---------------------IL PENTATEUCO ---------------------1. Genesi 2. Esodo 3. Levitico 4. Numeri 5. Deuteronomio
raccontato nella sua interezza come una cronaca con citazione delle frasi più significative di ogni capitolo con brevi commenti per capire i i più problematici
PRESENTAZIONE
E’ noto quanto la Bibbia sia poco letta. Si può dire che la sua “non conoscenza” sia oggi il vero scandalo culturale del mondo cattolico, soprattutto in Italia; scandalo anche per le menti laiche più aperte, come Umberto Eco e altri, che auspicano lo studio di questo testo nella scuola pubblica. I motivi della poca familiarità dei cattolici italiani con il “Libro dei libri” sono, d’altra parte, ben noti.
E’ opinione comune che la responsabilità maggiore sia da attribuire alla gerarchia della Chiesa stessa che, nei secoli ati, non si fidava di mettere in mano ai fedeli la Bibbia integrale per paura che prendesse piede una sua interpretazione normativa privata, come si era verificato nei paesi protestanti. Con l’evento del Concilio Vaticano II, la sensibilità della Chiesa nei riguardi della diffusione della Bibbia è però radicalmente cambiata, portando a compimento le forti istanze per un ritorno alla Parola di Dio iniziate a sentirsi già un secolo prima. Oggi la conoscenza della Sacra Scrittura è promossa in tutte le forme, ma il danno provocato dai precedenti secoli è rimasto, e rimarrà ancora a lungo. Quasi tutti i fedeli lamentano - e questo è il secondo motivo - che la Bibbia, con i suoi 73 libri, sia troppo ampia e non si ha quindi il coraggio neanche di aprirla. In effetti, i libri non sono pochi, anche se la loro lunghezza media è notevolmente inferiore a quella di qualsiasi romanzo in circolazione. Il terzo motivo - il più serio - è che le Sacre Scritture, soprattutto i 46 libri dell’Antico (o Primo) Testamento, sono difficili da capire perché la loro formazione abbraccia un arco di tempo che si estende dal decimo secolo a. C. circa, fino al secondo secolo a. C. La Bibbia è difficile perché non presenta uno stile omogeneo. Infatti, lungo i secoli, i suoi redattori sono stati molti, e molteplici i generi letterari impiegati: solo per quanto riguarda i primi cinque Libri (il Pentateuco), i biblisti parlano di una confluenza in essi di varie tradizioni letterarie.
Vi si trovano inoltre citati, nell’intero arco delle Sacre Scritture, una gran quantità di nomi ed elenchi genealogici difficili da memorizzare; vi sono spesso ripetizioni di concetti e di racconti, contraddizioni, descrizioni di atrocità ate per volontà di Dio, ecc. Per tutto questo, l’impressione generale diffusa tra i fedeli è che il contenuto della Bibbia sia molto complesso e difficile da penetrare nei suoi significati profondi. Aprirla, però, è un po’ come frugare nello scatolone dove si tengono, sparse e in disordine, tutte le foto della propria storia famigliare: all’inizio prevale un po’ un senso di confusione, ma poi, prendendo in mano le foto una a una, gradatamente ci si ritrova, e con lo spirito si entra in contatto con la memoria di chi ci ha preceduto. Le difficoltà sopra elencate sono incontestabili, e tuttavia è assolutamente necessario che i fedeli ritornino alla familiarità con le Sacre Scritture, perché è su di esse - oltre che sulla Tradizione viva della Chiesa - che è fondata tutta la spiritualità cristiana. Ma una buona conoscenza della Bibbia è importante anche per chi credente non è, perché essa è il grande Codice della civiltà dell’Occidente. La segreta speranza dell’autore è che il presente lavoro invogli il lettore più esigente, o semplicemente più curioso, a leggere poi le Sacre Scritture nella loro interezza, per assaporarne tutta la bellezza letteraria e, soprattutto, per scoprirne l’infinita ricchezza di stimoli per lo spirito. A questo proposito, l’autore del presente lavoro suggerisce la lettura della Nuova versione della Bibbia dai testi antichi (Edizioni San Paolo), per la grande ricchezza di spiegazioni accessibili sia al lettore medio che alla persona di più ampia cultura; oppure, la consultazione dell’App BibleWord, che permette una navigazione interattiva e tridimensionale con l’iPad.
BREVE NOTA GENERALE SULLA BIBBIA
“La Bibbia”, parola che in greco significa “I Libri”, comprende “Antico (o Primo) Testamento” e “Nuovo Testamento”, il primo con 46 testi e il secondo con altri 27, per un totale di 73 libri. Il termine “Testamento” va inteso nel significato di “alleanza”, Alleanza tra Dio e l’uomo. Per Ebrei e Cristiani, le Sacre Scritture sono il racconto del particolare “interesse”, o amore, di Dio per l’uomo; un amore fuori dagli schemi umani, e che si dipana man mano nella Storia Sacra come un filo rosso che la tiene unita e le fornisce un senso profondo. Nei libri dell’Antico Testamento - gli unici presi in esame dal progetto “La Bibbia raccontata” - Israele è il popolo al quale Dio, con libera e misericordiosa iniziativa, ha offerto un patto di Alleanza, ma non per qualche suo particolare merito: i suoi peccati, infatti, come anche le sue virtù, sono lo specchio che riflettono peccati e virtù dell’umanità intera. L’Alleanza segna la storia del popolo ebraico, perché attraverso tutte le sue vicissitudini si snoda il misterioso progetto divino volto a preparare la venuta del Messia Salvatore, promesso fin dalle prime pagine della Sacra Scrittura per la Salvezza dell’umanità.
---------------------------------N.B. - I testi biblici originali citati nel libro dell’Esodo sono tratti dalla edizione “Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali”, curata da Edizioni San Paolo.
