Giancarlo Lotti, collaboratore di giustizia Mentre prosegue la preziosa trascrizione delle udienza del processo ai Compagni di Merende (199798) su Insufficienza di Prove, Paolo Cochi ha messo a disposizione sul proprio canale Youtube la videocassetta contenente la registrazione dell'arringa finale del difensore di Vanni avvocato Mazzeo (04.03.1998). In questo interessantissimo documento, (che finora non era stato diffuso in quanto Radio Radicale non ha pubblicato le registrazioni audio del processo di I grado, ma solo di quello di appello) Mazzeo affronta, in maniera a mio giudizio, molto chiara ed efficace, alcune problematiche centrali in quel processo, inerenti la valutazione della confessione, della chiamata in correità, degli indizi o riscontri esterni. Vale la pena, per chi non avesse il tempo o la pazienza di ascoltare tutto l'intervento del difensore, riportarne qui alcuni punti. Questa di seguito è la parte introduttiva, in cui Mazzeo cita ampiamente la fondamentale Sentenza 1653/93 (caso Sofri-Marino). Per maggior chiarezza metto in corsivo le citazioni e tra parentesi i commenti estemporanei dell'avvocato. La Corte di Cassazione su questo argomento così delicato, così infido come la chiamata di correo ha ritenuto opportuno pronunciarsi a Sezioni Unite e ha formulato una regola di giudizio (…) è il caso Sofri, sentenza Marino + altri (…) dove la Suprema Corte dice: "I problemi relativi all'interpretazione dell'art. 192 comma 3 del C.P.P. vigente, per la parte concernente la corretta valutazione della chiamata in correità, unitamente agli elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, presuppone nell'ordine logico la risoluzione degli interrogativi che la stessa chiamata in correità in sé considerata pone, sotto un duplice aspetto (…): in primo luogo occorre sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (il problema della credibilità del Lotti, confidente e accusatore, ha confessato e accusato) in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo ato, ai rapporti con i chiamati in correità (rapporti Lotti-Vanni, per esempio), e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all'accusa dei coautori e complici (il catartico sentimento di autoliberazione di cui si parlava prima. Quindi allora, primo esame che deve fare il giudice: la credibilità; (…) In secondo luogo, dice la Cassazione, il problema della verifica della intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle sue dichiarazioni (Allora: intanto vediamo la persona, poi vediamo cosa ci dice…) alla luce dei criteri che l'esperienza giurisprudenziale ha individuato (e quali sono i criteri per stabilire se il racconto del Lotti ha l'apparenza della verità, è incredibile o credibile? I criteri sono): precisione, coerenza, costanza, spontaneità ( e così via. Avete notato che non mette più disinteresse…) Ovviamente i problemi ora accennati e quelli relativi ai riscontri cosiddetti esterni o oggettivi, concettualmente distinti, possono concretamente intrecciarsi e tuttavia il giudice deve compiere l'esame seguendo l'ordine logico sopra indicato (personalità, attendibilità, credibilità, veridicità delle sue narrazioni, riscontri oggettivi) perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensano sulla chiamata in sé, (…) indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa. A questo punto, l'avvocato Mazzeo a ad esaminare il caso concreto in applicazione della sentenza della Cassazione.
"I dubbi che si addensano sulla chiamata in sé con riferimento al Lotti. Allora andiamo ad esaminare ad esempio la personalità. Prima di tutto che bisogna fare? La verifica del dichiarante in relazione alla sua personalità. E' assolutamente condivisibile il rappresentante della pubblica accusa laddove vi ha illustrato la personalità del Lotti. Cito testualmente la requisitoria del Pubblico Ministero. Dobbiamo esaminare la sua personalità. Dice così (Ndr: citazioni in corsivo). E' un emarginato, una personalità debole e sottomettibile, cede alle personalità più forti, è portato a subire qualunque minaccia, anzi, la ingigantisce; è uno che non riesce ad elaborare nessuna difesa, subisce; è una persona che non ha valori (che non ha valori; quanto può essere credibile una persona che non ha valori? Un uomo in vendita, commenterei io; ma andiamo avanti, sentiamo quello che dice il Pubblico Ministero), il mondo intorno a lui è inesistente (quindi problemi di coscienza se deve mettere nei guai qualcuno non se ne porrà; lo dice il Pubblico Ministero e il Pubblico Ministero, direbbe Marco Antonio, è un uomo d'onore, bisogna credergli). L'unica cosa che gli interessa è la soddisfazione di bisogni elementari, primari: un tetto, una macchina seppure usata, le 50.000 lire per andare con le prostitute (mamma mia che personalità); non coltiva sentimenti religiosi (non vi fate fuorviare dal fatto che fosse lì in quella comunità gestita da un prete); sta in comunità soltanto perché ha bisogno di un tetto. (che cosa si può aggiungere, quale commento bisogna fare? Uno solo, questo lo faccio io, non è del Pubblico Ministero: tipo ideale di calunniatore per proprio tornaconto). Se il giudice