Presentazione.
“Il Bosco di Melrea” è un racconto fantasy della scrittrice internazionale Lily Rose Golding scritto nel 1998. I temi predominanti sono: la magia, il bosco incantato, inseguimenti e combattimenti mozzafiato.
Lily Rose Golding è una scrittrice e accanita lettrice che ha iniziato a scrivere fin dalla tenera età. I suoi generi letterari preferiti sono: soprannaturale, urban fantasy, fantasy classico, fantascienza e horror. Scrive racconti, romanzi, sceneggiature, commedie teatrali. Disegna utilizzando tecniche miste inclusa la computer grafica e realizza fumetti. Ha deciso di autopubblicare le proprie opere servendosi dei canali editoriali della grande distribuzione.
Proprietà letteraria riservata
© 1998 LILY ROSE GOLDING
Copertina: opera grafica “Il cuore di Melrea” di Lily Rose Golding
Sito web dell’autrice: http://sites.google.com/site/lilyrosegolding/
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
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Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. E’ vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata ed il plagio artistico è severamente punito.
Questo libro è un’opera di fantasia. I personaggi e le vicende in esso descritte sono frutto dell’invenzione creativa dell’autrice. Qualsiasi riferimento o analogia a fatti, luoghi, avvenimenti narrati, persone reali vive o defunte è assolutamente casuale.
Edizione digitale: marzo 2014
ISBN: 9788869090295
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
LILY ROSE GOLDING
IL BOSCO DI MELREA
SOMMARIO
Presentazione Il bosco di Melrea
Il bosco di Melrea
Non vi era alcun dubbio: mi ero smarrito! Se soltanto avessi potuto immaginare quale felice epilogo avesse riservato il Fato alla mia disavventura, ben diverso sarebbe stato il corso dei miei pensieri. La notte era ormai discesa sul bosco di Melrea come una pesante cappa di nebbia. Prima d’allora ignoravo quanto potesse essere spaventosa quella foresta avvolta nell’oscurità. I superbi alberi, il fogliame selvaggio dei cespugli mi ricoprivano da ogni parte, rendendomi prigioniero di quell’opprimente regno vegetale. Insieme al buio era disceso un vento freddo e pungente che mi intirizzì fino alla punta dei piedi, nonostante indossassi la pesante tenuta da caccia. La luna non era che un minuscolo sorriso obliquo, la cui pallida luce filtrava a malapena attraverso l’intricata rete dei rami sovrastanti. Il mio primo obiettivo fu quello di produrre del fuoco che mi proteggesse dalle mille insidie che si annidano nei tenebrosi recessi del bosco. Riuscii ad accenderlo con dei ramoscelli e delle foglie secche. Mi rallegrai di aver sconfitto almeno parzialmente e momentaneamente l’oscurità circostante, ma ben presto persi la mia sicurezza. Udivo dei sibili sinistri ondeggiare nell’aria, ma non riuscivo a identificare la loro natura né la precisa direzione da cui provenissero. Preferii pensare che si trattasse dello stormire delle foglie al vento. Ma altri insoliti rumori turbarono la mia mente: rantoli, scricchiolii, sussurri, causati probabilmente dagli animali notturni. Per niente affascinato dalla prospettiva di essere assalito alle spalle da una belva affamata, rimasi vigile ed attento. Non confidavo più nella sola protezione del fuoco; in caso di bisogno sarei stato difeso dalla mia spada, dalla vigilanza costante, e dalla prontezza di riflessi: le uniche armi che possedessi. Il mio intento era quello di restare indenne durante la permanenza notturna nel bosco; la luce del mattino seguente mi avrebbe consentito di ritrovare la strada. Benché fossi l’unico responsabile di quel frangente, non avrei assolutamente imputato la colpa dell’accaduto alla mia ostinazione. Infatti, nel pomeriggio, mi ero convinto di riuscire a catturare quella dannata lepre dall’insolito pelo rosato che aveva rapito la mia attenzione e anche la ragione, in nessun caso sarei ritornato a palazzo senza la preda che mi ero prefisso di ottenere. Doveva appartenere certamente ad una razza pregiata, vi era anche la probabilità che si trattasse di uno dei pochi esemplari esistenti: una particolarità di Melrea! Come potevo supporre che una bestiola così piccola, e