NOTA INTRODUTTIVA AL LIBRO DELL’ESODO
ESODO è il secondo dei primi cinque libri della Bibbia, chiamati Pentateuco (dal greco Pente, “cinque”, e Teuchos, “astuccio”); essi costituiscono la Torah o la Legge, fondamento della religiosità ebraica come anche di quella cristiana. Il primo libro, Genesi, contiene i racconti - della creazione, - delle origini dell’umanità, - e della chiamata da parte di Dio dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.
Esodo (dal greco Exodos) è il libro che narra l’uscita dall’Egitto dei discendenti di Giacobbe. La loro permanenza in terra egiziana è stata, in un certo senso, come un periodo di gestazione. Durante questo tempo, infatti, essi crescono di numero, e di quella civiltà evoluta e raffinata apprendono lo spirito organizzativo, che servirà loro a diventare, sotto la guida di Mosè, un popolo libero, il “Popolo di Dio”. Che la loro uscita dall’Egitto sia stata un’espulsione o una fuga non ha grande importanza; certo è che fu un’uscita traumatica, perché significava lasciare delle sicurezze - sebbene godute in situazione di schiavitù - per avventurarsi in terre sconosciute, incontrando spesso popolazioni ostili. I “Quaranta anni” (numero simbolico, più che reale) di peregrinazione nel semideserto servirono, al piccolo ed eterogeneo gruppo di fuorusciti, per amalgamarsi come “Popolo” con una identità ben definita, che si riconosceva nella fede nell’Unico Dio rivelatosi ai Patriarchi e a Mosè, al quale egli aveva svelato il proprio nome: Yhwh, tetragramma sacro che significa “Io sono colui che è”.
Al fatto storico dell’uscita dall’Egitto è legato l’episodio fondante dell’Ebraismo: la celebrazione della Pasqua (Pesach, in ebraico). Sul monte Sinai, il Signore stabilirà con il suo popolo un’Alleanza e gli affiderà le Dieci Parole, o Decalogo, come perenne Codice di comportamento. La fedeltà di Israele all’Alleanza con Yhwh venne però ben presto meno, come verrà raccontato nell’episodio emblematico del Vitello d’oro. Per l’accorata intercessione di Mosè, il peccato d’idolatria commesso dal popolo sarà perdonato; e il Signore, che non può mai venire meno alla propria parola, consegnerà nuovamente al suo Profeta le due Tavole della Legge che erano state distrutte. Dopo aver esposto le leggi relative all’Alleanza, il libro dell’Esodo si conclude con la costruzione del santuario mobile, la Dimora, Sede di Yhwh e simbolo della sua presenza in mezzo al popolo di Israele.
ESODO
MOSÈ, NASCITA E VOCAZIONE [capitoli 1-4]
Collegandosi strettamente al libro della Genesi, l’autore biblico inizia il testo dell’Esodo ricordandoci i nomi dei dodici figli di Giacobbe entrati in Egitto. Egli precisa che, con le proprie famiglie, essi raggiungevano il numero di “settanta”: annotazione numerica chiaramente simbolo di completezza e di perfezione, perché multiplo del numero 7, quanti sono stati i giorni impiegati per la creazione dell’universo. I nomi dei capi famiglia sono: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zàbulon, Beniamino, Dan, Nèftali, Gad e Aser; mentre Giuseppe era già in Egitto da tempo. Con il are di molte generazioni, sintetizza la Bibbia, I figli d’Israele prolificarono e pullularono, si moltiplicarono e divennero molto, molto forti, tanto che il paese si riempì di loro. Ma sorse sull’Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe, e disse al suo popolo: «Ecco, il popolo dei figli d’Israele è più grande e più forte di noi». Cap. 1
* Con queste parole l’autore biblico ci fa capire che, con il are del tempo, in Egitto gli equilibri sociali si sono modificati e che i discendenti di Giacobbe iniziano ora a contare realmente nella società, fino a essere percepiti come una minaccia per la sicurezza dello Stato. L’epoca di questi fatti è da collocarsi, presumibilmente, intorno alla metà del 1200 a. C., quando l’Egitto e tutto l’Antico Vicino Oriente furono scossi da grandi rivolgimenti.
Un faraone dell’epoca (del quale però non ci viene riferito il nome, ma probabilmente posteriore all’epoca di Ramses II) si vede costretto a prendere drastici provvedimenti nei riguardi dei discendenti di Giacobbe per limitarne l’espansione demografica, fino a ridurli in schiavitù: Gli imposero perciò [al popolo] dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerlo con i loro pesi, e costruì città-magazzino per il faraone: Pitom e Ramses. Ma più lo opprimevano, più si moltiplicava e straripava: e [gli Egiziani] ebbero paura dei figli di Israele. Cap. 1
Il panico invade il paese, e così il faraone escogita una feroce “soluzione finale” ordinando alle due levatrici ebree, Sifra e Pua: «Quando farete partorire le donne…
se è un figlio, uccidetelo; se è una figlia, lasciatela in vita». Cap. 1
L’ordine, naturalmente, non viene eseguito; e per questo rifiuto le due donne sono benedette da Dio, che “fece loro avere una famiglia”. Davanti al faraone, che le accusa di aver trasgredito le sue disposizioni, esse si difendono dicendo che le donne ebree, quando loro arrivavano sul posto, avevano già partorito, perché sono più forti delle donne egiziane. Il faraone si vede allora costretto a investire tutto il suo popolo del compito di salvaguardare la sicurezza della nazione. Per questo, autorizza gli Egiziani a gettare nel Nilo ogni maschio ebreo che nasce, mentre ordina di risparmiare le femmine. In questo contesto, una donna della tribù di Levi mette al mondo un bambino e lo tiene nascosto per tre mesi. Poi, non potendolo tenere oltre, lo depone in un cestello che abbandona tra i giunchi del fiume, facendolo però vigilare attentamente dalla sorellina.
