I Senza Padre 5vo2f

Yanuk Lurjiame

I senza padre

Youcanprint Self-Publishing

Titolo | I senza padre

Autore | Yanuk Lurjiame

ISBN | 9788866186991

Prima edizione digitale: 2015

© Tutti i diritti riservati all’Autore

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I

I SENZA PADRE

Diario di Ion Milkheev

…Agosto…

Ogni giorno da molto tempo le mie notti sono dominate da un crepitio mentale, onde radio oniriche che si propagano nell’intorno dominato dalla mia attenzione. Sono i Senza Padre, I Taomur-yre.n, quella gente che rimase chiusa nei mondi di Bhaar. Non credo siano moltissimi, ancora.

E questo stampato giace sulla parete.

Prima che trovassi la mia Stele di Rosetta non avevo idea di cosa significasse, ora è innanzi a me, una martellante icona. Fu tale disegno tremolante ad avermi introdotto in una nuova conoscenza.

L’Orfano di Sofia

Subito dopo l’accademia venni inviato presso l’Institut pour l’Accueil - chiamato in modo familiare ‘IA’ - di Sofia, ero un tenente. Non c’è nulla che possa descrivere come quell’epidemia di eventi catastrofici, ata alla storia semplicemente come La Crisi, avesse ridotto un paese che, già prima che il disastro europeo avvenisse, zoppicava per essere su un binario di normalità. Ricordando com’erano ridotti gli orfani di quel luogo, a malapena posso formulare un pensiero con un verbo al futuro. Era estate e un’afa malsana mi chiudeva la mente e la gola mentre mi trovavo con la torcia puntata sulle pareti di un condotto di scolo nei sotterranei di Sofia.

“Ci vivono dei ragazzini, qui, Tenente, sbrighiamoci, altrimenti si danno l’allarme e non li prendiamo più”.

All’orizzonte allignava un’epidemia di tifo, l’ennesima in Bulgaria. Ormai era una prassi, per la gente di Sofia, vedere uomini con scafandri spruzzare polvere bianca per le strade e rimuovere i corpi dei piccoli vagabondi, ridotti a pelli stese sullo scheletro.

“Cosa significa questa scritta, Maggiore?” chiesi al mio mentore, che mi aveva condotto sino a lì.

“Ma che diavolo ne so! Sono mesi che i nostri uomini segnalano questi sgorbi! Non siamo riusciti a capire cosa siano, forse sono dei messaggi che si danno fra loro, questi ragazzini. O peggio, uno scambio d’informazione fra mercanti di carne. Magari occupatene tu, cervellone!”

Sapeva dei miei studi particolari - che avevo condotto di notte - sulle leggende di questi luoghi costruiti nei tunnel, sussurrate da una popolazione che stavo inseguendo sin da quando all’accademia mi era stata presentata una foto con quei graffiti. Per questo avevo scelto Sofia come prima destinazione. Volevo vedere con i miei occhi.

L’Accademia non aveva dato peso a questi reperti murali, descritti solo sommariamente per illustrare ai cadetti la vita dei ragazzini nelle fogne. Ma io rimanevo sveglio, tormentato da quei disegni incisi sulle mura dei sotterranei. Nessuno voleva are la mia propensione a studiarli; solo il Maggiore Todorv, sospettando che potessero trattarsi di messaggi dei nostri avversari, aveva dato corda al mio studio e richiesto all’Accademia il mio trasferimento nel suo IA in Bulgaria. Per questo mi stava conducendo nei tunnel alla ricerca dei ragazzini infettati da tifo e di questi strani scritti.

*

Fu un giorno in cui dovemmo strappare un ragazzino alle fogne che trovai quel che cercavo e che la mia conoscenza delle cose mutò del tutto. Lo inseguimmo per mezza città ma alla fine lo trovammo. Non vi fu molto da fare. Morì dopo poco, per il tifo, in ospedale. Ero con lui gli attimi che precedettero la sua morte, cercando di alleviargli quei momenti. Mi parlò poco prima di spirare e mi lasciò stupito, perché fino a quel momento non aveva emesso fiato, tanto da farci pensare che fosse sordo muto:

“Matthia, io so cosa cerchi. Ti ho visto mentre leggevi le nostre memorie. Ora ascolta bene. Ho nella tasca della giacca un foglio. È il progetto di un’iscrizione che avrei dovuto lasciare su un muro, ma mi sono mancate le forze. Troverai quello che cerchi. Sei fortunato, soldato. Forse è l’unica volta in cui ho traslitterato un testo murale. Non lo faccio mai, è evidente che tu l’aspettavi e che il foglio lo sapeva.”

Mi colpì la lucidità con cui mi stava parlando. Non parve un ragazzino di dieci anni, bensì un adulto che stava cercando di dire una cosa assurda. Soprattutto, rimasi basito guardando poi ciò che mi aveva lasciato il ragazzino. Lui non sapeva leggere né scrivere, poiché aveva campato sempre per le strade di Sofia, non aveva avuto maestri, né genitori e non aveva messo piede in alcun orfanotrofio.

“Ragazzo, non mi chiamo Matthia. Io sono Ion, Ion Milkheev. Se mi dici chi è Matthia, posso chiamarlo, affinché venga subito qui da te. È una persona di cui ti fidi?”

Mi rispose con queste parole: “No, va bene così. Matthia è davanti a me. Prima di essere Ion era Matthia”.

Come potevo comprendere ciò che mi stava dicendo? Forse la febbre tifica gli stava devastando la mente e parlava mischiando delirio a verità. Gli presi una mano e gli dissi solo:

“D’accordo, Matthia ti ascolta”, diedi corda alla sua triste allucinazione.

In quel momento però, non appena proferii la mia frase, avvertii dentro di me

uno squasso improvviso. Vidi un uomo su una spiaggia spazzata da un vento freddo innanzi a un mare dal colore del metallo, probabilmente era un paesaggio di una costa del Nord. Indossava una divisa nera con una cappa pesante ma indossata senza alcuno sforzo, naturalmente, come fosse un paio di ali. Pareva un guerriero di un lontano futuro. E sembrava preoccupato. Non ho avuto più una simile visione, tanto viva.

Mi ripresi e cercai quanto mi aveva detto il piccolo orfano. Trovai quel pezzo di carta.

Il foglio aveva il testo scritto sia con quei strani caratteri che avevamo visto sui muri che in lettere latine.

Mi lasciò senza neppure dirmi come si chiamava, non aveva alcun documento, e nessun amico che avesse potuto riconoscerlo. Così morì il mio piccolo poeta anonimo.

*

Ho sotto gli occhi questo foglio di quaderno che mi lasciò il piccolo bambino di Sofia, l’ho con me da tanto tempo:

Quel giorno, per la prima volta, potei leggere la traduzione e i suoni di una di quelle scritte che avevo inseguito per tanto tempo, una Stele di Rosetta rinvenuta nelle tasche di un piccolo vagabondo di Sofia: Ertzomathaÿe taomur-yre.n Troverai i Senza Padre Amimkardomathaÿe im.marzak.ir Quando scenderai nel pozzo Æromaÿe natzen Aprirai gli occhi: Ekasemseÿen Loro disperano

Ysmis-i-Sansulbatzia istoposmark.is (perché) Quel pozzo è Sansulbazia

Quella scritta che dominava solitaria la mia parete ora aveva un senso. Riuscii a traslitterarla grazie ai fogli del Piccolo Poeta Anonimo e vi trovai esattamente quel nome: Allaghé.

Dopo quell’evento continuai la mia vita in diversi IA europei sino a quando, una volta divenuto Maggiore a mia volta, non fui inviato a reggere l’Istituto del mio paese.

***

I Mercanti della Crisi

Il Maggiore Ion Milkheev seguiva il piccolo zingaro da un po’. Serviva nell’OIGE da molto tempo. L’Organisation Internationale pour la Garde des Enfants era uno strano ente nato in Elvezia e gestito da militari e medici ma con mandato universale. La sede di Lugano aveva ricevuto una segnalazione, dalla polizia di frontiera con l’Italia, di un ragazzino fra i sette e i dieci anni che sgattaiolava per le strette vie di Basso sino a inoltrarsi nei boschi dell’Insubria. I testimoni lo descrivano di fattezze “simili a quelle di uno zingaro”.

L’OIGE aveva diversi Istituti di Accoglienza, IA, Institut pour l’Accueil, di piccoli orfani sparsi un po’ ovunque nel mondo e inviò l’ordine di occuparsi di quest’avvistamento al Maggiore Milkheev, comandante dell’I.A. di Urizzone, molto vicino a Basso, appena prima della frontiera con l’Italia. Urizzone come

Basso era un piccolo villaggio ai bordi delle montagne ticinesi, dalle piccole e strette vie, con le minuscole chiese medioevali. Le prime vetrine di un paese dove la Crisi era ata senza lasciare le cicatrici deleterie che invece aveva inflitto a quasi tutti i paesi d’Europa.

Il Maggiore cercò notizie per poter risalire al luogo dove il piccolo si rifugiava, ma prenderlo non fu facile. Per giorni Ion venne portato allo sfinimento vista la rapidità e l’astuzia del fanciullo, incongrue per la sua età. Sembrava un gatto randagio, furtivo, che all’occorrenza poteva reagire aggredendo chi gli si faceva troppo vicino.

Gli Scanziani, che allevavano cavalli da almeno tre generazioni, ricordavano bene il ragazzino. Sorpreso a rubare il cibo dei loro cani, non poteva lasciare indifferenti gli abitanti della fattoria. La Crisi, che sino ad allora era stata vista all’orizzonte, oltre la sbarra della frontiera, ora si era manifestata in quel momento in casa loro, nel modo più tremendo.

Accolsero Ion amichevolmente. Fu Marianne, la figlia maggiore, che gli raccontò di quando quel piccolo Bulgaro era stato ammaliato da un uomo di aspetto gradevole, sulla cinquantina, vestito con la camicia nera dei preti. Lo conoscevano bene in paese, per questo nessuno si era mosso. Era l’insegnante di fisica presso il Seminario Arcivescovile di Tonago, poco al di là della frontiera. Il seminario era un punto di riferimento per i piccoli sbandati della Crisi. Entravano zingari e ne uscivano dottori. Forse, disse la giovane Scanziani, il piccolo orfanello avrebbe avuto un destino migliore lì dentro che per strada. Perciò nessuno aveva reputato utile intervenire quando Lutwak aveva convinto il piccolo a entrare nel Convitto.

*

La Crisi, attraverso i suoi orrori, tolse alle persone la capacità di intuire cosa si stesse preparando nel loro mondo, anestetizzandoli con il motto “il fine giustifica i mezzi”. Pur di rendere degli uomini civili e onesti, dei lavoratori, quella massa di fanciulli disperati, ogni cosa poteva andar bene e il prezzo da pagare per essere ammessi nella società produttiva non era mai simile alla miseria in cui versavano. Essere un lavoratore significava essere un ingranaggio utile. Se non eri un ingaggio eri un miserabile.

Ion Milkheev cercò sempre di rimanere immune dalla droga sociale del fine come giustifica di ogni mezzo; la sua squallida solitudine faceva da contrappeso all’impulso del cervello che attirava verso quella droga: sposati, stabilizza la società con la tua famiglia, lavora. Ion si chiedeva se, con tutti quei piccoli disperati in giro, si potessero “stabilizzare” le cose sfornando altri serbatoi di sangue ed emozioni. Ma i cartelloni pubblicitari dicevano così: un nucleo familiare era un nucleo di vita nuova, solo crescendo un figlio equilibrato si dava alla società un membro adatto a governarla.

Ion trovò nella prigione in cui dei luridi mercanti di carne avevano rinchiuso il piccolo Kioran qualcosa di assurdo. Il Maggiore lottò duramente per liberarsi delle resistenze dei suoi superiori a Lugano, ai quali pareva un atto blasfemo un’irruzione dell’OIGE nella cripta del più grande Seminario dell’arco alpino. Il Convitto di Tonago era un faro nelle tenebre portate dalla Crisi.

Da tempo Ion Milkheev studiava padre Lutwak, quel prete professore di fisica presso il Seminario Arcivescovile. Ebbe il consenso a seguire il caso, ma da lontano.

Doveva muoversi cauto a ridosso della frontiera italo-elvetica, oltreare in silenzio la sbarra che separava Urizzone dal paese lombardo Tànago, tipico esempio della vecchia edilizia grigia degli operai italiani che lavorano oltre la frontiera. Ion doveva evitare quegli sguardi che tutto sapevano e tutto vedevano alle pendici del Generoso. D’altronde se pur scombussolate dagli eventi funesti

della Crisi, le sessanta banche, le orologerie e la grande fonderia d’oro sorreggevano bene il paese e tutto il Cantone, perciò perché destabilizzare una società che era inamovibile anche nelle fasi più nere del peggior incubo che l’umanità avesse ato?

La Crisi non ha portato una guerra. Non ha portato un dittatore alla ribalta nel mondo. Non ha sterminato un popolo. La Crisi si è infilata nella mente delle persone. Ha divelto i suoi parametri, l’ha buttata in uno stato di perenne sconforto. Ma almeno ha spalancato una porta sulla realtà e ciò che doveva essere svelato, in parte, lo è stato.

*

Il Seminario di Tonago era, da quattro secoli, sede dei più tradizionali insegnamenti religiosi nelle terre alpine. Padre Lutwak era un’eminenza nella sua materia, per vent’anni insegnò in quel piccolo complesso di vecchi edifici, al riparo dal clamore cittadino. La Crisi dissolse anche l’annoso problema delle poche vocazioni, poiché a parte il richiamo a lavorare in un luogo protetto come un ambiente accademico e cattolico, furono i piccoli figli del disastro “che come cani randagi infestavano l’Europa, da Lisbona sino a Kiev” a riportare di moda le tonache nere.

I piccoli vagabondi erano gli orfani dei suicidi, delle politiche dissennate, dei lavoratori che morivano di stanchezza, migrando da una macchina a un campo di patate. E dei militari spediti a combattere in luoghi inesistenti, inventati al momento del bisogno, per disinnescare i più pericolosi focolai di protesta all’interno delle forze armate.

Nonostante fosse sempre perfetta nei suoi schemi, l’Elvezia aveva mutato qualcosa al suo interno, e in virtù di tale cambiamento mantenne la sua solidità.

La società militare aveva assunto un gran potere, divenendo una vera e propria casta. Sino agli eventi che degenerarono in tutta Europa, l’Elvezia aveva mantenuto un’organizzazione dell’esercito basata sulla leva obbligatoria. Agli ufficiali erano concessi dei buoni posti di lavoro, da sempre: era una grande tradizione di mercenari, a partire dai Lanzichenecchi sino alle Guardie del Papa. Fu per la solidità di questa struttura militare che la società non subì il tracollo al pari degli altri popoli. I cittadini, rigidi e abituati già allo schema sociale delle caserme, non ebbero problemi a are nelle mani dei soldati che evitarono la sedizione entro i confini patri. All’interno del paese più montagnoso d’Europa un militare era da sempre considerato “più cittadino” di un cittadino che avesse ricevuto un esonero.

Seppure Ion fosse nato nel Cantone se e avesse prestato giuramento come ufficiale dopo l’accademia, rimaneva “l’Armeno”: così lo chiamavano i suoi colleghi, per via delle sue origini. Il padre, un dipendente del Comitato di Croce Rossa Internazionale, si era trasferito in Elvezia e Ion era nato lì. Quel nomignolo fu anche la pena inflittagli dalla società per non aver mai instaurato alcun legame profondo con le persone del luogo, perciò neppure con il luogo stesso. Nonostante questa sua eterna estraneità genetica e psichica si era laureato in medicina ed era un buon militare sicché era entrato nell’OIGE, uno scrigno morale dell’Elvezia, ed era stato inviato come comandante a occuparsi dell’IA di Urizzone.

Di IA ve ne erano un po’ ovunque in Europa, servivano per assorbire i piccoli orfani. In Elvezia vi erano i migliori IA del mondo, vi entravano come piccole creature randagie e ne uscivano come soldati dell’esercito cantonale, agricoltori, orologiai, ingranaggi in grado di sostenere le grandi macchine produttive della società più stabile dell’intero pianeta. Era lo stesso schema seguito del Seminario Arcivescovile e da altre Istituzioni simili: ricostruire i disperati perché fossero ingranaggi degni della società.

***

Peter Lutwak

Nella soffice atmosfera di Urizzone, protetta dal massiccio del Monte Generoso, il pio servo del Signore Don Peter Lutwak perpetuava la tradizione del Seminario, accogliendo ragazzi indigenti perché studiassero per farne dei preti. Ogni anno a natale il coro dei bambini seminaristi nella parrocchia commuoveva i cittadini. Ben pettinati, nelle loro tuniche bianche e oro, sembravano così lontani dai piccoli vagabondi scheletrici che infestavano le strade della Francia o dell’Italia. Persino nella linda Scandinavia non erano assenti branchi simili di disperati.

“L’Armeno” non aveva mai presieduto quel concerto natalizio, se pure invitato in qualità di “custode” delle piccole anime dell’IA Teremon.

Atteggiamento che aveva contribuito ad alienargli ulteriormente le già fievoli simpatie del paese. “L’Armeno” si portava addosso un’aura di freddezza che riempiva interi pomeriggi nei pub dove scorreva la birra e nelle conventicole delle donne che racimolavano beneficenza. Il “soldato dell’est”, uno dei vari epiteti, come “il monaco”, per il suo modo di vivere, era uno degli argomenti più di moda nei luoghi di ritrovo di Urizzone. Bisognava stare attenti alle lingue veloci delle donne. Così abili da are dai pettegolezzi fra loro nelle bocche degli uomini. E la bocca di Ion era davvero appetibile per quelle femmine dalla gonna lunga e sportiva e la camicia ben abbottonata.

*

Storia vecchia e scontata quella delle belve che protette dalla tonaca reclutano carne fresca per i loro banchetti sadici. Un mondo intero si sorregge su queste cloache sotterranee della cronaca, in ogni sua latitudine e in ogni suo tempo. Ma di Ion Milkheev l’unica cosa che si sapeva per certo era che fosse uno di quegli

uomini nati “cattivi” per contrastare i “cattivi” in quei fiumi di orrenda banalità che da sempre percorrono il mondo. Lui, però, neppure ci pensava a “combattere il male”, anzi, secondo Ion un uomo come lui era destinato sempre a perdere. Era come un alieno trapiantato all’improvviso in un mondo straniero: non condivideva alcuna radice che radicava la gente a quella terra e disprezzava ogni usanza e ogni immagine della loro memoria. Se aveva la certezza che qualcuno fosse implicato in un qualsiasi genere di commercio perverso adoperava mezzi non sottili senza troppa discrezione. Pare avesse anche istigato al suicidio due donne che avevano ceduto i loro figli a dei balordi sacerdoti di Bhaar, sebbene nessuno ne avesse le prove. Alcune intercettazioni durante un interrogatorio con una di queste due signore sembrò avesse detto: “In prigione ti faranno a pezzi e fuori non sarà meglio, non appena i giornalisti conosceranno la tua storia”. Nessuno poté associare legalmente queste parole al suicidio della donna avvenuto due giorni dopo, ma nessuno avviò un’indagine, proprio per via di ciò che aveva fatto quella donna. Dunque seppur tremenda la sua condotta con quella signora fu molto concreta.

*

Poliziotto e scapolo, detestava ogni forma di aggregazione sociale. Rimaneva ore da solo, nessuno sapeva dove fossero i suoi pensieri, visto che non veniva mai visto con una donna, neppure fra i container in mezzo alla taiga, un po’ fuori dal centro abitato, dove il sesso si compra. Non era neppure tipo da accompagnarsi con quelli del suo stesso genere. Non era omosessuale, una volta aveva anche gettato la sua scrivania addosso a un colonnello dell’Armata che aveva osato un apprezzamento. I suoi commilitoni lo avevano applaudito - viste le ultime uscite del Capo di Stato sui gay il suo comportamento aveva riflettuto d’altronde lo spirito reazionario dei suoi concittadini – ma in risposta lui li aveva disprezzati e insultati, sbattendoli fuori dal suo studio. Non c’era una cosa che il mondo fe che a Ion stesse bene: agiva e parlava come se ogni cosa fosse nata sbagliata. Tutto era errato sin dall’origine.

Il suo era un curriculum particolare: specializzato in psichiatria, aveva affrontato

un periodo di studi di criminologia. La desolazione della sua vita faceva eco solo allo squallore di Teremon, un edificio circondato da montagne, dove la società civile metteva in ibernazione i suoi piccoli demoni perché non arrecassero più scandali. Un luogo che si era intrecciato con la vita di Ion sino a divenire un terzo filamento del suo dna, per via della sua sempre più mirata caccia ai “commercianti di carne”, come chiamava coloro che smerciavano i bambini partoriti al solo scopo di venire venduti a questi macellai.

Non era comunista. Non era religioso. Non era un nazionalista. Era indefinibile. Freddo.

***

L’Orfano Bulgaro

Quando Ion penetrò nel Seminario capì come erano andati i fatti. Il piccolo era scappato dal Seminario, per questo Lutwak lo stava cercando. Il fatto che la polizia italiana come quella cantonale non fosse stata avvertita aveva il suo senso, che scoprì da lì a poco.

Le mura della prigione di Kioran erano zeppe di scritte e disegni, uno spettacolo inedito anche per Ion. Quel piccolo bulgaro proveniente da un oscuro mercato di ragazzini capitò nella casa di Dio di padre Lutwak grazie alla stessa polizia, che liberò qualche piccolo schiavo dalle mani di quei sadici e lo affidò al seminario del prete.

Sarebbe andata male se Kioran fosse stato un bambino come gli altri. Ma proprio quelle iscrizioni fecero impazzire il prete. Lui avrebbe subito concluso tutto

immolando il piccolo corpo innanzi al suo Signore, ma non poteva farlo se gli astri non si fossero configurati nel modo giusto; la pena per aver sgarrato alla liturgia sarebbe stata tremenda. Più teneva in vita Kioran, più il bambino continuava a farfugliare e scrivere cose assurde.

Una notte Peter Lutwak, in preda a un’angoscia terrificante che lo faceva sudare al punto di appiccicargli i lunghi capelli rossi sul volto adunco, si allontanò dalla sagrestia per entrare nel bosco. Ion lo stava pedinando da giorni. Lo seguì nella foresta. I due si incontrarono. Non si sa cosa accadde, né cosa gli fece Milkheev. Ma di sicuro si sa che il prete confessò ogni cosa. Forse vi fu una rissa fra i due e che Ion avesse avuto la meglio non destò clamore, vista la sua imponenza e il suo addestramento. Di contro il prete era alto ma molliccio, ossuto, un cane rabbioso coi più piccoli, ma tiepido con gli adulti. Lutwak era avviluppato dal terrore poiché sentiva che proprio quelle incomprensibili assurdità che il piccolo Kioran borbottava lo stavano accerchiando nella mente, portandolo nella follia.

Quando Ion irruppe nella cripta il piccolo non mosse ciglio: non avrebbe reagito neppure se la porta si fosse aperta per portarlo al patibolo. Indifferente alla vita come alla morte, fra le cose che ripeteva vi era anche una strana frase: “Il Muro ama espellere dal suo cemento i corpi e Bhaar li fa vivere per poi ucciderli e riportarli nel Muro”.

Ion lo avvolse in una coperta. Strano modo di conoscersi. Il Maggiore capì subito che non c’era alcun bisogno dei servizi sociali “specializzati”, anzi, avrebbero potuto essere d’impiccio. Kioran non era come i bambini della sua età e ciò che manifestava non era il risultato degli abusi. Molto semplicemente, il piccolo bulgaro era un’altra cosa rispetto a ciò che l’uomo conosce.

Teremon

Sulla scheda di Kioran il Responsabile dell’Accettazione aveva impresso la sigla SVMS: soggetto a vigilanza di massima sicurezza, perché il suo aspetto cupo, il suo parlare più simile a un adulto in preda a deliri continui di una sindrome dissociativa che a quello di un bambino sotto stress post traumatico, avevano dato modo di pensare al signor Scotti all’imminenza di un qualche gesto pericoloso.

Teremon a livello di sicurezza era uno degli orfanotrofi più “caldi” del complesso Elvetico dell’OIGE poiché, con l’andar del tempo, era divenuto anche cimitero dove le nazioni, in accordo con l’Organizzazione Internazionale seppellivano, i piccoli psicopatici che scorrazzavano nelle loro terre. D’altronde Urizzone era sprofondato in una terra nascosta dalle montagne, dove l’aria pulita scalzava il fetore della disperazione di chi era stato letteralmente abbandonato per strada all’età di sei o sette anni. Delle cure di questi vagabondi nessuna famiglia poteva farsene carico dopo la Crisi e tanto meno gli Stati, le cui casse erano ridotte all’osso. L’Elvezia e pochi altri stati erano riusciti in qualche modo a sopravvivere, a differenza di altri paesi che erano stati sbriciolati dalle tremende difficoltà. Dalle rovine del mondo provenivano i bambini come Kioran, messi al mondo solo per essere venduti ed evitare la morte per fame di interi gruppi di persone. Nonostante tutto del mondo era rimasta la patina delle buone maniere, sicché uno Stato sopravissuto al dramma della crisi aveva l’obbligo di mostrarsi come un piccolo Eden ricostituito in terra, per di più l’Elvezia era uno di quei paesi “vincenti”, perciò il suo sistema era necessariamente IL sistema e quindi, come le altre nazioni che avevano vinto in quella miseria, doveva mettere in mostra un certo tenore di vita. I minori fragili, disturbati, non erano parte di questo sistema da pubblicità. Andavano “ricostruiti”. Ma per ricostruire bisogna, prima di tutto, distruggere.

*

Teremon era un cimitero dunque, lì veniva sepolto un bambino senza futuro, lì veniva disgregato, per estirpargli le radici più profonde e impiantargliene di nuove. Il prodotto di un OIGE era un elemento della classe di base della società:

un soldato, un agricoltore, un operaio. Un uomo pulito, a cui era stato infilato nella mente che il suo ruolo era il migliore possibile per la sua condizione e che il suo paese era il migliore possibile dove potesse lavorare. Era necessario che questi uomini nuovi, rifondati e riprogrammati, cominciassero a popolare anche gli altri Stati; l’Elvezia, però, era un po’ riottosa a “rilasciare” questi suoi prodotti. Il contenzioso si giocava fra le diplomazie dei diversi Stati ma ancora non era risolto e il aporto non veniva rilasciato facilmente ai giovani adulti di un OIGE.

Teremon era l’OIGE più temuto dalle autorità, poiché lì finivano i “senza speranza”, i sogni infranti di Ginevra, il suo Consolato Generale nel Cantone se. Kioran era uno di questi “progetti falliti” inadatto a qualsiasi programma di reinserimento sociale. Non collaborava minimamente. Detestava ogni tentativo di avvicinarlo a una famiglia delle comunità montane per l’affidamento. Imbrattava i muri, ma più di ogni altra cosa desiderava rimanere da solo, chino su dei fogli con un pennello in mano. Sebbene fosse più intelligente dei suoi coetanei nessuno era in grado di capire dove fosse quest’intelligenza. Non era una forma di autismo. Si era come impresso da sé il marchio di “irrecuperabile”. Presto tutti avevano perso le speranze con lui.

*

Ion era un medico ma non era il capo psichiatra di Teremon. Era il suo responsabile militare. Quella mattina voleva capire di più sulla sua nascita in Bulgaria di Kioran e dove avesse vissuto sino al momento in cui era stato venduto. Lo trovò accovacciato in un angolo del soggiorno, seduto al tavolino del capo psichiatra dell’istituto, Dano Peterson.

“Peterson, che succede?” chiese.

“Non t’intromettere, Milkheev!” ringhiò il dottore. I due erano ai ferri corti da tempo.

“Se pensi di sezionare il cervello di questo ragazzino con i tuoi insulsi test, capiti male” rimandò con sarcasmo Ion.

“Pensa al tuo lavoro una buona volta e non tediarmi con i tuoi discorsi inconsulti!” si alterò il medico

“Dicevo, con Kioran non ricaverai alcunché per le tue ricerche”, mantenne la calma l’Armeno.

Il dottore proseguì senza dargli ascolto. Amava ripetere ai ragazzini di Teremon che uno psichiatra è colui che va a caccia di draghi, come i cavalieri di un tempo, e decise di raccontarlo anche al suo nuovo paziente.

Kioran, udito ciò, rispose: “Tu bestemmi, uomo. La tua natura è in quel corpo in decomposizione già dalla nascita, l’alcova dello stesso drago che dici di combattere. Dalla tua bocca esce il suo fumo, dunque come potresti combatterlo?”

“Ti voglio aiutare, Kioran. Sono qui per te” rispose disorientato da quelle parole che il bimbo aveva emesso senza il minimo incespicare, così distanti da ogni tipo di ragionamento che ci si sarebbe potuti aspettare da una giovane mente sconvolta.

“Allora se vuoi aiutarmi chiudi quella fetida porta dalla quale escono le immonde flatulenze del drago. Il tuo silenzio mi gioverà ben più dei tuoi liquami psichici, lugubre discepolo di Mesmer.”

“Il grave abuso che ha subito il bambino…” cominciò a spiegare un Peterson, con le labbra appiccicate al suo telefono programmato sulla registrazione vocale, sempre più allibito che non sapeva in quale definizione psichiatrica rifugiarsi per scampare ad altre spiegazioni circa la mente di quel bimbo. ‘Autistico sapiente’, ‘psicosi da personalità multipla’, ‘diagnosi da disturbo dell’attenzione’, nessuna di queste parole riusciva a svelare qualcosa, se mai, si facevano sempre più simili a formule magiche o ad antichi scongiuri sciamanici poiché, mano mano che l’uomo cercava di inquadrare il suo piccolo paziente, pareva disperdersi nell’inutilità delle sue stesse certezze accademiche.

La sua registrazione fu interrotta da Kioran: “Attento uomo, perché al di là delle tue fantasie, viviamo dentro un vero drago, che avvolge tutto e col suo corpo disegna un cerchio la cui testa imbocca la coda e dentro vi è tutto ciò che conosci. Egli è colui che t’insuffla il fumo e che ti fa parlare”.