quindi indegna per qualsiasi cacciatore professionista, potesse condurmi in questa pericolosa situazione, facendomi smarrire nel folto del bosco? Inoltre quale motivo apparente della mia scomparsa avrei presentato a corte? Se avessi raccontato la verità, nessuno mi avrebbe creduto e peggio ancora tutti avrebbero smesso di rispettarmi. Mentre ero assorto in queste tristi riflessioni, fui investito da una sferzante folata di vento che sparpagliò la legna ardente e addirittura il recinto di pietre che avevo eretto intorno al fuoco per conservarlo. Avevo notato che nuvoloni minacciosi, grevi di pioggia, presagivano un nubifragio, per cui avrei dovuto procurarmi un riparo al più presto. Non mi restava che un tizzone di fuoco per orientarmi. Il mio coraggio e la mia determinazione si affievolirono quando mi accorsi di essere stato preso di mira da un feroce predatore. Un lupo superbo e solitario, mi sbarrava il aggio. Sapevo che questi animali sono soliti attaccare riuniti in branchi, e temono il fuoco, ma quello che avevo davanti era diverso dagli altri. Innanzi tutto aveva un pelo dall’insolito colore azzurro e sfavillante, visibile perfino nell’oscurità più intensa. Inoltre non era affatto spaventato dalla rudimentale torcia che agitavo nelle mie mani. Cominciò a ringhiare, palesando intenzioni tutt’altro che pacifiche! Se fossi scappato non avrei avuto alcuna possibilità di salvezza. Non mi restava che affrontarlo apertamente. Sfoderai la spada, aspettando che attaccasse per primo. Il lupo si slanciò su di me con una rapidità impressionante, così che non potei evitare il suo morso dilaniante e implacabile al braccio sinistro. Lottai con tutte le mie forze, invano. Sembrava che i colpi della mia spada non potessero scalfirlo, infatti lo attraversavano come se non avesse alcuna consistenza! Un fantasma? No, perché la ferita che mi aveva arrecato era più che reale, e non poteva essere inferta da una simile entità. Il mostro, non avrei potuto chiamarlo diversamente, lasciò la presa e nell’attesa mi fissò. Perché non mi aveva finito, azzannandomi alla gola? Aveva avuto forse pietà del mio stato? Comunque colsi l’occasione per scappare a gambe levate. Guardandomi indietro vidi che il mio assalitore mi inseguiva mantenendo una certa distanza. Durante la fuga incrociai di sfuggita la lepre rosa che svanì d’improvviso, celata da qualche nascondiglio naturale. Forse anch’essa era perseguitata dal lupo azzurro. Per un attimo desiderai essere anch’io un animaletto delle stesse dimensioni per nascondermi in un luogo inaccessibile al feroce predatore. Un ronzio risalì nelle mie tempie, le forze mi abbandonarono poiché avevo perso molto sangue, rallentai sempre più, finché svenni esausto. Il mio deliquio non durò che poche ore, infatti quando riaprii gli occhi era ancora notte. Mi resi conto istantaneamente di essere sopravvissuto miracolosamente, ma allo stesso tempo considerai una simile eventualità come una maledizione.
Non avrei mai voluto trascorrere il resto della mia vita nel corpo di un roditore! Non c’erano dubbi ero stato trasformato in una lepre! Che qualche divinità abbia ascoltato la mia preghiera?! Mi pentii d’averla formulata. Io, abituato ad essere servito, avrei dovuto scappare di continuo, procurarmi il cibo, camminando a quattro zampe, mentre non mi sono mai inchinato di fronte a nessuno, nemmeno al cospetto di mio padre! Sperai che ripetendo la supplica di ritornare umano fossi esaudito, ma ciò non avvenne. Mi trovavo in una piccola tana, al sicuro. La mia ferita era stata fasciata, ma da chi? Decisi di dare un’occhiata all’esterno, dovevo assolutamente scoprire cosa mi stava accadendo. Mi ritornarono alla mente tutte le assurde leggende che circolavano sul bosco di Melrea, le testimonianze di cacciatori, boscaioli o avventurieri vittime di stregonerie e assaliti dall’invincibile lupo azzurro. La fonte delle loro smargiassate prive di fondamento era riconducibile ad una solenne sbornia. Ma ora che mi trovavo in condizioni così critiche, riflettei a lungo su tutto quanto avessi ritenuto inverosimile in ato. Mi avventurai nei dintorni allo scopo di trovare qualche indizio. Quale fu la mia sorpresa quando scorsi il lupo beatamente adagiato su un alto e fragile ramo di un albero. Come fosse riuscito a salire lassù e a rimanervi, non lo immaginavo lontanamente. Ritenni saggio allontanarmi in tutta fretta da quel pericoloso animale. Avevo compiuto appena due balzi che me lo ritrovai alle costole. Questa volta non sembrava altrettanto clemente, non mi avrebbe risparmiato. Mi rifugiai in una cavità sotterranea, ma il proprietario non si dimostrò molto accogliente, forandomi la pelle con i numerosi aculei. Sembrava che il mio destino fosse una continua fuga. Fui quindi costretto ad uscire di nuovo allo scoperto. Fortunatamente il mio persecutore aveva preferito un’altra preda: la pregiata lepre rosa. La simpatica bestiola, assai più esperta trovò protezione nel tronco di un gigantesco albero. Il lupo rimase ad ululare in modo lugubre e sconsolato davanti alla stretta fessura. Purtroppo si accorse della mia presenza, e reso più determinato dal recente fallimento, mi rincorse più agguerrito che mai. Dopo averlo evitato per un po’ scelsi lo stesso riparo della lepre rosa. Ero stufo di scappare, inoltre ero zuppo di pioggia. Speravo che il mio “compagno di sventure” tollerasse un membro della stessa razza. Avrei rimandato volentieri le ricerche della via del ritorno all’indomani; mi occorreva un po’ di riposo. Non appena m’infilai nel tronco scivolai verso il basso per circa una decina di metri, finché non atterrai con un sonoro capitombolo. Il colpo violento mi provocò la seconda perdita dei sensi. Al risveglio di quello che avevo sperato fosse un incubo, constatai che l’ambiente circostante aveva l’aspetto di una reggia: finalmente ero a Palazzo! Purtroppo dovetti ricredermi. Nonostante notassi lo