La figlia del faraone scese per prendere un bagno al fiume… vide la cesta in mezzo al canneto e mandò la sua serva a prenderla. Aprì e vide dentro il bambino: era un fanciullo che piangeva. Ne ebbe comione e disse: «Costui è un bambino ebreo». Cap. 2
Intenerita, la principessa decide di adottarlo. Prontamente, la sorellina del bambino si fa avanti per proporle di trovare una nutrice. Come prevedibile, la ragazzina le porta la madre naturale, e a lei la figlia del faraone affida il piccolo per allattarlo. Una volta svezzato, il bambino viene portato a corte per essere educato secondo il rango della nobiltà egiziana. L’autore sacro ci dice che Fu per lei come un figlio, e lo chiamò Mosè, dicendo: «Io l’ho tirato fuori dall’acqua». Cap. 2
Nonostante viva a corte, Mosè non dimentica però le sue origini: egli - ci fa capire la Bibbia - sembra infatti frequentare “i suoi fratelli” che gemono ai lavori forzati. Ormai adulto, un giorno egli vede una guardia egiziana che percuote un Ebreo - “uno dei suoi fratelli”, viene ancora sottolineato - e la uccide, sicuro di non essere stato visto. Ritornato sul posto anche il giorno dopo, Mosè vede due Ebrei litigare tra loro e tenta di dividerli, cercando di far capire che dovrebbero considerarsi “fratelli”; ma quello che aveva torto gli si rivolta contro, lasciandogli intendere di essere a conoscenza dell’uccisione della guardia egiziana. Impaurito dal fatto che la cosa sarà presto risaputa anche a corte, Mosè scappa. E così avviene. Il faraone ordina quindi di arrestare e giustiziare il colpevole; ma questi si è già rifugiato nel territorio di Madian. Qui, stanco per il viaggio, l’illustre fuggitivo si ferma presso un pozzo dove arrivano anche le “sette” figlie di Reuel, sacerdote dei Madianiti, per abbeverare il proprio gregge. I pastori del posto tentano di scacciare le ragazze con prepotenza, ma Mosè le difende e fa abbeverare il loro gregge. Venuto a sapere dell’accaduto, Reuel ordina alle figlie di invitare a casa lo sconosciuto difensore, e lo ospita presso di sé.
Mosè accettò di abitare con quell’uomo, che gli diede in moglie Zippora, sua figlia. Costei partorì un figlio che Mosè chiamò Gherson, perché disse: «Sono stato ospite in un paese straniero». Cap. 2
* L’episodio di Mosè che difende le figlie di Reuel ci ricorda quello di Giacobbe (in Genesi) che fa abbeverare il gregge condotto da Rachele. Sebbene l’intento fondamentale dei due racconti biblici sia strettamente funzionale a descrivere il piano di Salvezza di Dio, che si realizza in ogni circostanza, tuttavia appare evidente che l’autore sacro intende presentare i due personaggi anche come “eroi”: non tanto però eroi “romantici”, ma uomini veri che sanno difendere la giustizia di Dio, la quale si manifesta sempre nella difesa del diritto dei più deboli, che in questi due casi sono le donne.
Il racconto continua con un’annotazione che inquadra la drammatica situazione sociale in cui i discendenti di Giacobbe continuano a trovarsi, ma che insieme apre all’azione di Dio: Frattanto, in quei lunghi giorni il re d’Egitto morì. I figli d’Israele gemevano per la schiavitù: gridarono, e la loro invocazione d’aiuto dalla schiavitù salì fino a Dio.
Dio udì il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo, con Isacco e con Giacobbe. Dio vide i figli d’Israele e se ne prese cura. Cap. 2
* Nel brano sono messe in parallelo la sofferenza del popolo d’Israele per lo stato di schiavitù e la misericordia di Dio, che “si ricorda” dell’Alleanza stabilita a suo tempo con i Patriarchi. Viene rimarcata, così, la fedeltà divina alle Promesse.
* La ripetizione del termine “Dio”, come soggetto che ascolta e vede (nella traduzione della CEI, è ripetuto addirittura quattro volte), illumina la vigile presenza divina che agisce prendendosi cura degli Israeliti. L’autore sacro afferma, in pratica, che il Signore non si estranea dalla storia degli uomini; e quello che a volte potrebbe sembrare il suo “silenzio” è solo un’assenza apparente e temporanea, perché al momento che egli ritiene opportuno interviene sempre a salvare il suo popolo.
Un giorno, pascolando in Madian il gregge del suocero Reuel (dal capitolo quarto in poi, sarà però chiamato Ietro, nome che proviene da un’altra tradizione biblica), Mosè arriva al monte Oreb dove ha un’esperienza religiosa che gli cambia la vita. Egli vede da lontano un roveto che, misteriosamente, brucia senza consumarsi.
Egli disse: «Ora mi sposto per vedere questo spettacolo grandioso: perché mai il roveto non brucia»… [Dio] lo chiamò dal mezzo del roveto e disse: «Mosè, Mosè!... Non avvicinarti: togliti i sandali dai tuoi piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo santo... Io sono il Dio di tuo padre, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe». Cap. 3
Invaso da un sacro timore, Mosè si copre il volto con il mantello, perché Dio non può essere “guardato” da un essere umano. La preoccupazione per le sofferenze dei discendenti di Giacobbe in schiavitù viene espressa dal Signore nell’atto di affidare a Mosè un’importante missione: «Ho visto l’oppressione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il suo grido… Voglio scendere a liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo salire da quella terra
a una terra buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele… E ora va’: ti invio dal faraone per fare uscire il mio popolo, i figli di Israele, dall’Egitto». Cap. 3
Così, inaspettatamente, Mosè si ritrova chiamato alla missione di Profeta e di Condottiero, in un’impresa per la quale però non si sente affatto all’altezza. Manifesta quindi a Dio i propri dubbi, per i titoli da presentare che sente di non avere, perché possa essere preso minimamente in considerazione sia dal faraone che dagli stessi Israeliti: «Chi sono io, perché mi dovrebbero credere?». Cap. 3
Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, il Signore non lo rincuora affatto dicendogli di non scoraggiarsi o di non sottovalutare le proprie qualità, perché sa bene che il suo prescelto è veramente inadeguato all’impresa. Infatti, per fargli capire chi sarà il vero e unico autore della Salvezza, gli risponde: «Io sarò con te, e questo è il segno che io ti ho inviato: quando avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte». Cap. 3
Segue quindi un dialogo serrato e drammatico tra Dio, che espone il suo piano, e Mosè che continua a rimanere dubbioso.
