ANTONIO DI GILIO
LA BIRRA IN CASA : QUANDO IL BIRRAIO E’ IL TUO MAESTRO
L’emozione di una birra nata in casa
www.misterdoc.altervista.org
www.labirradidoc.altervista.org
www.brasseriaveneta.org
@ 2014
Titolo | La birra in casa:quando il birraio è il tuo maestro
Autore | Antonio di Gilio
ISBN | 9788891160126
Prima edizione digitale: 2014
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Premessa
12 Novembre 2013
Non so perché, ma all’improvviso la birra è diventata per caso o non per caso, qualcosa di veramente unico, apionante e fucina di emozioni ogni volta diverse tali far nascere sensazioni nuove ed appaganti.
Spesso ripenso a tutto quello che è successo in tutti questi anni, e scopro con enorme piacere che c’è dietro un percorso culturale che mi permette di guardare avanti con la possibilità potenziale di fare e dire cose davvero interessanti, senza nessun vincolo o necessità di fare qualcosa perché si debba fare se non è sentita.
La Brasseria Veneta è una associazione nata davvero per una serie di eventi fortuiti e occasionali, per caso mi verrebbe da dire, ma anche no: io credo che le cose nascano si per caso ma anche perché vi è una energia e un divenire che prima o poi devono diventare vita e momenti in cui potere esprimere quello che ognuno di noi ha nel suo destino e nel suo DNA, intendo le ioni e le emozioni che ti permettono di sorridere e di vivere al meglio in questo mondo dove spesso è difficile creare davvero opportunità di benessere e di un sorriso spensierato.
Ecco che in questo percorso da semplice Homebrewer capisci che puoi dare, far conoscere agli altri la tua esperienza anche con un semplice sito internet fatto da solo senza avere molte conoscenze pratiche sulla materia in oggetto: www.misterdoc.altervista.org, sito che nessuna pretesa ha se non quella di comunicare con il mondo degli apionati e condividere le proprie esperienze nate tra le mure amiche della propria casa.
Le oltre 100.00 visite e frequentazioni alle pagine create e messe a disposizione di tutti liberamente ne sono la prova vivente che è la ione il motore di questa condivisione.
L’incontro con i grandi birrai grazie alla Brasseria Veneta ha arricchito sia il bagaglio di esperienza ma ha anche permesso di trasmettere condividere ed emozionare più e più persone, centinaia di persone che diversamente mai si sarebbero potute avvicinare a questo mondo così ricco di creatività che appartiene alla birra artigianale.
La birra artigianale è quella che nasce dalla ione e dalla voglia di portare sensazioni, gusti ed emozioni alla gente creando qualcosa che in primis piace a Te che l’hai fatto.
In questo procedere tra malti, luppoli, spezie e lievito sta la bellezza del mistero di una bevanda così semplice e complicata che per il 90% è composta dall’ acqua che noi beviamo.
Incredibilmente prende vita e diventa unica grazie al birraio “casalingo”, che trasfonde in essa la sua energia e voglia di animare quella materia apparentemente senza anima: il miracolo è che diventa l’espressione di una profonda emozione ed energia che durante la fermentazione esploderà in un delirio di aromi e sapori che andranno ad allietare le papille gustative di chi avrà il piacere di assaporare questa ione in un bicchiere.
E’ possibile fare ed avere una birra che alla fine rappresenti il tuo modo di essere pensare e credere ?
Io credo di si.
Questo libro nasce anche sulla spinta quasi “tsunamica” del mio amico e socio della Brasseria Veneta Matteo Davanzo, il “druido magico”, che bontà sua, crede io sappia scrivere in un modo piacevole e coinvolgente.
Mi ha suggerito, convincendomi della bontà del progetto, di fare una versione didatticamente romanzata che raccogliesse l’esperienze vissute con i mastri birrai in questi anni di eventi realizzati con la nostra associazione culturale la Brasseria Veneta, arrivata al 5° anno di attività, e al tempo stesso inserire aggi utili agli esperti e ai meno esperti per farsi coinvolgere in questa bellissima avventura nel mondo della birra artigianale e in particolare nell’affascinante mondo dell’ Homebrewing ovvero del farsi la birra in casa con due pentoloni, tanta fatica e tanta ione.
Introduzione
A volte le idee nascono per caso e diventano progetti, che sembrano talmente pazzeschi da sembrare sogni mai realizzabili.
Dalla mia ione per la birra artigianale e dal mio modo di pensare e di trasmettere questa ione sono nati gli incontri con alcuni tra i più grandi Birrai Italiani che hanno scritto la storia di questa bevanda in modo artigianale, regalandole quell’aspetto romantico unico.
Il tempo è sempre un grande amico: ci aiuta nel riflettere serenamente dandoci la possibilità di stemperare le situazioni vissute con forti emozioni e sentimenti, tanto da lasciare in noi tracce indelebili che diventano ricordi che mai svaniranno.
Oggi posso considerare le cose in modo diverso da quando ho iniziato questo percorso amatoriale, grazie all’esperienza accumulata in questi anni come homebrewer i miei occhi conservano immagini piene di colori e aromi intensi conosciuti e mai dimenticati.
L’esperienza di quanto fatto e realizzato con e per l’associazione “La Brasseria Veneta” ha contribuito ad arricchirmi sotto ogni punto di vista, sia umano che brassicolo: mi piace ricordare che sono tra i promotori e presidente dall’atto di fondazione, nascita che risale al 21 agosto 2009, nell’anno in corso abbiamo festeggiato il nostro 5° compleanno.
Sembra un periodo breve, ma in questo lasso di tempo sono successe tante e tali
cose da darmi la possibilità di raccontare incontri, esperienze e fatti con birrai di alto livello che mi hanno aiutato a crescere in questo percorso di conoscenza e ione per la birra artigianale.
Sono sempre convinto che la ione è il motore che fa muovere tutto questo progredire in un hobby che ha il bello di non avere mai padroni, se non la propria creatività allo stato “brado” e la voglia di incontrare e conoscere personaggi che aiutino a entrare in una dimensione meno “fai da te”, in una crescita culturale costante tale da poter trasmettere anche agli altri quanto imparato e quanto ancora ci sarà da conoscere e apprendere per ottenere sempre maggiori soddisfazioni.
Ho iniziato come “Homebrewer per caso” nel 2005, per arrivare oggi a poter raccontare e dare la mia piccola esperienza a chi avesse voglia di leggerla e a tutti i soci vecchi e nuovi che arriverano alla Brasseria Veneta, a tutti gli amici homebrewers dei forum conosciuti in rete che oggi posso considerare “amici di birra” e a tutti i miei lettori che mi hanno conosciuto attraverso le mie precedenti pubblicazioni.
Ho ancora ben presente il momento in cui ho partorito l’idea di scrivere “BIRRANDO”, un libro dove ho raccolto la mia esperienza di homebrewers atipico nelle ricette da me realizzate e ritenute tra le migliori, mettendole a disposizione di tutti gli apionati in una sorte di regalo birraio di primo livello per chi si avvicina a questo entusiasmante gioco che ti prende fino a diventare una vera ione che pochi riescono a comprendere.
Questo libro incredibile che svela i miei segreti è nato nel giro di sole tre settimane, colpa del periodo estivo e delle vacanze.
Poi arriva “Homebrewer per caso”, un libro più maturo che mette a frutto
l’esperienza accumulata e la trasmette in una forma di diario colloquiale ove ognuno si sente partecipe degli avvenimenti narrati fino a sentirsi “presenti” nel momento della cotta che porterà alla nascita della prima birra fatta in casa con le proprie mani e l’attrezzatura fai da te, costruita assemblando i pezzi come in un mosaico di arte moderna senza sapere quale mai possa essere la fine.
Oggi questo nuovo libro è il racconto degli incontri con personaggi che hanno fatto la storia della birra, dai quali c’è sempre molto da imparare e ai quali strappare un segreto a volte non è poi così difficile perché diventi il tuo segreto per brassare una nuova birra.
Ognuno di loro ha una visione personale e romantica di questo mondo artigianale e sincero, dove cavalcare sensazioni ed emozioni tra una fermentazione e l’altra, ti lancia al galoppo in una prateria di aromi e profumi che non ha confini e l’orizzonte si allontana ogni volta che riesci a realizzare una nuova birra.
In questo nuovo libro voglio raccontare gli incontri, le emozioni, i segreti e la ione che ognuno di loro ha saputo trasmettere, visto con gli occhi di un homebrewer che vuole far crescere in modo spumeggiante il suo entusiasmo.
Ma non solo, c’è tutto un mondo nuovo da scoprire e da esplorare, alla ricerca di sensazioni, aromi e fragranze mai assaggiate.
In questo libro troverete momenti di birra casalinga, con indicazioni sulle attrezzature in un crescendo di migliorie e voglia di mettersi in gioco, oltre alle ricette da homebrewers che ogni grande birraio mi ha regalato, perché ognuno di voi possa provare la stessa emozione provata da ognuno di loro nel momento in cui hanno scoperto che era possibile ottenere la birra con un pentolone e un po’ di acqua, malto, orzo, luppolo e lievito.
Troverete e capirete in questo libro dalla narrazione romantica e spontanea come sia quasi naturale partorire una ricetta in modo temerario e originale per provare le cose appena sentite, il solo pensiero di riuscire a renderle birra già di per sé crea una emozione che poi deve trovare la naturale e vera concretizzazione in una birra da versare nel bicchiere con la sua schiuma e i suoi aromi.
Voi dovete sempre ricordare che la birra non la fa il birraio, è sempre e solo la fermentazione a fare la vostra birra.
Voi credete di essere i padroni della vostra creatura, ma alla fine scoprirete che siete dei dipendenti che devono realizzare al meglio i propositi e che c’è un organismo unicellulare che decide di volta in volta quale sarà il destino del vostro mosto verde.
Insomma il lievito la fa da padrone, ma voi siete gli attenti custodi e depositari di un segreto che pochi possono realizzare e fare diventare pane liquido.
Una Birra fatta in casa
Il Birraio a casa nostra
E finalmente si comincia.
Siamo nel 2010, la Brasseria è un’associazione che ancora pochi conoscono e cerca di trovare formule accattivanti per portare il verbo della birra artigianale in quei posti dove normalmente il vino è protagonista assoluto da tempo immemore e senza rivali.
L’idea pazzesca è quella di creare dei momenti di incontri in una cornice inedita e mai pensata prima di allora. Portare la birra in una villa veneta, in un ambiente dove per default si può bere del buon prosecco e sorseggiare un Cabernet Frank o un Pinot bianco o grigio che fosse, sembrava una vera e propria eresia.
Le sfide sono il sale della vita e creano nuove sensazioni e nuovi incontri oltre a momenti che finiranno in un album dei ricordi che nessuno potrà custodire se non il tuo cuore.
L’ 11 Settembre 2010, la data è nata per un puro segno del destino, nasce la prima edizione di “Una Birra per Tutti”, la rassegna di birre artigianali della Brasseria Veneta che da allora è andata crescendo fino a diventare una EXPO di successo incredibile per partecipazione di pubblico e qualità delle birre presentate.
La rassegna mi permette di verificare quanto sia importante la presenza del birraio che spiega e racconta la sua birra a chi viene ad assaggiare qualcosa di nicchia, di nuovo e di assolutamente diverso dal concetto usuale di birra fino ad
allora conosciuta.
Oltre ad alcuni birrifici locali (in questa prima edizione sono solo 4 i birrifici presenti) nessuno conosce White Dog e l’Olmaia: la gente incuriosita assaggia e viene iniziata a qualcosa che mai avrebbe immaginato esistesse.
Per molti è la scoperta di un mondo nuovo: il poter assaggiare le birre in degustazione spillate e discusse con lo stesso birraio acquista un fascino e una poesia che nessuno poteva immaginare fosse così coinvolgente e accattivante per l’apionato e per il neofita.
La presenza di “Steve” birraio del White Dog, personaggio espressione della cultura birraia anglosassone, permette alla gente di capire la differenza tra una Ale e una qualsiasi altra birra ma soprattutto di venire introdotti sull’esistenza di birre del mondo anglosassone, emozionandosi nel degustare.
Ora si deve pensare a qualcosa che ci porti a fare cultura, avvicinando la gente al mondo della birra artigianale ma anche e soprattutto a quello del movimento brassicolo casalingo (homebrewing): questo strano matrimonio sarà l’arma vincente della nostra idea di fare birra insieme, di degustare la birra in un modo consapevole e coinvolgente perché uno non beva solo perché è qualcosa di nuovo da bere, ma bere entusiasmandosi, perché sta entrando in un mondo nuovo, quello ancora sconosciuto della Birra Artigianale Italiana.
Facebook strumento diabolico e quanto mai strano, in questo caso mi è stato di enorme aiuto: qui ho “incontrato” Alessio Allo Gatti.
Questa amicizia è nata casualmente, ma tale da far pensare di essere vecchi
amici che si raccontino le proprie esperienze con scambi di idee utili al proprio accrescimento in materia di birrificazione, tanto che la discussione è subito scivolata sulla parte più tecnica per carpire i segreti necessari ad avere aromi e profumi nel prodotto finito chiamato birra.
Grazie ai suoi preziosi suggerimenti e consigli ho potuto accrescere la mia sete di conoscenza e stimolare la ricerca di nozioni e approfondimenti per dare un volto alle mie ricette primitive perché siano più performanti.
Allo, dall’alto della sua bravura, competenza ed esperienza, si è messo a disposizione come un qualsiasi homebrewer esperto, facendomi apprezzare ancora di più il mondo della birra artigianale perché coinvolgente apionante e di sicura comunicazione e aggregazione per le persone che vogliono apprendere e imparare.
Quello che trovo ancora oggi simpatico ed avvincente, è ricordare che quanto discusso e appreso con Allo, sia in rete sia di persona, sono quelle informazioni mai scritte che mai nessuno ti racconterà e che in nessuno libro potrai mai trovare perché l’esperienza è quel qualcosa che si trasmette solo a chi desidera davvero entrare in contatto con l’essenza della birra prodotta e del birraio, che l’ha portata dai grani alla bottiglia pronta per essere degustata, assaporata ed amata in tutta la sua essenza.
Alessio “Allo” Gatti
Capirsi con Allo fu la cosa più semplice del mondo, si entusiasmò subito all’idea di una serata in un ambiente diverso dal “solito” pub o cantina: lo scenario prospettato era quello di una antica Villa Veneta, il salone delle feste sarebbe stato il teatro in cui si sarebbe svolta questa prima con il birraio.
“A Tavola con il Birraio in Villa” fu ideato come un ciclo di incontri con protagonista il birraio e le sue produzioni, in un programma messo subito in cantiere a Ottobre appena dopo la conclusione della nostra prima rassegna.
Questa fu un successo tanto inaspettato quanto entusiasmante che ci diede coraggio e voglia di promuovere sul territorio la nostra ione e le nostre idee sulla birra artigianale italiana, birra che iniziava a farsi conoscere al grande pubblico anche se rimaneva e rimane pur sempre un prodotto di nicchia.
Le date erano state studiate perché avessero una cadenza e un percorso gustativo con delle precise caratteristiche, lo scopo era di introdurre e avvicinare le persone al mondo della birra artigianale, non solo con la cena e l’abbinamento ardito dei cibi in un menù stimolante e innovativo, ma anche con un laboratorio di degustazione interattivo che precedeva il momento clou della serata in una atmosfera da favola magica, protagonisti speciali da mille e una notte.
Allo doveva essere l’apripista perchè dotato di una carica di simpatia semplice e immediata, perché il suo modo di esprimersi era quello di un homebrewers anche se molto più preciso e con toni tecnici di altra levatura.
Ma la sua bravura era nel saper trasmettere in modo semplice e chiaro le idee e i concetti utili per entrare in confidenza con la birra e le sue mille sfaccettature perché era una birra artigianale diversa dalle solite birre.
Convincere Allo fu semplice, ora si trattava di riuscire ad avere il permesso anche da Bruno Carilli “paron” del TOCCALMATTO, il birrificio dove all’epoca il nostro birraio forniva le sue braccia alla causa e realizzava le ricette che avrebbero portato alla degustazione di birre incredibili, che abbiamo potuto degustare in quel lontano 25 Novembre 2010.
Il menù creato era un menù tutto veneto che si doveva agganciare alle birre fantasiose e particolari del TOCCALMATTO (il nome non è per caso, ma è sicuramente un indizio per capire il tipo di birre prodotte).
Chi avrebbe mai potuto pensare di abbinare una birra alle sarde in savor con uva a e pinoli, oppure un risottino di go o delle seppie in umido con la polenta per finire al dolce il Tiramisù alla Veneziana ?
Sicuramente solo dei matti: Io e la Brasseria Veneta, Allo Gatti e le birre del Toccalmatto, abbiamo creduto che si potesse fare senza problema alcuno, anzi era una sfida stimolante e interessante in uno scenario invitante e quanto mai affascinante.
A pensarci bene, mai abbinamento fu più azzeccato per iniziare un percorso che a vederlo e al solo immaginarlo faceva pensare a una pazzia gastronomica messa lì tanto per fare in una terra che va a prosecco cabernet e buoni vini, il presentare la birra nel feudo incontrastato del Dio Bacco era davvero troppo per chi come noi rappresentavamo il nulla in mezzo agli eterni vigneti doc.
Ma per fortuna, non fu così !
Era solo la promenade per un percorso che oggi è diventato una tappa fondamentale e attesa dagli apionati e dai curiosi, perché promette sempre qualcosa di inaspettato e inusuale, assolutamente gastronomicamente appetibile e sempre deliziosamente appagante per i palati più esigenti e per quelli in attesa di essere stupiti dall’abbinamento birra e cibo.
Da allora chi non serba nella memoria il desiderio di riassaggiare la Sibilla, stupenda saison aromatica e fruttata, la Jadis al mosto di uva fontana, la Re Hop una APA però con luppoli tedeschi per finire alla Noel du Sanglier 2010 ? Per non parlare della Zona Cesarini assaggiata degustata e discussa al laboratorio con soci apionati della prima ora e curiosi che nulla sapevano di birra ?
La Zona Cesarini ci portò nel mondo delle IBU con un amaro da 90 senza essere minimamente percepito come amaro: stupiva invece il fruttato dei luppoli neozelandesi e giapponesi utilizzati che per la prima volta incontravano i nostri palati ignari facendoli innamorare ed estasiare.
Fu la rivelazione che esisteva un mondo affascinante che era ancora tutto da scoprire, avevamo appena messo in mare le nostre caravelle per un viaggio avventuroso che ci avrebbe davvero portato nel Nuovo Mondo della Birra Artigianale Italiana.
L’esperienza fu davvero storica perché avevamo avuto la possibilità di vivere la birra artigianale con il birraio che l’aveva materialmente fatta, scoperto luppoli nuovi con aromi sconosciuti ai più, esaltandoci per le nuove modalità di “creare” l’amaro con tempistiche di immissione in fase di boil assai diverse dalla pur tristemente famosa birra ai 4 luppoli, che fa vergognare le italiche menti che amano la birra fatta con ione e creatività.
Quello che mi colpì della personalità di Allo fu la sua semplicità e disponibilità nello “svelare” i piccoli grandi segreti della produzione di una birra artigianale creata all’interno di un birrificio.
Lui è sempre stato un apionato di birre, anche se all’inizio della ione poco si trovava se non in rete e in genere erano quasi sempre prodotti di origine industriale poco appetibili a chi cerca qualcosa che lo emozioni e lo faccia alzare dal letto in piena notte esaltato per dire “Ora questa birra la devo fare io !”.
La svolta birraia della sua vita avvenne in una gita a Budapest alla fine delle scuole superiori, quando gli insegnanti li portarono in un brewpub dal nome che mai si potrà ricordare, ma nella memoria rimase impressa per sempre la birra assaggiata in quel contesto nuovo e diverso da quello che allora si poteva trovare in Italia.
Fu completamente estasiato da quella birra che forse era una “semplice” Helles, e forse no, una birra molto corposa, elegante non molto luppolata, spillata come Dio comanda in enormi boccali di vetro.
In Italia circolava qualche weizen e iniziavano ad arrivare dal Belgio le prime birre artigianali, nel suo animo iniziava il tormento e la non pace per avere scoperto l’esistenza di birre così buone gustose e delicate, che rimanevano sulle papille gustative deliziandole per diverso tempo senza perderne la memoria.
Ed ecco il momento in cui il nostro futuro birraio decise che era ora di iniziare a fare birra in casa per dare un senso compiuto alle sue degustazioni e bevute di buona birra, che non fossero dal gusto appiattito e anonimo come era abitudine trovare a quei tempi.
Come molti homebrewer sicuramente potranno rammentare, e per chi ne è all’oscuro, ricordo che a quei tempi non era facile trovare materiale né di tipo documentale tanto meno materie prime per homebrewing: le informazioni sull’argomento birra artigianale da fare in casa erano praticamente irreperibili se non in internet e in lingua inglese.
Questo è il periodo che Allo definisce di “fermentazione vigorosa”, compra libri in Inghilterra dove il movimento homebrewer era già più che in fermento e inizia a scoprire i primi birrifici italiani e i primi locali “brewpub” dove incontrare altri apionati e dove la birra era davvero la birra che cercava, artigianale nel vero senso della parola.
Dove c’era birra artigianale in Italia lì si trovava Alessio: in questo periodo erano pochi gli apionati in tutta Italia e si potevano contare sulle dita delle mani e il ritrovarsi tutti insieme creava un’atmosfera particolare quasi tipica delle associazioni di carbonari.
“Il ricordo corre ai pochissimi birrifici esistenti sul territorio e ogni volta che usciva una nuova birra era un evento nazionale! Ora le cose sono molto cambiate, è sicuramente una fortuna che oggi la birra artigianale sia in enorme espansione, ma se ripenso a quei periodi pionieristici non posso che commuovermi e rimpiangerli un po'.”
E’ curioso pensare che lui un uomo del Sagittario, dal carattere generoso leale e sincero, cullasse un sogno assai particolare fin dai tempi della gioventù : finita la scuola media superiore Allo lavorò in un piccolo allevamento di capre per un anno insieme ad alcuni parenti.
Una esperienza curiosa e interessante di sicuro, ma che affinità potevano esserci tra questa esperienza così particolare con la birra ?
