Rita Salvini
FIRST
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Titolo | First Autore | Rita Salvini Copertina a cura dell’autore ISBN | 9788891105004 Prima edizione digitale 2013
Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Dedicato a Mila Nicole romantica danubiana creatura d’acqua dal sole e luna in cancro ed ascendente in pesci
Un particolare ringraziamento a Laura Menclossi, gentile lettrice.
CAPITOLO PRIMO
L’addetto guardava dall’alto la griglia che sovrastava tutto il globo terrestre, invisibile agli occhi dei suoi abitanti. Questa griglia faceva si che l’intersecarsi orizzontale e verticale delle sue rette formasse tanti quadrati, ognuno dei quali opportunamente numerato. In questo modo era più facile capire subito a quale parte della terra ci si stesse riferendo. L’osservatorio che controllava tutto questo era posto sulla luna, da tutti considerata un satellite naturale della terra. Ma non era proprio così. La “romantica” luna non era nata, come gli altri pianeti o universi, da un unico creatore. Era stata costruita da civiltà intelligenti poste in vari pianeti degli universi per essere usata come base di accoglienza, controllo e approfondimento nei viaggi compiuti dai componenti di queste civiltà. Uno dei pianeti posti al di fuori di queste “manovre” era la terra, in quanto i suoi abitanti non avevano certamente ancora raggiunto le capacità sufficienti ad interagire con le civiltà maggiormente evolute dell’universo. Nessuno poteva negare che la terra fosse uno dei luoghi più belli del creato. Ma per ora la cosa si fermava lì. I suoi popoli erano troppo primitivi perché queste civiltà potessero considerarli alla pari e dividere con loro conoscenze e tecnologie. Osservavano dalle loro postazioni lunari i movimenti terrestri, sia delle genti sia della terra stessa e delle sue acque.
Il mancato raggiungimento di una intelligenza civile degli umani terrestri faceva si che in ogni spazio “grigliato” apparisse sempre qualche movimento di troppo, intendendosi con questo guerre e sommosse, litigi e contenziosi. Queste vibrazioni altamente negative perpetrate da milioni di persone si “materializzavano” e colpivano il pianeta terra al punto tale che la stessa sentiva il bisogno di scrollarsele, scuotersele da dosso. E così arrivavano terremoti, maremoti, tsunami e altri disastri chiamati naturali. Come la terra, naturalmente, ancora di più gli umani terrestri erano quindi colpiti dalla forte negatività da loro stessi emanata, e le cose continuavano così, all’infinito, come si suole dire “il gatto che si mangia la coda”. Ma era proprio davvero così? Perché si era arrivati a tanto? No, non era solo questo. I terrestri da soli si erano essi stessi creati una situazione tanto grama? No, certo che no. Da millenni “qualcuno” li aveva schiavizzati. Si potevano fare tante ipotesi, ma la realtà era sconosciuta. Alcuni terrestri, maggiormente sensibili e consapevoli, si erano però resi conto di questo. Esseri sconosciuti tenevano le fila e si cibavano delle loro paure. Chi fossero veramente questi esseri non è dato a sapere ancora oggi. Tante le ipotesi, tutte da verificare. Sicuramente sulla terra erano rappresentati dai potenti, dalle famiglie le cui linee di sangue si perdevano nella notte dei tempi. E gli umani si dibattevano nelle loro povere vite come topi in gabbia.
Senza nemmeno sapere perché, illudendosi di una libertà non goduta. Se solo ne avessero preso coscienza …. sarebbero riusciti a liberarsene, prima o poi. Ma erano come narcotizzati nelle loro convinzioni millenarie, nelle convinzioni propinate da chi deteneva il potere politico e religioso. Solo qualcuno …… solo qualcuno “sentiva” la verità. E quando si permetteva di esprimere i suoi pareri veniva ridicolizzato. Ohhhh …… ma come potevano non capire che il fato li usava come carne da macello? Solo che non era il fato, ma qualcuno di ben preciso che si divertiva e si nutriva del loro dolore. Issati dinanzi ai loro schermi sulla luna questi altri esseri li osservavano dibattersi nelle quotidiane situazioni di disagio. Monitoravano non solo i luoghi dove maggiormente si manifestavano disordini, ma anche luoghi dove, in qualche modo, si potevano rilevare degli umani “migliori”, quelli che per vari motivi potevano essere considerati i precursori di una civiltà terrena priva di guerre e contrasti di ogni tipo, aperti al cambiamento. I sentimenti, di qualsiasi genere fossero, erano espressi con il colore, che aggiungeva informazioni a quanto si stava svolgendo in quell’angolo di terra. L’addetto posto davanti al monitor faceva scorrere lentamente le immagini. Si soffermava ogni tanto su qualcosa che maggiormente attirava la sua l’attenzione.
CAPITOLO SECONDO
Dal monitor l’addetto potè notare che da un luogo si stava levando una colonna dorata, impalpabile, testimone di una situazione serena e dolce. Ingrandendo il punto notò un luogo abitato quasi esclusivamente da qualche animaletto, dove una donna era seduta sulle rive di un ruscello. Captò i suoi pensieri, che qui di seguito vengono trascritti. Così meditava: “Sono grata, o Signore, dall’aver acqua da bere, dall’avere un fuoco che mi scalda e dall’avere la terra che mi nutre. Sono grata all’energia dell’alba, del godere la sua luce e dall’essere nutrita dalla sua magia. All’alba delle notti infinite, così come tutte le notti paiono infinite e misteriose, e prende un poco la paura che il giorno possa non ritornare, all’alba dunque, in qualche modo il mistero con l’apparire del primo chiarore si frantuma, per poi sparire completamente all’arrivo del giorno. Dobbiamo tutti essere grati dell’energia dell’alba, del godere la sua luce e dell’essere nutriti dalla sua magia. Il miracolo del giorno che sorge è un’emozione indescrivibile, sempre. Svaniscono tormentosi pensieri, altri si presentano, ma paiono di più facile soluzione, quasi che l’essere accompagnati dal giorno li renda meno gravosi. Aiuta il contemplare un prato di un verde brillante, un piccolo tappeto circoscritto di fiorellini gialli a quattro petali a forma di piccoli calici, piccola, incredibile, compatta distesa di piccoli soli. E ogni filo d’erba colma di gocce di rugiada portata dall’umidità notturna con il
primo sole che rispecchia i timidi nascenti raggi in queste gocce ed ognuna di esse pare un meraviglioso brillante. E che meraviglia il qui vicino ruscello che scorre lungo tutto il suo percorso con l’abbraccio ai lati di robinie e in alcuni punti qualche ramo penzolante che rasenta l’acqua e piccoli fiori prospicienti agli argini, laddove un prato funge da confine. L’acqua chiara, trasparente, incontaminata e sul fondo i sassi, come ronfanti e dormienti gattini acquattati. Sassi grigi, bianchi, neri. E sopra di loro, imperterrita, l’acqua del ruscello, gorgogliante leggera come fosse una canzone. Un piccolo, meraviglioso ruscello garrulo con miliardi di gocce che formano una massa che corre senza fermarsi mai, quasi avesse un impegno urgente che l’attende alla fine del suo percorso. Un piccolo incredibile angolo di natura. Cosa mai posso volere di più? Sono felice e grata di trovarmi in questo luogo, è come se intorno ci fossero anche tanti angeli a tenermi compagnia. Benvenuti.” I pensieri sereni e puri della donna avevano creato il bagliore dorato che si poteva scorgere nel monitor posto sull’osservatorio lunare. L’addetto prese nota del luogo e del nome. Per mezzo della loro tecnologia conoscevano il nome di ogni essere. Segnò quindi: Louise Marchand Valle della Loira
Vicinanze Blois Francia Animo delicato e sognatore Età: 53 anni Anno terrestre: 1923
CAPITOLO TERZO
Il monitoraggio continuò. Bagliori nerastri, simbolo di situazioni pericolose e difficili si levavano un po’ da per tutto. L’addetto si soffermò particolarmente su uno sbuffo grigiastro e verde, un contrasto di colore che solitamente non appariva. Osservò due persone, un uomo e una donna, che si guardavano sconsolati l’un l’altro. Avevano fatto tutto quanto umanamente possibile. Ma inutilmente. Il cedimento del terreno aveva provocato il crollo completo della casa, avvenuto gradualmente nel raggio di qualche ora. Ogni tentativo per bloccare il cedimento stesso era andato a vuoto e per fortuna, non essendo stato improvviso, c’era stata la possibilità di portare all’aperto tutto quanto e mettersi poi in salvo. Beth e Serge si guardavano negli occhi, sgomenti. Negli ultimi giorni avevano avuto il timore che potesse accadere qualcosa, dato che aveva piovuto moltissimo e si era potuto constatare che il terreno non teneva più. Certamente avevano sperato che la pioggia si fermasse e poi che la casa fosse tanto solida da fronteggiare l’evenienza. Ma così non era stato. La casa non l’avevano costruita loro, l’avevano trovata, vuota e in disuso,
mentre percorrevano le valli alla ricerca di un posto dove stabilirsi. Avevano provveduto a pulirla e sistemarla come meglio potevano, in modo da renderla solida ed abitabile e, sino a quel momento, tutto era andato per il meglio. Adesso, dinanzi ai due, c’era solo un ammasso di rovine. Fortunatamente erano riusciti a portare più o meno in salvo le loro cose, chiuse dentro a tre bauli di legno, posati ora ai bordi del vialetto d’accesso alla casa. Inoltre c’erano alcune casse aperte contenenti oggetti alla rinfusa. Non erano però riusciti a prendere quanto si trovava nella cantina sottostante e che pensavano sarebbero riusciti a recuperare di lì a qualche giorno, dopo essersi fatti strada attraverso le macerie, in attesa che il terreno asciugasse. Per intanto non rimaneva che attendere e darsi poi da fare per costruire una nuova casa. Intorno c’erano solo prati e alberi e ancora prati. La casa più vicina si trovava a cinque chilometri di distanza. Non erano presenti agglomerati urbani, ma solo singole case/fattorie isolate, più o meno grandi. Il crepuscolo era ormai prossimo e Beth e Serge approntarono delle coperte vicino ai bauli. Mangiarono un pezzo di pane con del formaggio e attinsero dell’acqua fresca dal pozzo. Poi si avvolsero nelle coperte aspettando che il sonno li cogliesse nel più breve tempo possibile e donasse loro tanta forza. Le ombre divennero buio e Beth e Serge si addormentarono profondamente, ebbri di stanchezza e di timori. Non pioveva più da almeno dodici ore e il terreno si stava faticosamente asciugando.
Al primo chiarore dell’alba il cielo si tinse dapprima di viola, poi di rosa e, infine, esplose in un meraviglioso colore arancio e il sole sorse. Beth e Serge si svegliarono riposati, pronti ad affrontare la giornata. Piegarono accuratamente le coperte e le riposero in un baule. Si lavarono alla belle meglio con l’acqua del pozzo e si vestirono con abiti comodi e pesanti, perché la giornata, nonostante il calore del sole, si preannunciava fredda. Accesero un fuoco e scaldarono dell’acqua per fare il the, dove intinsero alcuni biscotti. Dopo aver ben riposto ogni cosa, si diressero verso quanto rimaneva della loro casa. Iniziarono a prelevare pietre e legni rimasti intonsi e li accatastarono da una parte, in bell’ordine, con l’intento di usarli per costruire la nuova casa. Misero da un’altra parte tutti i pezzi rovinati, che potevano però essere utilizzati come finiture dell’erigenda casa che intendevano costruire in uno spazio già individuato poco lontano, ritenuto maggiormente idoneo alla bisogna. La giornata ò rapidamente in queste faccende e si ritrovarono a sera stanchi e affaticati, con il solo desiderio di mettere qualcosa di caldo sotto i denti e andare poi a dormire, cosa che si premurarono di fare appena possibile. ò così una seconda notte all’aperto. Il giorno seguente, avendo spostato tutte le macerie in prossimità della scala che conduceva alla cantina, si accinsero ad aprire la botola che immetteva alla scala stessa. Per primo discese Serge, lasciando Beth di sopra, nel caso lui avesse avuto necessità di aiuto dall’esterno. Alla luce di una candela potè constatare che non c’erano state infiltrazioni di acqua piovana e tutto appariva asciutto e in ordine.
Si sincerò ulteriormente della sicurezza del locale e poi chiamò Beth. Anche lei discese e insieme si accinsero a mettere da parte tutte le cose che intendevano portare via. Aprirono scatole di cartone, cassapanche e sacchetti, tutto quanto era stata accumulato. Serge risaliva portando a mano a mano al sicuro, vicino ai bauli, quanto poteva ancora interessare e lasciando solo qualche scatola marcita che non sarebbe servita più a nulla. Anche quest’altra giornata ò e, all’avvicinarsi dell’imbrunire, smisero di lavorare e si accinsero ad affrontare la notte incombente. Faceva freddo, il cielo era terso e, avvolti nelle coperte, guardavano le stelle che tremule lampeggiavano all’infinito sopra di loro, alcune più grandi ed altre più piccine, preludio di una successiva giornata con tempo sereno. Si addormentarono avendo negli occhi lo spettacolo più bello del mondo. Il dì seguente fu nuovamente dedicato al recupero di quanto si trovava nella cantina. A un certo punto, in un angolo buio, videro qualcosa che non ricordavano di avere collocato loro in precedenza. Si trattava di una scatola di cartone che a sua volta conteneva un’altra scatola, di legno nero e di forma rettangolare. Il legno era lucido, non grezzo, e la scatola era lunga una quarantina di centimetri ed alta una spanna. Fu portata in superficie insieme a tutte le altre cose e si ripromisero di guardarne il contenuto con calma, alla fine della giornata. A sera avevano sgomberato tutta la cantina. Osservarono che tutto quanto possedevano era accatastato accanto ai bauli.