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dai figli d’Israele e dico a loro: Il Dio dei vostri padri mi ha inviato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. Che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono... Così dirai ai figli d’Israele: “Io-sono mi ha mandato da voi… Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”: questo è il mio nome per sempre…». Cap. 3
* “Io sono Colui che sono” è la traduzione del tetragramma sacro YHWH, composto da sole consonanti; ma intersecato dalle vocali, si pronuncia Jahvè. E’ da tener presente che, per sacro rispetto, gli Ebrei non pronunciano mai questo nome; al suo posto usano i termini “Adonài” (che significa “Il Signore”), oppure “Il Nome”. Sarebbe molto opportuno che anche i Cristiani, per rispetto dei “nostri fratelli maggiori” come li ha chiamati Giovanni Paolo II, non pronunciassero mai questo nome.
* “Io sono Colui che sono” o “Colui che è”, oppure “Io sono il Vivente”, sono solo espressioni che manifestano il tentativo di penetrare il misterioso Nome di Dio, che comunque la mente umana non potrebbe mai contenere e comprendere pienamente. L’interpretazione “Io sono il Vivente” lascerebbe intendere che l’uomo e l’intero creato sussistono solo perché Dio li sostiene continuamente con la sua volontà, cioè con il suo pensiero continuamente creante: in altre parole, se Dio “smettesse di pensarci” il creato sparirebbe semplicemente nel nulla. Un altro termine per indicare Dio nella Bibbia è “El”, oppure “Elohìm”, suo plurale. Questo nome, generalmente tradotto con “Dio”, proviene da una cultura religiosa molto arcaica e racchiude echi di politeismo, da cui anche la fede iniziale d’Israele era in qualche modo contaminata.
* L’espressione “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” è comunemente usata ancora oggi dagli Ebrei come anche dai Cristiani, perché viene citata nei Vangeli dallo stesso Signore Gesù, per sottolineare l’unicità della Rivelazione biblica.
Rivelato il proprio Nome Santissimo, Dio ordina a Mosè di riunire gli Anziani d’Israele e di esporre loro il progetto di Salvezza, per poi andare dal faraone e dirgli:
«Il Signore, Dio degli Ebrei, ci è venuto incontro; e ora lasciaci andare per il cammino di tre giorni nel deserto, e sacrificheremo al Signore, nostro Dio». Cap. 3
Dimostrando di essere colui che conduce realmente la Storia, il Signore rivela in anticipo al suo Profeta quelle che saranno le mosse del faraone, cioè la strenua resistenza che egli opporrà. Gli rivela inoltre che, di conseguenza, l’Egitto sarà colpito da molti “prodigi”, cioè da castighi, fino a che gli Israeliti non se ne potranno andare carichi di doni, concessi loro volentieri dagli stessi Egiziani, purché abbandonino al più presto il paese. Tuttavia Mosè continua a rimanere dubbioso, ha paura che il popolo non crederà che il Dio dei suoi padri gli abbia veramente parlato. Per convincerlo, il Signore opera allora alcuni segni straordinari davanti al suo profeta, segni che lui stesso dovrà ripetere davanti agli Israeliti perché gli accordino fiducia: - il suo bastone, gettato per terra, si tramuta in un serpente; ma poi, afferrato dalla parte della coda, il serpente torna nuovamente ad essere il bastone originario; - introdotta tra le pieghe della veste, all’altezza del petto, la mano di Mosè diventa come lebbrosa; ma, nuovamente introdotta tra le pieghe, ritorna sana; - se poi, nonostante questi segni, il popolo rimanesse incredulo, egli dovrà prendere dal Nilo un po’ d’acqua e versarla sulla terra asciutta, e l’acqua diventerà sangue.
Mosè, comunque, dubita ancora. Così, per liberarsi dal gravoso compito che il Signore gli vuole affidare, egli accampa come scusa la difficoltà di non essere un buon parlatore, perché “io sono pesante di bocca e di lingua”, cioè balbuziente. Yhwh rincuora pazientemente il suo Profeta dicendogli che sarà lui stesso a mettergli sulla bocca quello che dovrà dire. Ma neanche quest’ultima rassicurazione è sufficiente a convincerlo; anzi, Mosè trova finalmente il coraggio di dire con franchezza al Signore di mandare un altro al suo posto! Di fronte a tanta ostinazione e mancanza di fede, leggiamo nella Bibbia: L’ira del Signore si infiammò contro Mosè e disse: «Non c’è forse Aronne, tuo fratello, il levita? So che è buon parlatore… [Tu] gli parlerai e metterai le parole nella sua bocca, e io sarò con la tua bocca e con la sua bocca, e vi istruirò su quello che dovrete fare. Sarà lui a parlare per te al popolo… E quanto a questo bastone, prendilo nella tua mano: con quello farai prodigi». Cap. 4
* La pazienza del Signore l’abbiamo già vista all’opera con Abramo, nel libro della Genesi, quando il Patriarca “contratta” con Dio per salvare i pochi giusti di Sodoma e Gomorra. Ma con Mosè – che, a Dio, risponde in pratica di essere lasciato in pace e di cercarsi un’altra persona per i suoi progetti - la misericordia e la pazienza divina, come anche la sua fedeltà alle Promesse, appaiono in tutta la loro grandezza. Concedendogli l’aiuto del fratello Aronne, il Signore sembra “cedere” alle resistenze del suo Profeta, sembra cioè venire a patti; ma, d’altra parte, il Signore non recede dal suo progetto: Mosè rimane colui che egli ha scelto, e quindi dovrà rimanere il proprio rappresentante, perché a lui ha affidato “il bastone” del comando.