E’ lui stesso a spiegarmelo in modo semplice e da sognatore mai disilluso quale è tutt’ora: “Il mio sogno, per un sacco di tempo, è stato quello di realizzare un allevamento birrificio caseificio a filiera corta. Ancora oggi ci penso e se vincessi al superenalotto ecco cosa farei senza indugio e senza ripensamenti ! ”
Mai avrei pensato che un birraio potesse coltivare l’idea di un progetto così articolato semplice e al tempo stesso romantico: ma lui è forse un birraio romantico nel cuore e nella birra che produce, capace di emozionarsi e provare quelle sensazioni che ti fanno sorridere all’idea di sentirsi libero di creare a contatto con la natura delle cose e nella natura stessa.
A distanza di oltre tre anni è ancora viva e presente l’emozione della giornata ata insieme, sia in me che in lui.
Io ricordo che appena sceso dall’auto ci siamo abbracciati come se il tempo ci avesse fatto ritrovare e lui con un grande sorriso mi disse: “Ti ho portato un regalo che devi mettere via subito: alcuni sacchetti di luppoli neozelandesi, americani e del luppolo giapponese con cui facciamo le birre. Mi raccomando nessuno deve sapere che te li ho portati. Ti spiego come usarli e come avere da questi luppoli risultati straordinari e aromi incredibili che neppure puoi immaginare.”
Sembrava una favola, un birraio mi raccontava e spiegava i segreti per l’uso di nuovi luppoli per avere anche in casa birre stupefacenti: grazie a quei luppoli nacque una delle mie birre più buone l’ Aorangi, l’uso del Nelson Sauvin la caratterizza rendendola unica e impregnata del significato del nome che le ho dato. Aoraki significa “Colei che fora le nuvole” nel dialetto Ka¯i Tahu della
lingua Maori e nella forma canonica Maori, questo nome viene scritto: Aorangi (pronuncia: Aoranghi).
Con questa lezione magistrale diventerà “Ticiaboto” e si arricchirà del dry hopping diventando una birra speciale nel gusto e nel significato.
Allo tempo dopo mi scrisse due righe ricordando quella giornata di fine novembre, non un venerdì qualsiasi :
“Due righe scritte in fretta ma con il cuore, tocca a te tradurle in italiano! Quel che dico è tutto vero, grazie Doc!
Ricordo quella alla Brasseria Veneta come una delle degustazioni più romantiche che abbia mai fatto,sarà per il contesto incredibile della villa veneta, sarà per la cortesia e la simpatia dei soci ed organizzatori della Brasseria Veneta.
E’ bello quando dopo un evento simile vai a dormire con il sorriso stampato sulle labbra.
E’ questo che dà il senso a tutto il nostro lavoro che spesso avviene nel freddo e nella solitudine della cantina, fra il silenzio dei fermentatori e i pavimenti bagnati, il vapore ed il rumore delle macchine. Questi sono davvero momenti di ristoro del corpo e dell'anima. Grazie Doc!” - Alessio Allo Gatti
Nel leggere queste parole, ancora oggi, i brividi che mi salgono dalla schiena mi
fanno capire quanto ancora viva sia l’emozione di quei momenti e quanto bello sia scoprire che la birra è una bevanda che crea amicizie che durano nel tempo, anche se non è possibile incontrarsi.
Per Allo, non abituato a palcoscenici così vibranti, l’emozione di una serata vissuta tra piatti tipici veneti in abbinamento alle birre da lui realizzate, dove la spiegazione del birraio aveva un ruolo importante per comprendere birra e cibo diede a questo simpatico “folletto della birra artigianale” spinta e carica per continuare nel duro lavoro di bracciante della birra, anche se lui è in realtà un grande birraio che aggiunge poesia alle sue birre.
La prima birra “buona”
Il regalo di Allo per me e per tutti gli amici homebrewers è una delle sue prime ricette che gli permisero di avere una birra che Teo Musso e Kuaska “se ne tazzarono” una pinta intera a testa nel corso di una manifestazione dove era possibile degustare centinaia di ottime birre, e potete ben immaginare la soddisfazione e l’orgoglio del birraio che “era in me” (cit. Allo Gatti Alessio).
Potremmo definirla un quasi clone della mitica Guinness, una outmeal stout semplice ma di sicuro effetto.
Potete decidere di fare la versione dry o più dolce a seconda dei vostri gusti. E’ una ricetta semplice e facile, dove il malto scuro tostato riesce a correggere il ph del mash, senza che ci sia bisogno di particolari trattamenti dell’acqua per avere quell’acidità necessaria per una completa saccarificazione. I fiocchi non vanno macinati, si può fare un single step a 68° gradi per circa un'ora e come lievito si consiglia il SafAle US-05. Il luppolo viene usato solo nella fase iniziale della bollitura per avere circa 30 unità di amaro (IBU), per l’aroma ci penserà il malto tostato inserito nella ricetta.
Allo ci insegna un piccolo grande trucco per capire in una birra scura come si riesca a capire se è avvenuta la conversione degli amidi in zuccheri: il trucco sta nell’ usare un gessetto bianco spezzato invece del solito piattino.
Invece di mettere due gocce di mosto sulla superficie del piattino come siamo soliti fare, si prende un gessetto bianco, lo si spezza in modo che rimanga bello poroso e mettiamo una o due gocce di mosto, facendo si che venga ben assorbito e infine una goccia di tintura di iodio che ci darà il responso da noi cercato.
Quanti di voi ne erano a conoscenza ? Io credo davvero pochi, forse nessuno di voi poteva immaginare “un trucco” così semplice e rapido per risolvere il problema: con questo piccolo stratagemma il colore del mosto non influenzerà il risultato e potremo capire se la saccarificazione è avvenuta o no. Un altro piccolo importante suggerimento direttamente dal nostro birraio: “Se si vuole dare un po’ di rotondità alla birra, possiamo aggiungere un cucchiaino da caffè di Cloruro di Calcio (CaCl) nell’acqua di mash (per i canonici 23 litri di birra).”
Questa birra è una delle prime “buone“ che ho fatto – dice Allo – e la regalo con gioia a tutti gli homebrewers, in particolare agli amanti delle stout da grandi bevute.
Quanti birrai ci avrebbero regalato la loro prima birra di successo, con la quale esisterà sempre un legame affettivo profondo, e fatto si che la ricetta potesse essere oggetto di studio e perfezionamento per chi ama farsi la birra in casa ? Tra le birre facilmente reperibili in commercio, per avere una idea della birra che andrete a realizzare con la ricetta proposta dal nostro birraio, ricordiamo la Samuel Smith Oatmeal Stout e la Young’s Oatmeal Stout.
Doc e Allo
Quando il birraio ti ispira
L’incontro con Alessio, come avete letto, fu musa ispiratrice della mia nuova birra la Aorangi: l’utilizzo di nuovi luppoli da un continente che mai avrei pensato potesse coltivarli, mi portò a sperimentare questa nuova produzione casalinga.
Luppoli come il giapponese Sorachi Ace, dai profumi inconsueti e a noi sconosciuti, che danno addirittura aromi di cocco nella birra finita, o il neozelandese Nelson Sauvin, che con i suoi aromi che ricordano il vino bianco “fruttato”, assicurano alla fine un profilo talmente complesso e particolare da renderli varietà uniche e senza sostituti al mondo.
Il Nelson Sauvin è un luppolo sviluppato in Nuova Zelanda dalla HortResearch – Riwaka Research e messo in distribuzione dal 2000 dopo sperimentazioni iniziate nel 1980.
Il Nelson Sauvin deve il suo nome alla regione centrale della Nuova Zelanda dove viene coltivato, appunto Nelson, e dal famoso vitigno Sauvignon della zona di Bordeaux, di cui ricorda il fruttato tipico e fresco dell’uva spina, oltre ad aromi tipici del pompelmo.
Non ha possibili sostituti proprio per la sua unicità e caratteristiche: la frazione Cytrus-Piney 7,8% e la frazione di “Estery floreali” del 2,8% (0,8% di Linalolo – aroma di rosa), contribuiscono a quell’insieme di aromi da “olio fresco tritato” tipico delle uve Sauvignon Blanc, oltre alle note balsamiche tipiche dei frutti tropicali come il mango e la papaya.
Un luppolo dagli Alfa acidi elevati, non meno del 12-13%, che nasce dall’incrocio di una varietà neozelandese, lo “Smoothcone”, una varietà locale del Fuggle, con una pianta maschio sempre neozelandese.
L’Aorangi, è una birra che pur nella complessità aromatica data da questo stupefacente luppolo, è fondamentalmente semplice: il malto Pils unito al Rauch malt e al malto caramello Crystal la rendono una birra incredibilmente beverina e piacevole, quasi un prosecco tipico delle colline della Marca trevigiana, solo che non è vino ma birra.
Una birra di soli 5 gradi alcoolici, dal corpo medio e rotondo con una frizzantezza tipica del prosecco, una birra che va bevuta giovane e fresca per conservare tutte le sue caratteristiche e ritrovare quegli aromi che la rendono una bevanda dissetante e piacevole nelle calde serate estive.
La OG di 1.050 (13 brix – 12,4 plato) per una FG di 1.010 (6,8 brix – 2,6 plato), un colore di 10,6 Ebc per un amaro di 30 Ibu con un rapporto BU/GU 0,54.
Come lievito ho usato la prima volta il Safale S-04, dalla flocculazione alta, che ha la caratteristica di fermentare velocemente formando un sedimento molto compatto che aiuta a migliorare la limpidezza della birra finita, con un gusto pulito lievemente fruttato che sostiene il luppolo Nelson Sauvin.
Il ceppo da cui proviene questo lievito pare essere quello della Worthington White Shield, che equivale ai lieviti liquidi della London Ale 1028 della Wyeast o l’equivalente WLP 013 della White Lab.
Ho immesso i grani in fase di mash a 53-54°c per un primo step a 52°c (protein rest), per salire a 62°c (beta-amilasi) dove ci fermeremo per 15-20 minuti e infine ultimo step a 69-70°c per una durata di 40-50 minuti o fino a completa conversione degli amidi in zuccheri (saccarificazione), ultimando questo fase a 78°c (mash out) per altri 10 minuti.
Ho usato la normale acqua dell’acquedotto con un ph di 7,7, che dopo il primo step scendeva a un ph 5,5,-5,6 ottimale per avere la saccarificazione degli amidi in zuccheri.
Si procede con lo sparge (lavaggio delle trebbie) e filtrazione per continuare con la fase di bollitura seguendo lo schema di luppolatura riportato nella tabella precedente, usando come “single hop” proprio il Nelson Sauvin.
La fermentazione con SafAle S04 sarà veloce e rapida: in 3-4 giorni alla temperatura di 21-22°c ogni cosa è compiuta, in 5a giornata si travasa e si assesta la temperatura sui 18-19°c prima di abbassarla a 4-5°c due giorni prima dell’ultimo travaso e successiva fase di imbottigliamento con priming.
Il priming può essere fatto con zucchero bianco oppure con il destrosio monoidrato nella quantità di 5-5,5 grammi/litro di birra finita.
Lasciare le bottiglie a temperatura ambiente (temperatura intorno ai 20-21°c), per almeno tre settimane e dopo tale periodo di maturazione, la nostra birra sarà pronta per essere piacevolmente degustata e assaporata in compagnia di amici o anche da soli.
Alessio e la sua “new age luppolata”, mi ha permesso di realizzare questa birra che ogni volta che posso brassarla è davvero un gran successo, piace soprattutto a chi ama il prosecco e non solo a chi ama la buona birra artigianale.
La Aorangi o Ticiaboto
Jurij Ferri
Come non ricordare con piacere e un pizzico di nostalgia la magica avventura nel mondo delle birre Almond’22 insieme a colui che ne è l’anima e il padre: Jurij Ferri.
Ricordo i primi contatti con “il maestro” avvenuti in rete, disponibile schietto e diretto come è nella sua natura.
Io timido homebrewer mi permettevo di “disturbare” uno dei più grandi birrai italiani, temevo di non poter avvicinarmi e parlare con un così grande personaggio, invece con mia grande sorpresa trovai attenzione consigli e tante parole “tecniche” e di incoraggiamento perché continuassi a divertirmi, senza mai rinunciare alla fantasia creativa, di provare sperimentare e giocare con la birra.
Voi non ci crederete ma Jurij ha un cuore davvero grande: da sempre partecipa alle nostre raccolte di solidarietà, inviandoci le sue meravigliose birre per aiutarci nelle nostre missioni e quando arriva il momento della richiesta è uno dei primi ad aderire.
Io conoscevo Jurij o meglio le sue creature, perché un conoscente mi aveva regalato alcune sue stupende birre sapendo della mia ione per le birre artigianali: così durante uno dei suoi viaggi, aveva assaggiato e scoperto alcuni dei classici della sua produzione e aveva deciso che dovevo provare la Maxima, La Gran Cru, la Torbata e la piacevolissima Blanche de Valerie.
Fu davvero amore a prima vista, erano birre che avevano e hanno una anima particolare, quella del loro grande birraio.
Jurij inizia nel 1999 come homebrewer, insieme alla moglie Valeria, e da subito gli piace mettersi in gioco: le sfide sono il sale della vita e ti danno quella carica e quella fantasia, che solo la sensibilità di un artista poi può portare alla produzione di birre incredibili.
La cosa strana, che mi domando sempre, è perchè queste birre non abbiano mai vinto premi o avuto i giusti riconoscimenti che meritavano, pur trovando nel loro pubblico un amore apionato e travolgente, che non può più rinunciare a questo abbraccio ricco di schiuma, bollicine, aromi e sensazioni magiche, tanto da desiderare di carpire i segreti per produrre birre di tale qualità e di tale eleganza.
Non tutti sanno che il sogno di Jurij fosse quello di diventare chef, nel percorso tracciato dal nonno che era capo maitre al Moulin Rouge in Francia.
Jurji viveva nel mondo della chimica, il padre era un professore che si divideva tra Napoli dove insegnava, l’Abruzzo da dove era partito e Stoccolma dove viveva con la moglie e ovviamente il figlio.
Jurij coltivava la ione per la cucina con il nonno chef e con la madre in Svezia, che sin dall’età di 7 anni lo lasciava giocare e divertirsi tra le pentole e i fornelli; vivendo tra Napoli e l’Abruzzo per seguire il padre, le radici delle sue origini hanno trovato terreno fertile, cullate dal calore innato mescolato alla tipica fantasia ed estro degli uomini del Sud, spingendolo dove non avrebbe mai pensato se non fosse stato per colpa di una donna, la donna della sua vita.
Tanto si deve a sua moglie Valeria, a cui piaceva davvero fare la birra: infatti fu lei a spingerlo verso il mondo della birra e mai intuizione femminile fu più indovinata.
La sua carriera di birraio iniziò con una pentola d’acciaio in uno spazio di 25 metri quadrati, anche se il suo sogno era diventare uno chef affermato, affascinato dalla figura del nonno e dell’ambiente in cui era vissuto.
La loro casa era un porto di mare, sempre aperto agli amici che potevano assaggiare le sperimentazioni sia culinarie che brassicole dell’aspirante neobirraio: gli riusciva tutto bene, senza nessuna difficoltà apparente, la birra era nel suo DNA per metà svedese e per metà abruzzese.
Il primo fermentatore acquistato da Mr. Malt era l’oggetto curioso che accompagnava con i suoi gorgoglii le serate con gli amici, occhiate tra il sospettoso e il curioso, che Jurij intratteneva deliziandoli con piatti della cucina internazionale e il buon bere prodotto in loco.
Pensate come la vita e il destino di un uomo si disegnano e si realizzino quasi fosse la trama di un romanzo epico di altri tempi: il sogno più grande era fare lo chef, però cerca di trovare la sua strada prima seguendo le orme paterne con la chimica, poi tentando con la geologia ando per consulente e infine come insegnante di inglese.
Nulla di tutto questo poteva soddisfare un uomo come lui, estro, fantasia e ione: la birra lo ha riportato dove il cuore voleva andare, restituendo Jurij alla sua ione, a quello che davvero lui doveva e sapeva fare.
Ho ancora nella testa le parole di Jurji: “Dovevo aprire un posto dedicato alla cucina e al buon bere! Fondamentale in questa fase l'idea di mia moglie di aprire un microbirrificio.
Erano ancora anni poco sospetti con poco più di una trentina di birrifici in giro per la penisola.
Ricordo ancora nostalgico il mio primo pianeta birra nel 2001.
Almond'22 apre nel 2003 e in questi quasi 11 anni tutto il successo arrivato ci lascia ancora un po' impreparati.
Avevo promesso di dare il meglio di me stesso e di imprimere fortemente il mio modo di bere e cucinare nelle nostre birre, ma non mi sarei aspettato tutto quello che di bello è successo in questo lasso di tempo.
Mi reputo un birraio sperimentatore ma anche molto dedito alla studio: c'è molta più dignità in un mediocre homebrewer che in un birraio scadente.”
Come non amarlo ? Lui il suo modo di essere e di interpretare la birra artigianale, l’eleganza da lord inglese e il suo modo quasi distaccato ingannano chi non lo conosce: dentro di lui la ione, l’amore e la voglia di creare birre che esprimano il suo modo di pensare, di essere e di emozionare, esplodono nelle magiche combinazioni di malti, luppoli, spezie e lievito.
Ed ancora dalle sue parole è facile capire chi in realtà è lo Jurij battagliero che
non segue mode etichette o clan, ma solo quello che il suo istinto e la sua ione gli danno la forza di gettare l’anima nei bollitori, perché poi diventi materiale da fermentare per essere vera birra:
“Un birraio arrivato è per me un birraio noioso, uno che non si mette più in discussione: insomma un birraio del ato.
Non tollero le mode (anche se me le aspetto e comprendo l'esistenza di quello che reputo un male necessario), i birrai che dimenticano il perché della loro scelta di vita e gli esperti auto eletti o auto proclamati.
Non fatevi mai dire da nessuno che il vostro sogno è irrealizzabile, ma non sottovalutate mai le difficoltà che il progetto stesso può implicare.
Volete essere dei bravi birrai? Nessuno può impedirvelo, solo voi stessi potete decidere del vostro futuro. Buona birrificazione a tutti! ”
Facebook, network tanto odiato e tanto insulso, fu la chiave e il gancio per arrivare a Jurij, birraio tra i più conosciuti e apprezzati.
Non ci volle molto a convincerlo a venire, per creare una combinazione cibo e birra incredibile, per suggestionare ed emozionare la gente che numerosa e curiosa partecipò a una serata storica per la presenza di altri birrai amici di Jurij che vennero ad omaggiarlo.
Addirittura per il laboratorio fummo costretti a utilizzare il tendone della
struttura esterna tante furono le richieste di partecipare per sentire dalla viva voce del maestro i segreti per fare una buona birra anche tra le mura domestiche, tra i fornelli della cucina, conquistati a colpi di malto e luppoli, facendo arretrare le mogli nel salotto se non addirittura oltre l’uscio di casa.
Ma come in tutte le favole, a un certo punto successe l’imprevisto, quel qualcosa che può mandare a monte sforzi ione ed entusiasmo.
Jurij venne qui da noi con il treno e spedì le birre per tempo qualche giorno prima, in modo che potessero riposare e presentarsi al meglio al pubblico che lo aspettava entusiasta.
Ricordo ancora che erano circa le 11 del mattino e mi sentii al cellulare con Jurij per verificare che tutto fosse pronto per la giornata che ci aspettava e calcolare i tempi del suo arrivo perché avremmo mangiato insieme a casa mia, insieme a un amico homebrewer toscano, venuto dall’Olanda dove vive da molto tempo, proprio per non perdere la serata con il maestro, il mio amico Gino conosciuto dagli homebrewers come “Pincopallino”.
Controllando le birre e ricontrollando le birre non riuscivo a trovare la quarta birra, quella che andava abbinata al dolce.
Non era arrivata per un errore nella spedizione: ed ora? Jurij mi disse controlla bene, guarda in tutte le scatole, vedi se per caso è stata messa da un’altra parte. Non poteva essere, un piccolo ma fastidioso inconveniente che metteva entrambi in agitazione.
Come in tutte le belle favole, l’ispirazione somma fu quella di pensare che qui
vicino c’era un grande birraio, amico di Jurij, che poteva salvare la situazione e farci mettere tutti sereni. Voi non potete nemmeno immaginare chi esso sia, ma questo fu il modo con cui potei conoscerlo e diventare amico, un grande amico.
Questo birraio, che ci levò le castagne dal fuoco, altri non era che Gino Perissutti, birraio del Foglie d’Erba di Forni di Sopra (UD), distante 90 minuti da noi e che aveva già deciso di essere presente alla cena per salutare il suo grande amico e maestro.
A volte il diavolo fa le pentole ma non sa unire malti e luppoli in maniera tale che il lievito dia sublimazione tale da rendere lo spettacolo effervescente e incredibilmente a sorpresa, una sorpresa che nessuno immaginava o poteva ipotizzare: avevamo la guest star, uno dei birrai emergenti, oggi uno dei più bravi in circolazione insieme al grande maestro abruzzese, futuro ospite dei nostri eventi, socio sostenitore della Brasseria Veneta.
E così anziché la Noa reserve 12 mesi ci toccò “accontentarci” e deliziarci con la incredibile Ulysses alla spina, una Black Ipa, birra per noi nuova nel genere e nello stile, che si sposò magistralmente al Pan del Doge con crema alla Vaniglia, tipico dolce veneziano.
Per una volta la storia di una cena inizia dal dessert e non dall’antipasto, ma tanto succulento e bello è l’aneddoto che non si poteva metterlo alla fine, come una appendice di chiusura, ma il giusto risalto per far capire le emozioni condensate nel thriller della birra che non c’era e l’estasi della birra estratta dal cilindro del fermentatore del birraio friulano, che presto sarebbe diventato un grande protagonista della scena birraia italiana.
Un caso ? Una regia Fortunata ?
Tanto era il desiderio mio e dei soci della Brasseria di emozionare chi non conosceva la birra artigianale che la fatina delle spezie e dei malti speciali, presa da buon cuore, decise che era il momento di regalare a tutti noi momenti indimenticabili e oserei dire irripetibili.
Laboratorio e Cena regalarono momenti di alta scuola, di conoscenza e cultura birraia, trasmessa e narrata dalla voce del maestro, che seppe stupire, far sorridere e deliziare uomini e donne, apionati e curiosi, amanti del vino e increduli partecipanti che mai pensavano prima di quella sera che si potesse pasteggiare con gusto e soddisfazione anche con la buona birra artigianale, birra artigianale italiana.
L’antipasto di Carpaccio di Vitella alle erbette con Castraure di Sant’Erasmo trovò la sua sublimazione nella Blanche di Valerie, premiata con le 5 stelle nella guida Slow Food del 2010, una Ale chiara di segale, farro, frumento e orzo, brassata utilizzando cereali biologici locali come la segale e la saragolla.