deve prima di tutto, nell'ordine logico dettato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esaminare la personalità per evidentemente fugare i dubbi, chiarire gli eventuali dubbi che si addensano sulla chiamata in sé, quindi prima di tutto la personalità, lasciamo perdere quello che ha dichiarato, che elemento è questo? E qui c'è da allargare le braccia, signori. Questo è il peggior tipo di chiamante in correità che si può trovare sulla sua strada un giudice (…) che deve decidere sul destino delle persone con uno che non ha valori, il mondo intorno a lui è inesistente, l'unica cosa che gli interessa son le cinquantamila lire per andare con le prostitute, non coltiva sentimenti religiosi (…) Qui si parte da un materiale, signori, che (…) qui abbiamo raschiato il fondo del barile con un uomo così, si parla di attendibile, inattendibile, questo è la quintessenza dell'inattendibilità." Dopo di che, l'avvocato Mazzeo si dilunga in un parallelismo con la Storia della Colonna Infame di Alessandro Manzoni (già peraltro adombrato dal giudice Ferri nel titolo stesso del suo pamphlet), culturalmente interessante, ma che qui omettiamo per brevità. Sentiamo ora cosa dice l'avvocato Mazzeo sulla valenza giudiziaria della confessione. "Se c'è una prova, un mezzo di prova che è veramente delicatissimo, e queste sono parole della suprema Corte di Cassazione, è proprio la confessione. (…) E quindi, la confessione non è quella specie di meccanismo automatico o semiautomatico che vi ha descritto il Pubblico Ministero, è un mezzo di prova delicatissimo perché le motivazioni che possono indurre una persona, in un giudizio penale, ad andare in qualche modo contro natura accusandosi, perché l'istinto naturale, primordiale dell'uomo è quello di difendersi, non di accusarsi, quello di negare le proprie responsabilità, non di ammetterle, quindi ci troviamo già di fronte ad una situazione in cui il giudizio deve essere particolarmente sveglio, ecco, c'è uno che confessa, la prima regola, la prima regola vorrei dire pratica, di buon senso comune, non di giudizio positivo, è di dire: ma perché confessa costui?
Chiediamoci perché? Se lo chiede molto bene, dai tempi dei tempi, il legislatore che ha previsto infatti nel codice penale il reato di autocalunnia. L'autocalunnia è la fattispecie in cui c'è un soggetto il quale falsamente confessa di essere colpevole di qualche reato. Il legislatore l'ha previsto questo come figura autonoma di reato contro l'amministrazione della giustizia, perché chi confessa falsamente di aver commesso un reato in pratica intralcia il libero corso della giustizia, perché magari distoglie l'attenzione degli inquirenti e dei giudici dal vero colpevole. Quali sono le motivazioni che possono spingere una persona a confessarsi colpevole? Esemplificazioni di (false) confessioni dovute ad infermità di mente, altro squilibrio psichico, a fanatismo, ad auto- ed eterosuggestione, a ragioni di lucro, a spirito di omertà. (…) Noi siamo qui per stabilire se la confessione che riguarda questo processo è vera o falsa. (…) Dice la Cassazione in quella sentenza 26 settembre 1996 n. 8724: <
> quando si dice appunto << il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati>> niente riscontri oggettivi, non necessariamente, una confessione può essere ritenuta valida, vera, al di là dei riscontri oggettivi, semplicemente alla base di una valutazione congrua, evidentemente, e logicamente corretta della credibilità intrinseca e della attendibilità intrinseca, non estrinseca, senza riscontri, di colui che si confessa (colpevole). Per esempio una confessione evidentemente frutto di un catartico sentimento di espiazione – e questo certamente non è il caso del Lotti – quella potrebbe essere considerata sufficiente, di per sé, senza bisogno di riscontri, una prova sufficiente a fondare la condanna di chi? Di colui che si confessa colpevole, cioè a dire del Lotti, per tornare a noi. (…) Dice la Cassazione (…): <
> Il quadro è abbastanza chiaro. Di mio, aggiungo una citazione da un articolo del giurista Franco Cordero (La confessione nel quadro decisorio): <
>. Si parla ora dei riscontri necessari per validare la chiamata in correità; ossia, dando anche per ammessa la credibilità intrinseca delle dichiarazioni autoaccusatorie del Lotti, di quanto necessario per provare la partecipazione ai delitti di Mario Vanni (come è ben noto, Pacciani non è parte di questo processo e comunque al momento della sua conclusione è già defunto). "I riscontri… (ndr: per validare la chiamata in correità) occorrono quindi altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità. Gli altri elementi di prova, la suprema Corte ha avuto modo di spiegare in più occasioni che non c'è limite qui…; altri elementi di prova può essere prova diretta, prova indiretta, prova provata, indizi – indizi, uso sempre il plurale perché lo usa il legislatore, indizi, certi, numerosi, gravi precisi, concordanti, i requisiti degli indizi – anche gli indizi possono rappresentare riscontri, siete stati voi sommersi da una raffica di cosiddetti indizi nella prima settimana di discussione, da una raffica di cosiddetti riscontri oggettivi, io molto sommessamente dico che non ho mai sentito usare la parola indizio o riscontro oggettivo così a sproposito come in