Si rinfrescarono, misero del the sul fuoco e mangiarono del pane secco avanzato. Poi si sedettero accanto ai tizzoni ardenti e gustarono il piacevole tepore che emanavano. Erano stanchi, tanto stanchi e rimandarono l’ispezione della scatola alla luce del giorno seguente. Beth e Serge si addormentarono quindi profondamente l’una accanto all’altro di un sonno pesante e ristoratore. Il mattino seguente presero a controllare e sistemare tutto quanto era stato recuperato, per metterlo poi sopra un carretto e andare verso il luogo predestinato all’erigenda nuova casa. Il carro era ormai colmo e si misero a controllare se avessero mai dimenticato qualcosa. In ombra, dietro un sasso, era rimasta la scatola di legno nero recuperata dalla cantina. Avevano fretta di iniziare il loro viaggio e la misero sul carro senza aprirla. Non possedendo bestiame da traino, si infilarono delle robuste cinghie sulle spalle e partirono, consci del fatto che stavano per iniziare una nuova vita. Avevano calcolato di impiegare tre giorni buoni per arrivare al posto designato. Non era molto lontano, ma loro erano costretti a procedere molto lentamente, fermandosi di tanto in tanto per riposarsi. arono la notte a ridosso del carretto, bene avvolti nelle coperte e, al giungere dell’alba, ripresero il loro andare. Come già si è detto, il luogo prefissato per la costruzione della loro dimora non era particolarmente distante. Vi arrivarono poco prima del tramonto del terzo giorno. Il tragitto era stato molto faticoso, le cinghie avevano lasciato dei segni sulla
pelle, nonostante avessero cercato di proteggersi al meglio. Scaricarono in bell’ordine quanto si trovava sul carro, da una parte i bauli con abiti e suppellettili, dall’altra quanto era stato recuperato per la costruzione della nuova casa. Si sedettero per riposarsi e bere del the che avevano preparato sul fuoco, all’accensione del quale avevano per prima cosa provveduto. Beth e Serge erano ora più tranquilli, sapevano che davanti a loro c’era un grosso lavoro da compiere, ma erano intanto giunti là dove avevano intenzione di stabilirsi e quindi ora tutto appariva in una prospettiva più rosea. In quel mentre sovvenne loro il ricordo della cassetta recuperata in cantina. Serge si alzò dall’essere intorno al fuoco e andò a prenderla. Con Beth accanto, l’aprì. Si sprigionò subito, stranamente, un delicato ma intenso odore di gelsomino. La scatola, vuota a un primo sguardo, conteneva invece, riposto in un angolo, un libriccino. Beth lo prese e vide che si trattava di un libretto lungo una ventina di centimetri e largo dieci circa, e che lo spessore delle pagine era di circa tre dita. Rivestito di pelle marrone con fregi rossi, non appariva nessuna scritta sulla copertina. Una tasca a soffietto si trovava all’interno della copertina stessa, alla fine del libro. Dentro conteneva un foglio piegato in quattro. Lo sfilarono e poi lo aprirono. A contatto con l’aria il foglio si polverizzò all’istante in una piccola cascata di granelli d’argento che si sparsero intorno e caddero poi sul terreno, rendendolo luccicante.
Il tutto era avvenuto così rapidamente da lasciare ammutoliti e meravigliati Beth e Serge. E adesso? Era il caso di aprire il libro? Decisero di rimandare la cosa all’indomani. La sera si accamparono nuovamente all’aperto, bene avvolti nelle coperte per proteggersi dal freddo. Guardavano le stelle e pensavano a quanto era accaduto al momento del dispiegarsi del foglio di carta. Poi si addormentarono. Al respiro ritmato del loro sonno la polvere d’argento appoggiata sul terreno si sollevò lentamente e si librò nell’aria. Poi i granelli si riunirono gli uni agli altri e composero una figura dapprima indistinta, ma poi, via via, dai contorni più netti: una brillante stella a cinque punte di circa 1 metro da una punta all’altra, che prese a girare tutt’intorno per qualche minuto, fermandosi poi accanto a Beth e Serge addormentati, quasi fosse in attesa del loro risveglio. La notte ò e giunse l’alba. Quando i due si svegliarono si avvidero con sorpresa della grossa stella luccicante. Non ci volle molto a connettere la cosa con quanto accaduto il giorno precedente. La stella era composta da brillantini, gli stessi che ora erano spariti dal terreno. Si guardarono l’un l’altro, ammutoliti. La stella iniziò a librarsi nell’aria, appena sopra il prato e si avvicinò maggiormente a loro, fermandosi in modo che i loro piedi fossero situati nello
spazio tra due punte. Pareva un muto invito e Beth e Serge vi si issarono entrambi. Questa, anziché posarsi definitivamente al suolo, perché appesantita, si alzò ancora, a circa un metro da terra, e iniziò a muoversi. Beth e Serge si aggrapparono l’un l’altro per non cadere, ma subito dalle cinque punte della stessa di dipanarono dei lacci che li avvolsero a protezione di un eventuale squilibrio e conseguente caduta. I due a questo punto erano più divertiti che impauriti. La stella si alzò ancora di più dal suolo, sempre più in alto, poi si mise a “viaggiare” nell’aria. Superò un ruscello, dei campi, una fattoria, un bosco. Giunse poi alla città più vicina, ed era ormai piuttosto alta nel cielo. Nessuno la vide perché nessuno si mise a guardare per aria. Beth e Serge non osavano proferire parola. Ma quando, ad un certo punto, Beth si lamentò dicendo di sentire freddo, la stella virò e li riportò subito ai loro carri. Qui giunti atterrò dolcemente sul campo, automaticamente i lacci si disfecero e scomparvero alla vista, ed i due scesero, ancora incapaci di credere a quanto era loro accaduto. Si prepararono qualcosa sul fuoco e si sedettero sopra dei sassi squadrati a mangiare alcuni avanzi, iniziando a cambiarsi le loro impressioni. Impressioni ….. non sapevano nemmeno loro cosa dire, in realtà. Era … un miracolo. Ogni tanto volgevano lo sguardo verso la stella, immobile poco distante. Alla fine del pasto decisero di aprire il libretto trovato nella scatola nera.
La carta delle pagine era ingiallita e leggera e le pagine stesse perfettamente scritte a mano con un inchiostro rosso scuro, in una lingua incomprensibile a Beth e Serge. Riposero il libriccino nella scatola nera e si girarono nuovamente a guardare la stella avvedendosi con stupore che si era ingrandita e che da bianca era divenuta azzurrina. Appoggiate su di lei si trovavano delle tavole di legno, lustre e perfettamente lisce, proprio come quelle che loro avrebbero voluto per costruire la casa. Serge le prese e le pose accanto al materiale già destinato alla nuova costruzione. Confrontandosi, si chiesero se per caso non si fossero imbattuti in una specie di lampada di Aladino, che soddisfaceva i loro desideri senza nemmeno attendere che fossero espressi. In ogni caso delle tavole ne avevano bisogno e ad alta voce ringraziarono la stella. Questa si accese e poi si spense come se avessero azionato un interruttore. Decisero di non chiedersi più nulla e di accettare quello che, eventualmente, avrebbe loro donato. Quando il mattino seguente si svegliarono, si accorsero che la stella era sparita durante la notte. Cercarono tutto intorno, ma di lei nessuna traccia. Iniziarono quindi a razionalizzare il lavoro per la costruzione della casa, scavando nel terreno alcune buche atte allo scopo. All’ora del crepuscolo mangiarono e si riposarono per riprendere le forze. Decisero poi di controllare nuovamente il piccolo libro. Aprirono quindi la scatola di legno nero e si accorsero che questa era tiepida, come se fosse stata posta vicino ad un fuoco.
Il libretto era sparito. … e due. Prima la stella e poi il libretto. Beth e Serge si guardarono increduli. Attizzarono il fuoco che si stava spegnendo e si accinsero a trascorrere una nuova notte. Senza pensare più a tutte le stranezze accadute, cominciarono a lavorare alacremente per costruire la casa. Come si può immaginare il lavoro non fu certo dei più semplici. Pur con tutta la loro buona volontà, ad ogni momento sorgeva qualche imprevisto da fronteggiare. Dopo due settimane di duro lavoro erano riusciti a malapena a fare le fondamenta. Sapevano che sarebbe stata dura, ma adesso la stanchezza li aveva demoralizzati. Erano veramente stanchi, di dormire all’aperto, di non riuscire a fare un pasto degno di tal nome, di avere le mani rovinate e spesso sanguinanti, di essere soli e senza aiuti. Quella sera Beth si mise a piangere, mentre Serge cercava di sollevarle il morale come poteva, ma anche lui era arrivato al limite. Si addormentarono alfine di un sonno profondo, entrambi con le guance bagnate di lacrime. Non poterono quindi scorgere un balenio nell’ombra, che sempre più prendeva un contorno definito a forma di stella, proprio lì accanto a loro e ruotando su se stessa proprio sopra le fondamenta le rese più profonde e sicure. Poi sparì. Il mattino seguente di lei nessuna traccia.
Ma Beth e Serge si accorsero che qualcosa era accaduto, che qualcosa li aveva aiutati. Non sapevano come, ma ringraziarono il Signore di questo. L’addetto al monitor osservava e annotava tutto quanto. C’era magia sulla terra, peccato che non tutti ne potessero o sapessero usufruire. Questi due umani erano già stati messi a contatto con episodi magici e avevano reagito bene. Segnò quindi: Beth e Serge Marney Connecticut Stati Uniti d’America Accettazione magia Età: 23 e 25 anni Anno terrestre: 1852
CAPITOLO QUARTO
Nel mentre era sopraggiunto un “collega” a dargli il cambio davanti al monitor. Gli segnalò quanto sino a quel momento trascritto e lo salutò con calore. Sarebbe tornato sulle Pleiadi dalle sue genti per un po’ di tempo ed era particolarmente felice di questo. Il nuovo addetto si sistemò per bene nella sua postazione e continuò l’osservazione del monitoraggio. Si soffermò sopra una scena tranquilla. Non aveva voglia di iniziare il turno con qualcosa di spiacevole. Vide una ragazza che stava distribuendo il becchime ai polli e si soffermò su di lei. La ragazza si chiamava Sally. La sua vita era scandita dalle solite incombenze quotidiane. Si alzava al mattino presto, dava il becchime ai polli e ai tacchini, il cibo ai conigli, riempiva le ciotole dei due cani e dei quattro gatti di casa e poi iniziava la routine domestica vera e propria. Preparava la colazione per tutti. Udiva il padre scendere le scale con o pesante, subito seguito dai suoi due fratelli, Harold e Charles. Tutti e tre già vestiti e pronti per recarsi a compiere il loro lavoro nei campi e nei boschi vicini. Mangiavano a quattro palmenti quanto preparato da Sally e poi uscivano dopo
un rapido saluto. Lei rimaneva sola a rigovernare e poi a sistemare la casa, lavare e preparare il pranzo per quando fossero tornati. Così anche quel 12 febbraio. Faceva freddo e Sally attizzò il fuoco della stufa che fungeva anche da cucina e sulla quale aveva già posto un pentolone d’acqua e alcune verdure che avrebbe poi cucinato per il pranzo. Si stava accingendo a pulire l’ultima carota, quando udì un rumore proveniente da fuori. Si pulì le mani nel grembiale e andò ad aprire la porta per controllare. In un primo momento non notò nulla di particolare. Guardò verso la stalla ed il pollaio, verso i campi e poi verso il pozzo. Non c’era nessuno, se non i due cani che stavano tranquillamente seduti fuori dalla stalla. I gatti invece erano in casa, vicino alla stufa e stavano beatamente ronfando. Dato che faceva freddo, chiuse rapidamente la porta perché il calore della stanza non si disperdesse. Mentre tornava verso il tavolo per accingersi a finire di pulire la carota, udì nuovamente un rumore. Non avrebbe saputo definirlo, era solo un rumore. Aprì nuovamente la porta e la lasciò socchiusa dietro di sè. Come già osservato in precedenza, non c’era nessuno. Nel mentre, però, udì qualcosa che somigliava ad una musica. Dapprima sommessa e poi sempre più forte.
Era una musica dolce e si accorse che proveniva dal pozzo. Stupita, Sally si diresse verso l’orlo del pozzo e vide che, dentro al secchio che serviva per prendere l’acqua e che adesso era perfettamente asciutto, c’era un cofanetto di velluto cremisi, il coperchio decorato con alcune roselline color crema e le foglioline verdi, sempre di velluto. La musica cessò nello stesso istante in cui Sally posò lo sguardo sul cofanetto. Lo prese e ritornò rapidamente in casa per non raffreddarsi troppo, dato che era uscita senza nemmeno proteggersi con uno scialle. Posatolo sul tavolo, lo aprì. Vide con stupore che conteneva tante monete d’oro, perlomeno a lei parevano proprio d’oro. Lo rinchiuse di scatto, quasi impaurita. Ma da dove proveniva? E perché la musica? Mentre era assorta in questi pensieri, udì nuovamente un rumore e, aprendo la porta, si accorse che dal pozzo proveniva un’altra musica, diversa dalla precedente, ma sempre dai toni dolci e delicati. Una rapida corsa e vide che nel secchio era posto un altro cofanetto. Ancora una volta lo prese e, tornata in casa, lo depose sul tavolo della cucina accanto all’altro. Erano identici nella forma, ma diversi nei colori. Il velluto di questo era verde scuro e le roselline rosse. Sally lo aprì e si avvide che conteneva perle e pietre preziose. Parevano brillanti, smeraldi e simili, alcuni sparsi ed altri incastonati in anelli, spille e bracciali.
