Paolo Fontana
DE BELLO SELIACIDO
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Indice dei contenuti
PRÆFATIO PROEMIUM INTRODUCTIO I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV XV
XVI XVII XVIII XIX XX XXI XXII XXIII XXIV XXV XXVI XXVII XXVIII XXIX XXX XXXI XXXIII XXXIV XXXV XXXVI XXXVII
XXXVIII XXXIX XL XLI XLII XLIII XLIV XLV XLVI XLVII XLIX L LI LII LIII LIV LV LVI LVII LVIII LIX
LX CONCLUSIO
PRÆFATIO
Il presente volume, pubblicato per la prima volta in assoluto, riporta in forma integrale gli scritti di un importante personaggio politico e militare vissuto tra l'XI secolo e il XII secolo A.D. (XVIII-XIX secc. aUc), legatus dell'esercito e magister d'Albània, Constantinus Gabras. Egli, come si vedrà più avanti, scrisse nei ritagli di tempo libero, durante la campagna (durata più anni) contro i cadusii e i seliacidi in Media Atropatene e in Armenia, parte della Terza Guerra romanoseliacide (1122/1875-1131/1884). Pensata in un primo tempo per la pubblicazione (e forse letta solo dall'Augusto di quegli anni, Iohannes III Comnenus Augustus), non venne però mai completata e mai ripresa dal generale, neppure negli anni dopo la guerra. Come il lettore paziente scoprirà, anche attraverso l'apparato di note a piè pagina, Gabras tentò di scrivere un breve compendio, che riportasse le origini del popolo seliacide (a tutt'oggi considerata la parte più interessante) e gli eventi delle tre guerre combattute contro di loro, in maniera piuttosto schematica, secondo una serrata divisione in capitoli più o meno brevi. Non è però completa, per due motivi: il primo riguarda il materiale che ci è pervenuto, perché, non essendo mai stata pubblicata, nel tempo sono andate perse delle parti e dunque alcuni fogli sono tuttora mancanti; il secondo invece riguarda il fatto che la narrazione si interrompe nell'anno 1122/1875, proprio all'inizio della Terza Guerra, nonostante Gabras scriva durante l'inverno 1126/1879-1127/1880. La presente edizione, quindi, si limita, attraverso l'apparato critico, a presentarla al lettore così com'è, senza aggiunte né integrazioni di sorta. Un'ultima precisazione sul titolo: Gabras non diede mai un titolo ai suoi scritti, e se lo fece anch'esso nel caso non ci è pervenuto, e dunque si è deciso di chiamarla, senza però nessuna pretesa di accostarla troppo alle altre opere della storiografia antica, De Bello Seliacido, così che anche il lettore inesperto possa sin da subito farsi un'idea dell'argomento di cui tratta il generale.
PROEMIUM
All'Imperatore Augusto princeps dell'Impero Romano, primus inter pares, cittadino santissimo, Isapostolo e Protettore delle Fedi, padre spirituale e figlio devoto, imperator e magister delle province e delle terre di Roma, Iohannes III Comnenus Augustus;[1] A tutta la sacra gens Comnena, nata nella porpora e reggitrice del mondo;[2] Ai Senati e alle capitali, Roma l'Eterna e Constantinopolis l'Invitta,[3] io, Constantinus Gabras, legatus legionario delle forze armate imperiali e devoto e umile cittadino, sempre fedele allo Stato e alle istituzioni citate sopra, dedico questa mia opera, nella speranza che le forze terrene e quelle del Cielo mi sian favorevoli, per la grazia concessami dalla Vostra intercessione. La pace e la grazia, la felicità e la gloria delle fedi di ogni cittadino dell'Impero siano con Te, e con Voi, alto e possente Imperatore dei Romani, e Sante istituzioni di Roma.
Ho letto da qualche parte (nonostante mi si creda un barbaro violento, sono anch'io un Romano!)[4] che un figlio saggio reca gioia al proprio padre e che un padre affezionato si compiace di un figlio prudente e sensibile. Ecco, io modificherei questa massima, mio Augusto, dicendo che un figlio saggio reca davvero gioia al proprio padre ma che il padre si compiace ancor di più quando il figlio, grazie ai suoi insegnamenti, abbandona la prudenza e ottiene successi. Così, come tu sei un padre per tutti noi Romani, io sono uno dei tuoi figli, figlio tuo e dell'Impero, figlio di Roma Eterna che mai scomparirà, se non alla fine dei tempi. Avrai dunque saputo che in questi anni ho più volte messo da parte la prudenza per adempiere agli ordini che Tu mi hai dato, e per non tradire la fiducia che, come il padre che sei, hai riposto in me: non ti sarà sfuggito come
abbia conseguito parecchie vittorie importanti sul nemico. Questi miei scritti, che ho la presunzione di chiamare a volte “opera” (persino questo proemium non è composto esattamente come si deve!) riguardano appunto lui, il nemico, e la sua storia perché ritengo sia importante non perdere il ricordo di come tutto questo sia cominciato e di come gli eventi siano precipitati a tal punto da portarci fino a qui: io stesso, ora, scrivo nella mia tenda, in piena notte, nell'attesa che il sonno mi raggiunga e possa finalmente riposarmi un po', e soprattutto nell'attesa di un nuovo giorno in cui marcerò di nuovo, con i miei soldati, tra queste valli e in questi boschi, per contrastare le forze del nemico, sempre così numerose.[5] Anche per questo motivo, oltre al fatto di non essere un vero storico e neppure un vero scrittore, perdonate, mio Augusto (se mai leggerai queste righe) e mio lettore (magari qualcuno ci sarà!), se il mio stile non vi soddisferà appieno e rimarrete delusi al termine della lettura. Questo mio sforzo di scrittura ha in realtà un motivo più pratico rispetto a quello di imitare i grandi del ato per ottenere un po' di gloria: non mi considero certo un Divus Cæsar, il quale, mentre combatteva in Gallia e in Germania, scriveva i suoi Commentarii! Questo proprio no! Io voglio solo mettere nero su bianco una narrazione schematica degli eventi, senza prestar fede alle dicerie o alle storie inventate, dato che, a quanto so, non esiste ancora un'opera o una cronologia che preservi la memoria dei nostri tempi: nessun storiografo che conosco ha ancora scritto nulla sul nemico e su queste guerre, e so che, più il tempo a, più ciò che è accaduto nel ato sfuma e il ricordarlo costa fatica e imprecisione. Per questo, tenterò ora, provando a mantenere uno stile più o meno semplice (per quanto le mie capacità me lo permettano!) di narrare i fatti, sia quelli di cui sono a conoscenza per lettura o racconto di altri, sia quelli vissuti in prima persona. La guerra vera e propria scoppiò nel 1065/1818. Questo lo sanno tutti. Il fatto è, però, che quello che moltissime persone non conoscono è il perché e il percome si sia arrivati all'invasione e quali siano stati gli eventi che ci hanno tragicamente condotto a vivere quegli anni così devastanti, per noi e per il mondo intero. Mi limito a dire che la maggior parte della gente dimentica presto e le basta che ci sia qualcuno che le dica cosa pensare e cosa no per continuare a vivere tranquilla: più o meno tutti sanno che "nemico" e “seliacide” sono parole che indicano ormai la stessa cosa e questo più o meno sembra essere sufficiente.
Se giungono dai fronti notizie di sconfitte i cittadini si disperano per un pò, mentre se le notizie sono buone, essi esultano e festeggiano, come se fossero stati loro a combattere davvero nelle polvere dell'Oriente o nelle valli innevate. Alcuni ricordano certe date o certi eventi, ma già se chiediamo ad un abitante di Rotomagus o di Londinium, è facile che questi non sappia quasi nulla, se non che in questi anni si sta combattendo la terza delle tre guerre in soli sessant'anni.. Spero davvero che, in futuro, qualcuno più competente e brillante di me, sia in grado di scrivere, non so, un'Historia Seliacidarum, o una cronaca delle guerre dotata di più profondità e analisi della mia. In quel caso, se avessi la fortuna di essere ancora vivo, non potrei dirmi più felice, sapendo che queste mie scarne righe sarebbero state usate come fonte, la prima esistente, per la preservazione della memoria e del ato. Perché, non smetterò mai di dirlo: non bisogna mai dimenticare.
[1] All'epoca, la formula di saluto nelle opere dedicate all'Imperatore era stata volutamente accorciata proprio dall'Augusto Iohannes III, che detestava i formalismi di un'etichetta troppo elaborata. Quindi la formula che utilizza Gabras, pur breve, è quella corretta. In seguito, soprattutto nell'Epoca Aurea, i titoli e le presentazioni si sarebbero di nuovo allungate parecchio, con il crescere delle fortune dell'Impero. L'Augusto Iohannes III aveva però accettato che nella formula si ricordasse il “primus inter pares” (a cui teneva particolarmente) e il “Protettore delle Fedi”, in quanto, pur essendo l'Impero a maggioranza cristiana, un Imperatore romano era in sostanza custode di ogni religione e culto (anche se alcuni, a volte, venivano perseguiti) presente sul territorio dell'Impero. Il titolo di “Isapostolo”, cioè “uguale agli Apostoli”, gli garantiva la preminenza sugli episcopi, cosa particolarmente importante anche dal punto di vista politico, in quanto essi, tra tutti i religiosi delle varie Fedi, erano da sempre (e lo sono tuttora) i più portati a ingerenze nella politica e nelle istituzioni, abitudine contrastata dagli Augusti di ogni epoca a partire dalla fine del V secolo A.D.
[2] In altre forme della formula di saluto, bisognerebbe rivolgersi prima anche all'Augusta consorte e ai figli, i cæsares e le cæsarissæ, ma visto che l'Augusto Iohannes III non si sposò mai e non ebbe figli, ovviamente Gabras non poteva salutare nessuno di loro, così rivolge i suoi ossequi all'intera gens imperiale.
[3] Infine, in ultima posizione, si rivolgeva sempre un saluto anche ai Senati, espressione della tradizione romana considerata fondamentale per gli equilibri dell'Impero, e alle capitali, spesso personificate.
[4] La gens di Gabras sembra provenisse dalle regioni di confine dell'Impero, forse dalla Media Atropatene o dalla Mesopotamia, anche se qualcuno, in ato, ha proposto persino l'Albània. Non si conoscono con esattezza le sue origini.
[5] Gabras scrive nell'inverno del 1126/1879-1127/1880 e le valli e i boschi a cui si riferisce sono quelli della Cadusia e della Media Atropatene, anche se, più genericamente, anche quelli sul fiume Cyrus e Araxes, dove ritornava spesso.
INTRODUCTIO
Tra tutti i nostri nemici – del ato e del presente – quelli che chiamiamo “seliacidi” (spiegherò fra poco l'origine di questo strano nome) sono senz'altro i più temibili e di certo i più combattivi. Ormai da sessant'anni, le province orientali dell'Impero costituiscono il teatro di una guerra sanguinosa e distruttiva e sono molti i luoghi andati in rovina, abbandonati dagli abitanti nella speranza di trovare un po' di pace e serenità altrove. Fidati, mio lettore, non invento nulla, perché, purtroppo, io ho visto buona parte di ciò che racconto con i miei stessi occhi: intere regiones sono ormai spopolate tanto che in alcune valli diventa persino difficile incontrare altri esseri umani per miglia e leghe. Capita spesso, a me e all'esercito, di attraversare un territorio e non vedere nessuno per due, tre giorni di seguito. Non credo di esagerare dicendo che questi nostri nemici hanno rimpiazzato i nordici nell'immaginario popolare, almeno qui a Oriente e a Sud, proprio a causa di tutte le storie che in queste due generazioni si sono diffuse per le contrade e hanno raggiunto le città, spesso deformate e non del tutto veritiere. Come ho già affermato nel proemium, uno degli obiettivi di questa mia modesta opera è pure quello di presentare solo i fatti, e gli eventi realmente accaduti, senza prestare orecchio o fede alle storie che si inventa la gente o, peggio, a quegli strani accadimenti magici e misteriosi che popolano le pagine degli opuscoli a Constantinopolis, scritti da speculatori che intendono guadagnare facile sfruttando la curiosità delle persone e la loro ingenuità. Se mai leggerà questa breve historia, l'Augusto Iohannes dovrebbe sapere che penso sia necessario metter fine a questo tipo di attività perché danneggia chi non sa, portandolo a sapere ancor di meno per mezzo di una scarsa informazione, e perché danneggia anche l'esercito e chi come me combatte ogni giorno lontano, in quanto quasi mai la verità dei fatti viene presentata tale e quale, con onestà e rigore.[1] Detto questo, voglio ora introdurre l'argomento che mi sono prefissato di buttar su carta ma per farlo, proprio per il fatto che non tutti conoscono davvero ciò che
è successo e gli eventi che ci hanno portato a questo triste punto, ho il dovere di riassumere anche gli anni immediatamente precedenti all'invasione e alla Prima Guerra. Per ultimo, mi preme sottolineare il fatto che i seliacidi sono nemici formidabili: per ferocia li paragonerei agli hunni, e per intelligenza e rapidità di movimento agli arabi dei primi secoli. Inoltre, non sono da meno dei persiani, dato che poi nei loro eserciti ne arruolano moltissimi, avendo infatti conquistato interamente il loro paese. Pur mantenendo forte la propria identità e le proprie tradizioni, i seliacidi hanno infatti saputo assorbire con eccezionale rapidità le migliori qualità dei nostri nemici più antichi, oltre che di tutti gli altri popoli sottomessi, ed è per questo, ne sono sicuro, che i nostri eserciti incontano tutte queste difficoltà nel vincere la guerra. I seliacidi hanno insomma riunito nell'unico corpo del loro giovane impero – uso la parola impero forse a sproposito dato che al mondo, si sa, esistono solo due Imperi, il nostro e quello speculare in Seria, mentre gli altri sono semplici imitazioni e tentativi di re barbari di addossarsi poteri che non spettano davvero a loro – tutte le caratteristiche migliori dei nostri vecchi nemici, diventando così estremamente pericolosi, una minaccia non solo tattica, ma soprattutto strategica a livello più che provinciale. Per il momento, essi non sono mai riusciti a raggiungere Constantinopolis ma questo non esclude il fatto che non possa mai succedere. Bisogna stare attenti. In ogni caso, questa mia analisi mi ha portato a riconoscere e a ritrovare nel nostro nemico noi stessi, forse quelli di un tempo, ma pur sempre noi stessi: anche noi, infatti, abbiamo sempre assorbito e sfruttato il meglio dei popoli conquistati, dando allo stesso tempo loro l'illusione di adottarne i costumi e le tradizioni, in una sorta di gioco del conquistato che diventa il conquistatore. Non è mai stato davvero così ma questo metodo di governo ci ha sempre permesso di stringere la presa sui territori occupati e, nel giro di poco, renderli romani, eliminando o almeno riducendo il pericolo di rivolte e disordini. Per questo dico che i seliacidi assomigliano a noi. La somiglianza, però, termina qui perché è cosa nota come, nonostante siano palesi i tentativi dei vari sultani di imitarci nel modo di governare e di organizzare lo Stato, in realtà le loro antiche tradizioni della steppa non sono state ancora abbandonate e si riflettono fortemente nel loro modo di gestire tutto, anche la guerra. Spiegherò meglio più avanti. Ora, arrivo finalmente a ricostruire gli eventi che portarono alla Prima Guerra
romano-seliacide (1065/1818-1095/1848) e come il potere turco sia cresciuto tanto fino a diventare così temibile.[2]
[1] b Qui Gabras si riferisce alle pubblicazioni di fogli, venduti agli angoli delle strade e un ovunque nelle grandi città, che contenevano le principali notizie provenienti dalle province più lontane o eventi spesso inventati o dal tono misterioso e difficilmente verificabili. Nulla a che fare con i giornali moderni ma essi sono lo stesso considerati i precursori dell'informazione e del giornalismo dei giorni nostri.
[2] Gabras scrive così ma in realtà la struttura stessa dell'opera lo smentisce, in quanto, pur partendo a descrivere le origini dei seliacidi e di come si arrivò alla Prima Guerra, poi i capitoli si susseguono uno dopo l'altro senza altre divisioni particolari, assumendo più la forma d'insieme di una lunga cronologia.
I
Delle origini di Seliacus
Seliacus è il nome latinizzato del capostipite del popolo seliacide e appunto quest'ultimo termine, “seliacide” è una corruzione del suono che in latino il suo nome riflette, anche se in persiano (o turcico) esso andrebbe scritto a questo modo: Seljiuk o Seldiuq. Per la nostra narrazione, la figura di Seliacus non è davvero importante ma, come ho già detto in precedenza, non sono in molti a conoscerla, per cui ritengo che questo excursus sulla sua vita non sia per nulla inutile. Cercherò di non dilungarmi troppo.[1] Da quanto riportano i dotti, Seliacus visse quasi due secoli fa e nacque da qualche parte negli oscuri meandri dell'Asia interna, quelle regioni talmente vaste e lontane che nemmeno il prode Alexander si sognò mai di esplorare e che solo le ultime nostre spedizioni verso la Seria ci hanno permesso vagamente di conoscere. L'unica cosa che sappiamo davvero è che esse si trovano nella Transcaspica, al di là di quel mare e probabilmente nei pressi della Palus Oxiana, non lontano anche dalla Chorasmia. Sono solo nomi questi, perché non disponiamo di informazioni precise a riguardo e in verità la nostra ignoranza è grande: forse sono io e ad Alexandria esisteranno interi volumi con mappe precise e dettagliate ma ne dubito. L'Asia nera viene considerata da sempre il luogo da cui partono ciclicamente le tribù barbariche che tentano di rovesciare sia noi che i Seri, in quanto i nostri due Imperi sono speculari e soffrono degli stessi problemi. A quanto pare, la prima invasione nomade che ci ha colpito, durante i terribili anni del V secolo, portata dagli hunni di Attila, aveva già interessato anche l'Impero Serico. Per inciso, esso si trova esattamente all'altro capo dell'immenso continente euroasiatico, fatto che rafforza nei geografi la convinzione della validità della teoria speculare. Divago. Seliacus, figlio di Tocacus (detto anche Temur), era dunque un nomade del composito popolo turcico che visse i suoi primi anni insieme alla propria tribù, una delle tante che componevano una sorta di federazione, nota con il nome di
ochus, o oghuz. Io preferisco ochus.[2] Molto tempo fa abbiamo già avuto a che fare con popoli turcichi, precisamente nel VII secolo A.D., durante la guerra con i persiani: a quell'epoca, alcune loro tribù avevano conquistato vasti territori a nord del Caspium ed erano scese fino al Caucasus, cosa che li aveva messi in contatto con noi. Ad ogni modo, pur non essendone certa, la maggior parte dei dotti crede che il popolo seliacide abbia origine da qualche parte oltre il Caspium, dove le sue innumerevoli tribù lottano da sempre tra loro e solo ogni tanto, grazie a un condottiero capace, riescono ad unirsi e diventare veramente potenti.
[1] Anche se il termine “seliacidi” è quello più diffuso, qualche linguista moderno ha cercato di ricostruire una forma latinizzata più simile all'originale parola turcico-persiana, sostenendo che “selgiucidæ” sarebbe stato più corretto. Pur avendo ragione, l'uso della prima forma non è stato ancora minimamente soppiantato dalla seconda.
[2] Gabras non ha ben chiaro cosa indichi il toponimo “ochus”. Egli lo utilizza per indicare la confederazione di popoli turcichi che viveva ai margini del mondo cazaro, nell'estremo nord-est del Mare Caspium e, data l'assonanza, la sua affermazione può essere accettata senza troppi problemi. “ochus” è parecchio simile al termine turco “oghuz”. Forse Gabras aveva in mente l'Ochus menzionato da Strabo, come fiume che proveniva dall'Oriente e si gettava nel Caspium, in una regione dove era abbondante la nafta e l'ozocera ma di sicuro non poteva sapere che, in quegli anni, mentre lui si trovava in Cadusia, il megadux Constantinus Angelus aveva effettivamente identificato il fiume, che sfociava in una baia diffusamente abitata sulle coste orientali di quel mare e che, consigliato proprio dai suoi sotto-ufficiali che avevano letto Strabo, lo aveva chiamato Ochus. “ochus” potrebbe però essere una semplice corruzione di “Oxus”, il fiume gemello dello Iassarte.
II
Della famiglia di Seliacus
Ho letto che Seliacus ebbe quattro figli, da un'innominata moglie: non so se i loro nomi siano completi o meno, ma noi li conosciamo come Michæl, Israhel, Moyses e Ionas. Avrai già notato, mio lettore attento, come questi nomi siano indubbiamente di origine ebraica, e fra poco spiegherò perché. Di Ionas non so nulla di più. Gli altri è certo che crebbero e misero a loro volta su famiglia: per la nostra storia, è importante ricordare soprattutto i figli di Michæl, Togrelianus, e Carianus.[1] Questi, alla morte prematura del padre, vennero presi in custodia proprio da Seliacus e allevati come figli. C'è chi dice che Michæl sia morto in circostanze non chiare: alcuni sostengono sia caduto da cavallo durante la caccia e io ci credo. Non condivido invece le dicerie di chi sostiene che sia stato Seliacus stesso ad eliminarlo, per paura che lo spodestasse prima del tempo. Un padre è un padre ovunque, sia a Roma che nella steppa selvaggia, dopotutto.
[1] Togrelianus, ovviamente, è Toghrul, mentre Carianus è il fratello Chagri, come attestato dalle fonti persiane e arabe. Dei figli di Seliacus, la storiografia moderna non ha ancora trovato i nomi completi e quindi si accettano i quattro di origine ebraica.
III
Dei cazari
Sappiamo che, in gioventù, Seliacus partecipò all'esodo della sua famiglia (e forse anche di altre minori che la seguirono) dai luoghi in cui era nato alle terre, più fertili, sulle sponde dello Iaxartes, fiume noto anche a noi. Esso, insieme all'Oxus, si getta nella Palus Oxiana che, a dispetto del nome, è un grande lago che alcuni chiamano persino mare. Prima di questo evento, così importante per il futuro del mondo – se non avessero cominciato a spostarsi, a quest'ora non staremmo combattendo così duramente!, anche se devo dire che non serve a niente pensarla a questo modo e che la storia fatta con i sé non mi ha mai interessato più di tanto – la tribù di Seliacus (non sappiamo quando ne divenne il capo) viveva nei territori soggetti ai cazari, o perlomeno in zone di confine dove per lungo tempo furono in contatto con loro. Noi conosciamo bene i cazari poiché il grande Augusto Basilius II ha conquistato il loro regno e abbiamo saccheggiato le loro biblioteche e per questo sappiamo parecchio pure sui popoli con cui intrattenevano relazioni.[1] Gli ochusi (dal nome della loro federazione) erano uno di questi e sono più volte citati nelle loro opere e nelle cronache di Atil, città che noi abbiamo rifondato con il nome di Basileana Magna. I governanti cazari erano per la maggior parte di fede ebraica e anche nel loro eserciti erano in molti a praticare quella fede: siccome poi sappiamo che molti ochusi combatterono come mercenari sotto le bandiere cazare, non è impossibile credere all'aneddoto che vuole Seliacus soldato o persino ufficiale cazaro, durante la sua giovinezza. Il fatto poi che i nomi dei suoi quattro figli, per lo meno per come sono arrivati fino a noi, siano di chiara origine ebraica, ci induce a credere che abbia davvero combattuto nelle armate cazare. La cosa non mi sorprenderebbe.
[1] Giusto per ricordare, Basilius II Magnus conquistò l'Alania e la Cazaria tra il 1023/1776 e i primi del 1025/1778.
IV
Della conversione
Ovviamente, se i figli di Seliacus ebbero nomi ebraici non vuol dire per forza che la famiglia o persino l'intera tribù praticasse quella fede e io non mi pronuncio su questo. Alcuni, facendo considerazioni simili, affermano che Seliacus fu ebreo (certi dicono persino cristiano nestoriano!) ma non ci sono e non ci saranno mai prove certe a riguardo.[1] Quel che si sa, invece, è che, una volta giunto sullo Iassarte, secondo la tradizione nei dintorni di una città chiamata Jend (non so proprio dove sia!)[2], incontrò parecchi mercanti e religiosi musulmani e fu colpito dalle loro parole e dalla loro serenità d'animo. Nell'anno 985/1738, egli si convertì dunque all'Islam, probabilmente insieme con tutta la famiglia e la propria tribù. Non sappiamo se cambiò nome o se lo cambiarono i suoi figli, visto che i musulmani non romani hanno questa particolare abitudine di adottare un nome nuovo, dimenticando quello con cui sono nati, una volta che si convertono alla nuova religione. I cittadini dell'Impero che diventano musulmani, invece, non lo fanno e mantengono il proprio nome romano, o al massimo latinizzano quello nuovo.
[1] Effettivamente, anche ora non è nota la vera fede di Seliacus prima della conversione.
[2] Poiché quei luoghi si trovano al di fuori dell'Impero, non è stato ancora possibile stabilire dove si trovi esattamente Jend o se esista ancora. L'unico indizio è che si trova ai limiti orientali della Transoxiana.
V
Dei signori di Seliacus
In verità, la tribù di Seliacus – e chi altri lo aveva seguito – divenne ben presto soggetta al potere di certi signori della guerra che, all'epoca, si stavano espandendo proprio nell'area tra lo Iaxartes e l'Oxus. Anch'essi musulmani, a quanto ho capito leggendo le fonti, erano ochusi pure loro, probabilmente di una qualche tribù rivale.[1] Sappiamo che sul finire del X secolo A.D., questi conquistarono parecchie città, tra le quali Maracanda, Bocara e Phergana. Data la potenza e la forza che detenevano, Seliacus non poté che offrir loro i propri servigi in cambio della possibilità di rimanere entro i loro domini, anche se, personalmente, dubito che il potere nomade di quei popoli e di quegli stati sia simile al nostro e a come noi lo intendiamo. Anzi, da quanto si sa, essi non hanno la stessa concezione del territorio che abbiamo noi, ed considerano proprio un territorio solo una volta che hanno sconfitto il precedente proprietario e imposto qualche tributo, senza impegnarsi particolarmente a cambiarlo o sfruttarlo davvero. Per molte delle confederazioni asiatiche, basta che i tributi arrivino regolari e che i propri vassalli (perché è così che governano, dando in appannaggio le terre, spesso a chi era già lì, fidandosi delle loro nuove promesse) forniscano uomini, e tutti sono felici. D'altro canto, è stato già osservato come lo stesso impero dei seliacidi, ora, nonostante ci abbia imitato in molte cose, sia strutturalmente più debole del nostro, proprio a causa dell'usanza nomade di spartire le province e le regioni dandole in appannaggio a membri della famiglia o signori locali, il che implica (e i fatti lo dimostrano) che le possibilità di rivolta, per un qualsiasi motivo, aumentano a dismisura. A conti fatti, uno dei nostri vantaggi sui seliacidi è proprio il senso dello Stato. Se mai leggerai queste righe, sappi che cederanno prima loro, mio Augusto.
[1] Gabras parla dei caracanidæ (karakhanidi), una confederazione turcica che sul finire del secolo aveva guadagnato molto potere, soprattutto nella regione di Phergana (Ferghana) e Bocara (Bukhara). Pare provenissero dalla Seria.
VI
Di Togrelianus
Durante il periodo ato all'interno dei domini dei nuovi protettori, non ho dubbi che Seliacus abbia condotto spedizioni di razzia e regolamenti di conti per aumentare il proprio prestigio e quello della sua tribù. Come ho già detto prima, la concezione dello Stato da parte di questi popoli è diversa dalla nostra e non credo che qualche razzia sia importata più di tanto ai suoi padroni, fintanto che i seliacidi continuavano a versare tributi e fornire uomini per la guerra. Intanto, cresciuto come un figlio da Seliacus, Togrelianus divenne forte e valoroso, un vero guerriero, in grado di usare l'arco meglio di chiunque altro e di superare anche il fratello Carianus nella lotta. Fu per questo che Seliacus, sentendo l'età avanzare e le forze lentamente abbandonarlo, decise ad un certo punto di cedergli il potere e renderlo il nuovo capo tribù, pur rimanendo egli stesso la figura centrale dell'intera grande famiglia. Non mi è nota la sorte degli altri figli di Seliacus, Moyses e Israhel ma suppongo fossero già morti all'epoca. La vita in quelle regioni dev'essere davvero molto dura.
VII
Di Carianus
Essendo il più giovane, Carianus non ebbe problemi ad accettare il aggio di consegne dal nonno al fratello e servì quest'ultimo con lealtà e devozione. Come al solito, sappiamo molto poco di lui, soprattutto fino al 1024/1777, data importante per le sorti del potere in Asia centrale. È interessante notare che ciò che per noi è irrilevante e lontano, per altri può essere estremamente gravido di conseguenze: sono sicuro che a quel tempo, nessun Romano venne al corrente di nessuna delle grandi battaglie che stavano sconvolgendo l'Oxiana e le regioni vicine. Comunque, in gioventù Carianus e il fratello visitarono Maracanda, Phergana e soprattutto Bocara, centro del potere dei loro signori che, pur essendo nomadi, apprezzavano la sua bellezza e le sue ricchezze.
VIII
Delle guerre d'Asia
Non ò molto tempo prima che la fluida situazione delle frontiere asiatiche cominciasse a mutar di nuovo. Mametus, il sovrano di un impero indiano che si era imposto da qualche decennio più a sud, aveva infatti rivolto le sue mire alle fertili terre di Bocara e Phergana e pure a quelle della Chorasmia, dominata invece da un'altra dinastia musulmana di cui però non so il nome.[1] Ciò che si sa è che i signori di Togrelianus e Carianus vennero più volte sconfitti dalle truppe di Mametus che, famoso per i suoi massacri nei templi indiani, non ebbe particolari problemi a imporre il suo dominio anche sullo Iaxartes e sull'Oxus. I due fratelli, su consiglio di Seliacus, ormai sempre più anziano e portatore di valori di un mondo che non c'era più, rimasero però fedeli ai loro vecchi signori e continuarono a combattere per loro contro Mametus e i suoi soldati. All'epoca della morte di Basilius II Magnus (siamo nel 1025/1778), non esisteva ancora nessun potere o stato seliacide ma le sue basi erano ormai state poste e Togrelianus era diventato ormai l'indiscusso condottiero di varie tribù turciche che cominciavano ad identificarsi proprio con il nome della famiglia (noi diremmo gens) Seliacida. Alcuni anni dopo, accaddero nuovi fatti: il canus (titolo diffuso tra le popolazioni asiatiche, soprattutto turciche, che corrisponde, credo, a quello di un condottiero o di un capo piuttosto influente, o tutt'al più a un rex) dei suoi vecchi protettori morì e Togrelianus si rivolse allora per protezione ai nuovi padroni della Chorasmia che, liberatisi dal dominio oppressivo di Mametus, stavano cercando forze per stabilizzare il proprio potere.[2] Ma il potere di Mametus era ancora grande ed egli non ebbe problemi a riprendersi ciò che considerava suo: istigò così altre tribù turciche, nemiche di
quella di Seliacus e Togrelianus, e guidate da un certo Sachus Malicus. Questi invase a sua volta la Chorasmia, riuscendo dopo una lunga e terribile guerra a sconfiggere gli usurpatori. Mametus lo nominò allora nuovo governatore di Chorasmia, nell'anno 1038/1791.[3]
[1] Gabras si riferisce alla dinastia detta “ghaznavide”, dal nome locale della città che noi conosciamo come Alexandria in Opiana e di cui Mametus (Mahmud) fu il più famoso sultano e conquistatore. A cavallo tra il X e l'XI secolo A.D., egli occupò infatti vasti territori compresi molti in India, ed è per questo che Gabras indica il suo stato come “indiano”. L'altra dinastia che cita per quanto riguarda la Chorasmia non è ben nota nemmeno agli studiosi moderni, anche se i più dotti esperti di letteratura persiana affermano di averla identificata con quella dei "mamunidi" (dall'eponimo Mamunius/Ma'mun) e che regnò brevemente nella regione, prima di essere spodestata proprio da Mametus.
[2] Ciò che afferma Gabras è vero solo in parte, ma per l'epoca, è già notevole che abbia raccolto così tante informazioni riguardo ad eventi,e soprattutto luoghi, di cui non aveva nessuna conoscenza e di cui non esistevano nell'Impero mappe precise o aggiornate. Come si è scoperto poi, è vero che Togrelianus rimase fedele ai caracanidæ fino al 1034/1787 e che poi, alla morte del loro canus, abbia stretto alleanza con Aaron (Harun) in Chorasmia, ma non è preciso quando dice che questi si era reso indipendente da Mametus (Mahmud). In realtà, egli era una sorta di governatore autonomo della Chorasmia per conto di Masutius (Masud), il successore di Mametus, e pare abbia tentato di ribellarsi, autoproclamandosi sachus (scià) di Chorasmia, per altro non riuscendoci davvero visto che venne ucciso da sicari di Masutius l'anno dopo (1035/1788).
[3] Si evince dal testo che Gabras non sa che Mametus era morto al tempo
della vittoria di sachus Malicus (Shah Malik) in Chorasmia. L'anno comunque è esatto. Il problema è che, fatto uccidere Aaron, cosa che Gabras non sa, il fratello di quest'ultimo, Ismæl (Ismail) ottenne il potere, garantendo la protezione anche a Togrelianus e i suoi. A questo punto, allora, Masutius invitò l'ochuso sachus Malicus a intervenire, promettendogli ricchezze e onori. Nel 1038/1791, in effetti, questi venne “incoronato” sachus di Chorasmia, tecnicamente indipendente, ma in realtà ancora sottomesso ai ghaznavidi.
IX
Della morte di Seliacus
A cavallo di questi eventi, i seliacidi vissero davvero anni difficoltosi, costretti continuamente a spostarsi senza la protezione di un potere stabile e, soprattutto, con il lutto della morte del vecchio Seliacus, il quale era ormai diventato l'uomo più saggio tra loro. Togrelianus e Carianus, insieme agli altri guerrieri, figli e nipoti della grande famiglia, disposero allora, nonostante le difficoltà, un funerale splendido e al quale assistettero tutti nella regione, sforzandosi di rendere onore all'uomo che li aveva guidati e protetti per così tanto tempo. Alla morte del nonno, dunque, Togrelianus venne di nuovo investito dei poteri di capo, questa volta formalmente, e tutti si prostrarono ai suoi piedi, giurandogli fedeltà.
X
Dell'indipendenza guadagnata
Sempre in questi anni, Togrelianus decise che l'umiltà era la migliore tra le virtù di un buon fedele e per questo motivo, in accordo col fratello, si recò a Serachia[1] dove stava il sovrano successore di Mametus[2] e gli chiese asilo, implorando di concedergli il perdono per non averlo servito sin da subito. Questi però non volle saperne, anche perché non si fidava dei seliacidi e del loro modo di vivere, così, congedato Togrelianus, inviò uno dei suoi generali a eliminare lui e tutta la sua tribù, ora che non erano protetti da nessuno. Si suppone che a questo punto, i seliacidi fossero composti da parecchie famiglie e da migliaia di individui, perché Togrelianus, giunto appena in tempo, riuscì a sconfiggere il generale nemico, ottenendo la gloria di una prima vera vittoria su un campo di battaglia[3]. A questo punto, Togrelianus si sentì abbastanza forte da dare il via ad una campagna di conquista in Traxiana, espellendo molte delle guarnigioni nemiche e conquistando città antiche, tra cui, oltre a Serachia, soprattutto Alexandria in Margiana[4]. Poi, acclamato pure dai suoi soldati, proprio come a volte è successo anche tra noi Romani, si proclamò sultano, fondando finalmente il nucleo del futuro impero seliacide.
[1] Sarakhs, città della Traxiana (Khorasan). La sua etimologia latina ha a che fare con la Seria, anche se non è ben chiaro il perchè. Forse, per la vicinanza alle città carovaniere.
[2] Gabras proprio non conosce Masutius.
[3] Non si conosce il nome del generale di Masutius, ma la battaglia è nota come “battaglia di Serachia” e si svolse nel 1037/1790.
[4] Nelle fonti è nota come Marw, o Merv.
XI
Della fondazione dell'impero (come lo chiamano loro)
Una volta diventato sultano, Togrelianus dovette però affrontare la reazione furiosa del sultano d'India[1] che, in forze, tornò nella regione e gli contese le città e il territorio palmo per palmo. Anche Alexandria Ariana, conquistata da Togrelianus, ò di mano parecchie volte, gettando tutta la Traxiana nel caos. Finalmente, nel 1040/1793, avvenne lo scontro decisivo: in una località di cui non mi è noto il nome, Togrelianus, Carianus e tutti i loro alleati, decisi a scrollarsi di dosso una volta per tutte il giogo straniero del sultano d'India, combatterono una battaglia violentissima, tanto che il rumore delle spade e il brontolio della terra pestata da migliaia di piedi vennero uditi a centinaia di leghe di distanza. Ad un certo punto, Togrelianus fu sul punto di cedere ma il fratello Carianus insistette per condurre un ultimo assalto alle linee nemiche, il cui numero era più del loro doppio, in un tentativo che avrebbe segnato la vittoria totale o la sconfitta più terribile. L'abilità di Carianus fu però decisiva e salvò i seliacidi dalla disfatta. Nel volgere di mezz'ora, l'esercito indiano andò in rotta, contando migliaia di morti, e l'eco della vittoria ottenuta cominciò a diffondersi sin dalla mattina successiva, portata ai quattro venti da messaggeri a cavallo. L'impero dei seliacidi era nato, finalmente! Che tutti lo sapessero e, d'ora in poi, temessero le sue orde! Nessuno sarebbe stato più al sicuro[2]. Certo, loro si vantano di governare un impero senza sapere che gli unici veri Imperi al mondo sono il nostro e quello di Seria, mentre gli altri sono solo pallide imitazioni che svaniscono sempre col mutar delle stagioni, ma poco importa: distruggeremo anche loro, così come abbiamo distrutto i nordici, anch'essi vanagloriosi imitatori del Vero Potere. Sciocchi! Si godano quel poco che gli resta, allora! Ad ogni modo, non molto tempo dopo, forse l'anno successivo, Togrelianus invase la Chorasmia, estromettendo Sachus Malicus e conquistando l'intera regione.
[1] Sempre Masutius.
[2] Gabras parla della battaglia di Dandachia (Dandanaqan, un villaggio vicino ad Alexandria in Margiana). Si stima che il numero dei soldati a disposizione di Togrelianus e Carianus fosse di 20000 unità, e, anche se probabilmente esagera, quello di Masutius sui 40-50000 uomini. Effettivamente, però, questa battaglia segnò l'inizio vero dell'espansione seliacide e la fine del dominio della dinastia di Alexandria in Opiana (Ghazna). Nel corso degli anni, quest'ultimo stato sarebbe ironicamente diventato vassallo dei seliacide.
XII
Dei prodromi dell'espansione
In seguito alla battaglia, proprio per gestire meglio senza litigi l'enorme potere che improvvisamente si erano trovati per le mani, Togrelianus e Carianus indissero un'assemblea per decidere come spartirsi i territori e le future conquiste. In questo modo, pur dandosi sempre una mano a vicenda, avrebbero ciascuno governato una parte delle terre autonomamente, anche se in definitiva Togrelianus rimaneva il sultano e formalmente dominava l'intero impero, ora in continua espansione. Lasciato infatti Carianus in Oriente, anche per impedire a eventuali vendette indiane di avere successo, raccolse un esercito con grande facilità, dato che l'eco della vittoria aveva fatto are molti dalla sua parte, e invase la Persia. Siamo nel 1042/1795 o nel 1043/1796, anche se pare che la Tapuria sia caduta nelle sue mani già nel 1041/1794. Il lettore mi perdonerà se non posso dir di più a riguardo, ma sono un legatus e non uno storico e, come ho detto, so bene che questa mia opera non sarà mai perfetta, ma servirà (lo spero!) da compendio per qualcuno più competente di me.[1] Poco dopo, conquistò vaste parti dell'Hyrcania e penetrò in Media dove il potere degli emiri buiadi, i quali a loro volta avevano spodestato un secolo prima i califfi abbasidi dalla Persia, era in declino: Issatis cadde nelle mano di Togrelianus nel 1045/1798 e, l'anno dopo, lo stesso accadde anche ad Aspadana. [2]
[1] La Tapuria (Tabaristan) venne in effetti conquistata a inizio 1042/1795,
non appena Togrelianus fu tornato dalla Chorasmia, anche se esiste la possibilità che una delle due conquiste non l'abbia diretta personalmente lui.
[2] Gabras si riferisce alla dinastia hyrcana dei buiadi (buyidi, dal nome del loro fondatore eponimo Buia (Buya)) che verso la metà del X secolo A.D. si convertì all'Islam (a differenza della maggior parte degli hyrcani che rimasero pagani, zoroastriani e in misura minore cristiani nestoriani) e cominciarono ad espandersi in Persia, rifiutando però di riconoscere l'autorità politica del califfo di Nova Babylonia (all'epoca Bagdata/Baghdad). Pur togliendo a ciò che rimaneva del califfato i territori persiani, non riuscirono a occupare la Mesopotamia, rimanendo in uno stato di guerra perenne con gli abbasidi. Questi ultimi furono la più duratura delle dinastie legittime dell'Islam, a regnare su un califfato unito: il loro nome proviene anche in questo caso dal fondatore, noto tra i dotti come Abbasius (Al-Abbas). Poiché il califfo abbaside possedeva appunto il potere temporale e quello spirituale, il califfato abbaside rimase per lungo tempo molto rispettato e visse del prestigio accumulato nell'epoca d'oro precedente. Persino i seliacidi, una volta penetrati in Mesopotamia, rispettarono la dinastia, pur togliendo ai califfi il potere temporale. Infine, Issatis è per i persiani Yazd e Aspadana è Isfahan.
XIII
Della conquista della Carmania
Sul finire del decennio, mentre Togrelianus consolidava le proprie posizioni in Persia, trovando soprattutto in Media e nelle sue città ottime basi collegate dalle antiche strade ad ogni altra regione (e non a caso ora Aspadana è proprio la capitale dell'impero seliacide), suo fratello Carianus si dava da fare in Oriente, respingendo gli ultimi attacchi indiani e quelli provenienti dalle altre tribù ochuse della Transoxiana e della Chorasmia. Ma il suo più grande risultato lo ottenne in Carmania, nel sud della Persia, che invase nel 1048/1801, completandone l'annessione l'anno successivo. L'emiro buiade che dominava la regione dovette ritirarsi a Tirasia che, però, cadde grazie all'azione congiunta dei due fratelli e di altri generali all'inizio del nuovo decennio.[1] Da generale, non posso ora esimermi da fare alcune considerazioni. La conquista della Persia da parte dei seliacidi avvenne con incredibile rapidità: in un decennio circa, due se contiamo anche le conquiste ai margini, Togrelianus e Carianus riuscirono a distruggere il potere buiade e prima quello indiano e a triplicare l'estensione dei propri domini. Quello che sorprende, in realtà, è come invece noi, in più di un millennio, non siamo mai riusciti ad avanzare oltre la Mesopotamia e solo eccezionali condottieri, a partire dall'Augusto Traianus fino al generale Iohannes Tzimisces, riuscirono a penetrare fino a Bagdata, e al massimo a toccare le sponde del Sinus Persicus. Si può pensare allora che o il nostro modo di condurre la guerra, fin troppo simile a quello persiano nell'area in cui le due nostre civiltà si sono sempre incontrate, sia sostanzialmente inefficace e troppo dispendioso, oppure che invadere la Persia da Oriente sia molto più facile che da Occidente, dove, al di là della Mesopotamia, iniziano le montagne dell'Assyria, della Susiana e della Persis che proteggono dall'attacco di ogni nemico ciò che sta al di là di esse. Devo però ricordare come siano ormai diversi secoli che nessun Augusto progetta un'invasione della Persia, preferendo una stato di reciproco rispetto e immobilità strategica.
Il problema dei nostri tempi, infatti, è dato dal fatto che i seliacidi non conoscono questa mutua concessione. D'altronde il loro è uno stato giovane, avido di ricchezze e nuovi territori. Per questo, dobbiamo combattere.
[1] I buiadi governavano quasi l'intera Persia dividendo il potere in emirati, il più potente dei quali era appunto quello di Persis (Fars), detto anche di Tirasia (Shiraz). Un altro era l'emiro di Cæsarea Regia (Ravy). Si sa, però, che i seliacidi consentirono a vari esponenti buiadi di mantenere i propri incarichi, in modo da poter consolidare meglio le conquiste fatte.
XIV
Della caduta della Persia
Non posso imputare a nessuno la colpa di non aver fermato prima le armate di Togrelianus, quando ancora erano lontane dai confini. Dopotutto, anche se gli agentes in rebus sapevano che un nuovo potere stava nascendo in Oriente, la nostra solita arroganza che ci fa disinteressare del mondo esterno ci è costata cara. Non dico che avremmo dovuto combattere fianco a fianco degli abbasidi per impedire ai seliacidi di conquistare la Mesopotamia, ma almeno avremmo dovuto sostenere il nemico più debole per allontanare quello più forte. È così che funziona... Ad ogni modo, anche se alcuni piccoli regni pagani e signorie hyrcane rimasero fuori dai territori seliacidi, così come erano rimasti indipendenti sotto gli abbasidi e poi sotto i buiadi, il resto della Persia cadde, verso l'anno 1055/1808 completamente nelle mani seliacidi. Intorno a questa data, Togrelianus pose la capitale proprio ad Aspadana, meditando il da farsi.[1] L'estremo occidente della Media e la Susiana non erano ancora state sottomesse ma non c'era più nessun potere forte a governarle e in pratica erano abbandonate a sé stesse, nonostante riconoscessero anche debolmente la sovranità del califfo di Bagdata. Infine, nel 1056/1809 le ultime rivolte locali in Persia vennero soffocate e Togrelianus si mise a preparare la spedizione contro gli abbasidi, ammassando il più grande esercito che avesse mai comandato in vita sua. Proprio in quell'anno, l'Augusto Andreas inviò un'ambasceria a Bagdata che si limitò ad avvisare il califfo della pericolosità del nuovo nemico, ma niente di più. Non è noto a nessuno, il momento in cui il nostro Impero, e la stessa nozione di popolo romano, siano stati conosciuti per la prima volta da Togrelianus e dai seliacidi in generale, anche se è probabile che già ai tempi in cui Seliacus si spostò sullo Iassarte, l'esistenza dell'Impero Romano ad occidente doveva essere
cosa piuttosto nota, anche solo per i contatti secolari che altre tribù ochuse avevano già avuto con noi e che gli stessi cazari avevano sviluppato in quanto alleati. Forse l'ambasceria dell'Augusto ebbe un qualche effetto, perché nel 1057/1810, quando finalmente Togrelianus invase la Susiana e penetrò nella bassa Mesopotamia, trovò ad attenderlo un grosso esercito arabo che tentò di bloccarlo, non lontano da Sostrate.[2]
[1] Gabras non dice che Togrelianus conquistò Ecbatana nel 1051/1804 e vi rimase più di un anno, meditando se farne la capitale del suo impero o meno, dato che ne amava il paesaggio e la sua gente. Quando però alcuni dei suoi uomini catturarono uno dei nostri agentes e lo portarono al suo cospetto, egli si spaventò, notando che le montagne potevano non bastare a difenderla dai nostri attacchi, e così decise per Aspadana. La storia della spia romana è solo un aneddoto che si trova in parecchi volumi persiani ma è interessante notare come probabilmente un decennio prima, Togrelianus sognava già di invadere l'Impero.
[2] Anche in questo caso, Gabras non dà informazioni del tutto esatte. Effettivamente, nel 1057/1810 Togrelianus penetrò nei domini abbasidi ando dalla Susiana e dovette affrontare il califfo nella Characene (nota agli arabi come Khuzestan) ma a quanto pare la battaglia si svolse parecchio più a sud di Sostrate (Shushtar), da qualche parte non lontano dalla costa. Alcuni studiosi propendono per Civitas Heracleiana (Awhaz). Gabras è probabile la confonda con la battaglia successiva.
XV
Della Mesopotamia
Contro tutte le previsioni, la battaglia di Sostrate arrise al califfo che riuscì in questo modo a respingere il grosso dell'esercito seliacide, tenendolo ai margini della Mesopotamia, proprio dove le montagne della Cabandene creano una muraglia difficilmente superabile per qualsiasi esercito e abitate da fiere tribù di montagna.[1] Scosso da questo primo ostacolo, lui che aveva con facilità sconfitto ogni nemico in ogni provincia della grande Persia, Togrelianus si ritirò per giorni nella sua tenda, lasciando i suoi ministri e i suoi generali in una snervante attesa, mentre l'afa dell'estate mesopotamica aumentava sempre più, mitigata appena dalla brezza proveniente dalle montagne. Come Alexander nei tempi antichi, Togrelianus si rifiutò di parlare con chiunque e così fu per parecchio tempo, fino a che alla sua tenda non giunse Carianus, fatto chiamare dai ministri e dai generali in modo da risolvere lo stallo. Nel frattempo, il califfo, arrogantemente convinto che la sua prima vittoria fosse bastata, tornò a Bagdata, ordinando ai suoi comandanti di chiudere la questione, eliminando le ultime sacche di resistenza nemica. Si dice abbia decretato solenni festeggiamenti nella capitale, mettendosi a festeggiare come se la guerra fosse già conclusa e i seliacidi sconfitti per sempre. Carianus riuscì a convincere il fratello dell'importanza di quel momento, che di sicuro non si sarebbe ripetuto: l'Altissimo non avrebbe concesso loro un'alta possibilità per marciare su Bagdata e se lo faceva adesso significava solo che desiderava che fossero i seliacidi a diventare i nuovi protettori della Vera Fede. A questo punto, allora, Togrelianus riprese forza, abbracciò il fratello e uscì dalla tenda, trovandosi davanti a una scena di grande commozione: l'intero suo esercito attendeva con ansia e non appena lo vide uscire, nella calura estiva che deformava l'aria, proruppe in grida e invocazioni di ringraziamento. Tutti erano
pronti a una nuova battaglia.[2] Inviando questa volta torme di irregolari e guerrieri appiedati, così da razziare e spargere terrore tra i contadini e i civili, che a loro volta presero a riversarsi verso le grandi città, compresa la capitale, Togrelianus riprese a marciare e non lontano dal luogo della prima battaglia questa volta sconfisse i comandanti abbasidi, mandando in rotta il loro esercito.[3] Non posso non notare che la tattica di mandare in avanti razziatori e irregolari è la stessa usata con così tanto successo anche contro di noi: non c'è angolo di Armenia, per esempio, che adesso non sia in qualche modo occupato, saccheggiato o attraversato da una qualche banda centro-asiatica.[4] Vinta la battaglia, Togrelianus ringraziò il Cielo esclamando, in modo che tutti potessero udire le sue parole: «Non v'è gloria né forza che nell'Altissimo, l'Immenso!», ottenendo in questo modo ancora più approvazione da parte dei suoi soldati adoranti.[5] A questo punto, iniziò la marcia verso Bagdata.
[1] Con Cabandene, Gabras intende la regione montuosa appena a nord-est della Susiana, in realtà parte di essa, e le montagne di cui parla di sicuro sono i monti Parachoathras, nei pressi di Ecbatana (Hamadan).
[2] b Solo in Gabras si ritrova questo aneddoto dell'arrivo di Carianus, il che ci fa presumere come, forse, potrebbe averlo inserito in mancanza di notizie certe sullo sviluppo degli eventi e come espediente narrativo. Pare strano, infatti, che Carianus abbia compiuto apposta un così lungo viaggio solo per confortare il fratello e spingerlo a riprendere la lotta contro gli abbasidi, vista anche la grande distanza delle regioni che si trovava ad amministrare, e tutto l'episodio sa quasi di apologia per la pretesa seliacide di considerarsi la legittima dinastia regnante in Mesopotamia. Probabilmente, Gabras sentì questa storia da qualcuno, forse persino da semplici soldati nemici catturati, e la prese per buona.
[3] Si riferisce alla vera “battaglia di Sostrate”, avvenuta in Iunius 1057/1810.
[4] All'epoca in cui Gabras scrive, infatti, da decenni il problema percepito dai Romani non erano tanti gli eserciti nemici che occupavano le città e vincevano le battaglie, secondo un modo di condurre la guerra conosciuto e antico, ma le migliaia di irregolari di decine di tribù turciche o asiatiche che avevano invaso, seguendo o anticipando gli eserciti, intere province. La situazione era diventata insostenibile per i cittadini romani che spesso si trovavano a dover convivere con loro, ma più spesso a scappare dai propri villaggi e dai luoghi natii, in quanto intere famiglie seliacidi si stabilivano lì, senza però cambiare i propri costumi e rifiutando le leggi romane. Fu un problema di integrazione risolto solo molto tempo dopo, ma all'epoca, complice anche la crisi politica, economica e di valori, con l'aumentare del fondamentalismo cristiano, essa provocò parecchie tensioni e molte violenze, da entrambe le parti.
[5] Le parole pronunciate da Togrelianus sono riportate anche in fonti persiane, quindi non si dubita generalmente della loro autenticità.
XVI
Della conquista
Il periodo che seguì, però, parve suggerire a tutti che, forse, l'Altissimo non era davvero con Togrelianus. Nonostante la secolare decadenza e la corruzione dei califfi, gli abitanti dei contadi attorno alla capitale si opposero fieramente all'avanzata seliacide, utilizzando ogni espediente per allontanare gli invasori dalle loro case, il più famoso dei quali fu l'allagamento dei campi e la distruzione di parecchi canali che, solo a guerra finita, sarebbero stati sistemati. Quella che era sembrata essere l'ennesima conquista veloce, si rivelò invece essere estremamente difficoltosa e ci conferma che per prendere Bagdata, città di circa un milione di abitanti, è necessario avere tempo e molte risorse, cosa noi non abbiamo davvero mai avuto. In ogni caso, tra l'estate del 1057/1810 e la primavera del 1059/1812, le truppe di Togrelianus dovettero combattere casa per casa nell'intera Mesopotamia, riuscendo nel 1058/1811 a conquistare Samara[1] ma continuando ad essere respinti dalle mura di Bagdata. Nel frattempo, un preoccupato Augusto Andreas ordinò al legatus e magister d'Armenia, Bagratius, e al magister di Syria, Guillelmus, di fortificare il confine e sistemare i castra e le basi in cattivo stato, destinando parecchi fondi imperiali alla costruzione di fossati e opere di difesa. Inoltre, sempre nel 1058/1811, deciso ad allontanare dall’Occidente alcune ricche famiglie sospettate di tramare alle sue spalle (probabilmente a ragione), l'Augusto Andreas ordinò pure il loro trasferimento in Palestina: così, tra le altre, la famiglia di un altro Guillelmus, nipote di quel pirata nordico che si era rifugiato, al tempo della Grande Guerra, prima in Jutia e poi nel nord della Gallia e si era mescolato a noi Romani, dovette emigrare, assistendo inoltre alla decurtazione di molti dei suoi possedimenti. La famiglia di Guillelmus era stata rapidamente favorita dagli Augusti Coneradius II e Henricus I, e dal magister
della Gallia, Gothus Fridus, i quali cercavano tutti degli alleati per conservare il più possibile il potere: i mercanti di questa gens erano rapidamente venuti in possesso negli anni Trenta di vasti latifondi a nord del fiume Sequana e in Belgica così da potersi vantare di possedere una grande fortuna. Guillelmus, inoltre, era stato inviato da suo padre nell’esercito e nel 1058/1811 era ormai un comandante romano a tutti gli effetti. L'Augusto Andreas lo promosse generale. [2] Nessuno si sarebbe immaginato che avrebbe portato più problemi qui in Oriente che, forse, restando in Gallia. Tornando alle vicende mesopotamiche, finalmente Bagdata cadde ai primi del 1059/1812: Togrelianus, sapendo di aver conquistato una città quasi santa per la presenza del califfo, decise di rispettare la sua figura e tutti quelli che ci vivevano, così che le sue truppe furono disciplinate e non si diedero al saccheggio. Anzi, in poco tempo, ricostruirono le mura e gli edifici danneggiati dal lungo assedio. Il califfo non venne ucciso ma perdonato anche se venne spogliato di tutti i poteri temporali, che arono a Togrelianus, (ora sultano dei seliacidi e degli arabi), rimanendo così una figura fondamentale solo dal punto di vista della Fede. Il rispetto poi che i seliacidi dimostrarono nei confronti di tutti, unito all'efficienza che da tempo nessuno vedeva nella regione, indusse i locali ad appoggiarli prontamente e a cessare qualunque resistenza e ribellione, così che, anche per il fatto che Togrelianus decise per il momento di aspettare e non attaccarci subito negli anni seguenti la Mesopotamia divenne la più ricca delle satrapie dell'impero seliacide. Il sultano non diede subito il via all'invasione dell'Impero Romano per tre motivi: il primo fu che Togrelianus preferì studiare meglio la sistemazione del limes, cercando inoltre di stringere accordi e assicurarsi l'appoggio delle tribù locali di confine, soprattutto nelle zone montuose dell'Atropatene. In più l'attesa avrebbe permesso all'ancora primitiva amministrazione seliacide, la quale doveva appoggiarsi quasi in ogni caso a quella locale pre-esistente, di consolidarsi e permettere in futuro un migliore sfruttamento del territorio, capacità sviluppata anche per mezzo dell'attività di spionaggio che sicuramente devono aver condotto nei nostri confronti: ricordo come, ad esempio, per tutto il lustro che rimase prima dell'invasione, le nostre truppe di confine dovettero respingere vari, limitati attacchi e schermaglie di arcieri a cavallo, lanciate probabilmente per testare meglio le nostre difese.[3]
[1] Samara è Samarra, città molto vicina a Nova Babylonia (Bagdhad), nota ai più per la violenta “battaglia di Samara” del 1259/2012.