Tentò ancora una volta di riportare le parole del piccolo nel suo schema, cominciò a parlare nel registratore: “Disturbo da stress post traumatico che induce la mente del bimbo a ossessionarsi con materie religiose, probabilmente un atteggiamento maturato durante la sua prigionia, per difendersi dagli abusi”.

Ion restò fermo osservando Kioran, il quale, senza scomporsi rimandò le “accuse”: “E in te, uomo, che segui pedissequo senza sbavature la liturgia della tua scienza, senza un o fuori dai suoi dogmi, chi ha indotto la tua religione?”

“Sono uno scienziato, non un prete” ripeté lo psichiatra, sconcertato, quasi intimorito dal tono freddo e senza flessioni con cui quel bimbo parlava.

Ion intervenne: “Penso ne abbia abbastanza dei tuoi tentativi d’esorcismo, Peterson…”

“Non ti permettere, Milkheev! Ti ho già detto di starmi lontano quando cerco di formulare delle diagnosi su questi ragazzi!” si rivoltò.

“Tu non sei un medico, sei solo una sorta di stregone che pensa di andare a caccia di spiritelli maligni, che per sembrare serio chiami ‘disturbi psichiatrici’. Il nostro piccolo amico dice il vero, stai solo servendo una religione. Teremon ti aiuta a farti sentire un campione nel tuo lavoro, nessuno di loro potrà mai riferire al mondo le sciocchezze di cui ti vanti. Ora vattene e lasciami solo con questo ragazzino, prima che perda la pazienza e denunci io ai giornali le tue stupidaggini.”

“Tu devi solo stare molto attento, Maggiore, – ringhiò – basta un mio timbro sulla scheda di questo tuo amico per spedirlo al posto di una scimmia in qualche stabulario della Novavitas*! E qui di scimmie ce ne sono molte, solo il tuo stupido attaccamento a questi inutili soggetti mi impedisce di spedirli tutti nelle loro gabbie. Quindi evita di farmi arrabbiare, Maggiore, o Ginevra scoprirà che stai sperperando inutilmente le risorse su casi che non hanno nulla da dare al mondo”.

“Sono un soldato, il mio lavoro è estirpare i mercanti di carne dalla faccia della terra e portare via loro le prede. Non devo giudicare cosa è utile o meno al mondo” replicò Ion, con freddezza, innanzi alle labbra contratte dello psichiatra.

*

L’uomo si astenne sempre dal denunciare Peterson poiché questi era figlio di un potente barone della medicina. Le minacce che proferiva erano reali. Una sua ripicca avrebbe potuto nuocere ai piccoli orfani di Teremon e per il momento quell’Istituto consentiva di proteggerli dalle mani fameliche dei vivisettori delle case farmaceutiche. Se i commercianti di carne non avevano pudore, l’OIGE agiva in modo forse ancor più detestabile. I progetti falliti dell’OIGE avevano un peso e un costo e la Confederazione per quanto benestante, non poteva trascinarsi quelle creature come gambe amputate di una società zoppa. La legge era ferrea sul codice etico degli sperimentatori, ma la crisi era una tentazione troppo potente verso il raggiungimento di vette d’eccellenza. E l’OIGE cadde nella tentazione di vendere quelle giovani esistenze ai laboratori. Ufficialmente venivano trasferiti in “Strutture Protette” dove vi era personale più specializzato in casi estremi. Nessuno però ne aveva mai vista una. Tutti gli operatori e i militari che lavoravano nell’OIGE sapevano invece cosa fossero.

Per Ion la sicurezza data da Peterson era un compromesso certe volte indigeribile, però viste le condizioni di Kioran - che il medico non tardò a definire un “vuoto a perdere” - fortunatamente lo psichiatra mollò la presa, cedendo la vittoria a Ion. Pur isolato in Teremon, quel bimbo poteva essere un fallimento troppo eclatante per la carriera dell’uomo che preferì applicare altrove le sue tecniche di cura psichiatriche.

***

Diario di Ion Milkheev

Inizi di Settembre di un’era qualsiasi

nella Ruota Maledetta

Per circa un mese ho varcato la frontiera e mi sono piantato innanzi ai cancelli del Seminario Arcivescovile, il dominatore del panorama di Tànago, paese italiano di nessuna importanza ai piedi del Monte Rosa. L’edificio che lo sovrasta, imperioso dalla sua collina, pare essere l’unica cosa che giustifichi l’esistenza di quel flaccido villaggio prealpino. Accade attorno alle 3 del mattino: un impulso interiore mi spinge a fermarmi davanti all’imponente cortile d’ingresso. E sino alle prime ore oltre l’alba vi sosto di nascosto, osservando cosa accade.

Riguardando le rivoltanti immagini riprese nei miei appostamenti innanzi a quel bestione di marmo l’unica spiegazione possibile che mi viene in mente è che stiamo marcendo. Non si tratta più dello schifo che provo quando osservo quell’ammasso di carne nello specchio al momento in cui devo farmi la barba, né della vergogna nell’avere un cuore che pulsa, sperando di tacerla con una bottiglia di vodka. Ci siamo spinti troppo oltre, immergendoci in una miseria che deambula con la propria bara di carne addosso. Forse una tragedia cosmica creata per essere ridicola. Persino le sue perversioni sono tanto tragiche quanto ridicole. Non v’è nulla di serio nella bava di desiderio d’un uomo mentre si china a macellare l’oggetto della sua eccitazione, nulla che possa somigliare al ruggito d’una belva che strazia le carni di una preda ancora viva. È semplicemente ridicolo e orrendo. Credo che nell’istante in cui quell’uomo molliccio che massacra la carne di chi gli si è affidato con totale fiducia per essere istruito sulle cose più alte dell’anima umana, Bhaar e la sua alcova di servi crepi dalle risate. Ridere è il suo scopo principale. Ha creato l’universo che ha creato per puro divertimento.

*

I Senza Padre. Oggi a malapena posso guardarmi nello specchio, mentre mi prendo cura di me stesso in bagno. Ma non posso più evitare di percepire le onde

radio di un nulla assordante. I Senza Padre urlano di dolore.

Nel cosmo, le tribù di Bhaar danno loro la caccia, li disperdono, li rapiscono, li sacrificano. Con i loro spiriti devono impastare la sabbia all’acqua perché il Muro edifichi sempre se stesso. Sempre continuamente, senza tregua, un unico mattone che si ripete nel tempo, uguale nell’illusione dei suoi servi che siano miliardi di mattoni, ma è sempre uno. Lo stesso ricalco che viene sfornato dal calderone che i disperati chiamano “terra”, e pensano che sia “opera”. In realtà è solo un’immensa macina a cui siamo stati attaccati per la gola: dobbiamo trascinarla affinché sgrani la farina necessaria per sostenere il Costruttore del Muro.

*

Kioran è uno dei Senza Padre. Il primo che abbia incontrato dopo il Poeta Anonimo di Sofia. Anche lui bulgaro, da quanto sono riuscito a ricostruire.

Coincidenza sin troppo manifesta, non posso tacermela. Ripete di non essere umano e di vedere i demoni che si agitano nel Muro.

“Sono un Allaghé” ripete sempre in modo quasi ossessivo.

Altra similitudine con il Piccolo Poeta Anonimo: la maturità intellettiva. Se lo porto nella sala con gli altri coetanei a vedere i cartoni animati, può succedere che mi tiri addosso un soprammobile. a ore da solo a disegnare. Registra a voce, grazie a un piccolo computer che gli ho fornito. Per giornate intere registra racconti, non sa scrivere per via delle sue miserabili origini. Ho deciso di trascrivere i racconti che mi ha lasciato in questo suo diario vocale.

Credo di aver compreso la mia relazione con i Senza Padre, almeno una parte. Prima che trascrivessi la registrazione di questa notte, Kioran mi ha detto: “Non sei sempre stato qui e non sei sempre stato tu. Prima di essere Ion eri Matthia”.

Rimango come fulminato da una scossa. Un brivido rovente mi a nella schiena. La stessa frase che mi aveva detto l’Orfano di Sofia, il Poeta Anonimo. E in un istanti riebbi la visione di quell’uomo a bordo nel Mar del Nord. Quell’uomo è me stesso nel futuro o nel ato o in un altro dove?

Inutile chiedere a Kioran, non elargisce spiegazioni se non nelle sue registrazioni. Mentre non racconta, se ne rimane a disegnare e non ascolta.

*

Ora, prima di mettere assieme i frammenti trascritti della registrazione notturna, mi abbandono a qualche riflessione personale. Mi perdoni chi legge questo resoconto se non v’è segnata la data, come ci si attenderebbe da un registro come si deve. La Ruota Maledetta della vita arriva dopo l’incanto della luna di miele con il Muro. Ho da tempo superato la disillusione delle nozze della mia Anima con Bhaar. Quando in te accade qualcosa di simile perdi ogni afflato verso i giorni, cioè verso l’opera di tale Ruota, perciò ti disgusta persino il sentirne l’odore. Quando una moglie picchiata dal marito arriva al punto di denunciarlo, significa che ogni sua cellula è ricolma di disperazione e di dolore. Non può fare altro che dividersi da chi l’ha macellata per anni, poiché la stessa vicinanza del suo aguzzino le rende difficile anche respirare.

Non tutte le donne hanno la forza e non tutte arrivano a tale misura. Ma quando una di loro riesce a percepire che in quella violenza non v’è nulla di vero, nulla

di ciò che le era stato promesso, mentre i due si sono dichiarati sposi innanzi al Dio del Tempo, e una volta ata l’epoca in cui si ripeteva ogni giorno della sua vita: “Cambierà. Lo farò cambiare.

Tutti possiamo cambiare”, allora può sentire, nel tragico silenzio in cui è sprofondata, le urla soffocate nella sua gola, può annusare l’afrore nauseante del suo alcolismo mentre la sevizia. Tutto appare sotto una luce diversa: ciò che chiama vita non è altro che uno squallido sogno infranto, un romanticismo da quattro soldi inventato da qualcun altro per convincerla del suo “potere di cambiare gli uomini”. Anche io sono coniuge e sono figlio al tempo stesso di qualcosa di orrendo e violento. Lo sono tutt’ora. E forse sono ancora nell’era del “posso cambiarlo”. Ma so anche che non posso cambiare nulla del Muro. Tragica consapevolezza, lo so. Ma per ora posso descrivermi solo in questo modo.

*

Di Bhaar, o meglio di tale nome con cui veniva chiamato, grande betoniera delle Anime, io, Ion Milkheev, ne ebbi conoscenza prima con gli scritti murali dell’orfano di Sofia e in seguito attraverso i racconti del piccolo Kioran. Lutwak, la crisi del mondo, il mondo stesso erano gli alvei interni del Muro. Ebbene, non posso che essere concorde con la visione degli Allaghé, poiché sono solo uno spettro che si aggira di loculo in loculo, cercando in qualche modo le povere Anime che gridano aiutano per dar loro almeno la speranza di uno spiraglio. Il male ci attornia, poiché è il cemento con cui questo squallido costruttore ha edificato il suo regno, creando un popolo che lo abiti e con esso la più feroce di tutte le specie, alla quale appartengo.

Continuerò ad aggiornare questo giornale, registrazione dopo registrazione, a memoria di chi verrà dopo di me in questo posto. Teremon vivrà finché esisterà questo stato di cose, finché il Muro rimarrà in piedi.

***

Registrazioni

Le Registrazioni erano il mio diario, la mappa che mi consentiva di muovermi nel territorio sconosciuto della mente del piccolo bulgaro. Ne condussi diverse, e ogni sera mi incollavo alla scrivania, con gli occhi appiccicati al monitor del pc e le mie dita, calzate le cuffie per ascoltare il file sonoro, seguivano le voci danzando sulla tastiera come sui tasti di un pianoforte. Cominciai per caso, chiedendo al ragazzino perché avesse paura, in una notte che si svegliò sudato e urlando, non ho memorie scritte di quell’evento, perciò non posso trascrivere l’incubo che lo svegliò, ma quanto mi raccontò in seguito, nel corso di alcuni incontri, rende bene l’idea di ciò che visse nel sogno. Da quella volta venni come risucchiato nella sua mente.

*

Prima Trascrizione

“Chi sei, Kioran?” “Sono un Allaghé.”.

Ion

Sono venuto a conoscenza della parola Allaghé studiando i frammenti di memorie incisi sui muri dei sotterranei di Sofia.

[o a Kioran i miei disegni, appunti sulle scritte] Tieni, questo è il mosaico che ho composto in una vita sulle tracce di qualcosa che neppure conoscevo. Puoi parlami degli Allaghé? Perché tu mi hai detto: “Sono un Allaghé”.

Kioran

[guarda con il suo solito freddo ciglio i miei fogli] Questa lingua si chiama Faraday Ar, cioè Faraday significa segreto, misterioso, perciò tu puoi chiamarla: Segreto Ar. Non è una lingua Allaghé, ma ne è una sua figlia. Un Allaghé in terra non parla più la sua vera lingua, non la ricorda lucidamente e adopera i suoni che sente nel mondo per ricomporne i frammenti in modo che possa almeno avere un sentore di ciò che potrebbe essere. Il Segreto Ar, quindi, nasce dall’unione di suoni umani con quelli del nostro popolo.

Ion

Ci sono diversi linguaggi simili a questo sulla terra?

Kioran

Ce ne sono diversi, sì. Ognuno di noi cerca la sua origine attraverso queste ricostruzioni, anche se sono illusorie, poiché rimangono pur sempre linguaggi impastati con suoni terrestri.

Ti dirò degli Allaghé.

[Sospira, prendendosi una pausa, prima di cominciare a raccontarmi] Gli Allaghé sono un popolo senza mondo. Sono alleati e amici degli Crytzmanontey’nna, Uomini Leali. Non avendo mondo pellegrinano a bordo di navi intergalattiche. Nonostante le apparenze, sembrano fanciulli agli occhi degli Uomini Leali, e formano equipaggi autonomi. Ma quando si spostano negli Spazi cosmici dominati dalle Tribù di Bhaar, preferiscono unirsi alle flotte dei loro amici, poiché il numero degli Allaghé è davvero esiguo a differenza di quello dei loro nemici, i Kosegurai, il popolo delle Tribù di Bhaar. Fra Allaghé e Uomini Leali vi è un rapporto di fratellanza molto stretto e gli Allaghé sono aiutati dagli Uomini Leali nel aggio fra le zone di dominio Kosegurai. I primi aiutano i secondi a are nei Punti di Distorsione.

Ion

Se con Allaghé intendi le anime dei Bardi, gli spiriti dei Senza Padre, per “Uomini” devo supporre che intendi gli spiriti degli uomini che abitano la terra? Se è così, che tipo di uomini sono?

Kioran

Intendi giusto. Sì. Gli Uomini Leali sono le anime di coloro a cui fummo fianco a fianco, durante la Grande Perturbazione, per resistere allo squasso - del quale ti parlerò - che le schiere di Bhaar procurarono nei nostri mondi nell’EnneEuhaan’Nara, la nostra Eternità. Gli Uomini Leali furono i primi a essere catturati da Bhaar, cadendo loro, cademmo anche noi, poiché la nostra spalla rimase indifesa.

Ion

Gli Uomini quindi precipitarono sulla terra? Come accadde?

Kioran

Seguimmo lo stesso destino, sì. Ti dirò di come accadde, man mano ti racconterò. Gli Uomini Leali prima di noi vennero incastrati nei corpi umani e quindi fatti nascere sulla terra. Uscirono dal Muro per razzolare nel cortile di Bhaar, mentre noi eravamo ancora chiusi nell’utero della Betoniera, che ci stava impastando con la carne. Ebbero anche il merito di custodire la verità sulla nostra origine e al momento giusto seppero parlare al mondo. Fra loro arrivò un potente messaggio della Casa Ancestrale e furono così coraggiosi che lo accolsero. Noi eravamo ancora dentro i Loculi, perciò non potevamo ascoltare, circondati dalla carne dei nostri feti e poi dal cemento delle tombe. Ma pagarono caro questo loro compito, poiché Bhaar li perseguitò, sterminandoli. Temeva infatti che scatenassero un’ondata tale che, per un effetto domino, potesse far giungere anche a noi la verità. Ma non si può uccidere chi ha come compito quello di diffondere la verità nel mondo della menzogna. Un Uomo Leale è un virus tremendo che si infila nel Muro e riesce a creparlo.

Ion

Bene. Ora parlami del Muro. Cos’è, esattamente, chi lo abita, chi lo ha costruito?

Kioran

[prende qualche foglio fra quelli della risma della mia stampante e mentre mi risponde si mette ad abbozzare qualcosa] Ora ascolterai delle parole strane, ma non ti preoccupare, ti spiegherò ogni cosa. Un Allaghé si trova spesso a viaggiare in prossimità di un Punto di Distorsione dei Piani, che è un’Entità Maligna. Il Punto di Distorsione è in effetti un’Entità che trattiene il Kalandaeman, il fiume che Bhaar ha imprigionato nel suo cupo regno perché non si prosciughi. Questo fiume però non è di acqua, anche se sembra così. È un fiume fatto di Etere e Plasma. Con quest’acqua Bhaar ha impastato il cemento per edificare il Muro, il Muro è concepito come un cimitero nei cui loculi inserisce i nostri corpi una volta che ci ha catturati, è il mondo che conosci come “terra”. Noi veniamo infilati qui grazie all’opera dei Kosegurai, dei quali è il padre.

Ion

Allaghé e Bardo: perché i Senza Padre portano entrambi questi nomi?

Kion

Li usano entrambi, sì, l’uno al posto dell’altro talora. Ma in realtà sono diversi. Spesso alcuni di noi sono ancora confusi e così mettono un nome al posto dell’altro. L’Allaghé è la parte del Bardo che cade nella trappola del Kosegurai e che diviene un Senza Padre. Si chiama Allaghé quel Senza Padre che ha accolto il Messaggio, inserito nel Muro grazie all’opera degli Uomini Leali che l’hanno ricevuto, e quindi ricorda da dove viene. Ahyhmaseinosa.Nara, “Spirito del Bardo”, è anche una specie di ammasso di Luce Invisibile in grado di flettere lo spazio-tempo in punti precisi, aprendo un “portale”, una via di fuga da una qualsiasi Griglia di un qualsiasi mondo.

Non ha nulla a che vedere con “i tunnel” di luce che Bhaar piazza nel Kalendaman per attrarre le anime dei morti. Se si seguono quei budelli luminescenti ci si ritrova nel Muro. Un Allaghé sa che tutto ciò che è luminoso nel Kalendaman è da evitarsi accuratamente. Perché è così che l’hanno catturato, attraverso l’ammaliamento di quella luce. La luce dell’Oltretomba è pestifera come i suoi abitanti. Se riconosci la trappola allora la luce diviene suono, un lamento orrendo, un grido spaventoso in grado di far inorridire l’Anima. È un momento più pericoloso. Così impaurita, sentendosi braccata da quelle grida, cercherà un posto dove rifugiarsi, e anche questo è un tranello per infilarti nel Muro.

Se ti parlo, adesso, anche io sono caduto nella trappola.

Ti parlo di una cosa, ora. Quel che ricordo della mia lingua originale mi ha portato a ricostruire il significato di certi nomi. La desinenza in –Nara della parola che adoperiamo per chiamare lo “Spirito del Bardo” indica la discendenza dal Primo dei Grandi Spiriti, le massime e più maestose Entità a cui possiamo pensare. Non sono visibili a quelli di Bhaar, poiché non fanno parte della sua creazione. Infatti il Primo di questi Grandi Signori di Bellezza è chiamato da noi Dhum’Na.Nara.

Ion

Come siete rimasti intrappolati nel Muro?

Kioran

Siamo rimasti intrappolati nel mondo di Bhaar, assieme agli Uomini Leali e al

Kalendaman, perché abbiamo imboccato uno di quei antri di luce, abbiamo mangiato l’esca all’amo del predatore, in questa registrazione ho intenzione di raccontarti alcuni dettagli di questa nostra caduta. Non è facile mettere insieme i pezzi di quanto ci accadde e cerchiamo attraverso narrazioni una via di accesso alle nostre memorie, ma è molto difficile, come vedi. Tutto è confuso, siamo precipitati in un regno straniero che impedisce alla nostra vera memoria di riemergere nei pensieri e nei Sogni.

Ion

Hai parlato anche di un mondo da cui provenite e da cui provengono gli Uomini Leali, nel quale abitano Entità magnifiche, i Grandi Spiriti. Mi spieghi meglio cosa è?

Kioran

Gli Allaghé cercano gli Spiriti dei Bardi per are da un universo a un altro, da un mondo a un altro, verrà un giorno in cui potranno rialzarsi dalla loro condizione e fuggire verso Mondi Alti, nell’EnnaEua’Nara, il Mondo Libero al di fuori del Kalendaman. E anche per recuperare il ricordo della trappola in cui caddero. Inoltre nei Bardi vi ripariamo per sfuggire ai Kosegurai, se sono in deficit di potenza rispetto a queste Entità predatrici e voraci che si allignano fra le maglie delle Griglie. I Kosegurai mirano a quelle risorse energetiche degli Allaghé che rendono loro possibile i aggi di stato luce-massa e massa-luce. Cercano di catturarli nella fase più delicata di tali aggi, poiché in questi momenti è più facile frantumarne le strutture di memoria, senza che l’Allaghé reagisca .

La caduta in questo mondo nel quale vivi anche tu è dovuta dalla corruzione che un Kosegurai ha introdotto in un Allaghé attraverso la scoperta del corpo di

carne. Ha convinto molti di noi a godere delle emozioni che un corpo come quello vostro avrebbe potuto darci. E così, come i miei fratelli, anche io mi trovo qui, inseguito dal mio perverso corruttore, colui che mi sedusse spingendomi a provare il calore del ventre materno. Tu, forse mio Fratello in Cielo, mi hai aiutato, forse sei uno di quegli Uomini Leali con i quali combattiamo i Kosegurai.

Se non sei pronto ad affrontarlo, se lo Spirito del Bardo non ti ha mai accennato ai Livelli o ai tunnel di luce, allora sei nei guai, perché questo demone è una creatura mimetica, si trasforma in ciò che la tua stessa mente gli suggerisce. Ti faccio un esempio. Tu sei molto legato a tuo padre, che è morto quando eri in tenera età, lasciandoti un vuoto tremendo che in alcun modo hai mai potuto colmare. Tuo nonno ti ha allevato con serenità, donando pace al tuo cuore in vita. Alla tua morte, negli ultimi istanti di vita, tuo nonno, deceduto, ovvio, molto prima di te, viene a prenderti. Lo vedi avvolto in un’aura di luce e di tranquillità. Non seguirlo, poiché è la maschera che ha preso il Kosegurai per portarti in un tunnel di luce, nel ventre di Lei

Ion

Il ventre di Lei? nome, di cosa si tratta?

Kioran

Non può esservi nome per chi fabbrica l’orrenda tunica che ci riveste. Lei è la stilista che con i suoi abiti segue i capricci della mente di Bhaar, assecondandola, perché è la sua sposa, la concubina eletta la femmina spermatofora dell’architetto che ha creato questo mondo di cemento. Questo suo servizio è il peggiore di tutti. Peggiore persino della volontà stessa del suo signore. E per questo non è stata mai nominata. Il nome indica un valore nella mente e lei non

ha valore nella nostra mente.

Il tunnel del Kosegurai ti porta in un alveo del Muro. Il Kalandaman connette il mondo sottile a quello tangibile, così se sei nel loculo sei allo stesso tempo in un ventre femminile allo stadio di embrione. Nel Muro vieni impastato con il cemento astrale, l’infame luce di Bhaar, il suo spirito, mentre nell’utero della realtà terrestre vieni mischiato alla carne con il seme di un essere umano. Nell’utero della donna e nell’alveo del Muro verrai incubato, come una larva, fintanto che il corpo di carne non ti avrà completamente avvolto, solo allora potrai essere condotto nell’ala “aperta” della prigione.

Ci sono molti cortili, molti mondi. Io sono stato condotto in quello chiamato “Terra”, che è il pianeta degli umani come te e nascere in un corpo umano. Ma potresti anche finire con un corpo non di carne e rimanere uno spettro che vaga dal suo loculo al cortile della prigione, senza alcuno scopo, se non quelli di tormentare i prigionieri, per succhiarne la linfa vitale e nutrire con essa il Muro. Il Carceriere deve nutrirsi dei carcerati, lo so che sembra insulso, ma è il modo del Costruttore del Muro, Bhaar, di tenere sotto controllo le sue creazioni. I suoi figli così devono predarsi fra loro, sono costretti a farlo, si chiama piramide alimentare, o anche catena alimentare ed è il ferreo ordine della natura di Bhaar. Tale catena lega all’obbligo di essere il più forte e il più feroce per non soccombere. È la sua “piramide sociale”. Per questo nostro aspetto di fanciulli che tu descrivi sempre quando parli di noi, siamo fra i più meschini in questo suo ordine, siamo ai gradini alla base, quelli delle prede. C’è un luogo però che non prevede una simile legge. È la nostra casa. Lì non v’è la legge della natura. Ma ora è prematuro per dirti.

Ion

Parlami dei Kossegai. Sono demoni, hai detto. Come funziona la loro ‘società’?

Kioran

Vi sono sette livelli di pericolosità di un Kosegurai. In genere per catturare le persone normali e riportarle in un loculo del Muro si servono dei loro primi due livelli. Il Livello Uno è quello appunto del Tunnel di Luce. Un semplice tepore che chiama nel mondo freddo e ostile che avviluppa da subito l’Anima strappata al corpo dalla morte. E nessun segno ci indica che siamo in presenza di un Kosegurai del Livello Due se non conosciamo la loro perfida astuzia. Questo livello è operativo anche nel Muro. Sono i Kosegurai del Mondo, coloro che si sono travestiti da ogni tipo di desiderio dentro i viventi. La natura di queste Entità è strana ed insolita. La loro caccia comincia con il sobillare la vittima, trarla a loro, legandola in modo indissolubile con una costante e incredibile opera di plagio. Il massimo godimento per un Kosegurai di tale livello consiste nell’ottenere l’abnegazione totale di una mente e cominciare su questa un’inesorabile opera di distruzione. Ora ascolta come operano questi demoni, figli di Bhaar. Si presentano educatamente, come persone spesso molto colte e gentili, in effetti questi esseri godono di un’intelligenza che li porta a ottenere un’erudizione superiore agli uomini stessi. Ma è un intelletto sinistro, completamente votato a quel male supremo che andavo osservando nello scorrere del tunnel. La vostra fine quando cominciate a frequentare un Kosegurai è ormai segnata, potete scappare soltanto con l’aiuto di gente davvero esperta nell’eludere la sua ragnatela.

Ion

Ho inteso. Ancora una domanda, stavolta sul Bardo. Come vi aiuta uno Spirito, quando entrate nel mondo sottile nel Kalendaman?

Kioran

Il Kalendaman non è il mondo di Bhaar, ma chiamiamo l’Oltretomba in questo modo perché senza il flusso di quel fiume non esisterebbe il suo cemento. Ora ti dico dei Bardi.

I aggi di energia attraverso i canali dell’Ahyhmaseinosa, lo Spirito del Bardo, determinano l’apertura delle vie di fuga in quadranti precisi delle Griglie. Ogni Quadrante è una data precisa sul piano cronologico e un punto preciso dello spazio. In verde invece sono segnati gli accessi aperti da altri Ahyhamaseinosa. Infatti è possibile per un Allaghé are da una di queste Entità a un’altra. Si può immaginare in questa maniera, come se gli Spiriti dei Bardi fossero delle cellule nervose che mettono in comunicazione un gigantesco organismo. Gli Allaghé ano attraverso i ponti-canali da una “cellula” a un’altra, come impulsi elettrici.

E penso sia opportuno, per adesso, che fermi qui la registrazione. Ti ho raccontato di certe nostre conoscenze e spero ti possano essere utili quando ti racconterò altro, cioè il modo pratico in cui viviamo qui, accanto ai nostri Fratelli, gli Uomini Leali e come loro possono interagire con noi.

*

La Registrazione di Kioran si interrompe. Rimango basito. La serenità con cui si è espresso stride in modo abnorme con la sua età anagrafica e con i traumi che si porta nella carne, visto quel che gli è accaduto.

Seconda Trascrizione

Voli

su Hidden

Kioran

Ti mostro come un Allaghé si muove nel suo Bardo entrando così nell’Oltretomba.

Probabilmente in te accadrà qualcosa. Preparati.

Ion

Ti ascolto.

[Stavolta lo lascio parlare, senza interromperlo. È come se avessi la sensazione di essere a un appuntamento deciso in un tempo inimmaginabile prima di questi eventi.]

Kioran

La mia onda sussultò come investita da una miriade di raggi luminosi. E le particelle fotoniche presero ad arrampicarsi su quei fasci esterni. Non provai dolore. Fu tutto molto rapido, anche se devo essere sincero, feci molta fatica a reggere quel aggio di informazioni.

Lo vidi. Era un’ombra di luce informe, un’onda fotonica più grande di quella di un Allaghé, quasi gigantesca, dai riflessi rosati. È stato durante la mia analisi finale sugli effetti del mio sacrificio. La Griglia spazi- tempo sembrava una ragnatela bagnata, con le bolle d’acqua incastrate nelle sue maglie appiccicose. I quadranti erano opachi in modo insolito, non riuscivo a scorgerli singolarmente con una visione panoramica, così uno a uno li dovetti sondare, andovi sopra. Stavo ando sul continuum del quadrante di Matthia, quando lo incontrai. E mi colse di sorpresa.

“Cosa ci fai qui?” alitò con una zaffata pestilenziale. Sogghignava con quelle labbra azzurre, stirate in modo artificioso in un sorriso morto: “Sei arrivato da un altro spazio-tempo, non puoi vivere qui. La Creazione del Grande Muratore non è il tuo posto. Ma tu ci stai, mi sembra. Dunque o qualcuno ti ha fregato, o c’è qualcosa che non dovrebbe esservi qui attorno.” Mi guardava con i suoi occhi rosa screziati di celeste.

“I motivi per cui sono qui li tengo per me”, dissi con decisione.