sfarzo e le comodità a cui ero avvezzo, dovetti riconoscere che quello era un luogo estraneo alla mia conoscenza. Cominciai ad accreditare l’ipotesi d’essere vittima di un sortilegio. Ero comodamente disteso su un giaciglio regale, coperto da una stoffa di seta finemente decorata. Mi rincuorai quando mi resi conto di essere stato asciugato e pulito. La ferita era stata fasciata, inoltre il mio pelo profumava di oli essenziali. Ero ancora molto debole ma riuscii ugualmente a rizzarmi sulle gambe, o meglio sulle zampe, per ammirare la sala. Sebbene dotata di un arredamento limitato allo stretto indispensabile, non potei fare a meno di notare la raffinatezza che la distingueva, nonché i magnifici affreschi che l’adornavano. Uno di essi in particolare attirò la mia attenzione: rappresentava, a grandezza naturale, una soave fanciulla di una beltà e grazia sorprendenti, amabilmente adagiata in riva al fiume, sul cui grembo riposava un giovane affascinante. Il mio sguardo poi si soffermò su alcune statuette, abilmente scolpite, poggiate sul tavolo a me più vicino. Raffiguravano esseri deformi e grotteschi, che stonavano col gusto sopraffino del resto dell’arredamento. Feci il gesto di saltare dal lettino ma una barriera invisibile, m’impediva di andarmene. Provai a gridare per richiamare l’attenzione del proprietario del palazzo. Sfortunatamente una lepre non può farlo, perciò mi affaticai inutilmente. Del roditore rosa non c’era la minima traccia. Che fossi stato rapito da un abominevole stregone deciso a fare di me la cavia dei suoi esperimenti? Oppure per diventare la sua cena?
«Fortunatamente per voi non è come immaginate», disse una dolcissima voce dietro di me. Mi voltai e sussultai alla stupenda visione che mi si offriva. Una fanciulla di una bellezza impareggiabile, che riconobbi per quella rappresentata nell’affresco, era apparsa dal nulla. Infatti, il salone, come constatai più tardi, non aveva porte! Mi raccolse nel suo tenero abbraccio, lisciandomi il pelo. Osservai in modo impudente le leggiadre forme della sua figura. Mi sorprese il colore dei suoi capelli: rosa corallo. Parte della capigliatura era raccolta sulla nuca da spilloni d’argento, il resto le ricadeva in ondulate ciocche inanellate fino alle caviglie. Non potrei descrivere la perfezione dei tratti del viso pallido e innocente, in cui spiccavano due occhi verdemare lucentissimi. Il tepore e il piacevole profumo emanato dalla sua persona m’investirono e mi confortarono più delle sue parole. Indossava un abito semplice di raso del bianco più candido, lungo e attillato, ma che lasciava scoperte le braccia e il collo. Nessun monile, non ne aveva bisogno. I suoi capelli odoravano di cannella e altre spezie aromatiche, e Santi Numi! Se ben ricordavo, avevano lo stesso colore del pelo
della lepre rosa! «Sì, ero io quella lepre», rispose leggendomi nel pensiero. «Non temete qui siete al sicuro, non vi farò alcun male».
Ero allibito. Certamente non si trattava di una donna normale, forse era una strega. Avrei voluto porle molte domande ma non potevo parlare. Mi disse: «Prima di concedervi la facoltà di parlare che desiderate tanto, vi dimostrerò la mia onniscienza. Voi siete il sovrano del regno di Melrea, il vostro nome è Wildor, appartenete alla nobile discendenza della casata dei Ferxendoff, che governano da tre secoli. Ieri giungeste con il vostro seguito e la muta nel bosco allo scopo di compiere una battuta di caccia. Mi mutai in lepre allo scopo di farvi smarrire e condurvi nel mio antro. Foste aggredito e ferito dal lupo azzurro, un potente stregone che ambisce alla mia mano e perseguita i profanatori del mio regno. Impietosita vi medicai il braccio, e decisi di tramutarvi in lepre, non solo per consentirvi l’accesso nel mio palazzo, ma soprattutto per farvi provare l’atroce sorte che voi infliggete agli abitanti della foresta. Da troppo tempo siamo costretti a subire le violenze della depredazione sconsiderata e senza misura dei vostri uomini, nonché il disboscamento che ha alterato l’equilibrio naturale. Vi sarete reso conto che non è molto piacevole essere perseguitato da qualcuno da cui non è possibile difendersi. Vogliate considerarmi mio ospite, per il tempo che riterrò necessario per la vostra sensibilizzazione». «Mia adorata salvatrice, avete però omesso di presentarvi», le dissi