[2] Divagazione di Gabras, ma questa volta non sbaglia. Effettivamente l'Augusto Andreas cercava in quel periodo di indebolire, senza però riuscirci davvero, le famiglie di latifondisti che, dalla morte dell'Augusto Basilius II Magnus, si erano affermate nel nord della Gallia e in Belgica, approfittando delle concessioni di Imperatori provenienti da quelle regioni e della stessa crisi economica che stava sopraggiungendo. Il riferimento a un pirata nordico è legato all'origine della famiglia di Guillelmus: pare infatti che, al tempo della Grande Guerra, parecchi pirati scani e nordici cercarono rifugio nei territori dell'Impero e si stabilirono, nascondendosi spesso, in villaggi sperduti, insieme alle proprie famiglie o sposando abitanti del luogo. Accettando rapidamente la lingua e i costumi romani, entro poco più di una generazione, vennero considerati Romani anch'essi. Il nome dell'antenato di Guillelmus dovrebbe essere Rotibertus.
[3] Parecchie spie straniere vennero arrestate e interrogate in quel periodo, in effetti. Nonostante ciò, l'invasione colse più o meno tutti alla sprovvista anche se era da tempo all'orizzonte.
XVII
Della rivolta
Il secondo motivo fu determinato dalla rivolta condotta da Abraham, suo fratello uterino a cui aveva affidato il comando di parecchi reggimenti turcomanni e chorasmi, ma che non aveva mai considerato in realtà come un vero fratello.[1] Mi è stato detto che fu la gelosia nei confronti di Carianus, a scatenare la rivolta ma sospetto ci sia stato sotto qualcosa di più. La rivolta, infatti, esplose proprio nel 1058/1811, durante l'assedio di Bagdata e i duri scontri in Mesopotamia contro i locali e le rimanenti forze abbasidi e non sembra un caso che anche gli ultimi fedelissimi signori della guerra e generali buiadi abbiano partecipato alla rivolta di Abraham. Così, Togrelianus dovette allentare l'assedio, permettendo a Bagdata di sopravvivere ancora a lungo, e recarsi personalmente in Persia, nei pressi di Ecbatana, dove trascorse parecchi mesi nel tentativo di schiacciare la rivolta personalmente. Non sappiamo quando esattamente, ma ai primi del 1059/1812, egli si trovava di nuovo a Bagdata per assistere alla sua caduta e per farvi un'entrata trionfale, ma già qualche mese dopo, era tornato ancora ad Ecbatana, dove, in estate, mandò finalmente in rotta quel che rimaneva dei buiadi, che da quel momento, almeno per quanto ne so io, scomparvero dalla storia. La guerriglia portata avanti dal fratellastro si trascinò invece ancora un po' e solo nel 1060/1813, i suoi generali gli fecero il piacere di inviare Abraham in catene a Bagdata, dove, a quanto sembra, nonostante quest'ultimo implorasse perdono, Togrelianus lo uccise con le sue stesse mani, strangolandolo.
[1] Abraham è il nome latinizzato per Ibrahim. Ora è più diffuso Abrahamus. Nelle fonti persiane, i cronisti aggiungono anche Yinal.
XVIII
Della morte di Carianus
Togrelianus rimandò l'attacco alle frontiere imperiali anche per un terzo, più personale e doloroso motivo. In Oriente, infatti, dopo i grandi successi e l'ottima amministrazione dei territori conquistati[1], Carianus infatti era morto sul finire del 1059/1812, lasciando il fratello, che gli era davvero molto legato, in profonda costernazione. Facendo in modo che ottenesse funerali grandiosi e degni della sua persona, Togrelianus ò settimane, se non mesi, ad occuparsi dei preparativi e a quanto sappiamo si recò più volte all'altro capo del suo impero per accertarsi che tutto andasse avanti per il meglio. Poi, fece seppellire il fratello ad Aspadana, nel mausoleo che gli aveva dedicato e fatto costruire in fretta e furia (ma con una magnificenza mai vista prima), non lontano dal palazzo. La morte di Carianus, governatore capace e fedele, non costituì subito un vero problema dal punto di vista politico, e ancor meno militare, in quanto Togrelianus non ebbe dubbi nel nominare il nipote Mahometus, figlio di Carianus, nuovo governatore dell'est. Noi Romani lo conosciamo come Arsanius.[2] Per il momento, gli altri figli di Carianus rimasero obbedienti e fedeli, accettando l'ascesa del fratello, anche se dev'essere in questo periodo che Salomon, fratello di Arsanius, cominciò a progettare la rivolta. È curioso che, morto l'Augusto Andreas nel 1061/1814, suo figlio il nuovo Augusto, si chiamasse proprio Salomon, cosa mai accaduta prima, visto anche quanto strano fosse quel nome per un Romano.[3]
[1] Forse Gabras si riferisce alle ultime conquiste di Carianus, l'Ariana, l'Arachosia e la Gedrosia orientale, ai confini con l'India, avvenute all'incirca tra il 1056/1809 e il 1057/1810.
[2] Come spiegherà meglio nel paragrafo successivo, Mahometus o Arsanius fu il famoso sultano che tanti problemi diede ai nostri Imperatori e ai generali per circa un decennio, durante le prime, disastrose fasi della guerra. Mahometus (Muhammad) era il suo nome di battesimo, ma ben presto i suoi soldati lo soprannominarono Alp Arslan (per noi solo la forma corrotta e latinizzata Arsanius) che nella loro lingua significa “leone valoroso”, proprio in riferimento al suo coraggio e alla sua bravura sui campi di battaglia. I suoi contemporanei romani, e anche quelli di Gabras, lo paragonarono a un nuovo Hannibal o a un nuovo Svenius (Sweyn).
[3] Il commento di Gabras è tipico della storiografia dell'epoca, che, pur non raggiungendone i livelli, si ispirava a quella alto-imperiale e dell'età heracleiana. Ad ogni modo, l'Augusto citato dal generale, Salomon, ora è noto come Salomon I, vista l'ascesa alla porpora, qualche secolo dopo, di un altro Augusto con questo nome. Curioso il fatto, per adeguarsi allo stile di Gabras, che Salomon II sia stato il primo Augusto di fede musulmana, anche se non il primo di origine turcica.
XIX
Di Arsanius
Della vita di Arsanius si sa molto: le sue imprese sono state infatti celebrate durante la sua vita e anche dopo, e molto è stato scritto, vero o falso che fosse, sulla sua figura e su tutte le fasi della sua esistenza. A mio avviso, parecchio sa di agiografia e mitizzazione, ma non escludo che il nucleo degli eventi, soprattutto quelli connessi ai suoi anni giovanili, possa essere lo stesso degno di fede. Qui, però, non ho intenzione di descrivere minuziosamente la sua vita, altrimenti non avrei abbastanza carta per concludere questo mio compendio sulle vicende della guerra contro i seliacidi, per cui presenterò, mio paziente lettore, solo i tratti salienti degli anni precedenti alla sua ascesa a sultano, prima che diventasse lo spauracchio delle nostre legioni. Arsanius nacque il 20 Ianuarius 1029/1782, con il nome di Mahometus, lo stesso del Profeta, cosa che gli recò senza dubbio ottimi auspici. Cresciuto sotto l'ala protettiva e giusta del padre Carianus, partecipò sin da subito alle campagne paterne e di sicuro era presente durante l'occupazione della Carmania. Alcuni anni dopo, in grado davvero di combattere, accompagnò il padre, insieme agli altri fratelli, tra cui il già citato Salomon, in Arachosia e in Gedrosia orientale, dimostrandosi valoroso e coraggioso. Probabilmente, fu qui, grazie alle sue doti atletiche e morali, a guadagnarsi il rispetto dei soldati e ad ottenere il soprannome di Arsanius, che in persiano significa “leone valoroso”.[1] Morto il padre e incontrato più volte lo zio, durante la preparazione dei sontuosi funerali, venne nominato governatore di tutta l'area orientale dell'impero[2], seguì allora le orme del padre, dimostrandosi a sua volta paziente e generoso con i più deboli, ma inflessibile e determinato con chi lo ostacolava in qualche modo. Non mi sono note conquiste in questi anni e probabilmente egli si limitò a consolidare ancor più il confine orientale dei domini di Togrelianus.
In una data imprecisata, tra il 1060/1813 e il 1063/1816, incontrò Nitzamius, brillante persiano, che divenne ben presto il suo vasirius, titolo che corrisponde a una sorta di nostro magister officiorum, però con più poteri militari. Di lui parlerò in seguito.[3]
[1] Gabras si riferisce alle campagne di Carianus sul finire degli anni '50 per completare l'assoggettamento della Persia, anche se, a quanto ne so, il soprannome Alp Arslan non è persiano ma turcico.
[2] Le fonti dicono “governatore del Khorasan”.
[3] Come si vedrà, Gabras sembra non sapere che Nitzamius non era il vero nome del visarius di Arsanius, ma un semplice titolo onorifico, cosa comune tra gli orientali. Nitzamius è la latinizzazione forzata di Nizam al-Mulk che, a quanto pare, significa “guardiano del reame, ordinatore del regno” o qualcosa di simile. Il suo vero nome però era Abu Ali Hasan ibn Ali Tusi, noto nella moderna storiografia come Hasanius per semplicità.
XX
Della morte di Togrelianus
Quando tutto sembrava ormai pronto per procedere alla tanto attesa invasione dell'Impero Romano, il destino sembrò accanirsi sullo stato seliacide, con una serie di eventi che ne minacciarono la ancor debole costituzione. Infatti, senza preavviso, mentre stava ando in rassegna le truppe che aveva pazientemente raccolto per anni in previsione dell'invasione, Togrelianus morì, nella sua capitale, senza aver potuto dare il via all'obiettivo forse più importante di tutta la sua vita. Accadde nel 1063/1816. Fu una fortuna per noi. La sua morte, la cui notizia giunse anche alle orecchie dell'Augusto Salomon, il quale già si vedeva impegnato in una guerra che, data la situazione interna dell'Impero, non voleva di certo affrontare. Ad ogni modo, egli fece spostare la legione di stanza a Cyprus ad Antiochia, in Syria, così da aumentare le fila del generale Guillelmus. Ad Aspadana, tutti i grandi dello stato seliacide si riunirono per i funerali di Togrelianus, ancor più grandiosi di quelli del nonno e del fratello. Per giorni, la città rimase a lutto e persino i persiani e chi professava altre fedi mostrarono rispetto e cordoglio per un così grande uomo, che in vita era stato crudele e violento solo quando le circostanze lo avevano richiesto. Ma, al di là, della tristezza, tutti già pensavano alla successione e, dato che, nonostante Togrelianus avesse cercato di modellare il nuovo stato sulla base di quello persiano, e pure sul nostro, il dominio seliacide si basava sulle secolari tradizioni della steppa e la sua concezione del potere era parecchio personale e fluida. Così, ognuno dei governatori dei vari appannaggi poté vantare una qualche prospettiva di ottenere il trono. In realtà, pur non avendo lasciato figli, Togrelianus aveva fatto capire a molti che
la sua scelta, se avesse potuto farla, sarebbe stata Arsanius, con il quale aveva ottimi rapporti e che era stimato da quasi tutto l'esercito e soprattutto dal nucleo di guerrieri ochusi e chorasmi che costituivano il nerbo dell'impero. Gli eventi successivi, però o per fortuna, furono lieti solo per noi Romani, rimasti in preoccupata attesa, sui camminamenti del limes mesopotamico.
XXI
Dell'usurpazione
È a questo punto che entrò in scena il fratello di Arsanius, Salomon. Questi, non appena saputo della morte dello zio, si adoperò, prendendo tutti in contropiede, per ottenere il titolo di sultano e soprattutto la necessaria fiducia dei generali e dell'esercito, senza i quali le sue pretese sarebbero rimaste solo vuoti sogni di dominio.[1] Non è chiaro dove fosse Arsanius al momento, ma è evidente che non fu abbastanza rapido per impedire al fratello di usurpare la posizione che gli spettava e di trovare ad Aspadana ben poca opposizione. Poco tempo dopo il funerale di Togrelianus, dunque, Salomon divenne ufficialmente il nuovo sultano dell'impero seliacide,[2]
[1] Gabras parla di “usurpazione” ma sembra ormai acclarato che Salomon non usurpò il trono, togliendolo ad Arsanius. Sicuramente, Togrelianus intratteneva migliori rapporti con quest'ultimo ma non esistendo volontà specifiche a riguardo, l'unica cosa che poteva discriminare l'ascesa al trono di uno dei due era forse l'età. Salomon, ad ogni modo, fu più rapido del fratello e aveva dalla sua una consistente parte dell'esercito.
[2] Siamo quindi sempre nel 1063/1816.
XXII
Della guerra civile (o fratricida)
La storia assunse allora i tratti del dramma e della tragedia. Arsanius, infatti, saputo dell'ascesa improvvisa del fratello al massimo grado di potere dell'impero, contestò la sua incoronazione, non perdendo altro tempo per raccogliere le forze a lui sicuramente fedeli, marciare su Aspadana dall'Oriente in cui si trovava, e ottenere quel che titolo che tanto considerava importante e legittimo per sé stesso. Dal canto nostro, non potemmo essere più sollevati: gli agentes in rebus inviati in Mesopotamia in incognito riferirono all'Imperatore Salomon dello scoppio della guerra civile tra i seliacidi e, forse troppo ottimisticamente, pronosticarono anni di anarchia e rivolte in Persia e a Bagdata, dove, dissero pure, c'era un diffuso malcontento per la dominazione straniera che Togrelianus aveva imposto troppo rapidamente. Questo, ne sono certo, indusse il giovane Augusto Salomon ad allentare il controllo delle frontiere orientale, favorendo il successivo, tragico sviluppo degli eventi, anche se, in effetti, è difficile dire come abbia fatto Arsanius, se non attribuendogli eccezionali capacità di comando e genio militare, a risolvere tutto così in fretta e non destabilizzare i suoi domini in previsione dell'invasione del territorio romano. I problemi interni che, col senno di poi, erano di sicuro i prodromi della crisi in cui stiamo purtroppo vivendo ancora adesso[1] contribuirono parecchio e in maniera decisiva alla nostra impreparazione e alle disfatte terrificanti dei primi anni di guerra. Detto questo, Arsanius si sollevò in armi contro il fratello, marciando dall'Oriente verso Aspadana ma, ad un certo punto, più avanti nell'anno, anche il cugino Cotalmisus trovò abbastanza sostenitori e forze da poter contestare Salomon e anch'egli prese a marciare contro quest'ultimo.[2] Con tre attori in gioco, la guerra civile infuriò per qualche mese in Media, dove
gli eserciti di Arsanius e Cotalmisus, pur senza allearsi mai, sconfissero quelli fedeli a Salomon che, giorno dopo giorno, perdeva sempre più sostegno e rispetto. Molti, a quanto pare, disertarono per entrare nelle fila di Cotalmisus o, soprattutto, di Arsanius. Così, nonostante il giungere della brutta stagione, Salomon decise di scendere personalmente in guerra e affrontare il fratello, ritenuto la maggiore minaccia tra i due contendenti. Da quanto mi hanno riferito, fino all'ultimo, egli cercò di trovare un qualche tipo di accordo e convincere Arsanius a deporre le armi e in cambio avrebbero diviso il potere come avevano fatto Togrelianus e Carianus, ribadendo però che lui, Salomon, sarebbe rimasto il sultano “ufficiale”: Ma Arsanius non voleva o non poteva accettare questo accordo, ambendo solamente al titolo di sultano e, probabilmente, avendo in mente ben altri e più grandiosi progetti, così rifiutò. Infine, senza altre trattative, a qualche lega a est di Aspadana, agli inizi del 1064/1817, si svolse la battaglia decisiva tra Salomon e Arsanius. Ancora una volta, il “leone” dimostrò il proprio valore e la propria superiorità, vincendo e mandando in rotta l'esercito del fratello. Quest'ultimo, nonostante Arsanius avesse ordinato che venisse catturato ma non ucciso, venne ritrovato senza vita solo diverse ore dopo, nelle operazioni di pulizia del campo di battaglia. Tributati onori postumi a Salomon, Arsanius si affrettò a raggiungere la capitale dove, senza incontrare opposizione alcuna e, anzi, trovando parecchio entusiasmo tra la popolazione, si fece incoronare sultano. Chi il giorno prima si proclamava fedele in perpetuo a Salomon, ora si prostrava dinnanzi ad Arsanius, giurandogli lealtà e aiuto per eliminare la minaccia di Cotalmisus. Questi, nel frattempo, era stato impegnato dal braccio destro di Arsanius, Nitzamius, il quale era anche un ottimo stratega. Ora che Arsanius aveva raggiunto una posizione predominante poteva eliminare anche il cugino e così fu: sul finire della primavera, l'esercito di Cotalmisus si sfaldò ed egli fu costretto a fuggire verso nord, in Transoxiana o forse più lontano. Non si sa più nulla di lui, dopo questo momento.[3] In estate, Arsanius era finalmente diventato il padrone assoluto dell'intero impero seliacide. Nuvole nere si addensavano all'orizzonte.
[1] Ci si ricordi che Gabras scrive nell'inverno 1126/1879-1127/1880.
[2] Cotalmisus è, per le fonti turcico-persiane, Kutalmish.
[3] Sappiamo, però, che la sua famiglia più prossima, compreso il figlio Salomon (Suleiman) venne fatta uccidere da Arsanius.
XXIII
Dell'ambasceria
L'ultimo evento degno di nota prima dello scoppio della guerra fu il tentativo di pace avanzato dall'Augusto Salomon, il quale a seguito degli eventi della guerra civile, e sorpreso della sua repentina fine, credette ancora che si potesse raggiungere un equilibrio di qualche tipo con Arsanius. Giovane anch'egli, forse questi non sognava come il padre di attaccare Roma ma si sarebbe accontentato del già vasto territorio che controllava e magari avrebbe rivolto le sue mire lontano, verso l'India. Le notizie della conquista seliacide di vaste zone costiere del Sinus Persicus, dove venne distrutto, a quanto ho sentito, uno stato musulmano dalle strane abitudini e che gli arabi chiamavano dei “fruttivendoli”, e anche delle città sante che si affacciano sul Mare Erythreum, sembravano are l'idea di un espansionismo in altre direzioni.[1] L'Augusto Salomon inviò dunque un'ambasceria ad Aspadana, che salutò Arsanius nuovo sultano e successore del califfo, mettendo in chiaro che ora Roma considerava il suo stato il vero e legittimo successore degli abbasidi nell'area, e con esso avrebbe avuto contatti e scambi commerciali. Ovviamente, nella nostra concezione, gli stati barbari o comunque stranieri sono gerarchicamente inferiori rispetto all'Impero, eccetto la Seria che ci è pari ma si trova in un altro ecumene, e dunque, velatamente l'ambasceria serviva pure per ribadire i ruoli che, secondo noi, dovevano continuare ad essere rispettati. Arsanius si mostrò cortese e ospitale e gli ambasciatori, di ritorno a Constantinopolis, spesero per lui parole di sincera ammirazione, dipingendolo come un sovrano benevolo e civile.[2] Evidentemente, non sapevano davvero cosa ava nella testa del sultano seliacide.
Ritengo adesso di aver concluso questa parte riguardante le origini dei seliacidi e gli antefatti che portarono allo scoppio della guerra. Ho concisamente presentato la storia del nostro nemico, giusto per non precipitare il lettore inesperto o troppo giovane in una narrazione di luoghi, eventi bellici e nomi che sarebbe parsa troppo confusa e informe senza queste informazioni preliminari. o dunque ora a descrivere la storia della Prima Guerra romanoturca, scoppiata nell'anno 1065/1818 e terminata trent'anni dopo, nell'anno 1095/1848.
[1] Nonostante Gabras riporti queste informazioni per sentito dire, peraltro neppure esattamente, esse sono interessanti. Egli si riferisce infatti allo stato dei caramati (qaramati o qarmati), che prosperò durante il X secolo A.D. sull'isola di Tylos (Bahrain) e nei dintorni e che raggiunse per un certo periodo un notevole potere e ricchezza. Odiati dagli altri musulmani, i caramati crearono una società millenarista, basata, a loro dire, sull'uguaglianza sociale e la Fede. Nonostante si parli di una sorta di repubblica, questo stato assomigliava più a una società esoterica, quasi segreta, anche se pare che la maggior parte delle decisioni dei sei capi (di cui uno era primus inter pares) venissero prese in pubblico, davanti a tutti alla luce del sole. Il riferimento ai “fruttivendoli” riguarda il fatto che essi professavano anche il vegetarianismo. Sconfitti una prima volta dagli abbasidi, il loro stato si indebolì pian piano e già verso il 1050/1803 essi erano ormai niente più che una potenza locale. L'invasione seliacide del 1062/1815 diede loro il colpo di grazia.
[2] L'ambasceria dell'Augusto Salomon I si recò ad Aspadana nel 1064/1817.
XXIV
Della guerra: 1065/1818
Il luogo di inizio della Prima Guerra romano-seliacide è da tutti considerato Birta. Qui, dove nel 1065/1818 ava il confine fissato precedentemente con il califfato abbaside e dove c'era una fortezza a difesa della piccola cittadina alle sue spalle, l'immenso esercito seliacide guidato da Arsanius in persona apparve sorprendendo tutti. Personalmente non conosco i motivi per cui i nostri agentes non abbiano saputo avvisare nessuno e non abbiano comunicato la notizia in tempo, anche se qualcuno sostiene che la loro mancanza fosse dovuta a un qualche tipo di complotto che, dall'Occidente, si stava svolgendo ai danni del povero Augusto Salomon. Voglio solo ricordare che da mesi egli doveva contrastare l'opposizione aperta, fatto quasi mai accaduto e molto grave, di vari esponenti latifondisti e anche senatori, tra cui c'era anche un certo Constantinus Ducas che si fece portavoce del malcontento diffuso, a suo dire, nei confronti del governo. Salomon allora si portò a Roma, allontanandosi ancora di più dalle zone di guerra imminente, per poi tornare, a guerra già iniziata, a Constantinopolis.[1] Ad ogni modo, le truppe seliacidi incendiarono il limes in più punti, attaccandolo di notte, così che il bagliore terribile del fuoco che si sprigionò dall'incendio fu visibile anche da molto lontano, spargendo rapidamente inquietudine e paura nei villaggi vicini. Il giorno successivo, in realtà, Birta era già caduta nelle mani di Arsanius, quasi sorpreso della rapidità con cui l'aveva conquistata.[2] Mentre il grosso dell'esercito turco avanzava in Mesopotamia[3], altri eserciti minori, uno dei quali guidati dal fidato visarius Nitzamius sfondarono il limes in altri settori. Arbela cadde, insieme alla sua imprendibile cittadella, cosa che fece scalpore e atterrì tutti, e Circesium e Dura Europus vennero assediate. Solo qualche giorno dopo, le forze romane predisposte alla difesa cominciarono a reagire: i legati Guillelmus e Bagratius, incaricati da Andreas e confermati da
Salomon di difendere il confine, raccolsero tutte le forze a loro disposizione e marciarono immediatamente, come una marea inarrestabile, verso il nemico. Guillelmus, con 70000 uomini[4], avanzò contro Arsanius, il quale, avvisato dalle sue spie evidentemente già da tempo in territorio imperiale, trascurò di assediare le varie fortezze e marciò a sua volta verso Singara, dove si svolse la battaglia che segnò la più grande disfatta romana dello scorso secolo: nella piana davanti alla città, proprio sotto le montagne, Arsanius dimostrò al mondo romano la sua genialità, muovendo alla perfezione i propri reparti come solo Alexander o Hannibal avrebbero saputo fare. Guillelmus, incapace di contrastare le sue mosse, non poté nulla perché pure lui, e il suo stato maggiore, vennero catturati e presi prigionieri. Quel giorno, morirono 47000 valenti Romani e altri 20000 vennero feriti e in parte catturati. Pochissime, le perdite turche. Fu un'ecatombe.
La terra tremò sotto i piedi dell'Augusto, quando si venne a sapere di un tale avvenimento. Contestato da più parti, Salomon dovette presentarsi al Senato per cercare di spiegare la situazione ma, non appena arrivato, venne accolto da urla e fischi da parte dei senatori che, evidentemente, non lo rispettavano più. Quello che non era mai accaduto, accadde: nessun Augusto era stato pubblicamente umiliato a quel modo e Salomon cercò di reagire, urlando a destra e a manca alle guardie di intervenire e arrestare i più facinorosi, tra cui, con foga, c'era pure Constantinus Ducas. A questo punto, Salomon ordinò alle guardie di arrestare Constantinus ma queste, comprate dal miglior offerente, arrestò invece lui, provocando un boato di approvazione nell'aula. Nel momento stesso in cui Salomon venne portato via e spogliato pubblicamente della porpora e dei simboli augustei che rappresentavano il suo potere, tutti cominciarono ad acclamare Constantinus nuovo Augusto e questi, senza remore, accettò. Ovviamente, per essere eletto legalmente, era necessario ottenere anche il voto del Senato di Roma che, alla notizia della deposizione di Salomon, per il momento sbattuto in prigione, si spaccò in due: nell'Urbe infatti Constantinus aveva parecchi sostenitori, spesso perché pagati con le sue vaste finanze, ma molti altri invece appartenevano alla fazione che desiderava riportare la porpora in Italia, dopo tanti Imperatori provenienti dalle province orientali. Non mi
dilungherò oltre, altrimenti mio lettore perderai il filo degli eventi di guerra, quelli che mi interessa descrivere più di tutti, per questo mi limito a scrivere che, dopo l'ennesima disfatta avvenuta in Augustus, anche i senatori di Roma, spaventati dal vuoto di potere in una situazione di tale pericolo per lo Stato, approvarono infine l'elezione di Constantinus, che divenne così il centotrentatreesimo Imperatore romano, con il nome di Flavius Claudius Constantinus VII Ducas Augustus.[5]
Era infatti accaduto che anche il magister Bagratius aveva raccolto le proprie forze ed era entrato in guerra. A differenza di Guillelmus, egli non aveva inseguito il nemico ma era penetrato direttamente in territorio turco, ando dalla Media Atropatene e marciando attraverso le montagne fino ad Aganzana, assediandola. Mentre il nemico si trovava lontano ad Arbela e Arsanius stava affrontando con successo Guillelmus, Bagratius riescì a conquistarla ma compì l'errore di saccheggiarla, concedendo ai suoi uomini, forse sull'onda lunga dell'emozione per le notizie provenienti da sud, di vendicarsi come meglio credevano sulla popolazione locale che, per inciso, non era nemmeno per la maggioranza musulmana o seliacide.[6] In questo modo, Bagratius, e i Romani, in generale, si inimicarono le popolazioni hyrcane, mede e assyre, nonché le varie comunità zoroastriane e di altri culti che vivevano in quelle impenetrabili valli e che per molti anni a venire avrebbero ato i seliacidi invece che i Romani. Sconfitto Guillelmus, Arsanius deviò allora verso nord-est e inseguì Bagratius, il quale però si ritirò a sua volta nell'Atropatene, abbandonando Aganzana. Avanzando attraverso la Matiene, Arsanius arruolò altri locali, teoricamente cittadini romani, ma nei fatti ben felici di scollarsi di dosso quella che percepivano solo come una dominazione straniera. I seliacidi occuparono la piana di Gaugamela e conquistarono Mepsila, penetrando anch'essi nell'Atropatene: sotto l'energica e inflessibile guida di Arsanius, vennero sistematicamente distrutte fino all'ultimo uomo le guarnigioni romane, anche se le popolazioni civili, sia di Romani che di altri meno inclini a dirsi tali, vennero risparmiate o persino aiutate a fuggire. Iniziò in questi giorni d'estate, la situazione d'emergenza che assumerà in seguito proporzioni titaniche in Armenia, perché molti si dirissero già lì, pensando che la guerra sarebbe stata breve e che presto avrebbero potuto far ritorno alle proprie case.
Poi, come già accennato, il 7 Augustus, Arsanius riuscì a intercettare l'esercito di Bagratius che fu costretto a dar battaglia: questa fu una nuova Singara, anche se di proporzioni un po' più contenute. La fama di Arsanius, però, ne uscì ancor più rafforzata e splendente agli occhi dei suoi soldati, ed egli divenne definitivamente il nuovo spauracchio dei Romani d'ogni dove. Più di 30000 soldati morirono a poche leghe a sud di Artaxata, e almeno altri 10000 vennero catturati e mandati in Persia come schiavi. Per ore, i soldati seliacidi uccisero uomini, in un folle bagno di sangue senza fine.
Entro l'autunno, Arsanius divenne dunque il padrone dell'Armenia centrale e orientale, e di tutta l'Atropatene: attacchi e razzie, nonché conquiste, avvennero ovunque, terrorizzando la popolazione, a sua volta utilizzata dal sultano come arma nei nostri confronti, poiché le lunghe colonne di profughi in fuga verso ovest rallentavano la già lenta reazione delle nostre legioni, rimaste nel giro di due mesi improvvisamente senza i loro principali comandanti. Cyropolis, Artaxata, Duvius, Arxata, Taga, Tauris, Anzalia, tutti i loro contadi vennero devastati e, una a una, nel tempo, alla fine aprirono le porte al nemico. Fu la nostra lentezza, e l'esplodere delle crisi politiche a Occidente a favorire così tanto i seliacidi.
Agli estremi confini sud, sull'Euphrates, sulle prime il generale Rogerius, era riuscito a respingere l'attacco portato da Nitzamius a Circesium ma nel corso di una seconda battaglia era stato anch'egli sconfitto (pur senza riportare una disfatta come quelle dei suoi colleghi) e costretto a ritirarsi. Il visarius poté conquistare in tutta tranquillità Circesium, Dura Europus e poi Callinicum, città in seguito presa e ripresa più volte durante l'autunno.
L'arrivo della notizia di una seconda disfatta di tali proporzioni a Constantinopolis e a Roma spostò di nuovo l'ago della bilancia tra le fazioni che si contendevano il potere. L'elezione di Constantinus VII era stata più che altro un proforma, in modo tale da avere un Imperatore nel momento di crisi e non continuare a combattere in un vuoto di potere, ma nessuno in realtà, nelle capitali voleva cedere davvero il potere al Ducas. Di nuovo, non è qui la sede per
scrivere della storia della crisi o degli Imperatori: ti basti sapere, lettore, che una serie di nuovi complotti a Roma e a Constantinopolis permise ai seliacidi di approfittare delle nostre debolezze e accelerò la già diffusa instabilità politica. L'Augusto Constantinus VII, pur non morendo assassinato o in una congiura, fu poco più che una marionetta nelle mani di poteri che credeva invece di essere lui a controllare.[7]
Nel frattempo, il legatus Romanus Diogenes, nuovo magister della Syria, era sbarcato ad Antiochia ed era avanzato con rapidità contro le avanguardie seliacidi, respingendole nei pressi di Samosata.[8] Fu proprio lui a cercare lo scontro con Arsanius, visto che i suoi ordini erano quelli di ottenere almeno una vittoria prima della fine dell'anno, in modo da mitigare l'umiliazione delle due sconfitte precedenti. Ma ancora una volta, visto che il destino è capriccioso e non segue mai la volontà degli uomini: il 26 October, nella Thospitis, poco a nord del lago, anch'egli venne battuto dalle soverchianti forze nemiche, anche se, unico fra i tre generali che affrontarono quell'anno Arsanius, egli riuscì almeno a ritirarsi ordinatamente e a contrastare gli attacchi minori dei giorni seguenti.
L'anno finì così con un bagno di sangue e moltissime posizioni perse per l'Impero, mentre i seliacidi, guidati da un uomo e un condottiero eccezionale, avevano conquistato una vasta parte di territorio con sole tre battaglie davvero importanti. In un anno, più di 100000 soldati romani erano morti, senza contare quelli presi schiavi e i feriti, e le vittime civili delle razzie delle bande di irregolari che, come iniziarono a fare proprio in quei mesi, seguivano gli eserciti di Arsanius e poi si stabilivano, nascosti, nelle valli laterali o in villaggi isolati.
[1] È ormai comprovato come effettivamente gli agentes in rebus che avrebbero dovuto avvisare le legioni al fronte dell'imminente arrivo di Arsanius rimasero in silenzio perché pagati da agenti della fazione avversa a Salomon, la quale voleva destabilizzare il suo potere e riportare la porpora
a Roma. Constantinus Ducas non era di Roma ma era un senatore a Constantinopolis ma era noto in Occidente e, in ogni caso, anche lui faceva capo ad una fazione che contestava l'Imperatore.
[2] Questo giudizio di Gabras, infondato perché non sappiamo cosa pensasse in quei giorni Arsanius, riflette però l'inquietudine diffusa all'epoca circa quei primi anni di guerra: nonostante si fosse speso molto per fortificare il confine e renderlo sicuro, moltissime fortezze e città caddero con facilità nelle mani del nemico, contribuendo ad ingigantire la sua fama di invincibilità. Analisi storiche successive hanno dimostrato invece come fosse impreparato l'esercito in quegli anni nel sostenere una guerra ad alta intensità di quel tipo. Molti nostri soldati, nei primi mesi, alla vista dei seliacidi, semplicemente si arresero senza combattere troppo.
[3] Sembra incredibile ma Arsanius guidava circa 80000 uomini.
[4] Gabras non esagera. L'arruolamento di Guillelmus e Bagratius in zona fu pesantissimo perché, oltre alle forze legionarie e agli ausiliari, essi prelevarono moltissimi ragazzi e uomini dalle città e dai villaggi, consci dell'enormità dell'esercito nemico.
[5] Questa digressione che Gabras fa era necessaria ai fini della narrazione. Gli storici considerano infatti il 1065/1818 l'anno di inizio della crisi, non solo per l'invasione seliacide, ma soprattutto per gli eventi interni che portarono a compimento tutti i segnali che si erano avuti fino a quel momento, inaugurando un lungo periodo di instabilità politica, risolto solo, e momentaneamente, con l'ascesa della gens Comnena. L'Augusto Constantinus VII era nato a Constantinopolis, nell'anno 1006/1759 e apparteneva alla gens dei Ducas, nome che mostra l'origine famigliare dalla Paphlagonia, proprio come i Comneni. Il centro delle loro terre era non lontano da Germanicopolis.
[6] Aganzana (Zanjan) infatti era stata per qualche tempo la città principale di una piccola signoria locale, un resto, insieme a molte altre sparse sulle montagne, di quel regno noto ai persiani come daylamita e a noi come semplicemente hyrcano, anche se la dinastia che lo aveva fondato era quella degli tziaridi (zyaridi). Nel X secolo A.D., poiché queste regioni, pur nominalmente sotto la tutela abbaside, non erano mai state davvero conquistate da nessuno e avevano mantenuto le antiche tradizioni e soprattutto le antiche religioni, rifiutando spesso la conversione all'Islam, nacque questo regno che aveva come obiettivo quello di scacciare il califfo dalla Persia e fondare un nuovo impero persiano, visto che gli hyrcani sono uno dei popoli costituenti la nazione persiana. Per qualche tempo, soprattutto grazie agli sforzi del rex Mardavius (Mardavij), il quale conosceva il latino e aveva stretto alleanza proprio con l'Impero per contrastare l'influenza araba nella regione, questi sogni parvero concretizzarsi ed egli conquistò vasti territori, in Media e persino nella Persis. Mardavius morì nel 935/1688 proprio mentre anche un'altra dinastia hyrcana, situata poco più a est, i già citati buiadi, questi però di fede musulmana, cominciavano ad espandersi anch'essi. Il suo successore, il fratello Vosimirus (Vushmgir) salì al trono ma, essendo anch'egli musulmano, venne contestato e il regno cadde in una guerra civile, fomentata anche dall'Impero che non voleva avere un altro stato musulmano ostile alle frontiere. Con l'espandersi dei buiadi, il regno daylamita si frammentò in varie signorie e piccoli altri regni, alcuni zoroastriani, altri pagani, altri ancora nestoriani e altri, come quello in cui continuò a regnare Vosimirus, musulmani. Altri vennero conquistati dai buiadi, e poi dai seliacidi.
[7] Probabilmente si riferisce agli incontri segreti, di cui si seppe qualcosa solo nel XIII secolo A.D., in seguito al fortuito ritrovamento a Cæsarea Maritima di alcune delle lettere dei due, tra il generale di origine nordica Guillelmus e il generale Rogerius, convinto dal primo a sostenerlo nel suo tentativo di conquistare la porpora. Guillelmus infatti lascia la Syria e torna a Constantinopolis e poi a Roma nell'autunno del 1065/1818, per gettare le basi della sua scalata al potere. Oppure Gabras potrebbe riferirsi al coinvolgimento della gens italica degli Actones che, alleatasi nondimeno con
il patriarcha di Roma aveva fatto giungere nella capitale il giovane Henricus, figlio del precedente Augusto Henricus I, il quale era stato costretto a fuggire, prima di essere catturato e giustiziato nel 1051/1804 proprio dai fedeli dell'Augusto Andreas che, in effetti, lo spodestò, affibbiandogli pure la damnatio memoriæ. Ad ogni modo, il piccolo Henricus era stato mandato al sicuro in un monastero posto non lontano da Tridentium, su un lago di nome Eridium e lì era stato fatto crescere in segreto dai monaci locali. Gli Actones erano tra i più ferventi assertori del ritorno della porpora a Roma e avevano vasti possedimenti e alleanze in tutto l'Occidente.
[8] Romanus Lucius Diogenes, nativo di Malandara, in Cappadocia, era uno stimato generale e un brillante oratore.
XXV
Della guerra: 1066/1819
Arsanius non era come gli altri nemici e lo si vide sin da subito. Invece di attendere l'arrivo della bella stagione, in primavera, egli guidò infatti le sue truppe attraverso l'Armenia, approfittando del momentaneo sbandamento romano e valutando, ma questo a torto, che l'aver perso così tanti uomini in così poco tempo ci avrebbe scoraggiato e avrebbe inibito la nostra capacità di reazione. Almeno in questo si sbagliava. Non ci conosceva per niente, devo dire... Ad ogni modo ai primi del 1066/1819, sotto una leggera coltre di neve, riuscì a penetrare le difesi di Abnicum, la città dalle mille chiese situata in una posizione altamente strategica e facilmente difendibile: contro di lui, però, nulla sembrò funzionare per evitare di consegnargli la città. Per lo meno, mantenne la propria fama di generoso e tollerante, e non toccò i civili o i loro edifici sacri, impedendo ai suoi soldati, che ormai lo adoravano, di darsi al saccheggio. Nei mesi seguenti, senza incontrare opposizione, se non da parte di isolate e inermi guarnigioni romane, rafforzate a volte da reclutamenti tra i locali, conquistò pure Duvius e Manzicerta, occupando interamente la Thospitis e minacciando la Cilicia e la Cappadocia. In primavera, assediò Martyropolis ma qui, l'intervento congiunto dei legati Romanus e Rogerius, alla testa di una nuova enorme massa di soldati reclutati in tutte le città e villaggi di Syria e Palestina, riuscì a respingerlo di nuovo verso la Thospitis. Pur non essendo un vero successo, l'Augusto Constantinus VII lo presentò come tale, definendola la prima vittoria di un nuovo corso che aveva preso la guerra, sottolineando – nemmeno velatamente – come fosse soprattutto merito suo, nonostante non si fosse mai mosso da Constantinopolis. Credo fosse troppo preoccupato per le continue notizie di complotti e di congiure. In effetti, si dice che per giorni non uscisse dai suoi appartamenti e che avesse cominciato
ad assumere comportamenti strani e alquanto insoliti. Ah... il potere nei deboli è come un colpo di ariete su un cancello costruito male: essi non resistono che poco tempo, prima di impazzire e mandare tutto all'aria.[1] Dato che a sud, Rogerius e Romanus sembravano controllare la situazione, Arsanius preferì non rischiare e condusse allora il suo esercito verso nord, ando per l'Armenia e apparendo, verso la fine della primavera in Lazica: vi rimane tutta l'estate e la devasta, pur senza assediare o conquistare nessuna città. Nessuno, nemmeno il magister Mauritius, osò affrontarlo. Vigliacchi.[2]
A causa delle dure leve dell'inverno, volute da Romanus e da Rogerius per rimpolpare le loro fila, parecchi villaggi dei contadi di Antiochia e di Tyrus furono teatro di sollevazioni e rivolte che dovettero essere messe a tacere dall'esercito. Ma molti di essi erano sempre più poveri e l'abrogazione definitiva di tutte le leggi anti-latifondisti promulgate dall'Augusto Basilius II Magnus, avvenuta durante gli ultimi principati, soprattutto in quello dell'Augusto Henricus I, aveva portato molti di loro già sul lastrico e li aveva costretti a servire proprio quei potenti che si voleva evitare di rafforzare e che in Occidente erano già ricchi e influenti come piccoli re.
Perlomeno, durante l'assenza di Arsanius, Romanus avanzò nell'alta Mesopotamia e durante l'estate, riprese il possesso di Singara (perché la popolazione si era sollevata e aveva costretto la guarnigione seliacide a fuggire) e Hatra, che invece dovette essere assediata e conquistata con fatica. La notizia, però, che le forze di Nitzamius stavano dilagando ormai a sud e minacciavano Palmyra, lo indusse a spostarsi in quella zona, lasciando alcune guarnigioni nelle città riconquistate. Nitzamius infatti aveva preso possesso di tutta la zona di Callinicum e aveva attaccato Palmyra, la “sposa del deserto”: sorprendentemente, la guarnigione romana si era qui arresa in soli cinque giorni e il visarius aveva acconsentito a far scatenare i propri uomini, lasciando saccheggiare loro la città. Dopo due giorni di violenze, in cui la popolazione che, forse arrendendosi prima aveva sperato di aver salva la vita, era stata in parte massacrata e in parte resa schiava, venne appiccato un incendio che la rase al suolo quasi tutta, lasciando in piedi
solo parti del teatro e della via principale. Quando Romanus giunse in zona, non trovò Nitzamius, che intanto aveva mosso l'esercito verso nord, ma vide piuttosto la città carbonizzata e distrutta: la tradizione afferma che il generale giurò vendetta, invocando il Cielo affinché i Romani potessero un giorno vendicarsi dell'affronto subito.
Arsanius tornò in Syria verso la fine dell'estate, ingaggiando battaglia con un fiducioso Rogerius, il quale però evidentemente non aveva ancora capito di non essere all'altezza del seliacide. Sulle sponde del Tygris, non sono riuscito a risalire a dove esattamente, Arsanius lo sconfisse pur non riportando nessuna vittoria decisiva.[3] Per fortuna, il secondo anno di guerra si concluse senza ulteriori battaglie e, rispetto a quello precedente, si può dire che fu quasi un successo: Arsanius aveva sì conquistato altro territorio ma era stato fermato più volte, soprattutto sulla via per Edessa e Antiochia e, rispetto ai circa 100000 soldati persi nel 1065/1818, pochi erano morti nei dodici mesi successivi. Non che fosse una consolazione, però...
A Roma, infine, anche se, durante la Santa Messa di Natale, a fine anno, il patriarcha Alexander si era scagliato contro l'Augusto, tacciandolo di codardia e incapacità nel gestire la crisi, l'Imperatore Constantinus VII ricominciò a farsi vedere in giro, sorridente come era stato prima di indossare la porpora.
[1] Il commento di Gabras è fuori luogo. L'Augusto Constantinus VII indubbiamente non regnò né bene né a lungo ed è vero che probabilmente il potere e la situazione particolare creata dalla crisi e dalla guerra lo aveva sorpreso e provato più di quello che si sarebbe aspettato ma nessuna fonte ci dice che fosse impazzito. Il riferimento ai complotti è piuttosto vago e forse si riferisce anche alle riunioni che le varie famiglie dell'Occidente, compresi gli Actones, sembravano avere con intenti a lui oscuri. Era quella un'epoca
in cui era facile corrompere guardie e spie. È opinione diffusa, però, che se l'Augusto non avesse avuto come consigliere e magister officiorum l'amico e dotto Constantinus Phicinus Psellus, la situazione sarebbe stata ancora peggiore. Fu questi, in pratica, a governare l'Impero a partire dalla fine del 1065/1818. Ricordato per l'attività politica, in realtà Constantinus Psellus fu considerato l'uomo più colto dell'Impero ed era rispettato ovunque per la sua erudizione e per la sua serietà. Molto apprezzato per le sue opere che spaziano in tutte le discipline.
[2] A parte il commento di Gabras, il magister a cui si riferisce è Mauritius Secundus Aurelius, nativo di Archæopolis e nato nel 1028/1781.
[3] Battaglia di Vicus Sancti Hilarionis, un minuscolo villaggio a nord di Baladia Augusta, 7 Augustus 1066/1819.
XXVI
Della guerra: 1067/1820
Il nuovo anno, mentre sempre più bande di irregolari si riversavano nelle valli armene, iniziò in realtà in maniera favorevole ai Romani. Il legatus Romanus, infatti, avendo giurato vendetta ai seliacidi in seguito alla distruzione di Palmyra, non aspettò troppo tempo prima di marciare verso est, eliminando con rabbia ogni guarnigione nemica che aveva la sfortuna di incontrarlo. Rinunciando a inseguire Nitzamius, mise in atto una tattica che,ancora oggi, sembra l'unica con cui si riesca ad ottenere dei successi, cioè quella di avanzare in direzione contraria al nemico, penetrando a nostra volta nei suoi territori, per costringerlo ad abbandonare le sue posizioni avanzate: è la stessa tattica che, a tratti, utilizza anche l'Augusto Iohannes in questi mesi, anche se ora credo sia fermo a Thannuris, se non sbaglio...[1] Così, ottenendo successi tanto insperati da risultare clamorosi, Romanus riuscì a riprendere possesso di Circesium e Dura Europus, nonché dei vari villaggi (come Asichia) sull'Euphrates. Fu un sollievo per molti udire delle vittorie di Romanus perché da troppo tempo giungevano solo cattive notizie. Il generale superò persino il confine, penetrando nel territorio che era stato degli abbasidi, e razziò senza pietà Eddana. Poco dopo, un esercito seliacide di ventimila uomini risalì il fiume e ingaggiò battaglia ma questa volta Romanus ebbe vita facile e lo sconfisse, costringendo i suoi comandanti a ritirarsi ignominiosamente.[2] Arsanius dovette sentirsi parecchio infastidito poiché cercò con tutte le forze di ottenere una nuova vittoria che potesse riaccendere quella paura che,a distanza di due anni, stava svanendo nei cuori dei Romani, lasciando lentamente il posto al desiderio di rivalsa.
Aggiungo poi che, non conoscendoci ancora bene, di certo non sapeva che il popolo romano non si arrende mai. In Aprilis, egli riuscì però – a forza di devastare il contado di Nisibis e Ammodius, facendo puntate fino ad Anastasiopolis, e arruolando parecchi guerrieri di alcune tribù gordiene che desideravano più autonomia da Roma – ad attirare in zona Rogerius che, coraggiosamente ma forse in maniera troppo avventata, lo attaccò. La battaglia di Nisibis fu un duro colpo per il morale dell'Impero, proprio nel momento in cui sembrava potesse risollevarsi: Rogerius venne ferito, un'aquila della legione venne presa dal nemico e parecchie migliaia di soldati vennero massacrati dalla furia dei seliacidi e dei chorasmi di Arsanius. Ancora una volta, mentre il suo esercito si sparpagliava su per le montagne, in cerca di rifugio dagli arcieri a cavallo seliacidi che li inseguivano, Rogerius riuscì a fuggire, evitando la cattura.
E come sempre, le brutte notizie non arrivano mai sole. O meglio, basandosi solo sul suo operato e sul modo con cui aveva ottenuto il potere, la morte, per cause naturali, dell'Augusto Constantinus VII non sarebbe stata nemmeno da piangere, ma dato il contesto e la situazione non poté arrivare in un momento peggiore. Il vuoto di potere che si creò infatti attirò di nuovo come api al miele o, forse, come avvoltoi su una carcassa, i vari potenti che desideravano ottenere la porpora, come se questa fosse un bene che potevano comprare con la migliore offerta. D'altronde, però, ogni tempo ha gli uomini che si merita, e quell'epoca, evidentemente, abbondava di mediocrità e corruzione. Il generale Guillelmus, ottenuti vasti appoggi a Roma, nonostante la presenza della forte fazione capeggiata dagli Actones, poteva vantare anche alcuni senatori dalla sua parte a Constantinopolis, grazie agli inviati in città di Rogerius, suo alleato in Oriente, ma in realtà, dopo la morte dell'Augusto, tutti sapevano che era Constantinus Psellus ad avere in mano i destini dell'Impero. E di fatti, in quei giorni, molti si aspettarono che fosse lui stesso a proporsi per diventare Imperatore ma non lo fece, ritenendosi inadatto al ruolo e non cedendo, come aveva fatto l'amico Ducas, all'ambizione e alle blandizie del potere. Egli suggerì la candidatura del fratello del defunto Augusto, Iohannes, il
quale, proprio grazie all'influenza del magister officiorum e præfectus Urbis (di Constantinopolis), ottenne allora l'avvallo da parte del Senato.
Alla notizia, Guillelmus divenne furioso e decise di far vela verso l'Oriente, per raggiungere Rogerius e riassumere il comando degli uomini a lui fedeli, in modo poi da poter tornare indietro con un esercito e marciare su Constantinopolis. A questo punto, scomparso Guillelmus e con gli Actones per il momento rimasti in disparte per non si sa quale motivo[3], anche il Senato di Roma approvò l'elezione di Iohannes, che diventò così il centotrentaquattresimo Imperatore di Roma, con il nome di Flavius Claudius Iohannes II Ducas Augustus. L'unica cosa buona in lui, mi sento in dovere di dire fu che sua nipote, nata proprio due anni prima, avrebbe sposato il futuro Augusto Alexius: senza di lui, non avremmo avuto due grandi Imperatori, Alexius e Iohannes III, il nostro beneamato Augusto di questi giorni turbolenti.[4] In questo modo, almeno, si andava a riempire il vuoto di potere che terrorizzava tanto i Romani, soprattutto in una situazione del genere. In realtà, fu sempre Constantinus Psellus a mantenere la maggior parte del potere.
Ancora una volta, fummo fortunati, perché Arsanius, forse costretto a far riposare le proprie truppe dopo due anni di combattimenti durissimi in territori ostili, non sembrò deciso a sfruttare le difficoltà romane, anche se la presenza di Romanus a sud, che aveva costretto Nitzamius a ritirarsi a est e cercare di bloccarlo sull'Euphrates, era un ostacolo che lo preoccupava non poco. Inoltre, anche Rogerius non era stato eliminato e stava recuperando dalla ferita e soprattutto stava ricostruendo il suo esercito, richiamando legioni dalle province confinarie e ausiliari da ogni fortezza sotto la sua giurisdizione. Arsanius si limitò così ad assediare di nuovo Martyropolis, preferendo lasciare ai suoi generali nel sud e a Nitzamius il compito di punire Romanus una volta per tutte.
Guillelmus, avido di potere, giunse ad Antiochia il 12 September e qui raccolse forze a lui fedeli. Inoltre, grazie ai vasti fondi di famiglia, tentò di corrompere vari comandanti dell'esercito, stanchi di star lì a combattere nella sabbia e sotto il sole, promettendo loro onori e ulteriori ricchezze una volta ottenuta la porpora. A
Barbalissus incontrò poi Rogerius, distogliendolo così dal compito di contrastare i seliacidi e questi gli riconfermò la propria fedeltà, suggerendogli anche di cercare l'alleanza con Romanus, il quale però in questo momento si trovava più a est, e non era raggiungibile. Non mi è chiaro come, forse si limitò a mandare un messaggero che in qualche modo riuscì a superare le linee nemiche di Nitzamius e ad arrivare indenne al campo di Romanus, attestato ancora nei dintorni di Eddana, da dove compiva razzie e saccheggi da diversi mesi, ma Guillelmus riuscì ad entrare in contatto con lui. Sappiamo, dal ritrovamento di certa corrispondenza resa pubblica proprio dai nemici di Guillelmus tempo dopo, a cose fatte, che Romanus accettò di are Guillelmus in Oriente e nel futuro regime, ma in cambio sarebbe dovuto diventare magister dell'Impero con poteri militari illimitati e l'esenzione della tasse dalla proprietà in suo possesso. Nel giro di qualche settimana, tornato Guillelmus ad Antiochia, mentre Martyropolis era caduta nelle mani di Arsanius, incurante e indifferente ai complotti romani, e Rogerius si apprestava ad affrontarlo per la terza volta, giunsero in città agenti dell'Augusto Iohannes II che cercarono di convincerlo, offrendogli una grossa somma di denaro, a desistere da questo tentativo di usurpazione fatto alla luce del sole: se avesse lasciato perdere, sarebbe stato perdonato e avrebbe continuato a servire Roma come legatus, senza alcuna macchia sull'onore. A che punti degenerati era arrivato il potere di un Imperatore! Guillelmus però rifiutò e forse fece pure bene, ma in questo modo all'Augusto Iohannes II non restò che inviare il figlio Andronicus ad arrestarlo ad Antiochia.
Il 12 September, nel frattempo, Arsanius sconfisse nuovamente Rogerius, ad Anastasiopolis. E ancora una volta questi si salvò, abbandonando però i suoi alla mercé del nemico.
Deciso a tentare il tutto e per tutto, Guillelmus salpò con una parte dell'esercito da Antiochia, requisendo tutte le navi e le barche che riuscì a trovare e fece vela verso Constantinopolis, anche se, come sappiamo, sbarcò a Lysimacheia, più a occidente. Da qui, cominciò a prepararsi per attaccare la capitale. A essere
onesti, credo fosse impazzito anche lui: come poté anche solo pensare di poter prendere Constantinopolis con tutto l'Impero contro, un esercito sballottato qua e là per il mare e fortemente dimezzato e soprattutto senza l'ombra di macchine d'assedio? Follia! Ecco cosa fu![5] Infatti, posti di fronte alle sue scelte scellerate e ai suoi sbalzi d'umore, anche i suoi ultimi sostenitori a Roma e in Occidente lo abbandonarono, tagliandogli i fondi e costringendolo alla sconfitta più totale. In una situazione del genere, anch'egli finalmente capì di non poter prendere Constantinopolis e cercò un modo per tornare in Oriente, anche al costo di abbandonare lì quegli stessi uomini che non lo avevano abbandonato per seguirlo nella sua pazzia. L'Augusto Iohannes II, però, consigliato da Constantinus Psellus e deciso a consolidare la propria posizione e convincere anche l'Occidente della bontà della loro scelta, inviò un esercito ad impedire a Guillelmus qualsiasi possibilità di fuga. Questo esercito era comandato dall'altro suo figlio, Constantinus, uomo di alti valori e ben stimato in tutta la capitale.
Guillelmus, però, sarà stato anche pazzo, ma era un ottimo stratega e non ebbe difficoltà, una volta costretto a dar battaglia sulla strada per Nova Theodosiopolis, a sconfiggere Constantinus che catturò e, come ultimo gesto di spregio verso un potere che non riconosceva, uccise, si dice, con le sue stesse mani, pronunciando le solenni parole: «Se questo è quel che rimane della gloria di Roma, allora non voglio più essere un Romano!» Mai parole furono più profetiche.[6]
In Oriente, tra October e November, Romanus aveva intanto dato del filo da torcere a Nitzamius, costringendolo a diverse schermaglie senza però arrivare mai ad una battaglia vera e propria: in questo stallo, Romanus cominciava però a innervosirsi, conscio che stare così a lungo esposto ad un possibile attacco proveniente da sud, da Bagdata, era pericoloso. Fortuna volle che Arsanius decise di richiamare il suo visarius per ridiscutere della strategia da adottare nei mesi successivi e così il generale ebbe di nuovo la via dell'Euphrates libera. Tornato in Syria, a Callinicum, trovò ad attenderlo
Andronicus: senza spiegazioni, Romanus lo attaccò a tradimento, trucidando soldati romani che niente avevano a che fare con i complotti di Guilelmus e che non sapevano nulla del doppio gioco di un legatus che tutti credevano un eroe. Catturato già ferito, Andronicus venne torturato e morì, abbandonato nel deserto, e nel proprio sangue, il giorno dopo.
Non conosco la data esatta, ma verso la fine di November, Guillelmus, abbandonando il resto dei suoi uomini in Thracia, si diede di nuovo alla macchia e fuggì, salendo su una nave requisita all'ultimo, con i suoi fedelissimi, eludendo le ricerche della Classis ordinate dall'Augusto Iohannes II che non lo avrebbe mai perdonato per l'assassinio del figlio. E pensare che non sapeva ancora che anche l'altro era già morto! Ah! Destino crudele! Prima della fine dell'anno, però, Guillelmus riapparve in Syria, dove si ricongiunge con Romanus.
[1] Qui Gabras si riferisce alla situazione strategica dell'inverno 1126/18791127/1880, quando le truppe seliacidi si trovavano in posizione avanzata rispetto all'esercito dell'Imperatore Iohannes III Comnenus, il quale aveva scelto di stabilirsi a Thannuris e nelle città vicine.
[2] Battaglia di Eddana, 13 Februarius 1067/1820. Dato che all'epoca, Eddana non faceva parte dell'Impero, era nota agli arabi con il nome di Hindanu.
[3] Il motivo era che in quel periodo, il diciassettenne Henricus, figlio del defunto Augusto Henricus I, viveva ancora in incognito a Roma, sotto la protezione della gens Actonia e del patriarcha Alexander, e veniva segretamente istruito su come diventare Augusto. Infatti, era lui il candidato principale per riportare il potere in Occidente, considerando la sua giovane
età un modo per esercitare indirettamente maggior potere. Il fatto poi che fosse figlio di un Augusto, seppur decaduto e dimenticato, lo rendeva importante, perché in linea teorica era un cæsar.