“Se tu sei qui vuol dire che i tuoi simili hanno deciso di assaltare questo quadrante. E tu sei un’avanguardia”. L’ombra rosso pallido digrignò i denti, attraverso il tenue candore della sua onda di luce potevo intravedere ogni fotone della sua essenza pulsare dandogli la forza necessaria per sostenere un corpo materiale, una massa e un peso ad esso legati.

“Gli Uomini non ti crederanno. Somigli a loro, ma puzzi di menzogna e le tue parole non saranno seguite” dissi ancora.

In realtà ero convinto dell’inganno in cui la razza umana, come la nostra, era caduta e che avrebbe potuto condannarla per sempre; lui, il Kosegurai, era un micidiale predatore e avrebbe atteso il momento giusto nella Ruota Maledetta, il

suo tempo. E come ogni predatore, avrebbe isolato e catturato i membri più deboli della società.

L’essere ringhiò: “Non ti ammazzo come il topo di fogna che sei, perché mi servi. Ma prima o dopo assaporerò l’immenso piacere di spolpare ogni tuo singolo fotone, assaggiando ogni tuo quanto d’energia, mentre muori sotto infinite sofferenze. Ma ora reputati fortunato, miserabile Allaghé, perché ti lascerò vivere”.

“Sei un antico incubo della mia specie, un Kosegurai è null’altro che una vecchia onda di luce, il vostro potere è scemato mentre cresceva la corruzione in voi, e la vostra energia marciva. Adesso intuisco il motivo della tua incursione nel quadrante umano. Sei qui per patteggiare con Bhaar perché ti conceda un pezzo di quella Linfa che catturerà quando la Macchina centrale entrerà a regime. Ma sei un illuso. Quel padrone non divide il suo potere. La Macchina è già morta prima di nascere”.

Il Kosegurai non mi rispose, d’improvviso brandì una lingua di luce, la sua arma preferita, urtò la mia onda fotonica.

Ebbi un sussulto di dolore, ma resistetti: “Ormai è tutto deciso, i Potentati della Tirannide dovranno interrompere i loro abominevoli disegni” dissi.

“Idiota, non sarà un pezzo di letame di Allaghé a fermare i nostri desideri.”

Un altro schiocco ma stavolta riuscii a contrastarlo e contrattaccai con una forte vibrazione dell’onda, imprigionandogli la frusta di luce. Non avevo molte possibilità contro di lui, era un gigante al mio confronto ma, a differenza dei

Kosegurai che l’hanno persa, alcuni della mia specie possiedono ancora la potenza delle radiazioni dell’universo che vennero emesse dai nostri Guardiani delle Porte, prima ancora che chiudessero l’accesso dell’EnnaEua’Nara su di noi; se i Kosegurai non ci hanno soggiogati, questo barlume è ancora presente nei nostri quanti d’energia. Cercavo solo di puntare i miei tachioni, che sono la parte più veloce e pesante della mia essenza, sui recettori, per innescare una reazione a catena in grado di frantumare le particelle fotoniche del Kosegurai, o almeno della sua arma. Ebbi un attimo, solo un istante, in cui il gigantesco essere mi penetrò con il suo sguardo malsano. Approfittai del fatto che mi stesse studiando. Riuscii a mandare un impulso, una particella si scontrò contro un tachione, spingendolo a sua volto addosso a un’altra particella di luce. Un attimo solo e divampò un biancore abbacinante. Gli abitanti della Creazione videro nel cielo, solo un’improvvisa esplosione, lontana, nei recessi del cielo. Un bagliore di una stella bianca, e poi nulla. L’urto infatti fu così forte che le nostre onde caddero su frequenze percettibili agli occhi umani.

Mi ridestai sulla spiaggia. Il mare del Nord ringhiava sotto un’imminente tempesta.

“Sei ferito?” la barba bionda che ornava le labbra di Matthia fu la prima cosa che vidi.

“Ti abbiamo potuto seguire grazie alla traccia che ci hai lasciato sui radar.”

Sollevai la testa dalla sabbia, spuntandola, mi era entrata persino in gola. Mi guardai attorno: i resti di un bunker con le bocche di fuoco morte, ancora puntate sul mare, e le carcasse dei Tank: “Dove sono finito?”.

“Sulla spiaggia di Hidden” mi fece Matthia.

“Fa freddo” replicai.

[In quel momento dentro di me vi è un sussulto che mi dilania. Al nome “Matthia” tutto in me vibra tendendo ogni mio pensiero come la corda di un arco, non so perché. Non ho alcuna intuizione che mi aiuti a comprendere cosa stia succedendo, solo l’idea che a quell’appuntamento qualcuno si era presentato. Ricordai all’improvviso le parole dell’Orfano di Sofia: “Prima di essere Ion eri Matthia”. Ma ancora non riuscivo a capacitarmi di quella violenta percezione.]

Kioran

Fin qui ti ho narrato della lotta contro i Kosegurai, perché tu capissi le entità contro cui combattiamo. Come vedi non sono di carne, ma possono divenirlo. Come lo siamo divenuti noi, loro possono invadere il corpo delle persone e agitarlo a secondo dei loro piaceri e soprattutto a seconda della volontà del padre loro, Bhaar.

Kioran si concesse del riposo. E mentre stava steso sul divano con gli occhi chiusi presi a pensare. Le nebbie di quell’emozione si stavano diradando, lasciando il posto all’intuizione.

***

* La maggiore casa farmaceutica dell’Elvezia dopo la Crisi e uno dei più efficienti centri di ricerca medici in Europa e nel mondo.

II

La Fuga

Movimenti di ombre in Teremon

Quando accadde, Ion Mikheelev era in un sopralluogo presso ciò che solo il coraggio bestiale della burocrazia classificava come una “casa famiglia”, in realtà l’ennesimo covo di orrendi commerci con i corpi dei giovani assistiti. Da molto tempo il commissario li aveva messi sotto osservazione, ma i suoi superiori non ne volevano sapere di muovere un dito, in Siberia andava tutto bene così com’era. La Siberia era l’inferno dove al posto delle fiamme sulfuree v’era il ghiaccio e tutto, una volta giunto lì, s’immobilizzava. Ion però, nonostante gli ammonimenti dei superiori, non rinunciò e sperava di racimolare qualche prova per ottenere un sequestro della struttura. Benché fosse freddo in modo rivoltante, combatteva senza tregua le perversioni con i poteri umani di cui si era dotato nell’arco della sua vita. E “senza tregua” per l’uomo significava non dormire la notte se aveva per le mani una questione simile da risolvere. Nonostante Teremon fosse uno squallore, lì i bambini erano al sicuro dalle perverse voglie di alcuni adulti con le quali li avevano già colpiti. E Ion lavorava perché vi fossero ricoverati i suoi orfani “liberati”.

*

Lo chiamarono.

La voce angosciata della capo sala, una donna anziana, materna, all’altro capo

del telefono.

“Kioran è scappato!”

Ed era ciò che mai avrebbe voluto sentirsi dire.

Quel bambino non era sbagliato. O almeno, come tutti e tutto, lo era, secondo la sua mente, ma nella sua “pericolosità sociale” vi era qualcosa di buono.

Rientrò di corsa. Riunì i poliziotti del suo comando e il personale medico dell’istituto telefonando nel cuore della notte nelle loro case. Si slacciò la cravatta dalla camicia della divisa, buttando il cappello sul divano dello studio. Mise in piedi una squadra di ricerca.

Teremon è circondato dalla foresta. Un bambino di otto anni è morto ancora prima di arrivare al perimetro del parco.

“Stia calma, Stefanie, a costo di battere su ogni cristallo di neve, lo cercherò” fece Ion alla caposala. Avvolto nella sua solita aura gelida, ispirò una determinazione senza pari più che conforto umano.

Organizzarono le battute. Ma nonostante non fosse difficile perlustrare un continente desolato, non trovarono neppure le sue tracce.

“Non è mai capitato. Nessun orfano si è mai allontanato prima di ora. Dove può

essersi nascosto, di sicuro qualche adulto lo ha aiutato!” sbottò il superiore di Ion.

Ovviamente il dottor Peterson non si lasciò sfuggire l’occasione.

“Insultarmi non le è servito ad avere ragione. Ha drammaticamente fallito. Praticamente è stato violentato una seconda volta, con questo suo modo di fare, caro Commissario. Spero intenda il suo errore!”

L’uomo non si scompose, si voltò verso il dottore e lo alzò da terra scaraventandolo contro il muro con un pugno della sua mano. Sotto gli occhi di tutti, lo psichiatra giaceva col mento dislocato.

“Io la denuncio!”

“Faccia pure ‘dottore’, lei da solo non saprebbe neppure guardarli negli occhi questi bambini, ne è terrorizzato, ma io ritroverò Kioran e lei non lo vedrà più.”

“Quel ragazzo è perso, se ne faccia una ragione, come tutti i suoi coetanei qui dentro.”. Farfugliò col sangue che gli colava dal naso.

“Kioran non è come gli altri”, disse laconicamente il Maggiore.

Nessuno seppe mai decifrare quella frase. Nessuna cartella segnava quel bambino come “particolare”. Anzi, pareva essere il comune resoconto

psichiatrico che accompagnava ogni piccolo ospite di quella desolata realtà con le solite voci che scorrevano come in un dizionario di malattie mentali: iperattivo, incubi notturni, aggressività, sindrome dissociativa, sociopatia. Nulla di eccezionale. In più Kioran parlava raramente. E se era arrabbiato ava alle mani. Il suo era un nome inventato, se lo era portato addosso da quando Ion aveva fatto irruzione in quell’istituto fradicio di perversione e strappato alle mani di un direttore che lo aveva letteralmente “comprato” da alcuni adulti alle porte dell’Estonia e se lo era portato nello sprofondo siberiano per poter divorare in pace quella giovane preda. Ma il suo istituto era nel “territorio” di Ion Mikheveev. Non trovando alcun fascicolo su di lui che farfugliava in bulgaro e quando gliel’avevano chiesto, aveva detto solo questo strano nome: Kioran.

aggio

Quando oramai tutti davano per spacciato il piccolo, forse divorato dal freddo o caduto in qualche crepaccio, arrivò una telefonata diretta a Ion.

“Maggiore Milkheev, sono Anton Dunant il direttore sanitario della Fondazione Larousse.”

Ion sentendo quel nome, prestò maggiore attenzione, ascoltando: “Maggiore, abbiamo preso in custodia un minorenne, un bambino di otto anni, di cui nei nostri archivi degli scomparsi non v’è traccia, inoltre farfuglia sempre e solo un nome: Ion Mikhaeev, Teremon. Ovviamente siamo risaliti a lei.”

Ovvio, visto che la Fondazione era anche la testa di comando dell’OIGE.

Ion non ebbe alcuna esitazione: “Come si chiama questo fanciullo, Kioran?”

Vi fu del silenzio, evidentemente Dunant era rimasto di sorpresa, poi rispose: “Pare di sì, ha abbozzato delle lettere che componevano quel nome, accanto a disegni che… vedrà lei”.

Il piccolo Kioran non sapeva scrivere, ma poteva darsi che qualche lettera fosse riuscito a impararla nell’arco della sua breve esistenza.

“Kioran è un bambino scomparso dal nostro I.A. Teremon, in effetti.” disse Ion.

Pochi conoscono Teremon, vista la sua natura di “contenitore per i vuoti a perdere della società”. Teremon era il nome di un caporale che aveva dato la vita sul lavoro, frapponendosi tra un fanciullo e un mercante di carne. Sovente un IA recava il nome di un soldato morto eroicamente, per commemorare le origini della Fondazione Larousse, fondata da un generale Elvetico. Per un medico o un infermiere finire in un luogo simile era come aver segnato la fine della sua carriera, a meno di non chiamarsi “Peterson”: in quel caso poteva essere al contrario l’unica possibilità di esercitare la professione su qualcosa che non fossero mucche e galline.

“Maggiore, di sicuro si aspetterà che riaccompagni il bambino da voi, ma non possiamo, anzi, dobbiamo chiederle di raggiungere lei stesso il bimbo qui a Rollbatzen.”

“Per quale motivo chiedete il mio trasferimento?”

“Lo vedrà al momento. Non posso anticiparle al telefono, le invio i documenti.”

*

La burocrazia fece il suo lavoro e dopo qualche ora Ion s’imbarcò in auto verso una delle città più ricche del mondo. In Elvezia vi è la più alta concentrazione di città benestanti e le sue capitali cantonali sono vere e proprie banche a cielo aperto. Rollbatzen era una delle più austere, immersa fra i suoi laghi e le alpi.

Come diavolo avesse potuto il piccolo fuggiasco penetrare nelle Alpi Bernesi, oltreandole sino alla valle dove giaceva la grassa capitale cantonale Rollbatzen, era un mistero. Di sicuro era sveglio, ma per aver elaborato un viaggio simile avrebbe dovuto avere un’intelligenza ben superiore a quella di un fanciullo di meno di dieci anni. Anche per un uomo ben addestrato sarebbe risultato arduo. La popolazione dei lupi era cresciuta in modo preoccupante negli ultimi anni e, fra le montagne interne si erano avute aggressioni feroci ai cacciatori armati fino ai denti, per questo avevano dato tutti per morto il piccolo orfano, dopo tanti giorni di ricerche.

Kioran non era come gli altri, si disse Ion. Per questo forse rimase colpito, ma non troppo, da quell’assurda faccenda.

*

Ebbe tempo durante il viaggio per studiare ciò che gli avevano spedito dalla Fondazione Larousse. Non restò sorpreso quando sotto i suoi occhi apparve il foglio con uno dei disegni di Kioran. L’unico stupore di Ion Mikheleev, se mai, fu destato dal fatto che il piccolo si fosse espresso innanzi a uno sconosciuto. Infatti a Teremon disegnava solo per comunicare le visioni a Ion e non tollerava altri occhi che non fossero quelli del Maggiore. Ma forse da solo e affaticato

dalla lontananza del suo mondo che lo proteggeva avevano influito nel convincerlo a comunicare con chi avrebbe potuto aiutarlo. Sempre che i disegni fossero per davvero ciò che sembravano essere.

Ombre

“Purtroppo abbiamo fatto una scoperta che ci lascia tutti senza parole, qui” esordì Dunant.

“Il male si alligna ovunque, ma non pensavamo di avere dei serpenti fra noi. Spero che comprenderà la cautela con cui dobbiamo muoverci. Con ulteriori indagini abbiamo eliminato il marciume rimanente e ora dobbiamo pensare solo a svolgere bene il nostro lavoro.”

“Non ho idea di cosa stia parlando, Dunant” disse Ion, tagliando corto “Conosco solo ciò che i referti inviati dal suo ufficio mi hanno descritto: cioè che sono scomparsi cinque bambini dal vostro Istituto. Ma non so altro”.

Dunant cercò familiarità con Ion. Aveva il modo di fare dell’uomo politico: i panni sporchi ce li laviamo in casa.

“Lei mi comprenderà, essendo quasi mio collega. Il nostro è un lavoro delicato e non possiamo permetterci una compromissione immagine, poiché per quanto male abbiano fatto questi impiegati, non è minimamente assimilabile a ciò che facciamo ogni giorno con la nostra opera.”

“Mi dica cosa è successo, così forse comprendo il motivo dei suoi ansiosi preliminari” disse Ion.

“La polizia è intervenuta in un caso di schiamazzi notturni in un bordello. Ma l’intervento si è rivelato essere qualcos’altro. L’appartamento in cui hanno fatto irruzione è parso agli agenti l’antro di un macello. Vi erano corpi di uomini uccisi che giacevano ovunque, ne hanno contati almeno sette. Tre di loro erano nostri impiegati.”

Il viso di Dunant lasciò trapelare un disagio tale da rendergli difficile persino l’emissione di voce.

“E dunque?” incalzò, freddo, il Maggiore.

“In quel bordello hanno rinvenuto del materiale, foto. Foto di minori. Gli stessi minori di cui le parlerò fra un attimo. E in quel luogo la polizia ha trovato il piccolo Kioran.”

Ion si accigliò, un’ondata di rabbia lo stava pervadendo, ma doveva comprendere di più. Non per caso Kioran era finito in certi luoghi, questo era ormai una certezza per il Maggiore.

“Non siamo riusciti a capire come sia finito lì dentro, Maggiore, speriamo che almeno lei ci possa aiutare nel farlo aprire.”

Neppure ci pensava Ion a “far aprire” Kioran per aiutare quei tipi. Vedendo le

fotografie della polizia sul tavolo del Direttore, una voce dentro di sé lo avvertì: La giustizia è già ata, Ion, si sono legati una macina al collo e si sono gettati nel mare. Coloro che presero parte alla mensa di Bhaar ora giacciono in fondo all’abisso del Muro.

*

“Guardi, questo è il disegno che più ci ha lasciati senza fiato, Maggiore” parlò il Direttore Anton Dunant, un uomo sulla sessantina, grassoccio per qualche bicchiere di vodka di troppo, con una rada peluria bianco giallastra sul capo. “Lo guardi bene, e ora stia attento a quel che le mostro” fece. Gli sottopose una cartella che il Maggiore aprì, estraendo alcuni fogli.

“È la mano di Kioran, ne sono certo” affermò il Maggiore, riconoscendo le righe nere del pennello, lo strumento che più amava usare il bambino per disegnare.

Il Direttore si toccò il nodo della cravatta, deglutendo: “Maggiore, lei conosce bene le origini della Fondazione Larousse…”

“Ovvio” rispose Ion. “Viene insegnato nei primi momenti in cui metti piedi in Accademia. Non puoi sfuggire al Conte Philippe Theodor Larousse, scomparso qualche anno fa, il filantropo che fu il suo fondatore” disse con un accenno di sarcasmo che non piacque al direttore.

Contrariato, ma con garbo, Dunant continuò: “Come di certo saprà il Generale Larousse fu il responsabile della vittoria della Sesta Armata sulle orde dei barbari che insorsero devastando l’Europa. Riuscì a sfondare la loro linea difensiva principale evitando che l’infezione dei ribelli invadesse la nostra patria. Nella sua missione vide migliaia di bambini orfani lasciati in condizioni disperate nei paesi ove più violento arse il focolaio delle insurrezioni e più devastante fu l’opera dei guerriglieri. Quando si ritirò a vita privata decise di rendere più semplice la vita di quei fanciulli, così usò i suoi fondi per costruire questo luogo.”

“Sì, Dunant, si risparmi la storia strappalacrime del Conte. So bene che la Fondazione sovvenziona attraverso la banca Larousse” tornò ancora la nota sarcastica nella voce di Ion. “Un filantropo deve essere anche un buon affarista, è risaputo, infatti da quattro generazioni di Conti sorregge le opere di bene del nostro popolo attraverso quella banca.”

Ion conosceva bene, essendo un militare anche lui, la storia commovente del vecchio generale che come ultimo atto di eroismo dedicò la sua anzianità all’accoglienza di frotte di orfani disperati. Una storia strappalacrime, come disse, di eroi che proteggono il popolo dai lupi che vagano oltre i confini della madre patria. Ma Ion era “l’Armeno di Marmo” agli occhi della gente, per cui tali storie non lo colpivano. Non gli importò nulla di queste vicende, mai.

“Perché ha perso tutto questo tempo nel farmi una lezione di storia, direttore?” chiese, sapendo di bestemmiare la memoria di quell’idolo dal petto pieno di medaglie. Non riusciva a vedere in questi luoghi dagli stucchi asettici, accoglienti e forniti della migliore attrezzatura medica e dalla pregevole assistenza psicologica, qualcosa di buono.

“Perché deve capire il modo in cui ci stiamo comportando nel gestire questa vicenda. Non possiamo infangare quanto di buono ha fatto il Conte per il suo paese e per il mondo intero” replicò Asciugandosi la fronte unta con un fazzoletto di lino.

*

L’OIGE era massicciamente foraggiata dalle sue risorse. Possedeva molte più possibilità di un Istituto dell’OIGE, per via di un capitale gestito con molta “fantasia”. In effetti era come se fosse una “testa di comando” occulta, che gestiva l’OIGE da lontano, nascosta nella molle e perfetta società del Cantone di Rollenberntz.

“Francamente mi interessa solo di portare il ragazzo a casa sua, nel nostro Istituto di Urizzone, quel che ha fatto il conte Larousse non ha aiutato Kioran mentre lo massacravano proprio alcuni benefattori di un’organizzazione che fa concorrenza alla vostra. Capisce perché non mi lasciano commosso i suoi racconti sulla filantropia d’un conte elvetico, vero?”

Dopo la Crisi il varco nero che aveva inghiottito migliaia di vite dentro l’antro di colui che divorava la carne fresca degli orfani si era aperto in istituti simili, sia pure molto più malfamati. Quelle pareti pulite e le tende azzurro pastello non

erano sufficienti per Ion a tenerli lontani dai suoi sospetti. Ma, a parte i suoi dubbi, vi fu altro che spinse il Maggiore a chiedere della Fondazione. Aveva trovato Kioran in quella cripta, nel Seminario che avrebbe dovuto accoglierlo, ma che in realtà era solo la tana di un animale affamato, il reverendo Lutwak. Quasi si era sentito condotto verso la piccola diocesi: senza quell’impulso probabilmente sarebbe sopravvissuta senza problemi.

Ora si trovava di nuovo in un altro istituto che voleva aiutare gli orfani e di nuovo Kioran era lì. Non poteva essere un caso, continuava a ripetersi e quel continuo lagnare di Dunant circa la bontà del “suo” Conte sembrava la musica a tutto volume di uno stereo per coprire le urla di qualcuno che viene picchiato a morte.

*

“Le mele marce sono ovunque, Maggiore” ripeté ancora una volta Dunant.

Poi voltò lo schermo del suo computer verso Ion. Vi era apparsa la foto di un ragazzino sui dodici anni: “Si tratta di Egor Mishin, dichiarato scomparso all’età di dodici anni, circa una decina di anni fa. Non ero neppure qui quando cominciarono le sue ricerche che non portarono a nulla”.

Ion rimase allibito.

“Sì, a parte i dettagli ‘squilibrati’ del volto, come occhi, bocca e così via, il disegno del nostro piccolo fuggiasco parrebbe il ritratto di Egor” spiegò il direttore, spingendosi con la schiena sulla sedia.

“Immagino ci abbia messo pochi attimi nell’eseguire questo disegno, non è vero?” parlò Ion.

“Con brevi e precisi tratti di pennello in un istante ha tirato fuori questo disegno sotto i nostri occhi. Sembrava sapesse esattamente cosa rappresentare e come farlo, Maggiore!” disse, portandosi adesso con il petto sul margine del tavolo.

“Lo sapeva, infatti” rispose Ion quasi sottovoce.

“Ha segnato una cosa sul disegno, in alto sul foglio. Una scritta, cos’è Maggiore, la riconosce, di che lingua si tratta?”

Ion scosse il volte per dire che non avrebbe potuto rispondere: “Nulla che lei conosce”.

Aveva visto quelle lettere nei tunnel sotterranei di Sofia, Ion conosceva quella scrittura, ma solo Ion e Matthia sapevano di cosa si trattava. Dunant non poteva venirne edotto, non avrebbe compreso il popolo dei Senza Padre, perché ora il Maggiore comprese che aveva innanzi un Allaghé prigioniero.

Hanÿen Tamur-Yre.n, Hanÿen dei Senza Padre pensò leggendo fra sé e sé quella scritta, il nome del piccolo orfano ucciso, il nome che aveva presso i Senza Padre.

“Mi dica di più, devo sapere” si agitò il Direttore.

Milkheev sapeva bene cosa cercare. Nella sua mente non esistevano le coincidenze casuali, specie se si trattava delle fantasie di Kioran. Ma nessuno avrebbe mosso un dito nello scavare ancora. Ormai chi aveva preso parte a quegli eventi giaceva con la gola squarciata. Dunant, perdendo in quel modo alcuni suoi collaboratori, aveva ripulito la sua prigione dorata.

“Ha ragione, non sarei così ansioso per un solo foglio”.

Prese un album intero: “Abbiamo messo a disposizione del piccolo un intero quaderno. Ha cominciato a disegnare senza sosta volti, corpi, scene. E ciascuna tavola pareva corrispondere al ritratto di un minorenne scomparso”.

Non diede modo di vederlo, ma si aspettava proprio questa risposta da Dunant.

“Il periodo di queste scomparse?” gli chiese.

Il Direttore spiegò: “Tutti questi ragazzini sono stati dichiarati scomparsi più o meno nello periodo di Egor.”

“In quest’Istituto sono avvenute parecchie scomparse” disse pensieroso Ion.

Quasi scocciato dall’affermazione del Maggiore, Dunant replicò, impastandosi la lingua: “Non è una cosa nuova, purtroppo, durante il primo periodo della Crisi, non si poteva avere personale a sufficienza e le polizie nazionali avevano altro a cui pensare con i paesi ridotti a un’arena per ogni sorta di brigante. Larousse

vanta il minor numero di scomparve su tutte le altre strutture simili, mi creda”.

Con quelle “altre strutture simili” cercava di colpire con una stilettata l’orgoglio di un militare al servizio di OIGE, per di più il Primo Ufficiale di un istituto di disperati come Teremon che combatteva sempre con ogni sorta di problema. Una piccola vendetta nei confronti del tono quasi sarcastico del Maggiore nei suoi confronti, che però andò a vuoto. Ion era l’Armeno di Marmo. Del tutto indifferente alle ripicche di Dunant, Ion continuò: “Il gruppo dei tre. Chi sono?” disse fissando un’altra tavola.

Il direttore: “Si tratta dei tre unici corpi scomparsi ritrovati”.

“E dove sono adesso?”

Rispose: “Li abbiamo rinvenuti morti. Una storia singolare e tragica. I tre piccoli sono stati portati da noi, dopo una tremenda stagione di violenze di piazza che avevano devastato la loro città, perché il padre era partito come volontario nell’esercito regolare e la madre non poteva occuparsi di loro. Avevano una nonna, non riuscimmo a contattarla se non dopo tre anni dopo averli accolti qui. Nessuno sapeva che fine avesse fatto, prima di ricomparire nel loro paese. Aspettammo però a lasciarli nelle mani della signora, almeno ci prendemmo del tempo per comprendere se fosse idonea. Quando vennero rapiti li cercammo. Purtroppo i tre bambini furono uccisi dalla loro nonna che fu la mandante del rapimento. Li avvelenò e poi li affogò.”

“Per quale motivo, perché rapirli e poi massacrarli?”

“Nessuno lo sa, Maggiore” fece, espirando la voce in un’aria così fatalistica da sconfinare in una palese ipocrisia che infastidì Milkheev. Si fece raccontare ancora: “Mi parli di Egor. Perché era qui, veniva dalle zone di Crisi?”

“No, la madre di Egor fu colpita dal padre, che era depresso bipolare con scoppi di violenza. Fu lui a rapirlo. Ha ammesso di aver ucciso il figlio in un momento in cui era ossessionato dai suoi demoni. La madre invece è sempre apparsa una donna molto pacata, anche nell’aula del tribunale, durante i processi al marito. Sconvolta, questo sì, ma ci è sempre sembrata equilibrata. Una grande simulatrice.”

Ion guardò adombrato il Direttore e: “Dunque una nonna rapisce i nipoti, un padre il figlio e questi bambini vengono inevitabilmente assassinati. Che storia mi sta raccontando, Dunant?” era così basso il timbro della sua voce che pareva quasi un ruggito sordo.

*

Sul capo rasato del direttore cominciarono a fiorire perline umide, l’umore del suo disagio trasudava ora anche dalla pelle. Cercò di non sembrare così turbato: “Posso capire la sua reazione, Maggiore. Mi creda, la Crisi ha condotto la gente a fare le cose più assurde. Pensavo che quei nostri impiegati fossero persone a posto. Non siamo soliti indagare la vita privata delle persone e con questo clima così pesante è normale che la gente cerchi di distendersi anche nei bordelli. Come potevamo sapere che quegli uomini vendevano i ragazzini ai loro assassini?

Le città brulicano di psicopatici, lo stress delle rivolte che hanno portato paura e orrore, ha determinato come una psicosi di massa. Non ha idea di quel che dobbiamo affrontare ogni giorno, qui…”

“Se fossero andati solo a prostitute non mi sarebbe interessato, Dunant. Ma in quel bordello non vi erano semplici signore che si vendono dietro compenso. Devo dire altro?”

“Non possiamo dire che quei bambini rapiti vennero portati lì prima di essere uccisi, non ci sono prove!” si alterò.

Ion aveva ricostruito i fatti già prima che Dunant potesse giustificare i suoi uomini. Aveva capito che in quell’istituto, così ben gestito e sorvegliato, qualcuno aveva dovuto ‘aprire dall’interno’ agli assassini, altrimenti non sarebbero mai ati al vaglio psichiatrico. Non ebbe neppure bisogno di confermare la sua intuizione, chiedendo la professione degli uomini morti. Sapeva cosa facevano all’interno di Larousse, solo loro potevano firmare i referti psichiatrici per consentire la presa in carico dei minori da parte di qualcuno.

“Lei sa meglio di me come sono andati i fatti. Sa bene che questi tre hanno semplicemente dato le chiavi agli assassini, perché conveniva a tutti che i bimbi morissero, oltretutto in questo modo si sarebbero nascosti dietro alla follia che agitò in questi sciagurati assassini. Non ci vuole molto. Rifletta. Costoro ‘affittano’ questi poveri orfani a carnefici osceni, o li adoperano per produrre il materiale che avete rinvenuto in quell’alcova. Nessuno frugherà nel suo armadio della vergogna, ora, stia tranquillo. Sono morti tutti e l’unico che potrebbe aiutarmi giace catatonico. Al mondo non interessa e non è mai interessato tanto far pulizia quanto mostrare di far pulizia. Perciò ora che ha avuto la sua dimostrazione con i telegiornali, dopo l’irruzione in quell’alcova, non verrà a chiederle nulla, lei rimane sempre il faro nella nebbia della Crisi. Solo che è il segnale che conduce le navi disperse nella bocca dell’Averno.”

“Lei non mi può trattare così!” s’inalberò. “Ma si rende conto? Anche ammettendo la sua assurda teoria, come facevano a essere certi che le persone a cui li affidarono li avrebbero uccisi? E se qualcuno avesse deciso il contrario e fosse andato alla polizia?”

“È accaduto, questo?”

“Ma certo che no! Che razza di domande! Ma mi risponda!”