sorpreso: potevo di nuovo parlare! «Quale nome possiede colei che dovrò ringraziare in eterno?». «Il mio nome è Kaylah, e sono l’indiscussa preservatrice del bosco di Melrea, o se preferite, una fata silvestre». Il tono suadente con cui pronunciò queste frasi non mitigava la perentoria supremazia esercitata su di me. Ero in sua balia, eppure non mi dispiaceva. Avrei donato l’intero regno pur di restare con lei fino al mio ultimo respiro, accettando di servirla e riverirla, preferibilmente però sotto sembianze umane. Mi arrischiai a chiederle: «Chi è il fortunato giovane rappresentato nell’affresco?». «Un amante infedele», fu la spiegazione evasiva. «Che uomo ingrato! - commentai - chiunque offenda e tradisca la vostra gentilezza, merita la morte». Kaylah ribatté: «Fareste bene a moderare l’asprezza del vostro linguaggio! Possedete un’indole troppo incline alla violenza e al dominio per comprendere il vero significato dell’amore
incondizionato. In ogni caso per tutto il tempo che resterete qui, vi prego di non avvicinarvi troppo a quella pittura murale». E con quest’ammonimento enigmatico concluse il dialogo. Mi adagiò di nuovo nel mio comodo giaciglio e mi offrì una tartina imburrata, (comparsa per Magia dalla mano vuota). Non appena l’ebbi deglutita avvertii sazietà e sopore. Sprofondai in un lungo sonno, costellato da immagini paradisiache, in cui ero accompagnato e vezzeggiato dalla splendida fata. Ci trovavamo nel meraviglioso giardino rappresentato nell’affresco, distesi sulle placide sponde del fiume. Avendomi concesso di poggiare il capo sul suo grembo, aveva iniziato ad accarezzarmi dolcemente il viso. Mentre sbocciava il più tenero clima confidenziale, fummo interrotti da un terrificante mostro, emerso da un burrone. Era costituito da membra appartenenti a più animali, e contorceva le enormi e numerose spire di serpenti. Con una di esse mi afferrò e mi scaraventò nel burrone, con un’altra afferrò la mia amica. Cercai di risalire, ma fui trafitto da un artiglio poderoso che mi squarciò il torace. Morivo tra mille imprecazioni, mentre il mostro portava via la mia Kaylah. Mi risvegliai sudato e spaventato, ma confortato dalla convinzione che fosse solo un incubo. Quale fu il mio orrore, quando mi accorsi che ero ferito al petto, grondante sangue copiosamente! Meno male che lì ero al sicuro! Invocai il soccorso della fata. Quest’ultima accorse subito in mio aiuto. Mi prese in braccio e mi applicò un impacco di erbe miracolose. Istantaneamente la ferita si cicatrizzò, tuttavia mi doleva ancora. Dopo averle raccontato il sogno, le chiesi spiegazioni. Mi rivelò che le infauste conseguenze dell’incubo si erano trasferite nella realtà, in virtù di un incantesimo da lei evocato. Avrei subito in tal modo il giusto castigo a tutte le uccisioni ingiustificate che avevo causato. Le brame di dominio e di vanità mi avevano spinto a procurarmi le carcasse di bestie quali trofei da esibire. Avevo sfogato nella caccia i miei più abietti impulsi, ed ora essi mi si ritorcevano contro. La pregai di addolcire la punizione, mi mostrai sinceramente pentito di tutto il male commesso, ma Kaylah si mostrò inflessibile: «Non implorate pietà! Voi stesso non ne avete mostrata quando avete alluso alla vendetta di una infedeltà sentimentale perpetrata nei miei confronti. Inoltre, non mi ritengo responsabile di alcunché. Non ho fatto altro che accelerare l’espiazione dei vostri peccati, anticipando e riunendo le sofferenze disseminate lungo gli anni a venire. In fondo dovreste essermi riconoscente, agisco in tal guisa esclusivamente per il vostro bene. Soprattutto se considerate l’offesa arrecatami attentando alla mia vita, quando ero mutata in lepre, mentre io ho difeso la vostra, a costo di essere annientata dal terribile Ussàrax, il lupo azzurro». La supplicai di perdonarmi e di svelarmi il motivo
dell’astio provato dallo stregone verso la sua persona. Non aveva forse preteso la sua mano, perché ora si comportava da villano? «Molti anni fa, - esordì la fata, - Ussàrax era un mago potente e saggio. Il Consiglio degli Alti Maghi istituì una gara di abilitazione, al cui vincitore fosse aggiudicato di proteggere il bosco di Melrea. Ussàrax ottenne la vittoria. Tutto andò per il meglio finché non s’innamorò di una mortale, una principessa. Prese a corteggiarla invano, poiché la ragazza, spaventata dalla prospettiva di legarsi ad un uomo dotato di poteri magici, preferì uno sposo dello stesso livello. Il mago, profondamente offeso scelse di vendicarsi, nel modo seguente. Un giorno che il principe si era recato nel bosco per un torneo di caccia, riunì tutti gli animali più feroci, stregandoli di un incantesimo che li rendesse invincibili, e li aizzò contro il rivale e il suo seguito, che furono barbaramente trucidati. Trascorso un po’ di