[4] È vero: l'Augusto Iohannes II fu il nonno paterno della cæsarissa consorte, Irene Ducæna Comnena, moglie dell'Augusto Alexius I Comnenus.
[5] Il pensiero di Gabras, pur colorito, rivela una verità fondamentale: non era possibile conquistare Constantinopolis senza un esercito forte, appoggi esterni e numerose macchine d'assedio. Nessun nemico fino a quel momento era stato in grado di penetrare le mura della capitale ed essa era ritenuta inespugnabile, più imprendibile ancora di Ottonianopolis, definita il “bastione dell'Impero”.
[6] E probabilmente inventate di sana pianta dalla tradizione.
XXVII
Della guerra: 1068/1821
Il quarto anno di guerra contro i seliacidi poteva essere quello buono per concluderla. Dopo il primo, terribile anno, durante il quale tutto era sembrato cadere senza poter far nulla per fermare la marea nemica, lentamente l'impeto iniziale delle orde asiatiche aveva perso intensità e si era infranto contro i bastioni dell'Impero. Era vero, molto era stato perso, sia in vite umane che in territori ma nessun centro veramente vitale era stato conquistato e i generali ancora non si erano dati per vinti. Se Arsanius pensò mai davvero di poter conquistare l'Impero Romano così come aveva conquistato la Persia o le steppe desolate della Traxiana si sbagliò di grosso e si accorse, con amarezza, di essersi invischiato in una rissa dalla quale sarebbe stato difficile anche per lui uscire senza qualche osso rotto. Fu così che, all'inizio del nuovo anno, questa volta aspettando l'arrivo della bella stagione, Arsanius decise di compiere un nuovo affondo, richiamando le varie guarnigioni che aveva disseminato qua e là e pure il fidato Nitzamius, così da avere di nuovo a disposizione un immenso esercito da 70000 uomini.[1] In questo modo, senza più alcuna paura, lasciò le sue basi nell'alta Mesopotamia – Thannuris era caduta in mano sua l'estate precedente – e avanzò rapidamente verso Maximianopolis. In una sola settimana, la città cadde nelle sue mani e, come a voler ribadire il messaggio di terrore degli inizi, permise ai suoi soldati e agli irregolari di devastare le sue vie, in un'orgia di violenza della durata di tre giorni. Da lì, il conquistatore si sposta ad Edessa che pose sotto assedio.
A questo punto, Romanus e Guillelmus, pur essendo ormai considerati traditori, decidono di affrontare Arsanius, forse per paura che le continue conquiste del
seliacide potessero minacciare i loro futuri piani di usurpazione, e ingaggiarono battaglia nel contado della cittadina di Europus, sul fiume Euphrates. Lo scontro ebbe proporzioni titaniche e si combatté per due giorni ma alla fine, come quasi sempre era accaduto fino a quel momento, la superiorità di Arsanius si fece di nuovo sentire ed egli riuscì a prevalere. Piegata infatti la parte dell'esercito guidata da Romanus, che cadde nelle sue mani e venne fatto prigioniero, quella di Guillelmus cedette rapidamente e andò in rotta, costringendo il generale a scappare come al suo solito.[2] In breve, la situazione precipitò e fu una catastrofe. Dopo tre anni ati con discreto successo a contenere il nemico, ora non c'erano più valenti generali in zona, né eserciti, che potessero contrastare i seliacidi: Arsanius, subito dopo la battaglia, tornò all'assedio di Edessa, mentre migliaia di razziatori invasero i villaggi e i contadi dell'Euphrates, costringendo la popolazione a fuggire in preda al panico. Lo stesso Nitzamius prese possesso di Amphipolis, il cui præfectus Martinus venne convinto dai potenti della città, episcopus compreso, ad aprire le porte per risparmiare alla popolazione le sofferenze di un assedio. Nitzamius apprezzò la cosa e ordinò ai suoi di non toccare la città.[3] Poi, il visarius si diresse di nuovo a sud per riconquistare tutte le città tolte da Romanus: Circesium e Dura Europus infatti erano ancora occupate dalle guarnigioni lasciate dal generale che, ora, marciva in una cella da qualche parte a Bagdata. Forse se l'era cercata, dopotutto.[4]
Nel frattempo, Edessa cadde nelle mani di Arsanius: non sarebbe più tornata romana se non molto tempo dopo e la sua riconquista segnò un momento importantissimo, non solo per il corso della guerra, ma soprattutto per la storia dell'Impero stesso.[5] Dopo la conquista di Edessa, come detto, i seliacidi dilagarono: nel giro di pochi mesi, assolutamente incontrastati, Arsanius e i suoi comandanti conquistarono Hierapolis Bambyce, Amida, Germanicea[6] e Marcopolis, consolidando il controllo di un'area altamente strategica, perché permetteva loro di avanzare, potenzialmente, in ogni direzione con rapidità ed efficienza. Infatti, l'intera regione è estremamente urbanizzata e sono moltissime le città e i villaggi e la rete stradale, lì, è una delle migliori dell'Impero.
Oltre agli eserciti, migliaia di razziatori e banditi si spinsero anche più lontano: i contadi di Antiochia Ad Euphratem, Zeugma, Apamea, Dolichium, dove l'antico tempio venne saccheggiato perché percepito come blasfemo e idolatra, e molti altri siti in una lista di nomi che non posso citare qui per intero, a meno di non andare avanti per pagine e pagine.[7] In Martius, un'altra piaga portò dispiaceri all'Impero, e soprattutto all'Augusto Iohannes II, profondamente affranto per la morte di entrambi i suoi due figli e incapace di reagire (fortuna che ci fu Constantinus Psellus, in quei giorni!): da qualche parte fuori confine in Arabia, così dicono le cronache, ci fu un violento terremoto che colpì i villaggi della regione e persino i porti sul Mare Erythreum, provocando vasti e duraturi danni. La città e porto strategico di Aleana, in particolare, venne quasi rasa al suolo, e i crolli causarono solo lì la morte di quasi 20000 persone.[8]
Ma ormai anche il tempo dell'Augusto Iohannes II era finito. La disastrosa sconfitta di Romanus e Guillelmus e il crollo del fronte erano state le gocce che avevano fatto traboccare un vaso già pieno da tempo. In effetti, egli era stato accettato solo per convenienza, in una situazione in cui conveniva a tutti mettere da parte per qualche mese le proprie ambizioni e contrastare il nemico. Dato che però questo non era accaduto e le cose ora andavano di male in peggio, nessuno, né a Roma né a Constantinopolis, ebbe più scrupoli nel muovere le acque ancora un po', trasformandole in tempesta. In estate, ancora all'oscuro delle congiure messe in moto alle sue spalle, l'Augusto Iohannes II inviò ambasciatori in segreto da Arsanius, nel tentativo di comprare, per un'elevata somma di denaro, la libertà di Romanus e di Guillelmus (l'antico magister di Syria, catturato tre anni prima, e abbandonato in qualche prigione dall'inizio della guerra): il condottiero seliacide, valutata la cosa, decise di accettare almeno in parte l'offerta dell'Imperatore, poiché riconsegnò alle autorità romane Guillelmus, ormai debole ed emaciato, ma decise di trattenere ancora Romanus, conscio della sua pericolosità e bravura come generale. Ma diffuse pure la notizia, contro il volere del governo romano, che l'Imperatore pagava per ottenere indietro i suoi uomini, notizia che ovviamente venne subito usato dai suoi detrattori che lo accusarono pubblicamente (allo stesso modo in cui Constantinus Ducas aveva attaccato in Senato l'Augusto Salomon) di
incapacità e soprattutto di arrendevolezza nei confronti dei barbari. Pagare un barbaro! Non accadeva, dissero, dai tempi in cui si cercava di tenere buono Attila e quelli erano gli anni peggiori dell'epoca delle invasioni. Si era dunque tornati a quel livello di decadenza?[9] A quel punto, nessuno fu più disposto a fare un o indietro e, soprattutto a Roma, le grandi famiglie riunite, insieme alle gerarchie ecclesiastiche del patriarcha, decisero di deporre l'Augusto e sostituirlo con il giovane Henricus, da due anni maggiorenne e dunque giuridicamente eleggibile.[10] Così, il 6 September, durante una eggiata nei giardini imperiali del Sacro Palazzo di Constantinopolis, l'Augusto Iohannes II venne sorpreso da sicari armati e brutalmente ucciso, dopo uno scontro con le sue due guardie della schola, anch'esse uccise. A quanto pare, prima che qualcuno se ne accorse, arono quasi due ore, e quando un'ancella che si stava recando a dar da mangiare ai pavoni d'India lo trovò, riverso nel proprio sangue, e inorridita lanciò l'allarme, egli era già morto da un pò e non c'era più nulla da fare.
Confidando nella riuscita del piano, a Roma non si aspettò nemmeno il tempo di ricevere la notizia del successo della congiura e della morte dell'Imperatore, tanto ormai tutti sapevano come funzionasse il potere e tanto il rispetto per l'autorità e la legge stavano morendo nelle coscienze della gente. Il giorno dopo, Godefridus, senatore e marito della donna più potente di Roma, Mathilda Actonia, presentò al Senato riunito in fretta e furia, il proprio candidato, battendo in questo modo sul tempo qualsiasi altro pretendente, soprattutto il dux di Venetia che da tempo aveva mostrato interesse per la porpora. Henricus parlò dunque ai senatori, mostrandosi, nonostante la giovane età, deciso e brillante e promettendo di riportare la pace nell'Impero e la gloria a Roma, togliendola finalmente a Constantinopolis. In un clima che non era più nemmeno di complotto, ma di aperta rivoluzione, in spregio alla sacralità delle più antiche tradizioni e della legge augusta, il giovinetto venne così eletto nuovo Imperatore di Roma, il centotrentacinquesimo, con il nome di Gaius Henricus II Augustus. Si preferì non fargli assumere anche il nome della gens Actonia, anche se tutti sapevano che dietro alla sua elezione c'erano i suoi membri. Gli Actones divennero così la famiglia più potente dell'Impero.
A Constantinopolis, dopo la morte dell'Augusto Iohannes II, Constantinus Psellus aveva cercato un proprio candidato, anche se la popolazione e i vertici cittadini continuavano a premere perché lui stesso diventasse Imperatore. Non avendo trovato nessuno, però, quando giunse da Roma la notizia che il Senato aveva votato per eleggere Henricus, egli capì che non c'erano altre possibilità e, a meno di non far precipitare l'Impero in una guerra civile, era meglio fare un o indietro. Benedetti gli uomini che anche nei momenti di difficoltà mantengono fede alle proprie virtù e rispettano la legge! Psellus fu coraggioso nel fare questa scelta, perché, con i poteri e gli appoggi che aveva, forse avrebbe potuto davvero conquistare il potere, ma non lo fece, per non arrecare altre sofferenze ad uno Stato che già tante ne pativa. Egli abbandonò la capitale e si ritirò così a Trapezus, abbandonando il mondo marcio della politica e delle invidie degli uomini, e dandosi agli studi e alla letteratura. Questo spianò la strada all'ufficializzazione di Henricus II come nuovo Augusto di Roma, e il Senato di Constantinopolis votò dunque per ratificare la sua elezione. Quello che nessuno si sarebbe aspettato, per dispiacere degli Actones, fu che il ragazzo era tale e quale suo padre e non voleva essere comandato da nessuno, cosa che dimostrò a tutti nel giro di poco. Istruito infatti sul significato del potere imperiale, non vedeva di buon occhio l'influenza che il patriarcha aveva sugli Actones, e in generale credeva che la religione, qualunque essa fosse, non dovesse influenzare in alcun modo il potere degli Augusti. Se condivideva l'idea di riportare a Occidente la porpora e pure la convinzione, sempre più diffusa, di essere un “vero Romano”, è però vero che l'Augusto Henricus II non volle mai discriminare nessuno per la propria fede, pur essendo lui stesso cristiano. Divenne così il più fiero oppositore di quegli stessi che lo avevano voluto sul trono.
Affascinato dagli affari militari, e ambizioso, i suoi primi ordini furono quelli di inviare il legatus Nicephorus Bryennius, militare che nonostante le origini achee, era di stanza in Italia ed era molto stimato, in Oriente, insieme a un consistente esercito, per opporsi di nuovo ad Arsanius, da troppi mesi lasciato indisturbato e
libero di far ciò che voleva.[11] In effetti, verso l'autunno, i seliacidi avevano senza clamore guadagnato molte altre posizioni: Arsanius aveva conquistato Beroia, Chalcis Ad Belum e Apamea Diocleiana, avvicinandosi pericolosamente alle coste del Mare Nostrum. La presa della fortezza di Imma, avvenuta in Augustus, gli spianò la strada per Antiochia che, in effetti, viene assediata a partire dal mese successivo. Altri eserciti nemici avevano dilagato sia a nord che a sud, e il visarius Nitzamius, dopo aver ripreso Circesium e Dura Europus, era tornato in Syria, dove aveva conquistato Epiphaneia ed Hemesa, in modo da consolidare la posizione avanzata del sultano mentre assediava Antiochia. La situazione che Nicephorus Bryennius trovò dunque al suo arrivo fu tragica: avvisato che Antiochia era sotto assedio, sbarcò ad Issus, in Cilicia, e si preparò a marciare contro Arsanius. Ma i seliacidi non erano l'unico problema. Infatti, anche se alcune avvisaglie c'erano già state negli anni precedenti, a causa del malgoverno dei governatori militari e delle continue vessazioni, nonché delle leve inutili che erano state fatte per contrastare i nemici e che avevano portato solo la morte per migliaia di cittadini strappati alle loro case, parecchi villaggi ma anche città syriane e palestinesi, come Laodicea e Balanea, si sollevarono e i loro abitanti presero ad insultare le guarnigioni militari e a lanciare sassi contro di loro. Non si arrivò ancora alla rivolta aperta, ma molte energie vennero spese per riportare la calma. Calma che, purtroppo, non poteva esser più riportata, perché non esisteva più.
Se dapprima Nicephorus Bryennius sembrava impaziente di marciare contro Arsanius, la prima neve in Cilicia, insieme alla considerazione che Antiochia non sarebbe caduta in breve tempo, grazie ai collegamenti garantiti dal suo porto, Seleucia Pieria, lo convinsero a rimandare l'attacco all'anno successivo.
[1] Altre fonti affermano 74000 uomini.
[2] Gabras, anche se spiega nel proemium che questa sua breve opera non è tanto un'analisi particolareggiata ma una sorta di promemoria per chi vorrà davvero scrivere una storia sulle guerre contro i seliacidi, è sempre piuttosto restio nel descrivere le battaglie e le manovre del ato. In molti hanno sostenuto che non fosse in possesso di fonti troppo dettagliate e che quindi non potesse nemmeno descrivere troppo bene le fasi degli scontri di cui parlava. La battaglia di Europus si svolge tra il 25 e il 27 Martius 1068/1821.
[3] Martinus, nome parzialmente completo Martinus Octavius, era in realtà il fratello dell'episcopus di Amphipolis, un certo Valerius Octavius Uranus.
[4] Gabras sembra davvero preferire una disfatta delle proporzioni della battaglia di Europus piuttosto che continuare a vedere dei traditori portare il titolo di legatus dell'Impero!
[5] Si riferisce agli avvenimenti dell'assedio del 1092/1845.
[6] Germanicea, così come si chiama tutt'ora, aveva da poco cambiato il proprio nome, per decreto di Alexius I, nel 1115/1868, dall'antico Germanicia Cæsarea.
[7] È un'informazione interessante quella che ci dà Gabras in questo o: egli riporta che a Dolichium (nota ancor prima come Doliche), un antico tempio “blasfemo e idolatra” per i seliacidi musulmani venne saccheggiato e, probabilmente, distrutto. Sicuramente si riferisce al tempio di Iupiter Dolichenus, divinità il cui culto si era diffuso nei primi secoli dell'era cristiana, durante l'Alto Impero, ma che, già dal III secolo A.D. era declinato irrimediabilmente, anche a causa della diffusione del Cristianesimo. Poiché è ben noto come la “rinascita pagana” (come l'hanno
chiamata i dotti cristiani) del VI-VII secolo A.D. abbia portato molti antichi culti a rifiorire, in reazione ai fallimenti percepiti dalle masse nei confronti del Cristianesimo, è possibile che anche a Dolichium, l'antico santuario del dio, forse mai chiuso davvero, abbia riaperto, favorendo una timida, e locale, ripresa del suo culto. Ad ogni modo, il o di Gabras è l'unico che parla del tempio di Dolichium ancora attivo nel 1068/1821. Oggi, esso è chiuso definitivamente e le sue rovine sono state incorporate nei giardini del palazzo del præfectus: a quanto si sa, il culto di Iupiter Dolichenus appartiene ormai alle religioni estinte dell'Impero Romano.
[8] Gabras si riferisce al terremoto che colpì l'Arabia nel 1068/1821, provocando in totale circa 30000 morti e che, realmente, rase al suolo Aleana. Fonti locali riportano come l'epicentro fosse a Guillelmopolis (all'epoca villaggio arabo fuori dal confine imperiale, noto come Tabuq o Tabuk).
[9] Riportando il parallelo con gli eventi del V secolo A.D., fatti dire dai senatori e dagli oppositori dell'Augusto Iohannes II, appare chiaro come anche Gabras condivida l'idea che il mondo romano avesse intrapreso un pericoloso cammino verso la decadenza, non solo militare, ma morale e spirituale.
[10] Una delle misure giuridiche prese dall'Augusto Iustinianus I Magnus, nel complesso del riordinamento legislativo dell'Impero riunito (VI secolo A.D.), fu il divieto, e dunque l'illegalità, di elezione di un Imperatore se questi non aveva raggiunto la maggiore età, la quale, fissata per la prima volta sempre da lui e da Trebonianus, era ed è di sedici anni (sia per l'uomo che per la donna). In questo modo, si sperava, a ragione, di evitare l'ascesa di Augusti fantocci perché troppo piccoli, ponendo un freno alla possibilità che qualcuno più anziano manovrasse il potere da una posizione nell'ombra.
[11] Omonimo antenato (fratello del nonno) del magister di Gallia Narbonensis, Nicephorus Bryennius. Questi fu, all'epoca di Gabras, un valente generale ma divenne noto soprattutto per essere il marito dell'ambiziosa cæsarissa Anna Comnena, la quale alla morte del padre, l'Augusto Alexius I, nel 1118/1871, cercò di prendere il potere con un colpo di Stato. Nonostante lei poi venisse inviata al confino sulla sperduta isola di Lebyntha, nell'Egeum, rimasero sposati e non smisero mai di amarsi.
XXVIII
Della guerra: 1069/1822
L'importanza del porto di Seleucia Pieria non sfuggì ad Arsanius, il quale non perse tempo durante l'inverno e provò a conquistarla, interrompendo nel frattempo le linee di comunicazione con Antiochia, in modo da bloccare l'arrivo di qualsiasi rifornimento.[1] Nicephorus Bryennius fu così costretto a muoversi in anticipo e raggiunse Antiochia dove affrontò Arsanius in battaglia: pur reclamando entrambi gli schieramenti la vittoria, nessuno in realtà prevalse anche se la supremazia tattica arrise a Nicephorus che costrinse il seliacide a ritirarsi e interrompere l'assedio. In questo modo, Nicephorus poté entrare in città, acclamato dai suoi cittadini che temevano la fine delle scorte di viveri, e portare un po' di sollievo. Arsanius allora si spostò più ad oriente, per il momento accontentandosi di consolidare le sue posizioni, espugnando le fortezze romane non ancora arresesi, e soprattutto conquistando la città di Gabula, non lontana da Beroia.. Nicephorus allora avanzò su Germanicea che, scacciata la guarnigione seliacide dalla stessa popolazione, aprì le sue porte, accogliendolo, proprio come era successo ad Antiochia, come un eroe. E da qui, il generale marciò fino a Dolichium, dove sconfisse un piccolo esercito nemico e la liberò. Infine, siamo ormai in estate, assediò anche Zeugma. Il sultano, però, non poteva permettere un tale ribaltamento delle posizioni di forza, così decise di dover cercare a tutti i costi un'altra battaglia campale, con la quale risolvere la situazione ed eliminare la minaccia di Nicephorus. Riprese la marcia su Antiochia, sapendo che questo avrebbe attirato di nuovo lì il Romano e così, in effetti, fu: il 17 Iulius, a Litarba, sulla strada per Antiochia, i due eserciti si affrontarono e Arsanius ottenne finalmente la vittoria che desiderava, anche se Nicephorus fu bravo nel non perdere la calma e ritirarsi con ordine
verso la Cilicia.[2] Senza la sua minaccia, Arsanius si affrettò dunque a porre ancora una volta l'assedio ad Antiochia, isolandola dal mare, dato che, almeno per qualche tempo, Nicephorus, rifugiatosi prima a Issus e poi a Tarsus, molto più a occidente, non avrebbe potuto attaccarlo ancora.
A Roma, l'inaspettata guida energica dell'Augusto Henricus II garantì, nonostante i suoi detrattori, una maggiore stabilità del potere e permise di non prendere decisioni affrettate o, peggio, di trascurare del tutto il fronte come era stato fatto in ato. Non parlerò qui delle misure interne che prese nei confronti dei latifondisti e di parecchie ricche famiglie, alleate anche degli stessi Actones, ma piuttosto dirò che, nonostante la sua età, l'Imperatore sapeva esattamente cosa fare nella conduzione della guerra. D'altronde, se c'era una qualità nel suo dimenticato padre, quella fu senza dubbio la capacità di capire la strategia giusta da adottare per le cose militari. Inviò così il dux di Venetia, ammiraglio della Classis, a Seleucia Pieria, con la sua flotta, in modo da dare o alla città e impedire che, se Antiochia fosse caduta, il nemico si impadronisse del suo porto e delle sue navi. Era infatti vitale che i seliacidi, popolo di steppe e di terra, non riuscissero mai a raggiungere il mare, perché in quel caso avrebbero di certo trovato il modo di corrompere maestri d'ascia locali per farsi costruire una flotta e darsi alla pirateria o a pericolose spedizioni navali.[3]
Nel frattempo, però, i razziatori chorasmi e ochusi, al seguito degli eserciti seliacidi continuavano la loro campagna di devastazione, che a sua volta provocava rivolte e sollevazioni nei villaggi e nelle città del Levante, a causa dell'incapacità delle autorità di contrastare la violenza crescente. In quei giorni, si ebbero notizie di scontri, ruberie e altri fatti spiacevoli su praticamente tutte le montagne costiere della Syria e persino nella regio di Phoenicia, più a sud. Riporto solo i sanguinosi scontri, avvenuto in Augustus, nel contado di Tripolis, all'ombra dei monti del Libanus.[4]
Nitzamius conquistò Laodicea Ad Libanum e, seguendo la volontà di Arsanius, attraversò allora le montagne e appare a Cæsarea Ad Libanum, sulla costa. Il villaggio-porto di Bruttus venne preso con rapidità facendo di Nitzamius il primo seliacide a raggiungere il Mare Nostrum. Le peggiori paure romane cominciavano a concretizzarsi.
A complicare le cose, mentre la flotta venetica giungeva a Seleucia Pieria, Arsanius finalmente riusciva a indebolire abbastanza le mura della città e penetrare ad Antiochia, trovando la popolazione però ancora parecchio combattiva nei suoi confronti. Eppure, dopo qualche giorno, anch'essa cadde e nessuno sembrò poterci fare nulla.[5]
Senza cercare di prendere anche il porto, occupato pure dai rinforzi portati da Domenicus, Arsanius rimase ad Antiochia qualche tempo, ma, poco dopo, agendo in fretta, si mosse di nuovo verso nord dove, attraversato il o dei Cancelli Syriani, sulle montagne di Amanus, rase al suolo la cittadina di Pictanus e poi prese alla sprovvista anche Alexandria Ad Issum.
Com'è possibile, chiedo io, che Nicephorus abbia lasciato sguarniti i i che portavano in Cilicia? Quale generale capace di intendere e di volere avrebbe potuto macchiarsi di una simile mancanza? Ovvio che i primi anni della guerra furono tanto sanguinosi: fu tutta colpa dei nostri generali incapaci![6] Non ancora pronto, Nicephorus si accorse però dell'errore, perché si precipitò ad Issus e poi ai Cancelli Cilici, il secondo dei due i che dovevano essere oltreati per raggiungere da sud la città: non fu abbastanza veloce, in quanto Arsanius aveva già superato pure quelli e dunque, proprio fuori da Issus, avvenne una nuova battaglia tra i due. A questo punto, mi sembra quasi inutile dire chi ebbe la meglio.[7] Ti dico solamente, mio lettore, che Nicephorus si rintanò in città e in fretta e furia prese una nave e si recò a Constantia, sull'isola di Cyprus, da dove mandò a chiamare e attese Domenicus per discutere di una nuova strategia.[8]
La furia di Arsanius sembrò allora non avere limiti, ma in realtà egli era solo un condottiero molto intelligente: occupata Issus senza fatica, dato che molte delle sue navi erano state fatte salpare verso Cyprus per ordine di Nicephorus, egli attaccò Epiphaneia Cilicia ma soprattutto occupò le Porte Cilicie, così da essere davvero sicuro che nessuno avrebbe potuto attaccarlo da quella direzione. Sul finire dell'anno, la situazione strategica dei seliacidi era notevolmente migliorata e il possesso di tutti i i tra la Syria e la Cilicia era un successo senza precedenti per un generale che, a quanto pare, voleva conquistare l'Impero Romano e, credo, il mondo intero.[9] Anticipo già quello che accadrà nei primi mesi dell'anno successivo: iniziati sul finire dell'anno, gli assedi di Mopsuestia, Adana e Tarsus furono tutti un successo e garantirono ai seliacidi il controllo totale della Cilicia, se si eccettuano le decine di fortezze e villaggi sparsi sulle montagne. Quelli sarebbero stati attaccati dagli irregolari nel giro di poco tempo.
L'ultimo fatto di rilievo dell'anno, che andò a peggiorare ancora le cose, fu la ricomparsa di Guillelmus, colui il quale aveva cercato in tutti i modi di usurpare la porpora e che poi, sconfitto insieme a Romanus da Arsanius, si era dato per un certo periodo alla macchia. Nell'inverno, proprio sul finire di December, dunque riapparve ma – sdegno supremo! – tra le fila seliacidi. Com'era potuto succedere? Te lo spiego subito, lettore apionato.
Era accaduto che, durante l'autunno, il visarius Nitzamius, dopo aver attaccato Tripolis, venisse contattato proprio dal generale, il quale si era rifugiato sui monti del Libanus, in attesa di tempi migliori. Guilllelmus, infatti, valutata la situazione aveva deciso di offrire i propri servigi al nemico, anche perché sapeva che difficilmente sarebbe stato perdonato per aver cercato di usurpare la sacra porpora imperiale. A mio avviso, data la disastrosa situazione strategica, forse l'Augusto Henricus II lo avrebbe pure perdonato, ma questo non lo sapremo mai. [10] Informato dell'offerta, Arsanius accettò, fornendo a Guillelmus (d'ora in poi, come nella tradizione, chiamato “il Traditore”) un esercito e il comando militare:
se ci fosse riuscito, avrebbe potuto ritagliarsi un piccolo regno sui resti dei domini romani, ma prima doveva fare in modo di aprire ai seliacidi la via per Hyeroslyma, l'obiettivo di Arsanius a sud per l'anno successivo.[11]
[1] Anche se già durante l'Alto Impero, i lavori di sistemazione dei canali che impedivano l'accumularsi dei detriti erano continuamente condotti, fu solo al tempo dell'Augusto Iustinianus I Magnus che si collegò con più efficienza Antiochia al mare, e, negli anni di Gabras, quei lavori erano gli stessi di cinque secoli prima.
[2] Zeugma era intanto rimasta in mano seliacide.
[3] Il dux citato era un'esponente della più potente famiglia di Venetia e di buona parte della Venetia et Histria, la gens Ursia, che tra l'altro era pure una delle più antiche dell'Impero. Domenicus Ursus Flavianus era già piuttosto anziano all'epoca degli eventi descritti da Gabras ma sembra non ebbe problemi a riprendere il mare per recarsi così lontano.
[4] Scontri durati quasi una settimana. Le guarnigioni locali, coadiuvate da decine di volontari, riuscirono a respingere le bande guerriere che si erano messe a saccheggiare i campi del contado di Tripolis, anche se, alla fine di tutto, queste bande si rifugiarono proprio sui monti, diventando un bersaglio difficilmente raggiungibile per le disorganizzate forze romane. Qui, occuparono numerosi villaggi, facendone i loro nuovi covi dai quali poi scendevano a valle per continuare le razzie.
[5] Gabras è parecchio sbrigativo nel descrivere la caduta di Antiochia. Forse voleva minimizzare l'evento, che però ebbe gravi conseguenze e non
poteva davvero essere minimizzato, o, più plausibilmente, non voleva dilungarsi nel parlare di un fatto che bruciava ancora molto, dopo sessant'anni, a tutti i suoi contemporanei. D'altronde poi, lo ribadisce spesso anche lui, non era uno storico quindi spesso non affronta la narrazione nel modo più imparziale possibile.
[6] Non essendo Gabras uno storico ma un generale, leggendo questi i gli si perdona anche la poca imparzialità e la diffusa sua tendenza a commentare, proprio sullo stile di quella storiografia più antica che, forse, imitava in maniera goffa. Però, ha ragione nel sostenere l'errore di Nicephorus nel non aver fortificato o lasciato guarnigioni nei i che portavano in Cilicia, i quali avrebbero potuto bloccare con facilità l'avanzata di Arsanius da sud.
[7] Strano modo di informare per uno che si propone di parlare di storia!
[8] Questi eventi accaddero sul finire dell'estate, soprattutto nel mese di September.
[9] Commento superfluo di Gabras. Non esistono prove che Arsanius desiderasse distruggere del tutto l'Impero e sembra implausibile lo avesse anche solo pensato: come si vedrà, l'impegno e l'emorragia di forze che la lotta contro i Romani imposero al suo giovane stato lo costrinsero di sicuro a rivedere i suoi obiettivi, limitandoli alla conquista dell'Oriente e avere uno sbocco sul Mare Nostrum. Ma già dall'inizio pare che egli volesse al massimo conquistare Constantinopolis e non Roma o l'Europa, ritenute per il momento troppo lontane. Nonostante infatti i suoi eserciti fossero abituati agli spostamenti e fossero veloci, anche Arsanius era consapevole che non avrebbe mai potuto governare l'intero Impero Romano, dato anche il fatto, come scoprì ben presto, che i Romani erano diversi dai persiani e non cedevano mai facilmente le proprie terre. Ricordo poi che la Persia cadde rapidamente anche per una favorevole congiuntura storica, nella quale il
califfato era debole e senza grandi comandanti, e la dinastia buiade attraversava anch'essa una fase di instabilità e il suo essere divisa in emirati semi-autonomi la condannarono a soccombere in poco tempo. L'Impero Romano, come sappiamo, era tutta un'altra cosa.
[10] Emerge chiaramente che Gabras non considerava l'Augusto Henricus II un cattivo Imperatore, anzi. Forse la sua stima dipendeva dalla bravura del ragazzo nelle cose militari.
[11] Aggiungo che, però, Arsanius, temendo di essere tradito proprio da un Romano, pretese e ottenne di tenere in ostaggio il figlio di Guillelmus, Rotibertus, il quale venne mandato prigioniero ad Aspadana.
XXIX
Della guerra: 1070/1823
Sesto anno di guerra. Quando la notizia del tradimento giunse alle orecchie dell'Augusto Henricus II, questi andò su tutte le furie. Si dice che vagò per il Palazzo per due intere giornate, urlando e imprecando, senza che nessuno riuscisse a calmarlo. Poi, presa in mano la situazione, ordinò che tutti i beni della gens di Guillelmus venissero requisiti, ovunque fossero nell'Impero e che ogni membro della sua famiglia venisse arrestato e accusato di alto tradimento. Molti, nelle settimane seguenti, vennero persino torturati con inusitata ferocia. Mise infine una taglia sulla sua testa, così che chi fosse riuscito a prenderlo, vivo o morto, avrebbe di sicuro guadagnato una piccola fortuna.
In Oriente, la Lazica venne di nuovo attaccata dalle truppe seliacidi, rimaste piuttosto ferme negli anni precedenti, e Archæopolis viene assediata e conquistata. Il magister Mauritius morì nei combattimenti. Almeno questa volta non era scappato.[1] Da qui a raggiungere Phasis e le altre città costiere il o fu breve e durante tutta la primavera, senza grandi eserciti o magistri particolarmente agguerriti o capaci, non trovarono opposizione alcuna, occupando la stessa Phasis ai primi di Aprilis. L'intera Lazica fu in mani seliacidi quell'estate. E peggio, il nemico aveva aperto un pericolosissimo secondo fronte, con uno sbocco sul mare, il Pontus Euxinus, molto meno controllato rispetto a quello sul Mare Nostrum.
Arsanius invece fece una puntata nel contado di Cæsarea Cappadocica, il
capoluogo della provincia, facendo però solo bottino e tornandosene quasi subito a Tarsus e Adana. A sud, quella primavera, il generale Rogerius, il quale sembrava aver dimenticato il suo ato accanto a Guillelmus ed era tornato un cittadino devoto, avanzò contro Nitzamius, con le truppe raccolte in Palestina e in Arabia Petrea durante l'anno precedente. Ad Heliopolis, su una delle strade che portavano a Damascus, egli riuscì a sconfiggere il visarius e a ricacciarlo a nord, ritardando così di qualche mese l'invasione seliacide della Palestina.
Sulla costa, però, Guillelmus aveva cominciato non solo ad assediare Tripolis (abbandonata in un primo tempo da Nitzamius che aveva scelto di prendere appunto la strada più interna) ma anche a diffondere, da maestro d'inganni qual'era, false notizie tra i cittadini delle campagne e dei contadi, soffiando sul fuoco, mai spento, della ribellione e del malcontento. Parecchi qui non avevano più nulla e odiavano sempre di più la presenza dei soldati, arrivando, a volte, a dichiarare di non essere Romani e di non volere più vivere nell'Impero.[2] In più, a inizio anno morì Domenicus, il dux al comando della flotta che pattugliava il mare attorno a Seleucia Pieria. Questo fornì all'Augusto Henricus II, il quale vedeva di cattivo occhio la tendenza, sempre più forte negli ultimi decenni, a lasciare che la carica di dux venetico – grado corrispondente al normale drungarius ma concesso in particolare a Venetia in quanto essa costituiva un ducato, invece che una regio, per il fatto che ospitava il più grande arsenale del Mare Nostrum centrale – venisse gestito tra le famiglie locali come se fosse ereditario e che da tempo gli Augusti non avessero più messo bocca nella questione. Per via dell'impulsività tipica della giovinezza, l'Augusto Henricus II non ci pensò due volte a nominare dux Domenicus Selvus Ducas, appartenente a una gens rivale dell'Ursia e imparentato con la precedente famiglia imperiale dei Ducas. Questo però indispettì gli Ursi che, per ripicca, decisero di ritirare la flotta dall'Oriente, facendola rimanere a Cyprus. Tutto ciò dimostra quanto la crisi morale dell'Impero si fosse fatta sempre più acuta e per spiegare il perché le navi romane ad un certo punto smisero di pattugliare le coste, permettendo ai seliacidi di lavorare più liberamente nel loro obiettivo di costruirsi una flotta.[3]
La situazione precipitò anche nel Caucasus, intanto. Se sulla costa del Pontus Euxinus, le truppe seliacidi conquistarono in Maius la città costiera di Rhizeium e si avvicinarono pericolosamente al contado di Trapezus, più all'interno, in Iberia, Tiflis e Partavia vennero occupate senza apparenti sforzi.[4] Per contrastarli, il magister d'Albània, Stephanus Pateranus, alla testa di 25000 uomini provenienti anche dalle province di Alania e Cazaria, liberò Partavia, facendo parecchi prigionieri che inviò subito ai porti sulla costa, così da non avere problemi, e poi si diresse a sud-est, verso l'Atropatene. La mossa ebbe l'effetto sperato perché le truppe seliacidi, non troppo numerose, abbandonarono Tiflis per inseguirlo, facendo respirare l'Iberia che già si vedeva completamente invasa coma la Lazica. L'inseguimento durò parecchio, con le truppe di Stephanus che, man mano che si avvicinano al vecchio confine, aumentano l'intensità delle violenze sui civili, dimenticando forse che solo sei anni prima quelle persone erano state concittadini romani. Ormai a metà mese di Maius, nei pressi di Tauris, Stephanus accettò battaglia, aspettando che il nemico lo raggiungesse. Qui, piuttosto lontano da tutti gli altri fronti, e in maniera del tutto inaspettata, il generale romano sconfisse completamente l'esercito seliacide, infliggendo al nemico più di 10000 morti e molti altri feriti, eliminando in un sol colpo, la minaccia da sud per il Caucasus. La vittoria di Stephanus ebbe grande eco, e venne accolta nelle capitali con entusiasmo (l'Augusto Henricus II annunciò che avrebbe concesso il trionfo a Stephanus!), mentre nel frattempo fece infuriare Arsanius, che non si aspettava un imprevisto del genere. Deciso dunque di agire rapidamente, dato che la Cilicia era ben protetta, e mosse verso oriente a gran velocità. Intanto, Stephanus devastò il contado di Tauris e mosse verso occidente, nella Matiene, eliminando quante più guarnigioni e bande di irregolari nemici poteva. Nel giro di qualche settimana, dopo aver costretto i suoi uomini a una marcia estenuante su e giù per le strade di montagna e del deserto, Arsanius apparve nei pressi di Mepsila, proprio dove era giunto qualche giorno prima anche l'esercito di Stephanus.
Con rabbia, il sultano attaccò il nemico e forse lo fece con troppa foga, senza valutare come al solito la situazione, perché Stephanus fu in grado di respingere i suoi attacchi e a costringerlo a interromperli dopo alcuni giorni. A questo punto, fu il generale romano a prendere l'iniziativa e attaccò Arsanius, credendo fosse sul punto di cedere, ma così non fu perché il seliacide questa volta riuscì a manovrare come sempre e a sconfiggere Stephanus, mandando in rotta l'ennesimo esercito romano, con ancora una volta migliaia di vite spezzate. Stephanus fuggì anch'egli ignominiosamente, come i generali suoi predecessori, verso la Cadusia, contribuendo così a diffondere ancor di più la convinzione che Arsanius fosse invincibile.[5] Approfittando del fatto di trovarsi piuttosto vicino a casa, e avendo conseguito un'altra spettacolare vittoria, Arsanius si concesse allora il lusso di tornare nella capitale, ad Aspadana, per qualche mese, così da riposarsi un po' e assicurarsi che il resto dell'impero stesse continuando a funzionare con efficienza. Doveva inoltre incontrare ambasciatori del canus caracanide, ormai semplice vassallo in Transoxiana. Lasciò così il comando ai suoi luogotenenti e, ando per Tabriz, è così che loro chiamano la nostra Tauris[6], giunse in Media.
Brutto segno: in estate, la flotta al comando di Domenicus Selvus, giunto prima a Cyprus e poi a Seleucia Pieria, dovette affrontare alcune navi, evidentemente costruite dal nemico con l'aiuto di maestri d'ascia locali e manovrate da marinai che dovevano esser stati fino a poco tempo prima cittadini romani. Gli scontri furono impari e il dux non faticò ad affondarle o disperderle.
Rogerius, invece, ottenuti, dopo la vittoria ad Heliopolis, nuovi soldati giunti persino dall'Egyptus, liberò Laodicea Ad Libanum e poi Hemesa, approfittando dell'assenza di Nitzamius che stava invece assediando la fortezza di Geroda, particolarmente resistente. Ad Hemesa, però, giunse in forze Guillelmus il Traditore, alla testa di 40000 seliacidi e della sua guardia di fedelissimi Romani, circa 1000: visto che erano stati un tempo alleati, chiese a Rogerius un incontro prima della battaglia, ma questi rifiutò, rimanendo fedele all'Impero. Nonostante il comportamento onorevole, i combattimenti durati giorni non arrisero a Rogerius che alla fine
dovette cercare di ritirarsi, perché ormai era chiaro che Guillelmus stava avendo la meglio. Ma non vi riuscì, e il Traditore ebbe successo nel trasformare la ritirate del nemico in rotta: Rogerius fuggì mentre Guillelmus ordinò ai suoi di non risparmiare nessuno, nonostante i suoi nemici fossero Romani come lo era stato anche lui un tempo. Rogerius si rifugiò prima a Damascus e poi a Hyerosolyma. Dopo questi fatti, Guillelmus acquistò una fama ancor più tetra e, agli occhi dei Romani di tutto l'Impero, soprattutto di quelli nelle capitali, divenne l'emblema del vero nemico, molto più di Arsanius, essendo questi,, in virtù del suo comportamento misurato e rispettoso delle diversità e del nemico, considerato un guerriero nobile e valoroso. Al contrario, Guillelmus incarnava ormai tutte i peggiori difetti che i Romani odiavano tanto. Nelle settimane successive, raggiunto anche da Nitzamius, riprese Laodicea Ad Libanium, Hemesa e poi si avviò verso la costa: sotto le mura di Tripolis, posta sotto assedio per la terza volta, egli diffuse comunicati ai suoi cittadini, invitandoli ad abbandonare i falsi Augusti e ribellarsi al loro giogo oppressivo.
Nitzamius, nel frattempo, pone sotto assedio Damascus, a metà October e, molto più a nord, i piccoli eserciti lasciati da Arsanius in Cilicia approfittarono della mancanza di decisione dei comandanti locali romani e si spinsero a Cæsarea Cappadocica. Nei mesi finali dell'anno, essi razziarono completamente la Cappadocia meridionale, occupando pure Tyana (che diedero alle fiamme) in September e Comana Aurea qualche settimana dopo: il triangolo di territorio che il possesso di queste città va a formare se si guarda una mappa della zona divenne così interamente territorio seliacide, anche se decine di villaggi restarono inoccupati e semplicemente isolati dal resto dell'Impero. Non ci volle molto, soprattutto d'inverno, prima che gli irregolari chorasmi penetrassero anche in queste valli, bruciando e saccheggiando tutto quello che incontrarono.
[1] Gabras si riferisce agli eventi del 1066/1819, quando Mauritius, durante le razzie, si era arroccato in città, senza difendere i contadi della provincia.
[2] Non è chiaro questo o di Gabras: non si capisce se avesse accesso a fonti che riportavano i commenti dei cittadini del Levante o se avesse dedotto, dagli eventi successivi, quello che provavano. È però vero che da sempre, tra i popoli dell'Impero, i levantini non avevano mai abbandonato una sorta di fiera autonomia e un orgoglio per la propria città e appartenenza a quella regione. In confronto alla ività di certi altri popoli romani, non sorprende dunque che le città e i villaggi della costa syriana e palestinese furono i primi e gli unici a ribellarsi apertamente, arrivando, come spiegherà anche Gabras, alla secessione dall'Impero, e al rifiuto di dirsi cittadini romani.
[3] Senza scendere troppo nei dettagli, concludo dicendo che, dopo mesi di tensione tra l'Augusto Henricus II e gli Ursi, l'Imperatore propose una serie di matrimoni tra le due famiglie così da legarne anche gli interessi e fondendoli in pratica in un'unica, e ancora più influente, gens. A questo punto, entrambe le parti si dissero d'accordo e Domenicus venne accettato come legittimo dux da tutti, permettendo alla flotta di ritornare in Syria e in Cilicia.
[4] Partavia però si trova in Albània, appena fuori dal confine di provincia con l'Armenia.
[5] Stephanus si rifugiò poi a Samandaria, sulla costa caspica della provincia di Cazaria.
[6] Curioso il fatto che Gabras dica “nostra” riferendosi a Tauris, una città che, al tempo, era stata romana solamente per novant'anni, senza romanizzarsi nemmeno superficialmente.
XXX
Della guerra: 1071/1824
All'inizio del nuovo anno, l'Augusto Henricus II, convinto di aver stabilizzato la situazione a Roma, si recò a Constantinopolis, dove credeva fosse meglio stare in un momento tanto delicato. Egli estese i provvedimenti di leva in altre province dell'Impero, per ricostituire velocemente degli eserciti con cui affrontare il nemico perché i primi sei anni di guerra (soprattutto il primo) avevano causato un'emorragia di forze legionarie e ausiliarie ben addestrate in tutto l'Oriente.
Arsanius tornò dalla Persia e raggiunge Guillelmus a Tripolis: dalle province più lontane del suo impero, il sultano aveva prelevato altri uomini e ora aveva di nuovo a disposizione più di 80000 soldati (questa volta provenienti anche dall'India) e persino molti elefanti.[1] Lasciato Guillelmus al suo assedio, egli si ricongiunse con Nitzamius, che per il momento venne rimandato in Persia per amministrarla. Arsanius entrò a Damascus, quando la guarnigione romana, vedendo il suo immenso esercito estendersi quasi fino all'orizzonte, decise di arrendersi e aprirgli le porte della città. Ancora una volta, impedì ai suoi soldati di razziare la città e ordinò che i luoghi di culto venissero rispettati tutti, cosa che ordinò di fare pure a Guillelmus, per non inimicarsi gli abitanti della regione costiera. Di nuovo incontrastato, poiché nessuna guarnigione nelle fortezze sulla strada osava intercettarlo, Arsanius avanzò fino a entrare in Palestina: in Aprilis, fece il suo ingresso a Cæsarea Philippi, e si inoltrò fino alle sponde del lago di Tiberias, attaccando la cittadina per far sfogare un po' i suoi. Furono moltissimi che, per sfuggire alle violenze, attraversarono il lago su piccole barche o persino a nuoto (o almeno ci provarono).
Senza perdere tempo, l'immenso esercito seliacide prese poi Schythopolis, visto che la città aprì le porte al nemico, e assediò Neapolis Palestinæ. Ad ogni modo, Arsanius aveva lasciato forti contingenti dietro di sé, per evitare di essere preso alle spalle, così che almeno ora non aveva con sé più di 60000 soldati, cifra comunque impressionante.
Sulla costa, Tripolis cedette finalmente alle forze di Guillelmus, visto che i rifornimenti delle navi di Domenicus non erano stati abbastanza efficienti, ma il Traditore parve ascoltare gli ordini di Arsanius e non si abbandonò alle sue solite efferatezze. In realtà, il suo comportamento celava una strategia ben precisa, poiché egli aveva intenzione di ritagliarsi un dominio personale nella zona, non poteva di certo inimicarsi troppo gli abitanti e, anzi, continuava in quei giorni la sua opera di convincimento e cattiva informazione nei confronti dell'Impero.[2]
In Egyptus, nel frattempo, era sbarcato Nicephorus Bryennius, con nuovi rinforzi da Cyprus, e con quelli di varie guarnigioni provinciali, era ora pronto a marciare verso nord, per dar man forte a Rogerius e tutti i difensori della Palestina.
A Constantinopolis, l'Augusto Henricus II riunì il Senato, conscio che ormai la situazione era disperata e bisognava impegnarsi a fondo per ricacciare il nemico lontano e sconfiggerlo. Con un discorso memorabile, dalle parole toccanti e profonde, un vero capolavoro dell'arte oratoria, l'Imperatore esortò tutti a mettere da parte le divergenze e gli egoismi che fino a quel momento aveva rallentato, se non paralizzato, la reazione romana. Sosteneva che altrimenti la guerra sarebbe già stata vinta e affermava che, da quel momento, sarebbero state prese misure eccezionali per dare la priorità su tutto alla conduzione delle operazioni militari. Ti consiglio davvero di andare a leggertelo per intero, mio lettore, perché poche volte in vita mia ho letto parole più sincere e ispiratrici di quelle pronunciate dall'Augusto quel giorno. Sfruttando a fondo le risorse dello Stato, l'Augusto Henricus II riuscì in questo modo a ricompattare l'esercito, demoralizzato e troppo a lungo lasciato a sé stesso, e inviò altri due legati in Asia Minor per dare il via ad una controffensiva
che aveva pianificato lui stesso insieme a loro.
Ognuno alla testa di 30000 soldati, tutti legionari provenienti dalle province di Achaia, Asia, Galatia, Paphlagonia e dalla stessa Cappadocia occidentale, i generali Alexius Comnenus e Nicephorus Botaniates avanzarono maestosamente in due diverse direzioni durante l'estate e scacciarono molti irregolari con la loro sola presenza.[3] Alexius si portò fino a Cæsarea Cappadocica dove affrontò prima un piccolo esercito nemico e lo sconfisse, poi, mentre si apprestava a porre l'assedio, venne avvicinato da un generale seliacide di cui le fonti non dicono il nome che cercò di scacciarlo da lì, seguito da circa 20000 soldati.[4] Ma finalmente fu un successo: Alexius sbaragliò il nemico e mandò in rotta il suo esercito. Anzi, no, egli uccise più di 15000 soldati nemici e il resto lo catturò quasi tutto, inviandolo subito nelle retrovie per essere schiavizzato e servire lo Stato romano. La sua vittoria fu totale e scoraggiò così tanto le truppe della guarnigione di Cæsarea Cappadocica che, dopo soli due giorni di assedio, queste si arresero, aprendo le porte della città. Alexius venne accolto come un eroe in trionfo.
Intanto a sud, anche Nicephorus Botaniates mieteva insperati successi. Avvicinatosi dalla strada lungo la costa a Tarsus, venne bloccato per qualche giorno da un piccolo esercito nemico di 5000 soldati che non voleva però, a ragione, ingaggiar battaglia. Fingendo allora di ritirarsi, Nicephorus indusse il comandante nemico a inseguirlo per colpire la sua retrovia, ma a quel punto diede l'ordine di contrattaccare, riuscendo in questo modo a devastare le fila seliacidi. A sera, quasi nessun soldato nemico era sopravvissuto. Devo dire che, al settimo anno di guerra, tra noi Romani c'era un forte desiderio di vendetta e, anche se questo non giustifica molti dei massacri compiuti dai nostri generali, è comprensibile il perché questi accaddero.[5] Assediò allora Tarsus, che cadde dopo sette giorni, e puntò su Adana, conscio di poter però essere attaccato dalla direzione di Tyana. Le notizie delle vittorie romane giunsero ad Arsanius come un fulmine a ciel sereno: dopo sei anni e mezzo di guerra, si aspettava che la capacità di resistenza
romana fosse perlomeno piegata, se non già spezzata, ma invece questi adesso stavano conducendo una controffensiva in grande stile che rischiava di vanificare tutti i progressi fatti nei due anni precedenti. Mandò allora a chiamare da Aspadana il fido Nitzamius e ordinò a Guillelmus di prendere il suo posto, lasciandogli anche una parte del suo esercito, nella marcia verso Hyerosolyma, con l'incarico di sconfiggere l'avanzante Nicephorus Bryennius, mentre lui si spostò rapidamente a nord, per contrastare almeno Botaniates.
Nel frattempo, conquistata Cæsarea Cappadocica, Alexius poté marciare sempre più a est, avvicinandosi ai confini dell'Armenia, poiché nell'area c'erano sì migliaia di bande di irregolari, guerrieri e piccole guarnigioni, ma nessun temibile esercito e nessun furbo generale nemico. Così, trascorse l'intero mese di Augustus, distruggendo le postazioni seliacidi in Cappadocia orientale e in Armenia occidentale, riprendendo tra l'altro possesso di Comana Aurea, Sobagena, Dalanda, e portando un po' di sollievo a città rimaste libere ma isolate, come Melitene. Alla notizia che Arsanius però stava avvicinandosi da sud, Alexius preferì spostarsi più a nord e per il momento liberare la zona di Trapezus dalle razzie e dai piccoli contingenti turchi che provenivano dalla Lazica.
Arsanius era più che deciso a ricacciare fuori dalla Cilicia, regione strategica, Nicephorus Botaniates: superati i i, nei giorni in cui Adana cadeva in mano del generale, ingaggiò con questi una violenta battaglia nei pressi di Mopsuestia e lo sconfisse. La sua fama di “massacratore di legati” crebbe ancora ma in realtà Botaniates non era sconfitto e si limitò a ritirarsi, e Arsanius non poté incalzarlo perché da nord stava tornando Alexius, convintosi di dover portar man forte a Nicephorus. Per non rischiare, Arsanius prese la decisione di ritirarsi. Era tanto temuto che anche una sua semplice mossa tattica veniva celebrata come un grande avvenimento.
Alexius, una volta che le truppe seliacidi ebbero oltreato le Porte della
Cilicia, si posizionò in zona, per impedire un loro eventuale ritorno, mentre Nicephorus, riorganizzatosi con rapidità, attaccò Tyana a nord e la costrinse alla resa. La Cilicia occidentale era di nuovo libera.[6] Mentre questi fatti accadevano, in Palestina Guillelmus aveva conquistato varie piazzeforti e si era pericolosamente avvicinato a Hyerosolyma, da nord-est ma in Augustus, sotto una calura infernale, si era dovuto scontrare con le forze di Nicephorus Bryennius e di Rogerius, il quale però era rimasto con quelle che gli erano rimaste in città. La battaglia di Archelais fu l'ennesimo disastro per Roma, arrivato come al solito in un momento in cui sembrava che le cose potessero davvero migliorare. Guglielmus infatti riuscì a infliggere una sonora sconfitta alle truppe di Nicephorus che, oltretutto, venne colpito da una freccia durante i combattimenti e morì a sera. Al termine degli scontri, inviando agenti al campo nemico, Gullielmus il Traditore riuscì persino a comprare, grazie all'oro seliacide, parecchi manipoli di ausiliari d'Ægyptus. La guarnigione della vicina Ierichus non cadde e non aprì le porte a Guillelmus che, allora, decise di attaccare finalmente Hyerosolyma, lontana ormai poche leghe a occidente. Roma aveva così perso un altro suo generale e, soprattutto, altre migliaia di soldati.
La fine dell'anno però riservò le sorprese più grandi. Guillelmus dunque aveva posto l'assedio a Hyerosolyma e Nitzamius era in zona e si era diretto subito a est del lago di Tiberias, attaccando Gamala e Hippus. Saputo della sconfitta e della morte di Nicephorus, Arsanius si sentì rinfrancato e di nuovo speranzoso di poter piegare le forze romane. Così, da Antiochia dove si era rifugiato a valutare la situazione, riprese a marciare, ma non verso la Cilicia attraverso i i, controllati, almeno due, da Alexius, il quale aveva per nostra fortuna ripreso anche Issus. Puntò allora su Germanicea, appiccando un incendio a Nicopolis Amanica: seguendo la sua solita strategia, il sultano sperava di attirare a battaglia in un luogo favorevole Alexius e sconfiggerlo come aveva fatto in precedenza con gli altri. Finora questo suo agire aveva sempre funzionato.
Alexius, saputo del nuovo avanzare di Arsanius, attraversò allora i monti Amanus, sbucando ad Aliaria e qui si fermò, aspettando che le spie del sultano lo avvistassero e lo comunicassero al loro padrone. Ormai a November inoltrato, Arsanius lasciò il contado di Germanicea e puntò verso sud, così che il 16, nei pressi di Aliaria, si combatté l'ennesima grande battaglia, o l'ennesimo grande massacro. In questa occasione, però, lettore forse non ci crederai, e dovrai rileggerei queste mie goffe frasi più d'una volta, perché quel giorno fu Alexius, e non Arsanius, a vincere e soprattutto fu l'esercito romano a mandare in rotta quello seliacide, guidato per di più dall'invincibile sultano in persona. Arsanius non era più invitto! Con le poche forze che gli rimanevano, e umiliato come mai prima di quel momento per lui così tragico, Arsanius riuscì a scappare e Alexius rinunciò a inseguirlo, forse sbagliando, catturando invece tutti gli altri, feriti e non, che non furono altrettanto rapidi a darsi alla macchia. La vittoria di Aliaria fu la vittoria che ci voleva per mantenere alto il morale della gente, e soprattutto dell'esercito, dopo tante sanguinose sconfitte, e dimostrò che il nemico poteva finalmente essere sconfitto e non era invincibile. [7] Tutto cambiò ancora una volta, in un anno che sembrava non dovesse finire mai. Arsanius, infatti, ordinò a Nitzamius di sostituire Guillelmus nella conduzione dell'assedio di Hyerosolyma, facendo tornare quest'ultimo invece a nord, per cercare di tamponare le falle provocate dalla sua stessa sconfitta. È risaputo come tutto ciò non fece piacere a Guillelmus, che non aveva nessuna voglia di tornare a nord, e voleva continuare a consolidare la propria posizione in Palestina, dove prospettava il proprio futuro dominio, ma pare che Arsanius, oltre ad avere davvero bisogno di aiuto, avesse voluto lui in quanto non si fidava ancora davvero e voleva metterlo alla prova un'ultima volta. Se avesse sconfitto Nicephorus Botaniates senza esitazioni, avrebbe goduto finalmente della sua fiducia incondizionata. Così Guillelmus si mise in marcia. Dovette fare presto, perché Nicephorus intanto aveva ripreso Alexandria Ad Issum e, sfruttando il momento, nonostante la neve sui i, aveva liberato anche quelli, a furia di durissimi combattimenti, e verso il 10 December, era apparso nei pressi di Antiochia.
Guillelmus arrivò cinque giorni dopo, impedendogli di porre l'assedio alla grande città. L'ultima battaglia dell'anno fu sfavorevole ai Romani, che persero più di 10000 soldati a causa di Guillelmus. Nicephorus, ancora una volta, dovette ritirarsi, ma il Traditore non lo inseguì, per ordine di Arsanius, che decise di chiudere l'anno senza ulteriori problemi.[8] Come si vedrà, si era giunti a uno stallo.