Non presenta la tipica acidità delle blanche, ma risulta invece morbida con un buon abboccato, con una schiuma abbondante e cremosa. Il finale è secco e delicatamente speziato grazie anche all’aggiunta di un raro pepe (una varietà del Nero di Sarawak), coltivato da un singolare personaggio nelle foreste del Borneo.
La si può abbinare con successo ai crudi di pesce, al sushi e alla tempura di verdure.
Il tipico piatto veneto Risi e Bisi trovò nella Farrotta, premiata con le 5 stelle nella guida Slow Food del 2009, il suo giusto abbinamento: l’alta percentuale di
farro biologico le conferisce una tessitura setosa e un aroma caratteristico. L’aggiunta del miele di acacia a fine bollitura insieme ad un blend di luppoli continentali e americani dona un “flavour” agrumato piacevole che ben bilancia l’aroma e l’abboccato di frutta gialla (mango e pesca), tipico di questa birra.
Si consiglia l’abbinamento con formaggi freschi dolci, minestre di cereali, carni bianche e primi piatti senza pomodoro.
Ma non abbiamo ancora finito di stupire, perché il Fegato alla Veneziana con polenta, quanto mai difficile da abbinare, trova la sua magia nella Pink Ipa, la birra definita da Jurij “che crea dipendenza”. E’ una Indian Pale Ale brassata con pepe rosa, luppoli americani, neozelandesi e continentali che conferiscono oltre a un amaro importante un aroma fine ed elegante, dove i sentori dolci e fruttati del pompelmo rosa e frutta tropicale si siedono in un letto di schiuma bianca, generosa e persistente. Una vera esplosione di profumi mai sentiti e mai gustati prima di questa sera.
Il finale secco aiuta con l’amaro, note di scorza di pompelmo ed erbaceo, a ripulire il palato, rendendo facile l’abbinamento con carni di maiale, costata di manzo ai ferri e fritture miste di verdura.
Ed ecco la sorpresa che vi ho già descritto qualche riga addietro, a insaputa dei presenti Gino ha preparato la spina con la sua Ulysses, per abbinarla al dolce: una Black Ipa che ci porta in un’altra dimensione, in un percorso di profumi e aromi da mille e una notte.
I malti tostati e torrefatti, in un connubio unico con il blend di luppoli americani e continentali utilizzati, fanno apprezzare le note di caffè ed affumicato sia al naso che al palato, e la schiuma ricca e persistente emana sentori di pino per ricondurci al posto di produzione di queste birre artigianali da montagna.
La serata è arricchita dalla presenza di altri birrai oltre a Gino, i ragazzi del Five To Six, allievi di Jurij, Saverio Costa Garlatti all’epoca non ancora birraio e Pierluigi Chiosi del PBC di Livorno: mai parterre fu così spumeggiante tanto da rendere frizzante e veramente spumeggiante il finale.
Una serata di inizio maggio del 2011 ci permise di entrare nel mondo della birra artigianale come associazione brassicola culturale degna di ricevere il giusto rispetto e la dovuta attenzione: inizia un percorso che oggi ci vede meritevoli della considerazione dei birrai italiani e degli apionati cultori della birra artigianale nonché degli homebrewers.
Il regalo di Jurij
La prima birra di Jurji, in verità di Jurji e Valeria, è stata una Weiss, birra non sempre semplice da brassare e da gustare.
I dati della nostra ricetta sono :
Le caratteristiche di una Weiss prevedono l’utilizzo del malto di frumento in una percentuale prossima al 50%, una luppolatura non importante e il grande lavoro del lievito che darà gli aromi e il profilo tipico di una birra di questo tipo, che si distingue per la cremosità, il sapore dolciastro e la spiccata nota di acidulità.
Importante, raccomanda mastro Jurji, è sanificare sempre bene tutta l’attrezzatura.
Per fare 23 litri di birra dobbiamo procedere in questo modo: prima di tutto bisogna portare 30 litri di acqua a 70°, immettere il grist gradualmente piano piano, mescolando bene il mash ottenuto; poi si alza a 67° e si mantiene questa temperatura di step per almeno 50 minuti o fino a completa saccarificazione degli amidi. Mash out a 79° per 5 minuti, lasciare riposare 10 minuti e far ricircolare il mash fino a ottenere un mosto limpido per poi iniziare la filtrazione e lo sparging.
L’acqua di sparging deve essere alla temperatura di 80-82°, la fase di filtrazione non deve durare meno di 60 minuti. Avrete alla fine in bollitura circa 27-28 litri, a fine bollitura 23-24 litri: se non avete ottenuto la OG prevista potrete aggiungere al mosto bollente del miele di acacia così da correggere la densità. Il primo luppolo servirà per l’amaro, il secondo luppolo per l’aroma. Non vi resta che raffreddare il mosto portandolo a 22° e inoculare il lievito liquido Weihenstephan Weizen 125 ml (deve essere attivato almeno 48 ore).
Ecco una simpatica variante da provare, suggerita dallo stesso Jurji, che vi permetterà di ottenere qualcosa di particolare: mettete 2 Kg di lamponi in infusione per 10 minuti in 3 litri di acqua, dove avrete sciolto 5 cucchiaini di bicarbonato, questo aggio serve per “sterilizzarli”. Ora prendete uno scolapasta, metteteti i lamponi e lavateli bene con acqua abbondante: li dovrete aggiungere al mosto nel fermentatore max in 2a o 3a giornata di fermentazione. Il tempo di infusione dovrà essere di 9-10 giorni, poi procedete normalmente con la fase di imbottigliamento della vostra birra.
Jurij e i birrai
Doc, Jurij e Gino
La Maxima arte di Jurji
Una delle birre che adoro di Jurji è la MAXIMA, una Strong Ale Italiana, di 6,9% di volume alcolico, birra ad alta fermentazione, caratterizzata da una schiuma cremosa ed abbondante, dalla tessitura vellutata e compatta con un colore oro intenso.
Questa birra ha una luppolatura che ben si armonizza in modo elegante con il sapore dolce del malto e del miele, dando vita a una birra che pur avendo un grado alcoolico di tutto rispetto risulta fresca, fruttata e floreale nonchè di facile beva.
E’ una birra fatta con il solo Maris Otter, si sfruttano nella fase di bollitura i fenomeni della reazione di Maillard per ottenere il colore e le note caramellate che la contraddistinguono all’assaggio e all’olfatto.
Una birra che trova il suo giusto completamento nell’abbinamento con formaggi di media stagionatura, con carni di agnello e maiale alla brace e anche con primi piatti a base di asparagi.
Seguendo le istruzioni e i consigli di Jurji mi sono divertito a provare a fare una birra che avesse queste sensazioni, senza minimamente pensare di avere fatto un clone di questa stupenda e unica birra.
Parlando e discutendo con il maestro ho messo a punto la birra che ora vi descriverò e che penso potrò far assaggiare anche a Jurij durante l’Expo 2014, dove lui sarà uno dei protagonisti con le sue incredibili creazioni sempre più
uniche, speciali e fantastiche.
Per creare questa birra in stile Maxima utilizzerò solo il Maris Otter 100%, ò il miele di acacia che aggiungerò appena spento il fuoco dopo il boil e un lievito belga in questo caso il secco SafBrew T-58 e una luppolatura tale da avere circa 45 Ibu utilizzando due luppoli a me cari come Perle e Amarillo.
Bisognerà giocare sui tempi di mash e sulla fermentazione per avere una birra attenuata secca, pur avendo un grado alcolico così importante.
Non è facile fare una Belgian Strong Ale tipicamente italiana con una struttura complessa ma al tempo stessa armoniosa, facile da bere e che ti stupisca per la ricchezza di aromi e profumi, utilizzando così pochi ingredienti. Importante è utilizzare tempi di mash dove lavorino le beta-amilasi per avere zuccheri fermentescibili, che in fase di fermentazione il lievito possa trasformare in alcool rendendo la birra ben attenuata e secca.
Per avere i 45 Ibu previsti emo Perle e Amarillo in quantità maggiore all’inizio della fase di bollitura, poi in momenti diversi verso la fine della bollitura per avere aromi e profumi, come piace più a noi nella birra finita.
La fermentazione con il lievito secco SafBrew T58, lievito belga speciale che da aromi pepati e speziati, con una flocculazione media che arriva a densità finale alta.
A temperature alte, intorno ai 28-29 gradi, è un lievito che dona esteri fruttati notevoli e lavora bene fino a gradazioni alcoliche di 11,5 % by volume.
La quantità da utilizzare per una produzione casalinga (homebrewing) va dai 5 agli 8 grammi per 10 litri circa, mentre per la rifermentazione in bottiglia se ne utilizza da 0,25 a 0,50 grammi ogni 10 litri di birra finita.
Il ceppo da cui proviene è un ceppo nobile, viene dalla Abbazia di Notredame di Scormont che produce la Chimay, birra trappista, dal 1863, equivalente ai liquidi Belgian Ale 1214 della Wyeast e Wlp 500 della White Lab.
Ricordate che, in rifermentazione, in bottiglia si formerà un sedimento solido alla fine della fermentazione secondaria, senza formare grumi, lasciando comunque la birra limpida e ben carbonata.
Lasciate maturare i primi giorni a 23-24°c, poi abbasserete la temperatura a 1819°c per far finire la rifermentazione in bottiglia.
Dopo 4 settimane avrete la vostra bottiglia pronta per essere degustata e fatta assaggiare ad amici e conoscenti.
Antonio Zanolin
La storia continua con uno dei migliori birrai veneti anche se di origine triestine, grande amico e sostenitore della Brasseria Veneta da sempre ed oggi socio sempre pronto a dare il suo contributo in termini di birra e di partecipazione nonché di esperienza e consigli.
Birraio che ha legato il suo nome alla Gastaldia fin dalla nascita di questo birrificio che ha sede a Pieve di Soligo in terra trevigiana, in un ex convento del 1600, sede del Kastaldo della Fara “villaggio Fortificato”, ristrutturato e utilizzato per produrre birra artigianale dal 2005, birra e abbazia.
Come entra nel mondo della Birra artigianale Antonio Zanolin ?
Antonio Zanolin partecipa ed è uno dei fautori della nascita del Birrificio La Gastaldia, racconta lui stesso: ”La Gastaldia apre nell'ottobre del 2005 per il sogno visionario di tre persone, il sottoscritto, mio zio l'Ing. Cedolin e mio cugino Matteo, che coinvolti da vecchi amici, tra cui il proprietario dell'immobile che stava andando a pezzi perchè in disuso da diversi anni, iniziarono a pensare ad una destinazione d'uso per rivalorizzarlo.
Perchè non farci una birreria anzi un birrificio?! Laureato da pochi anni in economia, mentre lavoravo per una società finanziaria, sviluppai il business plan dell'attività e mi apionai irrimediabilmente sempre più al mondo della birra artigianale (mondo a quell'epoca, primi anni del 2000, non ancora così affollato). Finchè dopo ben tre anni e mezzo di incertezze, ostacoli e problematiche di tutti i tipi iniziammo l'attività.”
Sicuramente un modo romantico sia per l’ambientazione, un ex convento, sia per il sogno un po’ azzardato all’epoca per un mondo nuovo ancora tutto da scoprire e da inventare.
Ricordo che ci siamo conosciuti per telefono, e da subito si è sentito coinvolto e incuriosito tanto da apionarsi alla Brasseria Veneta, nome che all’epoca sapeva di Bistrot parigino più che di una associazione di homebrewers che voleva avere un ruolo preciso.
L’ 11 Settembre 2010, data per noi importante, nasce la prima edizione di “Una Birra per Tutti”, manifestazione che vuole unire il mondo degli Homebrewers, birrai casalinghi ai birrai professionisti che producono birra artigianale italiana nei loro microbirrifici.
In questa prima edizione, Antonio Zanolin e le birre della Gastaldia sono tra i protagonisti e uno dei 4 birrifici presenti di cui 3 veneti e uno ospite proveniente dalla vicina Emilia Romagna: White Dog e il suo simpaticissimo e caratterizzante birraio Stephen Dawson.
Per la prima volta nella zona si assisteva ad un evento di questo tipo, la birra artigianale è ancora qualcosa di impalpabile che la gente fa fatica a realizzare come bevanda a cui avvicinarsi: noi portiamo la novità, in un posto che ci piace ricordare con simpatia, la Coop di Mogliano Veneto, ma che non aveva le caratteristiche per essere in futuro posto ove sviluppare un progetto che oggi è diventato la EXPO della Brasseria Veneta e per il 5° anno potrà deliziare apionati e curiosi con grandi birre fatte in casa, in simbiosi con le birre artigianali italiane, in una due giorni ricca di cultura e laboratori che introdurranno anche i più scettici e poco abituati alla birra artigianale, in un mondo diverso, fatto di ione, aromi e romanticismo.
Antonio riassume in queste poche parole l’esperienza vissuta con noi non solo durante la rassegna annuale ma anche in momenti diversi dove la birra artigianale diventa un veicolo di comunicazione e di aggregazione facendo nuovi proseliti per lo stile e l’eleganza con cui viene presentata dalla Brasseria Veneta. “Ciao Antonio,
partecipare alle cene della Brasseria Veneta sia da birraio invitato a presentare le mie birre, sia nella veste di ospite a degustare le migliori produzioni brassicole italiane, è sempre una esperienza coinvolgente ed emozionante.
La ione, l'impegno e l'amore verso la birra artigianale italiana che la Brasseria dimostra con le sue iniziative è il migliore aiuto che si possa dare alla crescita e alla valorizzazione delle birre che noi artigiani produciamo. E' un lavoro essenziale e faticoso che serve ad ampliare il numero di consumatori di birra artigianale e la preparazione di quelli che già conoscono le nostre realtà!". - Antonio Zanolin, birraio della Gastaldia”
Non c’è migliore presentazione di questo birraio triestino, trapiantato nella marca trevigiana perché innamoratosi della birra artigianale, che le parole sopra scritte per far capire quanto sia coinvolto e apionato, e quanto la Brasseria Veneta gli sia entrata nel cuore, un cuore non solo di birra ma anche di grande generosità e sensibilità.
La sua generosità è risultata evidente sin dall’inizio, quando alla cena di cui è stato protagonista a Villa Braida il 25 marzo 2011, si presentò decidendo di offrire le sue birre per contribuire ai nostri progetti di solidarietà.
La sua Gast, una Pils abbinata allo Strudel di Sfoglia con Erbette di campo, aprì le danze deliziando i palati dei presenti, accorsi curiosi non sapendo che
esistevano birrifici artigianali nella Marca Trevigiana.
La Gast è una birra indicata per gli antipasti, ma non solo: può essere bevuta pasteggiando con frittura, uova, pizza e formaggi primo sale.
Antonio descrive brevemente come nasce una birra e come si crea la Gast, e la gente beve la birra dalle sue parole entusiaste e ricche di voglia di trasmettere la birra artigianale ancora prima di degustarla direttamente dal bicchiere.
La Pils si presenta con una schiuma fine e cremosa, il colore giallo oro chiaro con una lieve opalescenza: al naso colpiscono le note di erba fresca, ha una frizzantezza normale con un corpo leggero, fine e secco.
E’ una birra che si lascia bere anche da sola, ma con questo antipasto esprime il meglio di sé, facendo desiderare subito un secondo bicchiere fresco e profumato.
La serata scivola piacevole e beverina, i Bigoli in Salsa si sposano egregiamente con la APA birra dove i luppoli americani fanno conoscere al pubblico presente la poesia di aromi che una birra può sprigionare se è artigianale e nasce dal cuore del birraio.
La schiuma cremosa e persistente, il colore ambrato, al naso risalta la crosta di pane e il pompelmo unito a frutta tropicale si lasciano apprezzare anche in bocca quando la temperatura dona quella lenta nota olfattiva che sprigiona, in un solfeggio, aromi e profumi intensi, da avvolgere le papille gustative nel desiderio di sentire ancora quella ricca carezza frizzante e spumeggiante.
La Blonde una birra forte e luppolata si accompagna maestosamente alle costicine di maiale al forno: è una Belgian Ale dal corpo lungo e persistente, dal colore opalescente giallo ocra, colpisce per l’ampio bouquet fruttato che ricorda le amarene e le mele golden.
La Torta coi pomi con crema alla Grappa trova la sua deliziosa compagna nella Melita, birra pluridecorata, birra ad alta fermentazione con miele di melo, la cui schiuma fine e persistente, il suo colore giallo intenso appena velato che lascia respirare note di pane che si accompagnano ai fiori freschi e alla mela.
Partenza e fine sono degne di Hollywood, la platea dei presenti ai tavoli è immersa in questo crescendo di aromi e profumi tanto da esserne ammaliati e quasi stregati, le domande fioccano al birraio per capire come sia possibile avere queste tonalità intense e se sia mai possibile riprodurre in casa queste fantastiche birre, con l’attrezzatura fatta di sole pentole.
Antonio con il sorriso e la sua semplicità risponde ad ognuno dei presenti, e svela che la birra la può fare chiunque se è in grado di donare la sua voglia e la sua ione all’orzo e all’acqua che devono farsi amalgamare dal lievito: il birraio crea la composizione da cui nascerà la birra, ma è sempre il lievito a fare la birra. L’esperienza non resterà unica, Antonio sarà il primo birraio a ritornare una seconda volta sul palcoscenico della Brasseria Veneta, il 28 Novembre 2013, occasione in cui ritirerà il premio quale migliore birrificio del Triveneto 2013, voto dato in rete sul sito della Brasseria Veneta e che lo fa giustamente trionfare per la qualità e la bontà delle sue birre.
In questa serata con un menù tutto veneto oltre alle già conosciute Gast, Blonde e Apa abbiamo potuto degustare, deliziando il palato, la Combaiota, birra stagionale con i marroni di Combai e il miele di castagno, oltre alla Santa Claus la birra di Natale, speziata, prodotta con l’acqua delle sorgenti dello Schievenin.
La cena ha avuto piatti tipici della cucina veneta: i classici cicchetti veneziani, l’antipasto di polentina gialla con salumi e funghi, il risotto di radicchio e castagne al profumo di raboso, per concludere con la tagliata di petto di anatra con patate rosolate al forno su un letto di radicchio di Treviso alla piastra per l’apoteosi finale del Tiramisù in coppa.
Piatti tipici della cucina veneta che hanno trovato nelle birre della Gastaldia il giusto abbinamento, per far risaltare gli aromi e i sapori dei piatti ed esaltare la bontà delle birre artigianali che ben si accostavano ad essi, talvolta primeggiando, in questa gara di aromi profumi e delizie in un connubio perfetto.
Infine mi esalta il ricordo della Petra, la Barley Wine che utilizza 7 malti differenti, fresca vincitrice di riconoscimenti prestigiosi all’European Beer Stars nonchè a Birra dell’Anno 2012 e 2013: sulle papille della lingua non ha ancora esaurito il suo dolce equilibrio tra note maltate e gli aromi complessi, che scaldandosi diventeranno sempre più marcati e avvolgenti tanto che il warming e l’alcool potrebbero far pensare al panettone con l’uvetta e frutta candida dolce e corposa tipici del periodo natalizio, e desiderare un buon sigaro.
Questa birra ha la particolarità di fare la sua prima maturazione in contenitori di acciaio per poi affinarsi in botti di rovere che hanno “vissuto” con il Bordeaux.
Ci resterà almeno dodici mesi prima di are in bottiglia dove grazie all’aggiunta di lievito fresco maturando nel tempo assumerà una complessità sempre maggiore: “il tempo rispetta le cose fatte rispettando il tempo.”
Ogni tanto guardo le “mie” preziose bottiglie di Petra, che aspettano che il loro tempo si compia, e una per volta troveranno il loro giusto elogio e la loro degna celebrazione, per dare a chi potrà assaggiarle una esperienza esaltante e unica quasi irripetibile, sperando che non debba rimanere “un sogno accarezzato e
coltivato mai più assaporato.”
Antonio ce l’ha “regalata” al laboratorio che precedeva la cena, in una esperienza quasi mistica e da sogno, per chiudere il cerchio di una serata davvero magica, vissuta all’insegna della birra artigianale e alla presenza di un grande birraio che speriamo continui sempre a stupirci con le sue creazioni spumeggianti.
Dalla Combaiota nasce una birra nuova
Dopo l’edizione del 2011, insieme ad altri soci ci recammo alla Gastaldia per vedere all’opera il mastro birraio Antonio e capire come si muove un birraio nel suo habitat naturale.
L’emozione nel vedere una vera sala di cottura tutta in rame tipo quelle che si vedono nelle foto, salire e guardare dentro a ogni contenitore era una gioia immensa.
La gioia più grande fu di poter assaggiare alcune birre presenti direttamente dai fermentatori, una vera e propria delizia.
Tra queste c’era la COMBAIOTA, la birra creata e realizzata con i marroni del luogo per la festa che ogni anno si celebra proprio a Combai, tra ottobre e novembre di ogni anno.
La festa dei Marroni è un appuntamento sempre importante per gli apionati e i buongustai, è il luogo ideale per degustare sia gli ottimi marroni IGP, preparati nelle gigantesche rostidore, che gli ottimi vini di prosecco e verdiso, nonché dolci, miele, marmellate e gelato di marroni.
La Birra è fatta con i Marroni di Combai, viene rifermentata in bottiglia, non pastorizzata e non filtrata.
Tra i suoi ingredienti oltre al malto d'orzo e al malto di frumento, troviamo i Marroni di Combai, il miele di castagna insieme ad acqua, lievito e luppolo, per una gradazione alcoolica del 6% by ABV.
L’avventura ci portò a vedere la birra all’interno delle botti per essere barricata allo stesso modo con cui si invecchia il vino e scoprire che nulla è vietato alla bevanda di Cerere, i confini sono orizzonti senza limiti.
Ora nella mente c’era l’idea di creare qualcosa di nuovo, utilizzando le castagne e il miele di castagno, anche se non insieme: insomma l’idea era di ricreare quegli aromi, quei profumi, quei sapori intriganti in una produzione casalinga.
Inizia la ricerca in rete, si consultano i libri, si fa tesoro dei consigli e dell’esperienza di Antonio e per caso ebbi modo di parlare anche con Paolo De Martin, presidente dei Soci dea Bira, che mi diede diverse indicazioni per avere una buona birra alle castagne casalinga.
Dopo alcuni tentennamenti e indecisioni la ricetta prende corpo, tra una telefonata ad Antonio e una a Paolo, per avere la certezza di non commettere errori grossolani tali da creare un mostro in senso negativo, anziché una buona birra da stappare e gustare insieme agli amici o da solo nei momenti in cui il desiderio degli aromi sprigionati torni a farsi talmente impellente, da avere la necessità di assaporare e bagnare le mucose del cavo orale.