Poi, ancora una volta un rumore, ancora una volta una musica, ancora una volta, la terza, un cofanetto. Questa volta color crema con le roselline verdi. Sally lo depose accanto agli altri due e lo aprì. Conteneva una piccola piuma bianca e null’altro. Sally prese i tre cofanetti e li portò nella sua camera, dove li nascose nell’armadio di legno scuro, in mezzo ai suoi abiti. Poi tornò in cucina a preparare il pranzo, totalmente assorta nei suoi pensieri. E adesso? Al momento decise che nessuno doveva sapere. Il segreto doveva essere mantenuto. Sally Marton se lo ripeteva tra sé e sé. Non lo avrebbe detto a nessuno. Se qualcosa fosse trapelato sarebbero sicuramente potute accadere cose spiacevoli. Lo sentiva. In ogni caso era ancora troppo confusa. E questo nonostante gli accadimenti delle ultime ore fossero talmente belli e positivi da sconvolgere completamente la sua vita. Apparecchiò quindi la tavola, mentre si avvicinava il mezzogiorno. Puntualmente il padre ed i fratelli arrivarono, si riordinarono un poco e mangiarono con gusto tutto il cibo preparato da Sally. Poi, satolli, stettero una mezz’ora a riposare, mentre Sally rigovernava.
Dopo di che si coprirono per bene e uscirono nuovamente per recarsi nei campi. A questo punto Sally si tolse il grembiale e salì nella sua camera. Prese i tre cofanetti dal fondo dell’armadio e li pose sul letto, dove rovesciò il loro contenuto. Le monete d’oro erano di considerevole numero ed i gioielli pareva dovessero valere una fortuna. La piuma, invece, la lasciò nel suo cofanetto. Pareva una comune piuma bianca. Rimise poi via tutto quanto e nascose nuovamente i tre cofanetti in fondo all’armadio. Doveva pensarci bene e decidere poi cosa fosse meglio fare. Ancora magia sulla terra … L’addetto al monitor annotò i dati della ragazza. Sally Marton New South England Australia Accettazione magia Età: 19 anni Anno terrestre: 1902
CAPITOLO QUINTO
Ancora il monitor fornì immagini. E ancora e ancora. L’addetto si soffermò sul viso pensoso di un bimbo di dieci anni. Viveva con i genitori in una specie di fattoria. I suoi erano contadini ed erano anche piuttosto poveri e si cibavano principalmente con i frutti della terra. Vendevano al mercato la frutta e la verdura che cresceva nel loro campicello e tiravano avanti così, alla meno peggio, come d’altronde tante altre famiglie. Il bambino era il loro unico figlio e si chiamava Solinter. Il loro villaggio non era lontano dal mare. Nei giorni di festa, quando il tempo era clemente, la madre preparava del cibo che veniva messo in un cesto. Poi tutti e tre insieme si recavano fin sulla spiaggia e qui avano la giornata, piluccando, riposando e eggiando. Solinter amava molto queste giornate, sia perché vedeva i genitori dedicarsi esclusivamente a lui, sia perché amava osservare per ore il frangersi delle onde, il loro ritirarsi e poi ritornare, in un ritmo ininterrotto ed eterno. Nonostante fosse ancora piccolo era già evidente la sua intelligenza, il suo animo, il suo spirito di osservazione. Anche lui finì sull’elenco. Solinter Niemi
Costa sudovest Finlandia Forti potenzialità Età: 10 anni Anno terrestre: 1828
CAPITOLO SESTO
L’addetto, osservando Solinter, pensò con nostalgia ai suoi piccoli rimasti a casa. Mancava ormai poco tempo al rientro che solitamente avveniva ogni mese terrestre. Con grande facilità le enormi astronavi riportavano a casa le genti e nuovi venivano a sostituirli. Nel mentre si avvide, al centro del monitor, di un uomo che pareva tanto stanco. Camminava sopra un terreno molle d’acqua e il piede sprofondava ad ogni o nella terra fradicia. E lo stivale ad ogni o si risollevava grondante di fango. Tutto questo rendeva il cammino particolarmente faticoso. Non c’era stata tregua. Le piogge si susseguivano le une alle altre, praticamente senza interruzione. Ogni volta che scemavano e pareva che finalmente fossero terminate, dopo qualche ora di illusione le cateratte del cielo si riaprivano e l’acqua a scrosci si riversava sul terreno. Le coltivazioni, naturalmente, ne soffrivano. Troppa pioggia. Il terreno era molle d’acqua. Liam, o dopo o, percorreva la strada che conduceva dalla sua casa al centro del paese.
Doveva fare provviste presso il mercante del villaggio. Aveva atteso sino a quanto possibile il calare della pioggia. Ma questa continuava imperterrita a scendere. Si era alzato un po’ di vento freddo che lo costrinse a stringersi maggiormente nel tabarro scuro, per impedire che il freddo raggiungesse le ossa. Vero che era ben coperto, sotto. Inoltre portava un cappello e teneva un ombrello pericolosamente in bilico tra una folata e l’altra di vento, il manico bene stretto nella mano. Gli stivali lasciavano forti impronte nel terreno fradicio. Le strade erano praticamente deserte a quell’ora del mattino, soprattutto a causa del tempo inclemente. La bottega del mercante era aperta, con parecchie lampade a petrolio accese mentre i due padroni sistemavano la merce. Giunto in prossimità della bottega Liam chiuse l’ombrello e si scosse di dosso l’eccesso di pioggia, poi entrò. Un camlo …. driin ….. ne palesò l’arrivo. Pose l’ombrello nell’apposito spazio, posto subito dopo la porta e si diresse verso i bancali. Salutò i due padroni, scambiano qualche frase sul tempo e sulle conseguenze dell’eccessivo piovere. Intanto si avvicinava alla merce esposta. Prese delle candele, frutta, verdura, uova e sapone. Sentiva il peso di una vita grama. Avrebbe tanto voluto che fosse arrivato qualcosa a cambiarla.
Fantasticava su questo. Voleva andarsene da questo villaggio di pescatori. Si vedeva in altri mondi, dove perlomeno la pioggia sarebbe stata più clemente. L’addetto al monitor sorrise tra sé e sé. Eccone pronto un altro. E segnò ancora una volta un nome. Liam Doherth Vicinanze Rostock Germania Desideroso di cambiamento Età: 25 anni Anno terrestre: 1899
CAPITOLO SETTIMO
Ancora il monitor visualizzò luoghi e genti. L’addetto si fermò sulla Contea di Donegal, in Irlanda. Osservò tre oche che starnazzavano sul prato, fermandosi a momenti per guardarsi dapprima intorno e poi affondare il becco brevemente nell’erba. Il prato era vasto. Lì vicino una quercia dondolava i rami più bassi. Sotto di lei si estendeva un’ombra invitante, pur non essendo una giornata di grandissimo calore. Ma il sole era ugualmente alto ed un viandante avrebbe accolto sicuramente con piacere il tacito richiamo dell’ombra creata dai rami fronzuti. Gli unici rumori erano lo stormire delle foglie e qualche cinguettio. Le tre oche si erano allontanate in direzione della loro fattoria al di là del declivio. Poco distante dalla quercia si ergeva un giovane alberello solitario. Visto da una certa distanza si poteva scorgere, intorno a lui, una luce rosata, la sua energia delicata espressa al mondo esteriore. Il cielo iniziò a rannuvolarsi. Grosse gocce di pioggia iniziarono a scendere, provocando fragorosi rumori. La quercia e l’alberello, l’erba ed i fiori dei prati, accolsero favorevolmente la pioggia, che li lavava, nutriva e purificava, donando un piacevole frescore.
Il temporale, che di quello si era trattato, non durò a lungo. Le nuvole nere si allontanarono lasciando dietro la traccia del loro aggio. Infatti nel cielo terso spuntò un arcobaleno, luminoso e colorato che, nel raggio di una decina di minuti, scomparve. Nel prato si potevano distinguere alcuni punti in cui erano radunate piccole violette dal cuore giallo oro. Intanto giungeva la sera. In lontananza si potevano scorgere tante piccole luci, nelle case gli uomini chiudevano la loro giornata intorno a semplici deschi. Spuntò la luna nel cielo e l’astro illuminò debolmente i prati e le case. La notte ò. Avvicinandosi al paese si poteva scorgere un ponte di pietra sotto il quale scorreva un fiume, non particolarmente ampio, a dire il vero, Forse sarebbe più esatto definirlo un grosso torrente. In ogni caso necessitava di un ponte per poter accedere a entrambe le rive. Le case del paese erano basse, al massimo due piani. Ognuna era tinteggiata con un colore diverso. Alcune bianche, altre blu, gialle, rossastre. Questi colori accostati in modo casuale davano una forte sensazione di “casa”, di intimo, di pace. Le strade erano pulite e lungo i marciapiedi, solo in alcuni punti, si aprivano alcune botteghe. Altre strade allontanavano dal centro del paese e qui le case erano villette con intorno un pezzo di giardino, alcuni colmi di fiori, altri meno curati, ma tutti, e le case ed i giardini, con un loro particolare fascino.
Allontanandosi sempre di più dal paese si potevano attraversare dei prati camminando su piccoli sentieri. Si affrontava una piccola salita. Alla fine un altro prato si estendeva e si poteva scorgere uno steccato di legno. All’interno dello stesso ed a ridosso di una specie di scogliera, appariva la casa. Un piano, bianca, il tetto di paglia, piccole finestre con inferriate, rossa la porta d’ingresso. Subito a fianco un piccolo capanno, anch’esso tinteggiato di bianco. Ad una parete esterna erano appoggiati la ruota di un carro ed un rastrello. Avvicinandosi allo steccato e guardando oltre la piccola scogliera di fianco alla casa, si poteva scorgere il mare. Già prima di vedere la casa si poteva udire il rumore dell’infrangersi delle onde. Il mare era blu cupo, biancheggiato di spuma verso la terra. La donna non entrò subito in casa. Aprì lo steccato e appoggiò sul prato la borsa da viaggio, dirigendosi poi subito verso il punto dal quale meglio si poteva scorgere il mare. La linea dell’orizzonte si stagliava netta contro un cielo pallido. Dopo qualche minuto di contemplazione, la donna ritornò sui suoi i e, tolta una chiave dalla piccola borsa a tracolla, aprì la porta rosso lacca. Subito si avvicinò alle finestre e scostò le tende scure. La luce inondò gli ambienti. Alle finestre, sotto le tende scure, c’erano delle corte tendine bianche di pizzo. Un paio di mobili alle pareti ed un tavolo con quattro sedie.
Due poltrone di fronte al camino. Da una porta si poteva accedere ad un’altra stanza con un armadio, un cassettone e un letto matrimoniale. Anche qui un camino. Tutte le pareti, come l’interno della casa, erano recentemente state rinfrescate di bianco, il tetto di paglia nuovo. La donna portò in camera la borsa da viaggio, l’aprì e ripose la biancheria nei cassetti e gli abiti e le mantelle nell’armadio. Da un’altra porta, direttamente dalla camera da letto, si poteva accedere a un piccolo bagno. La donna si sentiva stanca, la camminata dal paese con la grossa borsa l’aveva spossata. Come da preliminari accordi i padroni di casa avevano provveduto a farle trovare tutto il necessario. Accanto ai camini c’erano pile di ciocchi e legnetti. Sopra i mobili, in alcuni cestini, coperti da tovaglioli bianchi, pezzi di formaggio, frutta e pacchi di riso. Sparsi qua e là modesti candelieri di metallo con già infilate alcune candele bianche. In un cassetto del mobile una scorta di candele. La donna sedette su una poltrona, chiuse gli occhi e si assopì all’armonia delle onde del mare, il cui rumore era molto attenuato stando in casa con le finestre chiuse e anche all’armonia della pace che questo luogo donava e che era impossibile non recepire. Helen, tale era il nome della donna, si alzò poi dalla poltrona e andò nello stanzino adibito a toilette a rinfrescarsi prima di accingersi a consumare il pasto serale.
Le ombre del crepuscolo la costrinsero ad accendere le candele nel piccolo soggiorno. Alla loro luce scaldò il bricco su una stufa che aveva preventivamente e che serviva anche per cucinare. Bevve un the e mangiò del pane, formaggio e un frutto. Poi si mise a letto, non dopo aver spento ogni candela, compresa quella posta sul comodino. Il sonno la travolse e la notte si allungò su quel pezzetto di mondo, mentre là fuori le onde continuavano ad infrangersi nel loro moto perpetuo. Il risveglio la colse all’improvviso, con il cuore in subbuglio, a causa di un brutto sogno. Fuori era gìà chiaro. Helen si alzò. Si sentiva stanca e sfiduciata. Aprì la borsetta che aveva lasciato sul comodino e ne trasse una immagine. A voce alta pregò la figura dell’immagine di darle un segno, di aiutarla. Poi si sedette sul letto e si mise silenziosamente a piangere. Al di là del monitor l’addetto decise di metterla nell’elenco. Helen Doyle Contea di Donegal Irlanda Richiesta di aiuto e cambiamento, preghiera Età: 42 anni
Anno terrestre: 1962
CAPITOLO OTTAVO
Cosa mai si agitasse dentro di lui, Patricio non riusciva a capire. Da una parte sì, gli era perfettamente comprensibile il fatto di avere come una spina, che pungeva ad ogni movimento del corpo, quasi fosse reale. Ma questa pungeva anche quando era fermo, immobile, seduto su una sedia, una poltrona, tra le coltri del suo letto. In alcuni momenti, brevi momenti, pareva che fosse sparita …. e allora lui respirava a fondo, per assaporare la libertà ritrovata …… ma ogni volta, in queste occasioni, la fine del respiro ripescava la spina che, dolorosamente, si manifestava. Patricio, in qualche modo, era arrivato a rendersi conto del perché dell’esistenza di questo fardello. Sapeva che solo lui avrebbe potuto porvi rimedio. Era la spina del dolore dell’insoddisfazione. La spina che lo spingeva alla ricerca della realtà che sarebbe stata a lui maggiormente consona. Certo, per liberarsene, doveva introdurre nella sua vita il rimedio che avrebbe cacciato via per sempre la spina e dato a lui, oltre a una ritrovata libertà, la condizione migliore per vivere la vita, quella delle sue ioni. Ma nemmeno lui, al momento, era riuscito a scovarle. Dentro di sé sorgevano cose, come fossero sparute piantine che, prima o poi, venivano estirpate dalle sue fantasticherie vaganti. Ma non era assolutamente intenzionato a vivere una vita di convenienza.