[1] Sembra un'esagerazione ma Gabras non si sbaglia. Anzi, con le truppe lasciate da Nitzamius in partenza, l'esercito di Arsanius che conquistò Damascus e scese a sud verso Hyeroslyma sfiorava le 100000 unità. Anche gli elefanti non sono un'invenzione, dato che in Persia e nei territori più orientali, quelli di confine con l'India, non si era mai persa l'abitudine di utilizzarli in guerra, cosa che nell'Impero invece era stata quasi del tutto abbandonata. Inoltre, l'impero seliacide commerciava, da una posizione di forza, con quel che rimaneva dell'impero ghaznavide, che presto sarebbe diventato a tutti gli effetti vassallo seliacide.
[2] Gabras non dice che, in effetti, Guillelmus intratteneva ormai rapporti con alcuni comandanti minori dell'esercito romano di stanza nelle fortezze della costa e con alcuni præfecti e demarchi nel tentativo di convincerli a sollevarsi contro l'Impero. In altre zone, per esempio a Sarepta, c'erano state contestazioni e parecchi episodi violenti e continuavano ad essercene un po' ovunque.
[3] Come si vedrà Alexius diventerà appunto l'Augusto Alexius I Comnenus, per cui non servono spiegazioni. Nicephorus Botaniates era invece un generale acheo, nato a Thessalonica da un'antica gens, i Botaniates, che traccia le sue origini al VII secolo A.D.
[4] In effetti, ancora oggi, non è stata ritrovata nessuna fonte che dica chi fosse questo innominato generale seliacide.
[5] Qui, Gabras sembra dispiacersi per la violenza inutile e gli eccidi a cui spesso i soldati vittoriosi, da entrambe le parti, si abbandonavano, ma in verità lui stesso condusse operazioni di guerra in cui non lasciava vivo nessun prigioniero, tanto che divenne famoso nell'Impero per la sua inflessibilità nei confronti del nemico. La sua intelligenza, come vedremo, però gli permise spesso di essere tra le persone più tolleranti e illuminate della sua epoca.
[6] In tutto questo aggio, Gabras non è molto chiaro e gli eventi sembrano susseguirsi uno dopo l'altro, quando invece occuparono buona parte dell'estate e dell'autunno: in principio, Alexius ò effettivamente circa tre settimane nel contado di Trapezus, liberandolo momentaneamente da varie bande ochuse e chorasme, ma, senza ricevere richieste di aiuto da Nicephorus, ad un certo punto aveva deciso di tornare a sud, immaginando che sarebbe stato più utile concentrare le forze, piuttosto che dividerle. Arrivò così nella settimana successiva alla battaglia di Mopsuestia, proprio mentre Arsanius stava incalzando Nicephorus per costringerlo ad un nuovo e definitivo scontro. Solo a questo punto, sentito dalle sue avanguardie a nord dell'arrivo di Alexius con più di 30000 uomini, il sultano ritenne opportuno riposizionarsi, evacuando per il momento la piana e ritirarsi oltre le montagne. Tyana cade il 30 September 1071/1824.
[7] Ancor oggi, ad Aliaria, c'è un monumento dedicato alla vittoria di Alexius su Arsanius, fatto costruire dal figlio e Augusto Iohannes III parecchi anni dopo, nel 1133/1886.
[8] Nicephorus Botaniates si ritirò per l'inverno ad Alexandria Ad Issum, che, nonostante il pattugliamento della flotta del dux Domenicus, venne colpita da alcuni attacchi seliacidi via mare, allo stesso modo di altre città
costiere di Syria e Cilicia, segno che essi stavano lentamente prendendo confidenza con la navigazione. Gabras non ne parla mai, forse dimenticandosene, ma anche parecchie cittadine del Pontus Euxinus, in Paphlagonia, Pontus e Bytinia, vennero colpite da questi attacchi, partiti da Dyoscurias e Phasis, ma qui, quasi sin da subito, le flotte della Classis di stanza a Trapezus, Constantinopolis e Chersonesus Taurica, soppressero la minaccia senza particolari problemi.
XXXI
Della guerra: 1072/1825
Ottavo anno di guerra. Nonostante i proclami ottimistici dell'Augusto Henricus II, la situazione non era ancora delle migliori. L'economia di tutto l'Oriente era severamente danneggiata e aveva indotto ad una flessione anche quella delle province vicine, costrette a furia di decreti imperiali a dirottare aiuti e derrate alimentari ai territori devastati dalla guerra ma ancora in mano nostra. La situazione militare era fluida e, anche se le continue sconfitte avevano provocato perdite vastissime, a cui l'Impero non era più abituato da secoli, il nemico non aveva ancora sfondato davvero, anche se, nel contempo, non aveva dato segni di voler cercare la pace. Quando si sarebbe fermato? Quando si sarebbe accontentato? Queste erano le domande che si chiedeva la gente.
Così, in parecchi accolsero con speranza e sollievo, l'inaspettata proposta di tregua avanzata dal sultano, quel Ianuarius, inviata al generale Alexius che a sua volta la inviò a Constantinopolis, dove sapeva che l'Augusto Henricus II stava ancora. In effetti, l'idea di una sospensione temporanea dei combattimenti non cadde dal cielo improvvisamente per Arsanius, che ci stava pensando da un po'. Aveva ottenuto più di chiunque altro tra i condottieri della sua gente ed era ammirato e amato ovunque nel suo impero. Ma la sua visita dell'anno precedente ad Aspadana, e nelle province vicine, lo aveva scosso perché aveva visto quanta povertà, e dunque quanta possibile rabbia nascosta, c'era tra la popolazione, vessata da anni di tasse e leve di uomini. Temeva che potessero scoppiare rivolte che lo avrebbero costretto a togliere soldati dal fronte con Roma, favorendo un ritorno di questa in Mesopotamia. Fatto ancora più grave, si era reso conto solo adesso, che Roma non aveva
intenzione di arrendersi, fosse anche rimasta con un solo uomo a difendere i suoi territori e la nostra concezione dello Stato lo aveva turbato, perché, pur essendosi informato e pensando di conoscerci prima della guerra, non si sarebbe mai aspettata tanta resistenza nonostante le enormi perdite subite. Altrove, in Transoxiana, in Chorasmia, o anche in India, una campagna di due anni contro lo stesso nemico era già ai limiti del pensabile e quasi 200000 morti tra soldati e civili avrebbero piegato anche la più bellicosa delle nazioni. Ma Roma no, Roma non si piegava e questo lo aveva fatto pensare...
Ad ogni modo, intanto che l'Augusto Henricus II riceveva la proposta e la valutava, la guerra continuava e Nitzamius non toglieva l'assedio a Hyerosolyma, disturbato solo ogni tanto dalle guarnigioni locali che attaccavano le sue retrovie. Guillelmus dovette invece rimanere ad Antiochia mentre Arsanius attendeva rinforzi dalla Persia, ma soprattutto riuniva le guarnigioni che aveva lasciato qua e là in Armenia, per la gioia di molte città romane, libere di nuovo, anche se nelle campagne e nelle valli, gli irregolari continuavano a fare il bello e il cattivo tempo. Alcune bande si erano ormai spinte tanto a nord da lambire i i del Caucaus che portavano in Alania, anche se, dato il loro numero esiguo, qui vennero sempre respinte e sconfitte.
Parlerò adesso di [...][1]
[1] Qui la narrazione si interrompe, lasciando il capitolo XXXI senza una fine. Segue infatti il XXXIII, come nulla fosse. Probabilmente a causa di un errore o di una dimenticanza i fogli che riguardavano la narrazione dei fatti del resto degli anni 1072/1825 e 1073/1826 non vennero copiati o vennero perduti, anche se si è certi che Gabras li abbia scritti, in quanto la frase si interrompe proprio all'inizio, e ignoriamo di cosa volesse parlare a questo punto. Anche più avanti, tra i capitoli XLVII e XLIX, e tra i capitoli LVI e LVII, ci saranno delle interruzioni. Per colmare la lacuna e permettere al
lettore di riprendere a leggere il capitolo successivo con cognizione di causa, esporrò qui brevemente gli eventi dell'anno in questione: una volta ricevuto la proposta, l'Augusto Henricus II la rigettò sdegnato e comunicò ad Alexius e a Botaniates di riprendere al più presto la lotta, inviando altre legioni prelevate dall'Italia e dalla Dalmatia, cosa che, in un clima già parecchio teso a causa della sua testardaggine e l'irriconoscenza nei confronti del patriarcha di Roma e delle altre famiglie che lo avevano aiutato, peggiorò la sua situazione nell'Impero. Arsanius, preso atto che i Romani non volevano nemmeno una tregua, ò alcuni mesi in disparte, ricostituendo l'esercito ma in estate avanzò in Armenia, conquistando Arsamosata e Melitene (qui, una delle poche volte durante il suo regno, si abbandonò ad eccidi e saccheggi), e penetrò in Cappadocia, devastandola. A loro volta, Alexius liberò parecchie città e assediò Edessa, senza però riuscire a prenderla a causa delle notizie delle distruzioni in Cappadocia. Nicephorus preferì aspettare perché sapeva che ancora un'altra battaglia persa e non avrebbe più avuto un esercito, quindi ò il resto dell'anno in Cilicia, limitandosi a dar la caccia agli irregolari. Guillelmus pure rimase piuttosto fermo, impegnandosi nell'attività parallela di rivoluzionario nel Levante, continuando a sobillare la rivolta nelle città costiere. Gli unici eventi degni di nota furono le continue interruzioni dell'assedio di Hyerosolyma, grazie all'eroismo e al coraggio dei comandanti locali che costrinsero più volte Nitzamius a riorganizzarsi grazie ai loro brevi e fulminei attacchi. In questo modo, nonostante fosse minacciata da più di un anno, Hyerosolyma era ancora intatta e in grado di resistere a lungo. Nitzamius, però, conquistò Ierichus e ne distrusse la guarnigione, non mostrando alcuna pietà. Sul finire dell'anno, Arsanius venne ferito da una freccia romana e lottò per qualche tempo tra la vita e la morte: anche per questo, a causa della sua convalescenza, l'anno successivo, il 1073/1826, fu caratterizzato ancora da uno stallo su parecchi fronti, anche se le forze di Alexius e le sue si affrontarono ancora parecchie volte, anche se mai in una battaglia campale. Una volta rimessosi, il seliacide devastò i contadi di Sebasteia, Satala, Zela, Amaseia, e molti altri luoghi, contribuendo al declino della provincia di Cappadocia e all'esodo di abitanti che ne seguì. Alexius liberò a sua volta Melitene, tentando un movimento avvolgente ma non ci riuscì e venne costretto a tamponare la situazione nella provincia. A Hyerosolyma, Rogerius ingaggiò battaglia con Nitzamius e riuscì ad allontanarlo temporaneamente a nord, tra il giubilo della cittadinanza. A questo punto, inviò richieste di rinforzi ai comandanti locali sulla costa, cosa che, però, fu la tanto temuta goccia che fece traboccare il vaso, provocano l'attesa
ribellione del Levante. Parecchie città, tra cui Berytus, Sidon, Tyrus, Cæsarea Maritima, esplosero in una violenza inusitata e allontanarono le guarnigioni romane, alcune volte persino le uccisero. Facendo la gioia di Guillelmus, alcuni dei præfecti invocarono la sua protezione, così che lui, disobbedendo agli ordini di Arsanius, lasciò sguarnita Antiochia e marciò a sud, lungo la costa, entrando in ciascuna delle città ribelle come un salvatore. Dato che ogni mossa di un contendente provocava una reazione da parte degli altri, come in una sanguinosa partita di scacchi persiani, Nicephorus Botaniates ne approfittò e attaccò Antiochia, mettendola sotto assedio, all'inizio dell'autunno. Saputolo, Nitzamius e un altro generale di nome Salomon (Suleiman), non si sa se appartenente alla famiglia di Arsanius, lasciando la Palestina, accorsero a liberare Antiochia da Nicephorus. Dopo una serie di scontri, ancora una volta Nicephorus si ritirò in Cilicia, permettendo a Nitzamius di tornare a sud, lasciando Salomon a proteggere la città e ad attaccare da terra Seleucia Pieria, che però non cadde.
XXXIII
Della guerra: 1074/1827
[...] In seguito agli eventi del nono anno di guerra, la situazione era ancora più o meno la stessa. Si cominciava infatti a percepire una certa stanchezza, non solo per le epidemie, la povertà e la carestia che dilagavano ormai come piaghe in tutto l'Oriente, ma soprattutto per la percezione che nessuno dei due schieramenti fosse davvero in grado di prevalere sull'altro e che, allo stesso tempo, nessuno dei due volesse anche solo pensare di cedere o chiedere una tregua. Così la guerra continuò, entrando nel decimo anno di violenza. In primavera, l'Armenia venne sconvolta dall'arrivo di 15000 nuovi soldati provenienti direttamente dalla Transoxiana, tra i quali, come giovane ufficiale, c'era anche il giovane figlio di Arsanius, Totasius. Questi uomini andarono ad aggiungersi alle forze del sultano, evidentemente pronto per una nuova offensiva, dopo lo stallo dei due anni precedenti.[1] In Lazica, però, sbarcò a Pityus, città non occupata dai seliacidi, il generale Constantinus Basilaca, inviato dall'Augusto Henricus II, insieme a 10000 legionari epiroti. Nel giro di un mese, egli tagliò fuori le città costiere in mano al nemico dall'entroterra, accelerando la loro caduta, mentre dal mare, la Classis impose un blocco e fece sbarcare altri uomini. In Maius, la costa della Lazica era di nuovo romana. Constantinus allora avanzò su Archæopolis, sconfiggendo il comandante seliacide locale e liberandola.
L'assedio di Hyerosolyma riprese sul finire di Ianuarius, quando Nitzamius era riuscito a respingere ancora una volta Rogerius e le sue forze. Alla battaglia, era presente anche un altro dei figli di Arsanius, che noi avremmo in seguito conosciuto col soprannome di Malicus.[2]
Sulla costa, Guillelmus era sempre più vicino al suo sogno di diventare rex del Levante: gli attacchi della Classis guidati da Domenicus e dagli altri ammiragli alle città ribelli non fecero altro che aizzare la popolazione contro il governo imperiale, additato come ingiusto e violento, e favorendo l'ascesa di Guillelmus che, per mesi, si mostrò affabile e disponibile, aiutando chi aveva perso tutto con le donazioni dell'oro di Arsanius. Però, non trascurò la guerra perché, facendo la spola tra Antiochia e Cæsarea Maritima, riuscì pure a conquistare Dora e Apollonia Sozusa, rimaste fedeli all'Impero. Alexius invece, sentito dell'arrivo di altri rinforzi dall'Oriente, rimase sulla difensiva, in Cappadocia, attendendo la prossima mossa di Arsanius e limitandosi a colpire i briganti e gli irregolari. Arsanius infatti era pronto per avanzare contro di lui, deciso a concludere una volta per tutte, ma la notizia della liberazione della Lazica da parte di Constantinus Basilaca, il quale a sua volta minacciava ora di scendere da nord e colpirlo alle spalle se fosse avanzato contro Alexius, lo fece tergiversare, convincendolo poi a cambiare obiettivo.
Con rapidità, ai primi di Iunius, Arsanius prese la via dell'Armenia, attraversando la Thospitis e raggiungendo la valle delle “cinque città”, già in mano seliacide. Da qui si spostò ad Abnicum per arrivare a Tiflis che rioccupò con facilità.[3] Non ò molto prima che da Mestleta si fece vivo il legatus Constantinus che non perse tempo e attaccò Arsanius. Sfruttando la presenza del fiume Cyrus, il sultano riuscì però a spingere le forze romane verso l'acqua, così che i goffi soldati epiroti, stretti da una parte dalla corrente e dall'altra dai seliacidi, divennero facili bersagli dei suoi arcieri e delle loro temibili frecce dalle punte di acciaio margiano[4]. Fu l'ennesimo disastro e, purtroppo, non fu l'ultimo. Molti vennero uccisi quel giorno, anche se Arsanius, forse mostrando pietà o, più facilmente, volendo tornare a sud per affrontare il suo nemico Alexius che stava sopravanzando verso la Thospitis, non volle approfittare della vittoria e non lasciò né guarnigioni per riprendersi la Lazica né ordini per annientare del tutto Constantinus Basilaca e il suo esercito. Abbandonati a questo punto a sé stessi, i soldati romani si sentirono sollevati di poter respirare un po', e soprattutto di essere sopravvissuti ad un incontro
ravvicinato con il sultano, ma il legatus Constantinus pretendeva invece che marciassero subito al suo inseguimento e lo attaccassero alle spalle, per rimediare all'onore perduto. I suoi uomini però non vollero per nessun motivo obbedire e ben presto tutto l'esercito si schierò contro il proprio generale che, invece di accondiscendere come fanno i grand'uomini e venire loro incontro come aveva fatto persino il più grande di tutti, Alexander, si impuntò minacciando punizioni severe. Non mi è chiara la sequenza degli eventi, ma durante l'ennesimo litigio con alcuni manipoli, le cose dovettero essergli sfuggite di mano perché venne picchiato dai suoi stessi legionari che, a quanto si dice, accortisi di quello che avevano appena fatto, con la condiscendenza degli altri ufficiali, decisero infine di ucciderlo per impedirgli di riferire quel grave atto di insubordinazione. Ah! Sempre più in basso!
Risolto anche nel Caucasus, rimaneva ad Arsanius solo il problema costituito da Alexius, il quale durante la sua assenza era avanzato, abbandonando la Cappadocia, fino ad Amida e l'aveva posta sotto assedio, dopo averne liberato le campagne dai piccoli manipoli che avevano inutilmente tentato di opporsi a lui. Nei giorni in cui seppe che Arsanius era ormai in arrivo e aveva raggiunto le sponde settentrionali del lago Thospitis, ordinò allora un ultimo assalto e questo, fortunatamente, fu quello buono: la città venne ripresa, anche se i combattimenti per la conquista della cittadella furono piuttosto duri, e nessuno dei soldati seliacidi venne risparmiato questa volta. Anzi, come misura di intimidazione, Alexius fece barbaramente fissare su più di duecento picche piantate nel terreno le teste di molti soldati nemici decapitati, in modo che qualunque esercito sopravanzante, compreso quello di Arsanius, non avrebbe potuto non vedere l'orrenda scena. Fatto questo, e lasciati degli uomini ad Amida, si ritirò verso sud, in direzione di Anastasiopolis.
In Asia Minor, il fin troppo giovane magister della provincia d'Asia, e pure generale, Nicephorus Melissenus, incaricato dall'Augusto Henricus II di portare altri rinforzi al fronte, avanzava a grandi i verso la Cappadocia.[5] Senza brillare troppo, egli liberò i contadi di parecchi villaggi della Cappadocia e della
Paphlagonia meridionale e si attestò nei pressi di Cæsarea Cappadocica, invece che portare rinforzi ad Alexius.[6] Questi, finalmente, incontrò Arsanius, a poche leghe ad occidente di Anastasiopolis: il sultano era furibondo per il trattamento riservato dal generale romano ai suoi soldati e sdegnato per il fatto che lui, un barbaro secondo il nostro modo di vedere il mondo, quasi mai aveva permesso ai suoi di sfogarsi in violenze gratuite e, sicuramente, mai aveva compiuto un gesto tanto atroce, in spregio agli uomini e a Deus. Così, Arsanius affrontò la battaglia, evidentemente, con maggior rabbia e spirito guerresco perché fu chiaro sin da subito che i legionari di Alexius non avevano questa volta nessuna possibilità: le ali di cavalleria vennero quasi subito disfatte da quelle seliacidi e l'esecuzione perfetta degli ordini del sultano portò rapidamente allo sfondamento delle linee centrali, quelle che, teoricamente, avrebbero dovuto reggere più a lungo di tutte e affondare il colpo decisivo. Dopo sole tre ore di battaglia, l'ennesima ecatombe si era consumata. Cambiava solo il luogo, ma sembrava di assistere allo stesso spettacolo, di leggere lo stesso libro o di ascoltare le stesse parole. Anzi, questa volta fu decisamente peggio, perché questa sconfitta portò con sé eventi previsti e imprevisti, facendoli arrivare alla superficie più rapidamente che se non fosse accaduta. Alexius, persi praticamente tutti gli uomini (quasi 30000!) fuggì, come gli altri generali prima di lui avevano già fatto, e si diede alla macchia, da qualche parte tra le valli del nord, e Arsanius toccò tra i suoi e pure tra noi il culmine della fama e della gloria. Il fronte, rapidamente crollò, permettendo a lui e agli altri comandanti di riconquistare ancora una volta il terreno perduto e di conquistare nuove città, avanzando pericolosamente in ogni direzione, incontrastati su ogni fronte. Questo perché le conseguenze più gravi accaddero al Sacro Palazzo di Constantinopolis, dove l'Augusto Henricus II, scosso dall'inaspettata sconfitta di quello che riteneva il suo miglior generale, venne contestato apertamente e ricevette preoccupanti notizie di congiure e complotti (chissà se veri) mettersi in moto a Roma. Così, l'Imperatore lasciò la capitale e tornò in Italia, per affrontare i propri nemici e la sua partenza, ne sono certo, contribuì ancora di più ad abbassare il morale di tutti, già duramente provato.
Non starò qui a descrivere ora gli accadimenti d'Italia, perché, pur strettamente collegati ai fatti di guerra in Oriente, non riguardano davvero la descrizione degli eventi bellici. Ti basti sapere, lettore, che la corruzione e la decadenza erano arrivati a tal punto, a Roma, che persino il nuovo patriarcha, un certo Althiprandus, si era messo ad aspirare alla porpora, in combutta con famiglie congiurate come i già citati Actones. Per questo, l'Augusto Henricus II iniziò una battaglia contro di loro, confiscando chiese e beni ecclesiastici e cercando in ogni modo di spegnere le proteste e le lamentazioni che si sollevavano da tutte le parti contro di lui, accusato di non essere in grado di condurre efficacemente la guerra e che le disfatte erano colpa sua. Oh, non c'era offesa più grande per lui che tacciarlo di incompetenza nelle cose militari![7]
Come detto, il fronte crollò in breve tempo. Arsanius devastò l'Armenia del sud, espugnando le fortezze che in quegli anni lui e i suoi generali avevano sempre ignorato e poi si diresse in Cappadocia, per occuparla una volta per tutte. Il pavido Nicephorus Melissenus, saputo della disfatta di Alexius, preferì ritirarsi, e dunque quando Arsanius giunse a Cæsarea Cappadocica, la trovò indifesa e la fece occupare da una sua guarnigione, almeno senza spargere sangue. Ma si mise a inseguire il generale, approfittandone per guadagnare altre posizioni: Zorous, Nyssa, Andrachia, Galea e Aspona vennero tutte razziate e conquistate. Avvicinatosi ad Ancyra, però, preferì non avanzare oltre per il momento.
Nitzamius continuava l'assedio di Hyeroslyma, sempre meno contrastato dalle forze locali, senza una guida e senza peraltro molti uomini a disposizione. Rogerius, all'interno delle mura, fece il meglio che poté ma era chiaro che, se nessuno fosse venuto ad aiutarli, la città sarebbe presto caduta. Ad ogni modo, dopo più di sette mesi di assedio più o meno continuo (e altri negli anni precedenti), Hyeroslyma resisteva ancora, fieramente. A est, un esercito minore conquistò Bostra Traiana, razziando i villaggi vicini.[8]
Guillelmus espugnò Iamneia e Azotus, guadagnando inoltre l'appoggio di Ascalon, il cui præfectus, un certo Vigilius, lo accolse a braccia aperte e, a
quanto si sa, fu il primo dei levantini a proporgli di fondare uno stato nella zona. Può darsi che questa notizia sia falsa, aggiunta in seguito da Guillelmus stesso e la sua gens, ma effettivamente in questi anni, il Traditore si adoperò moltissimo per preparare il terreno alla sua ascesa come rex della regione. La marina romana, nel frattempo, eccetto qualche attacco costiero, non riusciva a coordinarsi e stava perdendo il controllo della situazione.
Furono però gli eventi dell'autunno a cambiare le sorti del mondo: se qualche mese prima, Alexius era stato sconfitto e la sua stessa carriera di generale sembrava finita, anche per il fatto di essersi dato alla macchia, ora tornò alla ribalta e con le sue azioni da questo momento in poi contribuì, concedimelo lettore!, a porre fine alla guerra. Certo ci sarebbero voluti ancora molti anni, ma tutti sono concordi nel dire che senza l'ascesa di Alexius Comnenus ai vertici dello Stato, molto probabilmente l'instabilità che da troppo tempo indeboliva l'Impero ci avrebbe condannati ad un'atroce sconfitta o, peggio, all'annientamento da parte del nemico.
Ebbene, in September, Alexius riapparve in Lazica e da Phasis si imbarcò, insieme ad un gruppo di fedelissimi ufficiali e soldati, per Constantinopolis. Qui, senza più la presenza dell'Augusto Henricus II (a Roma e impegnato sempre di più nel contrastare le famiglie di latifondisti e gli ecclesiastici che ormai lo consideravano un vero e proprio nemico, in un clima da guerra civile non ancora, per fortuna, combattuta), Alexius aveva parecchi appoggi visto che la sua gens era già da tempo influente e ricca. Inoltre, il carattere dell'Augusto Henricus II, anche se in principio era piaciuto perché sembrava deciso e capace di contrastare i seliacidi, ora era ritenuto fastidioso e arrogante, e la volontà che la porpora, dopo il fallimento di un Imperatore occidentale, tornasse al più presto in città, era ancora forte. Per tutti questi motivi, sembra pure corrompendo le scholæ del Sacro Palazzo, Alexius riuscì inaspettatamente a prendere il controllo della capitale, molto più abilmente e senza quella rozza violenza e barbara ira che aveva contrassegnato il tentativo di usurpazione di Guillelmus, qualche anno prima.[9] Certo era ancora un usurpatore, e tecnicamente lo sarebbe stato a lungo, ma
senza spargere altro sangue, Alexius era riuscito a farsi proclamare, dopo le prime incertezze, Augusto dell'Impero.[10] Nel giro di poco, la notizia si diffuse nell'Impero così che praticamente tutte le province considerate orientali accettarono di buon grado l'ascesa del generale, mentre quelle occidentali, ormai sempre più rette dalle grandi famiglie latifondiste come gli Actones, rifiutarono la cosa, gridando al tradimento e all'usurpazione. I tempi della guerra civile erano ormai arrivati? Perdonami, lettore, se anche in questo caso non approfondisco e un po' evito di farlo per limiti personali. Non sarei davvero capace di spiegare per filo e per segno ogni momento dell'ascesa dell'Augusto Alexius, anche perché mi porterebbe via troppe pagine alla narrazione che voglio continuare a scrivere con uno stile quanto più asciutto e controllato mi riesca, pur sapendo, ti ripeto, di non essere un vero scrittore!
La notizia dell'ascesa di un anti-Imperatore sconvolse l'Impero, favorendo ancora di più Arsanius e le sue armate. L'Augusto Henricus II, dopo aver ato giorni, come faceva spesso, nel Palazzo a inveire contro i suoi nemici e la stupidità del popolo romano, sembrò rassegnarsi e arrendersi. Si dice che alle persone più vicine a lui, compresa la moglie, confidasse di stare aspettando il proprio sicario che ponesse fine alle sue miserie. Fu una fortuna per lui che giunse a Roma, proprio a fine anno, il magister della Gallia Lugdunensis, Rachimundus, che lui stesso aveva voluto alcuni anni prima.[11] Questi, che si sarebbe dimostrato uno degli uomini più importanti per l'Impero, nonostante non sarebbe mai stato un militare del genio di Alexius o Arsanius, riuscì a risvegliare lo zelo e la volontà nel giovane, depresso Imperatore, ottenendo così il comando di un esercito di truppe scelte con le quali sarebbe salpato da Ravenna per attaccare Constantinopolis e arrestare l'usurpatore.
Mi sono dimenticato di dire che, probabilmente, lo stato di scoramento dell'Augusto Henricus II fu dovuto anche ad altre notizie provenienti dall'Oriente: alla notizia infatti che un anti-Imperatore aveva usurpato il trono, il vile Nicephorus Melissenus si ribellò anch'egli a qualunque governo fosse ora
quello legittimo, non riconoscendo Alexius né l'Augusto Henricus II, ma anzi, proclamandosi, rex di Cappadocia. Poche settimane dopo, sempre sul finire dell'anno, e forse in combutta con questi, anche Nicephorus Botaniates, fino a quel momento rimasto arroccato e tranquillo in Cilicia, fece lo stesso, a sua volta autonominandosi rex di Cilicia. Il peggio era dunque giunto.[12]
Gli ultimi giorni dell'anno, infine, Guillelmus conquistò Gaza, la cui guarnigione ò ai suoi ordini senza protestare e gli giurò fedeltà. Sembrava chiaro a tutti che il tessuto sociale dell'Impero fosse ormai irrimediabilmente lacerato e che l'essere “Romani” non contasse più nulla. Ognuno faceva da sé.
[1] Totasius è la latinizzazione di Tutush, il cui nome completo, secondo le fonti persiane, era Abu Sa'id Taj ad-Dawla Tutush. Dovrebbe essere il secondogenito di Arsanius.
[2] Malicus è la latinizzazione di Malik, titolo che significa rex. Il suo vero nome era, secondo le fonti persiane, Jalal al-Dawla Mu'izz al-Dunya Wa'ldin Abu'I-Fath ibn Alp Arslan, anche se assunse il nome da regnante, una volta diventato sultano di Malik Shah.
[3] Per “valle delle cinque città”, Gabras intende di sicuro la piana su cui sorge Artaxata, capoluogo della provincia d'Armenia. Cuore storico della regione, le cinque città sono Artaxata, Armavira, Duvius, Kainepolis e, situata in una valle laterale, Gornæ. Nel 1074/1827 tutte erano già cadute in mano seliacide.
[4] Si nota qui l'abitudine dell'epoca di scrivere frasi fin troppo convolute. Il riferimento all'acciaio margiano è però interessante, e si riferisce alla
regione dell'Asia centrale, già visitata da Alexander, e all'epoca sotto il dominio seliacide, dove si producevano appunto armi particolarmente belle e soprattutto affilate. Durante il periodo di conflitti contro i seliacidi, le “frecce d'acciaio margiano” divennero il simbolo del nemico e l'emblema della paura che esso suscitava.
[5] Non si può ignorare qui l'ironia, mista al fastidio, di Gabras nel giudicare la figura di Nicephorus Melissenus Flavius, all'epoca trentenne esponente della potentissima gens Melissena-Flavia (anche se con la vera Flavia probabilmente non c'era granché in comune). Data la sua giovane età, e la posizione già raggiunta, Gabras assume (a ragione) che non Nicephorus non fosse magister per meriti propri ma piuttosto grazie all'influenza che la sua gens aveva a Constantinopolis, e in generale nell'Impero, visto che lo stesso Augusto Henricus II si era intrattenuto spesso con alcuni dei suoi esponenti. I Melisseni-Flavii erano di origini asiatiche e possedevano infatti la maggior parte delle loro terre a Doryleum, in Asia.
[6] Non sappiamo quali erano gli ordini di Nicephorus, magari aveva il semplice compito di rendere sicure le retrovie appena liberate da Alexius, senza portargli però soccorso. Il commento di Gabras è fuori luogo, in questo caso.
[7] Il patriarcha Althiprandus, centonovantacinquesimo patriarcha di Roma, fu in effetti una figura controversa e, per quanto riguarda l'ambito strettamente religioso, molto importante. Nacque a Suana, in Italia, nel 1020/1773 e per parecchio tempo si dedicò energicamente agli studi di teologia e filosofia, senza però dimenticare, cosa inusuale per un religioso, di approfondire la conoscenza delle dinamiche del potere. Si capisce da come lo presenta che Gabras lo considera un altro di quelli che contribuirono, con i loro egoismi, a precipitare l'Impero nella crisi, ma non è esatto dire che egli cercò di usurpare la porpora. In realtà, egli, alleandosi con gli Actones, proprio come il suo predecessore, e con altre famiglie occidentali, voleva
emancipare la Chiesa dal giogo del potere augusto, poiché riteneva che il patriarcha di Roma dovesse avere molti più poteri e che, ad ogni modo, le sfere di competenza dell'Imperatore e della Chiesa dovessero essere separate e diverse, e che l'Augusto non fosse davvero il protettore della Fede, ma che anzi fosse subordinato al patriarcha, vero vicario di Deus nel mondo terreno. Le sue posizioni gli guadagnarono opposizioni e critiche profonde anche da parte degli altri suoi colleghi, soprattutto da quello di Constantinopolis, ma, grazie alla favorevole congiura storica, Althiprandus riuscì effettivamente a conquistare un potere che, prima di lui, nessun altro patriarcha era riuscito a guadagnare ed è per questo che molti tra i suoi detrattori e anche qualche storico serio lo hanno accusato di aver usurpato la porpora, cosa che, ripeto, non accadde mai. Certo è che, in quegli anni, i cittadini di Roma lo chiamavano il “cæsar”. Non fu lui, nella storia dell'Impero, il primo a riunire ufficialmente e apertamente i poteri spirituale e temporale, senza essere semplicemente (come lo è l'Augusto) reggitore di quello temporale e protettore di quello spirituale, assumendo quel titolo noto come cæsaropapa. Ma questa è un'altra storia.
[8] Non è noto il nome del comandante che conquistò Bostra Traiana.
[9] Qui non è troppo velato la frecciata che Gabras, forte sostenitore della gens Comnena e fedelissimo dell'Augusto Iohannes III, riserva a Guillelmus, considerato ormai alla stregua di un barbaro per aver tradito le sue origini romane.
[10] Si riferisce al fatto che, ufficialmente, l'Augusto Alexius I Comnenus divenne tale, pienamente riconosciuto ed eletto da entrambi i Senati solo nel 1100/1853, quando riuscì a riunificare l'Impero. Tra il 1074/1827 e quella data, egli esercitò il potere come un Augusto, tanto che nell'elenco ufficiale degli Imperatori, gli Augusti del periodo (noto come “Lungo Interregno”) sia ad Oriente che ad Occidente non vengono comunque considerati usurpatori. Però, è pur vero che ottenne piena legalità solo molto tempo dopo. Nella lista ufficiale, Alexius I Comnenus Augustus è il
centotrentaseiesimo Imperatore di Roma.
[11] Rachimundus Aurelius Pontius era magister di Gallia Lugdunensis dal 1069/1822, membro di una delle ricche famiglie di latifondisti occidentali. Il suo senso dello Stato fu però sempre enorme e combatté per tutta la vita per l'Impero, contribuendo non poco a far vincere a Roma la guerra. Nacque a Tolosa.
[12] Il perché i due generali siano arrivati, oltre a non riconoscere l'autorità di Alexius, a rendersi del tutto indipendenti e ribellarsi al governo dell'Augusto Henricus II è sempre rimasto un mistero, soprattutto per il fatto che scelsero di diventare reges, titolo aborrito da sempre nella concezione romana del potere e, comunque, considerato inferiore a quello di Augusto. Se di Guillelmus sappiamo di più e possiamo capirlo anche conoscendo la sua personalità, non possiamo dire lo stesso dei due generali.
XXXIV
Della guerra: 1075/1828
Il nuovo anno, devo ammetterlo, iniziò con una buona notizia. Nonostante la stagione, l'esercito di Nitzamius venne improvvisamente colpito da un'epidemia che costrinse la maggior parte dei suoi uomini a are ore in bagno (!) e fece sospendere l'assedio. Si dice che anche lui ne fu colpito e che dovette adattarsi come meglio poté a farla tra le rocce del deserto fuori le mura! Ah! Se solo fosse vero! Ad ogni modo, in città non si perse tempo e, mentre nei monasteri e nelle chiese si pregava e ognuno invocava il proprio dio, Rogerius tentò una sortita che, con gran gioia di tutti, riuscì e per poco non provocò la morte del visarius. Voglio pensare che all'arrivo dei nostri, fosse seduto a fare i suoi bisogni! Le nostre truppe devastarono le fila nemiche, indebolite dalla pestilenza che già qualcuno attribuiva all'intercessione divina (io non credo), provocando moltissimi morti tra i seliacidi. Nitzamius e gli altri scapparono, in rotta. Per un'insperata svolta degli eventi, stavolta che sfuggivano al dominio dell'uomo, Hyerosolyma era di nuovo libera e, anzi, ora Rogerius poteva persino sperare di avanzare a nord e riconquistare parte del territorio perduto. Inviò infatti subito richieste di rinforzi a Constantinopolis (lui riconsceva Alexius come Augusto) e al magister d'Ægyptus. Questa guerra fu ben strana. Sembrava succedesse sempre così: ogni due o tre disfatte subite dai nostri, accadeva qualcosa che per mesi ci faceva ritornare a galla, impedendo ai seliacidi di infliggerci il colpo finale, per tacer di Arsanius che, probabilmente, si fece venire il fegato blu dalla rabbia e dalla frustrazione per tutte le occasioni non colte e per la nostra, quasi inspiegabile, resistenza a oltranza. Anche se rimane un personaggio stimato, ben gli sta![1]
A Constantinopolis, mentre si aspettava l'arrivo della flotta di Rachimundus con soldati che invece di far la guerra civile avrebbero potuto essere inviati a combattere il vero nemico, Alexius favorì il patriarcha cittadino e la Chiesa, trovando il suo appoggio, e soprattutto mettendosi d'accordo con la gens dei Ducas affinché, di lì a qualche anno, quando sarebbe cresciuta ed entrata in età da matrimonio, la nipote dell'ex Augusto Iohannes II, Irene Ducæna, gli sarebbe andata in sposa, andando così a unire le due famiglie in un asse politico molto potente. Tutti sapranno poi che la bella Irene fece innamorare veramente l'Imperatore e i due ebbero un matrimonio molto felice. Ci si dimentica sempre che Alexius era stato elevato al rango di legatus, come Nicephorus Melissenus, all'età di diciannove anni, senza nessun merito precedente se non l'appartenenza ad una gens già ricca e potente. A differenza del Melissenus, però, che fu un altro Traditore, Alexius dimostrò a tutti di essere davvero molto abile e veloce d'ingegno, tanto che qualcuno arrivò a chiamarlo “Octavianus”, seppur informalmente, alludendo alla precocità dei suoi talenti. In realtà, a diciannove anni era già un perfetto uomo che sapeva cosa voleva e, anche se subì quella disfatta nei confronti di Arsanius, fu sempre intelligente e deciso in quello che faceva e i soldati, ben presto, si affezionarono a lui e lo seguirono ovunque.
Tornando alla guerra, però, devo dire che Arsanius inviò ambasciatori ai due reges traditori, prospettando loro un'alleanza che, essi, nella loro bassezza morale, accettarono subito.[2] A questo punto, come Guillelmus, si diedero alle razzie e alla conquista dello stesso territorio romano, dimenticando dalla sera alla mattina di esserlo stati anche loro, e accanendosi su persone innocenti che cercavano solo di scappare: Melissenus conquistò in primavera Aquæ Saravenæ, Sacoena, Therma e Tabia, insieme a varie altre fortezze, dirigendosi verso Sebastopolis che, in Iunius, sarebbe diventata la sua capitale; Botaniates, dalla sua capitale a Tarsus, attaccò Pompeiopolis, Calanthia, Sebastia e Diocæsarea. Entrambi si abbandonarono a violenze del tutto gratuite. Da sciocchi qual'erano, si sforzarono di ingrandire i loro domini, non sapendo che in realtà ingrandivano solamente l'impero dei seliacidi di Arsanius! Che stupidi!
Arsanius nel frattempo occupò la metà orientale della Paphlagonia e per qualche tempo provò pure ad assediare Trapezus, anche se data la resistenza della marina romana, si decise a cambiare obiettivo, accanendosi allora su Amaseia, che cadde nelle sue mani ai primi di Iulius.
Accenno solo ai fatti d'Occidente: la spedizione navale di Rachimundus fu un fiasco, a causa di una tempesta che spinse l'intera sua flotta contro la costa e uccise più di 10000 soldati e cavalli. Sbarcato con le poche forze ancora a disposizione, il testardo gallo non rinunciò però a combattere contro l'esercito inviato da Alexius e guidato dal generale Seianus che lo sconfisse, imprigionandolo e portandolo a Constantinopolis. Alla notizia, anche i magistri di Dalmatia, Epirus, Pannonia e Sarmatia arono dalla sua parte, inviandogli lettere di sottomissione.
Arsanius, per l'ennesima volta, cambiò strategia. Raggiunto da Nitzamius che chiese perdono per il fallimento ignominioso davanti a Hyerosolyma, lo perdonò e si diresse con lui proprio a sud, con l'obiettivo di prendere la sfuggente città una volta per tutte. Caduta Hyerosolyma, il potere romano in Oriente sarebbe svanito e finalmente avrebbero potuto pensare realisticamente di invadere l'Ægyptus, il Tesoro, come lo chiamavano.
In Palestina, Rogerius era riuscito in qualche modo ad avere dei rinforzi, peraltro non consistenti, e aveva ripreso Ierichus, varie fortezze, Philippeia e Scythopolis, sfruttando il fatto che, in assenza di Nitzamius o Arsanius, ben pochi comandanti seliacidi erano davvero in grado di contrastare i soldati romani, anche se questi erano deboli, scoraggiati e dovevano avanzare in una regione ormai sull'orlo del collasso sociale.
Senza altri scossoni sugli altri fronti, Arsanius e Nitzamius giunsero nei pressi del lago di Tiberias a September, e qui, mentre il visarius riconquistava i bastioni
e le cittadine liberate in quei mesi da Rogerius (ritiratosi a sud non appena saputo del loro arrivo), Arsanius avanzò con rapidità fino alle mura di Hyerosolyma: per l'ennesima volta, i seliacidi posero l'assedio attorno alla città ma stavolta Rogerius disperava dal farcela poiché nessuno sembrava in grado di portare aiuti e le fortune del destino non capitavano mai due volte di fila.
Infine, in Italia, non so bene dove ma del resto nessuno lo sa, gli esponenti delle famiglie più potenti d'Occidente si riunirono in segreto per decidere come procedere contro l'Augusto Henricus II, il cui potere ormai era ai minimi storici, e che, dopo il fallimento di Rachimundus, aveva perso anche quel poco di credibilità che gli rimaneva. Forse, l'Imperatore percepì davvero che stava giungendo la fine perché fece allontanare la cæsarissa consorte e i figli, mandandoli lontano.[3] Venne deciso che prima il patriarcha Althiprandus lo avrebbe scomunicato, incolpandolo di strane simpatie nei confronti dei nemici infedeli (mi duole riportare come stesse diffondendosi sempre di più l'insofferenza religiosa e l'estremismo, due aspetti assolutamente estranei, fino a quel momento, alla romanitas), e poi dei sicari lo avrebbero eliminato, cercando di far are l'assassinio per un incidente. A quel punto, dato che non avevano altri rivali perché in pratica controllavano metà Impero, quelle famiglie avrebbero eletto nuovo Augusto Gothus Fridus, marito della potente Mathilda, che seppur donna, era riuscita grazie ai propri averi e soprattutto al forte carattere, a dominare la propria gens. Senza dilungarmi troppo, Althiprandus scomunicò l'Imperatore, il quale, in un ultimo moto di rabbia, ordina di fare arrestare il patriarcha, inviando i soldati a marciare sulla basilica di Sanctus Petrus e prelevarlo dai suoi appartamenti, ma, grazie all'appoggio degli Actones e delle altre famiglie ormai tutte schierate soprattutto per il fatto che l'elezione di Alexius non era riconosciuta, le truppe non poterono eseguire gli ordini perché bloccate dai sostenitori del patriarcha, scesi in strada aizzati dai sobillatori di Mathilda, la vera giostraia di quegli eventi. In breve, mentre il caos si diffondeva a Roma, come da tempo non succedeva, l'Augusto Henricus II capì che doveva scappare e si diresse al più presto a Ostia dove, però, appena prima di salire su una nave che l'avrebbe portato in salvo, venne catturato dagli uomini degli Actones.
Nel giro di qualche ora, il Senato riunito elesse Godefridus, nuovo Imperatore di Roma, che, per ragioni di prestigio, cambiò leggermente il proprio nome di origine germanica in Gothus Fridus.[4] L'Impero ora aveva due Imperatori, anche se in realtà non ne aveva nessuno.[5]
[1] Questo o mi ha sempre divertito. Il tono e le espressioni che usa qui tradiscono la vera natura di Gabras: non quella di supposto storico e imitatore di stili, ma militare focoso e sanguigno, abituato al gergo basso e informale dei soldati e delle bettole.
[2] Qui Gabras parla come uomo del suo tempo ma è probabile che, per perseguire i propri scopi, i due generali fossero costretti ad allearsi con Arsanius, che avrebbe potuto spazzare via i loro domini con molta meno fatica rispetto a quando non erano semplici generali di Roma.
[3] L'Augusto Henricus II si era sposato giovane per volere degli stessi Actones con una ragazza di una gens del nord Italia, Berta Flavia, che, al 1075/1828, gli aveva già dato quattro figli, anche se uno era morto dopo pochi giorni. I tre rimanenti erano Adelais, Agnes e Coneradius. Nonostante pare che i rapporti con la moglie, forse anche a causa del suo carattere rubicondo e incostante, non fossero dei migliori, e pur temendo che lei potesse tradirlo proprio per il fatto che il matrimonio era stato contratto su insistenza degli Actones, ora suoi nemici, l'Augusto Henricus II mandò anche lei via, in salvo, dimostrando in fondo di volerle bene. Gabras non lo sa perché la storiografia lo avrebbe scoperto dopo, ma la famiglia imperiale venne mandata in un primo momento proprio nello stesso monastero sul lago Eridium in cui era cresciuto lui stesso da piccolo. A volte la storia si ripete davvero.
[4] Come già accennato, a causa del “Lungo Interregno” e poiché, pur non dividendosi in due parti distinte perché nessuno dei due Augusti rinunciò mai all'unità dell'Impero, limitandosi a reclamare anche la parte non sotto il suo diretto controllo, gli Imperatori del periodo, sebbene eletti da un solo Senato, rientrano ufficialmente nella lista degli Augusti dell'Impero Romano: Flavius Aurelius Gothus Fridus I Actonius Augustus fu dunque il centrotrentasettesimo Imperatore di Roma.
[5] Gabras a direttamente all'anno successivo e in effetti non accadde più nulla di davvero rilevante. Gli unici fatti di una certa importanza furono la caduta di Petra, di Aurea (al tempo Auara) e di tutta la strada che conduceva ad Aleana (il cui nome ufficiale fino al VI secolo A.D. fu Ælana). Aleana venne razziata sul finire dell'anno anche se, a causa del terremoto del 1068/1821 era stata quasi del tutto abbandonata e già colpita spesso, così come la costa araba e quella egizia dai pirati arabi, alleati e non, dei seliacidi.
XXXV
Della guerra: 1076/1829
Mentre nel nord, i reges continuavano le loro turpi campagne per ingrandire quei loro regni fittizi, e gli irregolari ovunque, da Trapezus all'Albània, si davano ai saccheggi e le razzie, l'assedio di Hyerosolyma procedeva e ormai tutto lasciava pensare che in poche settimane la città sarebbe caduta. Nitzamius riprese Scythopolis, la cui guarnigione, fedelissima a Rogerius, si batté con furia per non cedere fino all'ultimo, e anche Philippeia, spingendosi poi a Gerasa, la quale però resistette per tutto il mese di Aprilis.
Sulla costa, quello che ormai tutti si aspettavano avvenne: durante una solenne cerimonia nel palazzo dell'ex præfectus di Cæsarea Maritima, Guillelmus incontrò l'approvazione di una lunga serie di villaggi e porti nell'eleggerlo rex del Levante. A quanto sembra erano presenti pure inviati di Nicephorus Melissenus e di Nicephorus Botaniates, nonché guerrieri seliacidi inviati da Arsanius che, in primo luogo, aveva approvato l'idea di far nascere un regno levantino. Infatti, tutto questo separatismo avrebbe nei suoi piani contribuito a spezzare la resistenza romana una volta per tutte.
E in effetti, finalmente, dopo anni di infruttuosi tentativi, il 3 Maius, i pesanti macigni scagliati dai trabucchi seliacidi riuscirono ad aprire una breccia consistente nelle mura di Hyerosolyma, città sacra a tre Fedi: nel giro di poche ore, le truppe di Arsanius si erano riversate all'interno, contrastate dall'ultima, disperata resistenza dei legionari e dei civili guidati da Rogerius. Il giorno dopo, tutto era già finito, fortunatamente perché il sultano aveva vietato, pena la morte, a chiunque di danneggiare i luoghi santi e punire la popolazione per colpe che non aveva. I cittadini di Hyerosolyma non erano solo Romani, ma anche i
custodi di una città santa dell'Islam e andavano dunque rispettati. La caduta di Hyerosolyma fu un durissimo colpo per entrambi gli Augusti: Alexius reagì convincendo finalmente Rachimundus a sostenerlo per il bene dell'Impero, dandogli così di nuovo il comando dell'esercito e il grado di legatus. Egli avrebbe dovuto portare nuove minacce ai seliacidi dall'Asia Minor, ma prima di tutto avrebbe dovuto eliminare i traditori lungo la strada. A Roma, Gothus Fridus, che anche a causa della sua malattia non era davvero rispettato e tutti, compreso lui, si rimettevano alle opinioni e alle decisioni della moglie, forse la vera Augusta dell'Occidente, per il momento non doveva temere quanto Alexius ma fu lo stesso preoccupato. Anche il patriarcha Althiprandus espresse profondo dispiacere per la perdita della città santa del Cristianesimo.
Con l'Oriente perduto, non ò molto tempo prima che anche le città e le fortezze ancora in mano romana cadessero, una dopo l'altra, nelle mani dei seliacidi. Sia Arsanius che Nitzamius, pur consolidando i progressi fatti, spinsero il confine dell'impero sempre più verso l'Ægyptus, mentre il rex Guillelmus si prendeva un periodo di pausa per gettare concretamente le basi del suo nuovo, piccolo regno.[1] Per la prima volta, un esercito seliacide, guidato dal signore della guerra Argarius, si spinse fino a Clysma, importante porto sul Mare Ærythaeum, reso ancora più importante in seguito alle devastazioni provocate dal terremoto ad Aleana, e anche dalla sua caduta, in quello stesso anno, nelle mani nemiche. Nonostante il caldo tremendo e i collegamenti con l'Ægyptus, la guarnigione di Clysma si rivelò debole e a inizio Augustus, la città cadde nelle mani di Argarius. Si incontrò con i pirati arabi.[2]
Fu in quel periodo, però, che la controffensiva di Alexius prese il via. Rachimundus, messo alla testa di 50000 uomini, raccolti con estrema fatica dalle province fedeli (ora l'Impero era spezzato in due, quindi aveva meno risorse perché quei traditori a Roma non aiutarono per niente!)[3] da Ancyra, che fino a quel momento aveva segnato il punto più occidentale toccato dalle forze seliacidi o separatiste anche se non era stata mai conquistata, avanzò su Aspona, in mano ad una piccola guarnigione chorasma e la espugna, senza essere troppo indulgente. Da lì, nel giro di qualche tempo, riprende all'Impero anche Galea e tutte le altre fortezze sulla strada per Coloneia che viene riconquistata ai primi di
October. Nonostante la sua presenza, Arsanius sembrò non preoccuparsene troppo, rimanendo così fino alla fine dell'anno a Hyerosolyma. Nonostante la giovane età, uno dei figli di Arsanius, Malicus venne inviato proprio da lui alla testa di un piccolo esercito a sottomettere di nuovo la Lazica e quel che del Caucasus mancava ancora: è vero pure che Malicus aveva vissuto buona parte della sua breve vita sui campi di battaglia, al seguito del padre o di Nitzamius, suo tutore e maestro.[4] E nonostante fossero obiettivi ritenuti da tutti piuttosto difficile da conquistare, visto anche la loro posizione, Malicus si portò a Tiflis, conquistata dal padre, e diede inizio all'assedio di Mestleta, dovendo però respingere più volte gli assalti dei rinforzi inviati da Alexius qualche mese prima per proteggere la Lazica. Senza darsi per vinto, rimase accampato in zona per tutto l'inverno, nonostante la neve.[5]
[1] Da notare come Gabras usi i due aggettivi “nuovo” e “piccolo” con un certo disprezzo.
[2] Argarius è il nome latinizzato del seliacide Arghar, di cui però non sappiamo granché. Fu un valente condottiero fedele ad Arsanius che combatté, a quanto sembra, in oriente, e soprattutto soppresse parecchie rivolte, in Tapuria e in Hyrcania.
[3] A parte il livore che esprime Gabras, è vero che Gothus Fridus I, ma più in particolare Mathilda, non aiutarono mai militarmente, economicamente e nemmeno materialmente la parte orientale guidata da Alexius, e infatti, una delle accuse che questi lanciava a Roma era quella di preferire la caduta di Constantinopolis nelle mani dei barbari piuttosto che perdere il potere e la loro “finta” porpora in Italia. Pur esagerando, non era in effetti troppo lontano dalla realtà, perché il comportamento della classe dominante durante tutti i 25 anni di interregno fu scandaloso ed egoista. Le imprese di
Alexius assumono una luce a tratti eroica tenendo in considerazione tutto ciò, e in effetti fu sotto le vesti di un eroe che affrontava sfide titaniche che, decenni dopo, la figlia Anna avrebbe riportato la sua vita nell'opera che scrisse durante la solitudine del confine a Lebyntha.
[4] Malicus aveva 21 anni al momento citato da Gabras. Fu questa la prima volta, almeno che sappiamo noi dalle fonti, che guidò un esercito, anche se è possibile che ebbe altre esperienze non riportate altrove.
[5] Questi capitoli (e anche i successivi) sono più brevi rispetto a quelli precedenti, anche se non ci sono prove né indizi che lascino pensare a tagli successivi dell'opera o a sezioni perdute come negli altri casi. Pare semplicemente che Gabras si impegnò di meno nella loro stesura o, forse, a causa dei suoi doveri (era comunque un generale che durante la giornata doveva pensare alla guerra e aveva probabilmente pochi momenti liberi) non ebbe abbastanza tempo per rivederli. D'altronde, non fa il minimo accenno all'esplosione delle rivolte contadine per l'indipendenza in Germania Ulterior (all'epoca conosciuta ancora come Polania) o alla ribellione del magister regionis di Saxonia, Magnus, in Germania, che nel giro di poco tempo, anche a causa della reazione di Mathilda, portò buona parte dell'Occidente nella guerra civile.
XXXVI
Della guerra: 1077/1830
Clysma venne recuperata in primavera da un esercito ai comandi del magister Zemarcus e Argarius, a quanto sembra, si ritirò fino ad Aleana.
Malicus espugnò Mestleta, facendo parecchi prigionieri. Come dimostreranno le sue azioni e gli eventi successivi, Malicus ereditò dal padre Arsanius l'abilità tattica e quella strategica di far guerra a ogni nemico ma di certo non ereditò anche la temperanza e le virtù che sono necessarie a fare di un gran generale o un sovrano anche un grand'uomo.[1] Dopo Mestleta, attaccò Armozica e nessuno osò più contrastarlo, sia per penuria di uomini che per paura che, come in quei giorni, si desse di nuovo a distruggere e devastare tutto.
Arsanius, sentendosi sicuro, lasciò nuovamente Hyerosolyma e il fronte, e per un periodo, tornò in Persia, lasciando Nitzamius e tutti i suoi altri generali a condurre le operazioni. A questo punto della guerra, nonostante durasse da più di quello che si aspettava, le sue forze stavano finalmente riuscendo a prevalere e in pratica, eccetto varie città e guarnigioni isolate ma ancora fedeli a Roma, tutto l'Oriente era occupato. Le varie rivolte dovute alla povertà e alle leve di uomini che erano avvenute e continuavano sporadicamente ad esplodere in Persia e persino in Mesopotamia non lo preoccupavano ancora più di tanto, anche perché ormai contava di trovare un modo per costringere i Romani alla resa, sapendo poi di tutti i problemi che, all'interno del loro Stato, essi avevano.[2]
Nicephorus Melissenus conquistò altri castelli ma decise in estate di muovere, chiedendo altri rinforzi ai seliacidi, contro Rachimundus: i primi scontri fratricidi si ebbero nei pressi di Aquæ Saravenæ e videro le forze del gallo prevale e scacciare i soldati romani e seliacidi di Melissenus. Evidentemente, però, Rachimundus non si sentiva ancora pronto ad intraprendere una controffensiva in grande stile e attese, fino a quando non arrivò ad Ancyra l'ordine di un impaziente Alexius che lo esortava a guadagnare tempo intanto che Arsanius si trovava in Persia (da Iunius). Senza più scuse, Rachimundus avanzò di nuovo e questa volta su Cæsarea Cappadocica che, occupata da sole forze seliacidi, formava una sorta di cuneo di territorio tra i due regni fittizi di Nicephorus Melissenus, a nord, e di Nicephorus Botaniates, a sud. Conquistata Archalla, il governatore seliacide (di cui non conosco il nome)[3] uscì dalla città e diede battaglia: Rachimundus si comportò egregiamente e la disciplina dei soldati romani si dimostrò determinante ancora una volta. L'esercito nemico venne sconfitto e il generale gallo poté fare diverse migliaia di prigionieri, per poi cominciare ad assediare la grande città che, infatti, nonostante tutti quegli anni di guerra e l'occupazione, era ancora abitata da moltissime persone. A questo punto, Melissenus, pavidamente, avanzò a nord su Ancyra, attaccando con inusitata violenza Eccobriga, massacrandone la guarnigione e derubando gli abitanti. Poi, facendo più in fretta che poté, perché codardo e ladro, marciò pure sulla vicina Sarmallus che conquistò e diede alle fiamme. Quando infine, giuntagli la notizia che Rachimundus stava tornando ad Ancyra per bloccarlo, si ritirò di nuovo fino a Sebastopolis. Che tristezza![4]
A sud, Botaniates non agì, come al suo solito, limitandosi invece a vegetare nel palazzo che era stato di un vero funzionario romano, e inviando nelle terre vicine i razziatori seliacidi che Arsanius gli aveva concesso, così come un sovrano concede dei benefici a un suo sottoposto, perché questo era il traditore, nonostante si considerasse un rex. Che assurdità![5]
[1] Effettivamente, la storiografia ha sempre tenuto in maggior considerazione e rispetto Arsanius rispetto a Malicus, considerato collerico e troppo spesso inutilmente violento.