Le castagne, secche e affumicate, su consiglio di Paolo De Martin, per avere più amidi disponibili durante la fase di mash, sono state ben frantumate e fatte bollire per circa 60 minuti, il giorno prima, in un rapporto di 3 litri di acqua per ogni chilo di castagne secche.
Sono rimaste tutte la notte a scolare così da avere le castagne belle pronte per essere inserite in fase di mash insieme ai grani che compongono la nostra ricetta.
Il contenuto delle castagne può variare dal 20 al 25% del peso totale degli ingredienti utilizzati, che alla fine rappresenterà circa il 35-40% del peso totale dei malti utilizzati.
Il nostro processo ora può andare avanti come ogni normale cotta di birra, malti e castagne insieme con un rapporto di 3,2 litri di acqua per ogni Kg di ingredienti così inseriti in fase di ammostamento (mash).
Ho immesso tutti gli ingredienti a una T di 45°c per lasciarli 15 minuti in questo step denominato Beta-glucano rest: a 37/45°C si ha la destrutturazione delle proteine e delle gomme che proteggono i granuli d'amido.
Successivamente protein rest a 52°c per 10 minuti, step beta-amilasi a 62-63°c per 30 minuti e infine step alfa-amilasi a 72°c per altri 45-50 minuti, prima di andare in mash out a 76-78°c per 10-15 minuti .
Filtrazione utilizzando l’acqua di sparge precedentemente preparata e acidificata in modo che il suo PH sia uguale a quello del mash, per migliorare il lavaggio
delle trebbie ed estrarre più zuccheri possibili.
Inizieremo la fase di bollitura che durerà 70 minuti inserendo i nostri luppoli come da schema indicato.
Whirpool a caldo, pausa di 15-20 minuti, raffreddamento del mosto e infine trasferimento nel fermentatore dove inoculeremo il nostro lievito, attivato per tempo e famelico.
Per questa birra io ho usato il lievito secco SafLager S-23, perché ho ritenuto che una bassa fermentazione potesse far risaltare di più gli aromi derivanti dall’utilizzo delle castagne.
Nulla vieta di utilizzare altri lieviti come il SafAle S-05, facendolo lavorare a una temperatura tra i 16 e i 18°c.
Per il priming rimanete tra i 4,5 – 5 gr di destrosio monoidrato o del normale zucchero bianco da cucina.
Consiglio, nel caso di una bassa fermentazione, di inserire un po’ di lievito fresco prima di imbottigliare per avere un migliore risultato finale.
Dopo un 30-40 giorni di lagherizzazione, la birra sarà pronta per essere bevuta e fatta degustare ai vostri amici, parenti e conoscenti.
A voi provare a ricreare l’armonia e la bontà di questa birra speciale, che vi darà grandi soddisfazioni e riconoscimenti.
Pierluigi Chiosi “Piggiu”
L’affetto che mi lega a Piggiu va oltre l’amore per le sue stupende birre labroniche: è una di quelle storie che la birra crea e tesse dall’alto dei suoi elementi naturali quali malto, luppoli, acqua e lievito.
Il ricordo è di una birra arrivata tanti fa con una etichetta dove c’era scritto “DOCCALE” che mi inorgoglì perché dovevo testarla per scoprire eventuali difetti e suggerire le correzioni necessarie per renderla bevibile.
Pensate, io un semplice e modesto Homebrewer, stavo valutando una birra di quello che in breve tempo sarebbe divenuto uno dei birrai più apprezzati e affermati in Italia e all’estero.
Se non ricordo male era una Belgian Ale speziata con coriandolo e buccia d’arancia amara, gradevole, semplice, pulita e accattivante: una birra buona ed elegante.
La prima bottiglia finì in fretta, era davvero buona: questa birra fece nascere una grande amicizia che tutt’ora è viva nonostante gli impegni sempre più faticosi e pressanti per mandare avanti la produzione del Piccolo Birrificio Clandestino di Livorno.
Ci siamo conosciuti in rete, frequentando uno di quei forum per apionati che tentavano di scoprire e carpire i segreti dei più esperti, che facevano birra da più tempo e agli occhi di noi novellini parevano essere birrai affermati, perché i termini usati ci portavano sempre a utilizzare il “vocabolario” per capire di cosa
stessero parlando.
Dalle parole scritte utilizzando la tastiera si è ati alla comunicazione tramite telefono, fino a conoscersi di persona in occasione della prima rassegna di UNA BIRRA PER TUTTI, senza più mancare, a cui partecipò come socio della Brasseria Veneta, tutt’ora è e rimane un nostro socio, sabato 11 Settembre 2010, dove portò le sue birre e il Totem del Birrificio PBC che a Dicembre dello stesso anno avrebbe iniziato la produzione di birra artigianale.
Pensate che tra le birre portate c’era quella che avrebbe dato vita alla Santa Giulia, birra che a Febbraio 2011 avrebbe vinto la medaglia d’oro a BIRRA DELL’ANNO, il concorso organizzato da UnionBirrai.
La tradizione vuole che a ogni sua partecipazione alla nostra rassegna, la birra che poi presenterà al concorso verrà sempre premiata e da allora rappresentiamo una sorta di portafortuna al quale Piggiu non può rinunciare, oltre all’affetto e alla sincera voglia di essere con noi per quello che proponiamo di diverso nell’ambito delle rassegne della birra artigianale, nel panorama oramai inflazionato degli eventi di tale tipo sul territorio nazionale.
Dall’edizione 2011 è sempre stato presente come mastro birraio portando novità, freschezza e quella ione da Homebrewer che mai è venuta meno e che gli permette di realizzare birre accattivanti, i cui nomi fanno capire l’essenza del birraio e il suo credo birrofilo.
In questa prima edizione arrivò sul podio del nostro Concorso Popolare Homebrewing, dimostrando da subito di essere capace di colpire e apionare la gente con le sue birre.
Da allora la strada fatta è stata davvero tanta, dal primo impianto dove doveva fare anche tre cotte al giorno per stare dietro alla produzione all’ultimo aggiornamento di un impianto che oggi ha una sala cottura da 10 hl e una cantina, oggi adeguata, per poter far fronte alle continue richieste di birra che arrivano dall’Italia e dai paesi dove attualmente esporta la sua birra artigianale italiana.
E’ stato nostro ospite a uno degli incontri cult con il mastro birraio in Villa, il 23 marzo 2012, e in tale occasione ci presentò quasi una prima assoluta, la sua nuova stupenda creatura la “Montinera”, una Imperial Stout ancora giovane, che farà rimanere la gente a bocca aperta, in abbinamento a un incredibile tortino al cioccolato con un cuore fondente in salsa di vaniglia.
La Montinera, presentata al concorso BIRRA DELL’ANNO 2012, dopo avere deciso di inserirla nel menù della serata sopra indicata, vinse la medaglia d’oro nella sua categoria e noi potemmo così celebrarne la vittoria, con grande soddisfazione per avere portato fortuna a questa grande birra.
Io credo di avere ancora qualche bottiglia di quel lotto fortunato nella mia cantina e prima o poi, anche in occasione dell’EXPO 2014, sarà motivo di un brindisi con l’amico Piggiu, per celebrare questa amicizia che la birra lega e rende sempre viva spumeggiante con una fermentazione spontanea che mai tende ad addormentarsi o a stressarsi andando in autolisi, ma resta sempre in vivo fermento.
Ricordando quella giornata, devo dire che il laboratorio fu davvero interessante e ricco di spunti, non solo per chi come noi apionati homebrewer si è sempre alla ricerca di novità e di carpire i segreti “più” che rendono speciali le birre dei birrai da noi amati e considerati.
Piggiu ci portò una birra sperimentale assai particolare creata su una base di Blanche e arricchita dall’inserimento “come spezia” dell’Elicriso, Helichrysum, una pianta il cui nome deriva dalle parole greche Helisso (girare intorno) e Chrysos (oro), tipica dell’Africa nelle zone pietrose e aride, che fiorisce in estate.
E’ un fiore utilizzato per la produzione di un olio essenziale di colore giallorossastro, che deve le sue caratteristiche aromatiche e il suo particolare odore all’acetato di nerile. L’olio essenziale presenta attività antiinfiammatorie e antiallergiche, soprattutto per l’apparato respiratorio. Tra le sue proprietà pare avere anche un effetto coleretico, stimolante la secrezione gastrica e pancreatica, poi troviamo che potrebbe anche avere degli effetti ipocolesterolemizzanti, diuretici, spasmolitici, antibatterici e antimicotici, antiinfiammatori e antiemorroidari. Verrebbe da dire una pianta miracolosa, la natura riserva sempre grandi sorprese e grandi doni per chi sa apprezzarli.
Questa pianta cresce in gran parte dell’Europa Meridionale, in Italia nel centro, al sud e in gran parte nelle isole nei mesi di Luglio e Agosto. La birra all’Elicriso, presentata a noi in esclusiva per la prima volta, viene oggi regolarmente prodotta con il nome di Karpa, antico nome dell’Isola di Capraia per una azienda locale. Questa birra presentata al laboratorio che ha preceduto la cena è stata l’occasione per far conoscere, agli homebrewers che erano presenti, le sperimentazioni che si conducono in un birrificio, sempre alla ricerca di birre dai nuovi sapori e aromi utilizzando spezie e piante inusuali.
Lo spirito di Piggiu è sempre stato e sempre rimarrà quello dell’homebrewer da me conosciuto, ma oggi arricchito dall’esperienza professionale che lo ha portato in poco tempo ad essere uno dei birrai più bravi nel panorama artigianale della birra in Italia.
Voglio ricordare con una punta di orgoglio la brew collaboration con Piggiu, che diede vita alla produzione della Naranji, in edizione Limited, uscita dal vecchio
impianto del Piccolo Birrificio Clandestino e che ha avuto un grande successo, grazie alla sapiente personalizzazione che Piggiu ha saputo aggiungere dando a questa birra, che è uno dei miei cavalli di battaglia, quella caratteristica marcia in più di cui aveva bisogno.
L’idea nacque per caso, parlando al telefono, scambiandoci idee sulle nostre varie produzioni e cercando di capire come ottimizzare le ricette, nell’utilizzo dei malti, luppoli e spezie rimanenti a magazzino o per personalizzare certe produzioni, che pur buone mancavano di quella “cattiveria” necessaria a far si che fossero birre da ricordare e da desiderare ancora proprio perché si fanno bere.
La birra salì di gradazione alcolica, un maggiore equilibrio delle spezie per realizzare quell’armonia necessaria con il miele di arancio e poi piccoli aggiustamenti in fase di mash hanno portato a un gran risultato finale.
Ad oggi di quella produzione esistono solo due scatole da sei bottiglie gelosamente conservate nella mia personale cantina e che, probabilmente, una parte di queste sarà oggetto di degustazione nel corso dell’Expo 2014: una strong belgian ale speciale, che il tempo ha migliorato notevolemente ricordando che “Il tempo rispetta le cose fatte rispettando il tempo.”
In accordo con Piggiu nei prossimi capitoli vi regaleremo l’esperienza di questa brew collaboration perché possiate riprodurla e provare a ripeterla a casa vostra con i vostri pentoloni, ma i regali non finiscono qui: in esclusiva per i lettori di questo libro la ricetta da cui prese origine una delle birre più buone del Piccolo Birrificio Clandestino, la Fortezza.
Non vi resta che continuare avidi nella lettura per accedere a ricette che nessuno ha.
La Naranji Special
Questa birra per me ha un valore speciale, direi mistico nella sua essenza: è lo spirito mio stesso che diventa birra, armonizzando molti ingredienti con il miele d’arancio tipico della terra di Sicilia, regione a me cara dove ho molti amici che spero presto di poter incontrare e andare a trovare, magari proprio per presentare questo mio nuovo lavoro.
Questa birra è nata dalla voglia di riprodurre una Saison assaggiata molto tempo fa, che ricordava molto gli agrumi e in particolare il profumo dei fiori di arancio.
Cominciai a cercare in rete, leggevo tutto il possibile sulle varie ricette di homebrewer e di birrifici che mi dessero notizie utili a farmi utilizzare il miele e in particolare il miele di arancio, che doveva avere tonalità e aromi assolutamente saturi e ricchi tipici del sole della Sicilia da dove è naturale pensare che possa essere coltivato in modo naturale.
Mi viene alla memoria una leggenda finnica che racconta dell’invenzione della birra dando particolare risalto al miele, che mi diede ragione sulla mia voglia di usare questo ingrediente conosciuto e utilizzato sin dall’antichità: “secondo il Kalevala, il birraio Osmotar, aiutato da Kalevatar la fanciulla magica, cercava disperatamente un modo per far fermentare la birra. Nella sua ricerca dopo avere utilizzato senza risultati le pigne e la saliva d’orso, decisero di provare con il miele e quasi per incanto dentro il tino di betulla fino al manico ribolle”.
L’importante ora era decidere come andava utilizzato il miele, in modo da non avere effetti indesiderati, legati ai lieviti selvaggi in esso presenti, senza perdere l’aroma e i profumi che con esso volevo infondere a questa mia nuova birra che doveva essere speciale.
Prima di arrivare a questa che in origine sarà la Siaselix, formulai la ricetta della Mielix, la mia prima birra al miele, ricetta che trovate in Birrando, il mio primo libro basato esclusivamente su ricette da proporre agli homebrewers e agli apionati.
La Mielix nasce nel novembre del 2007, tornando dalla montagna dove ero riuscito a trovare un buonissimo miele locale dagli incredibili profumi, che ricordavano il bosco e le piante del sottobosco delle Dolomiti.
Un anno più tardi, dopo avere affinato la ricetta della Mielix, avere capito cosa e come utilizzare il miele, decisi di provare l’avventura con il miele di arancio che sarebbe stato ato dai luppoli americani Amarillo e Cascade: oltre ai luppoli anche il coriandolo e la buccia di arancia dolce dovevano contribuire tutti insieme ad esaltare i profumi vellutati del miele, in equilibrio con l’amaro aroma dei luppoli americani utilizzati.
Poche varianti rispetto alla ricetta base della Mielix, una diversa percentuale dei malti utilizzati, luppoli totalmente diversi e un utilizzo equilibrato del coriandolo, della buccia d’arancia dolce con del pepe rosa come ultimo ingrediente novità per dare quel tocco in più di eleganza, misto a un po’ di fascino esotico dai toni lussureggianti e intriganti.
Le spezie vanno ben dosate ed equilibrate per ottenere il loro effetto e aroma aggiunto: potete giocare in limiti ristretti come dosaggio, mettendo il coriandolo e la buccia di arancio dolce nella quantità variabile da 0,5 a 0,8 gr/L, il Karvi cumino dei prati in una quantità variabile dallo 0,3 allo 0,4 gr/L e infine il pepe rosa nella quantità massima di 1-2 grammi totali di grani ben frantumati (per 2530 litri).
Voi potete aumentare o diminuire le spezie e i luppoli come più vi sembra adattabile ai vostri gusti, ma questi sono i dati utilizzati per brassare e realizzare la Naranji originale.
Gli step del mash prevedono immissione dei grani a 45°c con salita a 52°c per una sosta di 5 minuti per il protein rest, step a 63°c per 20 minuti, ultimo step a 70-71° per 40-45 minuti e infine mash out 76-78°c per 10 minuti.
Poi si procede con sparge e filtrazione, bollitura e raffreddamento fino all’arrivo nel fermentatore del nostro mosto fermentabile, dove potrete inoculare il vostro lievito, secco o liquido, di provenienza belga. Io ho fatto un priming con destrosio monoidrato di 5 gr/L, ma ognuno può decidere la quantità sulla base dei propri gusti e modalità di carbonazione delle birre prodotte.
Il tempo di maturazione ottimale è intorno ai 2-3 mesi, momento in cui apprezzerete al meglio questa birra che nel tempo vi darà grandi soddisfazioni.
Conservatene alcune bottiglie e ogni mese apritene una per vedere come cambia e come si mantiene nel tempo pur mutando: a distanza di circa 18 mesi è ancora apprezzabile l’aroma del miele, delle spezie e dei luppoli in una sinfonia dolce amaro da far desiderare di berne un altro bicchiere dal colore arancione chiaro dorato, ricco di spuma cremosa persistente.
La Fortezza in origine
Nasce come sempre da una ricetta Homebrewer, Piggiu la porta al Concorso della prima edizione di “Una Birra per Tutti”, ottenendo per questo fortunato prototipo la soddisfazione del podio, un 3° posto ben augurante e soprattutto stimolante per portarla in produzione, pur dandole connotati leggermente diversi, anche se la birra è questa.
La bottiglia di questo fortunato prototipo è rimasta nel mio frigorifero come una reliquia da quel Settembre 2010 fino all’ottobre 2013, e pensate che come etichetta aveva un nastro da elettricista blu sul tappo, per distinguerla dalle altre bottiglie e birre presentate.
In occasione dell’Expo 2013 – 4° edizione l’abbiamo finalmente assaggiata rimanendo piacevolmente “sconvolti” e anche sorpresi dal risultato dovuto all’ossidazione, invecchiamento che ha dato a questa birra toni rustici e anche un po’ legnosi, quasi “madeirizzati” azzarderei.
Piggiu divertito ha pensato che valeva proprio la pena di creare la Fortezza e di vedere che era una birra che ben si prestava ad un eventuale aggio in botte di legno.
Una birra dai caratteri decisi, nasce come una strong ale e si modifica nel tempo fino ad essere oggi classificata come una Barley Wine: di questa birra esiste oggi la versione che rimane sei mesi almeno in legno e prende il nome di “La Vecchia Fortezza”.
Io ve la voglio presentare nella ricetta così come fu registrata e catalogata nel libricino storico della prima edizione: vi lascio divertire e immaginare, creare e giocare per tentare di arrivare a presidiare e infine conquistare “La Fortezza” (foto originale PBC di Livorno).
Gino Perissutti
Questo birraio entra nel cuore subito, per la sua semplicità e per quel fare simpatico da Elfo Magico, un folletto della birra, simpatico sempre sorridente, pronto alla parola e che non ha mai nessun segreto, a qualsiasi domanda risponde nel modo più sereno e ovvio, perché in realtà nella birrificazione non esistono segreti se non l’essenza del birraio.
Il suo mondo, fatto di malti, luppoli, spezie e lieviti, è un mondo aperto a tutti, le sue birre sono l’espressione genuina e fresca delle birre di montagna, che solo uno nato in mezzo alle montagne può inserire nelle sue birre, grazie agli ingredienti segreti, nati dall’unione della ione e dell’entusiasmo, gli permettono di creare creature divertenti e piacevoli come nelle fiabe che si raccontano nelle lunghe serate di inverno, davanti ai ceppi scoppiettanti del caminetto, mentre la neve scende morbida e bianca senza far rumore, riempiendo l’immagine trasparente dei vetri delle finestre appannate.
Un nostro socio lo ricorda quando prestava servizio nella gloriosa Arma dei Carabinieri: il suo primo pensiero era fuggire a far birra, mettere le sue produzioni in un magazzino perché potessero essere assaggiate anche dai suoi colleghi. Non si poteva, ma il suo sorriso rendeva l’Arma disarmata di fronte alla birra di questo semplice ragazzo di montagna, che non poteva trovare confini o ostacoli in leggi scritte e mai disattese.
Da allora il percorso seguito è stata la naturale conseguenza del destino che ogni uomo si porta dentro, nasce il birrificio Foglie d’Erba, nome che prende origine dalla ione di Gino per “Leaves of Graves” raccolta di poesie di Whitman Walt, nome che trasmette fascino, romanticismo e ione in un'unica forza tale da contaminare l’aria e da far sì che, oltre all’acqua, diventi l’elemento in più delle birre prodotte. Il birrificio attualmente nuovo e con una possibilità di produzione sicuramente adatta al mercato che richiede a Gino sempre più le sue
birre, inizia la sua produzione nel 2008 con la Cream Ale, la prima birra prodotta.
Alle birre classiche sempre in produzione, ricordiamo tra tutte la Babel, birra dell’anno 2011, Haraban, birra dell’anno 2012 e la Ulysses; poi ci sono le birre stagionali e le birre che nascono nuove dalla fantasia e dalla creatività del nostro birraio che utilizza prodotti certificati Pefc, dando quel tocco Dolomitico alle sue birre, grazie agli aghi di pino silvestre, di pino mugo, abete bianco, di frutti di bosco e altre risorse tipiche dei boschi del territorio carnico, così ricco di materia prima.
Nelle sue birre, ricche di luppoli dai sapori ben strutturati e spesso “modaioli”, questi ingredienti non sono dei solisti come avviene nella maggior parte delle birre in cui sono utilizzati nel mondo della birra artigianale, ma divengono un insieme magico, creando una sinfonia con le gemme delle Dolomiti, da rendere uniche e inimitabili le produzioni che escono dal birrificio Foglie d’ Erba: è nato lo stile Moutain Ale.
La storia racconta che Gino venne a contatto con la Brasseria Veneta e con il sottoscritto, in un modo che è tipico di quei romanzi che apionano e diventano pagine epiche, ma era scritto che le strade si dovessero incontrare, e insieme abbiamo percorso e vissuto tanti bei momenti, che diventano gioia e birra nel momento clou dell’anno quando il nostro birraio e le sue birre partecipano alla nostra rassegna, dove riscuote sempre un enorme successo da parte del pubblico presente, che degusta con soddisfazione e desiderio le sue incredibili birre.
Indelebile nella memoria e negli occhi il suo arrivo da salvatore della patria nella serata in cui era ospite un altro grande maestro della birra, Jurji Ferri birraio e creatore dell’Almond’22, con un sorriso sereno e trascinante, nella sua maglietta colorata come fosse appena uscito dal suo birrificio, in mano la spina da cui avrebbe spillato la sua Black Ipa, la Ulysses, e, ricordo con un sorriso, le sue
prime parole che furono di scusa per essere arrivato all’ultimo momento e che aveva con se solo un fusto di Ulysses, perché era partito di corsa e non aveva fatto in tempo a prendere null’altro se non quel fusto che aveva nel furgone e che sarebbe andato a prendere di corsa senza indugio, per poterlo spillare.
Come non volergli bene? Un vero grande homebrewer che non sapeva di essere il precursore di un nuovo modo di sentire e trasmettere la birra, un birraio che presto sarebbe diventato un modello da seguire e da imitare, per la bravura e la semplicità: non molto tempo dopo sarebbe stato eletto Birraio Dell’Anno 2011 da una giuria di esperti del settore, che premia non solo il birraio ma la sua intera produzione, in termini di qualità costante oltre che per la bontà e la tipologia delle birre prodotte.