La sua ira, mista a paura, cresceva.

“L’ipotesi da lei descritta non è accaduta: questa è la sua risposta.” Fece secco Ion.

“Che razza di risposta, ora! Ma lei è un medico, un militare, un uomo con la testa sulle spalle, come può suffragare una simile affermazione?”

“Si sbaglia, Dunant, non sono un uomo con la testa sulle spalle, per questo posso azzeccare i pensieri osceni della sua gente. Per questo posso arrivare a capire cosa ha mosso quei tre dottori a dare in pasto i poveri assistiti a quelle belve. Fra belve ci si deve dividere la carne della preda, per mantenere l’equilibrio del branco. Ho afferrato quel che è accaduto e lei lo sa, direttore.”

Poi ò a un’altra tavola, mentre Dunant aggiustava nervosamente la cravatta alla gola.

*

“E chi è questo ragazzo con la bocca cucita?” chiese, incurante dell’angoscia che montava nel direttore.

“È l’unico sopravvissuto degli scomparsi, oggi ha vent’anni, vive in un Istituto Psichiatrico privato, a spese della Fondazione, non parla, è catatonico.”

Il direttore ò il fascicolo. Il Maggiore rimase inorridito, pur celando quella tremenda sorpresa, infatti agli occhi di Dunant parve come se stesse osservando una comune ortografia segnaletica.

“Aveva davvero la bocca cucita, questo bambino?”

“Sì, Maggiore, quella foto gli venne scattata subito dopo l’irruzione della polizia. Aveva le labbra chiuse con ago e filo. E la bocca infetta.”

“E ora?”

“Il chirurgo è riuscito a ricostruirgli delle labbra abbastanza normali. Ci sono voluti due anni di operazioni e cure. Il suo torturatore era, come nel caso degli altri, sempre un suo genitore. La madre. Il poliziotto che lo liberò, quando mi vide in ospedale, mi confidò una cosa.” Si puntò col petto sul tavolo, cercando un clima di più intimità con il Maggiore: “Mi rivelò una frase che la donna gli disse e che non ripeté mai più, neppure agli psichiatri. Non poté essere adoperata come prova, visto come venne detta.”

“E cosa disse questa ‘cosa’ qui?” fece Ion senza mascherare alcun ribrezzo nei confronti di una creatura che non reputava essere ciò che sembrava agli occhi di Dunant.

Il Direttore aprì l’agenda: “Devo leggere, non ricordo esattamente il nome che venne detto” si giustificò.

“Disse: ‘Quello parlava sempre. Parlava sempre, dicendo cose assurde e dentro di me mi dissero: fagli chiudere la bocca a quel dannato Allaghé, altrimenti ti daremo alla truppa e ti getteremo nel pozzo! Non ci deludere, non ci deludere, donna!”

Ion non proferì verbo. Il silenzio divenne di piombo nella stanza. “Cosa succede, Maggiore, perché il suo piccolo paziente conosce questi bambini, cosa lega un bambino Bulgaro a una serie di delitti italiani?”

“Conosce i prigionieri che sono dentro questi sventurati che chiamate bambini. Ma ora non è il momento buono per parlarne”. Fece, sapendo di aver schiuso una porta su una stanza che Dunant avrebbe voluto tenere ben sprangata.

Non vi furono altre indagini, tutto quel discorso di Dunant che sfiorava il misticismo sulla bontà del Conte Larousse e soprattutto sulla banca della sua famiglia che ha un canale diretto con l’OIGE non toccò il cuore di Ion Milkheev ma di sicuro sfiorò quello del suo superiore a Ginevra, il Generale Gustav Bosch. Prima ancora che il Maggiore gli presentasse il rapporto era già arrivata la telefonata del direttore. Bosch era uomo vecchio, sull’ottantina, con poca voglia di combattere e con il sogno di ritirarsi nella sua casa sul lago fra i monti di Lugano. Quindi l’OIGE non ritenne opportuno perdere tempo e risorse per i

piccoli ‘progetti sociali’ ormai perduti per sempre, visto che erano stati uccisi. Inoltre la polizia nazionale aveva ben altro da fare che occuparsi di vagabondi senza famiglia per di più morti e così le loro strutture di investigazioni internazionali giacevano negli scantinati, adoperate solo in caso di un reato commesso su di un vero cittadino, cioè di un elemento produttivo della società che non fosse parte dell’immensa massa di disperati.

Quando Kioran vide Ion sull’uscio della stazione di polizia, non gli andò incontro, non gli saltò in braccio. Lo salutò con un tenue e formale Zdràstvujte, “salute a te”. Ion fece altrettanto. Lo strano atteggiamento dei due lasciò perplessi gli esperti della Fondazione Larousse. Ma nessuno ebbe il coraggio di intervenire con le solite diagnosi di “anaffettività”, termine scientifico che spigava la mancata manifestazione dell’affettuosità da parte del ragazzino dovuta a un qualche trauma. Lasciarono che i due si allontanassero l’uno accanto all’altro, senza sfiorarsi. Tornò a Teremon con Kioran che rimase muto per tutta la durata del tragitto nell’auto.

***

Diario di Ion Milkheev

Fine Ottobre…

Sono ate due notti dal ritorno di Kioran a Teremon.

Due grossi infermieri hanno faticato per contenere l’affanno di Kioran. È accaduto mentre disegnava, un grande affanno lo ha colto. È la prima volta che mi capita di vedere una simile reazione in lui. Usa solo un pennello, un foglio

bianco e il nero è l’unico colore della tavolozza che adopera. Ho fatto lasciare libero l’Allaghé dai due infermieri.

Ora siamo soli, si è calmato. In questi giorni le sue visioni devono essere state molto tristi. Mi siedo e osservo le sue pennellate, sembrano formare dense nubi di fumo sul foglio.

“Bhaar?”, faccio.

Il Senza Padre sembra un antico narratore di poemi in cui grassi mostri giganti combattono contro creature leggere. Socchiuse gli occhi e il suo volto dagli strani lineamenti assume un’aria aliena, distante.

Mi risponde: “Bhaar. È il grido di chi vuol farti paura. La voce nel buio dell’uomo nero che viene a prenderti quando non ti sei attenuto alle regole. Quando rimani solo la notte lo senti urlare per le strada, sotto la tua finestra. Hai paura che venga a prenderti, d’altronde te lo hanno sempre detto: loro lo chiamano per chi viola la prassi di casa. E stavolta l’hai combinata grossa. Davvero grossa. Non dovevi far paura con il serpente di gomma a quella vecchiaccia acida della parrocchia che viene sempre a trovare tua nonna. La sua puzza tu la senti, è vero, ma loro no. Loro non hanno idea del fetore che proviene da quella raggrinzita sforna-embrioni ormai in disuso. Tu sai. Un giorno dovrai affrontarla. Non qui e non ora. Sei troppo piccolo e lei sta giungendo alla fine della sua carcassa chiamata vita. Non ora, dunque. Ma un tempo non molto lontano da ora, quella vecchia rinseccolita la vedrai per ciò che davvero è: una dama di Bhaar e un giorno dovrai fronteggiarla assieme al suo sposo nel Buco dei Tormentati, un luogo del Muro dove quella sciagurata ha sprofondato tanti come me…”

Se non fosse per il timbro della sua voce bianca lo potrei scambiare per un

narratore adulto. Dove traesse quell’erudizione che gli consentiva di mettere assieme quelle storie, ormai non me lo chiedo. Matthia lo sa, io no. Non ancora.

Ma credo sia la mia decisa fiducia nei suoi racconti che fa di me un orecchio adatto a recepire i suoi racconti. Il Piccolo Poeta di Sofia forse è venuto sino qui, perché probabilmente Matthia è l’unico che può ascoltare, essendo il suo ultimo difensore. Non era l’aspetto paterno che cerca nell’uomo, quanto il suo orecchio e la sua sapienza non ufficiale dei fatti psichici, che scava oltre la soglia di sbarramento del “senso comune” di uno strizzacervelli.

*

È la terza notte da quando è tornato. Fascicoli circa la personalità di Kioran compilati dagli assistenti sociali della Fondazione. Parole insipide, sigle, osservazioni futili. Che buffonata. Kioran sta disegnando, è così silenzioso qui che si sente lo sfregare del pennello sulla carta. Il resoconto della polizia è interessante invece.

Il Bambino viene ritrovato all’interno della casa, immobile e in mezzo ai cadaveri degli uomini, con indumenti insanguinanti. In forte stato di shock, è spaventato, il suo corpo è scosso da fremiti incontrollabili. Ripete che ha tanto freddo. Nonostante gli si chieda come si chiami, non risponde, solo ripete: Teremon.

Il referto mi lasciò interdetto quando lessi di Kioran impaurito, neppure quando lo trovai nella cripta del Seminario, mostrò segni di paura. Nel rapporto della polizia leggo che aveva freddo intenso, dettaglio che mi riportò alla mente la registrazione in cui mi raccontò dell’Allaghé di Hidden al termine della sua missione. Mi chiedevo allora cosa stesse facendo in quella sala in mezzo ai morti. Forse ha terminato quel che doveva terminare. Nessuno saprà mai cosa ha

visto, né cosa ha fatto. Non ha ucciso lui quegli sciagurati. Un Allaghé non uccide. Ma sono quegli stessi assassini dannati a scannarsi fra loro. Il fumo della follia li ha travolti e si sono ammazzati? È probabile che sia andata così.

Mentre nel rapporto del medico leggo:

il bambino presenta un negativismo estremo come la resistenza immotivata a tutte le istruzioni, con reazioni come irrigidimento del corpo e mutismo, sintomo riconducibile a uno stato di catatonia maligna, imputabile a un forte stress post traumatico.

“Alla fine, sei venuto fin qui per cercare gli Spettri di quegli sventurati del Muro, non è vero, Kioran?” proferisco con un tono piuttosto basso della voce.

Distoglie l’attenzione dal pennello, con calma, quasi si aspetti quelle parole da parte dell’uomo. E parla: “Se il male fosse uno spiritello che ti fa svolazzare o girare la testa sulla schiena o parlare lingue bislacche che non conosci, di certo sarebbe stato molto più semplice. Ma Bhaar non è uno spirito, è il figlio di un’Eternità per la quale ha costruito il Muro. Siamo noi stessi dentro il suo spirito, come potresti esorcizzare qualcosa in cui sei dentro e del quale sei sostanza?” dice.

“Esorcismo: leggendo le stupidaggini psichiatriche su quelle schede, ho tirato le stesse conclusioni. Chi è il padre di Bhaar?”

“Il suo nome è EmBereskzann. Eternità che si oppone a quella che ha emanato i nostri Mondi. I suoi sono Spiriti del Desiderio. Ardono di fuoco. EmBereskzann li partorisce ungendoli con della pece e poi appena sono usciti dal suo ventre, li

infuoca con una fiamma. Così questi suoi figli ardono perennemente, poiché quella pece, il Desiderio, è inesauribile. Purtroppo essendo nel suo mondo, poiché Bhaar ha creato il Muro con la pece di suo padre mischiandola al Kalendaman, anche noi nascendo veniamo unti e poi infiammati. Ecco cosa è accaduto a quegli uomini che hanno massacrato i bambini di Larousse. I loro spiriti erano fiamme feroci.

Ma la parte di noi che è ancora del Bardo e degli Uomini Leali evita il propagarsi di quell’incendio, impedendoci di ardere del tutto nel nome di Embereskzann. Noi siamo i lumi nei loculi del cimiteri. Lei mantiene viva la fiamma del padre di Bhaar, con la stessa sacralità di una cupa Vestale.” Continua: “La polizia ha ucciso gli assassini. Ma non sanno una cosa. Bhaar si fa gioco di loro. Ha fatto macellare i suoi servi al momento opportuno, poiché era giunto il tempo di far rinascere le loro anime. Ora torneranno nel mondo come mosche, larve dei Kosegurai.

“È questo che hai visto e che ti ha portato ansia?”

Annuisce: “Ma stiamo aspettando quelle mosche.”

“Perché il plurale?”

“Perché ora ho visto qualcosa che va oltre il Muro. I Fratelli mi hanno aiutato.”

“C’è qualcosa di peggio del Muro?”

“Il Muro ha una sua parte interna, e non pensavo di arrivare mai a vederla. È orrenda.”

*

Quel piccolo Bulgaro che voleva vestire solo abiti neri e senza alcuna immagine, possibilmente con cappuccio, tenuto sempre alzato per nascondervisi forse, con il viso, dice cose assurde specie per un bambino partorito a con tutta probabilità per il solo scopo di essere venduto nel liquame immondo della depravazione. Guardo le ultime righe del referto: sembrano scritte in modo frettoloso dal medico, quasi volesse sbarazzarsi del giovane paziente. Mentre all’inizio lo stile pareva confermare un interesse vivo e l’umanità del suo intervento, ora si faceva solo menzione in modo del tutto superficiale e conforme al “protocollo” necessario per uscire da una situazione evidentemente divenuta assurda per lo psichiatra che aveva esaminato Kioran.

Qualcosa stava emergendo in quest’individuo mascherato con un camice bianco che firmava simili parole.

Si consiglia la terapia attraverso carbamazepina, clonazepam, olanzepine e dantrolene, se entro 5 giorni non si dovesse riuscire a far uscire il paziente dalla sintomatologia, si consiglia un approccio più radicale a livello farmacologico. L’età non prevede trattamenti di altro genere, ma si consiglia accortezza nell’esaminare tutte le possibili terapie.

Qui il predatore si sta preparando per scongiurare un potenziale disastro nella mente del suo burattino. Probabile che il suo padrone lo abbia spinto a intessere un consiglio medico più simile alla preparazione di un esorcismo che a una terapia medica, ma poco importa, poiché le due cose si sono fuse assieme nella mente di questa marionetta. Non dice in modo chiaro il suo intento, perché a un

bambino un medico con una coscienza non può di certo consigliare apertamente l’elettroshock. Ma non sfuggono le parole dette fra le righe del referto dalla sua lingua forcuta.

Se davvero questo spirito è inseguito da un qualcosa di demoniaco che chiama Kosegurai, è opportuno che non faccia avvicinare questi signori, probabili scatoloni pieni del suo fumo.

Le cose via, via che leggo i referti, sembrano prendere la piega di un esorcismo. Manca solo il referto del prete, adesso.

***

.

Terza Trascrizione

“Vieni con me, Ion, perché tu possa vedere”

La sveglia sulla mia scrivania trilla, Kioran a quel suono si incupisce.

“Mi spiace ti abbia disturbato, ma è una chiamata interna. Suona quando gli infermieri finiscono il turno, per avvertirmi” gli dico.

Le pupille del Senza Padre si allargano, gli occhi divengono pozzi neri.

“Vuoi vedere cosa è accaduto a Larousse, Ion Milkheev?” mi chiede.

Accendo il registratore vocale del PC. Ma questa volta è diverso. Ha detto “vedere” e non “sentire”, sulle prime non vi ho fatto caso.

“Tu puoi vedere il Kalendaman fluire” mi dice.

Nella stanza qualcosa prende a cambiare, la materia con cui sono fatte le mura, il tavolo, le poltrone sembra mutare in una sostanza nebbiosa, le forme somigliano ora a sagome piene di fumo.

“Cosa succede, Kioran?” chiedo, senza agitarmi

“Il fumo di Bhaar e le forme che impasta con il Kalendaman. Ora vedi come è.”

Poi le mura, l’arredo e le forme di ogni cosa attorno si dissolvono e il fumo si disperde, divenendo una nube. La nube si dirada e mi accorgo di non essere più nella stanza, ma sul davanzale di un antico chiostro. Assieme a Kioran.

“Ora osserva. Tutto quello che vedi è capitato.”

“Cos’è questo posto?”

“La mia memoria. Sei nel Bardo.”

Nel Bardo

(Voce nel Bardo)

Rimango in silenzio e guardo come uno spettatore in un teatro avvolto completamente da una voce narrante esterna che scorre ovunque. Mi accorgo che non è il profondo di Kioran a parlarmi, ma sono io ad essere nel profondo di Kioran. Sono, come ha detto, dentro la sua memoria, nel Bardo e la voce che parla era la memoria del Bardo. Nel frattempo ogni parola dà vita alle forme e posso vedere ogni cosa del racconto, viverlo innanzi a quel palcoscenico.

Una voce fuori campo comincia a narrare nelle forme che si configurano in quelle nebbie oniriche e quel che scrivo ora è il racconto di quell’esperienza attraverso quella voce

Luna di Miele

È un camlo che ti hanno messo nella testa: din-din!

Richiama i Kosegurai quando ti allontani. All’inizio, nei primi tempi della fascinazione con la quale il Kosegurai ti ha sedotto, è la scia sonora del tunnel di

luce, il condotto che ti porta nel grembo di una Lei, nel suo utero. I Bardi chiamano il periodo in cui, dopo la fascinazione, ti culli in quel suono così suadente fra le braccia materne e accoglienti di Lei Luna di Miele. Il Kosegurai, affascinandoti con la promessa di Bhaar ti conduce nella Luna di Miele.

Quel tintinnio è la sua voce, delicata e dolce, ma con il tempo diviene una tortura interiore. Non c’è più silenzio in te, poiché il Kosegura ti ha allacciato alla mente del suo maestro. Cerchi un luogo dove riposarti dagli schiamazzi della mente di Bhaar, dai suoi eccessi, stai per assopirti, forse ce la fai a spengere tutto, ma poi arriva quel din-din! e quegli insetti sciamano verso di te, come se tu fossi una lanterna di notte, e in effetti lo sei. Sei un lumino messo ad ardere in un loculo dentro il Muro. Lei è il tuo stoppino. La tua fiamma pallida arderà su di lei. E se per caso avessi altri piani, Lei suonerà un altro rintocco: din-don-dan! Ti ricordi questo suono? Ne hai memoria, perché fra le poche cose che ti sei portato dietro qui dentro. È un richiamo per i Kosegurai e i loro Patriarchi, i Giudici. Ti faranno a pezzi se non torni al tuo stoppino. Lei li ha convocati perché ti riconducano alla ragione, non hai diritto a nutrirti dell’ossigeno che ti porta il vento. Tu ora sei la fiamma del lume in questo cimitero dentro al Muro costruito da Bhaar. Ora il Kosegurai ti ha condotto dentro un ventre, una Lei, sarai un feto, un embrione nelle viscere del suo cimitero.

*

Ora la Voce sembra prendere il timbro asessuale di un Senza Padre, che prende forma accanto a me, pare molto simile a Kioran, per i suoi strani lineamenti dell’est.

I tre rintocchi si stendono come una nube nel Kalendaman, mischiandosi al cielo in uno stormo di cornacchie grigie.

“La terrazza che sovrasta la Piazza Quadrata, dove ti trovi ora, Ion Milkheev, è una specie di rappresentazione del Kalendaman in cui osserviamo gli eventi dell’Oltretomba in un chiostro sospeso fra gli stati dimensionali. La chiamiamo così poiché ricalca le sembianze di una piazza qualunque di un paese qualsiasi che ruota nella macchina temporale chiamata mondo.”

Il richiamo]:

“Lui è Lyryl, mio fratello”, fa la Voce.

Il Senza Padre mi guarda con un piglio serio, senza emozioni, ma è amichevole. La sua espressione distaccata gli conferisce un’aria altezzosa, ma solo in apparenza. Lyryl non pare superbo o peggio, vanitoso. Penso solo che abbia imparato nel corso delle ere trascorse a fronteggiare il Muro a non invischiarsi nelle emozioni, poiché queste conducono, lo sa bene, alle ioni che sono il grimaldello preferito di Bhaar per entrare negli Allaghé e chiudere gli Spiriti nel Muro.

Parlo: “Questo suono, le campane… non ricordano affatto il suono che hanno sulla terra”. Vedo poi l’etere che comincia ad incupirsi e delle nubi si ammassano in quello strano cielo gassoso e rossastro.

Lyryl mi spiega: “Ne hai una diversa percezione perché nel Muro il richiamo di Bhaar è un altro suono. Non c’è nulla di simile qui fuori a quella cupezza. Tu ora senti le sfumature metalliche delle campane che reagiscono all’urto del batacchio. Senti un suono che vibra movendosi come in onde per tutta l’aria. Il metallo che reagisce ai colpi del pendolo è la cosa che si percepisce all’istante”.

Chiedo: “Cosa si sente nel Muro, Kioran, come sentivi i suoni quando eri nel ventre di Lei?”

Non ho risposta.

La Voce Narrante mi dice: Kioran è Jacquis. Allora, senza spiegarmi il motivo, correggo il nome. E ho la mia risposta.

Jacquis con lo stesso tono in cui mi parla quando è Kioran sulla terra, risponde: “Nel Muro Lei chiama il Giudice che sta a guardia del suo Loculo, il patriarca della tribù di Kosegurai che governa quel luogo con una crudeltà degna del padre loro, Bhaar. Può essere uno Spettro ribelle che non vuol essere più un canale per il plasma succhiato a un’Anima catturata per il Muro, oppure può essere la presenza di certi Spiriti ‘sospetti’ attorno al Muro, avanguardie come noi. Oppure anche l’allarme generale per una nostra incursione. Comunque sia la causa, il suono ti arriva dentro come una frustata. Uno Spettro, come ero io, ha una serie di ganci conficcati dentro il corpo sottile. Immagina un pezzo di carne appeso al macello dal quale spuntano innumerevoli ganci metallici. I rintocchi, che escono a tre a tre, sono fruste che ti raggiungono ovunque tu ti trovi e ti agganciano, tirandoti nel Muro, in attesa di istruzioni.”

Mi si ottenebra il cuore ascoltando il racconto: “Quindi non è un suono ciò che quegli sventurati percepiscono?” chiedo.

“No, non è un suono. È un dolore, come lo è ogni forma di comunicazione lì dentro. Il Muro non ha suoni, ma rumori. La musica è un complesso di rumori messi assieme in modo indegno da Bhaar, il grande costruttore. Perciò ascoltare una sinfonia lì dentro è pari a starsene all’ora di punta con l’umanità che genera un traffico e un frastuono nauseabondi. Nel Muro si comunica sofferenza. Perché si produce sofferenza.”

Lo ringrazio. Nell’apparente distacco di quelle Ombre percepisco la loro comione.

Jacquis mi dice: “Dovetti affrontare l’addestramento al distacco della ione, per essere con lui”. Indica Lyryl, che non si compiace né si dispiace, guardandoci. Una terza Ombra prende forma in mezzo a noi. Intuisco come l’Ombra di Lyryl rappresenti uno Spirito molto più antico di Jacquis

Ylron.

Ha un’aria corrucciata e l’aspetto arruffato, lo avrebbero fatto are come uno appena uscito da una rissa. Ma quest’aria rissosa, in contrasto con il suo aspetto di bambino come quello di Jacquis e Lyryl, avrebbe messo in difficoltà chiunque avesse provato a decifrare le sue intenzioni.

“Ylron è stato anche lui nel Muro, ma tanto tempo prima di me” dice Jacquis, presentandomi suo fratello “Ora non ricorda molto forse nulla, eccetto il dolore dei ganci. Quello non puoi scordarlo. Non è uno che parli molto, perciò non saprei dire cosa ricordasse con esattezza…”

*

“Ha suonato le tre campane quella meretrice di Bhaar?” taglia i nostri discorsi, Ylron, con un tono secco: “Chi ha risposto?”.

Lyryl risponde: “Il Potentato del Patriarca Guanamel l’Oratore. Ci sarà un raduno in questo TalanKadoma, fra non molto”.

“Con quale letame Bhaar attirerà i porci attorno al trogolo?” il tono di Ylron è aspro.

L’ira è stato il suo più grande problema. Per Ylron questo cadde dal cielo, serbò rancore mentre lo uccidevano, maledì i suoi assassini e, la vendetta si trasforma in un pesante zavorra che ti trascina in basso.

“Il suo richiamo è lo stesso da milioni di anni. Il sibilo della sua lingua forcuta spande la menzogna ora come nell’attimo in cui dalla sua eternità fu emanato il Tradimento Primordiale” fa Lyryl.

Sotto voce, quasi senza voler infrangere dall’atmosfera del momento che ispirava aria di Apocalisse, chiedo a Jaquisl: “Fratello, chi è questo Kosegurai, Guanamel?”

E lui: “Guanamel è il più illustre cantore dei tunnel di luce, colui che più di ogni altro riesce a forgiare parole forbite per convincerci della buona promessa di Bhaar. La sua voce è un’arpa celeste. Il suo viso appare avvolto in una luce sublime mentre canta idilli mistici.

Un Bardo cade e un Allaghé diviene Spettro se segue un Kosegurai nel tunnel di luce. I modi del Muro per convogliare uno Spettro dentro i suoi loculi sono innumerevoli. Uno dei più adoperati, specie per le Anime che traino in corpi ancora di fanciulli e, stranamente, anche per quelle che sono nei corpi dei vecchi, è quello di trasformare se stesso, o meglio uno dei suoi alvei tombali, in una

specie di utero accogliente, un luogo caldo in cui assopirsi tranquilli, difesi e cullati dalle acque tiepide in quello che ricorda un grembo materno. Guanamel è stato creato da Bhaar con la capacità di essere meraviglioso mentre concupisce, ma al tempo stesso, mentre sta seducendo il Bardo, chiama a sé tutte le bestemmie, i gridi di bestie che allignano per tutto il Kalendaman, facendo sì che mentre le sue labbra stanno baciando quelle dell’Anima del Bardo, quest’ultimo ascolti i gridi bestiali, gli insulti, i versi contorti tutt’intorno a sé, rimanendo all’oscuro del fatto che proprio che è il bellissimo calore che lo avvolge, a condensargli attorno quella tenebra. Perciò, terrorizzato dalla ferocia del Cosmo, ancor più si avvinghia alla sua luminosa aura”.

Aggiunge Ylron: “Non resisti molto se non sei pronto a un simile squallore, se non riesci a ricordarti. Quando un Bardo lascerà il suo corpo mortale, quel ricordo farà in modo che ci si opponga alla fascinazione. Un Bardo che non ricordi più la sua Caduta si trova in un luogo buio popolato da entità orrende, simili a insetti, sempre pronte ad infliggere attacchi e morsi violenti. Nei cieli più bassi brulicano larve d’ogni sorta di questi insetti che vogliono proliferarti all’interno.

“Guaranamel può avere potere sul ricordo?” chiedo ancora.

Jacquis risponde: “Può confonderti, il suo scopo è appunto questo.”

Non fa a tempo a concludere la sua risposta quando Lyryl interrompe, indicando un punto all’orizzonte: “Fra poco il cielo sarà pieno degli scagnozzi del Giudice. Teniamoci pronti, Fratelli.”

Mettono le mani sulle spade che penzolano dalle fasce strette alle pelvi.

Toccano le spade solo per adempiere al comando: combattere lo sciame dei mosconi che ronzano attorno alle Anime uscite dai loro corpi per salire negli strati più alti di questo sporco cielo. In nessun altro caso un Bardo sguainerà la lama. Non gli appartiene il potere della morte, se incidono i corpi eterici di quelle larve volanti è perché quei corpi sono la morte stessa. Una volta perforati tornano al loro stadio primordiale: nell’impasto del Muro. Uno Spettro come lo fu Jacquis, li teme. Ha paura che piombino dal cielo per decapitarlo. Cosa che non è falsa, solo distorta. Perché Bhaar non mente, non ne ha bisogno e desidera che tu sappia la verità, in modo da contemplare la sua oscena grandezza.

Sei un militare, Ion, e adoperi anche tu la spada, quando devi. Loro attaccano gli Spettri quando ci vengono addosso, inviati dal Muro. Se uno Spettro ha una densità emotiva così pesante tanto da essere usato come omicida, compiono un gesto di pietà nel decapitarlo. Con la sua testa ormai completamente in bocca a Bhaar, non sa più neppure cosa sia la vita vera, la leggerezza del vento, vive in funzione dell’intestino dell’indegno architetto. La sua testa è diventata Lei, l’utero del Muro, la concubina del Costruttore, la meretrice protettrice e adescatrice del Muro. Tagliargli la testa, quindi, significa recidere il flusso di comando con cui Bhaar governa quel disperato, giorno dopo giorno.

“Quando Jacquis ha deciso di non essere più uno Spettro?” chiedo senza parlare alla Voce Narrante.

Non può decidere, ma in lui si agita ancora quella parte di Bardo prigioniera, l’Allaghé. L’Anima di un Senza Padre, come quella di un Uomo Leale, sono terreni di scontro fra due Eternità: Bhaar, figlio di Emberzkenn e Dumna’Nara, figlio di Euann’Nara. E non è una battaglia, solo uno scontro di richiami. Se vi è un Bardo, allora vince Euann’Nara. Se vi è un Kosegurai, vince Bhaar. Jacquis è stato preso dal Figlio di Euann’Nara, poiché l’Allaghé è nel Bardo.

*

A un certo punto, poco prima di ciò che sulla terra definireste crepuscolo, vediamo lo sciame impestare dapprima l’orizzonte, poi ogni angolo del cielo.

“Sono KalKoissegà! E sono miriadi” fa Lyryl, coprendo l’elsa con il pugno.

“In armi, Fratelli!” comanda, estrae la spada e si getta nel vuoto dal chiostro, non appena il suo corpo tocca il vuoto dalla sua schiena si sciolgono le ali scintillanti nel vento, al massimo della loro estensione le vedo coprire il corpo del Senza Padre. Così nell’immediato lo seguono Ylron e Jacquis.

Vieni e vedi.

“Vuoi che mi butti giù anche io?” chiedo, assolutamente esterrefatto.

Vieni e vedi, l’unico modo è questo.

“Non ho alcun addestramento! Mi schianterei!” frigno.

Vieni e vedi!

Allora mi faccio coraggio e mi lascio andare, come se fosse un lancio di paracadute, al quale ero stato addestrato all’Accademia. La paura però s’impadronisce di me. Vedo il mio corpo sfracellarsi: “Aiutami! Aiutami,

Spirito!” grido al cielo.

Apri le Ali e non cadrai!

Subito sento la portanza del vento spingermi le ali e vado verso l’alto, il vento mi raggiunge come una robusta mano, toccando le penne delle ali mi catapulta verso l’alto in un istante.