[2] Gabras si confonde un po' in questo o. Sostiene che Arsanius avesse come obbiettivo quello di costringere, al tredicesimo anno di guerra, l'Impero Romano a fare la pace, dunque da una posizione di forza, ma precedentemente, invece, aveva sostenuto come volesse conquistare tutti i territori imperiali, e pure il mondo intero. Vedi nota 9, cap. XXVIII.
[3] Nessuno, in realtà, sa chi fosse. Nemmeno le fonti persiane o seliacidi sopravvissute dicono nulla a proposito.
[4] Riemerge di nuovo l'astio e la bassa, se non inesistente, considerazione che Gabras ha per i generali traditori. Certo è che i suoi commenti sono spesso gratuiti.
[5] Come il capitolo precedente, e come sarà anche il prossimo, questo è molo corto e si chiude in fretta e furia. Gabras avrebbe potuto specificare meglio dove attaccarono gli irregolari seliacidi ma di sicuro si riferisce agli scontri avvenuti qua e là nella Cilicia settentrionale e sulla costa, verso occidente. Elenco qui solo una serie di nomi di villaggi e di città interessati (nel periodo descritto da Gabras) dalle violenze, anche se quello completo sarebbe molto più lungo: Baca, Augusta Ciliciæ, Cabassus, Panhormus, Podanus, Civitas Caroliniana, Imbrioga, Corasium, Pseudocorasium, Otanada... Per il resto, in effetti, questi anni videro un progressivo rallentarsi delle operazioni, molto probabilmente dovuto al fatto che le risorse non erano più abbondanti come all'inizio, né dalla parte romana, di certo più provata e impoverita, né dalla parte seliacide, che, nonostante le vittorie più frequenti e le conquiste, aveva subito danni e sconfitte a cui non
era abituata e che andavano oltre la mentalità della guerra orientale. Non ci si dimentichi, poi, che anche se non lo era ufficialmente, l'Impero era di fatto diviso in due e che la parte orientale si trovava a consumare tutte le proprie risorse per combattere la guerra. Dato che, però, nessuno dei due contendenti, soprattutto l'Impero Romano, voleva cedere, si andò avanti a combattere, seppur le operazioni si ridussero in numero, grandezza e consistenza e la maggior parte delle violenze venne perpetrata dagli irregolari e dagli indisciplinati.
XXXVII
Della guerra: 1078/1831
Quattordicesimo anno di guerra. Nel corso dell'anno precedente, in pratica incontrastato in tutto il Caucasus, Malicus si era distinto per aver conquistato l'intera regione, espugnato anche Armozica e preso per fame Seusamora. Soprattutto, si fece conoscere per gli eccidi di cui si macchiò e che ancora oggi fanno tremare di paura e terrore i poveri armeni e chiunque abbia la sfortuna di sentire quelle storie. Forse è meglio tacere quando la troppa violenza si diffonde come una piaga tra gli uomini e li trasforma in animali. Per cui, lettore, su questo non dirò più altro.[1]
Arsanius rimase in Persia tutto l'anno, forse facendo tirare un sospiro di sollievo ai Romani che ormai lo temevano così tanto. In realtà, poi, anche in sua assenza, vuoi per mancanza di energie, vuoi per mancanza di fondi e risorse, nessun fronte vide particolari cambiamenti e per questo non riuscimmo in alcun modo ad approfittare della situazione, apparentemente favorevole. Anzi, Malicus riconquistò tutta la Lazica, non riuscendo però ad occupare le città costiere, tenute in vita dai rifornimenti continui delle navi della Classis. Fece una puntata verso nord, quasi raggiungendo i confini della provincia di Taurica e rase al suolo la povera Colonia Arvalia. Se ne tornò indietro solo perché rischiava di esser preso alle spalle da qualche contingente romano sbarcato alle sue spalle. Attaccò allora anche il contado di Trapezus e si installò nella regione, ponendo un assedio alla città che sarebbe durato a lungo.[2]
So anche che Argarius, coadiuvato da Nitzamius in persona, riapparve a Clysma, quando la stagione lo permise e c'era più fresco e di nuovo la conquistò.
Stavolta, la guarnigione di cui disponeva era molto più grande e i tentativi di sloggiarlo da lì fallirono tutti.
[1] Gabras fu uomo del suo tempo e non può essere giudicato secondo i parametri moderni. In più, è lui stesso a scrivere che "non bisogna mai dimenticare". Dunque è importante dire che la storia non deve essere mai taciuta e censurata, e che soprattutto i casi di violenza eccezionale, come gli eccidi o le distruzioni di intere città, devono essere raccontati anche alle generazioni più giovani affinché il loro ricordo, e la lezione che se ne può trarre, non vada perduto e non si rischi di ripetere, o lasciar che si ripeta, mai più. Dovremmo forse tacere i massacri delle orde mongole nel XIII secolo A.D.? Esatto, non dobbiamo.
[2] Effettivamente, l'assedio di Trapezus fu il più lungo della guerra e venne tolto solo al partire della tregua, nel 1082/1835.
XXXVIII
Della guerra: 1079/1832
Arsanius tornò al fronte verso la metà della primavera e incontrò Nitzamius a Hyerosolyma, diventata di fatto, se non di nome, il centro delle operazioni seliacidi nell'Oriente: se avessero vinto la guerra, credo proprio che sarebbe diventata la città più importante dell'occidente seliacide.[1] Incontrò anche Guillelmus, che ormai aveva tutta la costa della Palestina sotto il proprio comando e stava allestendo una flotta, anche se spesso veniva sabotato dalle navi della marina imperiale e quindi i lavori andavano a rilento. Incoraggiato dal sultano, ricevette alcune guarnigioni di rinforzo di soldati chorasmi, appena giunti dalla loro patria, e parecchio nuovo denaro per accelerare i lavori: il prossimo obbiettivo, infatti, era l'isola di Cyprus.
Arsanius non sarebbe stato così tranquillo in quei giorni se avesse avuto la possibilità immediata di sapere cosa stava succedendo nel cuore dell'Asia Minor, in Cappadocia. Infatti, dopo anni di brevi attacchi e molte ritirate, incertezze e sconfitte, l'esercito romano scatenava sul serio una nuova controffensiva, dopo la mezza iniziata da Rachimundus due anni prima. Era accaduto che Alexius, stanco per la lentezza del generale gallo, lo avesse esortato ancora a non limitarsi a conquistare solo qualche città ma piuttosto a compiere un affondo nel territorio nemico, in modo da indurre una reazione che potesse portare ad una battaglia campale che risolvesse la situazione: in un momento di crisi come quello, in cui le casse dello Stato erano sempre più vuote e metà dell'Impero si trovava da sola a dover sopportare l'intero peso della guerra. Gli aveva inviato allora altri soldati in modo che Rachimundus non potesse più aspettare.[2]
Così, agli inizi della bella stagione, Rachimundus diede il via all'attacco, marciando con decisione sui domini separatisti di Nicephorus Melissenus. Invece che attaccare Cæsarea Cappadocica, dunque, puntò verso nord e conquistò Carissa e poi Virasia. Nei pressi di Amaseia, sconfisse un piccolo contingente seliacide e assediò la città: i suoi abitanti, ribellatisi, aprirono le porte e le truppe romane poterono entrare e partecipare all'eccidio del nemico che si stava compiendo. Rachimundus non si oppose alle violenze. Poi, mentre un allarmato Nicephorus Melissenus inviava ad est richieste di aiuti (ancora una volta, che codardo!), il grande esercito romano (circa 60000 uomini) [3] liberò Gozalena e si portò con sorprendente rapidità a Sebastopolis, dove incontrò Nicephorus e lo costrinse a dar battaglia. Preso alla sprovvista da quell'arrivo così improvviso, lo pseudo-rex venne allora sconfitto sonoramente e dovette fuggire, lasciando il suo esercito che sbandava, ritirandosi nella sua roccaforte di Sebasteia. Rachimundus pose l'assedio anche a Sebastopolis e questo durò più del previsto: per 22 giorni, le sue mura e i soldati, la maggior parte seliacidi e non romani, opposero una strenua resistenza che valse loro, una volta caduta la città, un trattamento onorevole. Fu solo allora, mentre Rachimundus marciava baldanzoso verso Sebasteia per assestare il colpo di grazia al territorio separatista e catturare Nicephorus (o ucciderlo, era uguale)[4], che Arsanius venne a sapere degli eventi e si affrettò a intervenire, muovendo con le sue forze verso nord, più velocemente che poté. Ogni volta che credeva di aver piegato la volontà di resistenza dei Romani, questi rispondevano iniziando una nuova controffensiva, inviando generali alla testa di migliaia di nuovi soldati apparentemente sbucati dal nulla, quasi tutti professionisti e in grado di combattere alla pari, se non di più, con i migliori guerrieri seliacidi. Com'era possibile? Fu questa la domanda che dovette ronzargli nella testa durante quell'avanzata in soccorso al Melissenus. Per due anni, non si era quasi combattuto e si era convinto di essere a un o dalla vittoria che...[5]
Fu però Malicus il primo a portare soccorso a Nicephorus Melissenus: non per aiutare un Romano che considerava anch'egli un vile per aver tradito il proprio popolo e che non attaccava perché era protetto dal padre, ma piuttosto per
cercare di ottenere la gloria che desiderava da sempre. Così, mentre Arsanius era ancora lontano, Rachimundus dovette scontrarsi con l'esercito di Malicus, continuando però ad assediare Sebasteia in modo che Nicephorus non potesse intervenire: nonostante la bravura del figlio di Arsanius, fu Rachimundus a combattere quel giorno la battaglia perfetta e a respingere il seliacide. Il generale gallo avrebbe forse potuto inseguire Malicus e catturarlo, evitando così che in futuro questi diventasse il nemico che tutti avrebbero temuto, ma ho già detto che la storia fatta con i sé è piuttosto inutile, e dunque Rachimundus preferì continuare ad assediare Sebasteia. Malicus tornò alla parte di esercito che assediava Trapezus, inutilmente direi, e per il resto dell'anno rimase lì. Arsanius ordinò a Nicephorus Botaniates di colpire i territori di Rachimundus alle sue spalle, così da indurlo a ritirarsi mentre lui avrebbe compiuto una manovra frontale e lo avrebbe attaccato da Cæsarea Cappadocica, permettendo a Nicephorus Melissenus di uscire dall'assedio. Così il finto rex avanzò da Tyana su Coloneia ma Rachimundus, avvisato dai suoi esploratori, decise di non abboccare e continuò a resistere, conscio che se la città non fosse caduta entro pochi giorni, si sarebbe ritrovato chiuso in una sacca dalla quale difficilmente sarebbe uscito vivo.
Fu un sollievo, infine, quando le sue truppe riuscirono a vincere la resistenza della guarnigione seliacide che proteggeva Nicephorus e a far breccia nelle mura appena rinforzate: il generale romano non perse tempo e ordinò ai suoi di massacrare tutti quelli rimasti, eccetto i cittadini ovviamente, ma di Nicephorus non si vide traccia. Dato che ricomparve a fianco di Arsanius una decina di giorni dopo, deve essere riuscito a uscire in qualche modo, forse sfruttando un aggio segreto sotto la città, o forse attraverso l'acquedotto, ma di questo io non so nulla.[6] Conquistata Sebasteia, Rachimundus fece tesoro dei consigli e degli ordini dell'Augusto Alexius perché, invece di cercare di conquistare le fortezze vicine, continuò ad avanzare verso est, cogliendo questa volta anche Arsanius di sorpresa, che invece si aspettava di poterlo affrontare nei pressi di Cæsarea Cappadocica. Rapidamente, l'ancora grosso esercito romano si spinse fino a
Satala, distruggendo le guarnigioni più piccole e i piccoli contingenti di comandanti nemici che cercavano la gloria, ma senza fermarsi ad assediare più nessuna grossa città. In questo modo, Rachimundus costrinse Arsanius a inseguirlo, mentre Nicephorus Melissenus, con l'aiuto del Botaniates, ri-assediava Sebasteia (che sarebbe caduta nuovamente nelle sue sporche mani, dopo aver massacrato i soldati lasciati lì da Rachimundus). Il generale gallo raggiunse il contado di Theodosiopolis ma superò anche questo e, resistendo agli attacchi nelle valli delle guarnigioni nemiche, sbucò finalmente nella Thospitis, nei dintorni di Isumbo. Qui, schieratosi in ordine di battaglia, ordinò ai suoi di attendere l'arrivo di Arsanius. Il sultano si comportò esattamente come previsto e mosso da nord, avvicinandosi all'esercito di Rachimundus. Si dice che a quel punto il generale seppe incitare a tal punto i propri soldati, con un discorso tanto convincente, che questi fremevano dalla voglia di ingaggiare il nemico e che, quando finalmente, la battaglia iniziò, combatterono con tanta foga da risultare invincibili. Comunque sia andata, le truppe romane riuscirono a spezzare le linee del nemico, chiudendolo al contempo con la cavalleria in una morsa dalla quale Arsanius riuscì a uscire solo grazie al proprio genio, ma al prezzo di elevate perdite.
Una volta che, verso sera, fu riuscito a liberarsi dalla sacca in cui Rachimundus lo aveva imprigionato, non esitò a ritirarsi, peraltro incredibilmente con ordine, verso il lago, e Rachimundus decise allora di non inseguirlo per permettere ai suoi di riprendersi. Fatto sta che i suoi soldati quella notte lo portarono sugli scudi e lo festeggiarono a tal punto che pare strano che nessuno abbia proposto di farlo Imperatore! Comunque io rimango dell'idea che, nonostante la splendida vittoria, sprecò un'occasione davvero preziosa, perché avrebbe potuto infliggere al nemico ancora più perdite se lo avesse incalzato ancora un po'.[7] Arsanius non era più quell'invincibile demonio che era apparso dal nulla tanti anni prima, e nel quindicesimo, estenuante anno di guerra, anche lui ormai perdeva le battaglie come un normale condottiero. Sulle ali dell'entusiasmo e
della gioia, a tutti in quei giorni sembrò che i tempi in cui i massacri di poveri soldati erano all'ordine del giorno e che il sultano era soprannominato il “massacratore di generali”.
La vittoria ebbe grandissimo eco e costituì letteralmente una boccata d'aria per l'Augusto Alexius che, pur non avendo opposizioni interne a Constantinopolis, perché l'intero oriente si era ormai coalizzato attorno a lui, convinto a sostenere lo sforzo necessario per vincere la guerra, dimostrando di potercela fare anche senza i codardi occidentali, non si trovava di certo in una posizione comoda o facile da gestire. La sconfitta del sultano voleva dire almeno un altro anno di guerra, ma questo altro anno era un inverno guadagnato, un altro anno in cui l'Impero non aveva ceduto al nemico e un o in più verso la fine delle ostilità. [8]
[1] Su questo Gabras non si sbaglia. È noto come lo stesso Arsanius avesse espresso la volontà di far diventare Hyerosolyma uno dei centri dell'impero seliacide e soprattutto voleva che vi si stabilisse una maggiore comunità musulmana, dato che la Hyerosolyma romana ospitava solo 5000 cittadini di fede musulmana e c'era una sola moschea.
[2] Sembra una contraddizione, ma in realtà è molto meglio rischiare tutto in un unico scontro, che può portare alla risoluzione rapida di un conflitto, piuttosto che aspettare fino a che tutte le proprie risorse sono andate perse e prosciugate per una situazione di stallo prolungato.
[3] Gabras se la cava scrivendo quel “circa” perché in effetti i soldati a disposizione di Rachimundus erano 54000.
[4] Gli ordini dell'Augusto Alexius I erano infatti di catturarlo “vivo o morto”.
[5] Per quanto queste considerazioni sui pensieri di Arsanius diano colore alla narrazione degli eventi, sono piuttosto superflue per uno storico, in quanto non ci sono prove che il sultano fosse davvero così sorpreso della nostra capacità di resistere a oltranza.
[6] Nonostante Gabras sia qui parecchio sbrigativo, dà lo stesso la soluzione del mistero: venne infatti scoperto nel 1406/2159, durante degli scavi di restauro, un cunicolo che da sotto il palazzo del præfectus attraversava la città sottoterra e portava chiunque lo avesse imboccato direttamente fuori le mura, in una chiesa che, evidentemente, all'epoca si trovava fuori dal perimetro dell'assedio di Rachimundus.
[7] Gabras non manca mai di esprimere il proprio parere...
[8] Forse senza volerlo, Gabras suggerisce un tema che durante tutto il periodo della Grande Crisi fu portante e sempre attuale, e cioè la contrapposizione tra Oriente e Occidente. Qui non si parla di desideri separatisti o voglia di tornare a dividere l'Impero in due stati differenti come un tempo, ma semplicemente della consapevolezza, sempre più forte, delle differenze e spesso dei contrasti che esistevano tra le due parti dell'Impero e che, nonostante secoli di unione, non riuscivano davvero ad amalgamarsi del tutto. In realtà, erano già stati fatti i da gigante in tal senso e, una volta superata la Crisi, che acuiva tutto, durante l'Epoca Aurea si vide che quelle differenze non erano poi così marcate o importanti. Ad ogni modo, Gabras conclude anche questo capitolo bruscamente, ignorando gli altri eventi minori dopo aver focalizzato la sua attenzione sulla campagna di Rachimundus. In effetti, anche nel 1079/1832, non ci furono scossoni sugli altri fronti, anche perché l'Augusto Alexius I ordinò alle truppe in Egyptus di limitarsi a difendere il confine della provincia e i
seliacidi, a loro volta, non avevano nuovi obbiettivi strategici, oltre al fatto che anch'essi non avevano più moltissime forze a disposizione, dal momento che ormai occupavano un'area molto vasta. Nel Caucasus, le quotidiane violenze furono talmente tante che dovrebbero andare a riempire molti altri libri.
XXXIX
Della guerra: 1080/1833
Approfittando della migliorata situazione strategica, e del fatto che per un po' il sultano non avrebbe avuto a disposizione grandi forze con cui contrattaccare, a meno di non sguarnire il dominio appena consolidato nel sud, Rachimundus attaccò, pur essendo ancora pieno inverno, Manzicerta, impegnandosi a lungo in un assedio piuttosto complesso. Grazie alla vittoria appena ottenuta, però, i suoi uomini furono disciplinati e non diedero segni di sofferenza, nonostante dovessero combattere in condizioni proibitive ed estremamente dure.
Ora, mio lettore, lasciami dire che, come saprai, il periodo migliore per condurre una campagna militare e, in generale, combattere una guerra, è il periodo che va da metà primavera a metà autunno, in certi luoghi, anche a fine estate, poiché non sono solo il caldo o il freddo a determinare se sia possibile mettersi in movimento con migliaia di uomini e animali verso regioni ostili. Esistono moltissimi altri aspetti che si devono tener conto e che mi sembra, qui, superfluo ripetere perché l'argomento è molto noto. Quello che mi preme sottolineare è che, però, sin dall'epoca in cui l'Impero Romano è stato riunificato e ci sono state certe innovazioni tecnologiche anche nell'ambito della produzione di cibo, noi Romani siamo stati in grado con sempre maggiore facilità – sebbene solo se costretti dalla necessità – di combattere ad oltranza anche in inverno e dunque di non fermare per forza una campagna nel bel mezzo di un'avanzata solo perché ormai la stagione giusta stava avviandosi al termine. Bisogna tenerne conto, quando si pensa a come sia stato possibile che per così tanti anni consecutivi si sia combattuto anche sotto la neve o con le piogge e che, come nel caso che ho appena descritto di Rachimundus, un generale conduca i suoi in alta montagna anche nel mezzo del mese di Ianuarius. Tieni poi in mente che lo spirito romano è indomabile e non accetta costrizioni, nemmeno dalla Natura, e avrai la risposta a tutti i tuoi dubbi![1]
Detto questo, appare chiaro come Rachimundus riuscì ad espugnare, sebbene con fatica, Manzicerta e poi a ridiscendere dalla strada che attraversa la valle di Cymiza, combattendo altrettanto duramente in Martius a Zanserio, la fortezza più importante della zona, situata in un punto davvero strategico: inviando intanto altre forze ad occupare l'uscita della valle, Rachimundus rimase per un intero mese a Zanserio a sovraintendere l'assedio, fino a che la stremata guarnigione seliacide, non ricevuti gli aiuti sperati, si arrese. Anche in questo caso, in presenza di un nemico valoroso, il generale gallo trattò i prigionieri con onore e li inviò nelle retrovie, senza torcer loro un capello. Conquistata la valle di Cymiza, attaccare Tigranocerta in campo aperto, mentre il primo sole della primavera cominciava a riscaldare anche quelle fredde cime, sembrò un sogno: l'importante città era un altro nodo fondamentale nel tentativo di Rachimundus di isolare le posizione avanzate dei seliacidi in Cappadocia e Armenia occidentale e un altro tassello per chiudere quello che il generale chiamava, in presenza dei suoi ufficiali, il “cappio” attorno al collo del nemico.
Per vendicarsi, i due Nicephorus, aizzati dal sultano in persona, diedero il via ad un'offensiva pericolosa che, seppur non delle dimensioni di quelle seliacidi, poteva costituire un pericolo per le retrovie di Rachimundus. Dalla Cilicia, Botaniates riprese la via da Coloneia e apparve ad Ancyra da sud, mentre qualche tempo dopo, anche Melissenus, ricostituito con aiuti seliacidi un esercito, attaccava da Sebasteia e Sebastopolis.[2] Ancyra venne dunque messa sotto assedio, il che allarmò non poco i comandanti provinciali: essi si rivolsero subito all'Augusto Alexius chiedendo aiuti ma questi rispose che non temeva i ribelli traditori bensì solo il sultano e che, data la penuria di forze, essi dovevano come gli altri che lo facevano da anni darsi da fare anche localmente per combattere il nemico perché tutti dovevano fare la loro parte. Questa è l'applicazione del celebre motto e titolo degli Augusti di Roma: “primus inter pares!” A questo punto, siamo in estate, i magistri di Galatia, Bithynia e Asia riunirono le loro forze, arruolando qua e là e richiamando ausiliari riservisti, poiché, a parte la Galatia, non erano province legionarie: il comando dell'esercito così raccolto venne dato al magister di Galatia, Aquilinus poiché considerato il più esperto tra loro.[3]
Nonostante la loro lentezza, Ancyra non era ancora caduta in mano ai traditori quando Aquilinus giunse in zona. Seguirono una serie di aspri combattimenti che però non furono mai risolutivi. D'altronde Aquilinus non era un genio di militare...[4]
Verso settembre, dopo aver lavorato parecchio e aver richiamato di forza dalle guarnigioni più lontane dei suoi domini molti soldati (quasi tutti indiani e carmani), Arsanius era di nuovo pronto a marciare contro Rachimundus, per la prima volta accecato dal desiderio di vendetta. Raggiunta Anastasiopolis, Arsanius si assicurò che le forze del generale fossero ancora impegnate nell'assedio di Martyropolis e quindi marciò più rapidamente possibile a nord. Quando venne avvisato, Rachimundus ebbe solo il tempo di abbandonare l'assedio e schierarsi in ordine di battaglia per affrontare il nemico, nei pressi di Samocarta. La nuova battaglia tra i due grandi generali (ormai era diventata una guerra personale) non fu però decisiva come quella dell'anno prima, soprattutto perché, nonostante la bravura di Arsanius, il suo esercito non era più composto da veterani esperti e coriacei, eccetto uno sparuto nucleo di fedelissimi, ma da reclute di leva raccolte in fretta e furia e spedite a migliaia di leghe di distanza senza sapere nemmeno chi dovessero combattere. Sottovalutando ciò, Arsanius non si rese conto che i legionari sarebbero stati imbattibili nonostante la sua genialità e così fu: Rachimundus si comportò benissimo e riuscì a mantenere unito il suo esercito, respingendo infine Arsanius a sud, che dovette ritirarsi.
Era per il sultano l'ennesimo smacco che, nonostante le molte qualità, lo fece andare su tutte le furie: in un accesso d'ira, fece giustiziare i suoi funzionari e parecchi ufficiali, privandosi così dell'immediata possibilità di un contrattacco. Nessuno lo ha mai considerato uno sciocco ma, forse per il peso degli eventi che, da solo, doveva portare sulle spalle, anch'egli cominciava a sbagliare, comportandosi come tale. Questo è il destino dei despoti, che credono di poter reggere il potere da soli, senza capire, proprio come fanno gli stolti, che un uomo da solo non è mai un titano e per questo perirà sempre nel tentativo di essere ciò che non è![5]
Ancora una volta, Rachimundus non volle infierire, o forse valutò che non era il caso di inseguire Arsanius, visto poi che stavolta la battaglia era stata quasi uno stallo e nessuno aveva vinto davvero. Mentre il sultano covava la propria rabbia ad Anastasiopolis, Rachimundus fece fortificare la zona che portava a Martyropolis e Amida e ricominciò ad assediare la prima: nel frattempo si era però diffusa la notizia che Arsanius, non so perché!, fosse morto nella battaglia, e così la guarnigione turca, vedendo approssimarsi di nuovo l'esercito romano, gettò le armi a terra e si consegnò a Rachimundus. Anche Martyropolis era tornata romana.
Una buona notizia per Arsanius arrivò però dal Levante. Infatti, finalmente Guillelmus era riuscito a mettere in acqua abbastanza navi da creare una flotta, sulla quale aveva imbarcato una parte del suo esercito e, sfruttando la disorganizzazione della Classis imperiale, si era diretto a Cyprus, su una spiaggia nei pressi di Ammochostus, molto vicino a Constantia, gettando nel panico la provincia. Ripensando a Guillelmus mi sorprenderò sempre della sua capacità di fare praticamente tutto: nel corso della sua vita fu bandito, cittadino, soldato, generale, traditore, spia, congiurato, rex, marinaio, ammiraglio, padre, marito, esploratore e molto altro. Sembra che abbia vissuto molte vite, non una sola. Ovviamente fu aiutato dai bravissimi maestri d'ascia e marinai levantini, tra i migliori dell'Impero, ma far sbarcare un esercito, per quanto piccolo, non è mai facile e lui ci riuscì, prendendo tutti alla sprovvista. La stessa Constantia, mentre il magister Ambrosianus fuggiva nell'entroterra per tentare di riorganizzarsi, cadde due giorni dopo nelle sue mani. L'esercito di Guillelmus era quasi completamente composto da seliacidi i quali non avevano scrupoli nell'uccidere gli inermi cittadini ciprioti e molte dunque furono le violenze. Inoltre, dato che la legione della provincia era già stata inviata di rinforzo al fronte e non era disponibile, non c'erano sull'isola forze pronte per contrastare questa nuova minaccia. Guillelmus, che si era portato dietro il giovane Totasius, figlio di Arsanius, e gli aveva dato il comando di alcuni reparti, avanzò allora verso ovest, devastando l'isola senza particolari scrupoli: nel giro di un mese, Thremitus e Chytroia, due
delle città più grandi dell'entroterra (anche se non rispetto alle città della terraferma) caddero nelle sue mani. Anche lì le violenze furono grandi. Ambrosianus inviò richieste d'aiuto all'Augusto Alexius, al momento impossibilitato a mandare altri soldati, ma almeno la marina romana che aveva fallito nell'impedire a Guillelmus di sbarcare, cominciò ad attaccare le sue navi, trascurano la protezione di Seleucia Pieria e delle altre città syriane che resistevano solo grazie ai continui rifornimenti. Il dux Domenicus dovette però rendersi conto che i seliacidi erano stati ben consigliati e sembravano aver imparato in fretta l'arte della navigazione perché, seppur non fossero ancora esperti e commettessero ancora parecchi errori, riuscirono a impedirgli di bloccare la rotta che manteneva collegata Cyprus al Levante e soprattutto si diedero ad un'intensa pirateria che mise in crisi tutto il Mare Nostrum orientale. L'autore di questa strategia fu un tale Tzaca, anche se ad essere sinceri non so come si scriva il suo strano nome, e a quanto pare egli fu il primo ammiraglio dell'impero seliacide nel Mare Nostrum e il primo della sua gente ad esserlo in assoluto, promosso direttamente da Arsanius in persona.[6]
Ancora furioso, Arsanius ordinò a Nitzamius e Argarius di prepararsi per l'anno successivo, perché avrebbero invaso l'Ægyptus. Il sultano sapeva da sempre quanto fosse ricca quella terra e aveva concluso che conquistarla avrebbe inflitto il colpo di grazia all'Impero, conoscendo la rete di traffici ed esportazione che l'abbondanza della provincia garantiva, prolungando la resistenza del nemico. Già scatenando la pirateria, aveva sperato di ridurre la capacità romana di contrastarlo ma la conquista totale gli avrebbe garantito, finalmente, la vittoria finale. Per il momento, però, riuscitosi a calmare, decise di lasciar fare a Rachimundus che trascorse gli ultimi mesi dell'anno a conquistare Amida per poi riportarsi più a occidente, sempre tenendo d'occhio Arsanius che rimaneva non troppo lontano, a sud.
In Galatia, Aquilinus costrinse i traditori a ritirarsi da Ancyra, anche perché Nicephorus Botaniates, ad un certo punto, tornò in Cilicia, perché aveva avuto notizia di qualche complotto e perché le navi pirata di Tzaca, incuranti del fatto
che Nicephorus era tecnicamente suo alleato, avevano saccheggiato parecchi villaggi costieri e appiccato un incendio al porto di Antiochia Ad Pyramum. Infuriato, anche perché il suo pseudo-regno non aveva una flotta se non qualche nave sparsa, si lamentò con Arsanius, il quale si limitò a sua volta ad avvisare Tzaca di stare più attento la prossima volta. Ben gli sta!
Altre razzie colpirono sia Cyprus che la città di Celenderis, senza che la flotta imperiale riuscisse a impedirlo. Il drungarius Manuel Butumites venne però promosso da Alexius, che creò appositamente per lui il grado di megadux, teoricamente gran'ammiraglio di tutte le flotte dell'Impero, anche se né all'epoca né in questi giorni non tutti si dicono d'accordo.[7]
Rimasto solo, Nicephorus Melissenus si ritira anch'esso, cercando di attirare Aquilinus più a est. Questi avanza allora su Sebastopolis, anche se comincia a far freddo e qui cade nell'imboscata tesa dal nemico: i suoi uomini rompono le linee e scappano, e lo stesso Aquilinus viene ucciso in combattimento. Con una mossa degna della sua fama degenerata, il Melissenus era riuscito così a liberarsi della minaccia ad occidente, massacrando migliaia di soldati romani. Per questo, nonostante pensasse già di are l'inverno tranquillamente a sorvegliare le mosse di Arsanius, Rachimundus, non appena sentì del disastro, si convinse a marciare verso occidente, per farla finita una volta per tutte con Nicephorus Melissenus. Stava per iniziare così il momento culminante di tutta la prima fase della guerra. [8]
[1] Non è proprio perfetta questa stringata analisi di Gabras ma, come sempre, sostanzialmente il generale non è molto lontano dalla realtà. Dal VII secolo A.D., circa, cioè da quando la riunificazione delle due parti cominciò a dare di nuovo i suoi frutti, soprattutto sul piano economico, l'Impero fu in grado di sopportare sforzi bellici molto maggiori rispetto a
quelli degli stati nemici, arretrati e barbari. Tenendo poi conto, come accenna Gabras, che per quanto poche ci furono alcune innovazioni in campo agricolo e tecnologico, che permisero di aumentare la produttività del terreno in molte regioni, e dunque di gettare le basi di un aumento di popolazione, non sorprende che, nella sua storia, in occasione di guerre molto lunghe e sanguinose, l'Impero sia stato in grado di resistere molto a lungo, prendendo in pratica per sfinimento il nemico che non aveva la stessa organizzazione e, col tempo, le stesse risorse, e che, durante le operazioni, abbia abbandonato lo schema rigido di “guerra solo nella bella stagione”. Con una rete di basi e disponibilità di uomini e cibo, non c'era clima o terreno che potesse impedire lo svolgersi di una campagna militare anche in pieno inverno.
[2] Sebastopolis era caduta di nuovo nelle mani di Nicephorus Melissenus poco dopo la sua riconquista di Sebasteia.
[3] All'epoca il magister della provincia d'Asia era il fratello dell'Augusto Alexius I, Manuel Comnenus, da poco in carica; il magister di Bithynia era Severinus Anicius Tranquillo, un locale, e il magister di Galatia era Aquilinus Epidius Clarus, generale ed esponente dell'antica gens Epidia.
[4] Gabras si abbandona troppo spesso a considerazioni eccessive. Anche in questo caso, appare ingiusto il commento su Aquilinus.
[5] Oltre alla metafora, in effetti, Gabras fornisce uno spunto interessante che mostra ancora una volta le differenze tra Impero Romano e impero seliacide, ma in generale gli stati orientali e la loro concezione del potere: per quanto infatti anche l'Augusto romano sia un despota, nel senso che accentra in sé un potere assoluto, lo Stato e le istituzione da cui è circondato, a partire dai Senati, non sono organi cerimoniali senza senso o scopo e la loro stessa esistenza, unita alla forte tradizione romana di senso civico e odio verso le forme degenerate di despotismo, hanno sempre permesso
all'Impero di essere qualcosa di più che un semplice insieme di territori personali di un singolo uomo. Nell'Impero, gli uomini ano, così come gli Augusti, ma lo Stato resta: per questo esso è così duraturo e resistente. Nemmeno le dinastie (quando ci sono) sono davvero importanti, come lo sono in Seria, ad esempio. I domini seliacidi, invece, erano modellati attorno alla figura di Arsanius, e della famiglia seliacide, e soprattutto costruiti sulle tradizioni tribali della steppa, di un modo di vivere precedente alla definitiva sedentarizzazione che, di per sé, non erano un male ma che, inevitabilmente, portavano lo stato ad essere più instabile e soggetto al aggio degli uomini forti, i quali, in mancanza di istituzioni, potevano sempre riuscire a deciderne le sorti e guidarne i destini.
[6] Si sa effettivamente poco della figura di Tzaca, il cui vero nome forse fu Tsacha o qualcosa di simile. Le fonti sono poche e molto scarne e sembra però che fosse un seliacide che aveva vissuto per qualche anno in Susiana, imparando dai marinai locali l'arte della navigazione. La sua comparsa nel Mare Nostrum fu improvvisa, così come la sua dipartita: non si sa nulla di come morì né quando, ma si suppone durante gli scontri con le forze o del dux Domenicus, o quelle del megadux Manuel.
[7] Gabras si riferisce al fatto che ancora nel 1126/1879-1127/1880, quando era megadux Constantinus Angelus, marito di Theodora Comnena Angelina, a sua volta sorella dell'Augusto Iohannes III, in molti, in Occidente, contestavano la creazione di quel grado, soprattutto il dux di Venetia e il megadrungarius dei porti di Ostia e Portus.
[8] ando al capitolo successivo, facendo dunque slittare un po' gli eventi per creare un effetto di pathos narrativo, Gabras si riferisce comunque all'ultimo anno e qualche mese di guerra, prima della tregua.
XL
Della guerra: 1081/1834
La morte di Aquilinus diede infatti il via ad una serie di eventi che portarono la guerra ad una svolta, dopo tanto tempo. Rachimundus, abbandonate le posizioni a est, invase i domini del Melissenus, per catturarlo e distruggerlo, e già in pieno Ianuarius si trovava a Melitene che, anche se non faceva parte dei territori ufficialmente tenuti dal generale traditore, era in mano nemica e la sua guarnigione, scesa in campo, cercò di contrastarlo. Egli allora riuscì a sconfiggerla ma non occupò la città, continuando l'estenuante marcia verso Sebasteia, allarmando il Melissenus che non si mosse da Sebastopolis e anzi inviò nuove richieste di aiuto ad Arsanius. Questi, a sua volta, non aveva certo bisogno di essere chiamato per intervenire: messi da parte ancora i propri piani originari (quelli di invadere insieme a Nitzamius e Argarius l'Ægyptus), si mise in movimento per impedire a Rachimundus di far troppi danni. Così lo inseguì, richiamando a sé anche il figlio Malicus che, pur non togliendo l'assedio a Trapezus, lo raggiunse con un distaccamento nei pressi di Arsamosata. Rachimundus devastò quel che rimaneva del contado di Sebasteia, appiccando incendi ovunque ma, sapendo di essere inseguito da tutti, non pose l'assedio alla città, ma proseguì verso Sebastopolis, facendo terra bruciata al suo aggio e interrompendo le strade e abbattendo i ponti. Quest'ultima mossa, lo so bene, rallenta parecchio il nemico.[1] Così giunse a Sebastopolis, dove stava Nicephorus Melissenus. Il Botaniates stava arrivando da sud ma Rachimundus fu rapido e assediò la città, sapendo di aver guadagnato un po' di tempo con la sua strategia di distruzione. Il piccolo rex si rintanò in città, sperando solo nell'arrivo dei rinforzi, ma Rachimundus riuscì a
penetrare in città e ad appiccare un incendio: non c'era tempo per risparmiare nemmeno la popolazione, altrimenti la guerra non sarebbe mai finita, diceva.[2] Con le poche forze a disposizione, Melissenus non riuscì a impedire che le fiamme si propagassero e probabilmente, nel tentativo di fuga, tra i combattimenti, morì carbonizzato perché il suo corpo non venne mai ritrovato. Alla notizia che sia Botaniates che Arsanius stavano arrivando, Rachimundus abbandonò la città, ritirandosi ad Ancyra, lasciando che il nemico la trovasse semi-distrutta e divorata dalle fiamme. In un modo eccezionalmente cruento e tragico, Rachimundus aveva però raggiunto uno dei suoi obbiettivi: uno dei territori separatisti era stato distrutto e, anche se ora si trovava nelle mani del sultano, la scomoda figura del traditore Melissenus era scomparsa. (Ci volle del tempo prima di essere sicuri che non si fosse nascosto da qualche parte).
Arsanius questa volta non aveva intenzione di farla are liscia al generale gallo perché continuò ad avanzare, deciso ad ottenere un'altra battaglia campale. Si riunì a Botaniates, e con un esercito che sfiorava gli 80000 uomini, ancora sul finire dell'inverno, si mise a incalzare le retrovie di Rachimundus che sapeva essere stanche per le lunghe marce compiute fino a quel momento. Sulle prime, Rachimundus decise di evitare la battaglia, conscio di poter perdere tutti i progressi compiuti in quei quasi due anni di controffensiva, e dunque si ritirò, sempre più all'interno, oltre Ancyra, e oltre Germa e Pessinus: era una strategia costosa, in quanto il ar del tempo costringeva il suo esercito a dipendere sempre di più dalla popolazione, e attirava in zone ancora non toccate dalla guerra un nemico incattivito e desideroso di vendetta. Non mi metterò ora ad elencare i massacri e le violenze che l'esercito di Arsanius avanzante in Galatia e poi ai confini dell'Asia compì nei confronti dei civili. Certo, più si allontanava, più anche la posizione del sultano diventava precaria perché non conosceva bene i luoghi e le guarnigioni locali andavano ad ingrossare l'esercito di Rachimundus. Fu in effetti, ai primi di Maius, dopo un inseguimento di due mesi e mezzo estremamente dispendioso, che Rachimundus si decise a cambiare strategia, sicuro di poter sconfiggere il nemico, ora lontano dalle sue basi e distratto dalla rabbia. Nei pressi di Laodicea Ad Lycum, finalmente i due enormi eserciti si fronteggiarono e la battaglia andò avanti per più di dieci ore.
A sera, però, il verdetto era chiaro. Le forze seliacidi avevano spezzato le linee romane più volte e queste si erano sempre ricompattate grazie alla loro resistenza e all'estrema disciplina, ma all'ultimo assalto il nemico aveva dilagato e mandato in rotta l'esercito di Rachimundus, costringendolo a ritirarsi con solo un nucleo di veterani ancora in formazione. Fu un massacro da entrambe le parti perché anche Arsanius perse qualcosa come 30000 uomini e si trovava molto lontano dalle sue basi.
Ciò che però cambiò i destini della guerra non fu la sconfitta romana ma piuttosto il ferimento di Arsanius stesso: mentre stava combattendo infatti il sultano era stato colpito da una freccia che gli aveva trafitto un polmone, facendolo cadere da cavallo. Subito era stato portato via e Malicus aveva assunto il comando, riuscendo a vincere lo scontro, ma le sue condizioni erano rapidamente peggiorate, così che, prima di arrivare anche solo ad Ancyra, la città più occidentale occupata dalle sue truppe, Arsanius, il sultano conquistatore, colui che aveva messo tante volte in ginocchio l'Impero, era già morto.
[1] E in effetti, lo stesso Gabras era diventato famoso per aver a lungo protetto l'Albània distruggendo ogni singolo ponte sul Cyrus e sull'Araxes che potesse aiutare il nemico a superarli, per quanto antichi potessero essere.
[2] Chissà se lo diceva davvero.
XLI
Della morte di Arsanius
La morte di Arsanius colse tutti alla sprovvista. Per i seliacidi fu una tragedia di immani proporzioni, mentre per noi costituì quella speranza che serviva proprio nel momento più duro. Infatti, nonostante la vittoria, Malicus si ritirò subito a gran velocità verso est, raccogliendo il corpo del padre ad Ancyra e tutte le guarnigioni fino a Cæsarea Cappadocica che tornò ad essere il punto più avanzato dell'impero seliacide. La Galatia era di nuovo libera, anche se, ovviamente, gli irregolari non seguivano gli spostamenti degli eserciti e dunque rimasero in zona. Con una marcia rapidissima, a cavallo dell'anno, Malicus si rifugiò ad Edessa inviando subito messaggeri a Nitzamius, pronto da tempo ad invadere l'Ægyptus. Bisognava infatti agire prima che la notizia della morte del padre diventasse di dominio pubblico perché anche se lui era il figlio primogenito, questo non significava la sua automatica ascesa al trono, nella complicata scena politica e di potere delle tradizioni seliacidi. Certo, un figlio aveva di solito la precedenza sui fratelli del padre, ma spesso e volentieri gli zii si rivelavano ambiziosi e pronti a combattere con i loro stessi nipoti, ucciderli persino. Lo stesso Arsanius aveva sconfitto il fratello Cotalmisus e fatto uccidere tutta la sua famiglia, compreso il nipote Salomon. E poi c'erano i fratelli: Totasius era a Cyprus ma c'erano anche gli altri figli di Arsanius che, magari manovrati da qualche avido generale o condottiero, potevano rivendicare anch'essi il trono. La struttura poi dello stato seliacide, come detto già più volte era ancora tribale e le province erano più appannaggi che territori dello stato amministrati da un governatore fedele al governo centrale, così che ognuno di quei dominatori, in Carmania, in Persis, in Susiana, in Chorasmia, avrebbe teoricamente potuto rendersi indipendente se non riconosceva il nuovo sultano, perché in pratica anche se non nel nome, ognuno di essi era a sua volta una sorta di sultano.[1] Ora la guerra con i Romani ava in secondo piano rispetto al mantenimento
del potere. Nitzamius, appena saputolo, si precipitò a Hyerosolyma, dove Malicus si era portato e lì consigliò a quanto sembra al giovane erede che la prima cosa da fare era tornare ad Aspadana e prendere in mano la situazione perché nel giro di pochissimo la notizia si sarebbe diffusa a macchia d'olio e tutti sapevano che qualcuno si sarebbe sollevato per reclamare la sua parte. Era necessario almeno siglare una tregua con l'Impero Romano perché non si poteva continuare a combattere ad occidente una guerra tanto impegnativa e allo stesso tempo affrontare i sicuri usurpatori e le rivolte che la notizia della morte di Arsanius avrebbe provocato. Difficile da sentirsi dire, affermò che Arsanius era l'unica cosa che teneva unito l'impero seliacide, e che adesso era il turno di Malicus dimostrare a tutti di esserne il vero erede, accentrando i domini attorno alla propria persona proprio come aveva fatto il padre.
Ora io non mi addentrerò nelle intricate vicende orientali, anche perché oltre questo punto, al di là delle notizie che ebbero ripercussioni dirette sulla guerra e sull'Impero, non so molto. Non so cosa accadde ad Aspadana o a Bagdata e so poco di quello che accadde dopo, quindi non avrebbe senso parlarne. Se tu, lettore, vorrai informarti di più su ciò che accadde in Persia negli anni della tregua, forse potrebbero esistere certi resoconti che potresti consultare, anche se credo che, come minimo, dovresti saper leggere in arabo o in persiano...[2]
[1] Questa volta Gabras descrive bene ciò che dovette preoccupare Malicus in quei mesi.
[2] In verità, all'epoca di Gabras, nemmeno cinquant'anni dopo gli eventi che descrive, non esisteva per nulla una bibliografia sulla guerra, figurarsi sulle vicende che interessarono la Persia e gli altri domini seliacidi nel periodo della tregua (1082/1835-1087/1840).
XLII
Della guerra: 1082/1835
In breve, anche l'Augusto Alexius lo venne a sapere e, anche se Rachimundus non aveva quasi più un esercito, diramò un ordine generale di contrattacco, sapendo che di lì a poco i seliacidi avrebbero probabilmente chiesto una tregua che non avrebbe potuto rifiutare. Nemmeno l'Impero Romano aveva infatti più le risorse necessarie per continuare le operazioni o, anche se le avesse avute, non sarebbe stato responsabile tirare così tanto la corda. Sguarnì allora completamente la Thracia, inviando tutti i soldati che poté (richiamandoli anche dalla Moesia e in parte dalle guarnigioni della Taurica) e le inviò in Asia per permettere a Rachimundus di attaccare Nicephorus Botaniates: il suo regno fittizio, soprattutto, non doveva sopravvivere durante la tregua, o avrebbe rischiato di consolidarsi troppo. Quello di Guillelmus, purtroppo, era per il momento irraggiungibile. Così, nel bel mezzo dell'inverno, Rachimundus fu costretto ad avanzare ancora una volta, ando però dalla strada costiera, a sud, dato che anche il megadux Manuel era stato avvisato di attaccare i porti e le coste della Cilicia. Già il 18 Ianuarius, infatti, Issus era stata attaccata persino con gli onagri dalle navi. Nicephorus Botaniates inviò richieste di aiuto alle guarnigioni seliacidi nei dintorni, soprattutto a quella di Cæsarea Cappadocica, ma in assenza di ordini precisi, nessuno si mosse in suo aiuto: Rachimundus penetrò nei territori da lui controllati e li mise a ferro e fuoco, ma non assediò nessuna città, visto che cercava lo scontro risolutore con Botaniates. Questi non aveva intenzione di combattere, e si ritirò nella città più orientale sotto il suo controllo, Alexandria Ad Issum, per far perdere più tempo possibile al generale romano, il quale però, ormai esperto, non si arrese e, stringendo d'assedio solamente Tarsus, ritenuta la città più grande e importante in mano
nemica, continuò ad avanzare, facendosi ogni giorno più vicino. Così, Nicephorus Botaniates decise che era arrivato il momento di giocarsi il tutto per tutto, forse nell'unica decisione coraggiosa della sua intera, misera vita. [1] Fu così che a Tardequeia, su una piana che avrebbe potuto essere favorevole a entrambi, Rachimundus sconfisse Botaniates, riportando una vittoria netta e riuscendo nell'impresa caldeggiata dall'Augusto Alexius, cioè quella di catturarlo per portarlo in catene a Constantinopolis e umiliarlo pubblicamente. I pochi soldati seliacidi rimasti vennero tratti schiavi mentre i pochissimi fedeli di Botaniates, un tempo Romani anche loro, o si uccisero con le proprie mani o vennero fatti giustiziare sul posto dal generale imperiale. Nessuna pietà.
Quando proprio a Rachimundus, considerato da Malicus e Nitzamius l'interlocutore principale dell'Impero Romano al fronte, giunsero i primi messaggi che chiedevano di intavolare relazioni per porre le basi di una tregua temporanea, non di una pace, dunque anche il secondo degli pseudo.regni separatisti era stato riannesso all'Impero e la minaccia era stata sventata. Le campagne erano devastate e spopolate; malattie e povertà erano ovunque e le città erano in rovina, ma almeno il nemico era stato allontanato. Solo Cæsarea Cappadocica rimaneva una fastidiosa spina nel fianco ma, per il momento, andava bene così.
Per tre lunghi mesi, fino a Iulius inoltrato, sporadici combattimenti continuarono ma, dato che i generali e i grossi eserciti (almeno quei pochi rimasti) rimasero fermi, in attesa, la guerra entrò in una situazione di profondo stallo. In pratica, come sempre, e come anche durante la tregua, solo le violenze e gli scontri condotti da e con gli irregolari continuarono come se niente fosse. Infine, il 18 Iulius 1082/1835, nel diciottesimo anno di guerra, il conflitto si congelò e iniziò la tregua.[2]
[1] Proprio non riesce a non insultarlo!
[2] Forse per mancata revisione, Gabras non ci dice come finì la campagna di Guillelmus e Totasius a Cyprus. Accadde infatti che, dopo le prime vittorie, una rivolta ebraico-cristiana era esplosa a Hyerosolyma, costringendo Guillelmus a tornare in Palestina perché minacciava di estendersi alle piazzeforti dei suoi domini. Lasciò così la situazione in mano a Totasius, sbagliando, perché questi, seppur abile, era inesperto e si vide subito. Dopo aver conquistato più o meno metà isola, infatti, la debole controffensiva romana guidata dal magister Ambrosianus fu abbastanza per metterlo in crisi e, dopo la battaglia di Tamassus, proprio al centro di Cyprus, tra i pochi uomini del Romano e il doppio del seliacide, Totasius si ritirò di nuovo sulla costa (estate 1081/1834). Guillelmus a quel punto voleva tornare ma per un certo periodo il megadux Manuel condusse una pesante campagna lungo le coste del Levante, impedendo a qualsiasi nave di partire per Cyprus, dove in pratica le forze di Totasius erano rimaste isolate. Quando infine giunse la strana notizia che Arsanius stava tornando ad Edessa e poi a Hyerosolyma, Guillelmus non partì più del tutto, costringendo anche Totasius, quasi in October, a tornare segretamente a Cæsarea Maritima. Ambrosianus sconfisse le ultime truppe seliacidi sull'isola entro la fine dell'anno, liberandola dal nemico.
XLIII
Della tregua
Memore degli eventi accaduti un secolo e mezzo prima, all'epoca dell'Augusto Romanus I, forse l'Augusto Alexius ebbe qualche paura nel portare avanti l'idea della tregua con il nemico. Dopotutto, l'idea di tregua era sì funzionale e ritenuta accettabile nell'ideologia utilitaristica romana, ma era anche vero, così come lo è tuttora, che essa è pure estranea al nostro modo di condurre la guerra perché essa significa avere rapporti con i barbari che non siano di superiorità o dominio, in sé un'implicita ammissione di uguaglianza che, di solito, l'Impero evita a tutti i costi.[1] Nonostante le critiche provenienti dall'Occidente, e soprattutto dall'arrogante patriarcha di Roma, l'Augusto Alexius continuò però per la sua strada, anche perché tutti sapevano come fosse in realtà necessario avere un periodo di calma per potersi riorganizzare. Così, Alexius inviò le istruzioni per condurre le trattative a Rachimundus che, come detto, impiegò tre mesi circa, incontrandosi nel bel mezzo delle montagne proprio a nord di Alexandria Ad Issum, in un villaggio reso terra di nessuno apposta per quell'evento. Mentre Malicus era lontano in Persia, fu lo stesso Nitzamius a rappresentarlo di fronte ai Romani. Ora, brevemente, riassumerò i termini finali che vennero fissati al termine degli incontri e che, più o meno, soddisfecero tutti. Sul Pontus Euxinus, la Lazica e tutte le sue città venivano evacuate dai seliacidi, e così l'Iberia in Armenia. Il nuovo confine, che non avrebbe dovuto essere oltreato per nessun motivo e sarebbe stato pattugliato giorno e notte da entrambi gli eserciti, sarebbe andato dal delta del fiume Cyrus, tenendo dunque a nord l'Impero Romano e a sud quello seliacide, che manteneva il controllo dell'Albània, e ato poi appena a sud del lago Lychnitis. La linea di tregua si
incuneava tra le due città di Duvius, in mano nostra, e quella di Artaxata, in mano loro, anche se pure Armavira rimaneva seliacide. Tutta la Thospitis andava al nemico, insieme, purtroppo, a tutte le terre a sud di Arsamosata, Melitene e Germanicea, con il cuneo di Cæsarea Cappadocica a spingersi verso occidente. Tutto il resto della Cilicia e della Cappadocia doveva essere evacuato dalle guarnigioni seliacidi e Seleucia Pieria rimaneva romana. Il regno del Levante di Guillelmus il Traditore non veniva riconosciuto ma, dato che nei termini quei territori venivano considerati occupati dal sultano, non potevano essere attaccati. Clysma, infine, tornava all'Impero, con il confine che da Gaza scendeva alle rovine di Aleana. La tregua sarebbe durata cinque anni. E, ovviamente, tutti gli irregolari e le bande di ochusi, chorasmi e altri popoli orientali non erano compresi perché Nitzamius affermò che nemmeno loro erano in grado di controllarli. Tempi duri!
Furono anni strani. Entrambi gli imperi avevano gravi problemi, anche se quello Romano sembrava davvero sull'orlo del baratro. La guerra civile in Germania stava devastando l'Occidente, e non era più semplicemente la rivolta di un magister locale come all'inizio perché ormai si era indissolubilmente intrecciata con le dinamiche di potere in Italia e con i tentativi dell'Augusto Alexius di introdursi e sfruttarla a proprio vantaggio. Fu in questo periodo che la gens di Fridericus, l'attuale magister di Germania, che ora si vanta tanto di come l'abbia fatta tornare ricca e prospera, guadagnò prestigio e visibilità, grazie ai doppi giochi e alle imprese del padre, sempre Fridericus, che, fedele all'Augusto Alexius, gli permise di guadagnare posizioni in Occidente, indebolendo il potere di Gothus Fridus e soprattutto di Mathilda, rendendo il momento dell'unificazione più vicino.[2] Sul lungo confine armato, così come gli scontri e le violenze continuarono sempre nelle povere valli armene (dove in pratica la guerra non finì mai), le armi dei grandi eserciti tacquero davvero. L'unico suono che si sentiva era quello delle fortezze che venivano ricostruite e rafforzate, in previsione del riprender della guerra in futuro, da entrambe le parti e, anzi, i seliacidi ne costruirono parecchie di nuove, soprattutto nella zona meridionale della Palestina e in tutta l'Arabia Petrea che, in pratica, era stata abbandonata al nemico senza esser stata né difesa né conquistata. Ad esempio, la città di Hegra non aprì le porte ai soldati seliacidi fino al 1084/1837, quando un esercito guidato da Argarius
dovette espugnarla con la forza.[3] A parte questo, la tregua resse. Nei porti che avevano conquistato, secondo i termini dell'accordo, essi non potevano costruire nuove flotte e, teoricamente, non potevano fare pirateria alle navi romane, ma in pratica, con la scusa che i pirati non erano marinai ma anch'essi irregolari, e che costruivano basi in luoghi non sempre sotto il controllo seliacide, la pirateria diminuì ma non cessò del tutto, intaccando ancora di più il morente commercio nella regione. Ad ogni modo, il megadux Manuel fu abile, coadiuvato dal dux Domenicus a pattugliare le coste, comprese quello controllate da Guillelmus.
Costui ormai si era inorgoglito a tal punto che aveva chiaramente deciso di agire in spregio all'Impero, e ai suoi ex-concittadini, sapendo infatti di essere protetto dal vassallaggio con i seliacidi. Nel 1083/1836, cambiò dunque il proprio nome in Guillelmus I, con l'ovvio intento di voler fondare una dinastia nel suo piccolo regno, e dichiarò una volta per tutte che Cæsarea Maritima era la sua capitale.[4] Per tutti gli anni della tregua, si impegnò nel amministrare le città sotto il suo controllo, applicando come leggi dello stato una sorta di codice romano modificato solo in alcuni casi per sua volontà. Questo dimostra che, nonostante non si comportasse da Romano e legalmente non lo fosse più, la romanitas era qualcosa di più profondo e non lo avrebbe mai abbandonato davvero, neanche se fosse andato a vivere in mezzo alle giungle sui Monti della Luna. Anche lui, nato Romano, sarebbe stato Romano per tutta la vita.
Nel 1085/1838 morì a Roma il patriarcha Althiprandus. Fu un altro duro colpo per la fazione che ava gli Actones e la loro politica irresponsabile. È piuttosto ironico pensare che, nonostante per tutta la vita Althiprandus avesse pontificato sulla necessità che la figura del patriarcha diventasse davvero indipendente da quella dell'Augusto e soprattutto la sua elezione non potesse essere manovrata o decisa per nomina imperiale, il suo successore venisse in pratica scelto a priori da Mathilda e dagli Actones, in modo che chi fosse salito al soglio pontificio avrebbe continuato a stare dalla loro parte.
