceva male. Presi la bottiglia di gin e un bicchiere. Deglutii quell'alcool con forza. Poi andai in camera e sfogliai l'album di fotografie del nostro matrimonio e della "luna di miele". Poi non ricordo più nulla: me lo raccontò Steewy quando mi svegliai all'ospedale. Quando ritornò, Cindy mi trovò riverso sul letto, prono, con la testa e un braccio a penzoloni da una sponda, e una riga di sangue che mi usciva dalla bocca. Per terra v'erano due bottiglie di gin vuote; il letto era tappezzato di fotografie di Barbara e il quadernetto era aperto, con un paio di forbici sopra. Tutto quell'alcool che avevo inerito così violentemente mi aveva procurato seri danni allo stomaco. Ma non fu questo a preoccupare i medici: era bensì il mio stato psicofisico: non parlavo più e avevo lo sguardo fisso nel vuoto: uno stato catatonico, dicevano. E ogni volta che sentivo il nome di Barbara mi agitavo e piangevo. Ero un'altra persona: non capivo, non pensavo, mangiavo poco. Restai in ospedale un mese e Cindy non venne a trovarmi. Qualche giorno ruppi il silenzio pronunziando il suo nome. Solo Steewy intuì cosa avessi bisogno. Avevo bisogno di Cindy. Anche la piccola Samantha lo capì: un giorno, davanti al bar, ella pregò Cindy affinché mi venisse a visitare. Non so per quale motivo venne l'argomento - questo episodio mi fu riferito da Cindy stessa - ma fatto sta che Sammy disse a Cindy, con quella sua vocina capricciosa che hanno i bambini: "Mamma Cindy, perchè non vai a trovare papà all'ospedale?, ché sta tanto male?" "La mamma ha tante cose da fare..." "Non è vero. E' che tu non vuoi bene a papà come lui ne vuole a te"

"Non dire così: io voglio bene a tuo padre" "Io volevo una mamma che volesse bene al mio papà, e non una mamma che mi fe solo regali. Eri meglio come zia" Una frase che colpì dritta il cuore. Cindy prese con sé Samantha e si precipitò in ospedale. Ricordo che arrivò trafelata al mio lettino. Sorrisi e la salutai. Piangeva e rideva: non dimenticherò mai quelle fossette sul suo viso, quegli occhi lucidi, quel bacio sulle labbra che mi diede, e le sue manine fredde sul mio volto. "Ti amo, da sempre". Lo pronunziò con la stessa naturalezza che usò Barbara quando me lo disse per la prima volta. Samantha era felice. In tre settimane guarii e mi dimisero. Venne in breve il mese di marzo del 2002. Il giorno del matrimonio. Cindy era bellissima vestita di bianco, come lo fu Barbara. E Sammy era graziosissima come damigella. Non trovo parole per descrivere le sensazioni provate quel mattino, davanti all'altare. Non occorre cercare aggettivi d'effetto o parole ricercate: neppure semplici: sono sensazioni che rimangono nel cuore, e basta. Chiudo le pagine di questo diario con serenità, felice della felicità delle persone che amo, di Cindy, di Samantha. Suona la porta: è Cindy che rientra. "Sammy, vai ad aprire alla mamma! Svelta!" Di Barbara. Che bei momenti felici abbiamo trascorso insieme: il suo compleanno sull'aereo, la corsa verso il bastione dei pescatori, i suoi capelli mossi dal vento... Ha dato tutto senza chiedere in cambio alcuna cosa, se non un ponte verso Buda. Barbara... La crema whisky per traverso... Aveva ragione: a Budapest ha un sapore particolare.

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