Gino, ricordo, ha vinto il Concorso Birra del Triveneto del 2012 della Brasseria Veneta, premiato nel corso della terza edizione della nostra rassegna e nel 2013 è stato eletto dal pubblico dell’Expo, Birraio Expo 2013.
La Brasseria Veneta, i soci e gli apionati che ci seguono amano le sue birre e il birraio che le crea, e chiedono spesso un ritorno ad un evento dedicato solo a lui e a queste birre che ti entrano nelle papille gustative e nei neuroni dedicati alla memoria.
Un successo tira l’altro tanto da ricevere giusti riconoscimenti anche fuori dell’Italia, oggi lo rendono una figura storica e inimitabile nel panorama della birra artigianale italiana.
Uno dei miei sogni nel cassetto è andare da Gino e fare una birra insieme a lui utilizzando una delle mie ricette, per vedere come lui possa trasformarla e renderla come una di quelle vette innevate che ti fanno sognare guardandole dalla finestra dell’abbaino, pensando di essere un grande esploratore.
Sono certo che lui mi direbbe con quella faccia semplice e pulita: “Antonio quando vuoi, vieni su da me e ci mettiamo a fare quello che ti piace di più e la creiamo, per far si che questa idea diventi una vera grande nuova birra, da una idea homebrewer sarà di certo una esperienza magistrale, ricca di amicizia, perchè la voglia di stare insieme una intera giornata è quello che accomuna gli spiriti liberi.”
La sera della Cena in villa, con Gino protagonista, ebbe sicuramente come regista uno dei maestri del thriller, perché fu una serata in cui si scatenarono le furie del cielo, nevicando in pianura e soprattutto nella zona delle sue montagne. Nemmeno per un momento gli venne l’idea di non poter venire, arrivò in ritardo ma arrivò e con il suo tipico sorriso sereno mi disse: “Antonio cerchiamo di non fare troppo tardi, perché devo fare il o Mauria con il ghiaccio e ho di sicuro le ruote un po’ lisce sul furgone.” Lo guardai pensando scherzasse, ma ebbi modo di verificare, che oltre a non avere le ruote da neve, quelle montate su in effetti erano poco adatte a circolare anche su strade con asfalto asciutto, figuriamoci su un fondo ghiacciato di un valico alpino: ma questo è Gino, artista, folletto e genio sregolato che vive emozionandosi di istinto, senza pensare troppo se qualcosa lo affascina e lo coinvolge, tanto da non pensare alle difficoltà che potrebbe incontrare dopo.
Il 30 Novembre 2012, Gino entusiasma e diventa un idolo per i soci e gli apionati presenti al laboratorio che precede la cena, racconta e spiega senza segreti le sue birre, dagli ingredienti sino alla scheda tecnica di produzione, e le sue intuizioni per renderle così uniche nel gusto, nell’aroma e nella beverinità.
Uno degli argomenti, che più affascinerà i presenti, sarà la discussione sull’importanza del lievito, la sua influenza e il ruolo determinante nella riuscita e nella realizzazione della nostra birra, più dei malti, più dei luppoli, più dell’impianto stesso.
Un altro argomento che lasciò il segno, perché in nessuno libro si può raccogliere la diretta e viva esperienza come dalla voce di un birraio, fu l’utilizzo del luppolo, non solo durante la fase di bollitura, in un mix che ognuno di noi può creare e inventare, ma soprattutto nella fase di dry hopping, quella fase che interessa la nostra birra nella seconda fermentazione, prima dell’imbottigliamento e successiva maturazione, per poter essere finalmente bevuta, assaporata, degustata soli o in compagnia. Da allora, da quel laboratorio e da quella cena, grande è il desiderio di riavere con noi Gino come unico e grande protagonista di un nuovo momento targato sempre Brasseria Veneta, per soci ed apionati, ma soprattutto per coinvolgere persone che non conoscono la birra artigianale nella sua vera essenza e farli emozionare in un crescendo di sapori aromi, nella fantasia esplosiva delle birre di montagna.
Gino, in una intervista rilasciata alla Brasseria Veneta tempo fa, confessò che uno dei suoi desideri più grandi sia quello di riuscire a fare una buona Pils, birra che ha anche prodotto senza la qualità tipica di questa birra per i tempi ristretti di produzione che lui ha, mentre i tempi per una birra a bassa fermentazione sono diversi. Ci sarà nel suo futuro una Pils, con una sola decozione, targata Foglie d’Erba? Il tempo ci dirà se questo avverrà o dovremo “accontentarci” solo delle sue stupendi e incantevoli birre tutte ad alta fermentazione, che non finiscono mai di stupirci e deliziarci, donando così alle nostre papille gustative momenti di vera estasi.
Lui ammira, stima e considera il mondo Homebrewer, per il quale è sempre disponibile e prodigo di consigli: la cosa che lui dice spesso a chi fa birra in casa, è di “cercare l’anima nella birra”, di utilizzare estro creativo e fantasia, senza affidarsi esclusivamente agli ingredienti per ottenere alla fine la birra che a ognuno di noi piace avere in casa, pronta da bere ogni volta lo si desideri, pensando che è una propria creatura, brassata per dare piacere.
Tra gli aneddoti più curiosi, mi fa piacere ricordare questo con le parole dello stesso Gino: “Ce ne sarebbero tanti, forse il più significativo è stato il momento in cui mi son trovato metà birrificio pieno di lievito, pareti comprese, per un
errore nella temperatura di fermentazione di una birra particolare che aveva prolificato il lievito in maniera spropositata. Dopo un momento iniziale di assoluto sconforto, ho trascorso le rimanenti ore dedicate a scrupolose pulizie ed alla consapevolezza di dover quasi sicuramente buttare la birra nello scarico, sorridendo per aver capito di non aver capito ancora nulla! Di essere al 2% della strada da percorrere e che il nostro mestiere non può prescindere dallo studio della materia prima, soprattutto dei lieviti. Da allora le cose sono andate molto meglio. ora sono forse al 4%.”
Questo è Gino, birraio con l’animo da Homebrewer e lo spirito indomito dell’uomo di montagna che mai si arrende e mai si ritiene di essere arrivato.
Gino Perissutti Birraio Foglie d’Erba
La Cream Ale
Nel 2008 inizia l’avventura di Gino nel mondo della birra artigianale, non più come apionato homebrewer, ma come produttore anche se all’inizio le sue birre erano destinate al consumo interno del brewpub da lui gestito.
Gino definisce questa una birra semplice con utilizzo solo di malto Pils e Carapils, a cui fanno da valletti i luppoli Saaz, Cascade.
Il lievito utilizzato è stato l’American Ale, il lievito secco Safale S-05, ceppo che pare essere derivato da quello della Sierra Nevada (Seibel 96), lievito consigliato per produrre birre chiare dall’aroma pulito e poco fruttato.
Altra caratteristica di questo lievito è quella, se utilizzato a temperature tra i 15 e i 19 gradi, di esaltare il tono e il profilo aromatico dei luppoli americani.
Una birra di soli 4 gradi alcolici, beverina profumata che tutti potevano bere ed esaltarsi per aromi e profumi che sprigionava dal bicchiere dove veniva spillata.
In questa birra potete usare uno solo step all’inglese, con un priming di max 5 gr per litro di zucchero e una maturazione in cantina di 3-4 settimane poi sarà pronta per essere bevuta.
Didatticamente con Gino si è pensato di darvi dati e informazioni per permettervi di creare la vostra “Cream Ale”, con l’augurio che porti anche voi la fortuna che ha portato lui.
E un giorno, se vi capiterà, potrete farla assaggiare allo stesso Gino, che vi saprà dire se siete stati così bravi da farlo ritornare con la memoria alla sua prima birra, questa Cream Ale di cui oggi a memoria forse nessuno si ricorda più.
Potete giocare con i luppoli, aumentando le ibu, dividendoli in più gittate, facendo il dry hopping: giocate e divertitevi con 2 malti e 2 luppoli per capire cosa potete ottenere da una semplice birra che vi stupirà ogni volta perché ogni volta sarà sempre diversa.
La sfida è lanciata: provate a brassarla, preparatela e portatela all’ Expo della Brasseria Veneta a Ottobre 2015, dove Gino sarà ben lieto di assaggiarle e di dirvi quanto siete andati vicino alla sua mitica originale birra.
Leonardo Di Vincenzo
Chi non conosce il birraio creatore del birrificio Birra del Borgo ?
Personaggio di indiscussa fama e di notevole conoscenza del mondo birraio sotto ogni punto di vista, dalla produzione e creazione di birre artigianali ma soprattutto genio marketing perché il suo birrificio ha ora una dimensione non solo Europea ma anche mondiale, grazie all’amicizia con Sam Calagione di Dogfish Head e Vinnie Cilurzo di Russian River, ha dato vita a un birrificio a New York con una stupenda veduta su Manhattan, la birreria Eataly, insieme anche all’altro indiscusso genio della birra italiana Teo Musso.
L’avventura nel mondo della birra inizia nel 2005, lui un tempo pianista e apionato di musica Jazz, Bill Evans uno dei suoi punti di riferimento, in un piccolo paese in provincia di Rieti, Borgorose al confine tra Lazio e Abruzzo, situato nella Riserva Naturale dei Monti della Duchessa, che darà il nome ad una delle sue birre più conosciute.
Anche per lui è stato per caso e non per un percorso predefinito, durante i suoi studi di Biochimica all’Università inizia a provare a fare la birra in casa come homebrewer e capisce che è una ione da coltivare e portare avanti, fino a diventare incredibilmente un vero lavoro.
In questo periodo Leonardo viene folgorato e incuriosito dalle produzioni birraie più interessanti che provenivano da tutto il mondo.
Inizia a girare l’Europa, conosce mastri birrai tedeschi e belgi, ma l’amore scatta
in Inghilterra quando viene a contatto con le birre della tradizione anglosassone, le Real Ale sono nel suo DNA e da lì inizia un percorso che tutt’oggi è in continua evoluzione.
Fa la gavetta ed esperienza allo Starbess, il birrificio in Roma di Mike Murphy, un americano trasferitosi a Roma nel 2000 che sconvolse il panorama birraio con le sue birre innovative, che si rifacevano alla tradizione del suo paese, il quale dovendo assentarsi per un lungo periodo affida proprio a Leonardo la gestione della produzione.
In questo periodo, grazie a questa importante e decisiva esperienza, comprende che da grande farà il birraio, nascerà la Birra del Borgo che oggi conta ben 20 tipologie di birra, mentre all’inizio la produzione comprendeva solo quattro tipi di birra.
La scelta di Borgorose non è solo per scappare dal caos di Roma, ma anche perché vicino a questo borgo abitavano i nonni e suo zio, invece, risiedeva proprio in questo paesino sperduto trai monti ma immerso nella natura, con aria pulita e acqua buona per fare la birra.
La spinta finale per questa nuova grande avventura dalle stesse parole di Leonardo in una intervista rilasciata tempo fa alla Brasseria Veneta, dove scopriamo che la sua prima birra superò subito un esame importante: “Feci assaggiare uno dei miei primi esperimenti da Homebrewer a Kuaska, e gli piacque molto. Questo mi incoraggiò e mi diede la spinta per lasciare la carriera accademica e lanciarmi in questa avventura. Quella birra era la ReAle, o meglio la sua versione base, che poi sarebbe diventata la birra simbolo del birrificio.”
All’inizio la produzione era composta “solo” da ReAle, Duchessa, DucAle e Reporter.
La ione per le “Real Ale”inglesi lo spinge a creare la prima ricetta di ReAle, un mix di classici luppoli inglesi ma con il tocco di innovazione americana dovuta all’aggiunta del luppolo Cascade, luppolo che si affacciava in Europa intrigando e coinvolgendo i birrai italiani tanto da utilizzarlo nelle loro produzioni senza lesinare nei grammi e nelle birre prodotte con questo nuovo aroma così diverso dal solito.
La ione inglese di Leonardo si spinge fino alle Porter, dalle sue stesse parole “uno degli stili che mi ha sempre affascinato”, una birra scura creata per i facchini dei porti londinesi: la Reporter nasce da questa ione, in essa riesce a ricreare quelle sensazioni di tostato e leggermente affumicato, tanto da renderla subito una birra affascinante che nel berla ti porta in una di quelle “bettole” presenti nei porti londinesi dove i facchini andavano a soddisfare la propria sete e a ricavare forze, energia e nutrimento per svolgere il loro duro lavoro.
La Duchessa prende spunto dall’influenza avuta dal contatto con gli estrosi birrai belgi: è una reinterpretazione di un classico stile belga la Saison, utilizzando farro dei monti della Duchessa: è la chiave autoctona che distingue Leonardo a cui piace utilizzare prodotti tipici del territorio circostante il Birrificio del Borgo.
Ed ancora in terra belga rimaniamo con la DucAle una birra scura dall’alta gradazione alcolica, che ben si beve nei momenti in cui si vuole avere una fase di serena meditazione.
La voglia di sperimentare e di innovare lo porta dopo un anno a mettere in produzione la Ke.To. ReAle e la Ke.To. Reporter, birre che grazie all’infusione di una foglia di tabacco Kentucky toscano acquistano una dimensione nuova e speciale cambiando le ricette originali in un modo inedito ed affascinante.
Oggi grazie alla ricerca costante per avere un prodotto di qualità, l’esportazione delle sue birre ha raggiunto livelli importanti ed esse pur non filtrate e non pastorizzate, sono stabili e mantengono la loro freschezza anche se devono arrivare negli Stati Uniti.
Le birre del Borgo si distinguono per la pulizia nel gusto e l’eleganza che le fa apprezzare ad ogni latitudine.
Quando Leonardo è venuto insieme a Teo Musso, patron di LE BALADIN, alla Brasseria Veneta, partecipando in modo scherzoso a una simpatica disfida, abbiamo apprezzato la sua simpatia, la sua conoscenza esposta sempre in modo semplice tanto da sembrare banale, la sua carica e la sua energia nel volere trasmettere agli homebrewers presenti al laboratorio prima e ai presenti alla cena dopo, quella sua stessa ione che dopo quasi 10 anni rimane intatta e sempre alla ricerca di nuove soluzioni, con immutata voglia di continuare a sperimentare sempre idee nuove per creare birre inusuali.
Fu una vera impresa avere due colossi del panorama birraio artigianale italiano insieme, un lavoro certosino fino a trovare la data e l’occasione che ci permise di realizzare un piccolo sogno e anche un piccolo capolavoro, per una serata che è rimasta negli occhi, nelle papille e nella memoria di tutti gli apionati intervenuti con curiosità e voglia di conoscere questi mitici personaggi che hanno fatto la storia della birra artigianale italiana.
Al laboratorio Leonardo ci ha deliziato con la Oyster Stout PERLE AI PORCI, ispirata alla tradizione nordica, particolare per la presenza tra gli ingredienti delle “Ostriche fresche” con tutto il guscio, e dal 2013 anche le “Telline” del Litorale Romano Presidio Slow Food, che hanno dato quel finale salmastro, in una birra piacevole, morbida e piena, arricchita dai minerali del guscio, che si presenta con una fantastica schiuma color cappuccino, lasciando sorpresi ed esterrefatti i presenti che mai si sarebbero sognati di poter bere una birra del genere e che si potessero utilizzare degli ingredienti così strani e poco usuali
nella birra.
Leonardo con parole precise e semplici ha risposto a tutte le domande curiose e desiderose di carpire i segreti più importanti della sua produzione da parte degli Homebrewers presenti, dimostrando conoscenze legate anche alla sua laurea in biochimica e dando risposte che difficilmente altri potrebbero dare e rendere semplici per chi non conosce la materia.
Un gran birraio, ancora oggi nell’animo l’homebrewer che si diverte a sperimentare, vedi l’Etrusca birra in antiche anfore di terracotta, e vuole condividere con gli altri le sue scoperte, i suoi tentativi temerari sperando di pungolare e stimolare i giovani homebrewers a tentare strade nuove senza rimanere legati agli schemi brassicoli “classici”.
Oggi il desiderio è di riaverlo presto ospite della Brasseria Veneta per un momento a tutta Birra del Borgo : non so quando, ma sono sicuro che presto lo riavremo con noi, con il suo sorriso cordiale e con le sue birre che difficilmente si scordano, ma rimangono nel cuore con il desiderio di poterle assaggiare e magari “clonare” per poterle avere sempre a nostra disposizione da bere senza dovere aspettare.
Un’ultima scoperta, la birra che Leonardo avrebbe voluto fare è la Saison Dupont, un classico belga, spesso snobbato, ma che rappresenta un trionfo di eleganza e carattere, lui stesso dice : “è una delle mie birre preferite in assoluto”.
La Duchessa a casa nostra
Il regalo di Leonardo è la ricetta della Duchessa, birra nata nel periodo homebrewers poi affinata e diventata una delle prime storiche produzione del birrificio.
Oggi questa ricetta è stata modificata nel tempo, ma da qui prende i natali questa birra che è una reinterpretazione delle classiche Saison belghe, e ricordiamo che utilizza il Farro prodotto nei Monti della Duchessa.
La ricetta qui descritta è per i classici 23 litri, quantità standard per gli homebrewers che iniziano a fare la propria birra a casa, spesso in cucina dopo avere chiesto il permesso alla mamma, alla moglie o alla compagna.
Gli ingredienti sono quelli riportati nella tabella precedente, con una bollitura di 90 minuti e step di mash tipico delle saison, a 68-69°c per 60 minuti o fino alla saccarificazione completa. Salta subito agli occhi che i luppoli sono un mix tra quelli nobili europei e un luppolo americano delicato soffice e agrumato come il Willamette.
Efficienza tipica media da Homebrewers, circa il 68%, per una OG di 1.066 che dovrebbe portare a una FG di 1.014-1.1016 per un grado alcolico intorno ai 7% ABV.
Questa è la ricetta di partenza, oggi la Duchessa è una birra di 5,8% gradi alcolici (forse OG intorno ai 1.056), con una schiuma bianca e pannosa di buona durata, dal colore giallo paglierino limpido tendente all’oro, al naso briose note floreali e fruttate che ricordano l’ananas e frutti tropicali, mentre in bocca gusto equilibrato e fresco con note fruttate e agrumate date dal luppolo americano utilizzato.
Il procedimento dal mash alla filtrazione alla bollitura fino all’inserimento nel fermentatore per arrivare alla fase di imbottigliamento sono quelli oramai conosciuti e utilizzati da ogni Homebrewer.
Il lievito deve essere un lievito belga: ne avete di secchi o di liquidi, a voi scegliere quello che più vi ispira e avrete una simil Duchessa, non precisamente uguale ma sicuramente vicina nei toni nel colore e qualche aroma ve la farà ricordare e desiderare.
Leonardo Di Vincenzo nel suo laboratorio
Primi i : l’attrezzatura Homebrewing
Spesso vedo apionati e nuovi potenziali homebrewer affacciarsi a questo mondo di ione cultura e voglia di cimentarsi con malti luppoli e lieviti, senza avere il giusto approccio o perlomeno tentare di capire prima come dove e quando.
Mi spiego meglio.
Chi inizia dovrebbe prima di ogni altra cosa documentarsi, avere familiari termini come mash o ammostamento, boil o bollitura, saccarificazione e fermentazione, step e enzimi per iniziare un percorso che sicuramente sarà ricco di soddisfazione per produzioni incredibili.
Vedere fare una birra la prima volta andando a casa di un homebrewer esperto è un insegnamento e un momento che permette di dissipare subito la maggiore parte dei dubbi; capire per esempio che sparge e filtrazione sono due cose diverse, l’importanza della pulizia e della sanitizzazione della propria attrezzatura prima ancora di pensare a miscelare malti luppoli e spezie in un insieme che per essere soddisfacente deve prima essere compreso, si deve cercare l’anima della birra che poi diventa espressione dei nostri desideri, una creatura che non può che essere amata in una sinfonia con tutto ciò che è dentro e fuori da questa sorta di alchimia brassicola unica e irripetibile.
Buone basi e conoscenze appropriate fin dall’inizio ci permetteranno di proseguire e crescere, birrificando in modo da ridurre al minimo la possibilità di errori, considerando che le variabili in gioco sono talmente tante da incorrere in
qualche difficoltà anche se tutto è stato previsto e fatto nel modo pianificato e senza commettere gesti che possano portare a risultati finali spesso poco apprezzabili.
Oggi per fortuna esistono molte pubblicazioni in italiano, sia nelle librerie che in internet, forum e social network dove apprendere e scambiare idee senza sentirsi perduti o abbandonati al proprio destino.
Dopo tanti anni di sano divertimento, ancora oggi mi diverto con tanta voglia di sperimentare: posso consigliarvi di iniziare leggendo tutto quello che può risultare utile, sfruttare l’esperienza di altri homebrewer apionati, birrai ed esperti del settore, ma ricordate che la vostra capacità di brassare crescerà cotta dopo cotta solo se voi imparerete a fare la birra, non come un miscuglio di elementi e ingredienti, ma come l’essenza del vostro essere birraio che diventa una magia spumeggiante ricca di aromi e profumi nel bicchiere che andrete a riempire, che sia per voi o per i vostri amici e conoscenti poco importa.
Non servono impianti tecnologicamente avanzati o mostrusità simili a quelli presenti in un vero microbirrificio: noi dobbiamo fare birra per hobby, per divertimento, per ione e per potere avere la soddisfazione di poter dire “Questa l’ho fatta io ! ”, destando stupore in chi l’assaggia e non riesce a credere possibile che i miracoli possano avere luogo anche tra le mura domestiche con attrezzature minime davvero artigianali, spesso autocostruite con ingegno.
Si inizia con il solito Kit luppolato insieme al quale arriva il primo fermentatore in plastica con gorgogliatore, dramma e gioia di ogni homebrewer, con il densimetro, la paletta, il termometro e insieme a tutto questo quell’apprensione che ci emozionerà pensando che “tra pochi giorni” potremo bere una birra fatta con le nostre mani e che sarà un ricordo indelebile anche dopo anni e centinaia di cotte.
Tutto facile vero ? E invece qui cominciano i dubbi, gli errori, le perplessità e a volte l’impotenza di fronte a fatti imprevedibili che un po’ alla volta gestiremo con assoluta tranquillità e con il sorriso di chi sa cosa fare.