Ma non appena mi posiziono perpendicolare al centro della piazza, pronto per irrompere nello sciame dei mosconi, sento:

Sono KalKoissegà, cioè stati larvali di Kosegurai. Questi demoni usano i loro stessi figli neonati, che ardono del fuoco dell’ira, il seme dei loro padri, ancora assenti da qualunque capacità di ponderare lo spazio e il tempo, non sono perciò soggette alla paura, quindi ottime arme di attacco.

Stabile nell’aria, sospeso nel cielo, sorretto da una colonna di aria calda e costante, posso assistere alla battaglia.

Non ti vedranno i Kosegurai né le loro bestie. La tua presenza qui è nota solo a me, non a loro, adesso. Ma qualunque cosa accada ora tu non ti muovere da questa colonna d’aria.

Vedo accadere una cosa che mi stringe il petto in una morsa d’angoscia. Jacquis ha una virata improvvisa. Percepisco la mano del vento cedergli sotto l’ala sinistra. E una puzza così nauseante da far perdere la lucidità invade la mia

mente.

“Jacquis!” urla Lyryl, virando verso il fratello “Non ascoltare quel fetore! Mantieniti in assetto di volo cerca il Vortice Ascensionale, non ti distrarre!”

Percepisco i pensieri di Jacquis, non riesce a pensare lucidamente, le lacrime gli invadono gli occhi per quel fetore immondo. Sento un mulinello di aria sotto di lui, lo posso sentire anche io come se accadesse a me, che lo avvolge inesorabilmente.

Lyrly urla: “Jacquis, non posso farlo io per te, ma non respirare! Se respiri quell’odore ti entra dentro, controlla il respiro, sai farlo! Se entra dentro diventa il tuo pensiero!”.

In me si configurano strane immagini d’una cupezza senza fine, corpi morti lasciati nei campi a marcire dopo una guerra avvenuta chissà quando, animali che andavano spolpando le loro ossa e ladri di carogne che trafugavano denti e capelli a quelle povere salme.

“No, Jaquis! No, è il suo male, quello, non il tuo!” è la voce di Lyryl.

Comprendo che sto vedendo e percependo quello che vede e percepisce Jacquis.

La voce di suo fratello riesce in qualche modo a farlo orientare in quell’incubo, cerca la corrente ascensionale, seguendo le sue parole.

Nel panorama che si stende negli occhi di Jacquis arranca goffamente una figura, forse umana, forse bestia, nera come il sangue raggrumato e le sue forme sono unte e grasse.

“Non lo guardare, so cosa ti sta facendo vedere, ma non lo guardare!” comanda Lyrys, mentre Ylron combattendo solitario tiene lontani i mosconi da Jacquis, eccitati dalla sua debolezza si sono fatti audaci e feroci.

Ma avverto la spossatezza di Jacquis, gli è sempre più faticoso resistere a quel pensiero cupo che ha invaso la mente assieme al fetore.

Guarda il volto di quella creatura che si trascina fra i cadaveri. E assieme a lui, la vedo anche io.

“Vieni, piccolo maestro” gli sibila “quante cosa hai lasciato qui. Troppe.”

“Non ascoltare, Jacquis!” impera Lyryl.

*

Quella frase ‘Piccolo maestro’… un lampo lo riporta in un tempo che avrebbe dovuto sciogliere per sempre dentro di sé, quando si è liberato dal Muro. Ma forse non è ancora pronto per quello a cui sta assistendo. E la scena desta in me un raccapriccio che mi si propaga come un filo ghiacciato nella mente. Un uomo immenso sovrasta un bambino di otto anni, molto più minuto rispetto alla sua età, un piccolo maestro di pianoforte, un talento acerbo, un frutto ancora appeso

all’albero strappato e divorato con avidità da un Adamo ribelle, che non attese il giusto tempo in cui il frutto sarebbe sceso da solo fra le sue mani, sulla terra per depositare il seme. No, Adamo lo strappò, convinto che quel tenero genio potesse entrare in lui e renderlo simile a suo Padre. Il Padre che gli precluse il talento di quel piccolo maestro, poiché la sua mente non era pronta per la Musica. E fu così che le mani di Adamo cinsero il collo di quel bambino, soffocando il nuovo virgulto nel giardino del Padre. Il frutto venne così strappato dall’Albero della Casa Originaria.

“Vieni, piccolo maestro, fa quello che io ho fatto a te, hai una spada ora, non siamo più così distanti e diversi. Vieni a vendicarti del tuo papà. Uccidimi, perché quello che ho fatto a te, lo farò ancora ad altri bambini. Altri frutti saranno strappati. Imparerete tutti a darmi ciò che desidero” ringhiò.

Il buio posso vederlo in Jacquis, come una nube nera che gli riempie il corpo sottile, l’aria fetida ristagna nella sua mente, non riesce ad espellerla, avverto ogni minimo suo sforzo. Perde quota, esausto. Lo vedo arrivare sino al suolo, riuscendo a non schiantarmi. Ma riesce ad alzare lo sguardo, e nel cielo color di petrolio vede uno stormo di colombe volare formando una punta di lancia che fende, aprendole, le nuvole giallastre.

Sente il loro richiamo. E la voce di Lyryl.

La musica della voce contrasta il fetore che è ovunque.

Lyryl: “Il cielo, Jaquis, non la terra!”.

Con uno sforzo immane svolge le sue ali nell’aria, richiama a sé ogni goccia di

volontà, la sento anche io, come una forza invisibile che lo sorregge, e con un possente battito è di nuovo in aria. Intercetta la corrente ascensionale e di nuovo giunge il vento a sostenerlo e in un istante è di nuovo in cielo. Torna in assetto con i suoi due Fratelli.

“Ora, Fratelli, combattiamo!” fa, mentre in me come in lui l’aria fresca ritempra ogni nervo, ogni muscolo.

I tre oppongono un duro contrattacco allo sciame di quegli insetti. Il signore delle mosche, Guaramel il Retore, comanda le loro fila, uno dei livelli gerarchici più alti del Muro, uno Patriarca fra i prediletti di Bhaar. Comanda anche sui potenti Guardiani. Le creature inferiori gli ronzano attorno alla testa come mosche attorno a un pezzo di carne morta. I Tre Allaghé affrontano lo sciame e il suo signore. Il duello è feroce. Quando il Giudice ci venne addosso, dal suo mantello escono bestie piccole come un pollice ma con la pelle di metallo che si uniscono allo sciamo di KalKoissegà. Sembrano mosconi corazzati.

Le loro ali riescono a deviare quegli attacchi, fungendo da scudi. Ma è una massa potente. Per quanto siano in grado di parare i suoi colpi, non riescono a contrattaccare, sono in difficoltà. Un tuono terrificante scuote il cielo purpureo. Gli sciami di mosconi che si agitano nei cieli superiori piovono in terra, morti. Un lampo irrompe sulla scena di battaglia e trasformandosi in un enorme uccello le cui penne sembrano fatte di aria e luce si para fra i Tre e il Giudice. La sua forma muta e pare un uomo, un fantasma capace di are attraverso i mondi. Lo stesso uomo che soccorse Kioran sulla spiaggia di Hidden.

“Matthia, quell’uomo è Matthia?” sono frastornato, incredulo.

Un Uomo Leale raggiunge sempre i fratelli del Bardo in pericolo.

Al fianco del Lampo saettano tre piccole luci che prendono forma e appaiono simili ai Tre Fratelli. Ora rinforzano il combattimento sul fronte.

Sconvolto dall’irruzione di Matthia il Patriarca Guaramel ripiega nel Muro con le sue creature. Il Fantasma, all’improvviso, come è arrivato, scompare. E le tre luci lo seguono.

*

.

Dopo la battaglia torniamo al chiostro che domina il TalanKadoma, la piazza nel Kalendamen. Lì Ylron vedendomi turbato mi si fa vicino: “Ti preoccupa quel che è capitato oggi a Jaquis?” mi chiede.

Annuisco: “Ha ceduto all’oscurità?”.

Ylron mi guarda con severità: “Non ha ceduto” fa laconico.

“Cosa è quel fetore che mi ha travolto in modo così violento? Perché l’allucinazione, dove mi ha portato?” chiedo, ancora disorientato.

Lyryl interviene: “Non c’è un modo per descriverti quanto Jacquis vuol mostrarti

, devi vederlo e sentirlo da solo, perciò sei qui. Nessuno può viverlo al posto tuo. Per tutti noi è arrivato a un certo punto. Devi essere pronto ad ammaestrare le correnti improvvise, il vento ha un acerrimo nemico, lo chiamiamo l’Alito di Bhaar. È il gorgo improvviso che si apre per l’emissione di soffi dal Muro, vere e proprie flatulenze del Costruttore che cercano di spingere via il vento da sotto le nostre ali, causando un mulinello che ci può anche far precipitare. In questo istante il Kosegurai mette in atto la sua opera.

Prende le sembianze di un tuo oscuro ato. Jacquis non si è fatto irretire, per fortuna. Ion, se ti fai condurre da questo fetore al suo tunnel sei in trappola. Ma siamo lesti e scaltri, dopo un profondo allenamento riusciamo a non farci distrarre dal fetore di quei getti d’aria e possiamo governare il momentaneo caso sotto le nostre ali. L’Alito di Bhaar ha un afrore così immondo che può gettarti nello sconforto. Serve per nascondere i progetti del suo demone alla tua mente. Può portarti nel cuore la disperazione e l’idea di essere stato abbandonato in quello sprofondo di morte. Una volta che ti distrae, cadi e potrebbe colpirti, potrebbe farti prigioniero”.

“Quanti sono i prigionieri di Bhaar, Fratello?” chiedo puntando lo sguardo nel cielo giallastro e rosso.

“Non posso saperlo con precisione ma non pochi. Tu sei stato audace a non farti travolgere pur sopraffatto dall’immondo fetore. Alcuni di noi, arrivano al suolo, avendo lottato con tutte le forze contro il mulinello, lì, deboli e preda delle allucinazioni, come lo era lui, vengono assaliti e catturati, poi mentre sono esausti, al freddo, vengono sedotti dalla luce calda del demone. L’Alito di Bhaar, quel gorgo fetido, è forse il nostro più grande rischio” soggiunge con voce bassa ma ferma. “Un Allaghé del Bardo rischia la sua vita in questi dannati cieli, poiché i vortici si aprono all’improvviso sotto le sue ali.”

“Matthia, interviene spesso?”

“Gli Uomini Leali intervengono certo. Ma se entri nel tunnel di luce non possono fare più nulla. Siamo fratelli, nessuno lascia l’altro in difficoltà, si fa tutto quanto possiamo fare per evitare che uno di noi finisca in quell’abominevole cunicolo. Stiamo sulla stessa barca, barricati da millenni. Non si fa un o indietro. Bhaar lo sa e ci odia. Ci massacra in terra, perseguitando la nostra gente, estinguendo i popoli che non appartengono al Muro, come ha fatto con gli Uomini Leali e qui, inseguendoci.”

“Gli Uomini Leali in terra non ci sono più?”

“Ne sono rimasti alcuni, perché fino alla fine del Muro la nostra gente rimarrà a combattere in questa trincea.”

Ricordi quell’iscrizione nei sotterranei di Sofia? “Fino all’ultimo respiro del mondo, noi diritti di fronte a Bhaar”.

Ricordo molto bene quelle parole, erano sui fogli dell’orfano che mi morì davanti.

“Dove vengono portati i prigionieri?” chiedo.

Lyryl: “C’è un luogo nelle viscere più interne di Bhaar, oltre il Muro, ancora più in basso delle sue fondamenta e della fondamenta della terra. Lì il fuoco arde così violento che la pietra è sempre un lago di magma bollente. Non c’è aria e i gorghi che provengono dalle eruttazioni di fuoco rendono impossibile volare a meno di non finire avvolto dalle fiamme che s’innalzano improvvise come gli

artigli del Costruttore non appena Sansulbazia avverte un tentativo di fuga”.

“Sansulbazia, è questo il nome? Una caverna dentro il Muro?”

“Un edificio” dice Ylron. “Il Talakadoma, la piazza che ti è innanzi, è una dimensione dell’esistenza e dell’essere. Nel Bardo queste dimensioni, come vedi tu stesso e come puoi vivere sulla pelle, sono libere. Io, Lyryl, Jacquis, siamo ‘esseri’ di un solo Allaghé, che tu conosci sulla terra come ‘Kioran’, ma siamo anche noi stessi tre Senza Padre, tu non ci hai mai visti, Lyryl non è mai incarnato, io sono traato tempo prima che tu trovassi Jacquis nel Senza Padre di Sofia. Siamo un popolo ma anche individui, siamo un’Adunanza che è dentro e fuori l’individuo, la Chiesa dei Bardi e dei Leali e di tutti coloro che provengono dall’EnneEuan’Nara e da suo figlio il Primo Spirito, il Dumna’Nara. Ma non siamo l’unica Chiesa. Ve ne è un’altra, che appartiene all’Eternità di Emberetze e di suo figlio Bhaar, in essa si ritrovano le tribù Kosegurai e quegli Spettri che aderiscono al suo richiamo. La Chiesa a cui fanno capo i Senza Padre cerca di fuggire da questo mondo e di far tornare gli Allaghé al Bardo, quella dei Kosegurai cerca di trattenerli, mutandoli in Spettri.

Veniamo a Sansulbazia. È la grande cattedrale dei Kosegurai, l’opera prima di Bhaar. Ogni dimensione esistenziale è fusa con il fuoco lì, tutte le creature dell’Eternità del Desiderio sono unite in Bhaar. Il fuoco di Sansulbazia è potente e primordiale, divampa alla base della mente, custodita nel punto più recondito del cervello, da dove scaturiscono gli impulsi e le ioni più violente. Il signore del Muro è riuscito, attraverso magie potenti ed evocazioni negromantiche, ad addomesticare le fiamme dalle quali ha creato le pareti di Sansulbazia e i suoi carcerieri” continua Ylron. “Quindi oltre a essere una dimensione esterna, un carcere nel carcere, è anche nella mente di chi viene avviluppato nel corpo dentro Lei. È parte del nostro stesso cervello, Ion Milkheev”.

La sete di sapere si fa sempre più prepotente in me.

È un luogo e una creatura allo stesso tempo. Si nutre della sofferenza dei prigionieri. Bhaar l’ha creata con quest’immonda fame, perciò il Muro deve portarle sempre carne e sangue freschi.

Sansulbazia costituisce le fondamenta stessa del Muro, sorregge la sua possanza: come una cattedrale canta la gloria del Dio che vi si adora, essa inneggia costantemente al suo Creatore.

*

Torniamo al nostro punto di osservazione nel chiostro. Jacquis mi chiama e ci affacciamo assieme.

“So che questo viaggio ti ha messo confusione.”

“Vorrei comprendere cosa sta accadendo, perché sono qui, cosa c’entra tutto questo con un orfanotrofio, cosa sono queste guerre, cos’è questo carcere maledetto che giace nello sprofondo degli incubi peggiori?”

Jacquis mi dice solo: “Penso che fra non molto le tue idee saranno più chiare”.

Comprendo ormai che mi trovo in quella dimensione per “vedere” e non per capire.

Da quel chiostro si può scorgere molto campo del Muro.

Lyryl mi indica un punto. Vedo una specie di spazio vuoto, una sorta di loculo come una tomba in un sepolcro umano. Da lì si percepisce una tenue luce, come quella di un cero cimiteriale. Una macchia nera, una specie di tenebra, esce fuori. Non è un’ombra. Non è un vapore. Non è un ectoplasma. È una macchia, non è neppure un vuoto. È come l’essenza di una ferita.

Lyryl la indica e mi dice: “Lei governa molti Spettri nel Muro. Ha ucciso nella sua vita umana e ha ucciso anche dopo il suo trao nell’oscurità. Entrò nel Muro assieme a tre fanciulli. Non le fu difficile con i piccoli corpi, non opposero di certo resistenza, perché una volta data la loro cena avvelenata, bastò solo lasciarli andare nell’acqua del bagno serale. Rimase lì, assorbendo la loro morte. Nessuno la vide. Nessuno avanzò sospetti su una signora di settant’anni. Quando la vecchia assassina poi gettò i piccoli corpi, udì ancora la voce: Abbiamo fatto tutto come doveva essere fatto. Non ci deludi, non ci deludi, donna”.

Nel chiostro si configurano altre tre ombre, a cavalcioni del davanzale.

“Abbiamo combattuto forte. Ma la vecchia pare inossidabile, Fratelli” parla uno di loro, dal viso aguzzo e i capelli più radi degli altri.

“Siete i tre che si sono sollevati durante il combattimento contro le mosche?” chiedo. Sono molto seri. Almeno i loro visi non sembrano disposti al sorriso.

Lyryl me li presenta: “Sono come noi. Myshir, Kamayl e Lyrya, che è il fratello che ti ha parlato”.

Rimango disorientato.

“Stai bene, Ion?” mi fa Lyryl.

“Quei nomi e quei volti. Io li ho visti.

Uno di loro mi guarda, con occhi freddi, ma non malevoli.

“Anche noi ti abbiamo visto” mi risponde.

Lyryl: “Cosa intendi, Myshir?”

“Eri in Sansulbazia a parlare con il suo laido Maestro di Chiavi!” fa

con un balzo dal davanzale si para davanti a me, guardandomi negli occhi.

“Non sono mai stato in quel luogo, né ho mai conosciuto colui che chiami Maestro di Chiavi…”

Jacquis interviene, preoccupato dall’impeto del Fratello: “Myshir, lui non sa di Matthia. Non sa di voi ed è oggi qui per vedere”.

“Mi spiegate per favore?”

Fai uno sforzo. Dove hai visto questi tre volti, Ion?

Diamine! Sì! Sono i tre fanciulli morti di cui mi ha parlato Dunant! I visi sono quelli del disegno di Kioran! E i nomi!

Bene. Allora adesso è sin troppo facile capire.

Non ancora così facile.

Fai attenzione, allora. Se loro ti hanno visto in Sansulbazia, e tu hai visto loro, eravate nello stesso luogo solo in due piani dimensionali diversi.

Larousse è il piano dimensionale di Sansulbazia?

Uno dei suoi piani terreni, lo hai compreso.

Rimango ammutolito. È Lyryl a comprendere quanto mi sta accadendo.

La Voce Narrante mi ha condotto nel ragionamento, ora lui continua a parlarmi

della “macchia” uscita dal loculo.

“In genere uno Spettro del calibro della vecchia assassina porta dentro di sé già in incubazione durante la sua vita umana la voce che per tanti anni le ha sempre sussurrato da dentro, il germe di Bhaar, un piccolo seme che la rende subito riconoscibile agli occhi dei KalKosegurai quando nell’istante del trao vanno a tormentarne l’Anima, terrorizzandola con i loro versi osceni e i ghigni di belve in preda a una fame isterica. Allora le larve dei demoni vedono il verme rosso contorcersi come una tenia nella sua aura che l’addomestica facendo scivolare la sua Anima ospite nei loro corpi, sottomessi come un tappeto, sino al loculo del Muro dove si consuma la sua prima notte di nozze con Bhaar.”

Lyryl mi si fa vicino. Vede che osservo quella macchia cancrenosa scivolare fra le onde di una dimensione così triste da rendere invidiabile persino quella di un cadavere marcito. Mi offre una borraccia. Lo ringrazio e bevo un sorso, è acqua semplice e fresca.

“Non ci nutriamo nel Kalendaman” mi dice. “È solo un’acqua di una fonte che non è visibile nel mondo umano, certe volte che ci rifocilla quando torniamo dalle nostre battaglie. Neppure le entità del Muro o Bhaar possono accedere a quel pozzo”.

Per te è tempo di tornare al mondo, Ion.

Ma io vorrei sapere ancora.

Hai visto cosa è Larousse e come inghiotte i Senza Padre. Hai visto la loro battaglia per combattere quel buco e aiutare la Chiesa del Dhumna’Nara a

tornare al Bardo Primordiale, al Primo Spirito, alla loro Casa Ancestrale.

Non ho visto però gli altri bambini morti che Kioran ha disegnato.

Non li vedrai, adesso. Loro sono stati catturati.

***

Annotazioni di I. M.

in seguito alla trascrizione del Racconto di Kioran

Scrivo queste righe dopo qualche ora di riposo, terminata la terza registrazione sul computer di quanto ho vissuto. Cerco così di trasmettere quel che la mia mente, ancora fresca del ricordo, ha trattenuto di quanto è successo negli attimi in cui Kioran ha parlato.

Sono rimasto di sasso quando ho udito quella voce: “Non ci deludi, non ci deludi, donna!”. Sembrava la stessa frase riferitami da Dunant.

Cosa accade? Kioran vive in un mondo parallelo al nostro, dove le creature sono gli spettri di coloro che abitano la terra? Se Sansulbazia è nel cuore dell’Inferno e il suo corrispondente terreno è la Fondazione Larousse, devo pensare che la terra sia l’inferno?

Stando a quel che mi racconta, sì. Ma non è un dato nuovo per me. Se mai conferma i miei pensieri di sempre, cioè che gli scomparsi siano in grado di vedere quest’inferno nella sua estensione “sottile” che è il Kalendaman, nella lingua di Kioran. Uno stato diverso della materia. Non che fosse libera dal Muro, ma che fosse consapevole della sua prigionia.

Nulla mi ha preparato a ciò che la storia trascritta si portavo dietro.

Mentre avo le ore notturne nel ticchettio della digitazione, qualcosa attorno a me era mutato. Non so dire, adesso, di cosa si trattasse precisamente, ma era come se avessi avuto un’accresciuta percezione del nulla che allignava nel Muro, nel vuoto dei suoi alveoli. In quell’ombra di niente era come se percepissi uno sfrigolio simile a quello della corrente elettrica che scorre su di un traliccio dell’alta tensione.

Puoi udirlo solo se c’è silenzio e vuoto attorno a te. ù

Il chiassoso deambulare dell’umanità nell’atto di trascinarsi di giornata in giornata non consente di percepire questo strano rumore di fondo. In mezzo a questo strano sentore ho avvertito la presenza di qualcosa. Granuli di una materia sottile, come se delle vecchie pellicole sgranate scorressero attorno a me, e io mi ci trovassi immerso dentro. Forse ero vicino alla sostanza dei pensieri di Kioran.

Lo spettro è colui che percepisce questa specie di radiazione di fondo. Chi abitava in quello strano stadio della percezione? Cosa stavo udendo? Ho meditato a lungo, terminata la trascrizione del racconto, dopo aver spento il computer. Oggi la spiegazione che riesco a darmi è che fossero onde radio, una

sorta di trasmissione lanciata in un altro tempo e in un altro spazio, attivate dal racconto stesso di Kioran. Era Jacquis che cercava di comunicare con me, in quella narrazione. Forse Kioran ha contattato un essere di un loculo diverso, o forse lui stesso ne è una sua proiezione.

*

Finalmente ho compreso l’evidenza.

Larousse è Sansulbazia. Da lì chiamano disperati i prigionieri. Ma se quell’immonda prigione che sta al di sotto dell’inferno stesso è dentro il nostro mondo, secondo gli Allaghé il nostro mondo è l’inferno. Allora io e Kioran stiamo discendendo in quest’antro interno alla stessa umanità, una piega infernale dentro la piega della realtà infernale.

Dico a Kioran: “Cos’è Larousse?”.

E lui, quasi in una linea logica: “È il punto in cui si apre il varco dimensionale di Sansulbazia. L’Inghiottitoio”.

Rimango perplesso, poiché quella parola non l’ho mai udita.

“Cos’è un Inghiottitoio?” chiedo.

Kioran guarda il suo disegno del bambino con la bocca cucita. Ha un’aria

desolata.

“Il Battesimo dei Kossegura” parla con un filo di voce. “Lui è Tahumnann,” dice, andomi quel foglio “voleva liberarsi da quei sigilli”.

“È un sigillo quello che ha sulla bocca?”

Chiedo, cercando di non essere impertinente.

La sua angoscia era visibile. Se pure fino a questo momento non ha manifestato alcun’emozione, ora pare atterrito dalla tristezza.

Mi risponde, in un filo di voce: “Ogni creatura ha un suo Sigillo, un Guerriero che ha combattuto nella Ruota Maledetta, con le sue innumerevoli Incarnazioni, ne possiede poi più di uno. Non ci è dato però sapere dove sono situati né quanti ne abbiamo ma di sicuro non più di sette. Solo chi sta oltre la Porta può estrarli dalle creature. Mentre sono Signori del Kalendaman ad imprimerteli. Ogni volta che cede al richiamo di un Kosegurai, l’Allaghé viene marchiato, come fanno i mandriani con le loro bestie. Molti di noi sono pieni dei loro sigilli.

I sigilli servono allo stesso modo di quelli del mandriano: a riconoscere il tuo padrone. Se sei di una certa tribù di Kosegurai, il loro patriarca sarà geloso di te e non vorrà dividerti con altri. Per questo molto spesso nel Kalendaman vi sono guerre intestine, faide, fra i clan demoniaci.

Il maggior numero di capi di bestiame rappresenta anche la superiore ricchezza e

quindi la superiorità gerarchica, il bestiame marchiato serve per essere sacrificato al grande signore Bhaar, il Costruttore del Muro. Perciò più vacche possiedi, più godi della benevolenza di Bhaar”.

“Dimmi, dunque, chi ha cucito la bocca a Taumnann? Non credo fosse sua madre…”

“Invece era sua madre. Quando li segui ti infilano in uno degli uteri del Muro, una Lei. E quindi Lei guidò la mente della donna che affogò i tre bambini, dopo averli addormentati.”

Prende il foglio con i tre ragazzini: “E la mano che uccise Egor in realtà si chiamava Haian”.

“Non parli di un’unica donna umana, vero? Si tratta di casi molto distanti fra loro.”

“Non ho detto che si tratti della stessa donna umana, infatti. Lei si è adombrata in ciascuna di loro, inviata dal Giudice, patriarca della sua Tribù di Kosegurai.”

“E tu? Tu cosa fai qui?”

“Devo cominciare a capire cosa sia Sansulbazia. Qualcuno tempo fa venne per distruggere l’opera di Lei, cioè i ventri funesti che imprigionano i miei fratelli nel Muro. Uno a uno li troverà. Tu capirai il tuo ruolo, ti ho portato sull’Orlo dell’Inghiottitoio di Sansulbazia per farti senti dalle suoe Prigioni Infere le urla

delle Anime che chiedono pietà. Sansulbazia è un inghiottitoio che si apre ai piedi di chi viene condannato dai signori dei clan. E sono qui perché tu viva il rapimento di ogni singola Luce dentro il tuo petto, e riprenda il tuo ruolo.”

Non insisto oltre. È tardi. Sebbene non sia un essere umano di otto anni, vedo il suo fisico pur sempre minuto e di fanciullo che accusa i segni di una grande stanchezza.

Non ho idea a chi alluda quando dice “Qualcuno tempo fa venne per distruggere l’opera di Lei”. Mi ha detto “devi riprendere il tuo ruolo”. Perché celarsi in questo modo, dopo tutti i racconti di cui mi ha reso partecipe? Non penso che tale arcano lo risolverò a breve.

Dove sono quei bambini massacrati, ora? Non posso far nulla. Un senso di inutilità mi travolge.

***

Non è un sogno, vedo chiaramente quell’uomo davanti a me. Non è una nube, neppure una luce. Sembra fatto di messaggi radio provenienti da una percezione diversa in me. Il suo mantello svolazza come una pelle nera che lo copre dagli influssi del cosmo e la corazza che si sagoma sul suo corpo senza comprimerlo non è di metallo, né di altro materiale che conosca.

“Abbiamo cominciato a radunare i Senza Padre” mi dice. Non mi parla come a un’altra persona, ma sembra che stia guardandosi allo specchio.

“Matthia” mi viene naturale rispondere.

L’uomo annuisce. Mi tende la mano. Prendendogliela afferro il vuoto, eppure sento la sua mano. Non ha temperatura, non è fredda né calda, tanto meno tiepida. Non so descrivere la sensazione che provo perché la mia pelle non prova alcuna sensazione fisica a quel contatto.

“Chi sono i Senza Padre, Matthia?” chiedo, cercando di non essere inutilmente curioso.

Lui mi risponde: “Sono spiriti caduti nelle tenebre sulle cui Anime stritolate dai carnefici il signore del Muro vuole gettare le basi del suo Impero, che chiama ‘Tempio’. Oggi il mondo in cui lavori è chiamato Tempio dai suoi gestori”.

“Intendi la Fondazione Larousse e l’OIGE?”

“Per l’esattezza, comprendi bene.”

“Tu, attraverso me, stai operando per distruggere il Tempio costruito da Larousse per ordine del Costruttore del Muro?”

“Comprendi bene. Con me vi è anche Jacquis. Adesso devi andare da Dunant per portargli la relazione, come ti obbliga il tuo servizio. Una volta lì gli parlerai, gli dirai che conosci il suo piano.”

“Ma in questo modo scopriremo le nostre carte.”

“Non stiamo giocando una partita a scacchi e non m’interessa che sappia o meno delle mie carte, non arriverà mai a capire chi sei. Lui non conosce me ma io conosco bene lui. Il mio messaggio è anche un’azione ma questa non sarà dovuta a me: la sua stessa paura sarà l’azione, porterà le tue parole sino alle orecchie del suo signore. Io non agendo, agisco. Noi siamo i custodi nel Kalendaman dei Bardi caduti e imprigionati. Noi vigiliamo su di loro, incessantemente. Che lo sappia bene questa nuova generazione di idolatri che si ammanta con le cappe elargite da Bhaar, attraverso le opere di bene Ci venne detto di custodire i nostri fratelli, sino alla fine dei tempi. E noi non ci sposteremo di un centimetro dalla nostra posizione.”

“Ma tu, cioè io e te, quelli come noi,” continuai confuso “non siamo caduti come loro?”.

“Lo siamo. E forse la nostra caduta è stata peggiore. Eravamo i loro Fratelli e difensori ancora prima che tutto avvenisse, si fidavano di noi, andavamo assieme a compiere le Opere che ci venivano affidate. Ma accadde che volutamente seguissimo le ancelle di Bhaar, ammaliati dalla loro seducente fisicità.