Né soldi né onori avrebbero mai potuto colmare la pace del suo cuore davanti al raggiungimento dello scopo della sua vita. Patricio, avendo 19 anni, poteva permettersi di considerare la sua vita come un foglio bianco sul quale poter scrivere ogni cosa. Decise di fare un elenco delle cose che preferiva e di quelle che mai e poi mai avrebbero potuto convincerlo. Nell’elenco delle strade per lui assolutamente negative da percorrere mise tutti i lavori e le situazioni al servizio della burocrazia. Certo, alcune di queste professioni sarebbero state altamente redditizie. Ma si sarebbe sentito come in prigione e tutto il suo essere ribolliva al solo pensiero. Poi c’erano le professioni cosiddette “servili”. Anche se non le aveva nemmeno mai lontanamente prese in considerazione, volle comunque includerle nelle possibilità future. Compilò un elenco il più possibile completo, da autista a cameriere, a maggiordomo … No, no. Non facevano per lui. ò a quelle manuali. Ma anche lì non trovò nulla che fe vibrare qualche corda nel suo cuore. …… ecco ….. L’attore. L’attore tragico. Su un palcoscenico poco illuminato a declamare testi immortali. Qui si soffermò un attimo di più.
Decise di non scartare a priori questa possibilità. Il suo interesse si spostò verso la medicina e la guarigione in generale. Ma … non era molto convinto. La scrittura e la creatività in genere. Si, questo era sicuramente un campo a lui più consono. La mente di Patricio vagava, scriveva appunti, cancellava, trasportava da una colonna all’altra. Alla fine decise di riportare su un foglio pulito quello che aveva salvato: -giardiniere - scrittore - giornalista - attore di teatro - agente segreto - pittore - creativo in genere - investigatore - eterno vagabondo
Qualsiasi strada avesse mai intrapreso, sapeva che la definizione più vicina al suo sentire sarebbe stata quella di “eterno vagabondo”. Perché, anche se si fosse deciso circa quale strada fosse la migliore per lui, dentro di sé sapeva che nulla avrebbe mai fermato e fossilizzato i suoi sogni.
Questi avrebbero continuato ad esistere e lui dietro a loro. Pensò alla famiglia, ai genitori, ai fratelli, a quello che forse si aspettavano da lui. Ma scacciò rapidamente questo pensiero. Non aveva nemmeno intenzione di discutere dei suoi piani con qualcuno della famiglia. Avrebbe incontrato sicuramente opposizioni ai suoi progetti. L’avrebbero tacciato di infantilismo, irresponsabilità, e chi più ne ha più ne metta. No, no. Lui voleva vivere la sua vita a modo suo. Giorno per giorno, senza costrizione alcuna. Non aveva nemmeno intenzione di iscriversi all’università o di andare a lavorare in qualche barbosissimo studio di amici del padre. Tutti questi pensieri scorrevano dentro di lui quasi alla velocità della luce. Era giovane e sano e in salute Il mondo era suo. Invaso da una irragionevole frenesia, decise di non por tempo in mezzo. Perché trascinarsi in altre uggiose giornate a scambiare pareri con amici e familiari, buttando via momenti preziosi della sua giovinezza e della sua vita? Avrebbe fatto l’attore, l’attore tragico. Che, al contempo, si poteva anche definire “eterno vagabondo”. Si, sempre di più questa soluzione gli parve la migliore per lui.
Senza dire nulla a casa si accinse a recarsi presso l’accademia d’arte drammatica della sua città, ma dopo avere visto i programmi decise che non facevano per lui. Infatti, oltre alla recitazione, c’era l’obbligo di imparare altre discipline. E allora? Tornando verso casa, dopo la visita all’accademia, Patricio si sedette al tavolino di un bar per bere qualcosa. Si sentiva svuotato. Non voleva cedere alle costrizioni di questa società, non voleva, per vivere, fare qualcosa che fosse contro se stesso. D’altronde non desiderava nemmeno continuare a vivere alle spalle dei genitori, cosa che, se da una parte poteva fare comodo, era comunque una limitazione alla sua libertà. E allora? Il problema non era semplice. Aveva nel frattempo anche acquistato un giornale e iniziato a scorrere gli annunci di lavoro. Trasse dalla tasca della giacca il foglietto cincischiato sul quale aveva elencato gli impieghi che potevano più o meno interessarlo. Prese un’altra decisione, sperando che fosse quella giusta. Andò a casa e raccolse tutti i denari che aveva risparmiato. Mise in una borsa degli indumenti puliti e, dopo avere salutato la famiglia adducendo la scusa di una breve vacanza, si recò alla stazione. Salì su un treno che arrivava a un centinaio di kilometri da casa. Scese alla fermata prestabilita e si diresse verso una fattoria non lontana dalla stazione stessa.
Nell’aia si trovavano diverse persone. Si avvicinò a loro e chiese del Signor Pereira. Uno dei presenti asserì di essere lui il Signor Pereira. Patricio trasse dalla tasca il giornale e mostrò l’annuncio che aveva cerchiato con un pennarello rosso: - Sono venuto per questo lavoro. Il Signor Pereira lo squadrò perplesso. Patricio era ben vestito e appariva come uno studente universitario. - Qui ci sono da sporcare le mani. Disse il Signor Pereira . - Certo, lo so – rispose Patricio. Presero quindi a chiacchierare, e poi domande e risposte. Alla fine l’uomo si convinse e accompagnò Patricio in un’ala della fattoria dove gli mostrò la sua stanza. - Allora cominciamo domani. Alle 6. L’indomani mattina Patricio fu puntuale. Vestito da lavoro, incontrò il Signor Pereira e insieme si issarono su un grosso furgone colmo di attrezzi. Altri due uomini andarono loro presso con un altro furgone. Dopo un’oretta circa giunsero alla loro meta. Si trattava di una grande villa con un parco pieno di piante e fiori. Perché il lavoro che aveva sollecitato la fantasia di Pereira era stato quello di giardiniere.
Vero, doveva imparare. Ma sarebbe stato all’aperto a contatto con la natura. E questo era per lui molto importante. A fine giornata si ritrovò stanco e dolorante a causa dei movimenti e delle posture richieste dal lavoro, alle quali lui non era certo abituato. Ma lo aveva messo in conto. Per alcuni giorni si recarono nello stesso posto, sino a quando il lavoro non fu ultimato. Patricio era sereno, andava d’accordo con gli altri ragazzi e il lavoro, tutto sommato, lo sentiva consono alla sua anima. Giorno dopo giorno il tempo ava. Patricio era piuttosto soddisfatto della sua scelta. I luoghi nei quali si recava insieme ai suoi compagni erano sempre diversi, al massimo rimanevano nello stesso posto quattro o cinque giorni. Incredibile era il numero delle ville che necessitavano dell’intervento dei giardinieri. Quasi tutte grandi case con grandi parchi. Patricio aveva fatto amicizia con gente e ragazzi della fattoria e la sera ogni tanto andavano fuori a divertirsi Non facevano però mai troppo tardi perché l’indomani si dovevano sempre alzare presto. Questo lavoro lo apionava. Vedeva il risultato della sua opera mano a mano che il tempo ava, quando tornavano dopo qualche tempo a sistemare gli stessi giardini. Non amava quelli simmetrici, lontani dalla libertà della natura.
Preferiva quelli selvaggi, in cui cespugli si mischiavano ad alberi secolari, rovi a isole fiorite: suscitavano in lui maggiori emozioni. Scriveva regolarmente alla famiglia che si era ormai rassegnata a non intralciare la strada da lui intrapresa. Aveva deciso di vivere alla giornata. Il momento nel quale non avesse più avuto desiderio di continuare a fare il giardiniere avrebbe smesso e pensato ad altro. Non gli importava di accumulare patrimoni. Non voleva onori che avrebbero potuto comportare oneri. Voleva solo una cosa dalla vita, oltre alla salute, si intende: la leggerezza. Quindi, ben vengano i giardini, gli alberi, la natura. Così pensava e sognava una vita serena. Patricio Silva Rio de’ Janeiro Brasile Sogno di eterno vagabondo Età: 19 anni Anno terrestre: 1931
CAPITOLO NONO
Si alzò dalla sua postazione davanti al monitor e scorse rapidamente l’elenco.
- Louise Marchand Valle della Loira Vicinanze Blois Francia Animo delicato e sognatore Età: 53 anni Anno terrestre: 1923
- Beth e Serge Marney Connecticut Stati Uniti d’America Accettazione magia Età: 23 e 25 anni Anno terrestre: 1852
- Sally Marton
New South England Australia Accettazione magia Età: 19 anni Anno terrestre: 1902
- Solinter Niemi Costa sudovest Finlandia Forti potenzialità Età: 10 anni Anno terrestre: 1828 - Liam Doherth Vicinanze Rostock Germania Desideroso di cambiamento Età: 25 anni Anno terrestre: 1899
- Helen Doyle Contea di Donegal
Irlanda Richiesta di aiuto e cambiamento, preghiera Età: 42 anni Anno terrestre: 1962
Patricio Silva Rio de’ Janeiro Brasile Età: 19 anni Anno terrestre: 1931
Per ora poteva bastare. Premette un bottone ed arrivò un collega al quale porse il foglio. Quest’ultimo lo prese in consegna e, dopo avere attraversato alcune sale colme di apparecchiature, arrivò alla destinazione prefissata. Un suo simile, vestito con una tuta blu, stava guardando fuori dalle vetrate. Intorno c’era solo una vasta pianura lunare. In silenzio gli ò l’elenco. L’altro lo scorse rapidamente e glielo restituì dopo avere assentito con il capo in segno di approvazione. Ancora una volta l’elenco ò di mano. Fu consegnato ad un altro ancora, al quale venne confermato che c’era stata la
previa approvazione del loro capo. Un attento osservatore avrà sicuramente notato la disparità degli anni nei quali questi avvistamenti erano stati compiuti. Ma dato che il tempo, in realtà, è sempre “adesso”, anche se per gli umani terrestri questo concetto è di difficile comprensione, non facendo parte della loro esistenza, gli osservatori sulla luna potevano scorgere in momenti praticamente simultanei avvenimenti e fatti di tempi ati, presenti o futuri.
In ogni caso volevano tenersi pronti in qualsiasi momento, non sapevano quando sarebbe arrivato il comando di intervenire. Volevano però aiutare gli umani ad evolvere e poter avere delle vite più serene. Naturalmente una cosa del genere faceva parte di un piano molto vasto, da seguire nei dettagli. Prima di tutto gli umani non dovevano pensare che “loro” fossero degli aggressori. Dovevano quindi farsi preventivamente conoscere da qualcuno e far sì che questi fero loro della buona pubblicità, in modo che il contatto definitivo tra tutte queste civiltà non fosse traumatico per nessuno. Intanto bisognava presentarsi a ognuna delle persone scelte per un primo contatto in modo che non si spaventassero. Per questo motivo, tra gli altri, la terra veniva monitorata, per dar modo di poter scegliere le persone maggiormente adatte allo scopo. Non volendo spaventare nessuno, avevano pensato di contattare queste genti durante il sonno. Iniziarono quindi ad apparire in quelli che venivano catalogati dagli umani come sogni. Al mattino questi si svegliavano avendo ancora in modo evidente il ricordo di quanto sognato.
Spesso si portavano dietro durante la giornata la sensazione che questi sogni fossero quasi reali. Dato che per qualche notte di seguito le cose si susseguivano in modo uguale, iniziarono a considerare gli esseri extraterrestri come facenti parte della loro quotidianità. Era quello che questi desideravano. Dopo qualche giorno decisero di far si che queste genti si risvegliassero in un ambiente diverso dalla sera precedente. E così fu. Al tempo stabilito tutti i nostri amici di cui abbiamo visto velocemente i trascorsi, dopo essersi coricati e sognato ancora una volta gli extraterrestri, si svegliarono in un luogo a loro sconosciuto da un punto di vista reale, ma conosciuto durante i sogni degli ultimi tempi. Quando si accorsero di essere ben svegli e che il luogo in cui si trovavano era quello del sogno, furono stupiti. Non spaventati, il luogo non era così sconosciuto. Ma stupiti, quello si. Ognuno di loro si risvegliò in una camera separata, a parte Beth e Serge, con una colazione pronta sopra un tavolino. Ai piedi del letto abiti puliti. Un’altra stanza fungeva da disimpegno con acqua e tutto quanto serviva per la toilette del mattino. Qualcosa che per alcuni di loro era una sciccheria. Dentro il cuore e la mente mille domande. Ma tutti mangiarono e bevvero e si sistemarono. Anche il piccolo Solinter, dopo un primo attimo di smarrimento, non vedendo i genitori accanto al lui, si sentì spaesato, ma subito si riprese e fece colazione.