Dopo i primi kit, nasce la voglia di progredire e di ottenere qualcosa di qualitativamente migliore e personale, dove la nostra creatività e fantasia possa davvero mettersi in gioco: allora dobbiamo organizzarci prima per poter fare una o più cotte con il metodo E+G (estratto più grani), fase di avvicinamento al più tecnico e professionale metodo ALL GRAIN (AG), aspirazione somma di tutti i birrificatori casalinghi alle prese con tutti i aggi, le temperature, gli enzimi e i luppoli da inserire al momento giusto per avere l’amaro prima e l’aroma poi: in poche parole ci stiamo avviando a creare e produrre birra, con le nostre attrezzature e i nostri spazi, nello stesso identico modo di come si fa una birra artigianale in un qualsiasi microbirrificio.
Quale è la giusta attrezzatura ?
Io ritengo che non esista la giusta attrezzatura valida per tutti, ognuno di noi dovrà crearsi “un impianto” a sua immagine e somiglianza, in modo da ottimizzare i aggi nel modo a lui più congeniale ed efficace, perché la cotta sia ogni volta una esperienza e una avventura piacevole da vivere.
All’inizio una pentola in acciaio potrebbe anche bastare, inserendo un rubinetto per le alte temperature e un filtro per il mash che può essere il classico bazooka, che altri non è che la calza esterna di un tubo flessibile in acciaio da idraulica oppure quelli che ora si trovano in commercio adattabili alla circonferenza della nostra pentola chiamati filtro springer totalmente in acciaio alimentare, completo di un aparete sul quale inserire il nostro rubinetto a saracinesca, che vi raccomando di verificare sia completamente smontabile in ogni sua parte perché non tutti lo sono.
Presto ci accorgeremo che forse è meglio avere due pentole, per ridurre i tempi e ottimizzare la nostra cotta, una seconda pentola più capiente di quella per il mash o uguale, ma in ogni caso tale da contenere il mosto verde per la fase bollitura, per poi diventare mosto fermentabile inserito nel nostro fermentatore, ricordando di calcolare sempre l’evaporazione che si avrà nella fase di boil e che sarà diversa da “impianto a impianto” autocostruito per una serie molteplice di fattori.
E’ importante il mulino per la frantumazione dei grani, può essere a rulli o a disco, l’importante è che ci permetta di ottenere un risultato in cui le glumelle dell’orzo siano scoperte e permettano agli amidi contenuti all’interno di essere attaccati dagli enzimi del mash, beta-amilasi o alfa-amilasi, perché avvenga la loro saccarificazione in zuccheri che poi saranno mangiati dal lievito durante la fase della fermentazione, che concluderà la fase di birrificazione, prima di arrivare alla necessaria maturazione in bottiglia.
Importante è avere un densimetro o un rifrattometro per la misurazione della densità del nostro mosto, sia in fase di mash, che durante la successiva filtrazione, per rilevare la Original Gravity prima di immettere il nostro lievito per poi sapere alla fine la densità finale (FG) che ci permetterà di sapere quando la fermentazione possa dirsi felicemente conclusa.
Alla fine della bollitura il mosto dovrà essere rapidamente raffreddato per potere andare nel fermentatore a ricevere il lievito affamato: possiamo scegliere tra la classica serpentina in rame oppure in acciaio, oppure uno scambiatore a piastre che abbia dimensioni utili per raffreddare velocemente il nostro mosto e sia ispezionabile per la pulizia e per sanificarlo dopo l’utilizzo.
La serpentina è molto più facile da utilizzare e da pulire, a mio avviso, al suo interno a l’acqua per il raffreddamento, viene immessa negli ultimi 15 minuti di bollitura per sterilizzarla, facile da usare e non richiede particolari manutenzioni.
Si può fare il whirpool, sempre a caldo, anche con la serpentina, sollevandola in modo che resti non a contatto con il mosto; si crea “il mulinello” per avere la deposizione delle proteine e di tutte le parti corpuscolate in sospensione che creeranno la “torta” sul fondo della pentola, a questo punto si calerà lentamente la nostra serpentina fino a toccare il fondo così da non smuovere nulla. Potete anche realizzare un sistema di controflusso, istruzioni facilmente reperibili in rete e che funziona altrettanto bene, ma sempre con la necessità di fare una accurata pulizia e sanificazione dopo ogni suo utilizzo.
Infine il fermentatore o meglio i fermentatori: si può cominciare con uno, ma è meglio averne due perchè finita la prima fermentazione è necessario effettuare un travaso per separare la nostra birra dal ”Trub”, sedimento, che potrebbe dare aromi indesiderati o poco piacevoli al prodotto finale.
I fermentatori possono essere in plastica, tendono ad assorbire “la birra” e a mantenere il ricordo di questa, oppure in acciaio più semplici da pulire e che non hanno “memoria” di quel che hanno tenuto in precedenza.
In entrambi i casi plastica o acciaio, dopo ogni utilizzo vanno smontati e puliti bene i rubinetti, che sono il nascondiglio prediletto dei nostri batteri che potrebbero prima o poi riservarci la nostra prima infezione, incidente in cui incorre anche l’homebrewer più attento esperto e scrupoloso. Altri piccoli strumenti o accessori lo scoprirete strada facendo e li adatterete alle vostre necessità e al tipo di impianto che vi siete creati o costruiti per fare la vostra birra.
Come fonte energetica potete utilizzare la corrente elettrica oppure il gas in bombola con i fornelloni utilizzati per cuocere le conserve dei pomodori, che partono da una potenza di 7,5 kw a salire: con questa tipologia riesco a far bollire senza fatica 45-50 litri di birra. Ne esistono di più performanti a più
fuochi, con potenza in KW più elevata, che vi aiuteranno ad avere tempi più brevi e bolliture più efficaci sulla base dei litri che dovrete portare in bollitura.
Ultimo, ma non meno importante, un buon PHmetro, necessario per misurare il PH fattore fondamentale durante il mash per la saccarificazione, per misurare l’acqua di sparge perché abbia un Ph uguale a quello presente in ammostamento (mash).
All’inizio si possono usare anche le economiche e pratiche cartine tornasole, non precise ma adatte allo scopo: il tempo vi porterà a prendere questo strumento e a comprenderne l’importanza perché la sua misura sia la più veritiera possibile, un parametro il PH di assoluta importanza per la saccarificazione.
L’importanza della pulizia e della sanificazione della vostra attrezzatura e strumentazione ritengo sia una delle cose più importanti e di fondamentale applicazione per riuscire ad avere alla fine un prodotto senza contaminazioni, odori o aromi indesiderati se non addirittura sgradevoli fino alla tanto temuta e mai desiderata infezione. Ci sono tanti prodotti in commercio venduti sui siti online di Mr.Malt o Birramia che vanno bene per i nostri scopi e ci rendono facili le operazioni di sanitizzazione e pulizia.
Ricordate di pulire subito ogni elemento utilizzato sia in fase di birrificazione che in quelle successive di fermentazione e di imbottigliamento, così da avere sempre tutto pronto e con un semplice risciacquo potrete utilizzare la vostra attrezzatura senza patemi o rischi di sorprese non gradite dopo tanto lavoro.
Io credo opportuno e utile una volta all’anno o poco più fare delle vere e proprie pulizie “pasquali” utilizzando la soda caustica e la varechina pura (non aromatizzata).
Quando usate la soda caustica ricordate di avere indumenti che coprano le vostre parti esposte, guanti idonei di protezione e occhiali per evitare che qualche goccia possa arrivare ai vostri occhi provocando lesioni irreparabili.
La soluzione con soda caustica deve raggiungere sempre un ph di almeno 10, quindi inizieremo dal nostro fermentatore per esempio da 50 litri, lo riempiamo a metà di acqua calda meglio bollente, immettiamo un litro di varechina pura, a parte in qualche litro di acqua bollente scioglieremo la quantità di soda caustica, facendo bene attenzione a non respirare i vapori che si formeranno, immettendola piano nel nostro fermentatore.
Quando la soluzione avrà un ph uguale o superiore a 10 lasceremo il tutto per almeno 20 minuti prima di travasare il liquido negli altri eventuali fermentatori stazionandovi per il tempo già indicato e poi fino a completare la nostra pulizia e sanitizzazione di ogni elemento in nostro possesso utilizzato per fare birra.
Immergete nei fermentatori guarnizioni e qualsiasi accessorio o strumento che necessiti di essere “guarito” dall’uso fatto in precedenza, ricordandovi alla fine di immergere anche i rubinetti aperti in un contenitore quale un secchio per completare le nostre operazioni.
Sono semplici raccomandazioni ma che spesso vengono dimenticate o disattese per troppa superficialità o per mancanza di tempo: mai dimenticare di avere sempre il tempo necessario per fare questi piccoli i utili e di rilevanza fondamentale per la buona riuscita delle birre che andremo a produrre.
Mi preme sottolineare che non serve spendere migliaia di euro per fare la birra in casa, con poca spesa fin dall’inizio potrete avere la soddisfazione di riuscire ad
avere una buona birra prodotta tra le mura domestiche.
Con il tempo, strada facendo, migliorerete la vostra attrezzatura e tutti gli accessori necessari a semplificare ogni aggio e a darvi tutti gli elementi utili ad avere sempre sotto controllo ogni momento del vostro procedere sino all’ultima e non meno importante fase di imbottigliamento.
Io non ho mai sterilizzato i tappi utilizzati per chiudere “ermeticamente” le bottiglie, ma invece ho sempre accuratamente lavato e controllato ogni bottiglia che avrebbe dovuto contenere il nostro prezioso liquido per evitare che proprio lì dentro potesse nascere qualche problema e sorpresa dopo tanti sforzi per riuscire a non infettare o quanto meno avere aromi indesiderati nella birra che andremo a bere e a far bere con gioia ed entusiasmo, in attesa di una giusta ricompensa a tanti sforzi e fatica per arrivare ad avere una schiuma un profumo ed un aroma da inebriare vista, palato e gusto in ogni sua più intima particella sensoriale ed emozionarci facendo emozionare.
Molte attrezzature possono essere auto costruite o realizzate facendoci are da amici capaci nel bricolage o che hanno gli strumenti e gli apparecchi necessari per forare, per esempio, le pentole in acciaio per inserire i rubinetti e così via procedendo o dopo o nella realizzazione di quello che sarà “il nostro impianto”: quanto maggiore sarà stata la fatica tanto più grande sarà la soddisfazione per i miracoli che riusciremo a produrre, spesso creando delle vere e proprie birre inimitabili e di qualità davvero eccellente che nulla hanno da invidiare a quelle dei migliori birrifici artigianali che si possono trovare in commercio.
Le materie prime per fare la birra
Quali sono le materie prime con cui normalmente si fa la birra ?
Ricordando il famoso editto della purezza, il celeberrimo Reinheitsgebot emanato da Guglielmo IV il 23 aprile del 1516, che obbligava il birraio a utilizzare solo acqua, malto d’orzo e luppolo; il lievito allora sconosciuto verrà aggiunto successivamente, mentre era fatto divieto di usare spezie e frutta.
Non tutti sanno che doveva avere una validità temporale per impedire in quell’anno l’uso del frumento, causa una carestia che aveva danneggiato gravemente l’agricoltura e i suoi prodotti, specie quelli per fare il pane e le farine, solitamente usati dal popolo.
L’orzo è da sempre il cereale perfetto per fare la birra, la magia che ne deriva lo rende protagonista indiscusso insieme al lievito.
L’orzo ha una riserva incredibile di amidi da convertire in zuccheri fermentabili, e le sue glumelle sono perfette per creare quel letto filtrante per separare il mosto verde dai grani e in più contiene quegli enzimi necessari che porteranno a termine il lavoro aggiungendo solo acqua calda alle temperature necessarie per farli rendere in modo ottimale.
Nel processo di birrificazione gli amidi devono essere scomposti in zuccheri più semplici che possano poi essere aggrediti dal lievito, il vero attore principale del nostro processo fermentativo fino alla fine.
Nella fase di maltazione, necessaria per rendere biodisponibili gli amidi e far sì che gli enzimi si attivino, si creano e si sviluppano la quasi totalità dei sapori maltati, anche nelle tipologie più chiare di malto.
Il colore è dato dalle melanoidine, molecole senza un aroma particolare ma di grandi dimensioni, mentre il sapore e l’aroma sono dovuti ad altre molecole piccole a forma di anello, gli eterocicli.
Altra nota da ricordare: durante la fase di essiccazione, di uno stesso malto, è possibile ottenere gusto e aromi solo diversificando il livello di umidità così da avere aromi biscottati tipici dell’amber o del biscuit, lavorandoli a secco, oppure la intensa nota caramellata dei malti melanoidici, aumentando solo il valore igrometrico nel procedimento di lavorazione.
Le tipologie di malto possono essere riassunte in malti base (pilsner, pale ale, monaco e vienna) che possono essere utilizzati da soli perché ricchi di enzimi per la saccarificazione degli amidi presenti; malti colorati (biscuit, amber, melanoidin, brown), utilizzati massimo fino al 20% del totale, che danno note caramellate e/o tostate oltre a modificare il colore della birra; malti cara- e crystal (colore ebc da 20 a 360), che hanno una consistenza croccante dal tipico sapore dolce e caramellato anche se utilizzati in modiche quantità fornendo aromi grassi, di uvetta o di altra frutta secca; malti e cereali tostati (chocolate e black), il cui gusto ricorda in particolare quello del caffè e del cioccolato,oltre ad altri sapori tostati, da usare in percentuale massima del 10% del totale, per non risultare troppo invadenti e talvolta perfino stucchevoli.
L’importanza del luppolo è oggi conosciuta da tutti, anche se nell’antichità, ai tempi degli Egizi, veniva utilizzato per curare i lebbrosi e Plinio il Vecchio (2379 D.C.) lo paragonava a un lupo perché nocivo per l’albero come “un lupo per un gregge di pecore”
Ci sono diversi studi o ritrovamenti che fanno risalire l’uso del luppolo nella birra in tempi più antichi, addirittura al 560 A.C. ad opera delle popolazioni liguri: grazie alle analisi effettuate su un residuo anidro conservato in un bicchiere ritrovato in una urna cineraria è stato possibile identificare i resti come quelli di una probabile birra rossa di gradazione medio-alta, in cui era presente sicuramente il luppolo.
Il luppolo storicamente viene introdotto “per la prima volta” nella formulazione delle ricette nell’ XI secolo, intorno al 1079, grazie ad una suora benedettina dell’Abbazia tedesca di St. Rupert, la badessa Hildegarda Von Binden, mentre prima si doveva utilizzare obbligatoriamente un gruit (miscela segreta di erbe e spezie medioevali racchiusa in un sacchetto di stoffa) per aromatizzare la birra.
Questa suora esperta in botanica, grazie ai suoi studi, evidenziò le qualità del luppolo nell’impedire la putrefazione e l’irrancidimento della birra, prolungandone la self-life oltre ad aromatizzare in modo diverso il prodotto finale.
Le parti che ci interessano di questa pianta rampicante, parente stretto della marijuana, sono i coni, anche se vengono chiamati fiori, in realtà da un punto di vista botanico sono gli strobili.
I luppoli europei vengono storicamente etichettati come “nobili”, alcuni utilizzati come varietà per dare aroma nelle birre a bassa fermentazione: il boemo Saaz dal carattere speziato e piccante, i tedeschi Hallertauer Mittelfruh, Tettnanger e Spalt che apportano un aroma erbaceo quasi di menta e gli inglesi E.K. Golding dalle spiccate note speziate e fruttate che ben caratterizzano da due secoli le migliori Pale Ale del regno inglese.
Le varietà americane sono piuttosto eterogenee, ma quelle più caratteristiche si distinguono per le note resinose e pinose, ricordando il fascino quasi rustico del Columbus e del Chinook, con le tipiche note di pompelmo.
Oggi esistono più di 100 tipi diversi di luppolo ai quali si devono aggiungere anche quelli coltivati in Giappone e in Nuova Zelanda, con varietà dagli aromi particolari e direi intriganti e affascinanti.
I luppoli si dividono, sulla base del loro contenuto in alfa-acidi, in luppoli da amaro, migliori quelli a basso contenuto di cohumulone, e in luppoli da aroma, un particolare da tenere nella dovuta considerazione e importanza quando si dovrò poi scegliere le tipologie da inserire nella nostra birra.
Per l’estrazione delle sostanze che danno amaro è necessaria una bollitura vigorosa, dove l’isomerizzazione degli alfa-acidi rendono i luppoli ancora più amari e solubili nel mosto.
Gli oli volatili che conferiscono le proprietà aromatiche al mosto sono molto volatili e per tale motivo vengono abitualmente inseriti verso la fine della bollitura, anche facendo più gittate a partire dai 30 minuti verso la fine del boil o anche dopo lo spegnimento della fiamma o della fonte di calore utilizzata.
Per avere una idea approssimativa del profilo aromatico dei luppoli che andremo a utilizzare, potete strofinarli tra il palmo delle vostre mani e poi le portate a coppa vicino al naso e le annusate cercando di percepire il profumo così sprigionato; tra una varietà e l’altra, mi raccomando, ricordatevi di pulire le mani con una salvietta umidificata, aggiungo che non è assolutamente necessario assaggiarli.
Infine parliamo anche del lievito, il vero mago di questo incredibile processo: “I birrai fanno il mosto, non la birra. E’ il lievito che fa la birra.” In modo semplice vi dirò che le reazioni biochimiche sono assai complesse visto che le cellule del lievito sono dei veri impianti chimici in miniatura, ma sinteticamente possiamo dire che il lievito metabolizza gli zuccheri presenti e forma etanolo, anidride carbonica e in misura minore altri composti durante la fermentazione.
Fondamentalmente i lieviti, che sono funghi unicellulari, si distinguono in due grandi famiglie: lieviti Ale della specie Saccharomyces Cerevisiae per le alte fermentazioni e il tipo conosciuto come Saccharomyces Pastorianus per le basse fermentazioni.
E’ importante ricordare che il lievito è molto sensibile alle variazioni di temperatura, pochi gradi di differenze possono creare una birra completamente diversa.
Mentre le basse fermentazioni si distinguono per il profilo chiaramente pulito, le alte fermentazioni risultano invece più complesse con profili caratterizzati da esteri fruttati e speziati, alcoli superiori e composti fenolici che caratterizzeranno il prodotto finale.
Se volete immaginare il processo dovete pensare alle cellule del lievito come piccole sacche con dentro del liquido con delle membrane porose in grado di selezionare le molecole che possono entrare da quelle che invece è bene che restino fuori.
All’interno di queste cellule ogni struttura presente è deputata allo svolgimento di determinate reazioni, reazioni che si svolgono anche in più fasi producendo sostanze intermedie, che se dotate di caratteristiche aromatiche, poi ritroveremo nella nostra birra finita come aromi e sapori caratterizzanti.
Esistono centinaia di ceppi di lievito idonei alla birrificazione negli archivi di tutto il mondo: i grandi produttori utilizzano solo ceppi proprietari selezionati, mentre i microbirrifici si servono da canali specializzati.
Nel processo di fermentazione, che può durare 2-3 giorni fino a una settimana, processo temperatura dipendente, per la temperatura delle reazioni dovute all’azione di questi “mostriciattoli in miniatura” si sviluppa un cappello di schiuma che può talvolta raggiungere anche i 30 cm e sviluppare una energia tale da rendere necessaria la refrigerazione del fermentatore stesso. Nella fase di maturazione, dove sapori e aromi ancora acerbi diventano sempre più raffinati, per la continua azione del lievito che ha una azione metabolica continua anche se rallentata, lentamente questo si deposita sul fondo insieme ad altre particelle in sospensione presenti nel nostro mosto. L’ultima fase di tutto il processo prevede l’imbottigliamento, dove è bene evitare l’ossigenazione del mosto, un nemico che può dare origine ad aromi stantii e da ossidazione, che ricordano le carte da gioco per esempio.
Una cosa da non sottovalutare è la possibilità, anche se piuttosto remota, di residui da utilizzo dei prodotti per la sanitizzazione, per un cattivo risciacquo dove necessario, che potrebbero aggiungere aromi indesiderati tipo medicinale, causato dai clorofenoli presenti.
Quando avrete la vostra birra nel bicchiere osservatela bene, annusatela e rimanete in ascolto: sono certo che vi racconterà una storia interessante da tenere bene nella mente per il futuro.
Ma quanto mi costa Fare la mia birra in casa ?
Vi è mai ato per la testa di calcolare quanto può costare una bottiglia di birra, non pastorizzata e non filtrata, prodotta da voi in casa con la vostra attrezzatura homebrewing?
Oltre alla gioia e alla soddisfazione, tenuto conto della fatica che molti non sapranno e mai capiranno e che non è davvero quantificabile, un litro di birra in casa può avere costi diversi sia per il tipo di bottiglia utilizzato, da 33 o da 50 o da 75 cc, o se messa in fustini da 5 litri o di dimensioni maggiori.
Una volta imbottigliata, anche il diverso tipo di bottiglia scelto, capacità o tipologia della bottiglia, possono incidere in modo consistente sul costo finale della vostra birra, etichetta compresa anche se creata e fatta da voi.
E’ una pura e semplice curiosità, senza nessuna velleità se non quella, in modo simpatico, di avere una idea di quale sia il valore finale del prodotto creato tra le mura domestiche con la nostra attrezzatura.
E’ chiaro che le materie prime incideranno in maniera rilevante e determinante sul costo finale: acquistare sacchi di malto da 5 kg o da 25kg, luppoli in confezioni da 100 o 250 grammi o più, determina un peso diverso nella nostra bilancia “dei costi e di spesa”.
Una birra “complessa”, ove oltre a utilizzare luppoli americani più costosi di
quelli europei, inserendo spezie e magari del miele che ha un costo più rilevante rispetto agli ingredienti diversi da malto e luppoli, fanno lievitare il prezzo finale della nostra fatica.
Non ci resta che entrare nei dettagli e analizzare nello specifico i costi, per avere una idea precisa di quale sia la spesa per una bottiglia di birra fatta in casa.
La tabella che segue indica i costi per ogni ingrediente, considerando il costo massimo se prendiamo le confezioni più piccole da 5 kg per i malti base o da 1 kg per i malti speciali, luppoli da 100 grammi e il relativo costo minimo considerando invece il costo dei malti se invece acquistiamo i sacchi da 25 kg e dei luppoli se le confezioni sono almeno da 250 grammi.
Nel nostro caso il calcolo è stato fatto sulla ricetta della Naranjj, per un totale di 35 litri :
Legenda Luppolo: A = americano, D = tedesco
E’ facile intuire che prevedendo le cotte e le birre che vogliamo fare nel breve periodo e acquistando gli ingredienti in confezioni più convenienti, il costo può variare e non di poco: su 35 litri possiamo avere una variazione di circa 9,20€ tra la spesa minima e la spesa massima, con una incidenza per litro di birra di 0,26 €, non poco davvero !