* In quanto ad Aronne, che a prima vista sembra un personaggio strappato dall’anonimato e tirato a forza dentro la Storia Sacra, vedremo invece il compito provvidenziale che il Signore gli assegnerà.
* Mosè sembra essere l’opposto di Abramo: tanto docile e fiducioso in Dio quest’ultimo, quanto dubbioso e pieno di paure l’altro. La Bibbia è una lunga erella di personaggi dai caratteri più diversi e contrastanti, buoni e cattivi, forti e deboli, feroci e misericordiosi. Si può dire che la Storia Sacra sia una grande vetrina dove sono esposti tutti gli articoli caratteriali dell’intero genere umano. È con questa umanità, segnata fortemente dalla fragilità del peccato, che Dio è “costretto a trattare” per portare avanti il suo piano di Salvezza, dettato solo dall’amore incondizionato che egli ha verso l’uomo.
Di fronte alla “collera” divina, Mosè finalmente cede accettando la missione per la quale Yhwh lo ha destinato. Così, egli si accommiata da Ietro, il suocero, che lo benedice prima di partire per l’Egitto insieme alla moglie e ai figli. Siamo di fronte alla ripetizione dell’esperienza religiosa di Abramo, che lascia la sua terra e le sue sicurezze per eseguire la volontà di Dio, mettendosi in
cammino verso una mèta misteriosa tutta da decifrare. L’autore sacro chiude il racconto della partenza per l’importante missione con le parole: E Mosè prese il bastone di Dio in mano sua. Cap. 4
Per sottolineare ancora una volta chi sia il vero padrone della Storia, il Signore ricorda nuovamente a Mosè come il faraone reagirà: «…vedi tutti i prodigi che ho messo in mano tua: li farai davanti al faraone, ma io renderò duro il suo cuore e non manderà via il popolo. E dirai al faraone: “Così ha detto il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Ti avevo detto: Manda mio figlio, perché mi serva, e non hai voluto mandarlo via. Ecco, io faccio morire il tuo figlio primogenito”». Cap. 4
* Israele è chiamato per la prima volta “il mio figlio”, espressione che nella Bibbia ricorrerà altre volte sulla bocca di Dio per indicare il suo popolo.
* Le frasi “io renderò duro il suo cuore…io faccio morire il tuo figlio primogenito” oggi ci scandalizzano non poco, se le consideriamo alla luce del concetto di Dio che abbiamo appreso dal Vangelo; esse sembrano infatti trasmetterci l’immagine di un Dio “gran burattinaio”, padrone assoluto e anche un po’ spietato, invece che misericordioso. Occorre allora tener presente che l’idea di Dio, nella Bibbia, è un’idea in continua evoluzione o, più esattamente, “in continua rivelazione”, fino ad arrivare all’immagine perfetta del “Padre misericordioso” rivelataci da Gesù, che dichiarerà di essere venuto “per dare compimento” alla Legge e ai Profeti.
* Gli scrittori dell’Antico Testamento, circondati dalle culture politeiste dell’epoca, difendono con determinazione l’Unicità del Dio che si è rivelato ad Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè; ed è esattamente per questo che gli autori biblici, esprimendosi con molta semplicità, non si fanno scrupolo di attribuire a Yhwh stesso l’origine anche dei mali che accadono su questa terra: lo fanno per non dare alcuno spazio al riconoscimento di una qualche “divinità del male”, divinità presenti invece nelle religioni pagane. Ecco quindi la “necessità teologica” di affermare che il Dio dei Patriarchi è “autore”, oltre che del bene, anche dei mali o “castighi” che cadono sull’uomo, e può inoltre prevedere anche il futuro, mostrandosi così come l’Unico Signore della Storia. Occorre tener sempre presente, per inquadrare bene questi testi, che siamo in un’epoca dalla religiosità arcaica, lontana dalle profondità del pensiero teologico odierno.
Durante il viaggio di Mosè verso l’Egitto, si verifica un episodio misterioso quanto enigmatico, che ci dà l’idea di essere davanti a una religiosità dal sapore sempre molto arcaico. Esso è da interpretare alla luce del comando tassativo che,
nel libro della Genesi, Dio aveva dato ad Abramo di “circoncidere ogni maschio” della sua casa. Per l’autore sacro, sembra che Mosè non abbia ancora ottemperato a quel fondamentale comando sia nei riguardi di sé stesso che dei figli. La “negligenza” di Mosè la si potrebbe spiegare col fatto che egli è probabilmente ancora influenzato dalla formazione ricevuta alla corte del faraone, dove la circoncisione non solo non era praticata, ma era ritenuta addirittura un abominio. In sintonia con l’arcaicità dell’episodio, ma soprattutto per affermare che l’ordine divino di circoncidere ogni maschio non può essere disatteso, senza mettere in pericolo l’identità religiosa di Israele, leggiamo: E avvenne che nel cammino… il Signore lo raggiunse e cercò di farlo morire. Zippora prese un silice e tagliò il prepuzio di suo figlio, toccò i suoi piedi [leggi “i genitali di Mosè”] e disse: «Mio sposo di sangue sei per me». E [il Signore] si ritirò da lui. Cap. 4
* Nello strano episodio si allude a quella che in ebraico viene chiamata la “pena del careth”, menzionata in Genesi quando il Signore impone ad Abramo la circoncisione: “Il maschio non circonciso… sarà eliminato dal suo popolo”. A detta degli studiosi biblici, questa “eliminazione” può significare “morte immatura”, oppure “distruzione della discendenza”, oppure “esclusione dell’individuo dal popolo ebreo, del quale la sua colpa lo rende indegno”. In
questo episodio sembrano prevalere le prime due interpretazioni.