Infine arono anche gli anni della tregua. Cinque anni possono essere tanti
ma nella conta dei secoli non sono niente: forse per coloro che ricercavano la pace, quei cinque anni arono in un lampo. Nel 1087/1840, pur essendo tante anche le aquile che desideravano tornare in guerra al più presto per riconquistare i territori illegittimamente sottratti a Roma e recuperare l'onore perduto, erano tanti anche quelli che, più o meno apertamente, speravano che la tregua reggesse un po' di più, o che, nonostante durasse esattamente cinque anni, ci si dimenticasse del giorno in cui finiva, riuscendo in questo modo a guadagnare almeno qualche mese... Non fu così. Durante l'annuale ambasceria che l'Augusto Alexius inviava ad Aspadana, abitudine che gli aveva attirato sempre moltissime critiche in quanto sembrava che l'Augusto romano dovesse in qualche modo portare rispetto e riverenza al sultano seliacide e non doveva essere così, il giovane sultano fece capire agli inviati romani che non desiderava più la pace, anche se, ad essere onesti, non lo disse apertamente. Preoccupati, gli ambasciatori tornarono a Constantinopolis riferendo le loro impressioni all'Imperatore, il quale, capito ciò che stava per accadere, non perse tempo e in questo modo riuscì a prendere alla sprovvista Malicus.
Breve digressione: come ho detto non conosco bene gli eventi dell'impero seliacide durante quei cinque anni di tregua, ma so che ci furono rivolte e qualcuno della famiglia seliacide cercò di usurpare il trono. Solo il tempestivo ritorno di Maliacus, con Nitzamius, in Persia, e la tregua stessa con i Romani, gli permise di contrastare le spinte separatiste e quelle interne e assicurarsi il potere, proprio allo stesso modo di suo padre.[5] Non è sbagliato dire, dunque, che anche se l'Impero Romano venne percorso dalla guerra civile in Germania e dalle rivolte in Polania e mille altri problemi, in realtà la parte governata dall'Augusto Alexius, proprio per il fatto di essere momentaneamente separata dall'Occidente, rimase tranquilla, per quanto la parola “tranquilla” possa essere usata per descrivere questi anni. Invece, i seliacidi dovettero combattere praticamente sempre, tra soppressione di rivolte, campagne per schiacciare governatori e famigliari ribelli, e respingere diverse incursioni dei caracanidi di Transoxiana, vassalli ma negli ultimi tempi tornati irrequieti.[6]
Quando la guerra riesplose, nell'estate del 1087/1840, quasi a cinque anni esatti dall'inizio della tregua, furono i Romani, contro tutti i pronostici, ad attaccare per primi.[7]
[1] In realtà, anche qui Gabras non è preciso. Si riferisce ad un episodio del X secolo A.D. quando l'Augusto Romanus I siglò una pace con gli invasori berberi provenienti dal deserto libico e che, dopo una guerra di vent'anni e una congiuntura di altri eventi piuttosto sfavorevole, avevano tolto all'Impero il controllo del Mare Nostrum, della Mauretania Tingitana e soprattutto delle province hispaniche meridionali. Conscio che lo Stato non avrebbe potuto in quel periodo combattere ancora oltre, l'Augusto Romanus I riuscì a siglare la pace col nemico ma a costo di cedergli quei territori e la cosa gli costò la vita, per una congiura partita dai suoi stessi figli e poi degenerata con la presa di potere del famoso Augusto Otto I Magnus. Pur sbagliando, dunque, Gabras parla dell'episodio, anche se una tregua era più accettabile di una pace (perché questa avrebbe davvero significato una sconfitta), per spiegare la mentalità romana e la pericolosità che certe scelte, pur prese dall'Imperatore in persona, potevano comportare.
[2] All'epoca di Gabras, Fridericus Suebus Antonius era molto famoso, ammirato anche per altri aspetti oltre alla politica o alla bravura militare. Si diceva avesse scuderie immense nelle sue terre e che fosse affascinante e molto bravo con le donne. In generale, la sua gens era al culmine del potere. Nel 1127/1880, però un suo discorso al Senato di Roma, insospettì l'Augusto Iohannes III che cominciò a dubitare della fedeltà e della lealtà della famiglia nei confronti dello Stato.
[3] La provincia di Arabia Petrea, che comprendeva all'epoca solo una breve striscia costiera nella penisola arabica sul Mare Aerythaeum, e terminava con due città di confine dai nomi molto simili, Egra e Hegra, non
era stata colpita dalla guerra, se non dalle solite razzie dei beduini arabi dal deserto. Con la conquista seliacide di Aleana e di Petra, si era però trovata isolata e i pirati nel mare avevano peggiorato la situazione. Quando venne siglata la tregua, l'Augusto Alexius I ritenne per il momento non impuntarsi e, a malincuore, cederla al nemico.
[4] Era un affronto anche perché, proprio come adesso, solo gli Augusti possono accostare la numerazione al proprio nome. Nemmeno il patriarcha che peraltro aveva iniziato, nei primi secoli del Cristianesimo, poteva e può fare altrettanto.
[5] Effettivamente, una volta tornato in Persia, Malicus dovette, oltre che schiacciare parecchie rivolte contadine in Media, Tapuria, Carmania e Arachosia, affrontare il tentativo di usurpazione dello zio, noto come Cavurtus (Kara Arslan Ahmad Qavurt), che sosteneva come il potere dovesse are di fratello in fratello, invece che di padre in figlio. Riuscito ad assoldare un esercito di mercenari, attaccò in Media dove quasi sconfisse Nitzamius ma, senza dilungarmi troppo dato che non è questa la sede giusta per parlare della guerra civile seliacide, Malicus intervenne e lo respinse più a est. Ci vollero però parecchi mesi e la situazione fu di nuovo calma e il potere di Malicus consolidato solo a metà del 1085/1838, quando, visto cos'era stato capace di fare allo zio (torturato e ucciso), nessuno sembrò più desideroso di attentare al trono. Totasius raggiunse il fratello ad Aspadana quell'anno e ottenne in appannaggio proprio i domini che erano stati dello zio ribelle. Gabras dimentica di citare la fallita ribellione degli abitanti di Antiochia del 1086/1839, prodromo di quella che nel 1088/1841 avrebbe svolto una così gran parte nella riconquista della città.
[6] Dall'ultima volta che Gabras li cita, quando essi hanno ancora una certa importanza nell'evoluzione del potere seliacide, i caracanidi si erano molto indeboliti e lotte intestine avevano provocato la scissione del loro stato in un'entità occidentale, quella vassalla seliacide, e un'entità orientale, entrambe però indipendenti l'una dall'altra.
[7] Gabras non credo lo sapesse e comunque qui non ne parla ma l'episodio fu molto importante. Nell'autunno del 1085/1838 giunsero da Alexandria a Constantinopolis dei dotti, in una sorta di delegazione che comprendeva molti di loro, studiosi e alchimisti della Biblioteca, e chiesero di parlare con l'Augusto. L'Imperatore Alexius I li ricevette e questi non delo le sue aspettative: infatti dissero di aver inventato una polvere, detta “pirica”, che poteva avere applicazioni di tipo militare, per esempio per la costruzione di mine esplosive da utilizzare negli assedi. La polvere in realtà esisteva già ma loro avevano migliorato la formula fino al punto da renderla effettivamente utile per un'applicazione e fu la loro idea, presentata nel momento giusto all'Augusto, ad essere rivoluzionaria. A quel punto, entusiasta, l'Augusto Alexius I stanziò i fondi e in breve tempo, in gran segreto, venne fondato un arsenale nei pressi di un piccolo e isolato villaggio della Thracia, Castra Rubra, dove i dotti, assistiti come re, avrebbero lavorato giorno e notte per creare delle mine, come sostenevano di essere capaci di fare, da poter utilizzare al riprendere delle ostilità. I fatti di Edessa, dunque, sono direttamente collegati a questo piccolo, ma importantissimo, evento non riportato da Gabras. Per onestà intellettuale, bisogna infine aggiungere che la polvere pirica non fu un'invenzione romana ma serica, in quanto nell'Impero di Seria essa era già stata all'epoca utilizzata in ambito militare, durante delle battaglie e degli assedi e furono proprio le nostre spedizioni dell'XI secolo A.D. a ispirarci per raggiungere quei risultati. Però, è vero anche che il raggiungimento della formula per un potere esplosivo efficiente e tutte le ricerche collegate furono svolte in completa autonomia da ciò che già esisteva in Seria, visto che già da circa un secolo, la collaborazione tra i dotti di Alexandria e quelli di Bagdata aveva dato ottimi frutti nell'ambito alchemico. Il fatto che poi le frontiere erano state chiuse e le invasioni avevano interrotto definitivamente i rapporti aveva creato uno spazio tra i progressi e le scoperte fatte da noi Romani e quelle arabe, che invece si fermarono.
XLIV
Della guerra: 1087/1840
L'Augusto Alexius aveva infatti fatto pressione ai suoi generali affinché lanciassero al più presto un'offensiva nel territorio nemico, così da essere in posizione avvantaggiata quando anche i seliacidi fossero stati pronti. Era solo questione di tempo, disse l'Imperatore, prima che riesplodesse la guerra. Un attacco preventivo era la cosa migliore. Forse si sarebbe potuto persino metter fine alla guerra più velocemente e convincere Malicus ad accettare la pace. Rachimundus era pronto e sotto il suo comando, dato che era stato nominato magister Orientis, una carica assegnata apposta per l'occasione, aveva tutte le forze dell'Asia Minor e del Caucasus. Il 10 Iunius 1087/1840, uscì dai confini stabiliti cinque anni e con l'immenso esercito attaccò Cæsarea Cappadocica, sorprendendo tutti. Mi sono sempre chiesto con quanto preavviso il nemico abbia saputo cosa stesse per succedere... Rachimundus, inoltre, aveva incaricato un altro legatus, l'abile Demetrius, di uscire da Seleucia Pieria, dove era arrivato con l'esercito, e di attaccare Antiochia. Malicus andò su tutte le furie quando lo seppe. Anzi, era stato talmente sicuro di sé da essere andato in Chorasmia, in quel periodo, la provincia più lontana del suo impero dal fronte. Ah! Certe volte il destino gioca davvero brutti scherzi! Fu allora Nitzamius il primo a reagire, in virtù dell'immenso potere che aveva anch'egli nello stato seliacide: giunto a Melitene, non impiegò molto a sfondare il confine in quel settore e a invadere il territorio romano. La fortezza di Dalanda venne espugnata senza colpo ferire e, anche se in questo caso non sarebbe servito conquistarla, il messaggio che il visarius volle dare è quello che i Romani l'avrebbero pagata cara, rompendo la tregua. Proprio loro che stavano per fare lo stesso!
Uccisi tutti i soldati della guarnigione e resi schiavi gli abitanti che riuscì a catturare, avanzò allora verso Rachimundus che intanto continuava con l'assedio di Cæsarea Cappadocica.
Guillelmus il Traditore, al momento del riesplodere delle ostilità, rimase in disparte, sperando di non dover partecipare.[1]
Ordinatogli da Nitzamius, un altro generale seliacide attacca i territori romani. A Duvius, Danamenus, di cui davvero so solo il nome e temo, mio fedele lettore, di averlo scritto male, cercò di porre la città sotto assedio circa due settimane dopo l'attacco romano.[2] La reazione seliacide, devo dire, fu piuttosto rapida e questo dimostra una volta di più come fossero già pronti ad attaccare di lì a poco.
Infatti, persino in Ægyptus, Argarius fu piuttosto svelto e già a metà Iulius, nonostante il calore insopportabile, cercò di attaccare di nuovo Clysma, anche se la trovò parecchio più fortificata rispetto a cinque anni prima.
Demetrius, soprattutto, costituiva la novità principale. Il suo attacco su Antiochia giunse inaspettato perché Antiochia stessa era una grandissima città e il suo assedio avrebbe senza dubbio impiegato mesi a diventare efficace. Malicus, inoltre, stava tornando e non era affatto contento di come erano andate le cose. La Classis imperiale ricominciò allora ad attaccare le città in mano seliacide sulla costa syriana, lasciando stare per il momento quelle in mano a Guillelmus: Laodicea, per esempio, venne razziata in Iulius, e ci fu un tentativo di appiccare un incendio al suo porto, che però fallì.
Rachimundus e Nitzamius si affrontarono alle porte di Cæsarea Cappadocica, non ancora caduta, qualche tempo dopo e fu il generale romano a dimostrare di essere uno dei migliori condottieri in circolazione. Nitzamius riuscì a mantenere
la disciplina nel suo esercito ma dovette ritirarsi e lasciare che Rachimundus completasse l'assedio. Cinque giorni dopo, una breccia nelle mura permise ai legionari di penetrare all'interno e in breve, dopo una sanguinosa battaglia per le vie, la città era tornata ad essere di nuovo romana. Scene di giubilo e festa si videro ovunque tra la popolazione, dopo anni di dominazione straniera. Rachimundus, ancora una volta, venne salutato come un eroe. Ma Malicus, alla testa di un grosso esercito che aveva assemblato nel tornare dall'Oriente, era finalmente giunto ai confini della Syria: ragguagliato sulla situazione dai suoi generali, scelse di marciare su Antiochia poco prima che giungessero le notizie della sconfitta di Nitzamius a nord. Risalgono a questo periodo, credo, i primi contrasti tra il giovane sultano e il suo precettore di un tempo e potente visarius. Infastidito dalla sconfitta, Malicus continuò però la marcia su Antiochia: Demetrius, non fidandosi forse della situazione o delle proprie capacità, decise di ritirarsi in Cilicia, abbandonando Antiochia per il momento.
A nord della Thospitis, l'ennesimo generale seliacide, Menoacus, si diede con le discrete forze a sua disposizione all'assalto delle fortezze e dei villaggi fortificati di Colchium, Chadas e Armanas, sulla strada di montagna che portava a Theodosiopolis. Qui non c'erano forze romane, se non le guarnigioni locali, a poterlo contrastare.[3] Infine, anche Totasius, nonostante fosse governatore nell'est dell'impero, giunse ai primi d'autunno, a dar man forte con altri soldati: sembrò che Malicus volesse colpirci con tutta la forza di cui era capace e distruggerci una volta per tutte. Totasius però non partecipò ad operazioni fino all'anno successivo.
Ad Antiochia, Malicus fece giustiziare alcuni cittadini accusati di aver cercato di favorire il ritorno dei Romani e di aver sabotato le difese cittadine durante il breve assedio di Demetrius. Questo provocò ulteriore malumore in aggiunta a quello che c'era già: la prospettiva poi che gli eserciti romani erano vicini e cercavano in tutti i modi di liberare la città, cominciò a spingere la popolazione antiochena, da sempre considerata rilassata e licenziosa, a cercare la libertà. Il fuoco della ribellione era vivo, sotto la cenere.
Malicus, a questo punto, si recò a nord, per riunirsi con Nitzamius in attesa a Melitene. I rapporti tra i due non erano più quelli di un tempo e, forse, Malicus era infastidito e preoccupato da tutto il potere che il suo antico precettore aveva accumulato, anche se non voleva eliminarlo o deporlo proprio in virtù della sua bravura e dei legami affettivi del ato. Però non fu affatto contento quando seppe che Rachimundus aveva preso anche Arasaxa e stava attaccando Comana. Solo con molte parole, Nitzamius riuscì a calmarlo, convincendolo della necessità di restare calmi: rischiare tutto subito sarebbe stato sbagliato. Avevano bisogno di una strategia e quella strategia sarebbe stata quella che avrebbe dato loro la vittoria, nell'anno nuovo. Malicus, allora, accettò di aspettare l'arrivo della primavera, per poter combattere senza la preoccupazione del tempo, e si ritirò ad Edessa, ordinando a Nitzamius di impedire che Rachimundus si avvicinasse più di così.
Non ce ne fu bisogno perché, nonostante l'Augusto Alexius invece premesse perché avanzasse il più possibile, il generale gallo preferì aspettare anch'egli la primavera, prima di compiere altre mosse che avrebbero potuto essere troppo azzardate. Comana però tornò in mano romana ai primi di November. Durante quel che restava dell'autunno e tutto l'inverno, restando sempre in contatto con l'Imperatore a Constantinopolis, Rachimundus e Demetrius progettarono anch'essi un'offensiva, basata in primo luogo sulla riconquista di Antiochia, città senza la quale ogni prospettiva di avanzare più a est e recuperare la Mesopotamia restava più un sogno fumoso che una possibilità concreta.
[1] Questo non è il solito commento sprezzante di Gabras nei confronti di Guillelmus perché è vero che cercò fino all'ultimo di rimandare i suoi doveri da vassallo, fino a che non venne costretto con la forza e minacciato da Malicus in persona.
[2] La sincerità di Gabras nei confronti del lettore è disarmante e il suo stile è alquanto particolare. Ad ogni modo, ha ragione nel dire di aver scritto male il nome del generale: anche se ormai, proprio grazie a lui, è noto come Danamenus, il suo vero nome era Gumstekin Danishmend Ahmad Gazi ed era un seliacide grandemente rispettato nell'impero seliacide, che aveva ato la prima parte della guerra di stanza ai confini in Transoxiana.
[3] Menoacus è il nome latinizzato in modo superficiale del seliacide Menguchek, di cui anche le fonti persiane e seliacidi parlano pochissimo. Non si sa nulla della sua vita precedente a questo evento. Forse, qualche dotto afferma, era un semplice guerriero ochuso improvvisamente promosso a generale.
XLV
Della guerra: 1088/1841
In previsione di una strategia da adottare, l'Augusto Alexius inviò in Egyptus, provincia tradizionalmente abbondante di uomini ma mai di ottimi soldati, comandanti legionari e istruttori già dalla fine dell'anno precedente, per trasformare quanti più ausiliari possibili in buoni soldati nel più breve tempo possibile. Per mesi, vennero arruolate moltissime reclute, le quali, una volta addestrate, sarebbero andate a formare un grande esercito che avrebbe invaso la Palestina da sud, aprendo finalmente un nuovo fronte. Ma ci volle parecchio tempo e molta fatica. Un'altra delle decisioni dell'Augusto, inoltre, fu quella di inviare navi dotate di sifoni e scorte di fuoco liquido, in modo tale che il megadux Manuel potesse utilizzarlo come meglio credesse contro le navi nemiche: il fuoco liquido, anche se tutti cercano di imitarlo, è l'arma più terribile e potente di tutte![1] Allo stesso modo, Malicus costrinse Guillelmus a prepararsi per tornare in guerra, dicendogli che il figlio Rotibertus sarebbe stato mandato al massacro contro i Romani se il padre non si fosse deciso a compiere i propri doveri da vassallo. A malincuore, Guillelmus ò allora in rivista l'esercito, composto per la maggior parte da guerrieri seliacidi e i suoi cavalieri rimastigli fedeli: dovette però abbassarsi a chiedere alle città di fornirgli degli uomini per la guerra, sostenendo che altrimenti il sultano avrebbe marciato su di loro come vendetta.
Il primo a riprendere sul serio le ostilità fu uno dei luogotenenti di Rachimundus, un Romano armeno che era stato tra le fila di Nicephorus Botaniates ma che poi era stato graziato proprio dal generale gallo e perdonato: Filaretes Uranus. Questi attaccò Menoacus proprio a est di Theodosiopolis e nei pressi di Adconfluentes lo scacciò di nuovo nella Thospitis.
Sul fronte più importante, quello che da Arsamosata andava ad Antiochia, le cose rimasero piuttosto ferme e fu solo in Martius che Malicus, ormai impaziente, decise di muovere contro di noi. Raccolto l'esercito, si avvicinò a Comana, sconfiggendo in scontri minori le forze di Rachimundus, impegnate allo stesso tempo a respingere l'esercito di Nitzamius poco a sud. Totasius venne invece incaricato di prendere Seleucia Pieria una volta per tutte ma anche qui Demetrius rispose all'attacco, riuscendo in un primo tempo a respingere il fratello del sultano. Per circa due mesi, si combatté una guerra strana, piuttosto fluida e fatta più di piccoli scontri che di battaglie decisive, evidentemente perché, nonostante i proclami, nessuna delle due parti voleva davvero rischiare tutto dopo soli pochi mesi dalla fine della tregua.
Argarius riattaccò di nuovo Clysma e stavolta, nonostante dovesse attraversare il deserto, portò con sé i trabucchi cosa che gli permise finalmente di avere successo e di conquistarla nel giro di tredici giorni. Si abbandonò a violenze e, soprattutto, deportò quasi l'intera popolazione, mandandola attraverso il deserto ad Aleana.[2] Da qui, forse avendo ricevuto informazioni dai suoi agenti in Egyptus, si affrettò verso nord, razziando la cittadina di confine di Serapeum, fino a giungere nei pressi di Sile, dove sconfisse con facilità le poche truppe di una guarnigione locale. L'obiettivo, chiaramente, era Pelusium.
Guillelmus, non volendo lasciare il proprio “regno” per combattere una guerra che nemmeno voleva, inviò allora il proprio figlio omonimo (che in futuro avrebbe associato a sé con il nome di Guillelmus II) a sud, con l'esercito, perché Malicus voleva che portasse rinforzi ad Argarius per conquistare Pelusium e invadere l'Egyptus. Non so se il sultano fosse al corrente dell'addestramento dei soldati voluto dall'Augusto Alexius.[3] Da Gaza, l'esercito di Guillelmus avanzò lungo la costa, fino a Raphia, già in mano seliacide, e poi attaccando Rhinocolura che, poco difesa, cadde quasi subito. Il soprannome che sembra fosse diffuso in quei tempi, “Rosso” si riferiva di sicuro alla sua violenza e ai fiumi di sangue del nemico, soldato o civile che
fosse, amava versare.[4] Bloccato il suo tentativo di conquista di Seleucia Pieria, Totasius, abile negli spostamenti fulminei, riuscì però ad attraversare le Porte Syriane e a raggiungere Alexandria Ad Issum che, presa alla sprovvista, aprì le porte, permettendo al seliacide di devastarlo con prolungati saccheggi. Poi, sapendo che Demetrius, allarmato, aveva deciso di inseguirlo, avanzò ancora, superando anche il o delle Porte di Cilicia.
Fu in questo momento, per una fortuita contingenza degli eventi, proprio mentre il suo contado era in pratica sguarnito e privo di eserciti che potessero occuparlo, che la popolazione di Antiochia, come aveva già tentato di fare tempo prima, si sollevò contro l'opprimente guarnigione seliacide. Stanchi della loro dominazione, dei danni arrecati dai soldati stranieri alle chiese e ai monumenti, e soprattutto della fame e degli scarsi rifornimenti, consumati quasi tutti dai 10000 soldati seliacidi della cittadella, i cittadini romani si sollevarono spontaneamente la mattina del 27 Iunius, appunto, pare, senza guide o decisioni prese in precedenza. Rapidamente, nelle ore seguenti, la rivolta si estese a tutta la città e assunse caratteri di violenza da entrambe le parti. Le truppe seliacidi si schierarono in città tentando di bloccare la fiumana di gente che reclamava e danneggiava edifici dove si sapeva o si presupponeva ci fossero i nemici. Nota triste della vicenda fu che la rabbia della popolazione romana, in prevalenza cristiana, si rivolse quasi subito verso i musulmani, non discriminando in alcun modo tra semplici romani musulmani, mercanti stranieri o occupanti seliacidi. Per tre giorni, la rivolta infiammò la città e moltissimi furono i morti, fin quando la guarnigione, arroccatasi nella cittadella, inviò al sultano richieste di aiuto. I cittadini romani aprirono le porte della città e alcuni cittadini giunti a Seleucia Pieria riferirono dei tumulti all’ammiraglio Domenicus che piombò lì già qualche giorno dopo. Rapidamente, egli fece sbarcare dei plotoni per aiutare i rivoltosi e portare rifornimenti, anche se il tutto avrebbe richiesto più di una settimana.
La notizia della rivolta di Antiochia rovinò ancora una volta i piani di Malicus, evidentemente non destinata ad avere successo.[5] Inviò subito ordini a Totasius di tornare ad Antiochia anche se questi era impossibilitato dal farlo a meno di non affrontare in battaglia Demetrius che lo tallonava. Inviò inoltre ordini perentorio al governatore della città di Hyerosolyma, Artachius, affinché si affrettasse a raggiungere Antiochia e schiacciasse la rivolta.[6] In verità, anche se la Classis non disponeva di molti soldati in grado di combattere a terra, il dux Domenicus, avvisato anche il megadux Manuel che si trovava nelle acque d'Egyptus per impedire che Pelusium, assediata, cadesse e che però inviò alcune delle sue navi, aveva fatto sbarcare tutti gli uomini abili a Seleucia Pieria e questi, insieme alla guarnigione cittadina, erano avanzati nel contado di Antiochia. Malicus decise di portarsi anch'egli ad Antiochia, conscio che la rivolta della popolazione rischiava di assumere proporzioni pericolose per il dominio seliacide nella regione ma non poté farlo in quanto, a sua volta, anche Rachimundus si mosse per fermarlo e tenerlo in Cappadocia, incurante di Nitzamius che lo minacciava da sud. Rischiando un po', Rachimundus uscì allora da Cæsarea Cappadocica in direzione di Edessa: forzando i suoi ad una marcia riuscì a superare Comana dove, solo un giorno dopo il suo aggio, arrivò Nitzamius che, non trovandolo, si lasciò andare furioso all'assedio della città. Rachimundus devastò allora il contado di Germanicea, avvicinandosi ad Edessa, da dove Malicus era già partito per Antiochia. Solo quando il sultano si trovò nei pressi di Hierapolis Bambyce, cambiò ancora una volta direzione, forse anche rincuorato dal fatto che Artachius era ormai vicino, e tornò indietro, per affrontare Rachimundus. Per l'ennesima volta, era furioso con Nitzamius.
Artachius giunse nel contado di Antiochia e dovette affrontare i pochi uomini giunti da Seleucia Pieria: senza fatica, li ricacciò in città, e poi pose l'assedio a quella ribelle. In quei giorni, la popolazione era riuscita a prendere il controllo sia delle mura che ad espugnare la cittadella, non facendo superstiti tra i seliacidi. Fu un massacro che forse avrebbe potuto essere evitato, ma così vanno le faccende degli uomini. Artachius, saputolo, cercò di velocizzare le operazioni dell'assedio, isolando Antiochia da ogni lato, per poter riprendere il controllo
perduto.
In Cilicia, Totasius si era deciso ad affrontare Demetrius, e così nei pressi di Adana, si svolse una battaglia piuttosto dura che il generale dalmata riuscì però a vincere, costringendo il fratello del sultano a darsi alla macchia sulle montagne con i pochi fedelissimi. Senza perdere temo a inseguire i superstiti in rotta, Demetrius si precipitò allora ad Antiochia, con un'altra marcia forzata e arrivò appena in tempo perché le truppe seliacidi di Artachius non stavano avendo troppe difficoltà a prendere il controllo delle mura. Preso alla sprovvista, Artachius provò a disporsi a battaglia, ma la cavalleria romana fu più rapida e piombò sul campo d'assedio con inusitata violenza e rapidità, provocando tra le file nemiche numerose perdite. In soli dieci giorni, Demetrius aveva ottenuto di più di quello che altri non erano riusciti ad ottenere in intere campagne, anche se forse ora i tempi erano solamente maturi e lui si trovò al posto giusto al momento giusto.
Fatto sta che Artachius dovette abbandonare tutto e fuggire a Hyerosolyma, sapendo bene come Malicus si sarebbe infuriato alla notizia della perdita di Antiochia. Infatti, subito i cittadini aprirono le porte, festeggiando come se la guerra intera fosse terminata, e Demetrius venne portato in trionfo per le vie principali, fino al foro centrale, dove dichiarò che Antiochia era il modello a cui tutte le città dell'Impero dovevano ispirarsi perché lì la romanitas trovava la sua più alta espressione. Sulle mura, venne issato il vessillo imperiale, quello con l'aquila e le lettere dorate S.P.Q.R..[7] Incontrò Domenicus e per qualche giorno rimase in zona, inviando messaggeri a Rachimundus e all'Augusto Alexius, e al contempo ricevendo notizie dell'approssimarsi di Nitzamius da nord. Questi infatti, abbandonata una Comana in fiamme e spopolata, aveva deciso di portare soccorso ad Antiochia e solo a metà viaggio era stato avvisato della sua caduta, cosa che lo aveva gettato nel più profondo sconforto, temendo una reazione scomposta da parte del sultano, oramai sempre più corrotto dal potere e in preda ai propri istinti. È proprio vero che il potere logora tutti, e in particolare i più deboli![8]
Un altro evento importante fu l'attacco a Laodicea da parte del megadux Manuel, che non ebbe troppi scrupoli nell'utilizzare il fuoco liquido sulle strutture del porto e le navi ormeggiate alle banchine, provocando in pochissimo tempo un incendio di proporzioni enormi. Una volta concluso l'attacco, egli guidò la flotta di nuovo a sud, a Pelusium, dove le forze di Guillelmus e di Argarius non stavano facendo progressi, forse anche per il caldo estremo che provocava tra loro dissenterie e malanni. Migliaia furono i morti civili a Laodicea, la maggior parte dunque furono romani e, in proporzione, i soldati della guarnigione seliacide non furono moltissimi. Fu però l'impatto emotivo e propagandistico a colpire maggiormente le coscienze: se infatti l'Impero non aveva esitato a distruggere una delle proprie città e a sterminare migliaia di propri cittadini, morti come effetto collaterale dell'attacco, voleva dire che mai si sarebbe arreso e, forse, avrebbe preferito andare in rovina piuttosto che cedere ad una dominazione straniera.
Rachimundus e Malicus si affrontarono a Zeugma e qui il sultano ottenne una grande vittoria: si stima che il generale romano perse quel giorno almeno 10000 soldati anche se non posso dirti, lettore, se questa cifra corrisponde a verità. Quel che so è che fu un duro colpo per la nostra strategia, un fulmine a cielo sereno caduto in mezzo a tanti nostri successi. In un attimo, la stessa posizione di Antiochia tornava a preoccupare perché, mentre Rachimundus era costretto a ritirarsi verso la Cappadocia per leccarsi le ferite, Malicus poteva tornare a sud, cosa che fece. Nitzamius stava infatti impegnando faticosamente Demetrius non lontano da Meleagrum e c'era il rischio di venir circondato e preso alle spalle da un esercito nemico. Fiondandosi su Antiochia, Malicus sperava di riprenderla ma, ancora una volta, giunse una notizia che non voleva sentire: a sud, Guilelmus si era ritirato mentre Argarius era morto in combattimento a qualche lega a est di Pelusium, il che significava che l'invasione dell'Egyptus era fallita.
Cos'era successo? Vedi, mio paziente lettore, finalmente l'esercito assemblato con le legioni di Creta et Cyrenaica, Ægyptus, Achaia e con i moltissimi ausiliari
addestrati per l'occasione, al comando di un parente del generale Demetrius, un certo e fino a quel momento sconosciuto Stephanus, aveva lasciato le sue basi ed era intervenuto a Pelusium.[9] Nella battaglia, Stephanus aveva massacrato i nemici, costringendo il figlio di Guillelmus a scappare con la coda tra le gambe. Da Pelusium, non preoccupandosi troppo dell'isolata Clysma, si era dato all'inseguimento ed era penetrato in Palestina, destando preoccupazione. Ciò che infatti turbò le guarnigioni seliacidi erano le dimensioni di quell'ennesima massa di uomini che i Romani erano riusciti a inviare contro di loro: quasi 80000. Rhinocolura, Raphia, Sykomasum, Castrum Moenoenum furono solo alcuni dei luoghi in cui, alla vista di tanti soldati, negli ultimi giorni di September, le guarnigioni seliacidi si arresero senza combattere. Solo a Gaza, abbandonata ancora una volta da Guillelmus, Stephanus dovette porre l'assedio. L'obbiettivo, ovviamente, era Hyerosolyma.
Dovendo scegliere cosa fosse più importante mantenere, Malicus decise per Hyerosolyma: se infatti questa fosse tornata nelle mani romane, l'intero fronte palestinese sarebbe crollato, costringendo le sue forze a ritirarsi in pratica di nuovo in Mesopotamia, mentre la perdita di Antiochia, seppur anch'essa uno smacco strategico, non aveva avuto implicazioni così vaste. Così, anche se raggiunse la città, lasciò il compito di riprenderla a Nitzamius, menntre egli si dirigeva in tutta fretta verso sud, raccogliendo in pratica ogni guarnigione lasciata sulla strada. Questo ebbe un effetto collaterale, ma inevitabile se Malicus voleva affrontare Stephanus da una posizione numerica di parità: infatti, senza più l'occupazione seliacide, le forze romane potevano rioccupare parecchio territorio senza versare una sola goccia di sangue. Tra October e November (quell'anno le operazioni non si fermarono né in autunno né in inverno!), la marina imperiale tornò in questo modo in possesso di tutta la costa fino in pratica a Byblus, dove invece Malicus aveva mantenuto le guarnigioni: anche Laodicea, che era un cumulo di rovine bruciate, vennero rioccupata dal megadux Manuel. Solo ad Orthosia si dovette combattere ma anch'essa, ai primi di December, venne riconquistata.
Menoacus continuò a combattere contro le forze di Filares: Tharsidarate, la fortezza di fronte a Theodosiopolis, cadde e ricadde più volte in mano nemica, perché qui nessuno dei due schieramenti aveva abbastanza forze per essere decisivo. A nord, dove a Duvius, l'anno precedente Danamenus aveva tentato di stringere un assedio infruttuoso, i combattimenti si erano trasformati in una sorta di anarchia endemica dove, anche qui, nessuno poteva fare granché e dunque tutti rimanevano arroccati all'interno delle mura delle città o dei villaggi. Danamenus, assecondando le abitudine della sua gente, si accontentò di restare ad Artaxata, vivendo in pratica come una sorta di piccolo rex e dominando i territori circostanti come appannaggi privati, sfruttando appunto la scarsa attenzione che il sultano sembrava rivolgere al fronte dell'Armenia e del Caucasus.
Il centro degli eventi infatti, nonostante l'anno stesse per finire, era molto più a sud. Con furia, Malicus mosse fino a Hyerosolyma, dove dovette però trascorre tre giorni per far riposare gli uomini che minacciavano di non proseguire se non avessero avuto un po' di calma, e qui incontrò Artachius. Questi si umiliò di fronte al proprio sultano che, allora, decise di perdonarlo e portarlo con sé per affrontare Stephanus. Questi, espugnate Gaza e Ascalon, anche grazie all'aiuto della Classis, che ormai aveva quasi sconfitto del tutto i pirati e affondando le navi seliacidi, riuscendo a dominare di nuovo il mare, era di nuovo in movimento e puntava su Lobana, in direzione di Hyerosolyma. A quel punto, anche se alcune piogge improvvise avevano reso la maggior parte dei sentieri un grande pantano e l'unica strada imperiale segnava un percorso facilmente prevedibile, Malicus decise di attaccare e avanzò sul nemico. Avvisato dalle avanguardie, Stephanus si preparò alla battaglia, che avvenne il 29 November, sotto una pioggia fine e sottile. Se qualche tempo prima aveva sconfitto Rachimundus e si era illuso di essere davvero come suo padre, questa volta Malicus dovette accettare la dura realtà: Stephanus, pur non partecipando ai combattimenti a causa dell'età avanzata, manovrò benissimo le proprie unità che dimostrarono di esser stata addestrate alla perfezione. In una sola giornata, Stephanus ottenne così la più brillante e grande vittoria dell'Impero sui seliacidi di sempre, vendicando una volta per tutte
le umilianti e disastrose sconfitte del lontano 1065/1818. Ben 30000 seliacidi vennero uccisi quel giorno, in un'orgia di sangue e morte e, nonostante Malicus riuscisse a ritirarsi con ancora circa 20000 dei suoi in ordine, la battaglia era persa per lui così come, forse, la guerra. Ne sarebbe ato di tempo ancora, in realtà, prima della fine, ma la vittoria di Lobana può essere a ragione considerato il primo o concreto verso la fine delle ostilità di questa guerra infinita.
Nei giorni seguenti, fino alla fine dell'anno, mentre Hyerosolyma, affidata ad Artachius da un Malicus che preferì rifugiarsi a Ierichus, rimanendo comunque minaccioso, venne assediata blandamente, la maggior parte delle forze di Stephanus riuscirono a liberare il sud della Palestina, facendo sperare tutti che la guerra fosse a una svolta.[10]
[1] Dato che solo alcune pagine dopo Gabras parlerà degli eventi di Edessa, pare strano consideri qui il fuoco liquido come la più potente tra le armi romane, anche se, poiché utilizza anche l'aggettivo “terribile” forse si riferisce al sentimento di incredibile paura che diffondeva tra i nemici le poche volte che veniva utilizzato. La decisione dell'Augusto Alexius I di consentirne l'uso (cosa per esempio negata al megadux Constantinus Angelus durante la spedizione nel Mare Caspium del 1126/1879-1127/1880) riflette la gravità di quei mesi.
[2] La cosa interessante è che quando nel 1365/2118 l'Impero conquistò l'isola di Tylos (chiamata Bahrain dagli arabi), i soldati imperiali vi trovarono una grossa colonia che ancora parlava latino e che, pur avendo per la maggior parte adottato i costumi e la religione locale, ricordava chiaramente le proprie origine e disse loro che essi erano i discendenti degli abitanti di Clysma, portati lì dai seliacidi più di due secoli prima. Nel tempo, da schiavi, molti di essi si erano affrancati, diventando mercanti o ricchi locali.
[3] Tutto fa pensare che lo fosse, per questo cercò in tutti i modi di affrettare l'invasione della provincia. Appare già chiaro, nonostante non fosse ancora evidente, come lo stato seliacide stesse perdendo slancio e iniziativa. Maliacus, nell'opinione degli storici e non solo dei suoi detrattori, non viene considerato al pari del padre né per genialità strategica né per visione politica. Molti attribuiscono a Nitzamius il fatto che l'impero seliacide riuscì a combattere ancora per un decennio dopo la tregua, proprio grazie alla sua brillante conduzione degli affari di governo al posto del sultano, che invece si occupava in pratica solo della guerra. Alla morte del visarius, ogni speranza di vittoria per i seliacidi svanì definitivamente.
[4] “Rosso” fu un soprannome diffuso solo tra i suoi soldati, quindi non si molto. In realtà, pare fosse riferito al colore dei suoi capelli.
[5] Più volte, nell'opera, Gabras riprende il destino come forza che in qualche modo aiuta o punisce gli uomini.
[6] Artachius è il nome latinizzato di Ortoq, seliacide fatto governatore di Hyerosolyma nel 1086/1839.
[7] All'epoca, l'Impero non aveva ancora una bandiera ufficiale come adesso. Il vessillo a cui Gabras si riferisce, però, è appunto la base da cui nacque la bandiera dell'Impero: l'aquila ad ali spalancate, appoggiata ad una placca con le lettere S.P.Q.R., e circondata da due corone d'alloro quasi concentriche, il cui cerchio immaginario che disegnavano era completato da un disco solare, il tutto su uno sfondo rosso porpora. Già, al termine dell'assedio di Atil (la futura Basileana Magna), si dice che un soldato fece sventolare lo stesso vessillo sulle mura della città appena conquistata.
[8] La descrizione degli eventi di questo periodo meriterebbe una narrazione più estesa e approfondita, rispetto a quella volutamente stringata di Gabras. Egli non dimentica gli eventi più importanti, ma anche se dall'insieme si capisce cosa accadde, il suo stile risulta qui un po' affrettato e confuso.
[9] Stephanus, così come Demetrius, proveniva dalla Dalmatia, provincia che da poco aveva dato il proprio o all'Augusto Alexius I. All'epoca degli eventi, Stephanus è già piuttosto avanti con l'età e, anche se Gabras dice che fino a quel momento era sconosciuto, in realtà, in Dalamtia, era membro di una gens piuttosto importante, con agganci e conoscenze sia a Roma che a Constantinopolis.
[10] Il lungo racconto, comunque stringato, di Gabras dell'anno 1088/1841 termina qui, con una sorta di contraddizione che mostra la mancata revisione del testo: poco prima dice che la battaglia di Lobana fu un punto di non ritorno verso la vittoria finale, mentre subito dopo afferma che tutti sperarono in una svola, implicitamente sostenendo che non fu così. In effetti, anche se la vittoria di Stephanus fu importantissima, la guerra non fu vinta almeno fino agli eventi di Edessa, nel 1092/1845.
XLVI
Della guerra: 1089/1842
Come ho già detto, la guerra non si fermò per la cattiva stagione e sui fronti principali si continuò a combattere. Demetrius e Nitzamius continuarono ad affrontarsi in scontri non decisivi ma, all'inizio dell'anno, giunsero a Seleucia Pieria, altre due legioni inviate dall'Augusto Alexius, che andarono ad ingrossare le fila del generale. A quel punto, egli tentò di forzare la situazione e scacciò Nitzamius da contado di Antiochia, spingendolo verso est.
Rachimundus, senza la minaccia di Malicus, e ricostruito l'esercito, si mise a liberare l'intera Cappadocia orientale: Melitene cadde nelle sue mani in Februarius e qui fece schiava l'intera guarnigione nemica; poi marciò su Adatha che resistette più del previsto. Caduta anche questa, poté liberare Germanicea. A nord, però, Filares venne sconfitto e Menoacus conquistò finalmente Theodosiopolis, marciando poi su Satala.
Malicus ordinò a Guillelmus di inviargli altri soldati, e così fece anche nei confronti degli altri governatori della Mesopotamia, a Bagdata, in Persis e in Hyrcania, anche se in quest'ultima regione, erano sorti nuovi problemi, a causa di un strana setta che si dedicava all'uccisione di ufficiali seliacidi, non so di più...[1] Guillelmus, però, non si chiamava il Traditore per nulla: all'epoca, conscio del fatto che continuare ad assecondare le richieste del sultano avrebbe provocato una nuova ribellione delle città levantine che si erano unite a lui proprio per non
dover sottostare alle continue leve dell'Impero, e prevedendo che presto sarebbe stato sconfitto, cominciò a condurre una politica ambigua, inviando sì il figlio Guillelmus da Malicus con le sue truppe, ma allo stesso tempo dicendo di avere dei problemi con le leve nei propri domini, guadagnando in questo modo tempo. Nonostante questo suo comportamento ci fu d'aiuto in effetti, in pratica condannò il figlio Rotibertus, ancora in ostaggio nelle prigioni di Bagdata.
L'Augusto Alexius inviò altri due eserciti per forzare la situazione, perché voleva a tutti i costi piegare il nemico ora che era stato seriamente indebolito. Sul finire della primavera, giunse a Trapezus, Isaccus Contostephanus, con il compito di marciare a sud per eliminare le ultime sacche di resistenza seliacide nella zona e, se possibile, sconfiggere Menoacus. A Seleucia Pieria, giunse il fratello dell'Imperatore, Hadrianus Comnenus, con 25000 uomini provenienti dalle isole dell'Egeum, dall'Epirus e dalla Macedonia, anch'esse ormai regioni spremute e piuttosto impoverite dalla guerra. L'arrivo di Hadrianus fece finalmente pendere l'ago della bilancia a favore di Demetrius che, grazie al suo arrivo, poté marciare a sud, mentre il cæsar teneva d'occhio Nitzamius e gli impediva di marciare su Antiochia. Dall'oriente, però, erano giunti rinforzi anche per Malicus che, verso Iunius, era in grado di nuovo di sfidare Stephanus: nella battaglia che segue, questa volta, le cose si invertono ed è il generale romano a doversi ritirare dalla zona di Hyerosolyma, verso Ascalon, poiché Malicus era riuscito a uccidere più di 15000 dei suoi. A quel punto, sapendo di non poter abbandonare la zona con tutto l'esercito, Malicus lascia tutto in mano ad Artachius e comincia un periodo intensissimo di spola tra il fronte settentrionale e quello meridionale, cosa che gli garantirà l'ammirazione dei suoi soldati a cui sembrava si trovasse ovunque, e che, quasi insperatamente, modificò ancora una volta gli equilibri della guerra che a tutti sembrava stesse per finire. Il colpo di coda della bestia morente, direi, anche se all'epoca tutti ne furono atterriti.
Infatti, apparso Malicus di nuovo ad Edessa, egli marciò con Nitzamius contro le forze di Rachimundus che non si aspettavano la sua ricomparsa, sapendolo a Hyerosolyma: sorpreso, il generale gallo si ritirò da Germanicea, rifugiandosi
più a ovest. Lasciando il visarius in città, il sultano si diresse allora a sud, incuneandosi tra le forze di Hadrianus e Demetrius, il quale a sua volta era tornato nei pressi di Antiochia. Non lontano da Beroia, Malicus sconfisse anche Hadrianus, prima che si ricongiungesse con Demetrius, sfruttando appieno l'effetto sorpresa che il suo movimento continuo gli garantiva. Lasciando i vari eserciti sul posto e limitandosi egli stesso con qualche fedelissimo a spostarsi, riusciva a gestire meglio la situazione e in effetti, in poco tempo, sul finire dell'estate, era davvero riuscito a bloccare tutte le offensive nemiche. L'Augusto Alexius non aveva però più rinforzi da inviare così che i suoi generali dovettero arrangiarsi come poterono: Rachimundus, il quale cominciava ad attirarsi qualche critica da chi sosteneva avesse troppo potere in Oriente, a fronte delle numerose sconfitte e rallentamenti che c'erano stati in ato, temporeggiò, limitandosi per mesi a scontrarsi con le avanguardie degli eserciti seliacidi; Hadrianus e Demetrius si trovavano in una posizione incerta ad Antiochia e non sapevano quale sarebbe stata la successiva mossa di Malicus, e a sud Stephanus si leccava le ferite, più lontano di prima da Hyerosolyma. In quel periodo, solo il megadux Manuel ottenne un successo, attaccando Sidon, prima con il fuoco liquido, e poi sbarcando nel porto distrutto, cosa che gli valse la conquista della città.
Mentre Rachimundus si trova lontano, un esercito inviato da Malicus riconquistò Melitene, facendo questa volta moltissimi prigionieri, inviati subito a est.
Isaccus Contostephanus respinse da Satala Menoacus e lo costrinse a battaglia poco a occidente di Theodosiopolis, senza però grande successo.
Ad un certo punto, ricevuti nuovi rinforzi (che aveva fatto arruolare e chiamare dall'India!), Malicus scatenò una nuova offensiva, per il dominio di Antiochia: con rapidità cercò la battaglia contro Demetrius e Hadrianus, ma questi, a loro volta, decisero di dividersi.
Demetrius si spinse a sud, fino a Hierapolis Bambyce, che assediò, mentre Hadrianus trovò ancora una volta lo scontro con il sultano. Ancora una volta, infine, Malicus vinse la battaglia, costringendo il generale a ritirarsi velocemente a sud, per riunirsi alle forze di Demetrius. In pochissimo tempo, i soldati (e la moltitudine di irregolari che si era portato dietro) sommersero letteralmente il contado di Antiochia, che rimase come un'isola in mezzo al nemico.
In Palestina, impossibilitato dalla sconfitta ad attaccare Hyerosolyma, ed incalzato sia da Artachius che da Guillelmus, Stephanus riuscì lo stesso ad attaccare e prendere possesso della città di Emmaus-Nicopolis, tenuta da una guarnigione levantina: qui, per esplicito ordine dell'Augusto Alexius, i soldati levantini (dunque di origine romana) vennero decapitati nella pubblica piazza, di fronte a tutti gli altri cittadini. Solennemente, Stephanus lesse un proclama secondo il quale l'Imperatore aveva spogliato tutti gli abitanti della città dei privilegi che la cittadinanza dava loro e che, da quel momento in poi, sarebbero stati considerati semplici sudditi e chi sarebbe stato giudicato colpevole di dare aiuto al nemico, sia quello separatista che quello seliacide, sarebbe stato giustiziato da un tribunale militare.[2] Dunque, cominciò a far circolare la voce che le città e i villaggi che si sarebbero sollevati al dominio straniero o separatista non sarebbero state private dei diritti di cittadinanza e che non ci sarebbero state liste di proscrizione o vendette da parte dello Stato. Per mesi si combatté poi piuttosto violentemente in tutta la zona e Guillelmus si dimostrò ancora più violento e sadico del padre, massacrando quando poteva i soldati romani che trovava alla sua mercé. Non esagero se dico che il terrore che sparse in quel tempo contribuì certamente a convincere la regione che il dominio imperiale, pur con tutti i suoi difetti, era migliore di quello del nemico. Poi, ennesima svolta del destino, nel corso di uno scontro minore nei pressi di Isana, a metà strada tra Neapolis Palestinæ e Hyerosolyma, Guillelmus venne catturato dalle forze di Stephanus, che aveva inviato un grosso distaccamento proprio per assediare la città a nord di Hyerosolyma. Quel successo insperato fornì ai Romani un'arma in più per ottenere la vittoria: infatti, appena saputo che il figlio prediletto (e il migliore nei suoi piani dinastici) era in mano nemica, Guillelmus inviò segretamente (perché i seliacidi
non dovevano saperlo) a Stephanus suppliche affinché lo liberasse, proponendo inoltre un altissimo riscatto. Stephanus, sapendo dell'importanza della cosa, chiese a sua volta all'Augusto Alexius, quindi ci volle un po' prima di sapere la risposta: l'Imperatore, oltre al pagamento del riscatto (utilissimo per le casse quasi vuote dello Stato!), desiderava che Guillelmus si schierasse dalla parte dell'Impero, tradendo i seliacidi e combattendo apertamente Malicus. In questo modo, gli disse il princeps, l'Impero, in caso di vittoria, avrebbe valutato seriamente se permettere al suo regno di prosperare sotto “lo sguardo benevolo dell'Imperatore” in uno stato eccezionale di vassallaggio. Avrebbe dunque potuto realizzare i suoi sogni di fondare una dinastia e tutti i suoi crimini gli sarebbero stati perdonati.
A questo punto, Guillelmus, pur essendo piuttosto preoccupato della reazione seliacide, accettò e si preparò a tradire ancora una volta. Devo ammettere che, in fondo, pure lui, il Traditore per eccellenza, fu una figura chiave per il raggiungimento della vittoria. Come dire... tutti abbiamo uno scopo a questo mondo![3]
[1] Gabras si riferisce alle attività di una setta di musulmani ismailiti, detti Assassini o nizariti, che guidati dal fondatore Asanius Sabenius (Hasan iSabbah) conquistarono il castello chiamato “Nido d'Aquila” (Alamut in persiano) non lontano dal vecchio confine romano-seliacide. Quel che Gabras confonde sono le date: l'evento, e quindi l'inizio degli assassinii di ufficiali seliacidi, sembra furono a partire dal 1090/1843, non prima.
[2] Tra gli altri privilegi della cittadinanza, il principale era che nessuno, nemmeno l'Imperatore in condizioni normali, poteva (e può) rendere schiavo un uomo o una donna. Un suddito, invece, può essere reso schiavo in maniera del tutto legale.
[3] Gabras ha l'abitudine di concludere i capitoli improvvisamente, abbandonando spesso quello che stava dicendo prima. Per esempio, il lettore deve intuire che l'offensiva di Malicus quell'anno non portò a grandi risultati, anche se era riuscito a fermare in qualche modo l'avanzata romana nella zona e dividere le forze di Hadrianus e Demetrius. Inoltre, grazie a lui, Rachimundus sembrava aver perso l'iniziativa. Nonostante questo, il suo assedio di Antiochia non diede i frutti sperati perché proprio Hadrianus e Demetrius non smisero di disturbarlo e Nitzamius era stato inviato a nord proprio contro Rachimundus. Non ci furono battaglie importanti.
XLVII
Della guerra: 1090/1843
La conquista di Theodosiopolis dei primi di Martius, nonostante il cattivo tempo, fu la prima notizia dell'anno, tecnicamente (contando la tregua come parte della guerra) il ventunesimo anno di guerra. Infatti, Isaccus Contostephanus riuscì a far breccia nelle mura della città, la cui guarnigione non era assolutamente in grado di resistere troppo a lungo. Isaccus, che in seguito sarebbe diventato noto insieme al suo ben più famoso luogotenente[1], come “cacciatore di barbari”, per il suo tentativo di ripulire le valli armene e ibere dalla presenza dei chorasmi e degli ochusi, che avevano occupato con ondate di immigrazione quelle terre e vi si erano installati con la forza e spesso la violenza, approfittando della guerra, era in realtà un drungarius, le cui capacità però non erano sfuggite all'occhio attento dell'Augusto Alexius, il quale lo aveva spostato nell'esercito e lo aveva nominato legatus. Essendo un fronte secondario e avendo a disposizione pochi uomini, Isaccus si comportò più che bene negli anni finali della Prima Guerra.
Malicus si mosse finalmente dirigendosi a Hierapolis Bambyce, caduta nelle mani di Demetrius, e riuscì a costringere il generale dalmata a battaglia: sia Demetrius che Hadrianus, sapendo di essere in una posizione abbastanza avvantaggiata, avevano adottato una strategia difensiva, consci del fatto che affrontare Malicus direttamente poteva essere molto pericoloso. In quel momento, però, Demetrius non poté fare altro e, purtroppo, venne sconfitto, dovendo ritirarsi verso la costa, a Laodicea. Hierapolis Bambyce venne assediata e ricadde nelle mani del sultano ai primi di Maius. Antiochia invece non era più assediata perché, tra alti e bassi, Malicus aveva deciso che non sarebbe mai riuscito a prenderla, rimanendo così le cose: Hadrinaus, da Seleucia Pieria, non gli consentiva di restar tranquillo.
A nord, Nitzamius, la cui stella evidentemente si era offuscata negli anni e le cui sconfitte avevano infastidito Malicus, venne in effetti ancora respinto da Rachimundus che riuscì in Aprilis a tornare in possesso di Germanicea ed aveva marciato persino contro Aliaria, conquistandola. Aliaria era importante perché era un villaggio fortificato sulla strada per Antiochia. Quando Nitzamius riapparve nei pressi della città, Malicus probabilmente prese la decisione di toglierlo di mezzo e punirlo per il troppo potere che negli anni aveva accumulato.
Purtroppo per lui, non ci riuscì perché dall'Oriente, giunse un'altra notizia: l'impero indiano che confinava con quello seliacide a sud-est, dall'altra parte dei domini del sultano, e che ne era diventato vassallo in seguito all'ascesa di Togrelianus e di Arsanius, si era ribellato, e aveva invaso le province orientali, sfruttando anche il fatto che Totasius era venuto in Occidente a dargli man forte e che dunque tutta la parte orientale del suo impero era rimasta sguarnita. Ah! La superbia degli uomini non ha mai fine e, anzi, sembra aumentare con l'aumentare del loro potere![2] La notizia cadde come un fulmine a ciel sereno per Malicus che accusò ancora una volta Nitzamius, capo anche del servizio di spionaggio, del fallimento: tutto gli stava scivolando di mano e tutto stava crollando. Date le distanze, poi, probabilmente l'esercito nemico doveva aver già conquistato vasti territori e, forse, era già in marcia per Aspadana, il centro del potere seliacide. Non poteva permetterlo. Rapido, lasciò ancora una volta Nitzamius, e si recò a Bagdata, e poi in Persia, portandosi dietro solo un piccolo esercito per essere più veloce, cercando di fare il possibile per tamponare le falle che ovunque sembravano presagire la fine.
Per noi Romani, l'invasione indiana nel lontano Oriente fu una fortuna. In primo luogo perché lo stesso Guillelmus, portato per natura a tergiversare, si decise, in assenza del temuto sultano, ad agire e a metà estate entrò in azione: con un esercito di circa 20000 uomini (i suoi fedelissimi e i cittadini del Levante convinti a combattere con grande fatica) marciò fino all'accampamento di Stephanus, il quale stava assediando Neapolis Palestinæ e lo aiutò a conquistarla.
Precedentemente, aveva diramato l'ordine di giustiziare tutti i soldati seliacidi nelle guarnigioni sparse qua e là nei suoi domini, ordine che causa la morte di migliaia di persone, anche perché questi ultimi presi alla sprovvista ma pur sempre abili soldati ad un certo punto si difesero e contrattaccarono. Alla fine, però, senza più possibilità, il regno fantoccio di Guillelmus era di nuovo libero dallo straniero. Il Traditore proprio non aveva mezze misure...[3]
Senza Malicus, anche Rachimundus e più a sud [...][4]
[1] Gabras si riferisce al futuro Augusto David, primo Imperatore d'origine ibera della storia di Roma, morto solo un anno prima, nel 1125/1878. Nel 1091/1844, come semplice soldato egli combatté tra le fila proprio di Isaccus. Apparteneva alla stessa gens dello sfortunato Bagratius, il generale che aveva combattuto all'inizio della guerra.
[2] In realtà, Gabras non poteva sapere che l'attacco a tradimento portato dai ghaznavidi all'impero seliacide in Oriente era frutto dell'abilità diplomatica dell'Imperatore Alexius I, il quale aveva segretamente inviato parecchi agentes in rebus alla corte del sultano ghaznavide, un certo Abraham (Ibrahim), che lo avevano convinto a colpire gli odiati seliacidi e aprire un secondo fronte, così da potersi liberare dal vassallaggio e contribuire alla loro definitiva disfatta. C'erano voluti quasi quattro anni, e probabilmente l'Augusto Alexius I dovette aver pensato che gli agentes fossero morti durante il viaggio, o scoperti e trucidati. Invece, dopo lunghe peripezie, erano davvero riusciti ad arrivare in India e a farsi ricevere, in qualità di ambasciatori romani, dal sultano orientale.
[3] È proprio vero: l'ordine e il massacro di seliacidi ordinato da Guillelmus quell'estate causò la morte di quasi 9000 persone e un numero imprecisato di civili e soldati romano-levantini.