Nulla accadeva. Quando qualcuno tentò di uscire dalla stanza, si accorse che la porta non si apriva. Qualche momento di panico, ma poi, in un secondo tempo e contemporaneamente, tutte le porte di spalancarono e gli ospiti si videro gli uni gli altri. Davanti a loro una grande stanza con un grande tavolo e alcune poltrone. Una voce sconosciuta lì invitò ad accomodarsi. Nessuno aveva ancora parlato. Una porta si aprì ed entrarono tre esseri molto simili agli umani, solo più alti, tutti vestiti con una tuta blu, la pelle azzurrina. Si sedettero dietro al tavolo e sorrisero agli astanti. Poi uno di loro cominciò a parlare. I presenti udirono e capirono ognuno nella propria lingua di origine. Fu loro spiegato che erano stati portati sulla luna perché potessero constatare che esistevano altre civiltà al di fuori della terra, e poi riferirlo a tutti una volta ritornati alle loro case. In modo che, quando gli extraterresti fossero sbarcati sul suolo terrestre, nessuno si sarebbe spaventato, ma sarebbero stati accolti in amicizia. Così come loro effettivamente venivano. Volevano solo aiutare le genti, null’altro. Avevano osservato per migliaia di anni la fatica nella quale la vita terrestre si svolgeva, ed ora venivano per aiutare tutti ad uscire dalla schiavitù in cui vivevano. Tutti li ascoltarono. Solinter era quello che viveva nell’epoca meno moderna. Aveva dieci anni e per
lui era il 1828. Era un bimbo sveglio e intelligente. Annuiva a tutto quello che dicevano i tre seduti lì di fronte. Anzi, era proprio felice. Questa era un’avventura inimmaginabile. Non ne poteva più di ritornare al suo paese e poter raccontare tutto ai genitori, agli amici, a tutti quanti. Era anche molto orgoglio di essere stato scelto, lui così piccolo, a far da ambasciatore. Si agitava sulla sedia. Avrebbe voluto fare tante domande, ma non osava. Fu servito del cibo e poi si continuò a parlare, intervenne il dialogo. Erano tutti eccitati e felici di questo fuorionda nella loro vita. Non c’erano finestre visibili, ma dopo qualche ora furono scostate delle tende ed il paesaggio lunare illuminò la stanza. Tutti guardarono fuori con stupore. Erano ate ore, l’emozione e la stanchezza si facevano sentire. Si accomiatarono l’un l’altro e tornarono tutti nelle loro stanze. Non prima, però, che a tutti fosse consegnato un pezzo di luna, un luminescente sasso biancastro. Il sonno arrivò privo di sogni. Quando si svegliarono il mattino dopo erano nel loro letto. L’avventura non era finita, iniziava ora.
CAPITOLO DECIMO 1828 – FINLANDIA – SOLINTER
Il piccolo Solinter ricordò subito quanto gli era capitato. Scese dal letto e si precipitò dai genitori, i quali ancora dormivano. Era buio, faceva molto freddo fuori, e anche nella loro casetta, in quanto ancora il fuoco non era stato . Solinter si accomodò in mezzo a mamma e papà, i quali si svegliarono e subito lo ficcarono sotto le coperte per paura che prendesse freddo. Lui prese subito a parlare e raccontare, anche se i genitori faticavano non poco a seguire i suoi discorsi. Infatti non si erano minimamente accorti della sua assenza, il giorno precedente, in quanto gli extraterrestri avevano architettato tutto in modo da non creare scompiglio. Solinter prese a raccontare tutto quando gli era stato detto sulla luna e naturalmente si scontrò subito con i genitori, che sorrisero alle sue parole e mostrarono di non credergli affatto. Solinter allora scese dal letto e corse a controllare nella tasca dei suoi calzoni. Trovò il sasso bianco e lo mostrò ai due. Il sasso era veramente un po’ diverso da tutti i sassi che c’erano in giro, ma non fu sufficiente a convincerli, tutto sommato era solo un sasso. Solinter era sempre più eccitato, parlava e parlava. Alla fine il padre si accinse ad accendere il fuoco nel camino per mitigare il forte freddo della casa.
Si sistemarono e si accinsero a mangiare qualcosa. Ascoltavano quanto Solinter raccontava, ma non riuscivano a credere a quanto diceva. Si erano già resi conto da tempo che il bambino era diverso da loro, pur essendo ancora piccolo faceva ragionamenti e domande alle quali non sapevano rispondere. Ma questa era veramente grossa. Era andato sulla luna e aveva parlato con i suoi abitanti, che sarebbero poi venuti sulla terra …… Pregarono Solinter di non dire queste cose in giro, avrebbero potuto prenderlo per matto. Ma Solinter non poteva essere tacitato così facilmente. I genitori uscirono per andare a lavorare nel campo, non prima che il padre si fosse messo in tasca un uovo, considerato in Finlandia simbolo di prosperità. Solinter ne approfittò per recarsi alla casa più vicina dove vivevano due bimbette più o meno della sua età. Le trovò sole, anche i loro genitori erano andati nei campi e al mercato. Cominciò a raccontare quanto gli era capitato e trovò un pubblico maggiormente disposto a credergli. Intrecciarono insieme fantasie di ogni tipo e in un batter d’occhio arrivò l’ora del ritorno dei rispettivi genitori, ai quali, dietro promessa, le due bimbe non raccontarono nulla. Ma Solinter sapeva di dover divulgare quanto accadutogli. Ma come? Intanto decise di tacere. L’occasione sarebbe arrivata e lui l’avrebbe colta al volo.
Proprio in quell’anno capitò che un certo Elias Lonnrot, giovane studente di medicina, decise di percorrere a piedi il paese, vestito da contadino, alla ricerca di cantastorie, che tramandassero oralmente storie e favole intramontabili, nonché loro personali versioni di saghe e racconti. Arrivò anche al paese di Solinter e qui si soffermò un paio di settimane. La sera si trovavano in casa dell’uno o dell’altro e tutti si cimentavano nelle loro composizioni, felici di trovare un estimatore. Era l’occasione che Solinter attendeva. Anche lui si cimentò in una composizione nella quale raccontava quanto accaduto. In questo modo era più facile che tutti accogliessero le sue parole senza prenderlo in giro. Il giovane Lonnrot fu stupito che un bimbo fosse così fantasioso e bravo nella sua esposizione. Il giorno dopo decise di parlargli e con suo stupore Solinter gli raccontò tutta la storia. Elias non lo prese in giro come avevano fatto i genitori. Percepì un fondamento di verità nelle parole del ragazzo. Ne fu affascinato. Solinter gli fece allora una proposta. Che lo portasse con lui per un po’ di tempo, così poteva adempiere alla promessa fatta agli extraterrestri. Elias era titubante, vista l’età di Solinter. Ne parlò con i genitori, impegnandosi a riportarlo a casa al ritorno dei suoi giri nella regione. Sia perché Solinter aveva dimostrato di essere un bambino particolare, sia forse
perché in qualche modo intimiditi da Elias, i genitori acconsentirono. E così iniziò l’avventura. Insieme girovagarono per fattorie e villaggi, scovando impensati cantastorie ed esibendosi anche loro stessi. In questo modo Solinter diffondeva la sua notizia, perché dopo aver terminato le sue ballate, tutti chiedevano informazioni circa quelle storie così particolari e diverse. In breve tutta la popolazione da loro contattata fu messa al corrente dell’esistenza degli extraterrestri e del loro desiderio di aiutare gli uomini. Alcuni erano scettici, altri entusiasti. In ogni caso l’argomento era così nuovo e strano, che tutti ascoltavano affascinati. Arrivò poi il momento del ritorno, con grande dispiacere dei due compagni. Ma Elias aveva promesso di riportarlo a casa e comunque Solinter era troppo piccolo per continuare una vita di quel genere. Continuò a parlarne sempre, anche quando divenne adulto e padre a sua volta. Ogni tanto guardava il cielo e sospirava. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non poteva rispondere. Non poteva sapere che gli avevano dato il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero dovuti maturare. E forse lui non li avrebbe mai visti lì, davanti alla porta della sua casa. Ma tutto questo aveva dato un senso alla sua vita e fino all’ultimo respiro pensò a loro a al fatto che lui era stato scelto.
Se ne andò in pace.
CAPITOLO UNDICESIMO 1852 – CONNECTICUT – BETH e SERGE
Quando contemporaneamente si risvegliarono, Beth e Serge si guardarono negli occhi e l’un l’altro si chiesero all’unisono: è proprio accaduto? È accaduto a noi? Ma, dato che i ricordi convergevano, capirono che non si era trattato di un sogno. Erano felici di avere avuto questa esperienza straordinaria. Adesso, però, dovevano adempiere alla promessa. Divulgare il messaggio, l’eventuale arrivo futuro degli extraterrestri. Si sentivano così eccitati. Come mai erano stati scelti? Vivevano in solitudine, sarebbe stato molto difficile per loro poter parlare con la gente. Per intanto fecero colazione e poi iniziarono la loro giornata di lavoro, proseguendo nella costruzione della casa. Il tramonto li colse stanchi ma soddisfatti. Parlarono un po’ davanti al fuoco dello strano avvenimento capitato e di come avrebbero potuto divulgare il tutto. Poi, stanchi, si addormentarono. Al suono del lieve russare di Serge, proprio lì accanto a loro, si materializzò la stella. Prese a girare lentamente e poi si diresse verso la casa in costruzione, Si posizionò in alto, in prossimità del centro della casa e prese a girare
vorticosamente su se stessa e poi lungo l’intero perimetro. Sollevò in tal modo un forte vento. Il tutto durò un minuto, non di più, poi la stella si allontanò e si posò di fianco ai due dormienti. Una nuvola, spostandosi, permise a un raggio di luna di mostrare la casa finita. Il tetto, le pareti esterne, una porta di legno massiccio, il camino. Il mattino seguente Beth e Serge si svegliarono presto, alle prime luci. Non guardarono subito verso la casa, accesero il fuoco e fecero bollire l’acqua del the. Solo dopo averlo bevuto e quando la luce permise una maggiore visuale, si diressero verso la casa e con loro stupore videro che durante la notte era stata interamente costruita. Corsero verso la porta di legno massiccio che si aprì al semplice tocco della maniglia. Dentro anche le pareti erano tutte perfettamente sistemate e i mobili e le suppellettili. Tutto quanto. Ma cosa era mai accaduto? Tornarono fuori, sul prato e si avvidero della stella. Capirono che era stato un suo intervento, non poteva essere stato altro. Si avvicinarono a lei e la ringraziarono a gran voce e la stella, allora, si librò nell’aria e poi si rimise a terra, così vicino a loro da far sì che capissero il suo invito. Infatti entrambi si issarono su di lei, che subito li legò con i lacci perché non cadessero, e decollò nel cielo.
Si fermò ai margini del più vicino villaggio e li liberò perché potessero scendere. Poi sparì. Beth e Serge si erano però già abituati alla stella e sapevano che non li avrebbe abbandonati. Si diressero verso il centro del villaggio e andarono all’emporio. Qui acquistarono della vernice blu, poi gironzolarono intorno, così, tanto per rendersi conto dell’ambiente. Tornarono poi dove la stella li aveva lasciati e lì, nell’erba, la videro piccina piccina. Come arrivarono si ingrandì, li fece salire e li riportò a casa. Poi scomparve. Beth e Serge, dopo avere pranzato, si stesero bellamente sul bel divano nuovo che avevano trovato nella casa costruita dalla stella, felici di quanto avevano e di tutto il lavoro che era stato loro risparmiato. Pensarono che la stella fosse stata inviata dagli extraterrestri per aiutarli nella divulgazione e, in ogni caso, ringraziarono chiunque fosse intervenuto in loro aiuto. Presero poi a ballare felici per la casa, il cuore colmo di gratitudine. Veniamo ora al loro acquisto all’emporio. La vernice blu. Avevano deciso cosa fare per divulgare l’esistenza degli extraterrestri: avrebbero modellato con del fango essicato degli esseri uguali a quelli che avevano incontrato sull’astronave, li avrebbero dipinti di blu e, con la scusa di vendere nei mercati queste statuine, avrebbero parlato di quanto accaduto. Ormai avevano tempo per farlo, la casa era perfetta e con solo poche ore di lavoro al mattino avrebbero potuto coltivare un orto per i loro fabbisogni
quotidiani. Intanto avevano ancora delle provviste. In ogni caso avevano promesso e dovevano mantenere la parola data. La sera, accanto al fuoco, iniziarono la loro opera. Non era facile sia dare la forma sia mantenerla. Dopo qualche sforzo riuscirono a fare la prima statuina con le giuste sembianze. La posero accanto al fuoco perché si solidificasse e andarono a dormire, felici ed appagati. Il mattino seguente, dopo avere fatto colazione, continuarono nella loro opera. Certo, fecero tanti errori, ma a fine giornata una ventina di statuine erano pronte per seccare. Il giorno dopo, constatata la solidità del manufatto, iniziarono a dipingere tutto di blu. L’effetto finale non si poteva considerare un’opera d’arte, ma rendeva l’idea. Il mattino seguente, di buon’ora, misero tutto in una borsa e uscirono sul prato antistante la casa, alla ricerca della stella. La chiamarono … stella, stella …. E la stella si materializzò Si issarono sopra e le chiesero di essere portati al mercato di C…. La stella in men che non si dica li depositò alla periferia di C…. e scomparve. Si recarono al mercato del villaggio, stesero una coperta a terra e vi posarono tutte le loro statuine blu. Mano a mano che il tempo ava sempre più gente arrivava a fare compere, soprattutto verdura, frutta, uova, ma anche pentole e tagli di stoffa.