Calcolando il costo delle materie prime, degli accessori (bottiglie, tappi corona ed etichette), aggiungendo un 25% finale quale ammortamento delle attrezzature acquistate, costo di elettricità, acqua e gas, includendo il lavoro del birraio casalingo, avremo il risultato indicato nella tabella 1.
Nel nostro caso sono state utilizzate 2 bustine di lievito secco, un mix di spezie oltre a 1 kg di miele (costo 12€), che fanno lievitare il prezzo finale delle materie prime utilizzate, anche se solitamente non si usano questi ingredienti così costosi.
Importante è anche la scelta del tipo di bottiglia rispetto a un’altra, perchè la bottiglia incide molto ed ha un costo non proprio indifferente, anche per il fatto che noi non abbiamo la possibilità di acquistare bancali interi che fanno scendere di molto il prezzo per unità, ma acquistiamo al dettaglio a un prezzo meno conveniente per noi rispetto ai birrifici.
Se non avessimo inserito il miele e utilizzato una sola bustina di lievito per una birra semplice con una densità inferiore, allora il costo sarebbe stato più basso (tabella 2), confrontando le due tabelle è evidente la differenza di costo e quanto incide il miele.
Tabella 1
Tabella 2
Gli homebrewer di solito utilizzano bottiglie da ½ litro e come potete leggere per una birra con OG nella media il prezzo è inferiore a 1 euro, se si decide per una bottiglia da ¾ di litro siamo intorno a 1,23 euro, prezzi direi interessanti e alla portata di tutti, dopo essersi creati la propria attrezzatura funzionante e in grado di permetterci di gestire senza problemi ogni momento e ogni aggio della nostra birrificazione casalinga.
Per birre come la Naranji, che definiremo birre speciali, il prezzo aumenta un po’ ando da 1,05 euro per la bottiglia da mezzo a 1,55 euro per la birra da trequarti di litro : guardando bene ci facciamo ottima birra realizzata seguendo i nostri desideri di aromi e sapori, e le tipologie che a noi piacciono bere, il prezzo è vicino a quello delle più comuni birre commerciali pastorizzate e filtrate.
Utilizzando un fustino da 5 litri dal costo di 6,65€, spesso non riutilizzabile, calcolando il suo costo e quello di 5 litri di birra (1,12*5 = 5,6 €), è facile valutare che il costo al litro diventa di 2,45€ per un totale di 12,25€, maggiore rispetto all’utilizzo di 10 bottiglie da ½ litro, il costo va da 8,3 € fino a 10,50€ nel caso della birra più costosa, o 7 bottiglie da ¾ di litro dove il costo va di 8,61 € ai 10,85 € seguendo le tabelle precedenti.
In favore dell’utilizzo del fustino abbiamo come vantaggi il risparmio di tempo nella fase di imbottigliamento e un minore spazio occupato in magazzino: ovviamente la bottiglia la possiamo bere da soli, mentre il fustino richiede sicuramente un impegno diverso da condividere con alcuni amici, conoscenti o familiari che amino la birra.
Chiunque inizi a fare birra in casa, o assaggi una buona produzione casalinga difficilmente riuscirà a prendere una birra commerciale dagli scaffali di qualsiasi supermercato ad eccezione di alcune birre artigianali dei paesi europei, il cui prezzo è simile spesso a quello delle birre di un homebrewer: però, come sempre, non è facile trovare buone birre a prezzi così contenuti anche se distribuite nella GDO.
Ed ecco che al di là della ione, del desiderio di bere una buona birra, tentando anche di clonare birre bevute e piaciute, diventa conveniente fare birra in casa, prestando attenzione nell’acquisto delle materie prime, anche sotto l’aspetto economico, senza mettere nel nostro conteggio la fatica e il tempo necessari per produrre questa bevanda di Cerere in casa con la nostra attrezzatura.
Certo è che non può essere questo il primum movens per diventare homebrewer, perché perderebbe l’essenza e lo spirito del birraio casalingo, perderebbe di significato avvicinarsi a questo mondo frizzante e spumeggiante ricco di aromi sapori e fantasia che unita alla creatività permette di realizzare quadri che non hanno solo il pregio di uno stile “impressionistico”, ma diventano sicuramente gustosissimi anche per i palati meno esperti.
Vorrei concludere questa parte curiosa ricordando che i migliori birrai italiani, maestri della birra artigianale italiana, nascono da questo immenso serbatoio che è il mondo degli homebrewers, vero cuore e polmone di questo movimento che oggi, pur ancora di nicchia per veri amanti e di buona cultura brassicola, sta espandendosi sempre più, abbracciando persone e nuovi proseliti che iniziano a conoscere la bevanda di Cerere sotto aspetti visivi, gustativi e di qualità che prima non potevano essere né immaginati, né compresi, ne pensati possibili.
Dalla fucina della fabbrica degli homebrewers italiani, veri apionati di birra artigianale creata e prodotta in casa, nascono sperimentazioni talora con ingredienti inusuali che portano a vere e proprie opere d’arte, birre artigianali
non pastorizzate e non filtrate: riprendendo una frase cara a Kuaska, possiamo affermare con assoluta certezza che la birra fatta dagli homebrewers in realtà non esiste, perchè esistono “le birre fatte in casa”.
Avete ancora dubbi ? No ?
E allora via subito a comprare le pentole in acciaio, i rubinetti da applicare, costruire il filtro per la filtrazione dopo il mash, trovare l’amico che possa forare le vostre pentole, pensare alla serpentina o allo scambiatore a piastre per il raffreddamento del mosto verde, i fermentatori e i vari accessori per iniziare a produrre la vostra prima birra in casa.
Guardiamo in rete o nelle librerie e cerchiamo libri per documentarci ed avere sottomano tutte le informazioni necessarie a superare ogni momento di difficoltà che sicuramente incontreremo mentre andremo a brassare la prima, la seconda, la centesima birra che alla fine sarà la nostra birra, la nostra creatura inimitabile e talvolta irripetibile.
Ogni sacrificio e spesa sostenuta, le parole ricevute da chi non capisce questa nostra ione, pensando in modo erroneo che sia solo alcool, ci verrà ripagata da quello che andremo ad assaggiare nel bicchiere versato da una delle nostre bottiglie di birra: è iniziato il tempo della poesia, la poesia della birra fatta in casa.
Ma cosa state mai ancora aspettando ?
Non c’è più tempo da perdere, è il momento di are all’azione per potere assaggiare tra 40 giorni la vostra prima birra, chiara, ambrata o scura, maltata,
speziata o molto luppolata poco importa: l’importante è che sia l’inizio di una produzione che per alcuni potrebbe trasformarsi da ione a ragione di vita, fino a diventare un proprio lavoro come è successo ai birrai protagonisti di questo libro.
Ripercorrete dall’inizio le pagine di questo libro, rileggete la descrizione e i aggi che ci hanno portato a conoscere queste figure di riferimento, birrai che per ogni apionato sono un punto di riferimento con le loro birre e sicuramente arriveremo insieme alle stesse identiche conclusioni :
“Oggi tutti questi personaggi sono grandi e affermati birrai, ma in fondo all’animo e nel profondo del loro cuore restano e sono sempre degli apionati Homebrewer”.
Brewonline: un software free online
Fabio Stilo, apionato homebrewer ligure, utilizzando le sue conoscenze informatiche, ha deciso di mettere a disposizione di tutti un software online e gratuito per potere creare, gestire e programmare in ogni sua la fase la nostra birra da produrre e imbottigliare per la gioia, si spera, di tutti coloro che la potranno degustare.
Che cosa è e cosa fa di preciso il programma gratuito BrewOnLine ?
Il programma fornisce un sistema di gestione del processo di birrificazione artigianale e casalinga, iniziando sin dalla fase di progettazione per arrivare anche alla gestione delle bottiglie presenti nella nostra cantina, dandoci i tempi di maturazione e i suggerimenti per gestire al meglio questa organizzazione che spesso non ci è consona.
BrewOnline diventa l’assistente completo per ogni homebrewer, per utilizzarlo basta andare sul sito, www.brewonline.net, registrarsi e così poter utilizzare gratuitamente questa risorsa che diventerà sicuramente indispensabile per ognuno di voi.
L’interfaccia è nella sua semplicità, pratica e facile da usare, anche da parte di chi non ha dimestichezza con questo tipo di programmi: uno dei fattori che la fanno distinguere da altri software similari è che il programma non richiede installazioni, con il vantaggio di essere sempre aggiornato all’ultima versione emessa, con tutte le eventuali nuove funzionalità inserite.
Ogni utente non avrà la preoccupazione di dovere inseguire e installare gli aggiornamenti forniti dall’autore, ma avrà come unica preoccupazione di gestire il suo database di ricette che potrà decidere se rendere pubbliche o meno, a suo libero arbitrio.
Altra importante caratteristica da non sottovalutare, questo programma è utilizzabile con i moderni dispositivi presenti in commercio, smartphone o tablet, sia che usino sistema android o ios degli iphone o ipad.
Utilizzando questo software termini come OG, original gravity, IBU, International bitter units, EBC, european beer color, diventeranno termini familiari in breve tempo e non saranno più sigle o fattori ostici e difficili da capire.
Come dicevo prima, un altro aspetto innovativo è rappresentato dalla gestione della nostra “produzione”, in termini pratici potremo seguire ed essere aggiornati su tutto quel che avviene alla nostra birra anche una volta imbottigliata e arrivata alla sua maturazione.
In poche parola avrete la data della vostra cotta, del travaso, dell’imbottigliamento e della definitiva maturazione, senza dovervi preoccupare di annotare questi dati su foglietti o block notes che spesso possono andare persi e che la nostra memoria farà fatica nel ricostruire date, momenti e aggi corretti per una nuova riedizione della stessa birra seguendo lo schema compilato della precedente produzione.
Non solo a video potete consultare tutti questi dati, ma avete anche la possibilità di stamparli per avere un vostro registro delle produzioni da voi brassate senza
scordare nulla.
Brewonline in prossimità di ogni scadenza prevista da voi programmata, il travaso o l’imbottigliamento, vi avviserà, consultandolo, così da non avere problemi o dimenticanze.
Fabio ha previsto una ulteriore implementazione, ovvero esportare questo calendario su Google Calendar, per avere anche questa funzione sempre a portata di mano ovunque noi ci troviamo.
Vi sarà facile conteggiare e calcolare il prezzo della vostra birra, gestire la cantina, funzione inizialmente pensata dall’autore per se stesso, ma che alla fine ha ritenuto uno strumento utile per ogni homebrewer.
Utilizzando il QR Code ( codice a barre moderni), stampando i dati delle bottiglie presenti in cantina così come lo abbiamo registrato in brewonline e appendendolo dove abbiamo la nostra scorta di birra, utilizzando il nostro dispositivo, smartphone o tablet, potremo in un attimo aggiornare il sistema online ad ogni prelievo così da non trovarci all’improvviso senza nemmeno una bottiglia di birra da bere o da offrire ai nostri amici.
Che consiglio vi posso dare ?
Andate sul sito vi e utilizzate BrewOnLine: gratis, facile e semplice, utile da essere indispensabile, che non ne potrete più fare a meno, e ricordate Fabio è sempre pronto ad essere il vostro Help online senza problemi.
La birra senza glutine: un sogno fatto in casa
Questo è un argomento delicato e molto difficile da trattare, sta diventando purtroppo “un business” ma dobbiamo pensare in primis che c’è di mezzo la salute di persone che con il glutine hanno davvero “un cattivo rapporto” tanto da doverlo escludere dalla propria dieta: queste persone sono intolleranti al glutine e soffrono di celiachia (morbo celiaco o sprue celiaca).
La cosa si complica perché, a queste persone, con una genetica positiva all’HLA DQ2 e DQ8, si associano altri soggetti, non affetti da malattia celiaca, ma per i quali il glutine può essere altrettanto tossico, determinare sintomi, attivare il sistema immunitario e contribuire così a uno stato di malattia che può anche poi sfociare in situazioni più gravi, come l’arteriosclerosi e le sue complicazioni a livello cardiaco e cerebrale, malattie autoimmuni come le tiroiditi croniche, o anche il cancro.
Oggi si parla di ipersensibilità al glutine ed è una condizione che, a differenza della malattia celiaca, può essere dominata e anche scomparire nel tempo.
Certo è che, almeno inizialmente, entrambe devono soggiacere a una regola ferrea: “eliminare completamente il glutine dalla dieta.”
In poche parole, questi soggetti risultano intolleranti “permanentemente” ad una frazione proteica contenuta nel glutine, la prolamina, che ha un nome diverso a seconda del cereale considerato: gliadina (grano), secalina (segale), ordina (orzo) e avenina (avena).
Il glutine è una sostanza insolubile in acqua, presente nella maggior parte dei cereali, frumento, farro, orzo, segale, kamut, spelta, triticale e avena.
Tutti gli alimenti che contengono questi cereali o che vengono contaminati diventano “tossici” nei soggetti affetti o predisposti, perché generano gravi danni alla mucosa intestinale fino ad arrivare all’atrofia dei villi intestinali, con conseguente inefficace assorbimento dei nutrienti (malassorbimento) .
L’ingestione del glutine nel soggetto celiaco, la cui intolleranza al glutine ricordo è purtroppo permanente, genera una reazione immunitaria abnorme da parte dei linfociti dei villi intestinali che ricoprono le pareti dell’intestino tenue, organo che è deputato all’assorbimento delle sostanze nutritive nel sangue, reazione che porta a una sempre più ridotta capacità di assorbire le sostanze nutritive, causando alterazioni fisiologiche e malnutrizione con deficienze vitaminiche e di altri nutrienti che possono portare anche all’instaurarsi di malattie importanti, se la diagnosi è tardiva e non si segue un regime alimentare adatto a questa patologia.
Negli ultimi anni la prevalenza di questa malattia ha subito un notevole aumento non perché sia davvero aumentata nella popolazione, ma perché grazie agli esami disponibili è più facile arrivare alla diagnosi di intolleranza al glutine o di malattia celiaca.
Oggi la diagnosi di celiachia si pone con maggior certezza e con pochissimo margine di errore dosando gli Anticorpi anti-Transglutaminasi, anticorpi contro l’enzima transglutaminasi, che è responsabile dei processi causa della tossicità del glutine sui tessuti umani dei soggetti celiaci, e come detto, in particolare sulla mucosa dell’intestino.
In Italia e nel mondo i prodotti definiti “senza glutine” e che possono indicare questa dicitura in etichetta devono avere un contenuto di glutine inferiore ai 20 ppm (parti per milione), valore approvato dal Codex Alimentarius nel 2008.
Dopo anni di discussione nella comunità scientifica internazionale circa il limite massimo di glutine ammissibile in un alimento per essere considerato appunto “senza glutine”, finalmente si è arrivati a uno standard valido, per tutti, per i prodotti alimentari destinati al consumo delle persone intolleranti al glutine.
Ricordiamo che in Italia, ancora quando l’AIC, che pubblica un prontuario sempre aggiornato degli alimenti senza glutine permessi, seguiva lo standard sopra citato, il significato di “senza glutine” veniva abbinato ad “assenza” cioè “zero glutine” o meglio lo zero analitico rilevabile dagli strumenti di misurazione disponibili.
Finalmente nel 2003 il primo o per allinearsi con quanto indicato dalla normativa comunitaria per poi diventare standard codificato in tempi recenti, appunto dal 2008: un prodotto alimentare per potere essere definito “senza glutine”, deve contenere meno di 20 mg/kg ( o ppm = parti milione) di glutine.
Questo quantitativo è dosabile tramite la metodica ELISA con anticorpo monoclonale R5, metodo Mendez, metodica riconosciuta come metodo di tipo I dal Codex Alimentarius.
Mi preme ribadire con assoluta fermezza e certezza che l’unica terapia ad oggi nota per la celiachia è “la dieta senza glutine”, sostanza definita e riconosciuta tossica per il celiaco.
Esiste anche un’altro studio interessante, pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition del Gennaio 2007, che considera quale possa essere il valore limite di glutine assunto senza che possa essere tossico: risulta che il glutine assunto dovrebbe essere compreso tra 10 mg (limite teoricamente considerato “non tossico”) e 50 mg ( questo dosaggio però, nel caso di un uso continuativo per 90 giorni, ha degli effetti rilevabili sulla mucosa intestinale).
In un altro studio ancora, pubblicato sull’European Journal of Gastroenterology & Hepatology del 2006, invece si determina che l’utilizzo di prodotti con un contenuto di glutine inferiore a 20 ppm garantisce il celiaco, anche per consumi giornalieri quantitativamente elevati di tali prodotti, come risultano essere quelli in commercio in Italia.
In sostanza però ancora oggi molti sono i dubbi non risolti dalla scienza: nessuno è in grado di dire se l’assunzione di glutine oltre i parametri sopra indicati, per esempio un panino con 2 grammi di glutine, ovvero un limite 40 volte superiore il limite di 50 mg stabilito dallo studio del professor Catassi, in un solo giorno, possa risultare più o meno dannoso di una quantità minore, anche se assunta in tempi e momenti diversi, come al tempo stesso nessuno può dare garanzie nello stabilire che quantità comprese tra 10 e 50 mg sia la soglia che inizi ad essere tossica.
Il regolamento CE 178 del 2002 impone di applicare, come precauzione per la salute, sulla risultanza delle conoscenze attuali, di considerare la soglia di 20 ppm come soglia di garanzia, evitando le contaminazioni anche involontarie seguendo le chiare regole di comportamento nella preparazione dei cibi, consentendo a chiunque di rimanere entro questo limite senza forti condizionamenti.
Concludendo oggi grazie ad associazioni come AIC e NonSoloGlutine dell’amico Alfonso del Forno, le informazioni sono sempre più alla portata di tutti, il messaggio è rivolto a dare semplici regole di comportamento quotidiano,
ricordando di non sottovalutare mai il problema perché il glutine per il celiaco rimane ed è e sempre sarà una sostanza tossica.
Era doverosa questa breve introduzione e una corretta informazione sull’argomento prima di entrare nello specifico, cioè capire se è oggi possibile brassare una birra senza glutine in casa buona e gradevole, dando a tutti la possibilità, quando lo si desideri, di potere bere un bicchiere della bevanda amata che sia veramente birra, come stabilito dalla legge.
Oggi in commercio iniziano ad apparire le prime birre senza glutine, alcune sono a mio parere godibili altre lasciano il tempo che trovano, fenomeno in continua evoluzione.
In Italia, grazie ad Alfonso Del Forno, si inizia ad avere una conoscenza approfondita sull’argomento e la specificità dell’associazione NonSoloGlutine, tramite il blog omonimo, è una finestra aperta su questo complesso mondo per guardare ad una alimentazione senza glutine da una prospettiva nuova e diversa.
“Gli Alimenti senza glutine non sono “per celiaci”, ma sono alimenti all’interno dei quali non c’è una proteina, il glutine, che ad alcune persone porta intolleranza e sensibilità, ma non per questo sono destinati esclusivamente al mondo della celiachia, anzi tutti mangiamo senza glutine più spesso di quanto non si pensi, forse bisognerebbe solo farglielo sapere” (la citazione è presa dal Blog di NonSoloGlutine, www.nonsologlutine.it).
Ci piace ricordare, al di là del problema legato alla celiachia, che il mangiare senza glutine può essere una scelta per andare verso uno stile di vita naturale e sano: “Mangiare e bere senza glutine è buono per tutti !”
Ora veniamo all’argomento principe di questo capitolo: da homebrewer, in casa, possiamo realizzare una Birra Gluten Free secondo i dettami riconosciuti dalla comunità scientifica ovvero con una quantità di glutine inferiore alla soglia dei 20 ppm ?
Dopo diversi tentativi, iniziati usando succedanei naturalmente privi di glutine, ma con risultati invero poco entusiasmanti, mi sono messo a cercare di capire se esisteva un modo di realizzare una normale birra e poterla deglutinare in casa con i mezzi a disposizione.
Ebbene, raccogliendo informazioni, sentendo pareri di chi già a livello industriale o artigianale si stava cimentando in questa impresa, cercando di capire e meglio conoscere le proprietà di questa prolamina, ho ipotizzato una mia strategia poi risultata vincente.
Oggi voglio mettere a disposizione “questa mia scoperta” ribadendo e ricordando che il risultato certo di tale procedura deve essere sempre verificato in laboratorio con una analisi che confermi il risultato desiderato oppure utilizzando il test GlutenTox Pro, un kit concepito per le cucine professionali, che permette di testare valori da 5 a meno di 20 ppm, facile da usare per la rilevazione di glutine in cibi, bevande e superifci.
Il GlutenTox Pro contiene l’anticorpo antigliadina G12 che riconosce il peptide 33-mer, cioè la frazione del glutine che provoca la reazione “allergica” nel soggetto celiaco.
Senza la verifica e la certezza assoluta di un test che confermi che la birra prodotta rientri all’interno della soglia dei 20 ppm e quindi fruibile e bevibile anche da chi è celiaco, non sognatevi di dire che è una Birra Gluten Free e farla quindi assaggiare a chi ha problemi di intolleranza al glutine, perché con la
salute non si può né giocare, né scherzare.
iamo ora alla nostra birra Gluten free homemade, cercando di capire cosa fare per provare a portare a termine la nostra impresa.
Create la ricetta di una birra qualsiasi stile essa possa essere, e fino alla fase di whirpool e raffreddamento comportatevi come sempre. Ora inizia la fase che ci dovrebbe portare ad avere una birra con meno di 20 ppm, così da essere in linea con gli standard indicati sopra enunciati per essere considerata Gluten Free e adatta al consumo per chi ha problemi di intolleranza al glutine.
Io mi sono costruito un filtro utilizzando un normale Cillit e inserendo una cartuccia in polietilene alimentare con un diametro inferiore a 1 micron, in cui far are il mosto verde prima di essere immesso nel fermentatore dove agiremo nuovamente prima di inserire il nostro lievito per iniziare la fermentazione primaria.
Prima di inoculare il lievito, 15-20 minuti prima, inserisco una endoproteasi che agirà aggregando le proteine facendole precipitare sul fondo: ho visto che la quantità necessaria è nel range tra 6 e 6,5 ml ogni 10 litri di birra che voglio deglutinare, prodotto normalmente in commercio utilizzato prevalentemente per chiarificare e illimpidire la birra.
Questa proteasi è altamente specifica per scindere i polipetidi presenti fino all’aminoacido prolina, aminoacido apolare inserito tra i 20 aminoacidi ordinari, in quanto esso entra nella composizione di molte catene polipeptidiche.