[4] Seconda interruzione del manoscritto di Gabras. Anche in questo caso, per l'incompletezza dello scritto, confronta nota 1, cap.XXXI. Per quanto riguarda, invece, gli eventi non descritti da Gabras, il resto dell'anno 1090/1843 vide Roma avanzare su tutti i fronti: Hadrianus e Demetrius costrinsero definitivamente Nitzamius a ritirarsi ad Edessa, riconquistando Apamea Diocleiana, Chalcis Ad Belum e persino Beroia. Rachimundus riprese Melitene e, dopo parecchi sforzi inutili, in autunno espugnò pure Arsamosata, inviando forze a dare aiuto ad Isaccus Contostephanus, il quale aveva definitivamente respinto Menoacus di nuovo in Thospitis e a sua volta aveva attaccato Manzicerta. A sud, lentamente, anche grazie all'aiuto di Guillelmus, Hyerosolyma venne circondata e nella primavera del nuovo anno, il 1091/1844,, tutto era pronto per l'assedio. L'Augusto Alexius aveva inviato il generale Constantinus Dalassenus Theophylactus a sostituire Stephanus, il quale a causa dell'età, si sentiva sempre più stanco e aveva chiesto di essere sostituito: Constantinus giunse così appena in tempo, e Stephanus, durante la primavera del 1091/1844 poté morire serenamente in Dalmatia. L'Augusto Alexius I aveva inoltre avuto una nuova idea per facilitare la riconquista e aveva ordinato a Stephanus di fare in modo che la proposta di ricostruire il Tempio ebraico, nel caso di una rivolta sul modello di quella antiochena, giungesse alle orecchie dei cittadini di fede ebraica. In questo modo, sperava di convincere la folta comunità ebraica a ribellarsi alla guarnigione seliacide in città, mentre i suoi generali avrebbero proseguito con l'assedio dall'esterno. Tutto però venne complicato dall'improvviso ritorno di Malicus, proprio in quei giorni: davvero, come un fulmine di guerra, egli aveva raggiunto il fronte e sconfitto in tre decisive battaglie i ghaznavidi, i quali si erano ritirati chiedendo subito perdono. Non avendo tempo da perdere, a Ianuarius del nuovo anno, Malicus aveva accettato il ritorno allo stato di cose precedente, e questi eran tornati suoi vassalli. Poi, raccolti altri uomini (senza badare alle rivolte che ciò provocò), tornò indietro, cercando di fare il più presto possibile. Arrivò a Hyerosolyma nei giorni seguenti alla cosiddetta “prima battaglia di Hyerosolyma”, la prima e la più inconcludente delle tre che si susseguirono in pochi giorni per il dominio della città, tra l'esercito romano-levantino e quello seliacide. Ripreso il comando, seguirono altre due battaglie violentissime, proprio mentre la rivolta finalmente esplodeva in città. Sconfitto, Malicus dovette ritirarsi e lasciare, dopo tanti sforzi inutili, che i Romani riprendessero finalmente il controllo della Città Santa. La notizia
della ripresa di Hyerosolyma si sparse rapidamente per tutto l'Impero e valse all'Augusto Alexius I persino le lodi dell'episcopus di Roma. Tutti sapevano ormai che mancava davvero poco alla fine della guerra: nel giro di pochi mesi, poiché Malicus aveva ritirato quasi tutte le guarnigioni e si era ritirato ad Edessa, furioso ma incapace di opporsi all'avanzata romana, l'intera Palestina tornò nell'Impero, per il giubilo dei suoi abitanti, anche se molte furono in quei giorni le rese dei conti. L'Augusto Alexius I mantenne la parola data con Guillelmus, liberandolo dal dovere di aiutare l'Impero e riconsegnandogli il figlio. Rotibertus era già stato ucciso da Malicus. Anche Nitzamius, giusto per descrivere come fu il sultano stesso a darsi il colpo di grazia, venne ucciso da un sicario di Malicus, in December del 1091/1844.
XLIX
Della guerra: 1092/1845
[...] Il ventottesimo anno di guerra, ormai una guerra vinta e che continuava solo per la testardaggine e la violenza del nemico, vide le nostre forze avanzare trionfanti su tutti i fronti: Constantinus, ad esempio, riconquistò Palmyra (o quel che ne restava) e marciò su Callinicum. Era ato così tanto tempo dallo scoppio della guerra che alcuni luoghi della Mesopotamia sembravano esotici e stranieri anche se un tempo eran stati romani! Rachimundus e Isaccus trovarono opposizione sul Thospitis ma riuscirono a riconquistarne una gran parte e fu solo Hadrianus, in Aprilis, a dare una preoccupazione: infatti, egli aveva cercato di marciare su Edessa, da qualche mese diventata la nuova roccaforte del nemico, e la città occupata più ad occidente, ma Malicus, ancora indomito nonostante tutte le sconfitte che aveva subito, gli era andato incontro e lo aveva sconfitto. Hadrianus stesso, ferito da una freccia al braccio sinistro, rischiò la vita e dovette ritirarsi ignominiosamente, avendo perso parecchi soldati valorosi. Ovviamente, una vittoria a questo punto non era più molto importante: a mio avviso, se Malicus avesse accettato di ritirarsi in Mesopotamia, magari sul fiume Tygris, avrebbe potuto tenere meglio la posizione e, forse, persino spingerci a proporre una pace, ma il suo desiderio di dominio ad ogni costo e l'insensata speranza di ribaltare ancora una volta le sorti del conflitto probabilmente gli fecero perdere la ragione. Demetrius, spintosi a sud, riconquistò Laodicea Ad Libanum ed Hemesa, catturando le guarnigioni seliacidi rimaste e rendendole schiavi, pur trattandole con tutti gli onori militari per la loro strenua resistenza. Però, ancora una volta, sembrò per un momento che la guerra non sarebbe finita: apparso infatti dal nulla, un certo Agisanius assaltò con grande rapidità le città appena riconquistate di Bostra Traiana e di Scythopolis, interrompendo le comunicazioni con la strada
che portava a Hyerosolyma e, quel che è peggio, massacrandone gli abitanti.[1] Tutta questa inusitata violenza, costrinse Constantinus, ormai nominato magister della Palestina e dotato di un potere vastissimo nella regione, abbandonò l'assedio di Callinicum per portarsi di nuovo a occidente. Agisanius portò scompiglio anche a Tiberias, prima di essere affrontato da Constantinus e sconfitto senza troppa fatica.
Da Constantinopolis, poiché ormai la situazione per lui era saldissima e, dopo i successi, tutto l'Oriente (e parte dell'Occidente) lo considerava a diritto il vero Augusto dell'Impero, il princeps Alexius partì per Antiochia, volendo portare al fronte la propria presenza, nella speranza che potesse fornire l'ultimo impulso per concludere le operazione e costringere il nemico alla resa. Nonostante infatti ancora tutta la Mesopotamia, l'Atropatene e parte dell'Armenia fossero ancora saldamente nelle mani nemiche, ormai era piuttosto diffusa l'idea, dovuta anche all'esaurimento e alla stanchezza, che la guerra stesse davvero per finire. Inoltre, anche se nessuno lo sapeva ancora, l'Augusto portò con sé, sulle navi che lo scortarono dalla capitale, un regalo che avrebbe fatto felici i generali e mostrato al mondo che la potenza di Roma, nonostante trent'anni di guerra, era ancora grande e tutti dovevano temerla.
Nel frattempo, i legati Hadrianus e Demetrius avevano riunito i propri eserciti e finalmente si erano portati nelle vicinanze di Edessa e Malicus, non so come mai, decise questa volta di non scappare ma nemmeno di combatterli in campo aperto: semplicemente si trincerò in città. Saputo dell'arrivo dell'Augusto, preferirono però non andare a Seleucia Pieria o ad Antiochia, poiché ritennero opportuno sistemare tutto per l'assedio, disturbati di continuo dalle forze di Malicus che, comunque, continuavano a compiere sortite, spesso anche molto pericolose. Per esempio, una volta, fu Demetrius quasi a rimetterci la vita, quando un gruppo di cavalleggeri seliacidi riuscì a superare le difese del suo campo e ad avvicinarsi moltissimo alla tenda dove stava andando a coricarsi. Solo la sua prontezza di riflessi gli permise di spostarsi in tempo e di evitare di essere colpito, prima che, circondata dalle preponderanti forze romane, la squadra nemica venne sopraffatta ed eliminata.
Segretamente, intanto, i generali vennero avvisati che l'Augusto aveva portato con sé una nuova arma che li avrebbe di certo a sbloccare la situazione. Le mine, tre per la precisione, riempite con moltissima polvere pirica, in modo che l'esplosione fosse estremamente violenta, vennero trasportate da Seleucia Pieria nei pressi di Edessa, scortate da un intero esercito. L'Augusto Alexius rimase ad Antiochia.
Una volta giunte a destinazione, i due generali incaricarono i genieri delle legioni di iniziare, senza essere notati dal nemico, la costruzione di gallerie che si avvicinassero alla città da sottoterra, proprio in prossimità delle mura: quando sarebbero state completate, altri soldati avrebbero sistemato le mine, con la miccia abbastanza lunga da poter uscire e mettersi in salvo e poi... l'esplosione avrebbe fatto il resto. Io non me ne intendo di tecnologia, ma credo di aver detto tutto a riguardo... Anzi, no. So anche che in qualche battaglia successiva, alcuni soldati utilizzarono strane armi semi-portatili, che appoggiavano a terra ogni volta che le usavano e che sembravano canne riempite di chiodi, pezzi metallici o sassi e ovviamente di polvere pirica. A quanto pare ispirate a delle armi viste dagli ambasciatori nelle recenti spedizioni in Seria, erano state portate insieme alle mine dall'Augusto Alexius, per essere provate per la prima volta in qualche battaglia. Ecco, ora ho detto tutto.[2]
Così fu che, dopo più di un mese e mezzo, quasi due, di assedio e di battaglie durissime, le gallerie furono pronte. Malicus sembrava deciso a rimanere lì, forse convintosi che quella sarebbe stata l'ultima battaglia della guerra, anche se il suo comportamento di quegli ultimi giorni resterà sempre un mistero. Le mine, sempre in segreto, vennero lentamente e con cautela posizionato in tre punti strategici sotto le mura e la miccia, lunga diverse centinaia di piedi, venne srotolata. I soldati poi ebbero solo pochi secondi per correre fuori e allontanarsi dalla zona dell'esplosione. Non essendo stato presente, posso solo immaginare l'estrema condizione di sorpresa e sbigottimento che dovette investire tutti, Romani compresi. Mi è stato riferito da testimoni[3] che il boato fu il rumore più forte mai udito da uomo sulla faccia della Terra, più potente e assordante dell'esplosione di un vulcano e che, dopo un istante in cui tutto tremò, facendo scappare i cavalli che non erano
legati e cadere a terra molti che non si erano appoggiati a qualcosa, un'intera montagna era emersa dalle viscere del sottosuolo, come in uno strano sogno dove le cose succedevano alla rovescia. Tutto, comprese le solidissime mura della città, che persino i colpi dei trabucchi avevan faticato a scalfire, vennero scagliate verso l'alto, con la facilità di un bambino che dà un calcio alla sua palla, o del vento che spazza le foglie cadute in autunno. E la cosa si ripeté pochi istanti dopo, quando anche la seconda mina esplose. La terza, per qualche problema alla miccia, non funzionò, ma, devo dire, fu anche un bene in quanto l'urto che l'energia delle esplosioni generò fu talmente grande da atterrire tutti quelli che erano lì, lasciandoli senza parole. Inoltre, non servì che esplodesse anche la terza, perché due enormi brecce erano già state aperte, mentre la vasta quantità di detriti ricadeva ora dal cielo, avvolgendo tutto in un'immensa e velenosa nuvola di polvere. Molti, anche al campo romano, vennero uccisi da parti delle mura, cornicioni o rocce un tempo sotterrate, che caddero dall'alto, travolgendoli o distruggendo le loro tende o i carri sui quali si trovavano. Nessuno scampo alla furia dell'esplosione e in città, immagino solo quante case crollarono all'istante. Questa è la potenza di Roma! [4]
La guerra in pratica terminò quel giorno. Non è mai stato chiarito come, ma Malicus morì a Edessa, e si diffuse ben presto la convinzione che fosse stata la sorpresa dell'immenso boato a fargli avere un attacco di cuore. Altri dissero che mentre cercava di uscire dal palazzo in cui si trovava, gli era caduta una trave in testa uccidendolo. Altri ancora erano sicuri che alcuni detriti sfondarono le finestre, uccidendolo all'istante. Io propendo per una di queste ultime due.[5] Dopo lo sbigottimento iniziale che ho descritto, fu Hadrianus con i suoi uomini il primo a scalare la montagna di detriti che si era formata, proprio tra le due sezioni di mura crollate, e a entrare in città: i seliacidi, completamente allo sbando, cercarono di resistere ma già un'ora dopo, praticamente tutti si erano arresi. Edessa era stata conquistata.
Nei giorni seguenti, l'Augusto Alexius raggiunse Hadrianus e Demetrius, complimentandosi con loro e visitando ciò che le mine avevano fatto. Non era
ancora chiaro quanto Romani innocenti erano dovuti morire per testare quelle armi ma, devo dire, a volte il prezzo da pagare, pur essendo molto alto, corrisponde al valore di ciò che si ottiene. Venne trovato un gran tesoro, soprattutto oro e molti oggetti preziosi. Inoltre, vennero pian piano scoperti, e portati a Constantinopolis, splendidi tappeti persiani, brocche e vasellame dell'Asia centrale, splendide spade e scimitarre finemente intarsiate, vesti filate con oro e sete preziose che ben mostravano la finezza dell'arte orafa seliacide e indiana. Niente di tutto questo sembrava essere appartenuto a dei barbari.
Morto Malicus, infatti, la notizia non tardò a diffondersi: questa volta nessuno era in grado di gestire le lotte per il potere che si sarebbero scatenate e, come previsto dall'Augusto Alexius, in breve tempo, l'impero seliacide scivolò nel caos dell'avidità e della bramosia umana. Infatti, non appena si seppe che Malicus era morto, la prima persona a cercare il potere fu la sua seconda e ultima moglie, Turcana, che a Bagdata si adoperò per far diventare sultano il loro piccolo figlio di quattro anni, Mametus.[6] Riuscendo a convincere anche il califfo abbaside della bontà di quella scelta, Mametus divenne sultano dell'impero seliacide con il nome di Mametus I, ma già, quando la notizia raggiunse Aspadana e il resto della Persia, i sostenitori degli altri figli di Malicus, avuti precedentemente dalla prima moglie, anche se comunque bambini pure loro, si sollevarono non riconoscendo l'elezione. Il più “anziano” tra loro era Barcarucus (non conosco bene la traduzione del suo nome), di tredici anni, che, in teoria, era davvero il legittimo erede, in quanto primogenito.[7] Ma anche il fratello Mahometus aveva dei sostenitori, pur avendo solo dieci anni.[8] Il futuro sultano Ametus Sangarius, loro fratello di sette anni, per il momento (fortuna sua, sfortuna nostra) rimase fuori dai giochi, e riuscì a scampare all'ondata di odio e violenza che scosse il mondo seliacide per un decennio.[9] Non erano ati nemmeno due mesi dalla battaglia di Edessa, che già in Persia scoppiava la guerra civile, anche perché diversi comandanti e signori della guerra che detenevano appannaggi cominciarono a dichiararsi sempre più autonomi o persino indipendenti, mentre altri si ritirarono dal fronte, considerando la guerra con l'Impero Romano una faccenda ormai chiusa e persa per sempre e si diressero ad Aspadana o a Bagadata nel tentativo di ottenere più potere.[10] In mancanza di un potere centrale, però, la guerra non poteva dirsi ufficialmente conclusa e, comunque, rimanevano ancora moltissimi territori e città in mano a
guarnigioni che non avevano nessuna intenzione di ritirarsi per partecipare alla distruzione del mondo che loro stessi avevano creato. L'Augusto Alexius tornò a Constantinopolis sul finire dell'anno, dopo aver visitato parecchi centri colpiti dalle violenze, dando come ultimo ordine ai suoi generali quello di sferrare un'ultima controffensiva a largo raggio, per cercare di riconquistare più territorio possibile prima della stesura di un trattato di pace. L'Imperatore, forse, sperava di siglarlo l'anno successivo ma in realtà, prima che la guerra finisse davvero, sarebbe ato ancora parecchio tempo.
Così, ad esempio, Constantinus marciò da sud, liberando Sergiopolis, anche se venne di nuovo attaccato dalle forze di Agisanius in autunno e dovette combatterlo ancora per parecchio tempo, cosa che gli impedì di guadagnar terreno. Gli scontri con il signore della guerra seliacide, forse l'ultimo dei nemici di Roma, si protrassero fino all'anno successivo. Comunque, Constantinus non manca di inviare in Arabia Petrea delle forze, per riprendere il controllo della regione: anche lì, si combatterà, soprattutto a Hegra, ma entro la fine del 1093/1846 tutto sarà riconquistato. Demetrius tornò a Constantinopolis con l'Augusto: il popolo, secondo il suo parere, aveva bisogno di assistere a un trionfo, per festeggiare un po' dopo tanto tempo e dopo tanti sacrifici e aveva bisogno di vedere con i proprio occhi almeno uno dei generali che avevano reso possibile la vittoria. Così, Demetrius, che con questa guerra gettò le basi per le fortune della sua gens, già comunque piuttosto nota, fu il primo ad ottenere un trionfo. Gli altri lo avrebbero avuto a guerra davvero conclusa. Hadrianus, allora, rimase solo ma non fu un problema: ormai nessuno coordinava più le azioni del nemico e le guarnigioni rimaneva isolate tra loro. I contadi erano pieni di banditi, sciacalli e razziatori, seliacidi e pure romani, tanto che, su espresso ordine dell'Augusto Alexius, i seliacidi andavano resi schiavi mentre gli sciacalli romani andavano giustiziati. La grande fortezza di Tetrapyrgium venne conquistata in November e, subito dopo, le forze di Hadrianus si misero ad assediare una stanca Callinicum, occupando pure la vicina Zaccheus. A Callinicum, Hadrianus fece utilizzare ancora una volta quelle strane armi che sparavano chiodi con la polvere da sparo. Il generale Constantinus Opus conquistò invece Dolichium e tutta la regione di
Zeugma ed Europus, marciando poi a sud lungo l'Euphrates per assediare durante l'inverno Amphipolis.
A nord, Rachimundus impiegò parecchio tempo (ventisei giorni!) a liberare la fortezza di Arsinia, a sud di Arsamosata, e poi recuperò pure Amida. Più meticoloso degli altri, ò l'inverno ad attaccare una a una le fortezze o villaggi che gli venivano detti ancora occupati dal nemico: credo siano stati inutili gli assedi di Charcha, Adipte, Nabaris.
[1] Agisanius è la forma latinizzata di Yaghi-Siyan. Costui apparve nelle ultimissime fasi della guerra, praticamente dal nulla, come dice Gabras a ragione, anche perché pare che non fosse uno dei generali di Malicus. Più probabilmente, era un signore della guerra che era riuscito a raccogliere ciò che restava degli sbandati delle forze seliacidi e le aveva convinte, ancora una volta, a marciare contro i Romani. Non sappiamo, in verità, quali fossero i suoi obiettivi.
[2] Ciò che dice Gabras è parecchio interessante, in realtà. L'assedio di Edessa del 1092/1845 viene considerato il primo evento bellico della storia romana in cui è testimoniato l'uso della polvere pirica con scopi militari e le mine esplosive le prime armi di un nuovo tipo di guerra. Il fatto che l'Augusto Alexius avesse deciso di testare, oltre a quelle, anche altre, in pratica copie di armi dette “lance di fuoco” dagli abitanti della Seria (che già da quasi due secoli utilizzavano la polvere pirica nelle guerre) dimostra come i tempi, seppur lentamente, stessero cambiando. Ad ogni modo, questa rimane più che altro una curiosità perché esse non ebbero praticamente nessun impatto sull'andamento degli scontri e, dopo qualche istante di sorpresa da parte del nemico, non suscitarono alcuna paura, essendo per lo più molto imprecise.
[3] Purtroppo, non specifica chi.
[4] Gabras descrive bene la scena, anche se appare implausibile che l'esplosione fu così forte come dice. La terza mina non esplose e, solo qualche giorno dopo, quando la città era stata in parte evacuata e liberata del tutto, si provvide a rimuoverla.
[5] Non è davvero mai stato chiarito come morì Malicus, né mai lo sarà. Il suo cadavere venne portato via poco dopo, da alcuni fedelissimi, nella confusione dei combattimenti ma non esiste una tomba in Persia o in Mesopotamia quindi probabilmente deve essere accaduto qualcosa che impedì a quegli uomini di mettere in salvo la salma.
[6] La seconda moglie di Malicus, Turcana in latino, fu Turkan Khatan, che con lui diede alla luce Mametus (Mahmud), o Mametus I. Questi, visto che Gabras non si soffermerà più sui dettagli, sarà sultano contestato per un breve periodo, fino a che non venne ucciso, insieme alla madre, nel 1093/1846.
[7] Barcarucus è la sgraziata forma latina utilizzata da Gabras per indicare il primogenito di Malicus, Barkiyaruq, nato nel 1079/1832. Anch'egli divenne sultano dell'impero seliacide nel periodo della guerra civile.
[8] Mahometus è Muhammad, secondogenito di Malicus.
[9] Ametus Sangarius (Ahmed Sanjar) sarà il vero, grande nemico dell'Impero, durante la Terza Guerra romano-seliacide e l'ultimo dei veri sultani che riuscirono a governare su un impero seliacide più o meno unito.
Con la sua morte, l'impero seliacide si avviò irrimediabilmente ad un tracollo piuttosto rapido, tanto che alla fine del secolo, esso non esisteva più come entità politica indipendente. Gabras, però, interrompendo la narrazione al primo anno della Terza Guerra, non introduce mai davvero la sua figura.
[10] Gabras non cita che anche almeno uno dei fratelli di Malicus, Isedinus (Izz ad-Din Arslan Argun) provò a usurpare il trono, finendo però ucciso in battaglia nel 1096/1849. Anche in questo caso, per descrivere bene il periodo di lotte civili tra seliacidi e l'elenco completo di tutti quelli che in un modo o nell'altro si ribellarono o cercarono di conquistare qualcosa, servirebbe un'opera a parte.
L
Della guerra: 1093/1846
Sembra che, ogni qualvolta venisse avvistato un esercito romano, poco dopo che questo avesse cominciato a disporsi per l'assedio, le guarnigioni nemiche rimaste decidessero sempre di aprire le porte, arrendendosi, in quanto ormai si era diffusa la paura e la convinzione che i Romani scavassero le gallerie per far esplodere le mine. Non accadeva sempre, ovvio, però molto spesso in quegli ultimi anni di guerra, i comandanti romani non dovettero nemmeno più impegnarsi per riconquistare territorio. In realtà, credo davvero di aver sentito, una volta, sostenere che l'Augusto Alexius ridesse, ricordando i giorni di Edessa, al fatto che l'Impero non aveva altre mine al momento e che anche le scorte di polvere pirica non erano sufficienti per produrne altre della stessa potenza. Se i seliacidi non si fossero spaventati tanto e lo stesso Malicus non fosse morto quel giorno, forse Edessa non sarebbe stata considerata importante allo stesso modo. Ma, come ho già detto, è inutile fare la storia con i sé, non porta a nulla di buono.[1]
A Roma, morì nei primi giorni dell'anno, l'Augusto Gothus Fridus I. Per lungo tempo, a causa della salute cagionevole, era caduto malato, per poi riprendersi e ricadere malato ancora una volta: evidentemente, anche la sua ora alla fine era giunta. Non credo l'abbia rimpianto nessuno. Di sicuro non sua moglie Mathilda, interessata solo al potere. Ad ogni modo, non potendo diventare lei stessa Augusta Imperatrice, dovette acconsentire che fosse il nipote del marito defunto, il giovane e, a quanto sembra, bel Goffredus, a diventare Augusto, il centotrentottesimo della storia di Roma, con il nome di Gothus Fridus II.[2] L'Augusto Alexius inviò un messaggio di cordoglio per la morte di quello che, fino al giorno della sua morte, era stato suo nemico. Che grand'uomo!
Anche Agisanius abbandonò l'area dei combattimenti, quella primavera. Tutto era perduto. Con l'assassinio del giovane Mahmedus e di sua madre, a Bagdata, forse a opera di sicari del califfo che sperava di riguadagnare il potere di un tempo, o di uno degli altri contendenti in quello strano e perverso gioco per il titolo di sultano, Agisanius pensò infatti di inserirvisi anch'esso, segnando così la sua condanna. Almeno, in questo modo, Constantinus poté più tranquillamente portare avanti la riconquista: Callinicum finalmente cadde e le sue truppe si ricongiunsero poco a sud di Amphipolis con quelle di Hadrianus. Poi, mentre quest'ultimo tornava a nord e poi si spingeva a est, verso Maximianopolis, Constantinus tornò a Callinicum, deciso a liberare Zenobia. Il vecchio limes non era lontano.
In Armenia, Isaccus Contostephanus, assistito dal suo fidato luogotenente Constantinus Euphorbenus Catacalus, un generale di doppia gens illustre, continuò per mesi la sua opera di capillare punizione nei confronti del nemico. Anche in questo caso, io avrei fatto lo stesso: sapendo che l'Augusto voleva la caduta delle città maggiori, perché erano quelle a determinare i confini durante le discussioni di un trattato di pace, ma Isaccus si convinse di dover liberare le valli e i villaggi, uno per uno, sprecando un sacco di tempo. In questo modo, rischiò la vita molto più del necessario, anche se questo suo coraggio di certo non fu un difetto. Solo in Augustus, egli giunse in Iberia, dove sconfisse, sorprendendosi della sua presenza, un grosso esercito di predoni e sbandati seliacidi, riunitisi attorno alla figura di un comandante ormai auto-proclamatosi rex o qualcosa di simile. Non lo so, a dire il vero. Quel che so è che lo sconfisse.[3] Rachimundus, infine, avanzò, lentamente ma inesorabilmente, verso est e poi a sud, senza mai fermarsi. Ammodius e Anastasiopolis furono gli ultimi, impegnativi assedi che dovette sostenere.[4]
Alla fine dell'estate, l'Augusto Alexius seppe che in Persia, dopo massacri e scontri fratricidi, era diventato sultano il primogenito di Malicus, Barcarucus, così come avrebbe dovuto essere sin dall'inizio. In realtà, nemmeno lui era riconosciuto da tutti e l'impero seliacide, che si stava disgregando e restava,
come un circense, sospeso e in equilibrio sull'orlo del precipizio, era ancora percorso dalle lotte e dal sangue. Ma tutto questo all'Augusto non interessava più di tanto: a lui importava solo che ci fosse qualcuno, anche solo per il tempo necessario alla firma del trattato di pace, con cui definire i termini per concludere una volta per tutte quella guerra infernale. Così, non appena lo seppe, quel September, inviò da Constantinopolis una sontuosa ambasceria, prima a Bagdata e poi ad Aspadana, rischiando molto perché chiunque avrebbe potuto attaccarla e rapire gli inviati. Per fortuna non successe e gli ambasciatori poterono essere ricevuti dal giovane Barcarucus, in realtà un burattino di ben altri, più potenti personaggi, gli stessi che avevano comandato eserciti in suo nome e fatto uccidere i suoi famigliari, sempre in quel suo stesso nome. Anche loro erano consci della necessità di intavolare trattative per siglare una pace, perché di certo avrebbero avuto bisogno di ogni soldato disponibile per ottenere i loro scopi e schiacciare i nemici interni e non potevano continuare a sprecarli per combattere una guerra ormai persa. D'altro canto, pure Roma era esausta e quasi senza risorse, seppure in una posizione di forza che le permetteva, teoricamente, di riprendersi tutto il terreno perduto e, forse, anche qualcosa di più.
Quelle trattative durarono però, per la frustrazione dell'Augusto, quasi un anno e mezzo, dato che sempre si trovavano problemi e punti sui quali dirsi in disaccordo. Nel frattempo, si continuò a combattere.
[1] Continua a dirlo, ma pare proprio che a Gabras piero le supposizioni del tipo: “Cosa sarebbe sucesso se...?”
[2] Nome completo: Flavius Aurelius Gothus Fridus II Actonius Augustus. Regnò dal 1093/1846 al 1097/1850.
[3] Gabras non è mai davvero preciso o completo. Ad ogni modo, nessuno ha mai capito chi fosse questo fantomatico personaggio che aveva cercato di crearsi un personale dominio tra le montagne dell'Iberia, anche se furono in molti, durante quei giorni di disfatte e crolli, a cercare di salvarsi a quel modo.
[4] Ammodius tornò in mano romana il 15 Iulius 1093/1846, mentre Anastasiopolis tra il 6 e l'8 September.
LI
Della guerra: 1094/1847
Nel penultimo anno di guerra, se di guerra ancora si può parlare, non successe quasi nulla. Se non fosse stato per la desolazione, il senso di disfatta e tutto quello che continuava a bruciare, dalle pile dei cadaveri alle fattorie abbandonate, uno avrebbe potuto dire che la guerra era ormai un ricordo del ato. Parecchia gente, scappata da poco o da anni interi, cominciava lentamente a tornare, per tirarsi su le maniche e darsi da fare nella ricostruzione. Dove poi i soldati non servivano a una delle ultime battaglie o avanzate nel deserto, questi aiutavano la popolazione, provvedendo a distribuire i viveri o a ricostruire le case e i loro tetti.
Solo in Armenia, nella piana di Artaxata e delle altre città, il seliacide Danamenus rifiutava di arrendersi. Anzi, fu proprio lui, ultimo fedelissimo del sultano, a impedire al generale Isaccus di stringere un assedio attorno ad Artaxata. Il 30 Aprilis, persino, Danamenus distrusse le forze di Constantinus Euphorbenus, uccidendolo, e mandandola la sua testa al campo di Isaccus, posto non lontano a ovest, nei pressi di Kainepolis. L'ultimo gesto di sfida di un animale morente. Isaccus dovette combattere tutta l'estate contro le forze di Danamenus, deciso più che mai a non cedere quella posizione formidabile che considerava già sua, se non ancora del sultano. Ad un certo punto, non potendo contare su moltissimi soldati, Isaccus inviò una richiesta di aiuto a Rachimundus, il quale stava assediando Nisibis, dopo aver ato la prima parte dell'anno a liberare, come al suo solito, fortezze che sarebbero comunque cadute da sole.[1] Rachimundus ricevette il messaggio ma ò ancora due settimane nell'alta Mesopotamia, fino a che Nisibis non cadde. Lasciata poi una guarnigione, si
diresse a nord, nel tentativo di dar man forte al collega generale. Ma nemmeno in due, essi riuscirono a scacciare da Artaxata Danamenus. L'obiettivo era quello di allontanarlo dalla città e assediarla, così che il seliacide non avrebbe più avuto una base nelle vicinanze, ma Danamenus si rivelò molto scaltro e credo sia stato un peccato, per il nemico s'intende, che Malicus lo avesse relegato nel lontano Caucasus, su un fronte tutto sommato secondario. Avrebbe potuto essere una spina nel fianco per i nostri generali.
A sud, Constantinus, conquistata Zenobia, attaccò Circesium, anche se venne più volte infastidito da quel che rimaneva dell'esercito dell'ennesimo comandante locale che, fanaticamente, rifiutava la pace. A causa sua, e delle razzie di torme di beduini dal deserto, il generale non riuscì fino a Iunius a cingere un assedio effettivo alla città. Circa un mese dopo, però, mentre si sorprendeva come, nonostante tutto, Circesium resistette tenacemente alla sua morsa, da nord giunsero notizie dell'avvicinarsi di una nuova minaccia. Anche in questo caso, mi dispiace caro lettore, non conosco il nome del comandante seliacide di Thannuris, che, tentando il tutto e per tutto, aveva riunito le ultime guarnigioni di Thannuris, Singara, Castellum Arabum, Neapolis Euphratica e Sangarite per marciare contro di lui.[2] Con quasi 6000 soldati, posso dire con certezza che quell'esercito fu l'ultimo messo in campo dal nemico e che quella fu l'ultima battaglia campale della guerra: Constantinus non ebbe difficoltà a imporsi sul nemico e molti dei soldati sconfitti si diedero, una volta terminati gli scontri, alla fuga nel deserto o si gettarono nelle acque del fiume. Il generale non li fece inseguire. Così, dato che le città a nord erano ormai sguarnite, mentre Circesium no, Constantinus aspettò ancora prima di riprovare ad assediarla, e si diresse fino a Thannuris, lasciando una guarnigione in ognuna, e combattendo contro le ultime, sparute difese.
Informato che a Theodosiopolis Mesopotamica, i seliacidi governavano ancora la città, la attaccò, nonostante la calura e la stanchezza dei suoi uomini, conquistandola a fine di September. Qui rimase circa un mese, per far riposare i suoi. Poi, sul finire dell'anno, quando le notizie sull'imminente firma del trattato
cominciavano a diffondersi, si diresse di nuovo a sud, e assediò Circesium.
[1] Nel corso dell'opera, non si può non notare come Gabras, pur lodandolo per la fedeltà e la dedizione nei confronti dell'Augusto Alexius I, non stimi moltissimo il generale Rachimundus in quanto a scelte tattiche e strategiche.
[2] Nemmeno i moderni storiografi sono riusciti a scoprirlo.
LII
Della guerra: 1095/1848
Che dire del trentunesimo anno di guerra, l'ultimo, finalmente? In realtà, furono solo i primi due mesi perché poi Impero Romano e impero seliacide erano di nuovo in pace, come in effetti non lo erano mai stati. L'ultimo evento di rilievo, appena in tempo direi, fu la presa di Circesium da parte di Constantinus, il 26 Ianuarius. Poi, quando giunse la notizia della firma della pace, si seppe finalmente che dal 1 Martius il clangore delle armi avrebbe dovuto tacere ovunque sul lungo confine che, con tanta fatica e soprattutto tanto sangue, era stato appena disegnato.
LIII
Della pace
La pace sembrò innaturale, dopo tanti anni ati a combattere. Molti soldati tornarono alle proprie case, se ancora ne avevano una, ed erano invecchiati, tanto che i figli che avevano lasciato in fasce quand'erano partiti, ora eran diventati uomini e avevano a loro volta creato una famiglia. Certi, negli ultimi tempi, erano persino partiti per la guerra, combattendo allo stesso modo in cui per anni avevan combattuto i loro padri. Fu un periodo difficile. Tornare alla normalità, qualunque cosa essa sia, non è mai facile. E, ad ogni modo, il mondo romano non era davvero in pace, anche se, ufficialmente ora, con Aspadana, le relazioni erano tornate di “rispetto e stima reciproca”, come recitava falsamente il trattato che era appena stato firmato. In esso, si stabiliva che l'Impero Romano cedeva (anche se questa parola non veniva mai utilizzata) a quello seliacide vasti territori: il nuovo limes ava infatti dalla foce del fiume Cyrus (quindi l'Atropatene era perduta, insieme a Cyropolis e Tauris) e attraversava l'Armenia fino a dividere in due, proprio come durante la tregua, la valle delle cinque città. Artaxata rimaneva in mano seliacide (e qui Danamenus ottenne dal sultano i suoi appannaggi) e Duvius restava romana. Armavira tornava a noi. Il confine poi proseguiva verso sud-est, seguendo la strada che portava alla Thospitis: al crocevia tra Didima e Colchium, quest'ultima spettava all'Impero mentre la prima diventava seliacide, così come tutta la Thospitis e il suo lago. Anastasiopolis, Nisibis, Ammodius restavano romane mentre tutto quello che c'era a est di questa linea immaginaria era seliacide. Infine, il confine seguiva il fiume Chaburas, insieme alle sue città fortificate, da Thannuris a Circesium, riconquistata appena in tempo. Da lì, verso ovest, il vecchio limes veniva ripristinato. Molto era stato perso.[1]
Ora, dato che non ho intenzione di descrivere per filo e per segno ciò che successe negli anni tra le due guerre e mi limiterò a descrivere gli eventi che portarono allo scoppio della seconda, voglio ricordarti, mio lettore, quello che il generale Iohannes Tzimisces scrisse nel suo manuale di strategia militare a proposito del confine orientale. Basandosi su ciò che lui stesso aveva visto e sulla sua eccezionale abilità di guidare gli eserciti, Iohannes scrisse che, secondo lui, difficilmente l'Impero sarebbe mai riuscito a modificare radicalmente la fisionomia del limes che andava dal Caspium fino al Mare Erythreum e che mai sarebbe riuscito a conquistare l'intera Persia. Perlomeno non in maniera durevole ed efficace. Secondo lui, infatti, esisteva una sorta di confine invisibile che non divideva solo gli stati ma i popoli e considerava quelli che vivevano al di qua sostanzialmente differenti e incompatibili da quelli che vivevano al di là, rendendo ogni eventuale tentativo di conquista infruttuoso ed inutile: per questo, spiegava, né l'Impero Romano né i vari imperi persiani o arabi e, aggiungo io alla luce degli eventi recenti, seliacidi, erano mai riusciti a conquistare qualcosa di più che non fossero semplici città di provincia o al massimo, come avevan fatto i Romani con uno sforzo eccezionale alcune intere zone (l'alta Mesopotamia e pure quella centrale). Senza entrare troppo nel merito, credo avesse ragione. Lui stesso conquistò la Media Atropatene, per molti una propaggine dell'Armenia ma per altri un territorio persiano che niente aveva in comune con Roma. Ebbene, la guerra con i seliacidi sembra in effetti aver dimostrato che quel territorio apparterrà per sempre ai persiani e al massimo noi saremo in grado, grazie a qualche condottiero eccezionale, di conquistarlo e tenerlo solo per qualche decennio. Allora, mio colto lettore, probabilmente mi chiederai: “E Alexander? Forse che lui non conquistò un intero impero, giungendo ai confini del mondo?” Vedi, ciò che dici è vero ma se ben ricordi, alla sua morte il suo impero venne smembrato dalle lotte intestine e dall'ambizione dei suoi satrapi e dei suoi cosiddetti successori e niente né rimase se non regni sempre in guerra tra loro i quali, a loro volta, vennero distrutti dalle potenze vicine: in Persia e in India accadde quasi subito, mentre nel vicino Oriente, fummo noi a conquistare la Syria e l'Egyptus. Ad ogni modo, basta con le digressioni. Solo il tempo ci dirà se Tzimisces continuerà ad avere ragione oppure no.[2]
Tra il 1095/1848 e il 1108/1861, anno dello scoppio della Seconda Guerra romano-seliacide, accaddero molte cose degne di nota. In Occidente, il potere delle famiglie latifondiste e dell'episcopus si deteriorò rapidamente, anche a causa dei successi dell'Augusto Alexius e delle scelte politiche e militari sbagliate. Nel 1097/1850, l'Augusto Gothus Fridus II venne assassinato in Jutia, durante la guerra contro gli scani che avevano invaso la provincia, e il suo posto era stato usurpato (ma riconosciuto dal Senato a causa di un elaborato complotto) da un certo Balduinus, che divenne così il centotrentanovesimo Augusto di Roma. La situazione precipitò rapidamente e nel 1100/1853, finalmente l'unico e vero Augusto, Alexius, entrò a Roma e fece arrestare sia Balduinus (giustiziato l'anno dopo) che Mathilda, riunificando nella sua persona l'Impero. Ottenuta finalmente la ratificazione del Senato di Roma, attesa per ventisei anni, l'Augusto Alexius rimase, così come doveva essere l'unico Imperatore di un Impero unito.
La sua ultima parte di regno non fu però molto felice. Se in Persia, il dominio seliacide usciva finalmente dalle lotte intestine con l'assassinio di Barcarucus e l'ascesa del fratello Mahometus, l'Impero dovette fronteggiare la rivolta separatista della provincia d'Aquitania, guidata, come se il destino fosse felice di prenderci in giro, da un ricco locale di nome Guillelmus. Grazie alla sua immensa abilità sul campo di battaglia e alla sua lungimiranza politica, lo riconosco!, egli fu in grado di sfruttare le debolezze e i malcontenti del sistema imperiale, già provato dalla trentennale guerra e dai contrasti causati dal dominio dell'episcopus e degli Actones. Dopo una lunga e sanguinosa guerra civile, nella quale lo stesso Augusto Alexius intervenne personalmente più volte, l'Impero fu costretto a cedere e, per il momento, lasciare che l'Aquitania, insieme con la parte occidentale della Gallia Narbonensis, si separasse e costituisse uno stato indipendente. Come se non bastasse, Guillelmus rispolverò l'antica e vetusta idea della repubblica, creando una sorta di oligarchia a suo dire repubblicana, con un Senato e dei consoli (lui stesso divenne Primo Console) a arlo nelle decisioni. Ah! Fu cosa gravissima, davvero!
Ad essere onesti, la Seconda Guerra romano-seliacide non venne causata da eventi contingenti o per qualche motivo in particolare. La pace reggeva, eccetto i soliti episodi di violenza nelle valli armene e qualche attacco proditorio del nemico che mise alla prova la bravura delle diplomazie, così che fu solo colpa di un uomo, l'odiato Danamenus, se essa tornò a insanguinare il territorio romano nell'Oriente, ancora lontanissimo dall'essersi ripreso dalle devastazioni della Prima. Lo so, avrei potuto descrivere meglio gli eventi che accaddero tra le due guerre ma, te lo ripeto, mio lettore, non ne sarei davvero capace e questa piccola opera ha come scopo quello di descrivere più o meno concisamente le tre guerre che sono state combattute (l'ultima la sto combattendo ora!) contro i seliacidi. E poi, a dire la verità, ho sempre meno tempo ultimamente, quindi non so davvero se riuscirò ad arrivare in fondo. Per il momento, continuo a scrivere.[3]
[1] In effetti, l'intera Media Atropatene conquistata dal generale Iohannes Tzimisces tra il 975/1728 e il 976/1729 venne ceduta, così come la parte di Mesopotamia che conteneva le città strategiche di Singara, Baladia Augusta, Hatra, Birta, Libanæ e, più a est, Arbela.
[2] Il tempo dimostrò che non aveva ragione: la conquista della Mesopotamia e di vaste parti della Persia in maniera definitiva ha reso la teoria delle “linee di civiltà” di Tzimisces obsoleta. D'altronde, col cambiare dei tempi, perché non dovrebbero cambiare anche i popoli? Nonostante noi Romani ci impegniamo da sempre a rimanere come siamo, anche il nostro popolo è cambiato nel tempo ed è inevitabile assorbire e cedere caratteristiche e tradizioni con gli altri con cui siamo in contatto. Ora, nel mondo contemporaneo, i popoli romano e persiano hanno moltissimo in comune e i cittadini romani di origine persiana non hanno niente di meno o di diverso da quelli di origine italica o britannica, se non, forse, il colore della pelle. Ma a chi importa, quello? A nessuno, in fondo!
[3] Consiglio a tutti coloro che vogliano informarsi di più sulla storia del periodo, anche se questa di Gabras è un'ottima, seppur a volte confusa, introduzione alle guerre romano-seliacidi, di consultare soprattutto i volumi dell'Historia Chronographica di Lucianus Helvius Romolianus (1506/22591579/2332). Questo stesso commento all'opera, infatti, non potrebbe essere che vago e inutile per descrivere gli eventi, tutti concatenati di quegli anni, e allungherebbe esponenzialmente il volume. Ad ogni modo, effettivamente, vedremo che Gabras non completerà l'opera, arrivando solo ai primi giorni della Terza Guerra, nel 1122/1875. Non si conosce il motivo per cui, terminata la guerra, non riprese l'opera e completò la stesura degli ultimi capitoli sugli anni finali del conflitto.
LIV
Della (seconda) guerra: 1108/1861
Danamenus, ormai da anni il signore incontrastato della Media Atropatene e delle regioni armene confinanti con l'Impero, cominciò a lanciar segnali minacciosi sin dall'anno precedente. Ad esempio, Albanopolis stessa venne attaccata da alcuni pirati in estate, cosa che provocò scalpore e indignazione, oltre a parecchi morti e danni che potevano essere evitati prestando una maggiore attenzione. Dopotutto, però, la Classis imperiale non aveva mai avuto grandi flotte sul Caspium e lo stesso mare non è mai stato esplorato davvero: solo in questi mesi, la spedizione del megadux Constantinus Angelus dovrebbe risolvere pure il mistero del fantomatico collegamento del Caspium con il Mare Suebicum o l'oceano a nord. Danamenus si giustificò dicendo che quei pirati non erano partiti da Anzalia né dagli altri villaggi della costa sotto il suo controllo ma dall'Hyrcania, o persino da più a est, dalla Tapuria, e nessuno, visto che si voleva che la pace continuasse il più a lungo possibile, provò a contestarlo. Sarebbe stato stupido. Eppure, nemmeno un anno dopo, fu proprio lui a sfondare con il suo esercito il confine, attaccando Duvius: l'idea più diffusa, perché non è mai stato appurato ufficialmente, è che la guerra venne causata dai continui massacri e dalla brutale politica del generale Isaccus Contostephanus, ata dall'Augusto Alexius che con gli anni si stava indurendo e forse stava perdendo capacità critica. Il magister d'Armenia, infatti, aveva ato parecchio tempo a cercare di eliminare le bande di predoni e di guerrieri ochusi, chorasmi e in generale seliacidi che si erano trovati sul territorio imperiale una volta conclusa la pace e innalzati i nuovi confini. Il più delle volte, questi non riconoscevano le leggi romane e causavano problemi ai poveri abitanti locali ma, spesso, Isaccus attaccava anche semplici famiglie che avevano cercato solamente di sfuggire alla
povertà delle steppe e avevano trovato nei pascoli d'alta montagna del Caucasus un paradiso. Questi, restando isolati, non facevano del male a nessuno, ma il generale non aveva mai pietà nemmeno di loro. Le notizie delle violenze su quelli che, dopotutto, Danamenus considerava suoi connazionali, di sicuro raggiunsero Artaxata, posta di fronte a Duvius, sul confine e probabilmente furono il pretesto per scatenare il nuovo conflitto. È però importante dire che la Seconda Guerra romano-seliacide fu molto più limitata e contenuta rispetto alla Prima o a quello che sarebbe stata la Terza, fortunatamente con molte meno vittime, e, soprattutto, voluta da un solo uomo che non era il sultano. Infatti, ad Aspadana, lo stesso Mahometus fu sorpreso dalla notizia che uno dei suoi governatori (pur tra i più autonomi) aveva attaccato l'Impero Romano.
Duvius venne dunque assediata, prendendo di sorpresa David, ora legatus, sempre però sotto il comando di Isaccus. L'ibero si trovava più a sud, anche se le notizie che potesse esplodere un conflitto lo avevano indotta ad avvisare l'Augusto Alexius, ora sempre più stanco di guerre e di ribellioni, a Constantinopolis. Questi si era subito adoperato per evitare azioni sproporzionate e aveva dunque inviato due ambascerie, una ad Aspadana a Mahometus e una a Danamedus, trattato eccezionalmente come un regnante indipendente. Il sultano aveva risposto con educazione, sostenendo che avrebbe fatto il possibile per mantenere la pace, il che voleva dire in realtà che non avrebbe fatto nulla, mentre Danamenus non volle nemmeno ricevere gli ambasciatori.[1] Come già detto, dunque, Duvius venne attaccata e le brillanti capacità di Danamenus gli permisero di far breccia nelle mura in breve tempo, addirittura prima che David giungesse in zona.
Sul Caspium, dal porto di Anzalia, partirono molte navi che attaccarono l'intera costa romana, colpendo e razziando sia Albanopolis che Samandaria.
Informato dello scoppio delle ostilità, l'Augusto Alexius inviò in Armenia ordini chiarissimi: dato che la priorità era ancora impedire all'Aquitania di separarsi dall'Impero[2], e in generale non voleva più combattere altre guerre inutili, vietò a tutti i generali e comandanti di guarnigioni di ampliare il fronte quando non strettamente necessario. Si rifiutò di inviare rinforzi e si disse categorico nell'impedire che anche in Mesopotamia ci fosse un peggioramento delle relazioni. Se davvero la guerra era stata voluta solo da Danamenus, forse la diplomazia poteva ancora salvare la situazione. Uno dei generali di Danamenus, un certo Gevalius, attaccò intanto Manzicerta e si rivelò anch'esso parecchio brillante, in quanto poco tempo dopo, nonostante la guarnigione fosse composta da mezza legione, la città cadde nelle sue mani.[3] Dato però che gli ordini erano così precisi, Isaccus non poté colpire in un altro fronte e dovette limitarsi a cercare lo scontro diretto tra le montagne della zona. A dispetto di ciò che voleva l'Augusto Alexius, un altro generale, di nome Ilgasius, risalì invece il fiume Cyrus, invase la Cambysene e infine attaccò Tiflis, in Iberia. Nonostante tutta l'attenzione, non ci si aspettava davvero un attacco anche in quella direzione e la guarnigione, ancora una volta, si ritirò, lasciando la città nelle mani del nemico.[4] A Mestleta, però, Iohannes Auxuchus (lo conosciamo tutti piuttosto bene, ora!)[5] partecipava alla sua prima azione di guerra, dimostrandosi un valoroso, giovane uomo. Non gli ho mai chiesto nulla a proposito delle sue origini e di cosa pensasse nel combattere quelli che erano stati un tempo i suoi compatrioti, ma non credo che lui si sia mai posto il problema. È stato allevato come un Romano e per questo si sente un Romano: forse, a dispetto di quello che dice lo Tzimisces, le differenze tra i popoli non sono insite in qualche strana, invisibile volontà del destino che ci fa nascere al di qua o al di là di una linea immaginaria e siamo solo noi uomini a notar differenze che esistono solo fino a un certo punto. Forse, a parte l'educazione ricevuta, queste non sono poi così importanti e il generale Auxuchus è la dimostrazione vivente che, in fondo, siamo tutti uomini. Persino io sarei potuto essere un indiano se fossi stato portato nel loro paese quando ero ancora in fasce!
Sul finire dell'estate, la città costiera di Samandaria, stupendo porto di origine cazara, sulle cui colline vicine si coltiva la vite e si produce uno dei vini più buoni dell'Impero, venne colpita dal peggiore attacco pirata della sua storia e, forse, della storia del Caspium. Quasi cinquanta navi, con a bordo sicuramente
più di mille uomini, si avvicinarono al porto, sguarnito di difese, dando inizio ai cinque giorni più lunghi che la gente, in quei luoghi, si ricordi. La guarnigione cittadina non era molto consistente, forse perché si era sottostimata la capacità dei pirati nemici di colpire così lontano, o perché tutti si aspettavano un attacco ad Albanopolis. Così, tutto venne saccheggiato, molte violenze, sulle quali non voglio sprecare dettagli perché ai limiti dell'umana natura, vennero perpetrate e, alla fine, i superstiti, impauriti, contarono circa 1300 morti, senza che i pirati venissero puniti. Pochi giorni dopo, come rappresaglia, il præfectus di Porta Alexandri, Donatus[6], raccolse tutti gli uomini a sua disposizione e penetrò in Media Atropatene, contravvenendo agli ordini dell'Augusto Alexius e assaltando villaggi e fortezze nei pressi del Cyrus. Diede ordine di non lasciare nessuno vivo: qualche tempo dopo, giunse al sultano Mahometus la notizia che non lontano da Tauris era stata fermata una colonna di uomini, a cui erano stati mozzati lingua e naso, e tolti gli occhi, che, legati l'uno all'altro, vagavano senza meta per i campi. L'ultimo di questi disgraziati portava un sacco sulla schiena, pieno di teste di altri poveracci ormai morti. Mi ricordo che, quando l'anno successivo, anch'io arrivai ad Albanopolis per combattere, si parlava ancora della crudeltà di Donatus e di quello che aveva fatto per vendicare l'attacco pirata a Samandaria. E poi, si lamentano che sono io, quello cattivo![7] Quando lo seppe, l'Augusto Alexius intimò a Donatus di ritirarsi immediatamente e, al contempo, mandò una serie di donativi al sultano Mahometus, per cercare di non indisporlo troppo e non spingerlo ancora di più verso la guerra totale. Furono in molti, in quei giorni, nonostante ormai l'Augusto Alexius fosse intoccabile e godesse di un prestigio immenso, a storcere il naso per il suo continuo tentativo di tenersi buono il viziato sultano nemico: per molti, l'invio di regali e ambascerie non era un modo diplomatico per non far degenerare il conflitto ma solo una dimostrazione di debolezza. Avrebbero preferito vedere i loro figli morire in guerra e bruciare tutto attorno a loro piuttosto che essere più elastici. Che stupidi!
Sugli altri fronti, la situazione, pur seccante, non peggiorò. Si combatté per il resto dell'anno in Iberia, attorno a Mestleta e Seusamora, e più a sud, nella Thospitis e nella piana di Artaxata, dove Danamenus fu in grado, verso October, di assediare Armavira dopo aver sconfitto in una battaglia minore David, forse
ancora non troppo esperto.
Per parte mia, all'epoca ero appena stato promosso centurio, e sapevo sarei stato inviato di rinforzo (uno dei pochi eserciti di rinforzo che l'Augusto Alexius aveva accettato di mandare al fronte) a servire sotto Isaccus o David. Francamente, ricordo quei giorni come alcuni tra i più belli della mia vita: l'attesa di un'esperienza mai vissuta, negli anni della giovinezza in cui tutto è nuovo e bello; il giocare a dadi o il parlare di nascosto fino a tardi con gli altri soldati e zittirsi ogni volta che ava un superiore; lo stare a far la guardia sui parapetti di una fortezza, nel cuore della notte, e perdersi nel silenzio interrotto solo dal vento e dai versi dei gufi e delle civette... Ah! La gioventù! Che nostalgia!
[1] Come la storiografia appurò in seguito, Mahometus temeva Danamenus, considerato a ragione il più potente dei suoi governatori. Dato che il suo potere era instabile e lui stesso era giovane e sprovvisto delle capacità di governo e di fascino che avevano avuto i suoi illustri predecessori, non se la sentiva di colpirlo direttamente per eliminarlo, così che fu per questo che non lo fermò nemmeno quando Danamenus atttaccò l'Impero per conto proprio. Sperava che il signore della Media Atropatene si rovinasse con le sue stesse mani, e magari venisse ucciso dai Romani in combattimento: la sua viltà e il suo desiderio di conservare il potere dimostrano quanto fosse pronto a sacrificare (la pace con Roma) pur di mantenersi sultano.
[2] Cosa che non riuscì e nello stesso anno si dovettero fermare le operazioni militari, accettando (ma mai ufficialmente) la secessione come un fatto compiuto.
[3] Gevalius è il nome latinizzato di Jawali, un generale di cui non si sa granché. Sembra abbia partecipato alle fase finali della Prima Guerra,
anche se le notizie su di lui provengono solo da sparute fonti seliacidi e persiane. Gabras è l'unico tra i Romani a parlarne.
[4] Ilgasius è il nome latinizzato di Ilghazi, nome completo Najm ad-Din Ilghazi ibn Artuq. Nelle fonti seliacidi è presentato come un valente condottiero, figlio di uno dei generali di Malicus durante la Prima Guerra, Artuq, che però non appare mai in quelle romane, e dunque non si sa nulla di lui.
[5] Iohannes Auxuchus all'epoca serviva sotto David, nella provincia di Armenia, ed era dislocato a Mestleta, in Iberia. Particolare interessante: Iohannes Auxuchus è il primo esempio noto di integrazione riuscita con successo tra Romani e seliacidi. Infatti, egli nacque nel 1087/1840 (anche se l'unica fonte a riguardo era lui stesso) in una famiglia ochusa, giunta al seguito degli eserciti seliacidi in territorio romano e qualche anno dopo, non molto tempo prima della guerra ma più probabilmente nei mesi appena precedenti ad Edessa, venne catturato insieme ai suoi famigliari. Portato a Constantinopolis come schiavo, tutta la sua famiglia venne, come di consueto, venduta mentre lui, per uno strano scherzo del destino che quel giorno fece compiere all'Augusto Alexius I un'ispezione insieme al giovanissimo, quasi coetaneo, figlio Iohannes (il futuro Augusto Iohannes III), venne comprato dall'Imperatore stesso e subito liberato per volere del figlio. Da lì, trascorse la sua giovinezza a corte e venne cresciuto come un Romano, diventando un legionario. Nel 1106/1859 venne mandato a Mestleta, dove si trovava dunque allo scoppio della guerra, due anni dopo. All'epoca in cui Gabras scrive, invece, era uno dei più famosi e importanti generali che contendevano ai seliaicidi i territori armeni, in particolare della Thospitis. Nel 1141/1894 era invece diventato magister officiorum dell'Impero, fidato secondo del suo amico di sempre Iohannes III Augustus.
[6] Donatus Papirius Syrianus, præfectus di Porta Alexandri, noto in pratica solo per la barbara reazione all'attacco di Samandaria.
[7] Gabras si riferisce al fatto che, durante la Terza Guerra romanoseliacide, la sua condotta, soprattutto nei confronti dei prigionieri, veniva giudicata quasi barbara (in connessione alle sue origini, poiché la sua gens era sempre vissuta sul confine con la Persia) e troppo violenta per un Romano. In effetti, Gabras non prese quasi mai prigionieri perché li faceva giustiziare tutti subito, come diceva lui per non appesantire l'esercito o le province.