Tutti si fermavano a guardare incuriositi le statuine blu di Beth e Serge. Chiedevano spiegazioni sul colore blu. Naturalmente questo era ciò che i due si erano prefissi: con la scusa delle statuine parlare di quanto accaduto e del fatto che, prima o poi, gli extraterrestri sarebbero arrivati ad aiutare gli umani. Raccontarono tutto, più e più volte, mano a mano che nuovi avventori si avvicinavano alla loro mercanzia. Come sempre, alcuni erano incuriositi, altri scuotevano la testa. Vendettero alcune statuine poi, all’ora di pranzo, quando ormai il mercato si era svuotato, raccolsero quanto era rimasto invenduto e si recarono in direzione della stella. Questa era nascosta nell’erba in piccole dimensioni e, al loro avvicinarsi, si ingrandì, li raccolse e li riportò a casa. Qui giunti si riposarono, mangiarono, parlarono di quanto fatto e poi, giunta la sera, si coricarono. Il giorno seguente fu dedicato al trovare la posizione ed il terreno migliore per fare un orto. E anche questa giornata ò. Avevano deciso che a giorni alterni sarebbero andati in giro a fare divulgazione, riservando gli altri giorni alla faccende di casa, all’orto, a costruire le statuine, a sistemare tante cose. Infatti, il giorno seguente, come era ormai consuetudine, chiamarono la stella e, con la loro mercanzia, si fecero portare in un altro paese. La stella, ubbidiente, li accontentò. E così via tutto proseguì in questo modo. Si recarono anche in paesi lontani, ma con la stella era tutto facile.
Il tempo ò e questi loro viaggi, mano a mano, si diradarono. Attraverso la vendita delle statuine erano riusciti anche a guadagnare qualche soldo, che sempre serviva per tirare avanti. Avevano, oltre all’orto, coltivato qualche campo con grano, frumento, patate, qualche albero da frutta. E preso alcune galline che fornivano loro le uova. Dopo un paio di anni a Beth e Serge nacque un bimbo, e dopo qualche tempo ancora arrivò una bambina. La vita proseguì così, modesta ma tranquilla. La stella fu sempre presente e di grande aiuto e le furono sempre immensamente grati. Ogni tanto, insieme ai loro figli già adulti, guardavano il cielo e sospiravano. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non potevano rispondere. Non potevano sapere che avevano dato loro il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero dovuti maturare. E forse loro non li avrebbe mai visti lì, davanti alla porta della sua casa. Ma tutto questo aveva dato un senso alla vita e fino all’ultimo respiro pensarono a loro a al fatto d’essere stati scelti. In breve tempo, l’una dopo l’altro, se ne andarono in pace.
CAPITOLO DODICESIMO 1899 – GERMANIA – LIAM
Liam si svegliò di soprassalto. Si mise a sedere, quasi per rendersi conto di essere nel suo letto. Il freddo e l ‘umidità erano attanaglianti e subito si rimise sotto le coperte. Dopo poco percepì alcuni rumori, testimoni del fatto che suo fratello si stava alzando. Liam decise di rimanere a letto ancora qualche minuto, nella speranza che Joshua, questo era il nome del fratello, accendesse il fuoco. Infatti, di lì a poco, udì il crepitio delle fiamme. Sospirò e deciso di alzarsi. Si sentiva frastornato, l’avventura sulla luna era stata così intensa, ma ora qui, nella sua casa umida, dalle mura scrostate, si sentì dimenticato dal resto del mondo. Si mise uno scialle sulle spalle e andò ad urinare nel bugigattolo appena fuori la casa adibito a “toilette”. Poi tornò dentro, si lavò alla belle meglio e si vestì. Raggiunse Joshua al tavolo posto nel mezzo della stanza ed insieme, in silenzio, bevvero il the che il fratello aveva preparato. Con un po’ di calore in corpo si poteva ragionare meglio. Guardò il fratello, che non aveva ancora proferito verbo e gli raccontò, tutto d’un fiato, la sua avventura sulla luna
Joshua lo ascoltò con gli occhi spalancati, poi gli chiese se per caso avesse già bevuto di primo mattino. Questo irritò molto Liam, che battè un pugno sul tavolo e gli urlò dietro una sequela di improperi. Basta. Era giunto al termine della sopportazione. Impulsivamente prese un sacco di juta poggiato sul pavimento e aprì una vecchia madia adibita a comò, da cui prese una manciata di stracci che infilò nel sacco. La sua biancheria. Si mise il pastrano e il cappellaccio in testa e corse verso la porta. Fuori pioveva. Qui si bloccò e, girandosi verso il fratello, con un tono tirato gli disse addio. Chiuse poi la porta e si incamminò per raggiungere il porto di Rostock. Il terreno era accidentato e la pioggia battente rendeva il percorso difficoltoso. Liam camminò per un paio d’ore prima di giungere al porto. Qui arrivato chiese informazioni per potersi imbarcare sopra una nave, non importava dove fosse diretta. Il giorno seguente trovò lavoro sopra un mercantile diretto a Copenhagen. Di primo mattino la nave tolse gli ormeggi, mentre Liam guardava con gli occhi umidi di pianto la riva che si allontanava.
CAPITOLO TREDICESIMO 1902 – AUSTRALIA - SALLY
Il primo pensiero di Sally, quando si risvegliò nel proprio letto, fu che per fortuna i fratelli e il padre erano assenti da un paio di giorni, si erano recati ad una fiera di bestiame, e sarebbero ritornati dopo una settimana. Non si erano quindi certo accorti della sua assenza e poteva ora pensare in tranquillità a quanto era accaduto. Poi si ricordò dei tre cofanetti. Quante cose erano successe in così breve tempo… Prese qualche gioiello tra quelli che le parevano meno costosi, si vestì ben bene e andò nella stalla a prendere il calessino, al quale attraccò un tranquillo, vecchio cavallo il quale, automaticamente, imboccò l’unica strada tracciata, che portava alla vicina cittadina. Ci mise circa un’ora. Arrivata che fu alle porte della città, si diresse verso il centro e posteggiò il calesse davanti ad un negozio illuminato a giorno. Entrò. C’erano solo due clienti e un unico commesso e Sally rimase seduta in paziente attesa sopra una poltroncina di velluto rosso. Usciti i due clienti, il commesso si rivolse a Sally con un sorriso, scommettendo tra sé quale piccola catenina d’oro o anellino avrebbe poi dovuto mostrare alla ragazzina campagnola che aveva davanti. Sally si sentì rinfrancata e, preso coraggio, chiese se acquistassero gioielli. Lei ne possedeva alcuni lasciatole in eredità dalla nonna e voleva venderli perché
necessitava di liquidità. Mentre parlava il viso le si imporporò. Il commesso aveva perso la commessa con se stesso. Niente acquisti di anellini o catenine d’oro. Ma certo, le disse, mi mostri pure la merce. Sally trasse dalla tasca il sacchetto di tela nel quale aveva riposto i gioielli. Il commesso ne fu molto meravigliato, non si era certo aspettato manufatti di così pregevole fattura. Chiese permesso a Sally e si recò nel retro del negozio a mostrali al padrone. Insieme ritornarono da Sally. Questa si spaventò. Signorina, le dissero, sono molto belli questi gioielli. Sono di famiglia? Si, erano appartenuti alla nonna. Bene, hanno anche un certo valore e al momento non possediamo contanti da poterglieli pagare tutti. Se vuole per oggi possiamo acquistare solo questa spilla. Si certo, per Sally andava bene. Se ritorna la prossima settimana potremo acquistare questi orecchini di perle. Bene, bene. Sally non pensava che i gioielli fossero tanto costosi. Ma andava bene così. Lasciò la spilla e prese i soldi, con l’intesa che sarebbe tornata di lì a una settimana a vendere altre cose. Soddisfatta andò al calesse, ma non prima di essersi soffermata davanti a una vetrina di abiti da signora. Erano tutti molto belli. Adesso avrebbe anche potuto comperarne uno, i soldi li aveva. Ma quando mai lo avrebbe indossato? Prese tutto il coraggio che aveva ed entrò nel negozio. Le commesse mostrarono alcuni abiti semplici, come lei aveva richiesto.
Alla fine ne scelse uno diritto, di organza, con le maniche strette e un piccolo scollo a barchetta, di un pallido color salmone, con una giacchettina uguale. Avrebbe trovato l’occasione per indossarlo. Pagò e uscì dal negozio. Prese il calesse e ritornò verso casa, dove giunse che era già pomeriggio inoltrato. Sistemò il cavallo e il calesse nella stalla e corse in casa a provarsi nuovamente il vestito. Aprì l’anta dell’armadio dietro alla quale si trovava lo specchio e si ammirò. Chissà quando mai avrebbe potuto metterlo …. Era molto contenta, aveva l’abito e i soldi. Intanto era giunta la sera. Si preparò qualcosa da mangiare ed andò a coricarsi, addormentandosi sulle ultime folli realtà della sua vita. All’alba si alzò per accudire gli animali e poi fece una colazione abbondante. A metà mattina, mentre era intenta a pulire la cucina, udì un rumore di zoccoli di cavalli. Si precipitò alla porta e vide che il padre e i fratelli stavano tornando dalla fiera di bestiame. Ma non erano soli. Tornò subito in casa per mettere sul fuoco l’acqua per il the. Poi apparecchiò la tavola con le tazze, marmellate, biscotti e una torta di mele. Gli uomini entrarono rumorosamente, ridendo e scherzando. E con sommo stupore Sally vide in mezzo a loro ……… Liam ….
Lo stesso Liam che due notti prima si trovava con lei dagli extraterrestri. Si avvide che anche lui l’aveva riconosciuta. Entrambi riuscirono però a superare il momento di imbarazzo, si presentarono l’un l’altro e si misero a tavola a mangiare quanto preparato da Sally. Fu spiegato a Sally che avevano incontrato Liam alla fiera e che lo avevano assunto quale aiuto per i campi e gli animali. Erano tutti stanchi e, appena lo stomaco si fu ben riempito, andarono a dormire. Solo Liam rimase con la scusa di bere ancora una tazza di the. E adesso? Sally ricordò a Liam l’esperienza della notte precedente (per lei). Per lui, invece, erano ati tre anni. Ma naturalmente tutto era ben vivido nella mente di entrambi. Liam raccontò la sua fuga dal paese natio, il primo imbarco al quale ne erano seguito tanti altri, fino a quando era arrivato in Australia. Si era stancato di andare per mare e cercava un lavoro sulla terraferma. Alla fiera aveva conosciuto i fratelli di Sally ed ora … Durante i suoi viaggi aveva sempre parlato degli extraterrestri con quelli che incontrava, ma con scarsi risultati. Sally spiegò che per lei, invece, tutto era accaduto due notti prima e quindi non aveva ancora pensato a come agire per divulgare. Decisero di non dire niente circa il fatto che si conoscevano. Poi Liam andò a dormire, dopo che Sally gli ebbe preparato il letto in una stanzetta ancora libera della casa.
Il giorno seguente tutto ricominciò come al solito. I lavori, i pasti da preparare, gli uomini che uscivano per andare a lavorare. Liam era contento di questa vita. Insieme a Sally fantasticavano su come avrebbero potuto divulgare il fatto degli extraterrestri nel miglior modo possibile. Accadde che ati due mesi si accorsero di amarsi reciprocamente. Dopo un po’ insieme e con grande timidezza, comunicarono al resto della famiglia la loro intenzione di sposarsi. Padre e fratelli ne furono molto contenti, ormai conoscevano bene Liam. Prepararono le nozze e nell’occasione Sally indossò il suo bel vestito nuovo color salmone chiaro. La vita continuò così per qualche mese. Ma non sapeva nessuno che Sally, periodicamente, andava in città a vendere i gioielli e le monete d’oro che aveva trovato nei cofanetti. Si recava in due o tre negozi, a turno, e incassava il contante. Un giorno, fatti i debiti conti, quando la sera si coricarono nella loro camera da letto, svelò a Liam di avere dei soldi da parte. Pensava di aprire un esercizio in città, era stufa della fattoria. Il mattino seguente lo dissero ai fratelli, motivando loro che i soldi li aveva messi da parte anche Liam, non voleva Sally svelare nulla dei gioielli nei cofanetti. Il padre e i due ragazzi non presero bene la notizia, voleva dire rimanere soli, e per questo pensarono che l’unica strada fosse quella di cercarsi pure loro una moglie. Così all’epoca si ragionava nelle campagne. Liam e Sally in breve trovarono quando loro desideravano e aprirono un
ristorante in città. Lo chiamarono DAGLI EXTRATERRESTRI. La gente, in maggioranza, non capiva nemmeno cosa volessero dire. In ogni caso si mangiava bene e gli affari andavano a gonfie vele. In cucina Sally era affiancata da altre persone e a un certo punto smise di fare la cuoca. I camerieri erano vestiti con una tuta blu e tra il nome del ristorante e questa divisa, la gente interrogava sul significato di tutto questo. Liam e Sally spiegavano la loro esperienza, e a macchia d’olio le informazioni si espandevano. Si sentivano in pace con la coscienza, avevano fatto tutto il possibile. Ebbero tre figli, i quali furono cresciuti sapendo ogni cosa relativa a quanto capitato anni prima ai loro genitori. Il tempo ò e la loro vita fu proficua e piacevole. Ogni tanto guardavano il cielo e sospiravano. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non potevano rispondere. Non potevano sapere che avevano dato, a ciascuno di loro, il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero dovuti maturare. E forse non li avrebbe mai visti lì, davanti alla porta della loro casa. Ma tutto questo aveva dato un senso alla vita e fino all’ultimo respiro pensarono a loro a al fatto di essere stati scelti. In là negli anni Sally una sera aprì il cofanetto contenente la piuma bianca e la
mise sotto il cuscino, poi si coricò. Quando Liam, dopo poco, giunse al letto, non si accorse nemmeno che aveva smesso di respirare. Si addormentò. La piuma si sfilò da sotto il cuscino dove l’aveva messa Sally e si posò sulla fronte di Liam. Il mattino seguente li trovarono così, sereni e uniti. Se ne erano andati in pace.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO 1923 – FRANCIA – LOUISE
Era ancora buio. Louise aprì gli occhi e vide filtrare dalle tende una debole luce. Quando accaduto le tornò subito alla mente. Che meravigliosa avventura! Era capitata a lei che … non era nessuno. Una donna quasi ormai più di mezza età, prossima alla vecchiaia, sola. E adesso? Aveva promesso di divulgare. Ma come? Non conosceva nessuno in particolare. La sua vita era metodica, tutti i giorni si recava nei pressi del Castello di Blois e vendeva qualche mazzolino di fiori ai turisti che vi si recavano in visita. Ma aveva promesso e doveva trovare il modo. Ripensò al sasso che le avevano dato, al pezzettino di luna. Sasso ……. forse un’idea le era venuta. Si alzò rapidamente, si rassettò e fece colazione. Era ancora presto.