Coloro che i Bardi chiamano Lei, ciascuno di noi si accoppiò con una Lei e generò quell’involucro che avviluppò in seguito gli Allaghé, una volta inseriti nel Muro. Abbiamo bramato di governare su una nostra generazione di carne, senza pensare che questi corpi potessero essere poi le prigioni degli schiavi impiantati nel Muro. Se siamo qui è perché siamo caduti, sì, molto più in basso di quel che pensi. Se noi non fossimo crollati così miseramente, loro non sarebbero caduti, dopo di noi. E non avremmo contribuito alla loro agonia. Li abbiamo lasciati soli. Ma in un tempo che non puoi immaginare, siamo rinsaviti. Adempiere a questo nostro comando è anche il nostro modo per ritrovare il nostro onore perduto. Per questo quando ti vedi allo specchio provi orrore di te stesso. Provi quel che ho provato io al momento in cui ho compreso ciò che

avevamo fatto, e lo senti e lo vivi ogni giorno questo schifo”.

Rimango senza parole.

Altre cose vedo accadere.

Rimangono in me, per ora, come una pagina bianca del libro in attesa di essere riempita con gli esisti finali di questi accadimenti.

***

EPILOGO

Il giorno prima di redigere la relazione, Ion ricevette il referto dell’autopsia dei cadaveri rinvenuti dalla polizia nel bordello. Non si aspettava che Dunant lo rendesse partecipe. Nel ricevere quel plico avvertì un ghigno percuotergli la mente. Bhaar stava deridendo Matthia.

Una nausea devastante colse il Maggiore, andò in bagno. Tornato, violò il perimetro mentale che quel ghigno gli aveva imposto riducendogli lo stomaco a un colabrodo.

Lesse quel che il medico aveva scoperto e non ne fu sorpreso.

In tutti i corpi il tessuto dell’encefalo è gravemente danneggiato, e le esplosioni sintomatiche ricordano un’intossicazione acuta da solfocarborismo. Non sono però stati rivelati negli accertamenti, presenze di sostanze tossiche, né batteri o ceppi virali. Sembra che tale degenerazione sia insorta spontaneamente.

E seguiva poi la conclusione:

è possibile che nei fumi di una simile sindrome, gli uomini si siano uccisi fra loro, in preda a deliri.

Immediatamente Ion si ricordò di quel che aveva percepito dentro di sé: La giustizia è già ata, si sono legati una macina al collo e si sono gettati nel mare. Coloro che presero parte alla mensa di Bhaar ora giacciono in fondo all’abisso del Muro.

Quella strana sindrome era dunque la mola che si agganciarono al collo.

Ion portò la sua relazione a Larousse, come gli chiese il vecchio Generale Bosch biascicando una lagna insopportabile, cioè la solita frittura di pesce avariato in olio esausto circa l’eroismo del Conte Larousse e la necessità di mantenere pulito il nome della Fondazione. Prima di andarsene, si fece vicino al Direttore e gli disse:

“Le dirò di più.” Ora in Ion parlava una voce ben più profonda del suo essere “Per certo quelle persone non avrebbero agito diversamente, perché lei sa bene COSA le ha mosse da dentro. Lo sa bene. Conosce ogni risvolto di questa storia. Io ora non posso denunciarla, perché non ho prove di quel che dico. Ma ora lei sa che io conosco il suo maestro, lo conosco bene. Lei è un servo del grande

Costruttore di Mura, colui che ha fondato il vostro Tempio. Perché questo paese non è crollato come gli altri, perché lei ha nelle mani tutta questa disponibilità di ‘carne fresca’? Per rifornire il Tempio. Io lo so. E prima o poi il suo tempio andrà distrutto.”

***

FINE

GLOSSARIO delle parole e dei concetti Con estratti dei Racconti Teologici (BardHoar) e note linguistiche

Ahyhmaseinosa.Nara

Spirito del Bardo o Bardo Leale.

Per comprendere la loro provenienza originaria , riporto una sintesi tratta dal BardHoar delle Origini

*

“ I Bardi così si propagarono per volontà di Shiwu Shenga, che dai Senza Padre

è chiamato Dulmna’NARA, dall’Adunanza sino ai Non Eterni, divenendo lì Allaghé. I Dodici Custodi delle Forme, che erano un’unica Entità se pure divisa in dodici elementi, Mingolòus, ricevettero queste particelle dell’Adunanza e nacque l’Informazione, cioè ogni particella penetrò una forma, dandole vita e così si trasmise il Pensiero della Comione e ogni cosa cominciò a sentire l’altra, e la conoscenza del Canto poteva propagarsi. Shiwu Shenga disse ai Dodici di Mingolòus:

“Ecco, ora vi abbiamo informati della Comione, adesso ciò che non era vivo può divenire Vivente, scorrere nella Perfezione attraverso i Canti della Pienezza. Non tratteniate mai per voi il Canto, poiché è come il vento, giunge dal mistero e nessuno che non sia la sua scaturigine può sapere quale sia la sua direzione.”.

E i Dodici dell’Unicum chiesero a Shiwu Shenga: “Tu ci hai beati con il dono dell’Eterna Comione, e hai reso vive le nostre creature. Ma cosa accadrebbe se nel nostro cuore desiderassimo tenere per noi il Canto senza dargli modo di tornare alla sua Fonte?”

E il Bardo Supremo rispose loro: “Cosa accade al vento se lo comprimente in un tunnel sotterraneo? Cosa accade alle acque se le imprigionate in una diga? Cosa accade al fulmine se lo imbrigliate nel ferro? Cercherà ogni cosa di tornare alla sua fonte, con tutte le sue forze, divenendo irrefrenabile la sua spinta e ciò che non è fatto della stessa sostanza di quella forza è destinato a corrompersi, usurarsi, sino a svanire perché quella forza torni a casa.”.

Mingolòus continuò: “Però le forze che tu ci hai descritto possono essere incanalate, possiamo pensare di arginarle.”.

E il Figlio di Euhao: “Potete immaginare un mondo con tale forza incanalata, certo. Potete pensare a strutture, edifici, paesi interi che dominano tale spinta.

Ma alla fine questi progetti decadranno quando la forza uscirà dalla vostra immaginazione per cercare la via di casa. La vostra immaginazione è un contenitore finito. La forza è infinita, poiché appartiene a ciò che è Eterno.”.

Fu così che da Husuòn scese il Kalendaman in Opèide, il reame di Mingòuls attraverso il Canto di Euhao.

Anche Berzku venne investito dal Flusso, scoppiando come Euhao di stupore. Ma il Primo Pensiero di Berzku non fu di emanare nel Flusso per partecipare nella Comione, poiché in lui, da sempre, erano le forme della densità. La Densità trattiene le idee delle forme, non le emana, è questo trattenere è “il limite” al quale nulla sfugge nella sua Eternità, una forza tale alla quale nessun pensiero può sottrarsi, se viene in essere in Berzku¹. (…)”

***

Allaghé

Bardo che si è perso seguendo l’incanto di Bhaar ma che, ritrovato il senno, ha la consapevolezza del reame in cui è sprofondata la terra e di cui sono schiave le creature.

Note di pronuncia: Il guppo ll è una consonante molto retroflessa il cui suono non è facilmente riproducibile. Diviene simile alla fonologia della r nella parola cinese rou. Il gruppo gh è simile all’italiano gh nella parla “ghibellino”

***

Bardo

È un Allaghé rimasto fedele all’Origine, non cedendo il suo Canto a Bhaar, e che per sua scelta si trova ad aiutare Spiriti Leali incarnati sulla Terra

***

Bhaar

padre dei Koissegai, Costruttore del Muro. Seduttore principe dei Bardi. Noto anche come Ladro dei Canti, plasmatore del Kalandaman.

*

Notizie sul nome di Bhaar e sulle differenze con la radice Bardo, [Tratte dall’Epinshema , l'Antico Dizionario Etimologico dei Bardi ]

Bhaar è un nome che fa affidamento al valore plurimo della sua radice. Il nome infatti è un tema poliradicale, la sua radice cioè possiede più valori, nel caso specifico sono due i valori:

I – Bha

II –Br

Il Primo Valore di Bhaar è l’attribuzione che verte sul significato letterale di “costruttore” nel senso di “ architetto” . Bha è la radice dell’Antica Lingua dei Bardi Orientali che indica “edificio, piano, perimetro di edificio” Bha-end significa: edificio fondato , cioè palazzo, Bhalo è la cerchia muraria di una costruzione templare, Bharak è riferito alla costruzione di vascelli visto che la radice –rak- significa nave Il Secondo Valore invece manifesta il tema di “nero”, “scuro”che sfuma nel senso di “non chiaro” “non onesto” . Im brutz: Uomo non corretto. Hak ebrijin : Piano non manifesto. Br + ijin: progetto, disegno, sogno. Esempio del Secondo Valore, nell’Ottavo Channà dell’Apocalisse (estratto dai Canti dei Bardi dell’Adunanza):

Funài ella ruànbrènute Irvaki mànto - dàna yu sìrmuti Esàmp’isso dàna yùnanki

Inni al nero fanciullo risorti i natali nelle prime morti Già Pasqua nella culla

Alcuni sostengono che il Secondo Valore sia presente anche nel nome Bardo, in qualità di “nascosto” collegandolo al Canto Segreto di Euhao. Ma non è possibile accomunare la radice di Bardo a Bhaar, le lettere sono differenti. La – Bh- ha un suono esplosivo, come la prima –b- della parola italiana –barca- o – bambola- mentre nel termine Bardo la b è, a seconda delle varianti dialettali, pronunciata come una –v- senza però chiudere del tutto le labbra, tipo –acabar- e –vaca- in spagnolo, o addirittura la w inglese nel suono di –world- . Ecco perché in talune traslazioni, seppur rare, viene riportato : Vardo o Wardo. Impossibile invece traslitterare Bhaar in altro modo.

*

Alcuni Nomi di Bhaar trasmessi dai Bardi che discendono dal Primo Valore Radicale di –Bha- .

1 - Bhalo-hollul:

“architetto del muro”, la seconda parola che forma il nome –hollul- è composta da –ho- indica appartenenza a Bertzu , fusa con la parola che indica il muro –loche a sua volta è fusa con Elula che indica la potenza divina (come in Llambianoth, dove sin è contratta nell’unico suono Ll)

2 - LlarBhaendho:

potenza suprema della città (muro). –Ar- è uno stato di luogo che esprime

l’essere all’interno e si attacca al confisso, seguendolo all’inizio della parola. Ll è contrazione di Elula, Bha è la radice di costruttore, end è l’edificio fondato da mura, cioè una città mentre –ho- è l’appartenenza all’Eternità di Berzku.

3 - Llbhajiin:

signore del progetto, signore del sogno. –Jiin- significa “progettare” nel senso ampio dell’idea di “tramare un disegno in mente” , o persino “sognare” nel caso di cui ci stiamo occupando. È infatti un nome verbale quindi il suo senso comprende sia l’azione quanto il soggetto od oggetto della stessa: “colui che progetta il progetto”

***

(La) Crisi

Cominciò senza che nessuno se ne accorgesse, dapprima sembrò solo un momento nero dell’economia, come ce ne furono tanti nella storia umana. La gente non ebbe subito la percezione di scivolare sempre più nell’abisso della miseria, poiché la discesa non fu brusca, ma ondeggiò fra periodi di una certa ripresa economica che si alternavano a più cupi ribassi, e queste incursioni di benessere davano motivo di rimanere ottimisti circa le sorti della società. Tutti si dicevano “è già accaduto, ne usciremo, come ne siamo sempre usciti”. Fu in una stagione particolare di quei rialzi economici che la gente venne abbagliata dall’abbondanza che finalmente era tornata nelle loro vite e in un vento di ottimismo tornò a vivere come era abituata a fare prima che la Crisi diede la sua prima avvisaglia. Comprò case, costruì nuovi palazzi, viaggiò per il mondo, fece figli. Fece figli. Poi questa stagione cessò come era iniziata e da quel momento in poi, la discesa non ebbe più freni. Quasi all’improvviso dopo quel sentore di benessere l’uomo, specialmente nelle regioni occidentali del mondo, si ritrovò

sul lastrico. Nulla fu più tremendo per la psiche collettiva. Neppure la televisione fu in grado di reggere il colpo di quella rottura improvvisa, la gente prese coscienza che ormai da quella discesa nulla l’avrebbe più salvata. Neppure nel 1873, o nel 1929, accadde qualcosa di simile. Un’ondata di suicidi come mai si era vista, falciò l’umanità, in modo più devastante di qualsiasi epidemia di vaiolo, influenza o peste. E i figli dei suicidi rimasero soli. Le cause nessuno è, neppure oggi, in grado di stabilirle con precisione. Forse il mondo è crollato sotto il suo stesso peso , come un uomo ingrassato nel ventre ma rimasto con le gambe troppo esili cade. Il divario fra mondo ricco e mondo dei poveri si fece incolmabile. La parte opulenta della terra era divenuta così abbondante che quella povera non riuscì più a sostenere il suo peso. Le guerre nei paesi poveri, le rivolte nei quartieri malfamati delle ricche metropoli, le banche che fallirono per le truffe continue di coloro che specularono nei brevi periodi di ripresa, furono alcune delle cause che portano alla Crisi come l’abbiamo conosciuta.

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Dhum’Na.Nara

Padre, principio Teologico chiamato anche Provenienza degli Allaghé e degli Uomini Delta, Ispiratore del Canto nei Bardi e di ogni cosa che non è legata a Bhaar. È Figlio di Euhao, che ha emanato i Mondi Alti nei quali non v’è sostanza del Muro. Nelle cosmogonie orientali, cioè nei racconti Teologici , il suo nome è Shiwu Shenga. Negli Apparati si possono approfondire questi argomenti attraverso degli estratti dai Racconti Teologici , i BardHoard delle Origini.

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EnnaEua.Nara

Provenienza degli Spiriti Leali (Euhao) nei Racconti della Comunità Allaghé di Sofia, così si chiama l’insieme dei Mondi Alti e di tutte le emanazioni di Euhao. È il regno del Dhum’Na.Nara. Euhao è chiamato anche Prima Eternità, chiamata anche Regno della Comione, dal quale provengono gli Ahyhmaseinosa.Nara e tutti gli Spiriti Leali.

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Note sul nome Euhao, tratte dall’Epinshema

È il nome con cui i Grandi Bardi hanno chiamato il Regno della Provenienza, uno dei Due Grandi Primari. Della Lingua dei Bardi Orientali non conosciamo molto, è la Tradizione dei Fondatori che riporta la spiegazioni etimologiche, attraverso l’Epinshema, un Dizionario Etimologico tradizionale, compilato, si dice, dagli stessi Bardi, poiché i Fondatori avessero sempre gli strumenti per eseguire l’Opera del Grande Spirito della Provenienza. Euhao, secondo il Epinshema, sarebbe la condensazione della frase: Laddove regna imperturbabile la Luce Serena, poiché Eu è sia una particella di luogo (colà, laddove, lì) che il verbo “regnare” nel suo senso stativo. Il verbo stativo indiva un’Azione in Quiete, in genere è composto dalla radice del Verbo nella sua forma “attiva” senza il suono consonantico, in questo caso Eu è la Forma dell’Azione di Quiete di Elula, senza il suono della consonante ‘l’. Questo verbo è molto particolare e rimandiamo all’apposito approfondimento.

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Fotone

Sostanza del Kalendaman nella configurazione Sottile di un Allaghé. è l’Informazione Primaria che accoglie le note del Canto di Shiwu Shenga, si vedano gli Appunti di Teologia.

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Giudici

Entità figlie di Bhaar ed emanazioni di Berzku suo padre. Al momento della cattura di un Bardo o di un Uomo Leale, lo sottopongono a un tremendo interrogatorio, sotto una pressione indicibile gli proclamano dei “reati” che lo Spirito avrebbe commesso, e a ogni proclama gli chiedono “Tu accetti questo capo d’accusa?” e poiché quel disperato si trova sotto la pressione di un indicibile dolore, quasi sempre risponde “sì, lo accetto” dando modo a Bhaar di rendere “legale” la sua prigionia, sicchè ogni qualvolta che uno Spettro, un prigioniero del Muro, alza la testa, i messi dei Giudici gli rammentano le sue “colpe”, che ovviamente non esistono, ma sono solo delle affermazioni strappate nel corso d’una tortura. Mano, mano che lo Spettro rimane nel Muro, il ricordo di questa tortura si fa sempre più sfumato, sino a divenire una pallida e inspiegabile luce persa in qualche incubo notturno. Rimane solo un immane senso di colpa, scaturito dalla pressione dell’interrogatorio attraverso la quale il Giudice ha inciso e sigillato nello Spettro la sua colpa, rendendolo un docile “devoto” alla sua prigione.

I Giudici sono anche alti gerarchi nella società del Muro, governano i Guardiani, che sono le Entità preposte all’esecuzione delle pene all’interno del Muro.

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Guardiani

Prefetti di Bharr, che hanno come scopo il mantenere i Prigionieri nei loro alvei, imponendo l’esecuzione delle pene somministrate dai Giudici e custodiscono l’ordine all’interno del Muro.

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Honnataicry’nna

Gli Uomini al servizio di Bhaar, potenze incarnate sulla terra, signori dell’ordine delle Forme, nemici spietati degli Uomini Leali.

Nell’Antica Lingua degli Allaghé l’uscita in Cry’Nna determina proprio il ruolo di questi spiriti oscuri, inseriti da Bhaar nella creazione dei “vasi” (Cryn’Nà: forme) per intrappolare i Bardi. Honnatai viene dalla parola Honnatai’nna , uomini, inteso come “uomini fatti di carne”, a differenza di Ahyhmaseinosa che significa: “uomini fatti di Spirito”

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Kalendaman

È sia un luogo che un Principio Teologico. Si rimanda agli Apparati degli Appunti di Teologia per dare una visione un po’ più chiara dell’argomento.

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Koissegura

Servi di Bhaar, nella Teologia degli Antichi Bardi Orientali sono chiamati Le Potenze, e nel BardHoar delle Origini si narra così la loro nascita.

* Capitolo VI, Nuove Creazioni di Llambianoth’ I Pohì

“Nell’Eternità di Berzku non rimasero quasi più mondi vivi, i Soli erano divenute stelle così enormi e instabili che in ogni momento si poteva assistere al deflagrare di uno di questi e ad altra morte. Al di sotto dell’Opeide (il regno di Mingòulos, prima di divenire Dodecastra N.d.A.) il panorama che si presentò a Llembianoth’ fu quello di un ammasso di fuoco, un plasma ribollente in cui giaceva la materia disciolta dei Mondi assieme all’indicibile sofferenza delle creature che il Primo Alfiere vi aveva fatto vivere, per volere del suo Signore. Quella sofferenza si era condensata in quel brodo di dolore e fuoco, gli spiriti senza essere contenuti nelle creature si erano così fusi in una specie di Nebbia dall’orrendo odore di morte. Ma Llembanoth’ non lasciò sprecata quella nuova materia. La elevò invocando il Suo Signore. E da quella coltre di dolore venne creato un nuovo Mondo e le Forme dei suoi abitanti. Ma non fu adoperata tutta

quella materia, ciò che ne rimase, venne lasciata fluttuare nel Cosmo, quest’ammasso di disperazione fu la culla di piccole forme di vita astrali, larve il cui sangue era la poltiglia di carne vaporizzata mista all’orrore dei primi abitanti innanzi all’istante della loro morte. Era ciò che mi venne raccontato dal Gran Bardo dell’Aria (Colui che trasmise il BardHoar delle Origini alle Comunità di Allaghé sulla Terra, N.d.A.) come l’ammasso Pohì, piccolo placton sottile che, per tragico destino ebbe quello di essere nutrimento per le nuove e terribili Potenze. Infatti nella nebulosa Pohì si generavano sempre nuove larve, poiché le larve si accoppiavano, avendo ancora l’impulso, il motore, che contraddistingueva la Creazione di Berzku, il Desiderio. Per la quasi totalità però il seme era stato irradiato dalle possenti esplosioni solari, quindi distrutto o gravemente alterato, perciò quei pochi che riuscivano a moltiplicarsi, non partorivano che patetici aborti informi, la cui vita era solo un’agonia infinita. Llembianoth’ cercò larve che avessero un seme ancora robusto. Le trovò, erano in numero esiguo. Le prese e le allevò con cura, irrobustendo quel seme. Diede loro una maggiore smania di accoppiarsi, attraverso una magia particolare, capace di incanalare l’energia della morte che aveva causato lo spostamento delle membrane nei loro corpi. Plasmò qualcosa di nuovo. Erano giorni entusiasmanti per lui, tornato all’opera viva Creazione. Quando vide che le nuove creature erano state plasmate nella forma giusta, le elevò intonando un Canto al suo Signore. Egli scese ed eccitò Llambanoth’ che emise il suo stesso seme facendolo gocciolare dentro le sue creature e queste presero vita.

“ Questi saranno i nostri alfieri, saranno coloro che domineranno sui nostri prigionieri, quando li deporteremo nei nostri Mondi appena ricreati. ”. disse, al colmo del compiacimento, mentre altro seme gocciava fra le sue mani colò su una roccia che fluttuava nel cosmo, questa avvampò d’oro e Llambaboth’ la prese e disse: “Ecco il trono della nostra Creatura eletto, nel mondo da me chiamato Evhundai, che significa “terra”.” e la pose sulla calotta polare di Evhundai, il Mondo dove avrebbe condotto i prigionieri . Quello era il Trono dell’Enpriskauna, la Monarchia che oggi governa l’umanità e le Creature plasmate ne sono i suoi membri reali, il re e i suoi figli.

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Lei

Oltre la descrizione di Kioran nel racconto, si veda anche nel Manuale di Guerra, negli Epigoni, la voce Regine Nere.

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Muro

È il mondo del cemento, la materia della creazione di Bhaar, dentro vi spinge gli spiriti che riesce a sedurre nei mondi leggeri, liberi dal cemento. Il Muro è un organismo vivente, pensa e ha emozioni come il suo creatore. Nel suo interno Bhaar vi ha immesso anche altre creature .

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OIGE

Organisation Internationale pour la Garde des Enfants, è un’organizzazione che nasce in Svizzera e ha carattere internazionale, istituita per assistere le migliaia di orfani, i figli della Crisi, abbandonati sulle strade. Gestisce gli IA, Institutions pour l’Accueil, Istituti per l’Accoglienza che si occupano di dare un riparo e cure a quelle moltitudini di bambini diseredati che brancolano per i paesi la cui società è tracollatati per effetto della Crisi. La sua struttura è gestita da militari svizzeri, che abbiano studiato presso la sua accademia a Ginevra. I suoi Istituti

sono sparsi in tutto il mondo, il personale è svizzero, potrebbe avvalersi anche di apporti del paese in cui opera, ma il comando di un Istituto è affidato a un militare elvetico. Le sue origini sono incerte. Pare che all’inizio fosse un gruppo di militari di rango elevato ad aver intuito la necessità di un ente che, crollate le istituzioni tradizionali sotto il peso del loro stesso costo, potesse dedicarsi alla sola protezione dell’infanzia abbandonata, una vera e propria piaga universale. La versione ufficiale vuole che un gruppo di cinque ufficiali si sia riunito a Ginevra e abbia messo in comune ogni bene di loro proprietà, per costituire il primo nucleo di una fondazione che non vollero come struttura privata, ma la mantennero interna allo stesso esercito svizzero. Il governo elvetico accettò la creazione di quel primo fondo per la tutela dell’infanzia, gestita dai suoi gerarchi, avvallò così il progetto dei cinque ufficiali che fondarono il primo Istituto. Essendo l’unica organizzazione che si occupava gratuitamente dell’allevare quei bambini perduti sulle strade, in breve le nazioni accettarono di buon grado l’apertura di Istituti sui loro territori.

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Sansulbazia

Il Grande Inghiottitoio, è sia un luogo che un’Entità. Non si molto a livello teologico e cosmogonico di quest’Entità, probabilmente è un’estensione dello stesso intelletto di Berzku.

Nell’Epinshema il nome viene allacciato ai due nomi di potenza (cioè quelli glorificati nelle Liturgie dai suoi seguaci) del Figlio di Berzku, Bhaar e Llambianoth. Vi è la radice di Bhr vista già in questo Glossario, Ul può venire da –ul-. Legata al termine Elula che indica la potenza divina (come in Llambianoth, dove sin è contratta nell’unico suono Ll). Probabilmente l’uscita del nome in – zia proviene da Itza, il più oscuro dei Nomi di Berzku, ma non si può esserne certi, dato che i Bardi preservano questo mistero poiché pare che tale nome racchiuda la vera natura dell’Avversario e il solo nominarlo innesca reazioni di

eccitazione nelle sue Potenze, creando situazioni molto pericolose.

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Nei Racconti Teologici si narra di come l’Ighiottitoio si sia manifestato nel Lago di Sangue, risultato della tremenda ferita inferta dal Dulmn’na’NARA (Shiwu Shenga) a Bhaar (Llambianoth)

Dal Capitolo VIII Battaglie contro gli Elementi

“(…) a quel punto, come scrissi prima, che per tutto il Cielo dell’Opéide, in tutti i suoi Mondi s’udì un tuono d’una potenza indicibile. Nessun essere ascoltò mai più un suono simile. Si sgretolarono gli ammassi stellari, i pianeti si aprirono come sassi d’argilla, i Soli avvamparono tremando per il terrore e i mari si aprirono lasciando spogli gli abissi. Era la voce di Shiwu Shenga.

“ Llambianoth’, principe dannato! Gli esseri urlano la tua indecenza e le loro grida di orrore raggiungono il mio udito. Maledetto, hai provocato tempeste nei Mondi della Comione e infinite sofferenze a coloro che hai avviluppato nel tuo inganno. La tua narrazione ha creato il dolore e immonde bestie hai plasmato nel tuo maligno ventre delle mente –

Con il suo canto, il Gran Bardo dell’Aria, spazzò via le Potenze insorte per aggredirlo. Dalla sua mente uscì il Gran Bardo dell’Acqua che suscitò una tempesta immensa che ripulì i mari dalle orde di navi malefiche che si erano sollevate. Poi emise il Gran Bardo della Terra che percosse le montagne, facendo

cadere i feudi dei servi , nei quali erano celate le officine del male di Llambianoth, dove venivano plasmate le orrende macchine per incatenare le menti degli Esseri. Infine con la sua lancia, che era il Gran Bardo del Fuoco, trafisse l’addome mollo del Primo Cantore di Berzku. E lo conficcò al di sotto dei Mondi. Così, come avete letto, venne a esistere il Lago di Sangue.

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Llambanoth però non era morto e nei secoli mentre si contorceva inchiodato in attesa di liberarsi, rimuginò con un odio senza limiti verso Euhao e le sue creature, ordendo altre trame di guerra. Pianificò un altro assalto, perturbando per seconda volta le membrane, stavolta ancora più violento del primo. Ferito e umiliato l’Egemone cogitò una vendetta il cui odio poteva esser pari solo all’immaginazione della sua Eternità, dunque chiamò a sé la prima delle sue creature nuove, la unse nel lago di Sangue e le disse: - Sei il combattente delle mie schiere, portami tutti i Diecimila Esseri, perché io ne depravi le Essenze, deturpando le loro Forme. Non ricorderanno neppure il volto che avevano!(…)

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Scomparsi o Senza Padre:

Sono la comunità dei Bardi incarnati sulla Terra. Cadendo nel mondo si trovano a vivere in terra la condizione celeste di lontananza dalla loro Casa Ancestrale. Vedendo il mondo in cui si trovano come l’ opera di Bhaar, il padre dei Koissegura, costruttore del Muro, e nei casi peggiori, come Sansulbazia, le sue oscene segrete, è naturale come rigettando Bhaar come loro “legittima Provenienza” si dichiarino “senza padre”. Il nome Taomur-yre.n, in Faraday Ar era in uso specialmente nella Comunità di Sofia, sino al momento della sua estinzione, il temine compare nel foglio atomi dal piccolo bulgaro, infatti.

Ora, Troverai i Senza Padre Quando scenderai nel pozzo Aprirai gli occhi: - Loro disperano (perché )Quel pozzo è Sansulbazia

Taomur-yre.n : questo nome deriva dalla composizione delle due parole taomur: mancanza, lontananza, scomparsa e yre: padre, ma vi anche la parola taomur yre, che significa “colui che è scomparso”: dal prefisso del participio – ta- e il verbo omur “scomparire” “perdersi” e l’uscita –yie che rende il participio un nome vero e proprio.

Perciò nel racconto si trovano entrambe le parole: Scomparsi e Senza Padre. Nel suo diario Ion Milkheev utilizza il termine "Scomparsi", forse inconsapevole del duplice senso di tale parola, poichè non conosce bene questa strana lingua che si trova a dover custodire. Quindi così il senso può essere inteso anche in questo modo:

Troverai gli Scomparsi Quando scenderai nel pozzo Aprirai gli occhi: - Loro disperano (perché )Quel pozzo è Sansulbazia

Nell’Epinshema tao mur viene fatto risalire all’antica locuzione “taomurya” : senza destino o più precisamente dalla frase: dal destino scomparso o ancora dal destino annullato ( mur essendo un verbo “Sparire” nella frase viene usato con il senso tanto di “scomparso” quanto “annullato” , è scomparso equivale in questo caso specifico a “è annullato”. L’Enpishema riporta come esempio una frase in racconto teologico : Im Euhao ir tao erem-muryai.em, che significa sia come “in Euhao scomparve il suo destino” che “in Euhao fu annullato il suo destino”.

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EPIGONI DI SOFIA

I

Qualche tempo dopo la storia narrata, tornai a Sofia. Il tenente mi trascinò all’interno di un tunnel dove rinvennero alcuni corpi di bambini, morti per il freddo e gli stenti. Con il petto devastato dal dolore mentre portavamo in braccio gli esili cadaveri, non potevo fare a meno di osservare la caverna metropolitana, le cui volte erano quasi completamente affrescate. “Sono stati loro, Maggiore. Ci aiuti a capire cosa è accaduto .” Mi disse il Tenente Hristo Vazaz, un giovane uomo quasi completamente calvo.

“Non ho la minima idea di cosa rappresentino questi affreschi, Hristo. Li vedo ora per la prima volta nella mia vita.” Gli risposi, mentre adagiammo i corpi rigidi nell’ambulanza.

Il tenente mi condusse in una cupa visita di quelle gallerie.