LV
Della (seconda) guerra: 1109/1862
Mi sono accorto, sfogliando questo blocco di fogli che sta vicino alla mia branda, di aver davvero scritto troppo sugli eventi della Prima Guerra... E pensare che avevo detto di voler essere breve e schematico! Appena avrò tempo, taglierò qua e là dai capitoli precedenti, così da snellire il tutto, perché altrimenti la maggior parte della narrazione sarà davvero incentrata solo sui primi anni e non sugli ultimi, che poi sono quelli che conosco meglio![1]
Respinto dall'Iberia, impresa che impegnò tutte le forze della regione, Ilgasius decise di cambiare obbiettivo e si ritirò di nuovo verso le sue basi sul Cyrus. Da qui, in Iunius, mosse verso nord, lungo la strada costiera dell'Albània e presentandosi di fronte alle città di Romana e di Albanopolis. Con le forze che aveva a disposizione, in pratica, bloccò l'accesso alla penisola su cui stanno, anche se credo sia stata una mossa davvero sciocca: anche un esercito di grosse dimensioni, dotato della tecnologia e dell'attrezzatura adatta ad un assedio, spenderebbe mesi nel tentativo di espugnare Romana, posta in una posizione sopraelevata, a dominare Albanopolis, e cinta da mura imponenti. Come ho detto, in quei giorni ero lì, e dunque partecipai ai miei primi combattimenti. Ci furono parecchie schermaglie, anche se la maggior parte vennero condotte dalle rispettive cavallerie e dunque fu una guerra di movimento a cui i soldati appiedati come noi poterono partecipare poco. Poi, ricordo benissimo, il 28 Iunius, Ilgasius si dispose a battaglia, a sei leghe a nord-ovest dalla cinta muraria di Albanopolis, sfidandoci apertamente. Il nostro generale, in accordo con il præfectus cittadino, un giovane appena nominato che si chiamava Torquatus, decidemmo di raccogliere la sfida. Il giorno dopo, la cosiddetta battaglia di Albanopolis fu il primo scontro di un certo rilievo a cui
partecipai ed è triste pensare che lo perdemmo. Con ciò che rimaneva del nostro esercito, ci ritirammo in città. Io stesso ero stato ferito ad un braccio, anche se solo superficialmente, che stupido!, ma venni mandato per una settimana in infermeria. In questo modo, però, Ilgasius riuscì comunque a cingere un assedio, anche perché, apparentemente, aveva appena ricevuto rinforzi dalla Media Atropatene. Per mesi, dato che i tentativi di Donatus da Porta Alexandri di portarci aiuti fallirono tutti, rimanemmo isolati e solo la strenua resistenza delle poche navi della Classis in città permise di resistere anche agli attacchi dei pirati che stavano anche devastando le coste più a nord.
Nel frattempo, la primavera e l'estate videro un aumento delle operazioni, sempre a favore dei seliacidi. Devo ammettere che il 1109/1862 non fu un bell'anno per noi Romani. In pratica, e non esagero, perdemmo terreno su tutti i fronti, anche se il fronte, sostanzialmente, era uno solo. Ad esempio, anche Armavira cadde in mano di Danamenus e a quel punto David decise di ritirarsi momentaneamente dalla valle: il punto è che, siccome l'Augusto Alexius rifiutava ogni nuovo invio di forze fresche per non rischiare di complicare le cose con il sultano Mahomedus (con cui stava in effetti trattando incessantemente), nessuno dei legati e dei comandanti si arrischiava a lanciarsi in offensive che potevano significare la perdita di troppi soldati, avendo paura di incappare nell'ira dell'Imperatore se avessero disobbedito agli ordini. Per questo, nonostante fosse sempre stato un comandante brillante, David faticò nei primi tempi a capire come condurre la guerra in quelle condizioni. Ritirandosi, permise dunque a Danamenus (ma nemmeno lui aveva moltissime forze a disposizione) di occupare anche Kainepolis (in Iulius) e quindi di marciare verso sud, per conquistare le fortezze che conducevano a Theodosiopolis. Colchium, la prima di queste, venne conquistata un mese dopo. [2]
Infine Isaccus affrontò Gevalius e lo sconfisse, riprendendo momentaneamente il possesso dell'area di Manzicerta: avanzò dunque fin sulla costa del lago e liberò
Calata e Dauduana, interrompendo così le comunicazioni seliacidi con il sud, anche se a sud non si combatteva. In realtà, Gevalius riuscì a ricompattare le proprie forze e ad approfittare dell'assenza di Isaccus per riassediare Manzicerta.
Nella seconda metà dell'anno, David provò a contrattaccare e in effetti, riprese a Danamenus Colchium e attaccò Didima ma stavolta senza successo. Tra quelle strette valli, si combatté una dura battaglia e non posso dire quale dei due schieramenti abbia vinto davvero, anche perché nessuno quel giorno ottenne la vittoria. Danamenus non cercò di forzare la mano e David, come ho detto forse ancora inesperto, assecondò la volontà del nemico, ritirandosi nei pressi di Colchium.
In quei giorni, la strategia di Danamenus, anche se sulle prime non ci fu chiara, era quella di cercare di rimanere sul suolo romano il più a lungo possibile: infatti, non erano tanto i suoi soldati a preoccuparci, e lui lo sapeva, ma le nuove bande di guerrieri che continuavano a giungere dall'Asia centrale in questa migrazione che sembrava non finisse mai. Anche le semplici famiglie, o le intere tribù che decidevano di cercare dei pascoli nelle nostre valli, costituivano una spina nel fianco perché tutti questi irregolari erano senza dubbio i nemici più difficili da affrontare. Militarmente, questa guerra non ebbe senso: nessuna delle due parti poteva o voleva conquistare o sconfiggere l'altra. Fu piuttosto il tentativo di Danamenus di rafforzare il proprio dominio nella regione, creando instabilità e sapendo per certo che, anche se l'avesse persa, avrebbe comunque ottenuto parte del suo obbiettivo, cioè quello di metterci ancor di più in difficoltà, scaricando su di noi buona parte delle responsabilità e dei problemi che orde di profughi e stranieri comportano. Così si combatté quasi di più in villaggi sconosciuti e perduti tra i monti, ad altitudini proibitive, dove gli eserciti non sarebbero mai giunti, e dove dunque furono le razzie e le vendette a monopolizzare la scena. Molto sangue venne versato senza che si sapesse nulla, nelle capitali o nelle città. Di solito, si cita l'esempio del piccolo villaggio di Acacia, arroccato sui monti del Caucasus: esso venne costantemente attaccato da alcune bande di predoni ochusi per ben tre
anni ma i suoi abitanti decisero di non andarsene e preferirono combattere e resistere. Alla fine, sembra nel 1110/1863, essi riuscirono a risolvere il problema, compiendo un'imboscata ai razziatori durante l'ennesima loro incursione e provocando persino una frana che, a quanto sembra, li sotterrò quasi tutti.[3]
Nell'ultimo periodo in cui si poteva combattere, David cercò ancora due volte di espugnare Didima e, se la seconda volta non gli riuscì di liberarla, la terza ebbe successo, costringendo, proprio mentre il tempo stava cambiando e le strade di montagna si facevan più pericolose a evacuarla e ritirarsi su Bagauna.[4]
[1] In effetti, l'opera di Gabras, incompleta e apparentemente mai finita, è decisamente sproporzionata nella sua stesura: la parte sulle origini dei seliacidi, piuttosto consistente ma utilissima, è seguita da quello che è sostanzialmente il cuore del libro, il racconto della Prima Guerra: questo, nonostante sia a volte confuso e a volte manchi nel descrivere certi avvenimenti, è piuttosto prolisso e tutto questo si nota soprattutto leggendo la parte sulla Seconda e sulla Terza, molto più brevi. Vero è che, delle tre, fu la Prima la più devastante, lunga e importante, e che Gabras non riprenderà mai più in mano i suoi scritti per redarli un po' meglio come promette, ma non si può negare che la scrittura del generale manchi di controllo e limitazione.
[2] La città di Gornæ, però, durante la Seconda Guerra, non cadde mai in mano nemica.
[3] L'episodio, realmente accaduto tra il 1108/1861 e il 1110/1863, ispirò in seguito molte leggende e racconti popolari, famosi soprattutto nella zona. Acacia, comunque, è un antichissimo villaggio, piuttosto prospero fino al III secolo A.D., e poi abbandonato. Venne riabitato a partire dal VII secolo A.D., anche grazie alla missione di evangelizzazione cristiana avvenuta circa
due secoli prima nella zona del religioso Acacius, da cui evidentemente il villaggio prese il nome.
[4] A differenza della Prima Guerra, durante la Seconda non si combatté praticamente mai durante l'autunno e l'inverno: la mancanza di forze e soprattutto la poca aggressività (nessuno aveva davvero voglia di combattere) resero la guerra un conflitto a bassa intensità anche se, come più volte ripetuto, le maggiori violenze capitarono lontano dai campi di battaglia e dagli eserciti.
LVI
Della (seconda) guerra: 1110/1863
Il 1110/1863 fu l'anno decisivo di questo breve conflitto. Attaccando prima del previsto, mentre ancora qua e là c'era la neve e faceva ancora molto freddo, David prese alla sprovvista le forze di Danamenus che si ritirò fino alla piana delle cinque città. In questo modo, David riuscì a riprendere il controllo di Chasira, Palacata e Zolocerta. Poi, il 15 Martius, Danamenus, desideroso forse anche di gloria e di sicuro seccato dalla resistenza del giovane generale, che si era aspettato più debole, provò a radunare le guarnigioni e marciò in battaglia contro David. Vicino ad Armavira, però fu proprio quest'ultimo a dimostrare il proprio talento e a sconfiggere, per la prima volta, l'avversario nettamente. Dei circa 25000 uomini a sua disposizione, Danamenus ne perse quel giorno ben 15000, tra morti e feriti, mentre il resto riuscì miracolosamente ad aprirsi un varco a sera, in rotta verso oriente. I cavalieri di David li inseguirono, allora, fino all'alba, provocando altre vittime. Ci furono solo 3000 caduti tra le fila romane.[1] Danamenus, in realtà, si era rifugiato a Duvius, mentre David assediava Armavira e Kainepolis. A quel punto, allora, in mancanza di forze e, forse, cominciando a rendersi conto che quella guerra era già persa in partenza, Danamenus mandò ordini a Ilgasius, dicendogli di ritornare nella regione e portargli rinforzi.
Questi, per tutto l'inverno, aveva continuato a bloccare l'accesso alla penisola di Albanopolis, senza però assediare le città, così che in sostanza la sua strategia fu solo un enorme spreco di tempo. Lo dico perché mi trovavo lì e ho partecipato a parecchi scontri del tutto inutili ai fini della guerra: era chiaro a tutti, e
probabilmente anche a lui, come non potesse in alcun modo entrare in possesso né di Romana né di Albanopolis. Avremmo dovuto salire tutti sulle navi e abbandonarle perché avesse avuto qualche possibilità. All'epoca, ci sembrarono più pericolosi gli attacchi pirata. Quando, dunque, giunsero gli ordini di Danamenus, Ilgasius non ci mise molto a togliere il blocco e ritirarsi a sud, forse sollevato di non aver perso la faccia avendo dovuto lasciarlo spontaneamente. Così, infatti, poteva sempre incolpare il proprio padrone.
Ilgasius giunse a dar manforte a Danamenus verso Iunius quando però venimmo a sapere che Isaccus aveva perso le tracce dell'esercito di Gevalius, il quale sembrava aver improvvisamente abbandonato la Thospitis e sembrava essere svanito nel nulla. Gli abitanti della zona, interrogati dai soldati del generale, dissero di aver visto un esercito straniero marciare a o sostenuto verso nord, attraverso i i poco battuti che portavano a Theodosiopolis. Quasi nessuno usava più quelle strade, perché erano pericolose e strette, ancora più strette della strada principale che da Didima portava alla città. Fu quindi una sorpresa quando, circa un mese dopo, ricevemmo le notizie (noi stavamo marciando verso sud, per pattugliare il confine sul Cyrus) che riguardavano Gevalius e che dicevano che ora si trovasse a circa un centinaio di leghe a ovest di Abnicum, la città dalle mille chiese. Come diavolo aveva fatto? Nessuno conosceva che strade assero attraverso quelle dannate montagne, e se non le conoscevano i Romani, come facevano a conoscerle i seliacidi. Le uniche spiegazioni plausibili sono che vennero aiutati dalle bande di irregolari ochusi o chorasmi che ormai si erano stabilite lì, oppure che le loro spie fossero penetrate molto tempo prima dello scoppio della guerra e che dunque il conflitto non era esploso per caso ma era voluto e preparato da anni.[2] A quel punto, la cosa più logica sarebbe stata marciare verso est e dar manforte a Danamenus, unendosi alle sue truppe e a quellei di Ilgavius, ma così non accadde. Gevalius continuò la marcia verso nord, restando in pratica lontano da tutte le guarnigioni imperiali e nutrendo il proprio esercito con le razzie ai villaggi di cui, francamente, non so nemmeno il nome. Ci vorrebbe una mappa perché davvero non so che paesini ci siano lassù tra quelle montagne.
Ad ogni modo, la sua avanzata terminò quando apparve ad Ad Mercurium Armeniæ, dove massacrò la nostra guarnigione e occupò il villaggio. Lì, per un po' di tempo, si installò senza trovare alcuna resistenza. In effetti, nel vicino villaggio di [...][3]
[1] Altri storici (L.H.Romolianus e Nevius Andronicus) parlano di 4500 morti romani mentre la stima delle perdite di Danamenus è corretta.
[2] Anche se sembrano ipotesi plausibili, è possibile che, data l'estrema mobilità dei guerrieri e dei soldati seliacidi, Gevalius fosse riuscito a trovare una via grazie solo alle proprie capacità di comandante.
[3] Terza, e ultima, interruzione del testo di Gabras. Per i dettagli, vedi nota 1, cap. XXXI. A differenza delle altre lacune, questa è più contenuta anche se riguarda proprio il momento culminante della Seconda Guerra romanoseliacide. Per riassumere, Gevalius occupò per molti mesi la valle di Ad Mercurium Armeniæ e di Leukhotea, razziando anche il contado di Sarapana, più a nor, senza però osar attaccare la città stessa, ritenuta imprendibile. In Maius, Danamenus e Ilgavius mossero contro David e nei pressi di Artaxata ci furono ben due battaglie, probabilmente le due più importanti e sanguinose dell'intero conflitto: David riuscì infatti a respingere per poco i seliacidi nella prima, pur subendo parecchie perdite, mentre nella seconda fu Danamenus a prevalere, senza però mandare in rotta l'esercito romano. Nel corso degli scontri, Ilgavius venne colpito da una lancia e poco dopo morì, privando Danamenus di uno dei suoi più fidati luogotenenti. Nei mesi successivi, David riuscì a riconquistare Armavira e Kainepolis, mentre ad Artaxata trovò ancora molta resistenza da parte del nemico, così che, all'arrivo dell'inverno, la situazione era sostanzialmente identica a quella precedente il conflitto. I moltissimi episodi minori (Dedopolis, Khaldiopolis, Tivalia e molti altri) non possono essere qui riportati per ragioni di spazio, e si rimanda sempre all'Historia
Chronographica di Lucianus Helvius Romolianus, in particolare al sessantatreesimo volume dell'immensa opera (v. nota 3, cap. LIII). I primi mesi del 1111/1864 videro sempre meno scontri e l'unica battaglia di un certo rilievo avvenne ancora nella piana di Artaxata, tra David e Danamenus. La città, comunque, non tornò in mani romane.
LVII
Della (seconda) guerra: 1111/1864
[...][1] se non fosse stato per il fatto che tutti questi scontri avrebbero permesso alle forze della zona di occupare nuove posizioni nella Cambysene. Si combatté spesso, sul fiume Alazonius, tra i soldati delle guarnigioni di Mestleta e Seusamora, e le bande di irregolari che proprio non volevano saperne di abbandonare la regione.[2]
L'Augusto Alexius, però, non ne poteva più di aspettare i comodi del sultano Mahometus: l'ambasceria di inizio anno, come abbiamo visto, ebbe finalmente un esito diverso, in quanto il seliacide aveva accettato di iniziare a intavolare le trattative di pace ma, per mesi, queste si erano allungate e impaludate in finte scuse e cavilli insulsi. Così, in Iunius, l'Augusto perse la pazienza, minacciando di acconsentire offensive su tutti i fronti, per scatenare una guerra totale come lo era stata la prima, cosa che ovviamente non voleva ma che avrebbe portato a compimento se Mahometus non si fosse seriamente impegnato per siglare la pace tra i due stati. Al che, finalmente, le minacce ebbero l'effetto sperato: pare che, nessuno tra i consiglieri e i potenti che costituivano la cerchia del sultano volesse davvero una guerra totale e che, nonostante ora Danamenus inviasse richieste di aiuto, non si poteva sacrificare uomini (vista anche l'instabilità dello stato) solo per permettergli (che aveva agito senza il consenso di nessuno) di continuare a combattere. L'obiettivo di renderlo più debole era stato raggiunto, anche se la reazione limitata dei Romani non aveva distrutto davvero la sua posizione. Ad ogni modo, in Augustus, finalmente il secondo trattato di pace, detto di Ecbatana per il luogo in cui fu firmato tra esponenti del governo imperiale romano e dignitari del sultano, portò alla fine immediata dei combattimenti: se
Danamenus non si fosse adattato alla situazione, sarebbero stati proprio le forze del sultano, insieme a quelle romane, a invader le sue terre. Ovviamente, il signore di Media non desiderava una guerra su due fronti e, data la sua posizione ora più insicura, non poteva permettersi di combattere anche contro Mahometus, quindi accettò a malincuore di ritirarsi nei propri domini, tornando a Tauris. Soprattutto, il trattato permise all'Impero, come risarcimento delle spese di guerra, di annettere la già citata regione della Cambysene, e, grazie agli sforzi di David per mantenere la posizione più a sud, anche la fortezza e il villaggio adiacente di Zolocerta, sulla strada per la Thospitis. Palacata, posta di fronte, tornò ai seliacidi. Il resto del confine rimaneva lo stesso, secondo i parametri del primo trattato di pace. Anche la Seconda Guerra romano-seliacide era giunta al termine.
Credimi, però, mio lettore, che non furono giorni facili quelli che seguirono. Il conflitto, proprio come aveva desiderato e previsto il diabolico Danamenus, aveva ancora una volta aperto i confini e, dunque, nuove tribù, nuove famiglie e molti altri si erano potuti riversare nelle nostre terre. Il problema non riguardava (e non riguarda tutt'ora) la presenza di nuove persone all'interno dell'Impero, anzi: la capacità di assorbire le nazioni più varie ha solo arricchito il popolo romano e la possibilità di prendere il meglio da ogni popolo è stata una delle chiavi del successo dell'Impero nei secoli. Il problema è piuttosto di natura militare e politica: con l'instabilità, e le incertezze che una crisi produce sugli abitanti di una determinata regione, l'arrivo non gestito di una moltitudine di stranieri produce inevitabilmente conseguenze impreviste e quasi mai soddisfacenti. Se poi, come nel nostro caso, i due popoli sono divisi da culture profondamente diverse e da un'inimicizia dovuta ad uno stato di guerra perenne, tutto si complica maggiormente. Aggiungo inoltre che, pur essendo sproporzionata la reazione di generali come Isaccus (e nella categoria mi ci aggiungo anch'io) che tentano di estirpare il nemico con la violenza, questa è stata provocata dal rifiuto dei seliacidi, nella maggioranza dei casi, di rispettare le nostre leggi, la nostra lingua e la convivenza stessa che avevamo raggiunto tra noi: in moltissimi esempi che potrei fare, le tribù di ochusi e chorasmi hanno portato solo confusione e sangue nelle valli armene, facendo fuggire con la forza interi villaggi che poi hanno
occupato, comportandosi come se tutto fosse loro dovuto. Questo comportamento, com'è logico che accadesse, ha solo aggiunto violenza alla violenza, a causa della nostra reazione. Forse tutto questo accade solo perché i nostri sono tempi di decadenza e, in altre epoche più prospere, avremmo saputo gestire meglio la situazione, ma... tant'è, quindi, è inutile pensarci troppo.[3]
[1] La lacuna, come visto, copre la parte finale del capitolo LVI e la parte iniziale di questo breve LVII, quindi quando la narrazione riprende si è già nell'anno 1111/1864.
[2] Non si conosce esattamente da dove sia partito Gabras per parlare della Cambysene ma non è un caso che ne parli proprio a questo punto, dato che essa fu al centro delle trattative per la pace. Ad ogni modo, è vero che tra il 1110/1863 e il 1111/1864 si combatté molto a est di Tiflis e delle città ibere menzionate nel testo.
[3] Il pensiero di Gabras a riguardo dell'immigrazione, sebbene superficiale, riflette un tema importante dell'epoca ed era condiviso dalla maggior parte dei Romani, anche se in Occidente forse le idee erano più estreme e radicali. Gabras mostra di comprendere l'importanza dell'assorbimento pacifico di altri popoli, in modo da arricchire entrambe le parti ma non bisogna dimenticare che il punto di visto è sempre quello di un dominatore che esercita il proprio potere su un dominato: l'idea fondamentale è quella di sempre, e cioè che una nazione sottomessa a Roma, se accetta i costumi, la lingua e rimane tranquilla, può godere della protezione dell'Impero e vivere serenamente, arricchendo davvero anche la cultura imperiale, ma la relazione termina qui, poiché in definitiva l'integrazione serve a produrre la romanizzazione del popolo conquistato, in modo tale che un giorno, eccetto le inevitabili differenze locali, ogni abitante di province anche lontane migliaia di leghe possa riconoscersi prima di tutto come cittadino romano. Questa, anche oggi, è l'idea principale che sorregge l'Impero e la sua
ideologia. Nel o, Gabras dimostra di capire, ma la sua conclusione non dà segni di pentimento a riguardo delle violenze perpetrate sul nemico: prevale sempre l'idea di ordine e dominio.
LVIII
Dell'ennesima pace
Gli anni compresi tra il 1111/1864 e il 1122/1875 furono anni strani e gli ultimi, a oggi, che videro qualcosa di simile alla pace.[1] Da parte mia, finché rimasi dislocato in Albània, soprattutto a Romana, da dove qualche volta scendevo per degli incarichi ad Albanopolis, la vita trascorse piuttosto serena. Ogni tanto, qualche vascello pirata attaccava le coste e cercava persino di far dei danni nella stessa Albanopolis, ma la lezione di Samandaria di qualche anno prima, aveva insegnato qualcosa al magister Torquatus (promosso da præfectus, proprio al termine della guerra), il quale aveva insistito con l'Augusto Alexius affinché si rafforzasse la presenza della Classis nel Mare Caspium. Quest'ultimo, sentivo, sembrava sempre più stanco, come se una vita di combattimenti, pur vittoriosi, lo avesse fiaccato e indebolito a tal punto che, oramai, le cose degli uomini gli scivolavano addosso, stimolando sempre meno il suo interesse. Nel 1113/1866 la mia centuria fu una di quelle dislocate (secondo il principio di rotazione consueto) a Kainepolis, il centro militare dell'Armenia, e il suo capoluogo, in assenza di Artaxata, ancora in mano seliacide. Ricordo che lo stesso legatus David si diceva preoccupato delle notizie che giungevano da Constantinopolis: in via del tutto informale, c'era chi criticava il comportamento dell'Augusto che diventava ogni giorno più strano, e soprattutto si lamentava del clima di oppressione che cresceva sempre più. Erano aumentati gli arresti, per questo o quell'altro motivo, e si arrivò (cosa che non accadeva da secoli, credo)[2] ad un'esecuzione pubblica nell'Ippodromo di eretici, che vennero bruciati vivi alla presenza dell'Augusto Alexius stesso. Si attirò molte critiche, anche se nessuno in realtà osava attaccarlo apertamente, per paura di ritorsioni o condanne.[3]
Mi ricordo di David, che ancora non sapeva come avesse davanti a sé un futuro
radioso anche se triste e non troppi anni da vivere. Dopo le imprese compiute durante la Seconda Guerra, con pochi soldati e grandi difficoltà, era stato promosso legatus, anche per il fatto che il suo mentore e predecessore Isaccus Contostephanus si era spento a Trapezus, ai primi del 1112/1865. Avendo preso il suo posto, tutti noi ci aspettammo allora di dover cominciare una vita su e giù per le montagne, alla ricerca di bande di guerrieri che spaventavano i villaggi o di intere tribù che li avevano occupati, credendo che quei pascoli fossero i loro e non di Roma. Rimanemmo tutti sorpresi, in particolar modo io, nel notare invece un cambiamento (almeno in base alla sua fama precedente) nel generale: egli abbandonò infatti la strategia di Isaccus e per molto tempo rimanemmo tranquilli anche in Armenia, a pattugliare le città e i villaggi, e solo ogni tanto combattemmo qualche scontro, per arrestare gli sciacalli o sconfiggere dei predoni troppo violenti.
Nel 1114/1867, fui uno dei fortunati, se così posso dire, ad essere scelti come scorta di David nell'ambasceria in Persia, voluta dall'Augusto Alexius per mantenere buone relazioni con i nostri instabili vicini. Di solito, un Romano, a meno che non sia un soldato o un mercante (ma anche in questi casi, non accade mai troppo o volentieri), non abbandona mai il territorio dell'Impero nel corso della sua vita, non solo per il senso di superiorità che ci distingue, o perché ciò che c'è fuori o ci è nemico o è sconosciuto (il che, direi, per un Romano è la stessa cosa), ma anche perché l'Impero in sé è tanto vasto da costituire un mondo a parte, in grado, anche durante le crisi, di sussistere da solo, in maniera indipendente.[4] Dico questo perché devo ammettere che non mi dispiacque vedere, senza la preoccupazione di una marcia o di un'imminente imboscata, i territori al di là del limes: da Kainepolis, tornammo in Albània seguendo il corso del Cyrus, confine tra i due stati, e poi da Albanopolis giungemmo nel porto di Anzalia, una cittadina costiera (già stata romana) che in pratica costituiva l'accesso al mare della ben più importante Cyropolis, situata a qualche lega nell'entroterra. Anzalia invece si trovava nel punto più interno di una laguna, e fui colpito dall'abbondanza di quei luoghi e dalla pace che regnava su quelle acque: i pescatori ci guardavano are, e a volte salutavano pure, mentre sulle loro barchette attendevano pazientemente che abboccasse qualcosa; i canneti
ondeggiavano al vento proveniente dal Caspium e offrivano riparo alla sterminata popolazione di uccelli di ogni genere che vivevano lì; tutto sembrava pacifico e senza un pensiero. Forse è così che dovrebbe essere il mondo... E, forse, lo è davvero e siamo solo noi a pensare che sia un posto oscuro e malvagio, solo perché non lo governiamo noi.[5]
Cyropolis, pure non è una brutta città. Certo, di romano non ha molto, anche perché non è stata nell'Impero per molto tempo[6], però questo in fondo non vuol dire granché. I suoi viali alberati e le montagne innevate in lontananza rimangono molto piacevoli alla vista. È un peccato che non appartenga più all'Impero. Da lì poi entrammo in Media, e giungemmo ad Ecbatana, città molto più persiana di Cyropolis, forse anche perché questa non è stata mai nemmeno occupata da uno dei nostri eserciti. Ci fermammo poco, perché David voleva arrivare al più presto ad Aspadana e non si fidava molto a restare sul suolo straniero. Forse anch'io, se non avessi prestato attenzione alla meraviglia che quei paesaggi suscitavano nel mio animo, sarei stato preoccupato come lui. Non che ci sia successo qualcosa, o che ci sia stato motivo per aver pensato anche solo un momento di essere in pericolo, ma un Romano fuori dall'Impero è, come dice il proverbio, un pesce fuor d'acqua. Però, fummo trattati molto bene, non ho nulla di cui lamentarmi a proposito: sin da quando giungemmo ad Anzalia, venimmo accolti da un piccolo gruppetto di interpreti e politicanti, inviati proprio dal sultano che, evidentemente, era in quel periodo desideroso di tenere fede ai patti, senza farci brutti scherzi come in ato. Da allora, comunque, quegli uomini non ci lasciarono più, indicandoci la via e, ovviamente, tenendoci sempre d'occhio.
È bene che dica, visti gli eventi successivi, che in quegli anni, lo stanco Augusto si legò in qualche modo sempre di più a David, che spesso veniva convocato a Constantinopolis, anche per motivi non sempre importanti. Alcuni cominciarono a pensare che, forse, l'Imperatore non avrebbe ato il testimone, una volta morto, al figlio ma a David, proprio in virtù delle sue doti militari e dell'amicizia
che li legava. Probabilmente risale a questo periodo la nascita in Anna, la bellissima figlia maggiore dell'Augusto Alexius, sposata al generale Nicephorus Bryennius (ora magister della Gallia Narbonensis)[7], dell'idea di convincere il padre a nominare il marito erede e futuro Imperatore, così da poter diventare lei stessa Augusta consorte. La sua ambizione, a quanto pare, era seconda solo alla sua bellezza. Per quanto riguarda, il nostro beneamato princeps Iohannes, pare che egli non fosse minimamente turbato dall'idea di non diventare Augusto e all'epoca faceva la spola tra il Sacro Palazzo di Constantinopolis e la natia Castra Comneni, in Paphlagonia. D'altronde i più grandi sono sempre coloro che non cercano il potere per sé stessi o il proprio egoismo ma che lo accettano, pur conoscendo il fardello che dovranno sopportare, pensando al bene che in questo modo potranno fare agli altri. Nessuno dovrebbe permettersi di puntare il dito contro l'Augusto Iohannes! Egli è migliore di tutti noi![8]
Arrivammo ad Aspadana e anch'essa si rivelò essere una splendida città. Pur preferendo l'architettura romana (e comunque non me ne intendo!) le cupole delle moschee e i minareti, circondati da fontane e altre meraviglie, furono una gioia per gli occhi. Venimmo scortati subito a palazzo, dove ci fecero aspettare in un'ala per due giorni, senza darci particolari notizie. A quanto pare, il sultano stava arrivando perché la notizia del nostro arrivo gli era giunta proprio mentre stava cacciando in una delle sue tenute, da qualche parte a nord. Non so bene dove. Per cui, nonostante David, poco incline ad aspettare e restio a godere dei lussi e delle comodità che, pur essendo quasi in prigionia, ci venivano offerti per far are il tempo, fosse piuttosto nervoso e preoccupato di essere caduto in una trappola, io e i miei compagni della scorta non lo credevamo davvero e io mi rallegrai nel mangiare il cibo persiano e bere le loro bevande. Le storie sulle ricchezze della Persia sono antiche e, cosa più importante, sono vere, anche se in quanto a ricchezza anche l'Impero, nonostante la crisi, non è da meno: l'unica differenza è che ai persiani piace ostentarla e, appena possono, abbelliscono i loro palazzi e loro stessi di ogni possibile pietra preziosa e metallo pregiato. Noi siamo più morigerati e questo, per conto mio, è solo un bene.
Intravidi, molte fanciulle dai lineamenti splendidi e dalle fattezze sinuose, vestite con le più sgargianti vesti di seta e altri tessuti che non so riconoscere, ma anche il solo loro modo di camminare, come se scivolassero senza peso da un punto all'altro dei giardini e degli ampi saloni, era una vista che mi rallegrò moltissimo. Come per la ricchezza, anche la bellezza delle donne persiane è cosa nota da secoli e molte sono le storie giunte fino a noi che infiammano ancor oggi l'immaginazione dei giovani e degli amanti, a Constantinopolis così come negli altre città dell'Impero, e la Persia stessa ha la fama di essere il regno della sensualità e dell'arte dell'amore. Alcuni bigotti e moralisti la descrivono come un luogo di perdizione e di vizi decadenti, ma quelli, senza girarci troppo attorno, sono solo un branco di repressi!
Finalmente, giunse in città il sultano Mahometus e ci ricevette con tutti gli onori. La pompa e la fastosità del cerimoniale devono essere per forza una delle caratteristiche acquisite dai seliacidi in questi decenni di dominio sulla Persia, proprio come si dice che il conquistato alla fine conquista il conquistatore, perché da quel che so nelle steppe non esistono nemmeno le città e la vita seminomade non ha mai permesso alle tribù di essere tanto ricche. Non è ato molto ma i seliacidi già hanno assorbito parecchio della cultura persiana, forse favoriti dalla comune fede religiosa. Ad ogni modo, l'incontro in sé non fu nulla di eccezionale: il motivo dell'ambasceria era semplicemente uno scambio di doni e il ribadire come le relazioni tra i nostri due paesi dovessero rimanere pacifiche, per il bene di entrambi. David auspicò che al più presto le frontiere venissero riaperte perché la chiusura repentina delle vie commerciali stava aggravando la situazione economica dell'Impero e, disse lui, di sicuro stava danneggiando anche quella seliacide. Pur non ammettendolo apertamente, il giovane Mahometus non si disse contrario e forse quello fu il nostro principale risultato: di lì a poco più di un anno, gli scambi ripresero almeno in Mesopotamia, anche se molti dei nostri mercanti erano restii di recarsi in Persia, così che non si sentirono subito grandi effetti e solo gli intermediari arabi riuscirono a trarne vantaggio.
Dopo cinque giorni, finalmente lasciammo Aspadana e ci incamminammo (sempre scortati dalle onnipresenti “guide” del sultano) verso il confine: questa
volta, da Ecbatana, proseguimmo per la Mesopotamia, e non ci fermammo se non a Singara, prima di recarci a Thannuris, rientrando nell'Impero. Molti di noi tirarono un sospiro di sollievo una volta rimesso piede sul suolo imperiale, e, anche se non lo ammise mai, pure David si rilassò da quel momento in poi.[9] Rimanemmo in Armenia, insieme a David, che, nel 1117/1870 venne promosso ancora, per esplicito volere dell'Augusto Alexius, ormai sempre più debole, a magister della provincia. Quell'anno fu piuttosto tragico, in molti sensi: ricordo che, mentre ero di stanza ad Armavira, sentimmo le notizie di un devastante terremoto che aveva colpito il nord Italia e quasi raso al suolo le città di Verona e di Patavium, provocando danni anche a Venetia e a moltissimi villaggi nei dintorni. Udimmo pure di nuove persecuzioni e di altri roghi di eretici nell'Ippodromo di Constantinopolis, sempre alla presenza dell'Imperatore. E poi, verso la fine dell'anno, sentimmo del peggiorare (quella volta definitivo) delle condizioni di salute del princeps, tanto che David si era deciso, ad un certo punto, a lasciare l'Armenia e di recarsi nella capitale, perché era certo, ci disse, che sarebbe successo qualcosa. Il suo intervento fu provvidenziale: nei primi mesi del 1118/1871, Anna e Nicephorus avevano con insistenza fatto visita all'Imperatore ma questi, pare, approfittando di un momento di assenza della figlia, volle parlare in privato con Nicephorus: ovviamente, non si conosce l'esatto contenuto della loro conversazione, ma si dice che l'Augusto Alexius abbia chiesto al generale cosa volesse davvero, se si sentisse pronto ad assumersi un tale fardello e che questi, sostanzialmente un brav'uomo, gli avesse confidato di appoggiare la moglie ma di sapere di non essere in grado di governare l'Impero.[10] Quando David giunse a Constantinopolis, la folla, sapendo ormai in che condizioni versava l'Imperatore, accolse il generale ibero come un eroe, l'unico che poteva in quegli anni difficili, succedere al leggendario Augusto Alexius, visto che lo stesso cæsar Iohannes non era ancora molto conosciuto e di carattere era piuttosto schivo. Il 12 Augustus, alla presenza anche del marcanus di Sclavinia (e amico di sempre) Iohannes Auxuchus, l'Augusto Alexius propose la porpora a David, confidando in una successione incruenta: disse che non voleva che Anna assumesse il potere e che se l'avesse assunto Iohannes, c'era il rischio di spaccare in due la gens in una di quelle stupide lotte per il potere che, invece, lui voleva evitare a tutti i costi. Offrì il titolo di Imperatore a David che sarebbe diventato a
tutti gli effetti Augusto, mentre Iohannes avrebbe informalmente governato con lui, facendo esperienza, e succedendogli quando fosse stato il momento, il che era a discrezione dell'ibero. Se tu, mio lettore, pensi che nessun uomo sano di mente voglia spontaneamente cedere la porpora o il potere una volta assunti, per darli a un altro, allora non sai nulla di David: pochi uomini, soprattutto in un'epoca di ferro come la nostra, sono stati migliori, in tutti i sensi e hanno pensato in primo luogo al bene dello Stato piuttosto che al proprio, quanto lui. Nessuno, nemmeno per un secondo, pensò mai che David, una volta diventato Augusto, non avrebbe più ceduto il potere a Iohannes, o l'avrebbe ato al figlio Demetrius, mancando alla promessa fatta all'Imperatore Alexius in punto di morte. Fatto sta che Anna, appena lo seppe, cercò di comprare le guardie per attuare un colpo di Stato, accecata com'era dall'avidità e dal desiderio, ma fortunatamente Nicephorus aveva avvisato David dei suoi propositi e questi sostituito le guardie con dei suoi soldati fidati che non impiegarono niente per arrestare la cæsarissa, poche ore dopo la morte del padre. Furono giorni tristi, ma, come aveva sperato l'Augusto, non ci furono scontri né faide interne: tolta di mezzo Anna, il resto della gens accettò di buon grado il compromesso, sapendo che in Iohannes, la famiglia non avrebbe perso il potere guadagnato con tanti sacrifici. Il Senato, dunque, elesse David, nuovo Augusto, centoquarantesimo Imperatore di Roma e, qualche giorno dopo, anche quello di Roma fece lo stesso.[11] Infine, i funerali di Alexius, mentre tutte le città e i paesi dell'Impero entrarono in un periodo di lutto, furono commoventi anche se, mi dispiace dirlo, io non vi partecipai, trovandomi a Kainepolis. Anche lì, però, si fecero cerimonie per il Sacro Defunto e, ognuno, secondo i propri riti e la propria religione, gli tributò onori.
[1] Più che della pace, Gabras qui parla di sé e di come trascorse gli anni tra le due guerre. Forse aveva intenzione di imitare anche modelli più autobiografici, tra tutti i commentarii del Divus Cæsar.
[2] All'epoca di Gabras, l'ultimo caso di rogo pubblico risaliva all'anno 916/1669, quando alcuni barbari erano stati condannati a quel modo, peraltro in via eccezionale, visto che già all'epoca non era più una consuetudine. Il vero periodo in cui quel brutale metodo di condanna a morte venne eseguito con frequenza furono soprattutto i secoli VII e VIII A.D..
[3] Pare che, verso il 1115/1868, l'Augusto Alexius I fosse già malato, anche se non conosciamo le vere cause della sua malattia. Gli “eretici” di cui parla Gabras erano esponenti di una setta cristiana nata in Thracia, che era basata sul dualismo di tipo orientale e che sosteneva come il mondo fosse retto dai principi del Bene e del Male. Non serve che qui si esponga la dottrina per esteso. Ad ogni modo, dato che non ha lasciato scritti, e nemmeno l'opera della figlia Anna ci fornisce una spiegazione in merito al suo comportamento, non è noto il motivo per cui l'Augusto Alexius I abbia ordinato di perseguitare, in quegli anni, quella setta in particolare, dato che, anche se il periodo fu uno dei più intransigenti e intolleranti dal punto di vista religioso, ufficialmente l'Imperatore era il protettore di tutte le fedi dell'Impero e c'era allora, come c'è adesso, libertà di culto.
[4] Quella di Gabras è una considerazione più sociologica che economica, anche perché, pur essendo vero che, in alcune epoche l'Impero, grazie alla sua organizzazione e alla sua vastità, era stato in grado di sopravvivere senza commerci con l'esterno, un'eventuale chiusura totale senza rapporti con i paesi stranieri, per quanto sconosciuti o barbari, lo avrebbe impoverito e danneggiato, e alla lunga reso instabile. Quindi, anche se i mercanti non si recavano quasi più in India, Arabia Felix, Seria, Rusia interna o Thule Minor, non voleva dire che l'Impero non fosse collegato al resto del mondo da una rete di traffici e scambi che, seppur assottigliatasi durante gli anni di Gabras, non era scomparsa.
[5] Al contrario di quello che si dice, e della sua fama all'epoca, Gabras non era un incivile rozzo generale che traeva piacere dall'uccidere i prigionieri catturati in battaglia, e non era neppure uno xenofobo. Leggendo questi suoi scritti si nota anzi di come fosse piuttosto progressista su parecchi temi importanti, e più intelligente di molti suoi contemporanei, che al primo segnale di problemi, davano la colpa di tutto agli stranieri o ai governanti.
[6] Dal 975/1728 al 1165/1818. La Media Atropatene cadde in mano seliacide quasi senza opposizione, poco dopo l'attacco a Birta in Mesopotamia. Come ricorderà il lettore, il fallito tentativo del generale Bagratius di avanzare in Persia e la sua seguente disfatta, consolidò il dominio del nemico sull'intera zona, che non venne raggiunta e liberata nemmeno negli ultimi anni di grandi avanzate della guerra.
[7] Nicephorus Bryennius, in seguito ai fatti del 1118/1871, venne perdonato sia da David che da Iohannes, visto che pare non abbia mai davvero voluto diventare Imperatore ma che avesse assecondato la moglie solo a causa dell'amore che provava per lei. L'Augusto David lo sollevò dalle cariche prettamente militari e lo nominò magister della Gallia Narbonensis nel 1120/1873.
[8] Si potrebbe pensare che qui Gabras scriva per non inimicarsi l'Augusto, magari in previsione di una pubblicazione (che però non ci sarà), visto che anche nel proemium, egli dedica i suoi scritti all'Imperatore e alla gens Comnena. In realtà, pare più plausibile che i complimenti di Gabras siano sinceri e che, ad ogni modo, non avesse bisogno di blandire l'Augusto Iohannes III che, di sicuro, non avrebbe impedito la pubblicazione di questo o di qualsiasi altro manoscritto.
[9] Gabras è piuttosto vago circa l'incontro con Mahometus e forse sarebbe stato più utile che si fosse soffermato di più sulla descrizione di quei giorni d'ambasceria nell'impero seliacide. Egli sembra esser rimasto più colpito
dalle ricchezze (e dalle bellezze locali!) che da Mahometus in sé e forse questo rispecchia l'autenticità di altri fonti, comprese certe persiane e arabe, che lo descrivevano come “piccolo” e “insignificante”. Sappiamo bene ora che, nonostante fosse il sultano riconosciuto, a regnare veramente era tutta la schiera di funzionari e parenti che lo avevano posto sul trono e che, nonostante fosse cresciuto, lo comandavano piuttosto rigidamente. Risale a questo periodo, l'ascesa di Ametus Sangarius, fratello del defunto Malicus e scampato alla prima ondata di guerre civili proprio per il fatto di essere troppo giovane: ora, guadagnati appannaggi nell'est dell'impero, cominciò a tramare e orchestrare la propria ascesa, anche se ci sarebbero voluti altri anni.
[10] Sostanzialmente, Gabras ci dà una versione corretta degli eventi, confermata poi dagli scritti privati sia di Nicephorus che dell'Augusto Iohannes III.
[11] Curiosamente, David non assunse, come gli altri Imperatori, molti nomi se non il suo e il titolo di Augustus, risultando così, unico nella storia dell'Impero,semplicemente David Augustus, primo Augusto d'origine ibera, anche se di solito si accetta anche primo Augusto di origine armena.
LIX
Del precipitar degli eventi
Nello stesso anno in cui morì l'Augusto Alexius, ad Aspadana anche il sultano Mahometus morì, nonostante fosse piuttosto giovane. Nessuno ha mai parlato apertamente di congiure o omicidi, ma a me pare strano che un uomo nel fiore degli anni muoia così, senza motivo. Oltretutto, pochi giorni dopo la sua morte, se il titolo di sultano spettava al figlio (tredicenne) Mametus, dall'oriente, il già citato Ametus Sangarius si era subito messo in marcia per reclamare ciò che considerava suo.[1] Tutti sapevamo che una nuova guerra civile poteva essere sia una buona cosa per noi che una cattiva, in quanto andava sicuramente ad indebolire le forze seliacidi, facendole scontrare tra loro, ma allo stesso tempo ci privava di un interlocutore stabile e a cui appellarci nel caso che l'ennesimo governatore di qualche appannaggio sul confine avesse deciso di attaccarci impunemente com'era già successo un decennio prima. Per più di due anni, le forze di Ametus Sangarius e di Mametus si diedero battaglia, nessuna delle due senza riuscire a prevalere davvero, così che, a metà del 1121/1874, si arrivò ad una tregua e in pratica l'impero seliacide venne retto da due sultani (così come l'Impero venne retto da due Imperatori) pur senza dividersi, perché nessuno dei due riconosceva l'altro, se non come parte avversa per dar valore alla tregua. Non è chiaro a nessuno perché poi successe quello che è successo anche se quasi tutti incolpano Mametus di essere soltanto un pazzo o un giovane viziato e ambizioso. Quello che tutti capirono, fu che nella primavera dell'anno successivo, una nuova guerra era esplosa e stava di nuovo insanguinando il suolo dell'Impero.[2]
[1] Mametus, a causa della giovanissima età, venne ato da molti fedeli, gli stessi che avevano agito sempre per mantenere il padre sul trono. Nel caso di Mametus, però, egli era un bambino molto precoce, con uno spiccato senso del comando e non ci mise molto prima di assumere personalmente il controllo della situazione: a sedici anni, era già un sultano regnante a tutti gli effetti, con il nome di Mametus II.
[2] Si nota una certa concisione da parte di Gabras qui. Forse, per lo stesso motivo per cui non concluse l'opera, non aveva molto tempo per scrivere. Ciò che dice, comunque, è vero: alcuni storiografi moderni considerano la causa scatenante della Terza Guerra romano-seliacide, l'attacco navale voluto da David ad Anzalia, come ritorsione ad una nuova serie di attacchi pirata al porto di Albanopolis, anche se sembra improbabile che l'entità delle forze ammassate da Mametus all'inizio del conflitto sia stata una semplice risposta alla risposta romana. Più probabilmente, solo la ribellione di Ametus Sangarius rallentò i piani del giovane che, nonostante fosse poco più di un bambino, voleva forse già attaccare l'Impero non appena essere salito al trono. Altri, infine, credono che l'idea di scatenare una nuova guerra sia stata un'idea dei fedelissimi di Mametus, anche se una vera spiegazione non c'è, per la mancanza di documenti e testimonianze originali, distrutte forse durante il sacco di Bagdata ad opera dei mongoli nel XIII secolo A.D..
LX
Della (terza) guerra: 1122/1875
Nel suo delirio, una delle prime mosse di Mametus fu quella di inviare a David (che non perse tempo a mostrarla ai Senati di Constantinopolis e Roma) una lettera, in cui accusava i Romani di essere la causa di tutti i mali del mondo e che solo quando i seliacidi avessero preso possesso del Mare Nostrum, la pace sarebbe tornata: non c'era più spazio per i Romani, chiamato “popolo corrotto e decadente, fuori dal tempo” e presto le due capitali, così come le altre province sarebbero cadute in mano sua. I Senati, pur preoccupati, non presero troppo sul serio le affermazioni del sultano, visto che già in ato altri avevano fatto gli stessi proclami.[1]
Ad ogni modo, in Martius, caddero come foglie in autunno quando si scuote un albero secco, moltissime fortezze e città di confine: la prima, sotto i colpi dei trabucchi di un esercito immenso, fu Dura Europus, mentre tra le altre posso ricordare Eddana, Asichia, Neapolis Euphratica, Nisibis, Ammodius.[2]
A nord, l'Albània venne invasa subito questa volta e, in men che non si dica, un altro esercito (meno consistente) si portò nei pressi di Romana e di Albanopolis, sconfiggendo le guarnigioni vicine. Ancora una volta, tutti noi fummo presi alla sprovvista, subendo un'offensiva apparentemente partita dal nulla. Molte furono le perdite: gli ordini dei generali seliacidi (di cui non conosco nessun nome, purtroppo!) erano quelli di uccidere più Romani possibile, sia essi soldati o civili, in modo e furono molti quelli che infatti morirono in quei giorni.
La nostra reazione fu lenta ma alla fine ci muovemmo: David preferì per il momento rimanere a Constantinopolis, ordinando però al magister d'Armenia, suo figlio Demetrius, di marciare contro il nemico e difendere la zona da eventuali attacchi. Inoltre, dato che nel 1120/1873 anch'io ero stato finalmente promosso legatus venne incaricato di difendere l'Albània e di scacciare il nemico dalla zona di Albanopolis, mentre, più a sud, in Mesopotamia, era Iohannes Auxuchus (abbandonato l'incarico di marcanus in Sclavinia) a dover affrontare il grosso delle forze. Subito, a differenza della Seconda Guerra, vennero inviati rinforzi e promosse leve tra la popolazione per rifornire noi generali di ausiliari e futuri legionari.
Il 27 Martius, Martyropolis venne però conquistata e ci fu un orrendo massacro di quasi tutta la popolazione. Entro un mese, anche se il fronte non era caduto per le ottime manovre di Auxuchus, le perdite erano alle stelle, soprattutto di civili. Ci stupì, devo ammetterlo, tutto questo accanimento improvviso e nessuno ne capì davvero la causa. Io posso solo dire, con un pizzico di soddisfazione celato dietro alla sofferenza per così tante morti, che fui l'unico ad ottenere un successo quella primavera, allontanando i seliacidi da Albanopolis e ricacciandoli in Media: per la prima volta (e sono ancora qui!) mi misi ad avanzare con cautela nell'Atropatene, spingendomi a volte fino in Cadusia, dove vedevo le navi pirati partire per attaccare i nostri porti più a nord. Visto quello che ci stavano facendo, non provo vergogna nel dire che anch'io ordinai allora di radere al suolo i villaggi cadusi, senza lasciare prigionieri: non pensai all'epoca che quelli, un tempo, erano stati Romani e che forse, tra i più vecchi, qualcuno di loro era ancora vivo per ricordare quando la Media Atropatene faceva parte dell'Impero. Ad ogni modo le cose volsero rapidamente in peggio anche per me, perché già in Iunius dovetti ritirarmi e ripiegar sul Cyrus dove poi, con mia totale sorpresa, venni sconfitto in una battaglia che credevo di poter vincere, contro un esercito seliacide che avevo valutato erroneamente essere molto più piccolo. In quella che definirei un'imboscata (ma forse fu solo imperizia mia), ad un certo punto le forze nemiche ci circondarono da ogni lato, infliggendoci numerosissime perdite, tanto che, per la prima e unica volta nella mia carriera, dovette fuggire, lasciando il campo di battagli con i miei fedelissimi.
Questo spianò la strada al nemico che tornò ad assediare Albanopolis e Romana: nonostante Romana resistesse con relativa facilità, la combinazione di vigorosi attacchi da terra e le continue razzie nel porto dal mare, fecero cedere le difese di Albanopolis, con grande sorpresa di tutti. Dopo numerosi scontri, la città cadde in mano nemica e solo Romana continuò a resistere, adesso però in una condizione di estrema difficoltà.[3]
In Mesopotamia, Auxuchus riuscì per un po' a resistere ma non poté fare nulla, ad un certo punto, se non ritirarsi per non dover combattere in condizioni sfavorevoli. Ad Arzamonia, però, riuscì a sconfiggere circa 5000 seliacidi, ricacciando il resto dell'esercito nemico a sud. Tutto sommato devo ammettere che l'avanzata seliacide fu, nonostante il loro esercito fosse immenso, più lenta e disorganizzata delle precedenti: dopo un primo momento di confusione e sorpresa, infatti, riuscimmo piuttosto bene a impedire un'avanzata totale del nemico, ritirandoci quando serviva e attaccando quando era il momento. In questo modo, poiché il sultano aveva avuto tutta questa fretta di attaccare senza avere però comandanti efficienti ed esperti, evitammo il crollo del fronte, così com'era successo nei primi giorni del 1065/1818. A quei tempi, però, c'era Arsanius a guidare le truppe seliacidi.[4]
L'unico successo vero fu la presa di Albanopolis, che ci privò di un importantissimo porto e di una fortezza che ritenevamo imprendibile.[5]
[1] Più colto di quello che sembra, Gabras qui forse allude alla lettera inviata dal sachus Chosroes II all'Imperatore Heraclius, al tempo della Grande Guerra romano-persiana del VII secolo A.D., in cui, più o meno, diceva le stesse cose del sultano Mametus II. Per quanto riguarda i seliaicidi, però, quella lettera rappresentò la prima ammissione di voler distruggere l'Impero e, in effetti, vista l'efferatezza e la violenza della Terza Guerra, quelle di Mametus II non furono solo parole dette a caso.
[2] Tutte le fonti sembrano concordare che l'esercito riunito da Mametus II fosse enorme e si va dai 100000 ai 200000 soldati: la stima più attendibile pare essere di circa 120000 uomini.
[3] Nel proseguio della narrazione, Gabras si dimentica di dire che Romana cadde in mano seliacide, a fine October, dopo un assedio lunghissimo e violentissimo, che lasciò profonde ferite sia lì che ad Albanopolis. Gli ultimi capitoli, che dovrebbero essere i più dettagliati, in realtà sono piuttosto stringati, forse perché come detto Gabras non aveva più tanto tempo o perché forse voleva rivederli una volta finita la guerra, anche se non lo fece mai in verità. Albanopolis rimase sotto il controllo seliacide poco più di due anni ma i danni di questa dominazione rimasero visibili a lungo: ancora nel 1127/1880, in varie parti della città, si potevano vedere le chiese distrutte e le impalcature delle case in ricostruzione.
[4] In effetti, prima di Dubais, (che Gabras chiamerà Duvasius), durante gli anni iniziali del conflitto, i seliacidi non ebbero generali brillanti, tanto che le fonti romane non citano mai il nome di uno solo di loro. Al momento, però, nemmeno in quelle persiane questi sono rintracciabili, forse per la perdita di documenti nel corso del tempo, o forse per il fatto che davvero non furono degni di essere ricordati. Duvasius/Dubais fu l'unico e il più grande dei generali seliacidi (anche se lui era di origine beduina araba) che, così come lo era diventato Arsanius, divenne lo spauracchio dei Romani, noto in tutto l'Impero per la sua bravura e per la sua capacità di sconfiggere le legioni. Le sue rapide avanzate e le sue vittorie continue (anche contro l'Augusto Iohannes III) diffo la sua fama di invincibilità, inducendo l'Augusto Iohannes III prima a tergiversare e poi ad elaborare un piano per coglierlo alla sprovvista e poterlo sconfiggere (negli anni 1126/18791127/1880).
[5] A questo punto, l'opera termina senza una fine. Gabras, per un qualche
motivo che, probabilmente, rimarrà sconosciuto non la prenderà più in mano, né per rivederla, né per completarla. Da qui la sua struttura rozza e imperfetta. Dato che nell'inverno del 1126/1879-1127/1880, gli scontri nell'entroterra aumentarono e quasi rimase isolato in posizione avanzata rispetto al fronte, è molto probabile che non avesse più tempo per completare gli scritti e che poi abbia deciso di non proseguire nel suo intento di fornire un'opera compendio per chi avesse voluto scrivere una vera storia dei seliacidi e delle guerre combattute contro di loro. Col proseguio della guerra, Gabras difese con successo il confine sul Cyrus, rimanendo quasi sempre in territorio nemico, aiutando pure in Armenia, e conducendo l'assedio finale che portò alla riconquista di Tauris, nel 1130/1883. Al termine della guerra, si ritirò a vita privata, a Cyropolis, visto che era stato ripristinato l'antico limes di prima del 1065/1818, ma l'Augusto Iohannes III lo fece tornare come magister d'Albània, nel 1142/1895, e poi come Magister militum Orientis nel 1146/1899. Per il resto degli eventi della Terza Guerra romano-seliacide non descritti da Gabras, consiglio, come sempre, di consultare la già citata opera di L.H.Romolianus (v. nota 3, cap.LIII)
CONCLUSIO
Terminata la lettura di questo particolare documento, lascio al lettore il compito o il piacere di tirar le conclusioni, per cui mi si lasci aggiungere solo una breve considerazione. Per quanto scritta frettolosamente e in uno stile che potremmo definire “rozzo”, e sicuramente incompleta anche nelle parti che ci sono pervenute intere, l'opera di Gabras rimane il primo tentativo di dare storicità agli eventi riguardanti gli anni della Crisi legati all'azione dei seliacidi: proprio in questo, dunque, risiede la sua importanza come documento storico da conservare e consultare. Come aveva sperato, nessuna delle opere successive (a partire da quando questa di Gabras venne riscoperta e giudicata autentica) hanno fatto a meno di sfruttarla come fonte bibliografica, poiché molte delle informazioni qui contenute sono uniche e non riportate da nessun altra parte. Il fatto poi che sia l'unico documento di prima mano scritto da un generale che partecipò agli eventi e conosceva bene il mondo in cui viveva, aggiunge valore all'opera stessa, per quanto essa possa risultare arcaica e parziale. Gabras fu il primo, infatti, a percepire le guerre non come l'ennesimo conflitto combattuto dall'Impero ma come parte di un momento storico più ampio, che coinvolgeva la crisi del popolo romano e le migrazioni del popolo seliacide dall'Asia fino ai confini e anche dentro i nostri territori. Il suo sguardo progressista, nonostante all'epoca fu davvero considerato solo un sadico e un conservatore, ci ha permesso e ci permette tutt'ora di leggere la storia di quel periodo turbolento con occhi nuovi e uno spirito critico diverso, così da comprendere meglio quello che accadde e il perché accadde. Certo, c'è voluta tutta un'altra storiografia e il lavoro di molti altri dotti e storici, nel corso dei secoli, ma, come detto, l'opera di Gabras costituisce la pietra iniziale sulla quale è stato costruito tutto in seguito. In fondo, la sua speranza di ispirare “qualcuno più abile” di lui nello scrivere di storia non fu solo un sogno ma ebbe un seguito forse fin troppo nutrito (data la vastità dell'attuale bibliografia!), e ora, pur non essendo uno storico o un letterato, egli è ricordato anche per questo suo sforzo di non lasciare che la storia
venisse dimenticata e che gli errori del ato venissero commessi ancora e ancora, da persone senza memoria. Come scrive all'inizio, nel proemium, “non bisogna mai dimenticare”. Forse allora è questa la sua più grande lezione nei nostri confronti e il solo fatto di averlo pensato, in fondo, il più grande successo della sua vita.
Silvianus Aureolus Mylius Nova Babylonia, 24 Iunius 1603/2356