tempo, rapì la principessa, sperando che finalmente si affidasse alla sua protezione, ma ottenne un secondo rifiuto, ancora più umiliante. La fanciulla sospettava che il mago fosse in qualche modo responsabile della morte del suo sposo e lo temeva. Ussàrax, che aveva ormai perso del tutto il senno, le riserbò una tragica fine. La trasformò in un debole agnello esponendola alla selvaggia e inospitale vita del bosco. Prima o poi sarebbe stata sbranata da qualche vorace predatore. Il consiglio degli Alti Maghi mi aveva incaricato di vigilare sul bosco in seguito agli eventi sanguinosi accaduti poco prima. Riuscii a salvare la principessa e a restituirle l’aspetto originario. Lo scempio verificatosi era un autentico abuso dei poteri magici. Ussàrax doveva essere punito! Fu deciso all’unanimità di privarlo della carica e dei poteri, nonché di trasformarlo in un lupo (la cui natura gli si addiceva a pennello). Poco dopo ci pentimmo di non averlo tramutato in un animale meno aggressivo e pericoloso. Avvilito e incapace di accettare la sconfitta, nelle vesti del lupo azzurro (colore scelto per distinguerlo facilmente dai comuni lupi), lo stregone si vendicò uccidendo tutti gli animali che incontrava, ma non per saziare la sua fame, bensì per il solo gusto di ammazzare. Posi un freno alla sua ferocia, attraverso la Magia, rendendolo privo dell’abilità di uccidere. Purtroppo però come avete constatato a vostre spese, non è del tutto inoffensivo. Recentemente è riuscito a riottenere il potere dell’invulnerabilità agli attacchi animali e umani, ingannando la mia buona fede. La mia conoscenza è illimitata per quanto concerne gli eventi ati, ma alquanto ristretta riguardo al presente e al futuro; in fin dei conti se fossi al corrente di ogni cosa, la vita per me non sarebbe altrettanto piacevole». «Perché non gli avete riservato lo stesso trattamento che avete applicato a me?»,
le domandai. «Le misure correttive applicate nei confronti dei mortali non sono altrettanto valide per gli esseri dotati di poteri magici. Inoltre quanto più uno stregone è abietto, tanto minore è il suo senso di colpa, ciò è dovuto alla consapevolezza di godere della vita eterna. Nessuno che abbia assaporato il piacere del dominio, può accontentarsi di vivere per sempre succube delle creature che aveva in precedenza assoggettato alla propria volontà. Credo che Ussàrax non si arrenderà mai, ha intenzione di recuperare tutti i suoi poteri, a qualsiasi costo. Mi odia perché ho rivelato la sua malvagità e sto ricoprendo il suo ruolo. Nel momento in cui smascherai la sua pessima natura, mi offrì l’alternativa di dividere la sua carica come sua sposa, altrimenti avrebbe fatto di tutto per sconfiggermi. Rifiutai l’offerta oltraggiosa e lo denunciai al Consiglio degli Alti Maghi, profondamente delusa e disgustata dal suo comportamento. Ora mi perseguita, corteggiandomi impaziente, e fingendo di essere cambiato. Il suo vero scopo è quello di approfittare di un mio momento di debolezza per impadronirsi degli antichi poteri. Ma ormai non mi ingannerà più. Spero di aver soddisfatto la vostra curiosità, o giovane re», concluse la fata. Mi sarebbe piaciuto chiederle ulteriori dettagli, ma decisi di non invadere un campo che non mi riguardava minimamente. Preferii che Kaylah mi svelasse di sua spontanea volontà, i segreti che la riguardavano; mi colpì l’assoluta fondatezza che davo alle sue parole. Cosa mi spingeva a crederle? E se si fosse trattata di un’altra malia? Vulnerabile com’ero, accettavo di buon grado le sue spiegazioni, evitando di approfondire la verità. In realtà temevo di scoprire qualcosa di spiacevole, che mi avrebbe privato di ogni speranza di salvezza. Ero propenso a fidarmi dell’aspetto esteriore delle cose: questo fu il mio più grande errore. Chissà cosa n’era stato dell’amante infedele immortalato nell’affresco! Quel pomeriggio decisi di non appisolarmi, per evitare di fare un altro incubo, ma le vivande offertemi da Kaylah sortirono il solito effetto. Lentamente scivolai nel torpore. I discorsi sul lupo azzurro dovevano aver influenzato la mia immaginazione più del previsto, poiché quella fiera fu, da quel momento, un’immancabile abitatrice dei miei sogni. Da principio fece delle apparizioni brevi e improvvise, interrompendo la mia beata contemplazione delle grazie sovrumane di Kaylah; poi la sua presenza divenne sempre più frequente, e sembrava mirasse a distogliere l’interesse crescente che nutrivo nei confronti della mia incantatrice. Il luogo che figurava nei miei sogni era costituito sempre dalla radura e dalle sponde del ruscello. Nella mia fantasia, in cui tengo a puntualizzare conservavo le mie sembianze normali, un insolito coraggio mi esortava a sedurre Kaylah, che si mostrava più arrendevole alle mie lusinghe, diversamente dalla realtà.