questo processo (…); qui si è parlato soprattutto di riscontri che, nelle parole di coloro che hanno parlato sarebbero indizi, ad esempio questo carosello di macchine in prossimità dei luoghi dei delitti di Vicchio e di Scopeti, questa girandola di macchine, una, due, bianca, nera, rossa, chiara, scura in ore prossime a quelle degli omicidi in luoghi prossimi a quelli degli omicidi, questo è l'indizio; non è un indizio, lo vedremo. (…) Quindi, la differenza che a tra l'indizio e il sospetto, tra ciò che è e ciò che si vuol vedere. Cosa sono gli indizi. Allora Cassazione 4 aprile 1968: <
>. Cassazione 25 marzo 1976 caso Milena Sutter: <
>. Cassazione 25 maggio 1995: <
>. Guardate quante parole: impressioni, suggestioni, immaginazioni, sospetti, ipotesi di lavoro, desideri; hanno desiderato che in quelle macchine che giravano intorno a Vicchio quella sera ci fosse il Vanni, ma nessuno l'ha detto che c'era Vanni. Il Vanni non lo nomina nessuno: quello sarebbe stato un indizio, perbacco, dice: <
>. Cassazione (ndr: non cita gli estremi): <
>. Questi (ndr:intende il fatto che i testimoni descrivono delle macchine - vedi sopra) non sono neanche indizi, sono sospetti." Sulla base di queste massime di Cassazione citate dall'avvocato Mazzeo possiamo per conto nostro valutare la forza degli indizi che furono raccolti non solo nel processo ai Compagni di merende (dove in realtà i riscontri oggettivi mancano totalmente, essendo il Vanni stato condannato unicamente sulla base delle accuse del Lotti), ma anche in precedenza. Ad esempio: Salvatore Vinci: per la morte della prima moglie, nessuno; per i delitti seriali uno straccio con macchie di sangue e residui di polvere da sparo, che però non poté essere direttamente collegato né all'arma dei delitti né alle vittime. Pietro Pacciani: un album da disegno che non è certo appartenesse alle vittime tedesche, un proiettile cal. 22 che non è certo fosse stato incamerato nell'arma dei delitti. Un ben misero raccolto, dal quale ancor più risalta il valore di prova diretta e definitiva della confessione, che però andrebbe molto attentamente vagliata dal giudice per quanto riguarda la propria intrinseca credibilità. Non è un caso che in tutta la storia gli unici processi che si concludono con la condanna dei presunti colpevoli sono quelli fondati sulla confessione: il processo Mele del 1970, il processo ai Compagni di Merende 1997-98. Ne parleremo nella prossima e ultima puntata.
Per trattare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni auto-accusatorie del Lotti, trasferiamoci ora, sempre in compagnia dell'avvocato Mazzeo, al processo di Appello (1999), che argomenta ancora sulla base della Sentenza di Cassazione a Sezioni Unite già citata (quella del caso Marino – Sofri) criticando l'assunto con il quale la Corte di Assise ha giustificato le innumerevoli incoerenze ed evoluzioni del racconto di Lotti nel tempo, dai primi interrogatori in qualità di teste al dibattimento. "Quindi, credibilità del personaggio, dice la Suprema Corte a sezioni unite, <<problema della verifica dell'intrinseca consistenza e delle caratteristiche del racconto in base ai canoni della spontaneità>>, poi vedremo, <<della coerenza, della verosimiglianza, della puntualità>>. Il giudice di primo grado nell'incipit, si potrebbe dire, a pag. 25 ha sentito il bisogno di una premessa e io devo leggerla questa premessa perché qui si parla di sentenze di primo grado. Dice così: <
> Ecco, l'ignaro lettore che si imbatte a pag. 25/26 della sentenza, ad avviso di questo difensore, non ha più bisogno neanche di andare avanti e di leggersi le altre 200 pagine perché ha già capito che la sentenza sarà sul punto centrale della causa che è la questione della credibilità del dichiarante, del confessore e chiamante in correità, la sentenza ha già detto la sua, ha già fornito al Lotti una patente, una patente di credibilità, ha detto io ti credo e anche se in certe tue affermazioni, dichiarazioni appari o sei oggettivamente, perché in contrasto con risultanze processuali con fatti accertati, non credibile, io comunque ti assolvo perché tu quelle dichiarazioni non veritiere le hai fatte, le hai rese, con riferimento a questa versione di comodo che tendeva a sminuire il tuo reale ruolo di palo che avevi concretamente assunto in queste vicende delittuose. Allora la sentenza, questa premessa, contiene una serie di errori, errori di fatto ed errori di diritto. Errori di fatto perché si riassume tutte la congerie delle dichiarazioni del Lotti, dalle indagini preliminari fino all'incidente probatorio, fino all'esame dibattimentale, distinguendolo in tre fasi o momenti successivi: dichiarazioni iniziali/intermedie/finali e si dice che il ruolo di palo, di complice istituzionale, ad ogni effetto in questo sodalizio criminale egli lo avrebbe confessato soltanto nella fase finale, quando finalmente rispondendo ha chiarito la sua posizione. Non è vero (…)". Riprende l'avvocato Mazzeo al processo di appello (21 maggio 1999).