A questo punto del racconto entra in scena Aronne. Questi, illuminato dal Signore, va incontro a Mosè nel deserto, e da lui viene messo al corrente di quanto gli è capitato e del progetto di Salvezza rivelatogli. Dopo essersi consultati a lungo, i due fratelli convocano Anziani e popolo. Aronne - designato ad essere “la bocca” di Mosè - espone loro il progetto di liberazione dalla schiavitù che Dio ha intrapreso. Davanti ai segni straordinari che vengono compiuti, come era stato comandato dal Signore, gli Israeliti si convincono e accettano Mosè come Profeta e Condottiero; poi si prostrano per ringraziare Dio.
DAVANTI AL FARAONE [capitoli 5-6]
Ottenuta la fiducia di Anziani e popolo, Mosè ed Aronne si presentano al faraone per esporre le richieste: «Così ha detto il Signore, Dio d’Israele: “Lascia andare il mio popolo a celebrare una festa per me nel deserto”». Il faraone disse: «Chi è il Signore, perché io ascolti la sua voce e lasci andare Israele? Non conosco il Signore, né lascio partire Israele». Cap. 5
I due uomini di Dio insistono nella richiesta di potersi allontanare per una distanza quanto “un cammino di tre giorni” e poi offrire un sacrificio al Signore. Il faraone non si lascia convincere dalla motivazione religiosa, e interpreta la richiesta come una semplice scusa per abbandonare l’Egitto, privandolo così di un’indispensabile forza lavoro. La richiesta è quindi decisamente respinta e, inoltre, viene intimato loro di non distogliere la popolazione dal lavoro. Non solo, ma il faraone contrattacca accusando gli Israeliti di essere dei “fannulloni”; e per questo ordina ai sovrintendenti egiziani di costringerli a procurarsi da se stessi la paglia per fabbricare i mattoni; paglia, che prima veniva
invece fornita dalla stessa direzione dei lavori. Una prova di forza che vede il faraone vincente. Per costringerli, viene usata la violenza fisica anche contro i capigruppo ebrei dei lavoratori, che, esasperati, protestano davanti al faraone. Questi però non cede; anzi, insultandoli, li accusa nuovamente di essere solo dei fannulloni. Così, gli Israeliti si piegano a raccogliere loro stessi la paglia, mantenendo anche invariata la quantità di mattoni che facevano prima. A questo punto, gli Anziani del popolo affrontano i due uomini di Dio e scaricano su di loro la responsabilità del peggioramento della situazione. A Mosè, scoraggiato, non rimane che lamentarsi angosciato: «Signore, perché fai del male a questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone a parlare in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo, e tu non liberi il tuo popolo». Cap. 5
Yhwh rincuora il suo Profeta assicurandogli che presto assisterà a quanto egli farà al re dell’Egitto, e che sarà questi stesso a prendere l’iniziativa di mandare via gli Israeliti dal paese. Mosè deve solo avere fiducia, perché è solo a lui che egli ha rivelato il proprio Nome (Io-sono, Yhwh), Nome che non aveva fatto conoscere neanche ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe. Infine, Dio lo rassicura dicendogli di “aver udito” il lamento di Israele e di “ricordare” bene l’Alleanza che egli ha fatto con i Patriarchi; per questo gli ordina:
«Perciò di’ ai figli d’Israele: “Io sono il Signore, vi farò uscire dalle fatiche dell’Egitto, vi libererò dalla loro servitù e vi riscatterò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò per me come popolo e sarò per voi Dio… E vi condurrò alla terra per la quale ho alzato la mia mano giurando di darla ad Abramo, Isacco e Giacobbe, e ve la darò in eredità: Io, il Signore». Cap. 6
Il brano, che appare come una ripetizione, sembra essere un secondo racconto della vocazione di Mosè, ma proveniente da un’altra tradizione; comunque, il Profeta di Dio riferisce le parole di speranza al popolo stremato, senza però essere ancora creduto. Il Signore insiste nel rimandarlo nuovamente dal faraone per intimargli di lasciar partire gli Israeliti. Di fronte al nuovo ordine, Mosè non sa cosa fare e si lamenta sconsolato: «Ecco, i figli d’Israele
non mi hanno ascoltato: come mi ascolterà il faraone?... Cap. 6
Il Signore non prende neanche in considerazione l’obiezione e insiste che, insieme ad Aronne, egli parli ancora una volta al popolo e al re dell’Egitto.
* Considerato da un punto di vista semplicemente politico, lo scontro tra Mosè e il faraone appare come una lotta di liberazione di un popolo dal dominio di un altro. Questa lettura è certamente corretta e in questo senso diventa emblematica, perché assurge a simbolo dell’universale anelito dei popoli alla libertà. Tuttavia, l’intera storia di Mosè si presenta anche con una dimensione più profonda, di natura squisitamente religiosa. Non si tratta solo di uno scontro come tanti altri nella Storia, tra forze sociali o tra nazionalità per ridefinire ruoli o confini, che, per varie ragioni, sono mutati col tempo. Secondo questa lettura, gli attori della propria liberazione sarebbero unicamente gli uomini con le proprie aspirazioni perseguite con determinazione. Ora, la Bibbia è il libro che fin dalla sua prima pagina narra una storia di “Salvezza promessa”, iniziata e portata avanti esclusivamente da Dio a favore degli uomini e spesso, anzi quasi sempre, contro le loro resistenze. E’ necessario leggere l’intera storia di Mosè in questa ottica per capirne il vero messaggio religioso, unico obiettivo della Bibbia.