Andò al mercato dei fiori a far provvista per la giornata. Intanto in sole sorgeva e il buio si schiariva. Sistemò il suo banchetto fuori dal castello, in attesa dei primi visitatori. Verso le nove iniziarono ad arrivare delle comitive. All’uscita lei offriva loro un mazzetto di fiori per ricordo, ad un costo irrisorio. Verso mezzogiorno, quando l’aria si era fatta più calda, chiuse tutto e si recò al ruscello, là dove gli extraterrestri l’avevano vista la prima volta. Si tolse le scarpe e le calze ed entrò con i piedi nell’acqua e, chinatasi, iniziò a raccogliere i sassi bianchi maggiormente simili al pezzo che aveva ricevuto in dono sulla luna. Ne raccolse una decina, dopo di che uscì dall’acqua, si asciugò i piedi e si diresse verso casa. Qui giunta cercò un cestino che ricordava di avere messo da parte, coprì il fondo con una tovaglietta blu e vi mise i sassi. Poi tornò a vendere i fiori. Ad ogni persona che li acquistava, insieme al mazzetto, regalava un sasso bianco che prendeva dal cestino. Senza commenti. Naturalmente tutti le chiedevano il perché di questo dono inusuale. E allora Louise iniziava a raccontare la sua avventura, diceva che era un pezzo di luna, parlava degli extraterrestri. A dire la verità alcuni sorridevano e scuotevano la testa e le ritornavano il sasso. Qualcun altro però lo teneva, ascoltava il suo racconto interessato. A sera aveva dato via tutti i sassi.
Il giorno dopo rifece esattamente lo stesso. Intanto la voce si era sparsa ed alcuni abitanti della cittadina si recarono da lei solo per sentire il suo racconto. Alcuni volevano anche in regalo un pezzo di luna, senza minimamente dubitare che erano solamente i sassi posti sul fondo del ruscello. La cosa continuò. Louise era divenuta famosa, veniva invitata a bere il the a casa di alcune signore che sino a quel momento non le avevano neanche mai rivolto la parola. Persino il giornale cittadino pubblicò un trafiletto con la sua storia. Louise era felice. Non si sentiva più sola. Continuò ancora per qualche anno a proporre fiori e sassi davanti al castello di Blois. Ormai il torrente era stato saccheggiato dei sassi bianchi e Louise dovette andare in altri luoghi e cercarli. Poi divenne troppo anziana per recarsi al mercato dei fiori. Troppo anziana per andare in giro a cercare i sassi. Ogni tanto guardava il cielo e sospirava. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non poteva rispondere. Non poteva sapere che le avevano dato il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero dovuti maturare. E forse lei non li avrebbe mai visti lì, davanti alla porta della sua casa.
Ma tutto questo aveva dato un senso alla sua vita e fino all’ultimo respiro pensò a loro a al fatto che era stata scelta. Se ne andò in pace, serrando nella mano il pezzetto di luna.
CAPITOLO QUINDICESIMO 1962 – IRLANDA - HELEN
Il sonno se ne andò ed Helen spalancò gli occhi e subito nelle orecchie udì il rumore del vento e della pioggia. Si alzò, indossò rapidamente la pesante vestaglia poggiata ai piedi del letto. Dalla finestra vide che il cielo era plumbeo e la pioggia scrosciante in mulinelli vorticosi. Si sedette pensosa sul letto, ripensando all’avventura capitata. Strano che avessero pensato a lei come divulgatrice di una cosa talmente … impossibile al pensiero umano. Lei così schiva. Ma anche pronta, più di chiunque altro, ad affrontare il cambiamento. Certo, l’avevano scelta per questo. Per il suo senso di estraneità nei confronti di tutto quello che la circondava, estraneità che stava arrivando al parossismo, contro tutto quello che era schierato contro l’essere umano e cioè le religioni organizzate, la scienza, la società moderna occidentale e quant’altro ancora non sapeva bene menzionare, tutto quanto mirato in realtà a distruggere e negare l’essere. Era nata consapevole di tutto questo, probabile retaggio di vite precedenti nelle quali aveva raggiunto al percezione di tutte queste falsità. Per anni aveva ricercato qualcosa di cui sentiva la mancanza, e si era poi resa conto che era solo fame del divino, quello vero, ma che tutto contribuiva ad impedire di raggiungere.
Quanta estraneità provava nei confronti di questa vita priva di significato, unicamente costellata da sacrifici, preoccupazioni, malattie. Ed a lei era andata pure bene, a confronto delle terribili esperienza di altre genti. Ma la ribellione che da sempre covava contro questa schiavitù a cui volontariamente il genere umano è assoggettato, questo desiderio di rompere le catene che tengono tutti prigionieri, era ormai al culmine. Cercava da sempre la chiave per potesse aprire i ferri invisibili che costringono a camminare come volevano loro … loro … loro chi? Loro che volevano far sì che la felicità dovesse consistere in un posto di lavoro in cui essere schiavi, loro che volevano far credere che la vita fosse quella mostrata in giro, ovunque si posi lo sguardo. Detestava il raggrinzimento del suo cuore quando la paura aveva il sopravvento e avrebbe voluto essere più forte. Non poteva più accettare questo mondo, non poteva più stare a vedere impotente. Per questo piangeva spesso e se la prendeva poi con se stessa. Aveva lasciato tutto e si era rifugiata in questa casetta in riva al mare proprio per cercare di ritrovare la capacità di vivere, di essere il più possibile lontano da una civiltà che non poteva riconoscere, in cui tutti erano, in un modo o nell’altro, carne da macello. Ed ora le era capitata questa straordinaria avventura. Quindi altri vedevano l’infelicità e la follia che pervadeva la terra e sarebbero venuti a porne fine. Ma come faceva a divulgare tutto questo, così priva di contatti e conoscenze? Accese il fuoco, era freddo e umido. Si vestì e bevve del the caldo.
Pensosa si mise a guardare la furia degli elementi là fuori. Erano una delle bellezze della terra, per lei più di una giornata di sole. Sorrise a se stessa e, preso un taccuino dalla borsetta, tolse il cappuccio alla biro trattenuta sul taccuino stesso da un elastico, e cominciò a fare un elenco delle possibilità che doveva costruire per far conoscere a più genti possibili quanto gli era stato detto. La giornata ò così, e la sera fu colta all’improvviso dal buio, senza rendersi conto che tante ore erano trascorse. Dentro si sentiva più serena. Il giorno seguente si recò al villaggio per acquistare qualche provvista e sondare il terreno. Prima di tutto doveva trovare un lavoro, possibilmente a mezza giornata. Questo l’avrebbe aiutata economicamente (dato che ormai non aveva quasi più riserve di denaro) e poi l’avrebbe messa a contatto con la gente. Certo il villaggio era piccolo e sicuramente le possibilità di trovare un lavoro erano poche. Arrivata al villaggio entrò nel negozio che vendeva alimentari, merceria, un po’ di tutto. Dietro al banco stava una donna avanti negli anni, i capelli corti pepe e sale, che la squadrò subito con diffidenza. Helen cercò di stamparsi in viso il migliore dei suoi sorrisi. Salutò con garbo la donna ed iniziò ad elencare quanto le abbisognava per la spesa. Questa iniziò a raccogliere quanto richiesto senza profferire verbo. Helen si fece coraggio e si presentò, informando che aveva preso in affitto una casa vicino al mare. Poi chiese alla donna se conosceva qualcuno che potesse
darle un lavoro, ne aveva proprio bisogno. La donna a queste parole si trasformò. Ma certo!! Proprio lei stava cercando qualcuno a cui affidare il negozio. Era stanca e voleva lasciare la conduzione. Una sua amica si era offerta di occuparsene il pomeriggio, quando la clientela era minore. Ma il mattino tutti venivano a fare la spese e le non aveva più voglia di continuare, era stanca e ormai avanti negli anni. Il negozio rimaneva suo, certamente. Avrebbe potuto dare un compenso da concordare. Helen disse che per lei andava più che bene. Si accordarono quindi per iniziare già l’indomani. Il giorno seguente Helen si recò di buon mattino al villaggio e iniziò il suo lavoro dietro il banco. Essendo la prima volta anche la padrona del negozio rimase con lei per illustrarle tutta la merce, i prezzi, eccetera, con l’intesa che già dal giorno seguente Helen sarebbe rimasta da sola. In questo primo approccio Helen provò a sondare il terreno con la donna, ma questa non comprese nemmeno l’argomento che stava per essere intavolato ed Helen non proseguì nella sua indagine. Il giorno seguente era sola. Parlò con gli avventori, soprattutto donne, che si recavano ogni giorno al negozio a comperare qualcosa. Erano tutte persone semplici ed i loro discorsi vertevano soprattutto sul tempo, sulla mancanza di denaro, sul cibo che avrebbero cucinato, su mariti, mogli, figli e nipoti, vicini di casa. Le solite piccole storie della gente.
Nel raggio di tre o quattro giorni Helen aveva conosciuto tutta la clientela e le inclinazioni di ognuno. Nel discorso quotidiano cominciò a lanciare qualche piccolo seme riguardo agli extraterrestri. Qualcuno faceva un commento, ma la cosa si fermava lì. Helen però non demordeva. Il discorso, giorno per giorno, si allargava. A volte la gente si fermava ben oltre dopo aver fatto gli acquisti, per il solo gusto di chiacchierare, cosa che non era mai stata certo possibile con la padrona del negozio che si era ritirata a vita privata. Parlavano sempre di più, abilmente guidati da Helen, della possibile vita al di fuori del pianeta terra. Sino a quando, un giorno, dopo circa un mese da quando aveva iniziato questo lavoro, mentre tre o quattro donne stavano dissertando sull’argomento, entrò una ragazza più giovane che non aveva mai visto prima Acquistò della frutta e dei crackers e udì l’argomento sul quale vertevano le chiacchere. Interessata si unì a loro. Per la prima volta il discorso si fece maggiormente pregnante, tanto che le persone entrate successivamente nel negozio si unirono a quanto detto da quelle presenti. In un raro momento di minore veemenza Helen decise di intromettersi e confessò apertamente di avere avuto un contratto reale con gli extraterrestri. Gli astanti prima rimasero basiti, poi la tempestarono di domande. Che raccontasse tutto, a questo punto … A dire la verità, qualcuno pareva ancora poco convinto.
In ogni caso dopo un po’ tutti furono costretti a tornare alle loro case per preparare il pranzo, con l’intesa di approfondire successivamente il discorso. Helen fu invitata per la sera nella saletta del pub del villaggio, in modo che anche altre persone potessero ascoltarla. Infatti intere famiglie, tra un bicchiere e l’altro di birra, ascoltarono Helen che dovette raccontare nuovamente tutto dall’inizio. Anche qui ci fu qualche sorriso di compatimento, ma la maggioranza chiese spiegazioni dettagliate Helen fu costretta a ripetere per filo e per segno quanto accaduto e quanto aveva promesso. Era molto tardi quando l’adunata si sciolse e quella notte Helen dormì nel magazzino adiacente al negozio. Naturalmente il giorno dopo le persone che si recarono a fare la spese continuarono a parlare del fatto. Coloro che l’avevano ascoltata la sera precedente e si recavano il mattino al lavoro nella vicina città non mancarono di informare della serata al pub, e così via i loro uditori. La notizia si sparse ed Helen fu anche intervistata da qualche radio locale. Nel suo piccolo Helen era dunque soddisfatta. Aveva raggiunto il suo scopo. Poi, in qualche modo, la notizia si raffreddò, come spesso accadde. Helen si sentiva la coscienza pulita, aveva fatto tutto il possibile. Continuò a lavorare nel negozio, ormai anche al pomeriggio, in quanto con il are degli anni era riuscita a diventarne la proprietaria. Tutto quanto accaduto aveva contribuito a far sì che il suo livore nei confronti della società si fosse un poco smussato, permettendole di vivere con sprazzi di
serenità. Il tempo ò nella quotidianità di ogni giorno. Il villaggio era divenuto la sua famiglia, nonostante continuasse ad abitare nella casa sul mare, e lei era rimasta comunque sola. Ogni tanto guardava il cielo e sospirava. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non sapeva rispondere. Non poteva sapere che le avevano dato il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero maturati. E forse lei non li avrebbe mai visti lì, davanti alla porta della sua casa. Ma tutto questo aveva dato un senso alla sua vita e fino all’ultimo respiro pensò a loro a al fatto che lei era stata scelta. Se ne andò in pace.