“Abbiamo trovato quattro stanze affrescate, Maggiore.” Mi spiegò “Ma non sappiamo raccapezzarci. Non ci siamo trovati mai innanzi a un simile spettacolo. Erano solo una banda ragazzini, il più grande avrà avuto nemmeno dodici anni!”

In successione visitammo le sale con le pitture che tanto angustiarono la mente di Vazaz. Erano quattro ambienti interni a quel sotterraneo, probabilmente in un tempo lontano erano le stanze di controllo della rete idroelettrica. Ora giacevano lugubri, nelle nebbie di una morte che nessuno di noi poteva capire. Chi li uccise quei bambini? L’autopsia evocò una causa spietata: fame, stenti, ferite. Forse si radunarono qui, e non uscirono più sino alla loro fine, attesero assieme il loro trao. Cosa li spinse a nascondersi così, senza neppure più cercare di nutrirsi?” mi chiesi, osservando le strane pitture alle pareti.

“I mercanti di carne, Maggiore, qui sono divenuti ormai la casta dominante, si sono infilati in ogni settore: politica, spettacolo, medicina, persino nello sport. Anzi, adoperano la loro posizione all’interno delle società sportive per avvicinare gli Orfani, spacciandosi come benefattori, accogliendoli e dando loro un’occasione di riscatto nella vita. Ma nessuno dice ai ragazzini abbagliati dalle dolcezze di venire inseriti finalmente in società, del prezzo che c’è da pagare.”

“Loro, tenente, non ci hanno creduto ai signori della morte.” Gli dissi “Ormai, visto che anche la polizia è composta da elementi della loro casta, si sentivano senza scampo. Hanno preferito morire fra loro che cadere nelle mani di quei macellai.”

“Dei bambini possono aver avuto una forza tale di scegliere questa fine orribile? È possibile” Mi chiese l’uomo, basito.

“Loro non erano ragazzini come altri, tenente.” Dissi, laconico

“No? E cosa erano, signore?”

“Guerrieri”. Ma l’uomo non comprese cosa volessi dire e rimase zitto sino all’uscita dai sotterranei.

*

La notte nel mio alloggio a Sofia, non chiusi occhio. La mente era in burrasca, mi ero riempito di una nausea che non mi dava tregua. Andai a prendere un bicchiere di acqua, quando adocchiai la bottiglia di Vodka. La tentazione era forte. Non avevo mai annegato la mia mente nella più squallida e scontata delle soluzioni all’angoscia. Per fortuna neppure quella volta lo feci.

“Vieni nel tunnel!” sentii di nuovo la voce fuoricampo che ascoltai con Kioran e i suoi due Fratelli.

In breve mi ritrovai a camminare in quello che non era più il tunnel che avevo recuperato i poveri cadaveri di bambini, ma pareva un corridoio fatto da un’energia sconosciuta, che saettava bagliori azzurri. Giunsi in un’aula sospesa fra le dimensioni, avvolta da un biancore che impediva di distinguerne i contorni.

Incontrai lì una comunità di Allaghé, i loro corpi non erano di carne ma sembravano fatti di una luce bluette .

“Siete i bambini morti, vero?”

Uno di loro venne verso di me, aveva il corpo fatto di quelle stesse saette. Mi indicò di guardarmi. Reclinai il capo sul mio petto: il mio corpo ardeva con lo stesso bagliore. Ero nel Kalendaman, e quello spiazzo era il Talankadoma. Anch’io ero come loro? Sentivo però lo stesso peso del mio corpo fisico.

“È solo un sogno,e loro sono “Fantasmi” per questo tutto ti pare illogico.” Mi fece capire la Voce.

In quella notte gli Allaghé mi parlarono di qualcosa che non conoscevo. E mi svelarono il senso degli affreschi che vidi nella galleria.

Scoprii che non era un “gioco di addestramento” , ma un vero e proprio allenamento a quanto sarebbe avvenuto ai loro spiriti dopo la morte dei loro corpi.

“Uno di loro non si nasce , ma si muore due volte.” Disse la Voce. Compresi nei tempi successivi cosa volesse dirmi.

Un Allaghé come un Uomo Leale muoiono due volte. La prima è quando cadono nel nostro mondo, cioè quando viene alla luce nel corpo terrestre, la seconda è quando muoiono fisicamente. In ciascuno dei casi uno di questi spiriti “muore”, poiché la parola “nascere” è conservata solo per descrivere l’uscita dal Muro di Bhaar, la liberazione dal Muro.

Mentre ricostruivo l’immagine che vidi nelle gallerie di Sofia, e le parole che udii da quella Comunità Fantasma, meditavo a quanto mi venne svelato. Mi raccontarono del loro aspetto di bambini, di sicuro voluto dal signore del Muro, per toglier loro ogni dignità guerriera, ma in quell’aspetto non poteva sapere, l’architetto dei mattoni infernali, che si celava una leggenda primordiale della loro Teologia. In un tempo antico i Bardi narravano storie nelle quali il principio della loro Provenienza, il Dulmnan’NARA, si fece fanciullo per spargere il Canto di suo Padre Euhao. Mi raccontarono e mi portarono in quelle regioni letterarie dell’immaginazione dove, scavalcato il Muro, oltreate le forme imposte dal carceriere, potevo comprendere l’immenso valore di quella loro leggenda. Bhaar non poteva accedere a quelle memorie, bloccato dalle Vedette del Talankadoma.

Il Talankadoma era ed è una sorta di mandala costruito dall’intera collettività, fatto di canti, regole, colori, perché le Potenze di Bhaar, attratte da queste cose vi rimangano incastrate, come i Persiani alle Termopili, non sapendo che, alla fine, quando la comunità si estingue anche il suo Talankadoma scompare, con un soffio. E ogni cosa di questa collettività svanisce. Perché un Allaghé nel mondo di Bhaar non costruisce nulla, e quel gioco che somiglia a una “campana” disegnata coi gessetti dai bambini sull’asfalto delle strade, non è che un’ombra destinata a dissolversi.

*

Quando fui chiamato nel Tunnel dai Fantasmi, li trovai riuniti in una delle quattro aule. Alla parete la raffigurazione della Plancia di Sofia del Talankadoma sembrava crepitare come fosse fatta non di linee e colori, ma di luce che sobbalzava e vibrava come fosse un laser puntato in dimensioni invisibili.

I Fantasmi erano riuniti, a contarli tutti, pensai, fosse l’intera Comunità riunita,

poiché erano tanti quanti erano i cadaveri che ritrovai in quei luoghi il giorno prima.

Erano in silenzio. Eppure cantavano. Non sentivo le loro voci. Fu la Voce a dipanarmi quel mistero: “la loro voce non è fatta di suono che si sparge nell’aria, ma di benedizioni che si promanano nel mondo sottile, dove si trova ora il loro fratello che li ha lasciati.”

“Sto assistendo a un “funerale”?”

“Non esattamente. È una rappresentazione di ciò che è accaduto, prima che tu trovassi i loro corpi. Uno dopo l’altro sono traati e fino all’ultimo di loro, si sono accompagnati tutti, ricordando ai fratelli i pericoli degli assalti di Bhaar”

“L’ultimo a morire, chi lo ha accompagnato?”

“L’ultimo ha ricevuto aiuto dagli Uomini Leali trai secoli prima. Ora non puoi capire. Abbi pazienza, negli anni, capirai.”

***

II APPUNTI DI TEOLOGIA DEI BARDI

Alcuni brevi estratti dal BardHoar delle Orgini

I

Uhn:

Uhn sovrasta le Due Eternità, da solo, immerso nel Nulla Impenetrabile nel quale è da sempre. Egli è lì, non crea, non parla, non emette suono . Al di sopra di Uhn non è possibile giungere con il pensiero, tanto meno attraverso le parole. Egli non si mescola con le Due Eternità. Uhn è anche il Non Mischiato. Per via del suo Trono eremo nel Nulla , le creature non lo conoscono. Non ha regni, né sottomessi (…)Non ha principi né un nome con cui chiamarlo, poiché Uhn non è il suo nome ma solo il limite che ci è concesso raggiungere con le labbra per lambirne il Mistero. Dunque Uhn è il nome di un limite non di ciò che sta oltre di esso. (…)

II

Ehuao e Berzku

Nel Principio, conosciuto come Hunsuòn, l’Orizzonte dell’Indefinibile, vi erano i Due Grandi Regni dell’Eternità, nei quali esse erano simili nell’apparire, ma inversi nelle Sostanze e contrari per Essenze. L’uno non poteva toccare l’altro, poiché si trattava di due realtà contrapposte, non complementari. Nell’uno la Sostanza era la Luce, nell’altro la Massa. Nell’uno l’Essenza era l’Idea, nell’altro era la Densità.

Il Grande Regno d’Euhao e il Grande Regno di Berzku, così erano noti nei racconti dei Grandi Bardi come le Due Eternità. Entrambi i Regni emanavano Stati dell’Essere, come l’Adunanza dei Bardi, Opéide, i Fondatori e così via. Gli Stati dell’Essere erano le loro idee espresse nel Grande Vuoto e sia i Grandi Bardi come i Maestri Cantori di Berzku, a loro volta narravano, ciascuno sotto l’Ispirazione della propria Eternità, all’interno di ciascun Stato creando esistenze che abitavano questi Stati.

(…)

III

Hunsuòn

Al di sotto di Uhn vi era l’Orizzonte della Vacuità, chiamato dai Bardi Hunsuòn, ed era il limite percepibile del Grande Nulla, persino le Due Eternità non potevano varcarlo. Dall’Hunsuòn si ebbe un’ irradiazione indescrivibile e nel flusso di questa Euhao emise un primo Pensiero, la Comione e nel momento stesso che lo promanò, generò Shiwu Shenga, che gli Allaghé di Ion Milkheev chiamano Dulmna’NARA, il Bardo Supremo, che era da sempre dentro di Lui, come la Prima delle Idee, perché uscisse dalla sua Eternità per cantare la meraviglia del Flusso dell’Hunsuòn. La meraviglia del Primo Pensiero poiché fu nell’Evento stesso della Generazione, fu dentro Shiwu Shenga². Si chiamò l’Evento Assoluto. Nell’Evento Assoluto, dalla Comione e da Shiwu Shenga All’interno di Shiwu Shenga vennero in essere i Quattro Grandi Bardi la cui voce conteneva tutte le Essenze del Canto di Euhao. Secondo quanto tramandato dagli Alieni prigionieri nei Cubi, tutti gli Stati dell’Essere emanati da Euhao vennero a esistere attraverso i BardHoar di Shiwu Shenga, le Narrazioni delle Origini, scaturite nell’Evento Assoluto. Così Shiwu Shenga narrò l’esistenza dei Quattro Bardi e a loro volta narrarono l’Adunanza dei Bardi e in questa vi erano tutte le Sostanze Incorrotte.

Da Husuòn sgorga il Kalendaman

Husuòn è l’Orizzonte dell’Intuibile e degli Eventi dell’Intuizione. In Husuòn non c’è creazione.

La soglia del pensabile.

Husòn è l’Impensabile intuito. Non è maschio né femmina. Non è androgino.

Da Husuòn giunge la Grazia dell’intelligenza celeste, che vive nella Comione di Ehuao.

In Husuòn si estingue la Legge, perciò raggiunge il desiderio di Berzku.

Il Kalendaman sgorga dai suoi due colli che sorreggono l’Intuizione Perenne e Perfetta.

Il Kalendaman non appartiene, non fluisce, non condensa, non si trattiene. Non ha perturbazioni in sé, si muove sotto la spinta di Husuòn, uscendo dall’Orizzonte dell’Intuibile origina l’Intuizione percettibile.

(…)

***

I BardHoar dell’Infanzia di Shiwu Shenga

Le Otto Sfere di Ahyula

Quanto riporto ora è la storia che udii dalla Comunità Fantasma di Sofia. Nei BardHoar delle Origini viene sempre scritto il nome del Dulmna’NARA nella lingua dei Bardi Orientali, che è Shiwu Shenga.

*

Euhao risiedeva avvolto nella Sua Luce, circondato dalle Otto Sfere, i Canti delle Idee. Nel Cielo di Euhao, prima che ogni cosa fosse, prima che il Figlio venisse in esistenza dentro di Sé, prima dei Grandi Bardi, le Otto Sfere erano i Pensieri del Santo e brillavano come stelle nel cielo della Sua Eternità. Così quando vennero in essere le prime Emanazioni, e con esse i Primi Stati dell’Eternità, le Otto Sfere furono le stelle che illuminarono i loro Mondi.

In giorno il Santo Euhao chiese alle Otto Sfere di portare la Comione al Canto Bambino, la nuova composizione che ancora non era stata emanata dal Seggio, perché attraversasse tutti gli Stati, fino al Dodecastra, dove avrebbe portato la Comione alle Creature rimaste intrappolate -

Allora le Otto Sfere discesero dal Seggio Luminoso e vi fu un susseguirsi di lampeggiamenti per la Valle Della Comione. Gli Esseri negli Stati videro le stelle nei cieli dei loro Mondi vibrare e roteare, svolazzare in stormo verso il fiume celeste Kalendaman.

Shewa Shenga era un Canto Bambino e stava seduto sulla riva del Kalendaman, parlava con i suoi flussi.

- Quello è Shiwa Shenga, Figlio del Beato Euhao, il Canto Bambino, andiamo da Lui- dissero le Otto Luci.

Gli furono vicine e si disposero come una figura di diamante sulla sua testa, Il Bambino sorrise divertito poiché quasi sembrava un colibrì fatto di otto puntini luminosi.

- Da dove venite, piccole luci? – Chiese

Tutte assieme all’unisono risposero:

- Veniamo dal Seggio di Luce di Euhao, dalla Comione, che è apparsa da Sé e si è da sé stabilita in coloro che sono le Sue Immagini-

Il Bambino era entusiasta e ancora chiese: - Chi siete voi?

- Siamo le Prime Idee che circondano il Volto del Santo

- Il Padre è in voi, dunque ?

- Siamo nel Suo movimento e nella Sua quiete, dolce Shiwa Shenga.

Quando il Canto Bambino udì queste risposte dalle Otto Sfere si aprì alla meraviglia:- Mio Padre mi ha fatto vedere i Suoi Pensieri! La Vetta è scesa sino a me cosicché io sono salito a Lei!-

Le Otto Sfere si disposero come un colibrì sulla testa del Bambino.

- Ora siamo Eutainsun , che significa movimento e quiete del Santo Euhao.

Il Kalendaman che fluiva sereno nell’Eternità di Euhao disse con le sue onde: le Otto Idee del Santo incoronano suo Figlio. Ora dalla sua bocca verrà profuso il Primo Canto e le Elette saranno le sue Lettere quando scriverà le Poesie per Euhao. Sulla testa rasata di Shiwa Shenga crebbe un ciuffo di capelli all’altezza della fronte. Era il ricordo del Colibrì Ahyula contenente l’Eutainsun, le Otto Perle di Euhao, che ormai sarebbe stato sempre in Shiwa Shenga.

*

Le Otto Perle rimasero nel cuore di Shiwa Shenga mentre adempiva al comando di Suo Padre Euhao e dai Mondi Alti dell’Adunanza scendeva oltre Opéide dove erano i Mondi delle Creature. Quando Euhao cantava il Suo Canto nasceva contemporaneamente nel giovane Figlio infatti era nel Coro di Eutainsun che le

Otto Perle eseguivano gli inni.

Attraversata Opéide si aprirono sotto di lui i Cieli dei Mondi delle Creature, nel frattempo Euhao emise altre Otto Luci nei Mondi degli Stati Alti, perché prendessero il posto delle Otto Perle. Le Otto nuove Luci erano uguali a quelle entrate nel cuore di Suo Figlio, quindi le prime sapevano delle seconde e viceversa, non avevano bisogno di parlarsi, poiché nell’immediato una cosa in una Luce era anche nelle altre gemelle. Il cuore di Euhao era quindi anche nei Cieli dei Mondi prossimi alla Grande Eternità Primordiale.

Ora Shiwu Shenga doveva illuminare i Cieli dei Mondi dei Dodici Astri, in Opèide. Infatti Opéide era la Mente degli Astri, un collettivo di pensieri e immagini che formava l’oceano al di sotto degli Stati Alti. Shiwu Shenga si posò in quei mondi. Il suo cuore Eutainsun cantò la melodia di Ehuao e in quel mare si accesero le Luci che erano negli Stati Alti. L’Unicum pulsante di Opéide si sollevò per ringraziare Suo Padre e salutare il Figlio. Quindi Shiwu Shenga, al cospetto dei Dodici Grandi Astri di Opéide, emise altri Quattri Canti, che furono i Grandi Bardi, e disse: - Grande Unicum, Stelle di Luce qui radunate in uno stesso pensiero, prestatemi il vostro orecchio, adesso. Ho cantato per volere dell’Eternità Primordiale che è avviluppata nella luce di Husuòn e cantando sono stati emanati dalla mia Luce quattro miei fratelli. Questi Quattro Fratelli miei saranno le Porte in voi, perché possa are nella vostra Mente in modo diretto la Luce del Canto di Euhao, come avviene nei Cieli Alti. Le Creature che abitano i Mondi della vostra creazione saranno irraggiate dal Canto e diverranno Esseri, come coloro che abitano i Mondi degli Stati Alti.

L’Unicum vibrò potente di gioia nel sentire quelle parole e rispose: - Magnifico di Comione è Euhao! Ha udito i nostri lamenti, poiché plasmammo le Creature senza il Suo Fiato, causando grande scompiglio. Senza la Voce le Creature vivevano nel caos dentro di noi, non ascoltavano la nostra Mente che cercava di portar in loro la ragione. Ora Euhao ci condona la nostra Creazione vuota della sua Voce, e invia Suo Figlio perché infonda la melodia Vivente nelle nostre Creature! Così da vita al nostro pensiero, rendendolo dignitario della Sua

Voce, eleva l’Opéide e i suoi Astri Governanti! Sia alzato un inno d’Amore Eterno al Grande Euhao!-

Il Figlio rispose alla voce dell’Opéide: - l’Onore del tuo pensiero è riaggiustato. Ora sei parte del Suo Canto .-

*

Prima che tutto ciò avesse inizio, Opéide non poteva emanare gli Esseri, poiché la sua vicinanza alla Membrana di Ekretzu rendeva troppo densi i suoi pensieri. Plasmò sotto il comando di Euhao i suoi Mondi ma non le venne detto però di plasmare le Creature con le quali abitarli. ò moto tempo, l’Unicum era triste nel vedere quei mondi così ben fatti e pieni della maestosa Comione di Euhao ancora deserti.

- Perché non v’è vita che possa godere di tale meravigliosa serenità? – si chiese nell’Opéide la mente degli Astri – Forse se vi fossero orecchi per ascoltare, Ehuao potrebbe Cantare e noi si potrebbe prendere parte alla Sua Manifestazione - Il motivo per cui ad Opèide venne detto di aspettare con le sue Creature era l’intento di Berzku di scuotere le membrane e dunque, Opeide, vicina ad esse, avrebbe potuto essere stravolta con la morte delle sue Creature. Ma l’Unicum disse sempre: - Come può una cosa così meravigliosa, tal’è il Canto di Vita in una Creatura, cadere in rovina? No, no, è il contrario! Saremo come gli Esseri che abitano nell’Adunanza, la nostra protezione alle grinfie dell’arrogante Berzku! – Così fu che gli Astri diedero forma alle loro Creature con i loro pensieri. Ciascun Astro modellò un vaso a sua immagine e vi soffiò il suo pensiero

Opéide è il cielo di confine. Per creare i Mondi nei suoi Stati, tanto l’Opéide di Euhao quanto l’Opéide di Berzku, occorrevano di “desiderare”, poiché erano i

Cieli più remoti dalle due Origini.

*

Shiwu Shenga scende nei Mondi di Opéide

Shiwu Shenga, dopo aver intonato la musica delle Otto Sfere di Suo Padre per infondere il Canto nell’Unicum , raggiunse i Mondi di Opéide e vide le loro creature. Le prime forme di vita plasmate senza Canto dal pensiero dell’Unicum che incontrò furono gli Alberi.

Discendendo dai Cieli acquitrinosi di Opèide agli occhi di Shiwu Shenga si aprirono distese quasi infinite di foreste. Poiché nei Mondi dell’Unicum i cieli erano pieni di nubi, le foreste si nutrivano costantemente di una condensa tale che rendeva l’aria acquosa, gli Alberi perciò formavano innumerevoli popolazioni, radunate in foreste, che dominavano il panorama.

Ahyula il Colibrì uscì dalla Luce del Figlio dove riposava e volò dentro quel tappeto boschivo. Quindi ritornato al suo Signore, cantò così: - Grandi sono le piante e possenti sorreggono i cieli in questi mondi. Profonde sono le radici, tanto che arrivano alla sfera interiore e ne succhiano il tremendo calore, trascinandolo in superficie, fanno bollire le acque dei mari e dei laghi, così che le nubi avviluppino l’aria del cielo. Ma, mio dolce Signore, per quanto abbia volato in alto e in basso per ogni foresta, visitando ogni famiglia di Alberi, soffermandomi fra i rami di ogni singola Pianta, non ho visto la presenza di un solo fiore. Vi sono frutti e semi, questo sì, Mio Signore, ma non fiori.

- Care Gemme del Santo che siete dentro Ahyula, allora ditemi, come può il frutto nascere dal seme, senza che la sua vita i nel fiore?- Chiese, incuriosito il Figlio.

- Mio dolce Signore, tu non conosci la Creazione, non sei al corrente di come nasca la vita al di sotto degli Stati dell’Adunanza. Poiché i Dodici hanno voluto plasmare senza Canto, non è stato loro possibile concepire il Fiore dal Seme, che è lo schiudersi del cuore alla Melodia Primordiale del Santo Euhao. Dunque in Opèide il frutto nasce dal seme e questo è un uovo che riceve fecondità dal desiderio –

Il Figlio allora si posò con Ahyula il Colibrì sulla vetta della montagna più alta e osservò la vita degli Alberi in tutte quelle foreste. Il legno dei loro fusti era spesso e rugoso. A sera spirava quasi sempre una tormenta, generata dal riflusso continuo del calore gettato nell’aria dalle radici infossate sino alla sfera centrale che si scontrava con l’aria fredda della sfera esterna. I Mondi infatti al di sotto di Opèide erano fatti a somiglianza dei loro Dodici governatori, dunque erano due sfere, una densa e rovente della quale si nutrivano le radici degli Alberi, che ribolliva di metalli allo stato liquido, nascosta negli abissi sotterranei, al centro del Mondo, era il Desiderio. Un’altra lieve e fredda, che generava la coltre di nubi, le piogge, i venti, che avvolgeva il mondo stesso, di cui si nutrivano le loro foglie, era la Mente.

- Dunque l’Unicum accoglie il Desiderio dal suo ventre, caro Ahyula?- chiese il giovane Shiwu Shenga

- Per plasmare le forme senza il Canto bisogna prendere la materia condensata in quel nucleo.

- Ma perché Opéide, se è dell’Eternità della Comione, contiene anche il

Desiderio che è di Berzku?

- Opéide è simile alla Densità ma non è Densità, finché nel suo agire contiene il Canto. Il Canto di Euhao non può coesistere laddove vi sia Densità di Berzku. Quando ad Opéide venne detto di non plasmare le Creature perché si sarebbe ispirato un Canto per questo, ma nel tempo che Euhao avrebbe reputato ottimo, non lo avrebbe dovuto fare, poiché durante la creazione delle Creature, sì verificò un vuoto che in assenza del Canto, venne colmato dal Desiderio, incline alla Densità. Le Radici delle sue creature dunque, non potendo attecchire nel Canto, si infilarono nella sostanza.

- Dunque è così? in Opèide vi è la Densità di Berzku?

- No, Dolce Signore. Non potrebbe essere. La Densità di Opéide è affine a quella di Berzku ma non è la stessa cosa, nella sostanza di aspetto è simile, ma è il suo contrario, come ogni sostanza di Euhao è il contrario di quella di Berzku. Però, essendo così affine il processo di creazione a quello del Desiderio, il pericolo è che Opèide venga attratta da ciò che le sembra molto vicino. Per questo sei venuto a portare il Canto, per sottrarre a tale attrazione gli stati governati dall’Unicum.

*

Fu in quel momento che il vento prese a spirare tanto violento che sconvolse le volte delle foreste.

Molti alberi vennero strappati dalla terra e gettati nel mare, altri furono squarciati dai fulmini, molti brani di bosco arsero per via delle fiamme. Il cielo si era

annerito, la notte pareva aver invaso il giorno. Poi com’era iniziato tutto ò. Il cielo si aprì e il giorno riprese il suo dominio. All’orizzonte il fumo degli incendi e nei mari galleggiavano i tronchi morti. Si udì un lamento dal sacello dei Dodici, nell’Unicum: - Poveri noi, il vento ci tormenta, il fulmine ci squassa, l’acqua ci travolge e la terra ci colpisce! Poveri noi che non abbiamo creato con il Canto, rinunciando alla Grazia del Kalendaman che scende come un dolce Zefiro, senza irrequietezza dalla Comione di Euhao. Quando plasmammo le Creature senza Euhao facemmo sì che la Sfera Metallica si congiungesse con la Sfera Leggera, iniettando il suo liquido denso nella sua leggerezza, così facemmo venire al mondo gli Elementi e questi li facemmo giacere con il mare, perché in esso fecondassero gli embrioni della vita che plasmammo. Ora questi Elementi si sollevano contro di noi, senza controllo, perché abbiamo liberato il metallo dalla sua sede originaria e ci avviliscono, strappano le nostre creature.

Shiwu Shenga comprese che quelle tormente erano i soffi di Berzku che dalla sua Eternità ispirava nel vento parole seducenti: - Opéide, hai elogiato il tuo Padre, Ehuao, Ora, pensa, Opéide: con gli Elementi gli Alberi si piegano alla forza e pensa questo: con tale forza tu potresti dominare le Creature come unica mente, unico creatore. Senza alcun intervento del Canto.

E l’Unicum nella notte, quando il Figlio era rivolto al Padre per ricevere i Suoi Canti, gli rispose: - Ma senza il Canto non siamo vivi né vive sono le nostre Creature-

Allora Berzku sussurrò: - Quanto devi aspettare Tuo Padre, al momento in cu chiedi il Suo Canto nelle tue Creature? Con la forza degli Elementi non dovresti attendere, saresti padrone unico delle tue Creature, di vita come di morte. Saresti potente e rispettato e le tue Creature sarebbero come gli Esseri dell’Adunanza nei cieli più Alti -.

L’Unicum si fece angustiato quando gli rispose: - Ma questi venti, questi terremoti non vanno secondo la nostra dritta, bensì prendono una via

imprevedibile, non danno retta alla nostra mano e distruggono le nostre Creature –

E il sibilo di Berzku: - In realtà Shiwu Shenga non ti ha detto che puoi condurre gli Elementi come desideri, perché solo io posso essere il padrone della forza. Ma ti farò partecipe della mia potenza se tu mi darai retta e lascerai are il Figlio della mia Eternità nei tuoi Mondi. –

Al rifiuto di Opéide di aprire le porte Berzku inviò Llambianoth all’assalto delle YazzeiYat. Ora, Euhao e Berzku non possono incontrarsi, essendo due qualità totalmente inverse, non possono occupare lo stesso luogo, poiché l’una caebbe l’annientamento dell’altra, in virtù di tale contrarietà. Sicché le due Eternità si erano fra loro mantenute divise grazie alle IzzaYat, che traduciamo dalla Lingua dei Bardi Orientali col significato generico di Membrane di Mezzo. All’interno delle IzzaYat scorreva Kalendaman il cui nome non appartiene all’Antico Urauavain Oritentale dei Bardi, ma al Koinnà, la Lingua Oscura. Nei Trattati dei Grado Bardi, il Capitolo sull’Orizzonte ci narra circa Kalendama in questo modo:

Da Husuòn sgorga il Kalendaman

Husuòn è l’Orizzonte dell’Intuibile e degli Eventi dell’Intuizione. In Husuòn non c’è creazione.

La soglia del pensabile.

Husòn è l’Impensabile intuito. Non è maschio né femmina. Non è androgino.

Da Husuòn giunge la Grazia dell’intelligenza celeste, che vive nella Comione di Ehuao.

In Husuòn si estingue la Legge, perciò raggiunge il desiderio di Berzku.

Il Kalendaman sgorga dai suoi due colli che sorreggono l’Intuizione Perenne e Perfetta.

Il Kalendaman non appartiene, non fluisce, non condensa, non si trattiene. Non ha perturbazioni in sé, si muove sotto la spinta di Husuòn, uscendo dall’Orizzonte dell’Intuibile origina l’Intuizione percettibile.

Opèide non lasciò are la potenza di Berzku. E le sue porte rimasero chiuse. Quindi, come è stato preannunciato, l’Eternità inviò Llambianoth. Il Primo signore di Berzku però si trovò innanzi al Fiume delle IzzaYat, inviolabile per principio, poiché dall’Inizio Berzku dichiarò quel flusso invalicabile. Altrettanto fu fatto da Euhao. Fra i due non vi fu però un accordo. Non vennero mai a compromessi, promanando quel veto, semplicemente il veto fu un “atto d’esistenza” con cui vennero a esistere le Membrane di Mezzo. Euhao, essendo Comione, non voleva che le creature di Berzku perissero a causa di uno scontro e Berzku essendo Desiderio, bramava che il suo regno avesse eterna vita. Ma entrambi sapevano che le Membrane non sarebbero mai vissute per sempre. Euhao vedeva ardere il cuore di Berzku e sapeva che presto il fuoco sarebbe uscito dal suo originario alveo.

Llambianoth venne sulle sponde di Kalendaman. Le Membrane sussultarono .

Allora Llambianoth sollevò i Quattro di Berzku ,noti come la Grande Forza di Suo Padre, che i Grandi Bardi chiamarono Gaberzku. Noi li conosciamo come i Quattro Elementi. Llambianoth era il loro duce supremo e fu chiamato Llazberku , che significa : il Quinto Potente.