A questo punto del racconto, come spezzandone l’unità, è riportata la genealogia di Mosè e Aronne. Veniamo così a conoscere il nome della loro madre, Iochebed, e del padre Amram che visse “centotrentasette anni”, entrambi della tribù di Levi. Il breve elenco dei loro ascendenti e discendenti, che appare come uno spezzone letterario proveniente da un’altra tradizione, si pone a chiusura di quanto raccontato fin qui.
Da questo momento in poi inizia, narrato nei capitoli che seguono, il drammatico confronto tra la determinata volontà di Yhwh, mediata da Mosè e Aronne, e quella del faraone.
I DIECI FLAGELLI [capitoli 7-11]
L’autore biblico inizia questa sezione di capitoli ricordandoci ancora, ma brevemente, quanto già detto precedentemente a Mosè dal Signore; e aggiunge che Yhwh, per incoraggiare il suo Profeta, lo consola dicendogli di averlo posto a fare le sue veci, mentre Aronne - come già sappiamo - si dovrà limitare a riferire al faraone, da buon comunicatore qual è, quanto Mosè gli dirà. All’epoca, i due fratelli hanno, rispettivamente, uno “ottanta” e l’altro “ottantatre” anni. L’età avanzata sottolinea l’importanza del compito che essi devono portare a termine, compito che richiede la saggezza di una lunga esperienza di vita. Il racconto continua con la pretesa da parte del faraone che i due uomini di Dio avvalorino con “un prodigio” le loro parole. L’ordine del Signore è che Aronne, a un comando di Mosè, getti per terra il proprio bastone perché diventi un serpente, o un drago.
Aronne gettò il suo bastone davanti al faraone e davanti ai suoi servi, e diventò un drago. Ma anche il faraone chiamò sapienti e incantatori, e anche i maghi dell’Egitto coi loro sortilegi fecero così.
Ognuno gettò il proprio bastone, che diventò drago, ma il bastone di Aronne ingoiò i loro bastoni. Tuttavia il cuore del faraone restò duro e non li ascoltò, come aveva detto il Signore. Cap. 7
All’ennesimo rifiuto di ubbidire, seguono i Dieci flagelli (detti anche “Piaghe”) che si abbatteranno sull’Egitto, uno per volta, come castighi apocalittici. Le Dieci sventure appartengono tutte all’ambito dei fenomeni naturali; l’ultima, la più tragica, colpirà l’intera società egiziana nei suoi figli.
* Come interpretare il racconto delle Piaghe? Certamente non in senso letterale, perché ci troveremmo di fronte a un’infinità di obiezioni molto sensate da spiegare, esattamente come per il racconto del Diluvio universale nel libro della Genesi. Inoltre, questo famoso racconto evoca, per le inflessibili punizioni applicate agli Egiziani, l’imbarazzante interrogativo se Yhwh non sia per caso un Dio vendicativo, invece che un Dio misericordioso. I capitoli che seguono vanno interpretati, evidentemente, in senso simbolico, cioè nell’ottica religiosa della Salvezza promessa da Dio fin dall’inizio. Salvezza che, per l’autore biblico, è in continua fase di realizzazione nella storia umana, sempre contrassegnata però dal peccato originale, fonte - non dimentichiamolo! - di tutti i mali dell’uomo.
La Bibbia colloca i Dieci flagelli all’interno di uno schema preciso, che si può riassumere in questi termini:
- Dio ha scelto Mosè come suo Profeta e Condottiero affinché, con l’aiuto del fratello Aronne, trasmetta i suoi ordini al re dell’Egitto. - L’ordine per il faraone è, puntuale prima di ogni castigo, sempre lo stesso: “…manda via il mio popolo, perché mi serva nel deserto…”. Cap. 7 - La volontà di Dio deve essere sempre eseguita affinché si compia il suo progetto di Salvezza. - Chi si mette di traverso al progetto divino subisce la “punizione”, nel senso che l’uomo si accolla la responsabilità delle conseguenze che il suo rifiuto di obbedire provoca; anche le conseguenze più estreme. - Dopo ogni singolo flagello, il faraone si ostina a non dare ascolto. Ragionando solo con ottica politica ed esercitando un brutale potere, egli non sa vedere l’opera di Dio nell’orizzonte umano, non sa cioè identificare il “segno dei tempi”. - Qualche volta (come dopo il 7°, 8° e 9° flagello) il re dell’Egitto sembra stia per cedere col fare qualche parziale concessione, che però Mosè respinge perché non è tutta la piena volontà di Dio: Yhwh non tratta sul progetto di Salvezza da lui ideato. - L’ostinazione del faraone è attribuita al Signore stesso (“Sono Io che ho appesantito il suo cuore e il cuore dei suoi servi”), per dimostrare l’Unicità del Dio che si è rivelato: non esiste cioè altra divinità, neanche una divinità del Male che possa essere causa della caparbietà del re dell’Egitto. - L’ordine di ogni singolo castigo parte sempre da Dio, che sottolinea varie volte di essere solamente lui l’artefice della liberazione d’Israele: “Farò uscire dalla terra d’Egitto il mio popolo… con questo saprai che io sono il Signore”. - I fenomeni naturali che si abbattono sull’Egitto come castighi sono opera unicamente di Dio. Solo due volte, nel 1° e 2° flagello, i maghi del faraone riescono a ripetere lo stesso prodigio, e questo fatto dimostra la netta superiorità del Dio d’Israele sulle altre divinità.
- Per sottolineare la misericordiosa protezione divina verso il suo popolo, l’autore biblico precisa varie volte che gli Israeliti e il loro territorio non vengono mai toccati da nessuna delle Dieci calamità. Ecco l’elenco delle famose Piaghe.