Quell’attimo di dolcezza, che avrebbe condotto all’ebbrezza dell’abbandono nell’amore, alle effusioni che tanto bramavo, era bruscamente e puntualmente interrotto dall’arrivo del lupo azzurro, che si limitava a spiarci con un severo e denigrante sguardo. Spezzata l’intimità, eravamo incapaci di rilassarci. Molte volte in cui ero assalito dai mostri, mi accorsi che lo stregone osservava compiaciuto la scena. Quando dichiarai finalmente il mio amore a Kaylah, la fata fuggì inorridita dalla mia vista, come se le avessi fatto chissà quale affronto. Forse questi esseri magici gradiscono stili di corteggiamento di altro tipo! Divenni molto triste. La compagnia di Kaylah era l’unica nota positiva delle mie esperienze nel bosco. Più di una volta desiderai che il mio supplizio terminasse con la morte inflittami da uno dei miei avversari. Questa situazione durò finché un altro strano e sconosciuto personaggio si introdusse nei miei sogni.
Un uomo d’età avanzata, dall’aspetto macilento e trasandato, goffo nei movimenti, ma simpatico perché sfortunato, divenne il mio sostenitore e amico. Di contro le apparizioni della fata e del lupo iniziarono a diradarsi. Il nome del vecchio era Nej. Era solito incoraggiarmi nei momenti d’abbattimento. Inoltre nel momento della sua comparsa, il lupo era assente. Il mio nuovo compagno mi disse: «Vostra Maestà, quale indicibile dispiacere mi suscita il vostro stato. Mi trovo rinchiuso in questa prigione boschiva da molto tempo, ma giudico immensamente ingiusta la vostra condizione: un monarca al pari di voi ne risentirà maggiormente di un misero menestrello di corte. Entrambi siamo governati da un essere crudele e mendace. Io ormai sono vecchio, ma un uomo valoroso, giovane e potente quale siete non dovrebbe arrendersi di fronte alle avversità». Consolato dalle sue esortazioni a reagire, gli chiesi di raccontarmi la sua storia. «I miei natali non sono illustri. Tuttavia ho avuto l’onore di nascere nella corte di un sovrano che governa un regno non molto distante da quello di Vostra Altezza. Durante la mia giovinezza allietavo la corte prestando i miei servigi e la mia arte. Fu allora che accaddero degli episodi sconcertanti e inspiegabili: la morte in circostanze misteriose di soldati, cacciatori e perfino del giovane erede al trono, che avevano attraversato il bosco di Melrea per recarsi nel reame situato dalla parte opposta per motivi commerciali. La “migliore” tesi trovata fu quella di attribuire la colpa ad un presunto agguato organizzato da malviventi provenienti dal regno di Ghor, con il cui re eravamo abituati a contrattare. Poco dopo scoppiò l’inevitabile guerra. Lo scontro vide vincitrice l’armata avversaria, ma vi
furono perdite ingenti da ambo le parti. Era stato richiesto l’arruolamento di soldati supplementari: chiunque fosse stato in grado di poter utilizzare un’arma, era stato costretto a partecipare. Non potei esimermi. Il motivo della nostra sconfitta consistette nel fatto che non tutti i soldati riuscirono ad attraversare il bosco (aggio obbligatorio), per giungere alle porte delle città nemiche. Ahimè, a quante barbare uccisioni ho assistito! Io stesso non riuscii a scampare all’inganno tessuto nei meandri di questa lugubre foresta! La maggior parte degli uomini fu massacrata da esseri demoniaci, le cui grottesche sembianze ricordavano vagamente quelle di animali deturpati orrendamente da morbi. I supersiti, per ingegno o per fortuna, furono rapiti e imprigionati da un essere malvagio celato da un aspetto bellissimo: Kaylah! Costretti ad essere straziati periodicamente dai mostri, e guariti solo per saziare il desiderio di violenza della demoniaca carceriera, morirono poco a poco di vecchiaia. Sono stato l’ultimo rimasto fino al vostro arrivo. Vostra Maestà, vogliate gradire i miei omaggi e i miei preziosi consigli. Dissipate il velo dell’illusione con cui la perfida strega ha bendato i vostri occhi: non sperate di riottenere la libertà scongiurando quella che credete una fata. Siete stato condotto qui unicamente per soddisfare il suo egoistico e sadico godimento. Con i suoi malefici ha trasformato i vostri sogni in incubi, vi sarete certamente reso conto che le conseguenze delle vostre fantasie notturne vi perseguitano ormai anche nella veglia. La vera ragione per cui quella malvagia creatura rimargina le vostre ferite è quella di rimandare il momento della vostra morte, prolungando e acuendo le vostre sofferenze!! Ora riuscite ancora a risvegliarvi, ma questo è solo l’inizio. Presto la veglia non si ripresenterà più!! Vivrete da quel momento in poi un lungo incubo, prigioniero di questo luogo e vittima impotente dei suoi invincibili mostri, mentre nel vostro palazzo si svolgono sanguinose lotte per la successione al trono. Ho scoperto troppo tardi l’unico modo per sfuggire a quest’orribile fine, però voi seguendo i miei suggerimenti potreste liberarvi». Attonito di fronte all’agghiacciante rivelazione, restai per un attimo senza parole, finché gli chiesi: «Com’è possibile che siate al corrente di tante informazioni che mi riguardano? Perdonatemi ma non so ancora se prestare fede al vostro racconto. Quanto avete affermato ribalta completamente la mia situazione. Sicché io sarei destinato a restare qui e soffrire fino alla morte?». Nej mi rispose con queste parole: «Mio amabile re, sono a conoscenza delle notizie riguardanti la vostra vita, in virtù dell’incantesimo stesso che mi relega in questa dimensione. Dall’affresco situato nell’antro della strega ho potuto osservare la vostra lenta agonia e…». «Come? L’affresco?!», esclamai interrompendolo.