L’utilizzo di questa endoproteasi ci permette di aumentare la stabilità colloidale
della birra riducendo il fenomeno del Chill Haze, e inoltre riesce ad abbassare il contenuto in glutine delle birre con orzo e frumento.
Voglio ricordare che il Chill Haze è quel fenomeno dovuto alla precipitazione di alcune proteine (polifenoli) derivate dal malto durante il raffreddamento della birra, fenomeno ininfluente da un punto di vista organolettico che rende la birra torbida quando è fredda, ma che scompare non appena la temperatura della nostra birra si innalza di qualche grado.
Ora lasciamo che la fase della prima fermentazione si compia, effettuiamo il nostro travaso da un fermentatore all’altro, aspettiamo che anche la seconda fermentazione sia completata e infine mettiamo il nostro mosto a una temperatura di lagherizzazione (sotto i 6°c, meglio 3-4°c) per almeno una 10-15 giorni.
A questo punto non ci resta che effettuare un ulteriore travaso, prelevare un campione di birra e fare il test per verificare se il risultato è quello che ci attendiamo ovvero una birra con un contenuto di glutine inferiore ai 20 ppm.
Con questa metodologia ho ottenuto birre che riescono ad avere anche meno di 5 ppm, tenuto conto un margine di errore del 20% siamo sempre abbondantemente sotto la soglia non solo dei 20 ppm ma anche dei 10 ppm, quantità soglia che un soggetto celiaco non deve superare giornalmente perché sembrerebbe che oltre questa quantità il glutine manifesta i suoi effetti tossici sull’organismo intollerante.
Voglio farvi presente che la quantità di glutine residua è quella calcolata su un litro di birra, quindi se ne beviamo una bottiglietta da 33 ml, il glutine presente che introduciamo nel nostro organismo è ridotto di 1/3, cioè circa 2 ppm nella birra in oggetto. Lascio valutare a voi i costi da sostenere, avendo un costo in più
per l’endoproteasi e per l’home test rispetto alla birra normale:
Ora, seguendo scrupolosamente quanto descritto, e considerando di fondamentale e vitale importanza il test sul lotto prodotto e che si vuole far “consumare” a un soggetto celiaco, non vi resta che provare e vedere se vi riesce di compiere questo “miracolo”.
Questo potrebbe essere un vero e proprio regalo per chi soffre di questa patologia e che fino ad oggi è stato costretto a rinunciare a bere una buona e gradevole birra artigianale, perché come sappiamo l’orzo è un cereale che contiene glutine ed è l’elemento principale delle birre normalmente prodotte.
Oggi la birra senza glutine, gluten free, in casa non é più un sogno, ma una realtà alla portata di tutti senza nessun segreto.
Ricette Beer & Food
Oggi la birra artigianale, fatta anche in casa, viene utilizzata sempre più spesso come ingrediente per arricchire piatti semplici o complessi e per dare quel tocco in più da far rimanere a bocca aperta i nostri commensali.
Uno dei dolci tipici della marca trevigiana, il tiramisù, già da tempo ha trovato una nuova nomenclatura “Birramisù”, perché la birra diventa la bevanda che serve a bagnare i savoiardi e rendere il nostro dolce morbido e cremoso, ma con una aroma particolare che può essere abbinato alla birra utilizzata per farlo.
La ricetta del Birramisù, che vedete descritta nelle righe seguenti, mi è stata gentilmente concessa dal socio Fabio Polesel, birraio del microbirrificio Habemus di Montebelluna, che oltre a fare birra artigianale di buon livello si diletta tra i fornelli a creare piatti utilizzando le birre da lui egregiamente brassate e in degustazione presso il birrificio.
IL BIRRAMISU’
Tra gli ingredienti del Birramisù, oltre alla birra che andremo a utilizzare, fondamentale è la scelta dei savoiardi, che devono essere di buona qualità, garantendo qualità e tenuta alla struttura del dolce.
Per ottenere circa 20 porzioni delle dimensioni di 8x8 cm, dovremo utilizzare una quantità di savoiardi tale da poter fare due strati nella nostra teglia per dolci, 12 uova, 10 cucchiai di zucchero, aroma di vaniglia e mandorla, 1200 ml di una birra strong rossa oppure scura dal sapore cioccolatoso e tostato, 500 gr di ricotta e 500 gr di mascarpone.
Si procede iniziando a montare a neve gli albumi dell’uovo aggiungendo un cucchiaio di zucchero e si mettono al freddo.
Con tutto lo zucchero si sbattono tutti i tuorli d’uova, un pizzico di sale e gli aromi, poi si vanno ad aggiungere la ricotta e il mascarpone, continuando a mescolare bene, sbattendo il tutto fino a ottenere una crema densa e uniforme.
Si prendono gli albumi e si aggiungono delicatamente al preparato cremoso fatto.
Ora i nostri savoiardi vanno inzuppati per pochi secondi nella birra e si dispongono sul fondo della teglia fino a formare il primo strato.
Questo primo strato dovrà essere “bagnato” meno perché rimanendo sul fondo
poi assorbirà anche il liquido che scenderà dallo strato soprastante che andremo a fare.
Su questo primo strato disposto sul fondo spalmeremo uno strato della crema preparata in modo da ricoprire bene tutti i savoiardi.
Allo stesso modo di prima inzupperemo bene i nostri savoiardi che andranno a formare il secondo strato, che andremo a ricoprire come prima con uno strato di crema.
Sbricioliamo i nostri amaretti sopra la crema appena stratificata sui savoiardi e mettiamo il nostro birramisù in frigorifero.
Prima di servire metteremo il cacao in polvere sopra lo strato di crema e amaretti.
Non ci resta che assaggiarlo abbinandolo a buon bicchiere della stessa birra utilizzata per inzuppare i nostri savoiardi.
Birramisù by Fabio Polesel
Camallo Cake Muffins di Fabio Stilo
CAMALLO CAKE con Porter
La torta o CamalloCake, utilizzabile anche per fare i muffins, è una ricetta di Fabrizio De Lucia, cugino e cuoco di Fabio Stilo, autore di BrewOnLine, che ha utilizzato una sua Porter per arricchire nel gusto questa torta.
La ricetta della Porter è una E+G:
Fabio ha messo insieme l’estratto di malto con i malti speciali, utilizzando un minimash a 66-68°c per 50 minuti per il Pale Ale e una infusione di tutti gli altri malti a 68°c per 45 minuti, per ottenere 23 litri di birra con Ebc di 69 e una Ibu di 40, priming di 4 gr/l di zucchero.
I luppoli usati in boil per amaro e aroma sono tutti inglesi e in plug per un totale di 70 grammi immessi in tre gittate successive.
La fermentazione è stata affidata al SafAle S04, lievito secco inglese, ceppo proveniente dalla Worthington White Shield, selezionato per la sua capacità di fermentare velocemente e formare un sedimento molto compatto, aiutando a migliorare la limpidezza della birra.
Ed ora pensiamo alla torta:
Bisogna setacciare la farina con il lievito e il cacao, lavorare il burro ammorbidito con lo zucchero di canna fino ad ottenere una crema.
Unire le uova una alla volta, quindi aggiungere al composto le polveri setacciate, un cucchiaio alla volta.
Ora si aggiunge la Birra Camallo QB a filo mescolando bene perché si omogeneizzi il tutto.
Imburrare e infarinare una teglia a cerniera apribile, infornare a 180°c per 70 minuti (valutate bene il funzionamento del vostro forno per il tempo e la temperatura).
Mentre il nostro cake in forno si cuoce, andiamo a preparare la copertura con mascarpone, formaggio e zucchero a velo.
Quando la torta sarà cotta, lasciatela raffreddare e con una spatola ricopritela con la crema preparata a parte, così da ottenere l’effetto tipico della schiuma di una birra stout.
La stessa ricetta se vi piace potete usarla per fare i muffin, l’impasto andrà diviso per le forme con cui farete i muffin, e voilà una ricetta per due dolci che faranno felici i vostri bimbi e forse anche gli adulti golosi.
RISI E BISI ALLA VENEZIANA CON BIRRA WEIZEN
A primavera c’è solo l’imbarazzo tra erbette, verdure e legumi per preparare piatti semplici dagli aromi delicati e sfiziosi.
Il risotto in oggetto, ricetta gentilmente concessa dal socio Matteo Davanzo, e liberamente adattata al libro, è un piatto tipico della tradizione veneta, “Risi e Bisi” il cui ingrediente principale sono appunto i piselli.
Gli ingredienti, per 4 persone, sono: 300 gr di riso Vialone Nano, 600 gr di piselli novelli, una cipolla bianca magari fresca del periodo primaverile, due fettine di pancetta fresca, parmigiano reggiano e olio di oliva quanto basta e una birra weizen artigianale.
I piselli novelli si cucinano a parte con olio, mezza cipolla: iniziamo facendo soffriggere un pochino di cipolla senza farla imbiondire, si aggiungono i piselli e un bicchiere di birra weizen cucinandoli per circa 15 minuti.
Nella casseruola principale, si comincia a preparare il risotto con la cipolla, pancetta e olio, a fuoco medio-basso per circa 4-5 minuti: si aggiunge il riso e dopo un paio di minuti la birra weizen; attenzione che essendo una minestra densa, non si deve aggiungere un cucchiaio di birra alla volta, ma 3-4 tutti insieme tenendo sempre il riso in ammollo.
Dopo circa 5 minuti di cottura, si aggiungono i piselli e si porta il tutto a cottura: nella mantecatura finale si aggiungerà il formaggio parmigiano reggiano,
volendo il prezzemolo, e una macinata di buon pepe.
Il risotto deve risultare cremoso, perché cosi si possono meglio apprezzare l’aroma e la freschezza dei piselli e della cipolla fresca, sapori che si amalgheranno con quelli della pancetta e del formaggio parmigiano.
A questo piatto abbineremo, ovviamente, la birra weizen utilizzata in fase di cottura perché non deve prevalere sul sapore delicato e fresco del risotto, birra dalle note aromatiche non troppo luppolata che ben si sposa con l’armonia delicata e fragrante del nostro piatto.
Volendo si potrebbe anche abbinare una pils non troppo luppolata per cambiare birra: non resta che augurare a tutti “Buon Appetito”.
Risi e Bisi by Matteo Davanzo
Crostini alla birra by Daniela Riccardi
CROSTINI con FORMAGGIO alla birra STOUT
Una antipasto sfizioso e gustoso, molto economico, quello regalatoci da Daniela Riccardi dell’Accademia delle Birre, che ringraziamo.
Per fare 10 crostini abbiamo bisogno di una birra Stout, meglio homemade, tipo quella presente in questo libro all’inizio, 1 cucchiaio di senape, 1 noce di burro, 100 gr di formaggio misto grattugiato per frico, 100 gr di fontina tagliata a dadini.
Il tutto va messo in un pentolino e fatto bollire con circa 300 ml di birra stout insieme a un cucchiaio di senape, fino ad avere una riduzione di un quinto.
Si aggiungono i formaggi, che vanno fatti sciogliere a fuoco lento.
Chi avesse piacere di farlo, può aggiungere a proprio piacimento, il burro e due gocce di tabasco: si spalma la fonduta così ottenuta, sulle fette di pane tostate in forno con un filo di olio di oliva.
Si mettono in forno caldo per altri 5 minuti e si servono belli caldi accompagnandoli con la nostra Stout fatta in casa.
Il costo a crostino è calcolato essere di circa 60-70 cent.
COZZE alla Birra e CROSTINI
Un'altra simpatica ricetta del socio Fabio Polesel, birraio dell’Habemus di Montebelluna, molto semplice da fare e assai gustosa.
Per fare questo piatto, sia da antipasto che come secondo piatto, servono 3 kg di cozze, 1 lt di birra stout, 1 cipolla media, 1 spicchio di aglio e qualche pomodorino datterino.
Si scottano le cozze e si elimina l’acqua che queste rilasciano, poi si soffrigge aglio e cipolla e pomodorini con un po’ di olio e un pizzico di sale.
A questo punto alziamo il fuoco al massimo e inseriamo la nostra birra: quando inizia a bollire, inseriremo le cozze e padelliamo il tutto per mezz’ora almeno fino a che non evapora la maggior parte della birra.
Non resta che assaggiare il grado di salatura del nostro piatto ed eventualmente correggere, aggiungere una manciata di bibanesi in pezzettini quasi “pan grattugiato” e spolverarli sulle cozze.
Servite e degustate, non ve ne pentirete.
Cozze alla birra by Fabio Polesel
SALAME DI CIOCCOLATO GLUTEN FREE
Un’ultima delizia, per concludere questa nostra carrellata Beer&Food, non poteva che essere un piatto glutenfree abbinato a una birra glutenfree che oggi, dopo avere letto questo libro, potrete tranquillamente fare a casa vostra: dolce e birra selfmade, meglio di così !
Per fare il nostro Salame di cioccolato glutenfree ci serviranno 250-300 grammi di biscotti o frollini glutenfree (senza glutine), 200 gr di mascarpone, 75-100 gr di cacao in polvere amaro, 2 uova intere, 120 grammi di zucchero, 100 gr di burro, 1 fiala di Rhum, mandorle e nocciole sgusciate e a pezzettini, quanto basta per avere un sapore deciso e invitante.
Lavoreremo il burro, lo zucchero e le uova fino ad avere un composto cremoso, a cui aggiungeremo piano piano il cacao in polvere, la fiala di rhum e i nostri frollini o biscotti senza glutine già sbriciolati, fino ad avere una consistenza tale da poter poi arrotolare il composto nella carta forno dandogli appunto la forma di un salame.
Una volta data la forma, se lo ritenete opportuno potete anche dividere il composto per avere due salami, avvolgete nella carta stagnola e lo metterete per almeno due o tre ore in congelatore, così da essere indurito al punto giusto per tagliarlo a fette e portarlo in tavola per i vostri ospiti, sia che siano intolleranti al glutine sia che non abbiano questo problema.
Un dolce per tutti, gustoso e delicato.
Salame al Cioccolato Gluten Free by Patty Biasotto
Le etichette : un mezzo per valorizzare le nostre birre
Le nostre birre in bottiglia si presenteranno meglio e troveranno una maggiore attenzione se vi divertirete a creare per ogni vostra creazione la giusta etichetta che la rappresenti, indicando gli ingredienti, i dati più importanti e la data di imbottigliamento.
E’ un tocco di “professionalità” che non guasta, una cura dei particolari che vi permetterà di stupire ancora di più coloro i quali potranno assaggiare le vostre birre.
Non serve essere dei grafici o dei professionisti del settore, basta solo avere un po’ di fantasia e prendere dimestichezza con qualche programma di grafica e il gioco è fatto, più difficile a dirsi che a farsi.
Se ci sono riuscito io, statene certi, chiunque può cimentarsi in questa avventura ottenendo risultati sorprendenti, tanto da avvicinarsi a quelli dei più importanti marchi di birra artigianale presenti in commercio.
Il vantaggio è che sono fatte da noi, per chiudere il cerchio della birra fatta in casa anche l’etichetta nasce tra le mura domestiche, costano poco, circa 3 centesimi l’una più l’inchiostro per la stampa, e se usate etichette adesive già pronte, dimensione di 105 x 74 mm, potrete una volta stampate, attaccarle facilmente sulle vostre bottiglie.
Se non utilizzate marche scadenti, la colla sarà di buona qualità e potrete facilmente staccare le etichette immergendo le bottiglie in acqua calda per
qualche minuto e saranno subito pronte per essere riutilizzate per una nuova birra e una nuova etichetta.
Anche l’utilizzo di tappi colorati differenti, che caratterizzino e differenzino ulteriormente le vostre birre, daranno quel tocco di eleganza e raffinatezza in più che creano quell’effetto simpatico e di naturale empatia verso la vostra birra artigianale fatta, prodotta e imbottigliata in casa con tutti i crismi necessari a renderla davvero unica e importante.
Nella pagina seguente troverete alcune delle mie etichette partendo dalla preistoria grafica delle mie creazioni fino ad arrivare alle ultime che devo dire riescono davvero bene.
L’ingrediente principale ? La fantasia.
La Baltic Porter
Questo stile di birra è assai particolare e ancora poco conosciuto, però devo dire che quando assaggi una birra di questo tipo poi ti rimane sulle papille gustative il desiderio di poterla bere in momenti nei quali è difficile trovarla.
Alla fine sono riuscito a trovare una buona ricetta da fare in casa, dandole i correttivi a me risultati congeniali perché venisse una birra le cui caratteristiche fossero davvero soddisfacenti e tipiche dello stile considerato.
In pratica è una Porter dal grado alcolico superiore rispetto alle porter usuali, esportata dai paesi anglosassoni ai paesi baltici, che ha ispirato i mastri birrai di queste regioni creando lo stile oggi conosciuto e apprezzato chiamato appunto Baltic Porter.
Inizialmente furono birre prodotte ad alta fermentazione, inizi XVIII secolo, poi dalla metà del XIX secolo la produzione ò alla bassa fermentazione, tanto che oggi solo poche sono brassate con lieviti ad alta fermentazione.
Queste birre, secondo il BCJP che determina e indica le linee guida degli stili delle birre prodotte, hanno caratteristiche ben precise, con un colore variabile da 17 a 30 SRM ( circa 34 – 60 in Ebc), una Original Gravity compresa tra 1.060 e 1.090, per arrivare a una Final Gravity compresa tra 1.016 e 1.024, che determinerà un grado alcolico variabile tra i 5,5 e i 9,5% ABV, e un amaro in IBU compreso tra 20 e 40 come indice di riferimento.
Sono birre il cui aroma maltato ha toni caramello, di nocciola e pane tostato e/o
di liquirizia, dal corpo pieno ed omogeneo.
Alla ricca dolcezza maltata si accompagna un profilo fruttato che ricorda le prugne, le susine, l’uva a, ciliegie e ribes, con tendenza a tonalità vinose simili al Porto.
I malti tostati utilizzati conferiscono note di cioccolato, caffè o melassa, senza avere mai toni di bruciato, un amaro da medio a basso.
Una birra complessa, senza particolari note luppolate, liscia senza acidità, maltata con esteri di frutta secca.
Questa tipologia o sottostile deriverà anche dalle Porter, ma subisce una notevole influenza data dalle Russian Imperial Stout.
Vi propongo questa ricetta, che a me risulta essere davvero assai vicina allo stile e alla descrizione sopra riportata: oggi si considera la bassa fermentazione, ma ricordo che nasce come alta fermentazione.
Tra gli ingredienti nelle ricette tipiche è usuale trovare malto Monaco e/o Vienna, Chocolate o Black, bilanciando le note tostate e maltate con luppoli di tipo continentale, a volte è possibile vedere l’utilizzo di Crystal, Brown o anche Amber malt; il lievito dovrebbe essere un lievito a bassa fermentazione, ma possiamo utilizzare anche uno ad alta fermentazione tenendo le temperature verso le temperature più basse, tipiche dello stile.
In questa ricetta per l’amaro è stato usato l’Amarillo, però potete tranquillamente usare il Columbus in prima battuta e il Chinook in seconda gittata.
Potete anche provare a usare il Centennial e il Simcoe, insomma potete combinare due luppoli americani o sostituire l’Amarillo con il luppolo che più vi aggrada per ottenere la vostra Baltic Porter.
Metteremo in grani in mash alla temperatura di 50°c e saliremo fino al single step di 66°c per restare circa 90 minuti o fino alla completa e avvenuta saccarificazione.
Il ph del mosto sarà intorno ai 5,2-5,3 e ricordate di acidificare anche l’acqua di sparge che utilizzerete per il lavaggio delle trebbie.
Infine mash out a 76-78°c per un tempo di 10 minuti prima di are alla fase di sparge e filtrazione del nostro mosto per la fase di bollitura, dove immetteremo i luppoli, come da schema della ricetta, in tre gittate diverse.
Il lievito potete utilizzare un lievito per la bassa fermentazione per restare fedeli all’attuale stile, ma nulla vieta di usare il SafAle S05 facendolo fermentare a temperature non superiori ai 16-17°c che ci permetteranno di rispettare lo stile e non avere aromi dovuti al lievito e alle temperature di fermentazione.
Una volta imbottigliato, non andrei oltre i 4-4,5 gr/litro di destrosio monoidrato, e lascerei le bottiglie a una temperatura di cantina non superiore ai 17-18°c.
Dopo 4 settimane è possibile assaggiare e bere questa birra, che dal secondo o terzo mese comincerà a rivelarsi in tutta la sua meravigliosa essenza di aromi e alcool, che vi stupirà sempre più andando avanti nel tempo.
Ringraziamenti
Anche la fatica per portare a termine questo terzo libro si è felicemente conclusa, ed è doveroso ringraziare chi mi ha ato e fatto da tester durante le fasi di elaborazione del libro, leggendo e dandomi conforto sui capitoli che nascevano e diventavano parole nere scritte su fogli bianchi.
Un ringraziamento particolare va al mio maestro, per avere letto e ato la parte scientifica della sezione Gluten Free, il professor Alfredo Saggioro
Un grazie agli amici Fabio Stilo, Fabio Polesel, Daniela Riccardi, Matteo Davanzo e a mia moglie Patty Biasotto per le ricette deliziose regalatomi e messe a disposizione di tutti i lettori e apionati di birra.
Voglio anche ringraziare l’amico Domenico Braione, esperto homebrewer, che mi ha incoraggiato e sorretto con parole di elogio e stima dopo la lettura della prima stesura in bozza del libro, facendomi capire che è davvero un romanzo tecnico alla portata di tutti.
Indice
Premessa
Introduzione
Il Birraio a casa nostra
Alessio “Allo” Gatti
La prima birra “buona”
Quando il birraio ti ispira
Jurji Ferri
Il regalo di Jurji
La Maxima arte di Jurji
Antonio Zanolin
Dalla Combaiota nasce una nuova birra
Pierluigi Chiosi “Pigigu”
La Naranji Special
La Fortezza in origine
Gino Perissutti
La Cream Ale
Leonardo di Vincenzo
La Duchessa a casa nostra
Primi i: l’attrezzatura Homebrewing
Le materie prime per fare la birra
Ma quanto mi costa fare la birra
Brewonline: un software free online
La birra senza glutine: un sogno fatto in casa
Ricette Beer&Food
Il Birramisù
Camallo Cake con Porter
Risi e Bisi alla Veneziana con birra Weizen
Crostini con formaggio alla birra Stout
Cozze alla birra e crostini
Salame di cioccolato Gluten Free
Le etichette: un mezzo per valorizzare le nostre birre
La Baltic Porter
Ringraziamenti