"E allora, torniamo alla Suprema Corte, torniamo ai canoni che devono guidare con umiltà il percorso del magistrato che adopera il buon senso comune e che non intende essere offeso da queste cose. Si parlava di questo con riferimento agli aggiustamenti del racconto, alle modifiche del racconto, perché è evidente che i racconti qui bisogna dire, perché è evidente che in due anni e mezzo il Lotti ha reso vari racconti, quindi i racconti è umano che presentino, che possano presentare sfasature, incoerenze e quindi che ci possano essere anche delle contraddizioni, purché queste contraddizioni non riguardino dati decisivi- dice la Suprema Corte -, ma riguardino soltanto dati di contorno, perché siamo fatti anche noi, voglio dire, di cellule e quindi la memoria umana specie quando si parla di fatti successi 10-15 anni prima può essere fallace, ma, attenzione, qual è il criterio che deve guidare il giudicante? Qui parlano della sentenza Sofri-Marino: <
> ed è il nostro caso <<dell'adeguamento puro e semplice della propria versione a fronte dell'emergere di contestazioni e di risultanze processuali da far quadrare con essa.>> (…) L'aggiustamento del racconto, se è spontaneo, se è non provocato da contestazioni o da risultanze processuali insanabilmente in contrasto con il racconto è ammesso evidentemente, perché fa parte della natura umana non avere la perfezione di una macchina, ma quando questo aggiustamento avviene dopo che ci sono state le contestazioni, dopo che si è fatto presente che il racconto in questo caso contrasta insanabilmente con dati processuali e probatori acquisiti altrove, questo aggiustamento, lungi dall'essere spontaneo, è semmai un'indicazione ben precisa per il magistrato che si tratta appunto di un <
>". Ma mi sono dilungato troppo, è tempo di concludere con alcune considerazioni del tutto personali. La confessione del Lotti, nonostante con tutta evidenza non rispetti i canoni fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione (precisione, costanza, coerenza, spontaneità e così via) e nonostante la personalità del reo confesso dia adito a dubbi fondati sulle sue motivazioni, viene giudicata credibile (incredibilmente credibile, mi si perdoni il calembour). Il fatto si è che la Pubblica Accusa, in mancanza di riscontri oggettivi quali potrebbero essere la pistola o i feticci, si presenta al processo con un'arma imbattibile, un testimone oculare (Fernando Pucci) che conferma (da testimone e non da imputato) la scena narrata dal Lotti riguardo all'ultimo delitto. Accertato che due testi (di cui è uno è anche imputato e quindi assumerà su di sé le conseguenze penali del suo dire) hanno visto Pacciani e Vanni uccidere a Scopeti, tutto il resto viene da sé, andando a ritroso nel tempo. La scelta fatta dalla Procura di non indagare il Pucci per concorso o quanto meno favoreggiamento, permettendogli così di testimoniare, si rivela quindi assai azzeccata dal punto di vista accusatorio. Lotti e Pucci, pur in posizioni processuali del tutto diverse, stanno insieme (simul stabunt vel simul cadent). Dirà la Cassazione: <
> Ciò comporta che i difensori del Vanni dovranno seguire una tattica obbligata;
non potendo dimostrare che Vanni non ha partecipato agli omicidi (poiché due testi affermano di averlo visto), devono minare la credibilità dei testi stessi, dimostrare che hanno detto il falso; e quale modo migliore se non quello di negare che i due fossero sul posto, che abbiano davvero visto qualcosa? L'ansia di smentire la veridicità del racconto porta però ad appuntarsi troppo spesso e troppo a lungo su dettagli e particolari; argomentazioni che entrambi i tribunali avranno agio di rigettare adducendo difetti della memoria, il lungo tempo ato, difficoltà di comprensione ed esposizione dei testi. Il risultato è quello che conosciamo, ma forse non si poteva fare di più.