CAPITOLO SEDICESIMO 1931 – BRASILE - PATRICIO
Patricio si svegliò lentamente e si girò supino nel letto. Il pensiero di quanto accaduto lo colse di sorpresa, in quanto il sonno lo aveva allontanato. Che avventura!! A lui era capitata!! E adesso, aveva promesso la divulgazione, ma come poteva mai, lavorando nei giardini con i suoi compagni? Beh … qualcosa avrebbe escogitato. Tacque con tutti di quanto accaduto e si preparò per andare al lavoro, senza smettere nemmeno per un momento di pensare a ciò che avrebbe potuto fare. Per combinazione il giorno stesse arrivò la notizia che il sabato sera sarebbe arrivata una compagnia di teatranti nel paese. Fu approntato un palcoscenico di fortuna presso il locale di ristoro e la sera seguente tutti quanti, dopo avere cenato, andarono a godersi lo spettacolo. Dapprima fu recitata una commedia poi, alla fine di questa, apparvero cantanti e ballerine e la serata si animò ulteriormente e il pubblico cantò insieme a loro. Finita la rappresentazione, gli attori si mescolarono con gli altri nella sala e presero a chiacchierare e raccontare aneddoti di ogni sorta. Quando la compagnia si sciolse era molto tardi. Il giorno seguente l’alzarsi fu molto faticoso, ma erano felici di avere ato
una serata diversa ed in allegria. Riuscite ad immaginare come ava per la testa di Patricio? Si, proprio quello. Perché non aggregarsi a loro? Lui non era molto bravo nel ballo, ma avrebbe potuto cantare e recitare, si sentiva molto portato per questo. Senza fare scuole noiose, essere un eterno vagabondo e soprattutto … poter così divulgare quanto promesso agli extraterrestri. La sera, terminato il lavoro, si recò subito nel luogo dove la compagnia si era sistemata e chiese di parlare con il loro capo. Questi lo ascoltò senza interromperlo, perché Patricio seppe illustrare molto bene i suoi desideri e le sue capacità …. potenziali. Gli disse quindi che per lui andava bene, poteva aggregarsi a loro. Ci si doveva rendere conto delle sue capacità reali e certo non avrebbe fatto subito parti di primo piano e in ogni caso doveva, come tutti gli altri, aiutare a montare le strutture e fare, in caso di bisogno, altri lavoretti, come tutti appunto. Non era una compagnia importante e ognuno doveva in qualche modo contribuire. Per Patricio tutto questo calzava a pennello. Tornato alla fattoria, si recò subito dal Signor Pereira a comunicare la notizia. Avrebbe lavorato con lui ancora il giorno seguente, ma poi sarebbe partito con gli attori. Il Signor Pereira ne fu dispiaciuto, si era abituato a lavorare con Patricio e si era trovato bene. In ogni caso non poteva che accettare quanto detto con tanto entusiasmo dal ragazzo e potè solo augurargli buona fortuna.
La sera seguente con gli altri compagni di lavoro fece un po’ di bisboccia, si salutarono e si augurarono reciprocamente tutto il bene possibile. Il mattino presto Patricio e tutti gli altri attori si misero in cammino verso una nuova meta. Si fermavano due o tre giorni in un posto, rappresentavano più o meno sempre le stesse cose e poi partivano alla volta di altri luoghi. La prima volta di Patricio sul palcoscenico fu nelle vesti di comparsa, vestito da cavaliere con una alabarda in mano. Ma naturalmente lui fremeva, voleva essere protagonista. A dire il vero, dopo un po’ aveva perso qualcosa del suo iniziale entusiasmo. Il lavoro era a volte faticoso e di poca soddisfazione. Si recò dal capo e gli espresse il suo parere. Ma …. lui, Patricio, aveva una proposta. Un nuovo testo, una nuova commedia in cui lui sarebbe stato il protagonista. Ci voleva un rinnovamento, avrebbero potuto ritornare nei posti dove già erano stati senza ripetersi ogni volta, e se la cosa fosse piaciuta, avrebbero anche potuto recarsi a proporla in qualche teatro cittadino. Ahhh … davvero. Il capo sorrise tra sé e sé, senza però esternare le sue perplessità. E questo testo, questo nuovo testo, da dove sarebbe saltato fuori? Patricio gli porse prontamente un mazzo di fogli scritti a mano, parto della sua inesauribile fantasia. Ecco qui, da leggere. L’uomo prese i fogli e li posò sulla sedia a fianco.
Bene, avrebbe cominciato a leggerli più tardi e gli avrebbe fatto sapere. Patricio si congedò. Nel pomeriggio, dato che la sera non avrebbero lavorato, il Signor Santoz, questo era il come del capocomico, si accinse a leggere il testo di Patricio. Mano a mano che continuava si rese conto che la storia lo apionava. Finito che ebbe erano ate un paio d’ore. Il testo era interessante anche se particolarmente desueto. Diceva di extraterrestri, e chi mai ne aveva sentito parlare? Certo avrebbe potuto rappresentare una commedia, forse alla gente sarebbe piaciuta. Dopotutto era teatro, era fantasia, non realtà, e qualsiasi cosa poteva essere in qualche modo detta. Si recò da Patricio e lo trovò intento a sistemare un paravento scrostato. Gli comunicò il suo parere. Si poteva provare, tra di loro. Così anche gli altri avrebbero potuto esprimersi, dare la loro opinione. Patricio era felice. E così iniziò l’avventura. Provarono il testo, vi apportarono alcune modifiche, erano tutti contenti di avere qualcosa di nuovo da dire. Anche se questo nuovo era …… molto più che nuovo. Era straordinario, fantastico. Ma loro erano attori e potevano permetterselo. E qui bisogna riconoscere che Patricio, nella veste di protagonista, era esemplare.
Sembrava che avesse ato tutta la sua vita sul palcoscenico. Provarono e riprovarono. Quando si sentirono pronti decisero di rappresentare la commedia in un posto piccolo, tanto per saggiare il terreno. E così fu. Il pubblico all’inizio parve non comprendere e fischiò sonoramente, ma loro erano preparati e tutto e continuarono a recitare. Mano a mano che la commedia si evolveva, anche il pubblico fu catturato dalla trama e poi dai costumi e alla fine applaudì. Tutti i protagonisti si inchinarono felici. Poi il sipario si chiuse e Patricio, che non aveva certo preavvisato i compagni, uscì da solo con la sua tuta blu e chiese silenzio al pubblico. Spiegò che, pur essendo molto felice che la rappresentazione fosse stata così bene accolta, voleva dire ancora qualcosa. Quanto avevano visto rappresentava una sua reale esperienza. Era stato sulla luna, con altri compagni, aveva parlato con gli extraterrestri e questi gli avevano chiesto di diffondere a più genti possibile il fatto che loro esistevano e sarebbero venuti quanto prima sulla terra in pacifico aiuto. Gli astanti ascoltarono in silenzio quanto detto da Patricio e poi nella sala si levò un brusio e iniziarono le domande. Qualcuno chiese se per caso non li prendesse in giro, se questa era la continuazione dello spettacolo. No, disse Patricio, questa era pura verità. Nel mentre i suoi compagni erano usciti da dietro le quinte ed ascoltato il suo discorso. Si unirono al pubblico.
Patricio dovette ripetere più volte il suo racconto. Si era fatto tardi e la gente ritornò alle loro case continuando a parlare tra di loro di questa rivelazione. La sera seguente altre persone vennero a vedere lo spettacolo e si ripeterono le stesse scene. La carovana degli attori si spostava un paio di volte la settimana. Raggiunsero paesi e città. Ed ogni volta, tra le altre commedie, anche questa veniva rappresentata. Vi fu un aparola. Ogni volta il pubblico aumentava e così gli introiti della compagnia, che veniva ormai chiamata in parecchi posti. Patricio continuò a fare l’attore girovago sino alla fine dei suoi giorni ed a propagandare l’arrivo degli extraterrestri. Era la vita che aveva in qualche modo desiderato. Ogni tanto guardava il cielo e sospirava. Quando sarebbero arrivati a rendere più facile la vita degli uomini? A questo non poteva rispondere. Non poteva sapere che gli avevano dato il compito di seminatore. Come a tutti gli altri. Ma i tempi sarebbero dovuti maturare. E forse lui non li avrebbe mai visti lì, davanti alla sua porta. Ma tutto questo aveva dato un senso alla sua vita e fino all’ultimo respiro pensò a loro a al fatto che lui era stato scelto. Se ne andò in pace.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO UN INVERNO DEL VENTUNESIMO SECOLO – CHAMPS ELYSEES – PARIGI
Un sole tiepido scaldava piacevolmente la frizzante aria invernale di Parigi. Lungo la eggiata alberata si potevano incontrare dei teatrini di marionette all’aperto per i bambini. Data la giornata festiva, si erano formati diversi gruppi davanti ai teatrini, bambini di tante razze diverse, uniti nel sorriso che la recita delle marionette donava. Dinanzi ad uno di questi teatrini, accompagnati dai genitori, sostavano otto bambini. Erano tutti all’incirca della stessa età, sei o sette anni. Uno era biondo e paffuto, il visetto sporco della crema del dolce che stava gustando voracemente. La madre lo redarguì: Solinter, mangia più adagio. Un altro piccolo cinesino teneva gli occhi sbarrati ascoltando le paradossali vicende della storia raccontata dai burattini. Si girò verso il padre accanto a lui: mi scappa la pipì. Il padre lo prese per mano e lo accompagnò al bagno del bar più vicino. Terminato che ebbe di fare pipì il bimbo corse subito a vedere i burattini: il padre lo richiamò: Li Am, non correre così, potresti cadere. C’erano anche due bambine con i capelli crespi tipici delle mulatte, tenuti però
stretti in due treccine che terminavano con un fiocco rosso l’una e con un fiocco giallo l’altra. Ridevano di gusto ascoltando le storie dei burattini, tanto da lacrimare per il gran ridere. Usarono una manica del giubbotto per asciugarsi. La madre le rimproverò: Helen, Beth, non sapete che esistono i fazzoletti? Ecco, pulitevi con questi. Vieni qui Patricio, fatti pulire il nasino. Intanto in un angolo un altro bimbo guardava divertito lo spettacolo, insieme ai due fratellini. Erano tre bei bambini dalla pelle rosata ed i capelli rossi, Ogni tanto, tra una risata e l’altra, si facevano dei dispetti ed i due genitori che li accompagnavano dovevano intervenire per sedare eventuali reazioni rissose: adesso basta, bambini, altrimenti vi riportiamo a casa di corsa. Tu Serge, stai calmo e lascia in pace Sally e Louise. Smettetela. Ecco, prendete questo dolcetto e state buoni. I bimbi si quietarono alla vista dei dolcetti e presero a mangiarli felici. Intanto i viali si riempivano di gente, tanta gente, troppa, anche per un giorno di festa. Un genitore del nostro gruppetto fermò in ante: ma quanta gente, sta accadendo qualcosa? L’altro rispose concitato: si, non so bene, la televisione ha detto che ci sono tante astronavi che si stanno dirigendo qui … non so … Lo spettacolo dei burattini fu interrotto. Stavano arrivando telecamere, tante telecamere e tanta gente. Tutti i bimbi furono presi strettamente per mano. E all’improvviso …. Accadde. Apparvero astronavi nel cielo ed una di loro si abbassò sul grande viale.
Vi fu un fuggi fuggi generale verso gli alberi e la parte asfaltata si svuotò. L’astronave si fermò accanto all’Arco di Trionfo. Solo il vento si faceva sentire tra gli alberi. Nessuno fiatava più, tutti presi dalla visione di quanto stava accadendo. Si spalancò uno sportello e tre esseri simili all’uomo nelle loro fattezze esterne, dalla pelle azzurrina, vestiti con una tuta blu, scesero dall’astronave. Nello stesso istante gli otto bambini che avevano assistito allo spettacolo delle marionette furono come presi da un tremito ed automaticamente si misero una mano in tasca e trassero un sasso che pareva bianco, ma forse non lo era. All’unisono ricordarono il contatto già avuto in altre vite con questi visitatori. Si scrollarono tutti insieme dal rispettivi genitori, che naturalmente si spaventarono non poco e cercarono di trattenerli, senza tuttavia riuscirci. Tutti e otto i bambini si diressero verso i tre extraterresti che sorrisero loro e li presero per mano. Non erano considerati i piccoli bambini che vivevano ora a Parigi. Erano gli otto individui che si erano ritrovati tempo fa sulla luna e che avevano provato a diffondere una notizia straordinaria. Le telecamere riprendevano ogni cosa, il momento era …… unico. Si diressero verso le telecamere, bambini ed extraterrestri insieme. I tre visitatori dissero solo poche frasi, comprensibili in ogni lingua del pianeta: - Siamo venuti in pace per aiutarvi a superare le difficoltà. Loro, i vostri padroni, di cui nemmeno conoscete l’esistenza, sono stati neutralizzati. C’è voluto molto tempo, ma non vi faranno più del male.
Non dovrete mai più essere schiavi di nessuno. Vi aiuteremo a guarire malattie del corpo, dell’anima, a guarire le acque e le terre, a tutelare uomini ed animali. Poi torneremo da dove siamo venuti. In pace. Insieme ai bambini si misero quindi a cantare sommessamente una melodia e i presenti e chi li osservava dai teleschermi nelle case di tutto il mondo si unirono a loro, e tutti intonarono le note più conosciute della Sinfonia del Nuovo Mondo, melodia di pace e rinascita.
EPILOGO
Ecco, questo è quello che è scaturito dal mio cuore e dalla mia penna. Ho raccontato delle storie, ma dentro di me sento che tutto questo dovrà accadere entro breve. Ho sempre cantato fuori dal coro e continuerò a farlo. Il libro forse a qualcuno non piacerà. Pazienza. Ma l’avventura del nostro mondo è profondamente sentita, percepita in modo palpabile. Liberiamoci dalle catene. Probabilmente solo noi stessi potremo salvarci, ma un benvenuto a chiunque venga ad aiutarci. Sento profondamente la schiavizzazione delle nostre vite, credo profondamente in questo. Liberiamoci aprendo i nostri cuori e le nostre menti. Voi che mi leggete non potete che ammettere queste verità. Se gli extraterrestri verranno ad aiutarci che siano i benvenuti. Altrimenti agiamo da soli. In pace e armonia, spezziamo le catene ed impariamo, TUTTI, a pensare con la nostra testa. Nessuno, mai più, dovrà controllare le nostre vite. Lasciamoci alle spalle millenni di follia e guardiamo avanti.
Insieme potremo cambiare questo nostro mondo e far si che diventi l’Eden perduto.