«Sì, Vostra Altezza, la pittura parietale, da cui Kaylah desidera tenervi lontano, temendo che possiate capire la realtà». «E il lupo azzurro? Anche quella è una menzogna?», ribattei. E continuai: «No, mi sono imbattuto in quella strana creatura. Non posso credere assolutamente che sia un’invenzione della sua o della mia immaginazione». «Il lupo azzurro e quella strega non sono altro che la stessa entità», mi rivelò Nej, la sua frase si abbatté sui miei sensi come un pesante macigno. Sconvolto ma allo stesso tempo alquanto incredulo, mi svegliai zuppo di sudore e agitatissimo. Avevo bisogno di prove. Fino a quel momento avevo sopportato tutto senza ribellarmi, provando conforto nella compagnia della mia tenera fatina. Purtroppo il dubbio, che si era così abilmente intrufolato nei miei pensieri, turbando per sempre la mia pace m’indusse ad infrangere il divieto di osservare da vicino l’affresco. Saltellando sulle mie esili zampette, favorito dalla fiducia che Kaylah aveva riposto in me consentendomi di vagare indisturbato nel salone, giunsi nel posto desiderato. Fissando l’immagine, rappresentata con mirabile fedeltà all’originale, mi resi conto con enorme stupore che il leggiadro e aitante giovane non era altri che me stesso!! In lontananza, nel fitto del bosco individuai il bieco sguardo del lupo azzurro. Perché alla mia allusione alla pittura, la fata aveva detto che si trattava di un amante infedele? In fondo, non mi ero dichiarato che nei sogni, inoltre in quale modo l’avrei tradita? Mi trovavo in stato confusionale. Mentre mi avvicinavo alla parete per esaminare i dettagli dell’opera, avvertii un formicolio dalla punta dei piedi e risalente verso l’alto, mi sentii gradualmente sempre più debole. Ero risucchiato dall’affresco! Temevo di cozzare contro il muro, ma la parete era sparita, si trattava davvero di una porta dimensionale! Mi dibattei invano, finché Kaylah non accorse in mio aiuto, rimproverandomi di aver trasgredito le regole. Mi disse che rischiavo d’essere imprigionato nell’affresco, che costituiva l’ultimo sortilegio di Ussàrax, penetrato con l’inganno nel suo antro, tempo addietro. Mentre ero indeciso sul fare affidamento alle sue parole, fremetti al ringhio alle mie spalle: il lupo azzurro era dietro di me. Approfittando del varco dimensionale che avevo inconsapevolmente riaperto, era riuscito ad accedere al salone. La fata creò con la Magia una barriera protettiva intorno a me, e mi esortò a ritornare nel mio giaciglio, ma io volevo vedere come sarebbe andata a finire, quindi le rimasi accanto. Dopo aver finto di darmi la caccia per un po’, il lupo mostrò le sue reali intenzioni: riappropriarsi dei poteri sottrattigli. Credendomi invulnerabile in virtù dell’incantesimo mi avvinghiai alla sua coda. La fiera mi sballottò di qua e di là, allora decisi di mordicchiargli il didietro con tutta la forza che avevo (anche per vendicarmi della ferita inflittami). All’improvviso il suo pelo divenne
infuocato, a causa di un incantesimo scagliato da Kaylah. Abbandonai la presa e guardai impavido la scena. La bestia prese a contorcersi e ad ululare, poi raddoppiò le sue dimensioni, rivelando la metamorfosi. Riprese le sue originarie sembianze umane, che erano tutt’altro che spiacevoli. La sua bellezza era però sminuita da un demoniaco ghigno di derisione. La nostra attenzione fu ad un tratto rapita da un sonoro schianto avvenuto nella parte occidentale del salone, sembrava l’infrangersi di vetro. Infatti scoprimmo che Nej aveva fracassato le “preziose” statuette dagli orribili tratti. Esse racchiudevano nientemeno che i poteri di Ussàrax, accortamente separati. Occupati a contrastare il lupo non c’eravamo accorti della presenza del suo alleato. Il vecchio aveva dimostrato agilità e rapidità impressionanti, ed è superfluo rammentare che era riuscito ad ingannarmi con la sua spiegazione, facendomi dubitare delle buone intenzioni di Kaylah. Ma chi era in realtà? Ritenendolo un servitore del lupo, decisi di attaccarlo, ma sotto forma di roditore avrei potuto fare ben poco. Per questa ragione chiesi a Kaylah di ridarmi il mio vero aspetto, almeno per il tempo necessario per aiutarla. In men che non si dica, ritornai umano, mediante una formula magica. La mia amica ebbe l’accortezza di restituirmi anche i vestiti e la spada. Sfortunatamente i miei colpi non sortirono alcun effetto sul vecchio, trattandosi di un essere infernale. Come ebbi modo di capire in seguito, l’energia della fata scaturiva dalla foresta, mentre quella d’Ussàrax, dalle viscere della terra. Si era infatti alleato alle forze del male praticando la Magia nera. Coadiuvato dal o di Nej, aveva