Come quattro montagne accerchiarono il loro signore, questi aprì le labbra e soffiò il Vento della Guerra. La Grande Forza si precipitò addosso alle Membrane di Berzku, percotendole, affinché lasciasse are. Le Membrane, sotto l’urto si ferirono e si squarciarono . Presero a sanguinare, poiché erano della sostanza di Berzku, che è di sangue. Il Sangue invase i Mondi. E dall’apertura così divelta, i Quattro arono nel Kalandaman. Llambianoth giunse sulle labbra divaricate e sanguinanti di IzzaYat: - Per disgrazia di mio padre mi fermo ora, per disgrazia dell’Altro o oltre. – Quindi valicò la breccia e penetrò nel Kalendaman.

Shiwu Shenga, ora, stava in riva al Kalendaman. Quando vide sanguinare il cielo di Berzku, oltre le YzzeiYat di Euhao, Suo Padre. Si percepiva di lontano una luce rossa ardere come una stella morente.

Ahyula cinguettò: - Cos’è quella ferita in cielo che sanguina e si lamenta così, mio dolce signore? –

Shiwu Shenga si levò dal suo seggio vicino al Kalendaman e rispose: - È il pianto dell’YzzaYat Ekretzu che ha versato sangue perché l’indecenza di Llambianoth si compisse, ora –

Dunque Shiwu Shenga andò da Suo Padre e pianse per la sofferenza che sarebbe presto giunta.

Euhao non fu imibile a quel pianto, comandò a Shiwu Shenga di difendere la Sua Casa, attraverso l’Essenza stessa.

- Vieni a essere, Grande Bardo Ak-Isshuo, difensore dell’Aria, sia tu a salvare gli Esseri dalla tormenta! – disse Shiwu Shenga e dalla Casa di Suo Padre, la Madre Oscura, venne a essere colui che avrebbe difeso gli Esseri di Euhao dal Signore dell’Aria di Llambianoth.

- Sia ora tu, Ar – Itzhuo, Gran Bardo del Fuoco, che difendi dall’ira della fiamma!- e dal

Cielo dell’Adunanza venne la Luce di Ar-Itzhuo

- Che venga tu in essere, Yu-Huossi Gran Bardo dell’Acqua perché gli Esseri siano salvi dall’azione delle acque infere – e suo Fratello emerse dalla Madre Oscura nel più alto dei mondi di Euhao. Allo stesso modo provenne il quarto dei Fratelli: - Sei tu, ora che chiamo, Ea-Huotsi: Gran Bardo della Terra, possa tu proteggere i Cieli della Comione dalle turbolenze e dalla durezza della terra. Ora Euhao incoronò il Figlio assieme ai suoi Quattro Fratelli con la Gloria della Pace, perché avevano difeso senza paura la Casa degli Esseri dall’assalto della Grande Forza.

Ogni Gran Bardo così contrastava ciascuno dei Quattro Elementi, ed erano i Quattro Canti di Euhao in Shiwu Shenga.

Ak-Isshuo cantò per l’ YzzaYat Metalba, che era la membrana di Sud, Ar-Ittzuo cantò per l’YzzaYat Thundalba che era a Nord, Yu-Huossi cantò per YzzaYat Halalba a est, mentre Ea-Huotsi cantò per YzzaYat Onphalba a ovest. Così ogni

mondo venne protetto dall’attacco della Grande Forza dal Canto di Euhao.

***

¹ Il nome Berzku infatti significa “contenere il limite”, Ber è contenitore, Pensiero è in Uz, e Eke significa Limite

² Shiwu Shenga : il nome secondo l’etimo dell’Enpiscema deriva dall’arcaica lingua dei Bardi: Shi Wun Essenza (shi.nda) Perfetta (wu.dai), ShenGa: Primo Spirito (Shen.da) Quinto\Cinque (ga.in). Inoltre nelle Leggende si descrive la Comione come una corona di Otto Sfere che avvolge Euhao e che diverrà Ahyula, il Colibrì di Shiwu Shenga. Dalla Comione sorsero i Quattro Fratelli della Prima Idea: i Quattro Grandi Bardi.

III

TALANKADOMA

Fui introdotto alle Quattro Aule che gli Alieni chiamavano Talankadoma, il Canto Silenzioso. Fu quest’esperienza che mi indusse a scrivere il Manuale della Guerra. Quello che segue è il Capitolo dedicato al Talankadoma

II Estratti dal Manuale della Guerra ù contro le Potenze del Muro

I Processi Astrali Allegorie del Talankadoma

Il Talankadoma è la “piazza” o meglio, nel gergo degli Allaghé e dei Bardi: la “plancia del gioco”. È simile a una piattaforma dove viene portato un Uomo affinché possa essere edotto circa l’esistenza della Guerra in corso contro le signorie di Bhaar. Vi sono alcune rappresentazioni ideali disegnate dai Bardi per descrivere la sostanza metafisica del TalaKadoma, ho descritto quella conosciuta grazie ai miei Istruttor-Fantasmi , riportando le immagino che vidi nelle gallerie di Sofia in questi appunti. Si tratta di uno spazio del Kalendaman creato per preparare i Fratelli , sia Uomini Leali che Allaghé, al Ruolo di Combattenti , cioè per far loro recuperare la memoria, come accadde quando mi ritrovai con Kioran, Lyryl e Ynron. Nella rappresentazione intervengono diverse figure che avranno ruoli specifici in grado di aiutare il Ricordo dello a riemergere. Mi

diedero modo di vedere come funziona. Riporto ciò che appresi.

Ogni Capitolo è introdotto da una serie di Canti, con i quali la Comunità accompagna il viaggio nel Kalendaman del Guerriero, ai Canti segue un commento, cioè la spiegazione delle Regole, l’insieme forma il Coro, che nel caso di morte fisica di un membro della Comunità, si riunirà per accompagnare il suo Viaggio finale attraverso i pericoli e le insidie di Bhaar, verso l’uscita dal Muro, verso Casa.

La Plancia, La “Versione Bulgara”dei sotterranei di Sofia .

Il primo affresco che il tenente Hristo Vazaz mi fece notare nella galleria, era la versione grafica del Talankadoma più nota nella disgraziata comunità Bulgara di Allaghé che si estinse proprio mentre scrivevo queste pagine, con l’ultimo suo elemento che si spense nell’ospedale dove incontrai il “mio orfano”, colui che diede inizio a tutto. Con la morte di un ragazzino senza nome affetto da una forma disperata di polmonite, la comunità ebbe fine.

L’affresco che descriverò è una rappresentazione in cui lo spazio è un campo suddiviso in cinque parti, quattro laterali più una regione centrale, chiamata Area Centrale Rossa. Ogni settore si chiama Talan’Na, occupato da Nove Fantasmi Preparatori, possiede una Zona Rossa chiamata : Zona di Campo.

Lo scopo è la conquista di tutte le Talann’Na custodite dagli Istruttori perché solo attraverso la conquista delle Quattro Zone di Campo si può accedere all’Area Centrale Rossa. Lo scopo è “ripulire ” l’intero Campo attraverso la conquista della Zona Rossa. Il Campo, come il gioco intero, è un’allegoria e rappresenta il cuore dell’Allaghé o dell’Uomo Leale che deve essere ripulito dal

Fumo delle Accuse introdotto dai Giudici, che coagulandosi con l’andare del tempo, si è trasformato in un vero e proprio convegno di demoni. Questi demoni opprimono e occultano la sua Memoria.

Le Regole della Comunità

La Comunità Fantasma di Allaghé mi svelò come funzionava la versione del Talankadoma chiamata “Plancia di Sofia”. Ogni versione ha la sua dottrina, così anche la “Plancia di Sofia” possiede delle sue regole.

Le squadre sia di Aspiranti Guerrieri che di Preparatori hanno a disposizione una strategia precisa per avanzare sul campo, allegoria tangibile del campo sottile del Kalandaman, che devono conoscere prima di intraprendere la “Guerra”.

La Strategia prevede Quattro Tattiche, cioè i movimenti delle squadre (Capitoli) da effettuare al fine di raggiungere l’obiettivo finale. Le Tattiche sono suddivise in quattro Capitoli, ciascuno aperto dal Canto che serve per non indurre l’apprendista nell’errore di rimanere incastrato negli abbagli di Bhaar, una volta che penetra la sua cortina, richiamandolo sempre alla sua Vera Origine. I Capitoli sono formati da un Testo, il Canto e il Commento, ossia la spiegazione delle Regole. Di tutto il Capitolo solo il Canto è la parte scritta, mentre il Commento rimane orale, e a da istruttore ad apprendista, bocca a orecchio, perciò quando l’ho riportato nel Manuale, ho dovuto trascriverlo secondo ciò che ho udito.

Capitolo I

Testo

Canti

[dal Breviario dell’Adunanza dei Bardi, i poemi delle Comunità sulla Terra]

Poema del Messaggero

I Paragrafo

Aiutami dalle tenebre a entrare nel Bene Tu Primo e Ultimo Anelito nei veri Cieli fra gli Spiriti della Legittima Pienezza Tu che baciando crei in verità dal male guidi con il Respiro dall’oscurità al reale Tu che dal non vero mi realizzi nella luce governami in quest’ora d’ottenebramento ché nel mondo dei ciechi sono inceduto

dietro ai condottieri avidi e senz’occhi incauto come un bimbo presi ad avanzare, colto dalla miserabile smania di elevarmi fra loro, dimenticai quanti T’oltraggiarono accatastando pertiche di mendaci giudizi, pire sulle quali avvamparono nell’arso seme il mantello della Verità dei Tuoi testimoni e nell’ebbrezza dell’ingiuria giudicarono, la somma Pienezza non accolta nel mondo : - Ci ha mentito! Il seme del fuoco è vita con esso saremo come gli eterni in terra sacerdoti nei templi di carne, tiare del tempo creatori come il nostro dio di nuove nazioni e su queste domineremo senza misericordia su coloro che non chineranno il capo al tempio -.

Canto del Sud

I Paragrafo

Spalancata è la Porta del Cielo

giungono a cavallo gli araldi del tuono Tacciono nelle radici gli stregoni sconvolti sono i mari s’atterriscono i ribelli innanzi alla quiete della Montagna Il Cielo e la Terra sono ati la spada s’è forgiata il suo filo è perfetto Il mantello s’è sollevato dallo scheletro

Canto del Fuoco

III Paragrafo

Le speranze sono catene non trattenete le colombe con le speranze lasciate che migrino.

non è questo l’inverno è falsità l’estate si lasci che il fuoco arda sul legno,

non gridate, perché in questo carbone le speranze si bruceranno, e sarà la mente disciolta

Fratello non temere quando il fuoco brucia la carne la colomba vola via

Commento

Al momento di muoversi sulla Plancia del Talankadoma (fig. 1) i giocatori devono cercare le Porte d’Ingresso per attivare le loro strategie. Allo scopo di addestrarli a questa ricerca gli Istruttori simulano dei pericoli. Indispensabile è pensare che mentre ci si muove sulla Plancia, gli eventi accadono anche nel piano sottile del Kalandaman. Per entrare in questo strano stato multidimensionale, ogni Comunità ha le sue “regole di attivazione”, nel caso della Plancia di Sofia queste norme sono nascoste in alcune domande necessarie

alle Formule Orali , trasmesse da Bardo a Bardo e quindi agli Allaghé della Comunità. Questo o è necessario per apprendere le basi della Fondazione, cioè quel Capitolo (o movimento) di rottura della Griglia spazio –tempo che tiene segregata la Memoria dentro la mente, necessario per imparare a distinguere ciò che è del tempo da ciò che della Memoria Ancestrale. Il tempo è la mente, perciò i suoi pensieri e le sue illusione, la Memoria non è del tempo, quindi non reagisce a impulsi come desiderio, bisogno, stati della quotidianità. Se vogliono divenire guerrieri del Kalandaman è necessario che sappiamo distinguere un inganno mentale da un Ricordo. L’esempio più concreto che possa fare di tale pericolo è nel momento in cui Kioran “precipitò” attratto dalla figura di suo padre, nel primo Talankadoma di cui mi resero partecipe gli Allaghè

Quanto segue è il secondo affresco e riporta nell’Antica Lingua degli Allaghé le domande d’attivazione della Plancia di Sofia

Trascrivo la traduzione letterale del testo. Si sappia che non c’è più motivo di segretezza in quanto con l’estinzione della Comunità bulgara di Allaghé, è cessato anche il bisogno di mantenere la Plancia. Ora la Plancia di Sofia è divenuto un parametro eccezionale per gli Uomini Leali che vogliano ricostituire, se possibile, la primordiale Linea Apostolica dell’ODE, l’antico Ordine di Euhao, per costoro è stato redatto il Manuale.

Questa che segue in corsivo è la Traduzione delle Regole di Attivazione della Plancia di Sofia, concessami dalla Comunità Allaghé di Sofia.

Legenda I = Spirito Istruttore A = Apprendista Allaghé. * I: Un'altra Porta è chiusa. A: Perchè l'hai chiusa? I: La chiusi nell'Aires di Groghar del lete di Armon A: Perchè? I: (Perchè) Era il Lete di Armon nell'Aires di Grogar

Una volta “aperto” il Portale e introdotto l’apprendista-guerriero nel Kalendaman gli Istruttori operano il loro ruolo calandosi nella parte di un manipolo di ombre e fanno di tutto per rendergli difficile la vita in quel luogo. Devono simulare l’orrendo attacco dei Koissegura. In virtù delle Regole della Comunità che ha dovuto imparare, l’apprendista ha dalla sua un bagaglio di

conoscenze per poter riconoscere in altri giocatori di allineamenti diversi, linee comuni di condotta nel piano di gioco (le tattiche e le strategie) . Gli allineamenti, specie negli Uomini , che possono essere sia Honnataicry (uomini fatti dalla carne) che Ahyhmaseinosa (uomini fatti dallo Spirito) compaiono talora caotici allo stesso tempo, perciò il Giocatore in possesso di questo “pacchetto” di conoscenze, potrà riconoscere quale allineamento pervada colui che, di volta, in volta, gli sta di fronte nel Kalendaman.

Il bagaglio di conoscenze è chiamato nelle Regole della Comunità : I Cerchi. E in un disegno immaginario notiamo il Cerchio più Esterno che comprende al suo interno tutti gli altri è il Koin’Na, nome dell’Antica Lingua degli Allaghé, la stessa che ho trovato negli affreschi e che, poiché è sconosciuta sulla Terra, la Comunità mi ha tradotto per rendere possibile questo Manuale. Acquisire l’Antica Lingua è essenziale per un Guerriero Allaghé al fine di operare le Fondazioni e quindi i Capitoli del Talankadoma.

Il secondo Cerchio che visualizziamo dentro il primo, ha un nome particolare: Anatomia. Il nome però nulla ha a che fare con il corpo fisico di un guerriero, bensì tratta di tutt’altro corpo. L’Allaghè acquisisce nozioni su se stesso, e quindi si accosta alla conoscenza dell’Adunanza dei Bardi, che è il Corpo Mistico del Dulmna’NARA, la Chiesa di Euhao (si vedano gli Appunti di Teologia). Affronta il Ricordo, in modo da poter accedere oltre la Porta , cioè oltre la Griglia Spazio-Tempo.

Per l’apprendista, immediatamente dopo l’aver appreso dei Cerchi, subentra una nuova difficoltà : gli Specchi

Gli Specchi sono Imprevedibilità messe in opera dagli Spiriti Istruttori. Ogni fase del Combattimento corrisponde a un’Imprevedibilità.

II Capitolo

Testo

Poema del Messaggero

II Paragrafo

Aiutami dalle tenebre a entrare nel Bene Tu solo puoi sorreggermi nel buio il o mentre attraverso senza guide l’ignoranza, allontanandomi per sempre dal mio errore abbaglio che fu dei maestri: in aurei tessuti si chio al Tuo cospetto, per essere chiamati divini. Fa’ che al mio incauto giudizio io ripari e di quell’ineffabile concento rammentami che hai infuso senz’ombra nei Tuoi Spiriti Figli d’ Amore, dolce coro in voci unanimi, dal Cielo della Piena Carità feconda memoria Aiutami dalle tenebre a entrare nel bene Tu solo, adesso, puoi sorreggermi il o

O Bene Reale che mi crei in verità dal male! Fu nella Verità, Eterno Principio del Vero Bene quell’Ora in cui Tu mi comandasti: AMALO! E così è stato: la mia mente si è lacerata e ho sentito dell’inconcepibile verbo l’abisso aprire in me una nuova via verso il Tuo Cielo, ché di questo verbo non conoscevo l’apoteosi allorquando Tuo Figlio lo donò all’Adunanza

Canto del Fuoco

II Paragrafo Goccia dopo goccia l’olio chiama la fiamma e affogano nella pelle che scoprendoci viene via le urla delle belve

Le speranze sono catene non trattenete le colombe con le speranze

lasciate che migrino.

Commento

Questo scatto è fondamentale. Nel combattimento reale, nel Kalendaman quando capita di incontrare il Riflesso di uno Specchio, spesso questo assume delle sembianze assolutamente affidabili. È il gioco del Koissegura descritto da Kioran nel corso della storia.

Faccio in Esempio. Se il Viaggiatore è un Frate della religione Cristiana, uno dei primi riflessi che lo aggrediranno potrebbero essere figure di santi , o quelle di suoi Fratelli famosi per la loro santità e così chissà cos’altro. Se si tratta di un Cercatore potrebbe assumere l’icona del Re del Suo Ordine, e quest’attacco sarà molto duro e solo l’esperienza del Viaggiatore potrà aiutarlo nel debellare l’insidia. A livello di Griglia e di Spirito Nero , il Riflesso sarà più potente, amplificato dalla distrazione del Viaggiatore , il quale, se concentrato sulla meraviglia della Visione, potrebbe perdere il contatto della Traccia di Fondo, il Ricordo, affidandosi alla luce riflessa. La luce riflessa è un inganno che solo esperienza, addestramento, consapevolezza, possono evitare. L’umiltà di accettare l’addestramento e il fatto di non essere infallibili , è un gradino per comprendere l’inganno delle Regine Nere che vedremo fra non molto. Purtroppo non è facile neppure captare uno Specchio, poiché uno stesso Specchio può essere riflesso di un altro e i Giudici fanno credere di aver vinto il duello

Nel disegno rinvenuto nei tunnel di Sofia, invece , si osserva un Campo degli Eventi in Ombra, è lo schizzo di un Allaghé e riporta uno schema mentale dell'Oltre Plancia, eseguito appunto secondo le coordinate imparate durante il suo Accesso oltre la Porta del Livello . L’Allaghè che ha operato questo disegno ha indicato sette punti di evasione dalla Griglia Spazio-Tempo come li ha sistemati nel suo bagaglio interiore , quindi la spazialità muta senza riferimenti per un lettore esterno, riflette la sua “immaginazione”. Solo l’Allaghé Giocatore autore di questo disegno sa esattamente dove si trovano i suoi Punti di Evasione.

In nero ha evidenziato le Zone d’Ombra, le zone controllate dalle Pseudo Ombre, in una situazione vera, sarebbero presidi militari controllati dai Servitori della Macchina, come chiamano gli Allaghé i Governatori dei Mondi in Ombra. Le Zone verdi sono i punti “Alleati” e i Rossi i punti dove si combatte.

Capitolo III

Testo

Poema del Messaggero

III Paragrafo

Con Te, Eterno Concerto delle Pure Perfezioni, Provenienza Legittima di ogni Veritiero Spirito, ecco, con Te, mi hai dato in essere nel Reale per mezzo del Tuo raggio Supremo Emanato Alfiere d’un Verbo così perfetto e inaudito! Inutile è dunque nella mia testa il lume coatto innanzi alla Tua perfetta e chiara Pienezza Ascolta me, allora, ascoltami, mentre piego sotto il Tuo Volere queste mie sottili membra dall’alto del Tuo Bene accogli questa preghiera, e fa' che essa non cada dalla carne delle labbra ma si tenga in Ciò che Sei: nel Vero senz’ombra

Allontana, o Piena Verità, questo supplico, colui che mi hai affidato in questo comando colui che fu sedotto dal bianco astro morente, e venne rapito a Te dalle voci del vitreo cielo e fu Luce rubata dal Vero Cielo e ingiuriata, da quel baco di seta lucente, otre di cancrene nel cui ventre la farfalla giace vorace di vanità.

Canto dell’Abisso

Paragrafo II

Lasciami andare signore del profondo che spasmi negli anemoni

Lasciami andare voglio salire, voglio respirare ciò che non è mare

Lasciami andare Non sono un pesce tuo Non sono un pesce tuo ho la forma di un pesce ma voglio l’aria

Lasciami scappare non bagnarmi non voglio la tua goccia sulla mia fronte

Lasciami perché non ho stemmi non sono stato marchiato come un animale sono caduto nel tuo stomaco, ora lo so.

Commento

Livelli di Sviluppo, Estensioni oltre Plancia

Il Talankadoma di terzo livello prevede la Prima delle quattro Estensioni Superiori. Nei primi due livelli , gli Aspiranti attuavano la contesa con gli Istruttori sul Piano Unico della Plancia, cioè lo spazio virtuale di movimento operativo.

*

Saliti al Terzo, l’ultimo dei livelli propedeutici per divenire da Guerrieri di Plancia a Guerrieri di Livello, gli allievi incontrano una nuova realtà da gestire. Il Piano Unico scompare per divenire Struttura di Piani.

*

Il Tappeto

Gli aspiranti vengono introdotti nella rappresentazione del Tappeto , una schema virtuale formato da dodici griglie spazio-tempo.

Ogni quadrante vi è la simulazione di uno Spirito Nero che lo governa. La battaglia non è più contro delle forze di ostacolo alla conquista di una Zona Rossa, ma si devono affrontare gli avversari senza venire inghiottiti nel loro vortice, cercando, non di liberare la Griglia di Combattimento, ma di eliminare l’avversario. Le Zone Rosse conquistate nei Tre Livelli ora sono andare a incrementare il punteggio dell’aspirante combattente.

Regine Nere

Vi sono adesso Sette Zone Nere, chiamate le Regine Nere. Non sono fisse sulla Struttura, ma si muovono sui punti d’intersezioni delle Griglie. Bisogna affrontarle, ma non conquistarle. Le Regine Nere hanno il potere di contrattaccare contraendo lo spazio dell’aspirante, il quale potrebbe scivolare direttamente nelle loro fauci. La tecnica di una Regina Nera è appunto quella di attirare il più vicino possibile a sé uno studente e poi tirare gli angoli della sua rete spazio tempo, accartocciando il continuum, come i quattro lembi di un foglio, intrappolandolo. A ogni Spirito Nero si oppone un Ima. Sono dodici in tutto gli Ima e a ognuno di questi si associa una Lettera Koinna (l’Antica Lingua degli Allaghé), che sarà la simulazione di una Odhi.

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Ima , Lete e Odhi

Riportiamo qui le informazioni per comprendere meglio:

Un Ima è un ciclo intero di tre vibrazioni chiamate Lete. I Lete si suddividono in Armon, Dulma e Mulois e ognuno contiene le frequenze degli Oròn, gli Allaghé del Kalaendaman quando vengono attivati per un combattimento. Ogni Allaghé che attraversi uno Spirito Ahyhamaseinosa, si allinea alla Frequenza dello Spirito-Portale e diviene un Oròn. Gli Oròn sono frequenze alle quali si connettono gli Allaghé . Ogni Oròn ha dentro di sé quattro sotto frequenze , le Odhi, che caratterizzano il “ritmo” di uscita dell’Oròn dal suo Lete. Può capitare di vedere iscritte due Odhi accanto a un Oròn, ma la funzione di “traccia del ritmo” la possiede solo quella scritta in alto oppure alla destra. La seconda è un rinforzo alla frequenza. Nel disegno si vedono le Odhi rappresentate dalle linee accanto ai Simboli degli Oròn. Nel disegno gli Oròn sono segnati con la loro

simbologia del Tholmen, “la Mappa dei Portali”, al centro della pagina vi è simboleggiato uno Stortore, uno Spirito Ahyhamaseinosa che attiva i aggi fra le Griglie Spazio-Temporali.

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Simboli

Poiché è stato detto all’inizio che le Potenze di Bhaar sono attratte da simboli, forme e colori, e che il Talankadoma è il luogo dove esse vengono costrette a manifestarsi senza mascheramenti, ogni Comunità ha nel suo Talankadoma un sistema di “induzione” a tale smascheramento del Male per addestrare i propri discenti a ciò che troveranno nel mondo sottile di Bhaar, quando i loro spiriti si distaccheranno dai corpi. Nella rappresentazione che la Comunità di Sofia mi diede modo di riprodurre, ho tentato di riportare il sistema simbolico di cui sto parlando. La colonna rossa rappresenta appunto i Giocatori nelle fasi Ima, nella riga nera si trovano i simboli degli Spiriti Neri. Ogni apprendista riceve una simbologia degli Spettri Neri, e visto l’obbligo di non rivelarla , costi anche la propria vita, riportiamo una simbologia alterata per non violarne il segreto.

Capitolo IV

Testo

Poema del Messaggero

IV Pragrafo

Il reame della putredine nascosto nel suo nido ha bramato la Bambina, nello sputo d’ogni frode s’è contorto, per trascinarla nelle tristi caverne del non vero, lì tormentandola, nella sua carne l’ ha posseduta in morte come un sonnambulo, retto dall’ odio l’ ha bagnata con bava di rettile, e quando nel cuore le ha reciso la tenera rosa dentro l’ ha scavata sin facendola femmina, e quando sanguinante ancora la gettò nel fosso, sepolta nella forra mortale dell’eterna putredine la nascose sì, perché per non più rammentasse il suo prigioniero di questa Luce a Te sottratta

E non più si ricordasse di quell’atavico verme deposto nella sua carne mentre della Vanità ascoltava le dottrine di morte nei fumi di tenebra e dalle bocche dell’Averno ribollente esalate si rendeva edotto per mezzo di quella follia.

Nelle sue tenebre Mi hai comandato di combattere mentre con lascivia nei molli sogni scivolava

Dal fuoco Mi hai comandato di condurlo via

quando in lui il vermiglio rettile erigendosi arse fiero Era sfinito e Mi hai comandato di sostenere la sua mano che al Vero elevò dalla polvere quando s’alzò dalla cenere la sua testa Mi comandasti di parlar del Tuo Canto inascoltabile ai lobi del rettile ché prendesse vigore in lui la Tua Voce sopra la serpe sorda ma con capaci labbra d’un suono di fascinazione incanto che lo rapì inabissandolo nell’ interiore imago: catena alla gola stretta perché a Te cantare non agogni

per santificare il Tuo nome era divenuto muto e Mi hai comandato di ascoltarlo

Commento

La Partita Negativa

Vi è un confine di 0 punti, sotto cui si può scendere, ma cominciano le Penalità. Il minimo punteggio consentito per rimanere in campo è –8.

Vi sono due obiettivi del Gioco : quello iniziale e quello finale.

Nessuna delle parti in campo deve dichiarare questi due scopi.

Vi è un caso però in cui si ammette la dichiarazione dei due fini, si chiama Partita Negativa.

È esattamente ciò che accade che invece di uscire dalla Plancia , vi rimani invischiato, cadendo nel fascino dell’intrigata simbologia. Il Gioco alla fine deve dissolversi, altrimenti la Comunità costruisce un proprio tempio in terra, e il Talankadoma che doveva essere solo un’allegoria dei tremendi pericoli del mondo sottile di Bhaar, diviene un mattone del suo Muro. La Partita Negativa è metafora di ciò che potrebbe accadere, se un aspirante vi entra dentro, deve comprendere cosa del mondo che lo imprigiona, lo sta affascinando a tal punto da “concordare” la sua linea di azione contro coloro che vogliono uscirne.

Raggiunti i –8 punti necessari per uscire dal gioco, l’apprendista deve decidere se rimanere in campo e continuare la partita senza più gli obbiettivi dichiarati, oppure uscire. Nel caso si decida di rimanere, si gioca in Partita Negativa, cioè non si ha più il fine di accumulare punti e per conquistare le Zone Rosse si ricorre a un altro stratagemma. La Partita Negativa si attua solo attraverso un “patto” con uno dei giocatori ancora in gara, chiamato Concordato. Non si può attaccare in modo diretto per conquistare punti, ma solo affiancarsi alla strategia del Concordatario. La dichiarazione è irreversibile, e, qualora, l’apprendista dovesse acquisire un punteggio positivo verrebbe squalificato. Rimasi molto turbato quando mi venne spiegata questa Regola. Può sembrare assurdo, infatti, che una volta scelta questa linea non sia possibile tornare indietro. I Fantasmi mi dissero che, secondo la Comunità di Sofia, ciascuno può ravvedersi nel corso della sua vita terrena, anche all’ultimo momento. Allora il mio smarrimento aumentò, perché mi parve paradossale come ragionamento. Invece ero io il

problema perché persi il punto di vista del Talankadoma. Essendo un’allegoria di ciò che accade nel mondo sottile dopo il trao del membro della Comunità, ogni cosa che accadeva lì poteva segnare una nuova morte per il defunto, cioè, come mi spiegò Kioran, se il traato cedeva ai richiami di Bhaar attraverso i suoi messi, i Koissegura, “concordava” cioè con il signore del Muro, per far cessare il dolore patito dopo il distacco, per via degli attacchi dei suoi servi, veniva nell’immediato spinto in un nuovo loculo del Muro. Morendo così di nuovo. La Partita Negativa allegorizza questo.

Non erano finiti però i miei turbamenti, infatti mi venne svelato che pur di scampare ai dolori inflitti dai servi delle Gerarchie di Bhaar, il Concordatario si accorda sempre con chi sceglie la Partita Negativa per aumentare le possibilità di abbattere colui che invece sta in Partita Positiva, cioè si comportano come gli Spettri del Muro che aiutano nell’adescare le Anime di coloro che tentano di scappare dal cielo di vetro di Bhaar. Ma il Concordato prevede la perdita del venti per cento delle risorse in campo del Concordatario e l’impossibilità di riacquistare i punti persi con le penalità . Se, perciò ,da un lato la partita si fa dura per l’apprendista che tenta di sfuggire al Talankadoma per il Concordatario diviene molta rischiosa. A essere in pericolo è la sua stessa vita, che nel Muro diviene morte.

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Indice

Frontespizio

Diritto d'autore

I I SENZA PADRE

II La Fuga

III TALANKADOMA