previsto il futuro, il mio arrivo e congegnato il piano per riottenere i suoi poteri. Per ingraziarsi le potenze malvagie aveva dovuto compiere stragi nel bosco. Il tributo che avrebbe dovuto pagare era la totale sottomissione al demone. Questi, introducendosi nei miei incubi e influenzandomi con la suggestione, aveva fatto in modo che tradissi la fiducia della mia amica. Poiché l’antro era protetto da una barriera invisibile, l’unico modo di accedervi era quello di creare una dimensione parallela, il cui collegamento fosse un mortale, cioè me. Kaylah, nonostante s’impegnasse al massimo delle sue possibilità si trovava visibilmente in difficoltà. Non aveva inferto allo stregone il minimo danno. L’intenzione d’Ussàrax era di imprigionarla per sempre nell’affresco. Me n’ero accorto vedendo che la fata durante la lotta si trovava con le spalle rivolte verso la parete maledetta. Facendola retrocedere, l’avrebbe spinta nell’altra dimensione. La avvertii della pericolosa situazione in cui si trovava, ma la fata non si mosse. All’improvviso le era venuta un’idea lampante. Indietreggiando più che poteva, finse di arrendersi, accasciandosi sul pavimento, ma nel momento in cui lo
stregone si slanciò su di lei per infliggerle il colpo di grazia, svanì, cosicché fu Ussàrax a precipitare nell’altra dimensione. Quindi Kaylah riapparve sigillando per sempre il varco con una formula magica. Purtroppo restava ancora il perfido demone che, nonostante non fossi in grado di battere, ero riuscito a tenere a bada fino all’esilio dello stregone, distraendolo anche con i discorsi. Lo rimproverai di avermi mentito e di aver architettato la vendetta d’Ussàrax, creando per lui un’altra dimensione. Il mostro che si era trasformato in leone alato, ruggì negando tutto quanto. Contrariamente alla mia ipotesi, ero stato io a creare la dimensione parallela, e Kaylah aveva conferito al mio mondo immaginario effetti che perdurassero anche nella realtà, allo scopo di punirmi. Soltanto io avrei potuto consentire loro l’accesso, perciò il lupo azzurro mi aveva risparmiato! Tuttavia doveva anche nutrire una sincera antipatia nei miei confronti a causa dell’intimità che c’era tra me e la fata. Solo io avrei potuto rimediare alle nefaste conseguenze del mio errore. Nej infranse la mia barriera protettiva, e se non fossi morto sotto suoi colpi, lo avrei fatto a causa del suo alito pestilenziale. Ero in fin di vita, ma il mio dolore sarebbe stato acuito vedendo la mia amata distesa esanime “ai piedi” dell’infida creatura. Poiché i Maghi sono immortali, l’aveva resa schiava di un sonno eterno. Il salone cominciò a tremare, era diventato instabile perché la sua preservatrice era stata sconfitta. Fu la disperazione stessa a spingermi a tentare l’ultima possibilità. Afferrai un’ascia e iniziai a colpire la parete dipinta; riuscii a scalfirne appena la superficie, poiché non di materia comune si trattava, bensì di un’opera di Magia. Nej, mi guardò sorpreso, e iniziò a sbeffeggiarmi: «La tua fatica è del tutto inutile, non puoi distruggere la dimensione parallela, quello non è altro che il varco d’accesso fisico, ma io sono affiorato dalla tua mente». Avevo compreso che per sconfiggerlo avrei dovuto uccidere me stesso, così il maleficio non avrebbe più avuto le basi su cui poggiarsi. Mentre mi accingevo a infliggermi una ferita letale, d’un tratto, tutta la struttura dell’edificio, già scossa per le lotte energetiche che n’avevano minato la resistenza, si sgretolò e implose su sé stessa. Dovevo essere svenuto di nuovo, quando ripresi conoscenza, credetti di trovarmi all’inferno. Al posto dell’enorme quercia vi era adesso un’enorme voragine. Kaylah mi sorrise dolcemente. «Cosa è successo?», le chiesi. Disse: « Il luogo non ha retto alle scariche d’energia e si è autodistrutto, la natura si è ribellata. Nej è ritornato nell’abisso da cui era emerso. Devo ringraziarvi per l’enorme coraggio che avete dimostrato. La vostra prigionia si è conclusa, siete libero di tornare a palazzo». Ancora frastornato, obiettai: «Non ho alcuna intenzione di lasciarvi, mia divina;
vi amo, il mio cuore, la mia anima e il mio corpo vi appartengono per sempre». Kaylah a dispetto delle mie speranze, mi respinse bruscamente. «Temevo che questo sarebbe accaduto! Mi dispiace contrariarvi, ma non gradisco i vostri favori, risparmiate i vostri sentimentalismi per colei cui spettano di diritto. Sopprimete il trasporto che vi rende ignobilmente infedele. La vostra amata consorte attende con ansia il vostro ritorno, non crucciatevi e sappiate che il bambino che reca in grembo è vostro». Detto questo svanì nel nulla e non la rividi mai più.