Primo flagello [Aronne] alzò il suo bastone e colpì l’acqua che era nel fiume Davanti agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi servi, e tutta l’acqua…si cambiò in sangue. I pesci…morirono, il fiume puzzò, e gli Egiziani non poterono berne le acque. Vi fu sangue in tutto il paese d’Egitto. Cap. 7
Secondo flagello Il Signore disse a Mosè: «Entra dal faraone e digli: … “Il fiume pullulerà di rane: saliranno e verranno nella tua casa,
nella camera dove riposi e sul tuo letto, nella casa dei tuoi servi e tra il tuo popolo, nei tuoi forni e nelle tue madie”»… Cap. 7
Terzo flagello Aronne stese la sua mano con il suo bastone e colpì la polvere del suolo, e ci furono zanzare sugli uomini e sulle bestie: tutta la polvere del suolo diventò zanzare, in tutto il paese d’Egitto. Cap. 8
Quarto flagello Vennero in massa i mosconi nella casa del faraone, nella casa dei suoi servi e in tutta la terra d’Egitto: il paese fu devastato dai mosconi. Cap. 8
Quinto flagello E il Signore fece questo il giorno seguente: tutto il bestiame posseduto dagli Egiziani morì, mentre delle bestie dei figli d’Israele non ne morì una. Cap. 9
Sesto flagello [Mosè e Aronne] presero dunque della fuliggine di fornace, si tennero davanti al faraone: Mosè la gettò verso il cielo e diventò ulcera pustolosa con eruzioni su uomini e animali. Cap. 9
Settimo flagello La grandine colpì in tutto il paese d’Egitto tutto quello che c’era nella campagna, dall’uomo all’animale;
la grandine colpì tutta l’erba del campo e spezzò tutti gli alberi della campagna. Cap. 9
Ottavo flagello Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul paese d’Egitto per le cavallette…». [Esse] coprirono la superficie di tutto il paese e oscuratono la terra: mangiarono tutta l’erba della terra, ogni frutto dell’albero lasciato dalla grandine; niente di verde restò sugli alberi e dell’erba del campo in tutto il paese d’Egitto». Cap. 10
Nono flagello …ci fu buio cupo in tutto il paese d’Egitto per tre giorni.
Nessuno vide il proprio fratello e nessuno si alzò in piedi per tre giorni... Cap. 10
Il capitolo 11 inizia anticipandoci l’ultimo flagello, il decimo e risolutivo, che darà la svolta al confronto tra Yhwh e il faraone.
Il Signore disse a Mosè: «Ancora una piaga farò venire sul faraone e sull’Egitto: dopo di che vi manderà via di qui…». Cap.11
Nel frattempo, come ci fa capire la Bibbia, sembra maturata nell’opinione pubblica del regno una nuova consapevolezza del problema socio-politico rappresentato dal popolo d’Israele e dal suo Condottiero; lo fanno capire le parole: Il Signore concesse grazia al popolo agli occhi degli Egiziani: anche Mosè era un uomo molto grande in terra d’Egitto, agli occhi dei servi del faraone e del popolo. Cap.11
Approfittando del momento favorevole, Mosè esorta gli Israeliti perché, lasciando il paese, si facciano consegnare dagli Egiziani, ciascuno dal proprio vicino, oggetti d’oro e d’argento in risarcimento per le ingiustizie subite. I due uomini di Dio si presentano quindi di nuovo al faraone, rimasto sempre ostinato nel suo rifiuto, per annunciargli: «Così Ha detto il Signore: “A metà della notte io uscirò in mezzo all’Egitto, e morirà ogni primogenito… dal primogenito del faraone che siede sul suo trono fino al primogenito della serva che sta dietro alla mola, e ogni primogenito del bestiame. Ci sarà un grande grido in tutto il paese d’Egitto, come non c’era mai stato e come non ci sarà. Ma contro i figli d’Israele neppure un cane aguzzerà la sua lingua… perché sappiate che il Signore
fa distinzione tra l’Egitto e Israele”». Cap.11
Ma il potente re non cede neanche davanti a quest’ultima terribile minaccia. Allora, “pieno d’ira”, il grande Profeta si allontana da lui dichiarando che non l’avrebbe mai più incontrato.
LA PASQUA E MORTE DEI PRIMOGENITI [capitoli 12 – 15]
Il periodo dell’anno in cui avvengono i fatti che danno origine all’istituzione della Pasqua ebraica è il mese di Nisan, inizio dell’anno nel calendario ebraico e corrispondente al nostro periodo Marzo-Aprile. A Mosè e Aronne, Dio ordina: «Questo mese, per voi, sarà in testa ai mesi, per voi sarà il primo tra i mesi dell’anno. Parlate a tutta la comunità di Israele dicendo: “Il dieci di questo mese ognuno prenda per sé un agnello per famiglia, un agnello per casa… Sarà un agnello integro, maschio, di un anno, lo prenderete dalle pecore o dalle capre. Lo conserverete presso di voi fino al quattordicesimo giorno
di questo mese, e tutta l’assemblea della comunità di Israele lo sgozzerà tra le due sere [cioè lo immolerà al tramonto]. Prenderà poi del sangue e lo metterà sui due stipiti e sull’architrave di quelle case dove lo si mangerà… Così lo mangerete: con i vostri fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano. Lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore. In quella notte attraverserò il paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito in terra d’Egitto, dall’uomo alla bestia, e farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto: io, il Signore. E il sangue sarà per voi un segno sulle case nelle quali siete:
vedrò il sangue e vi oltreerò e non ci sarà per voi un flagello del distruttore, quando colpirò il paese d’Egitto. Quel giorno sarà per voi un memoriale, e lo festeggerete come festa del Signore: nelle vostre generazioni lo festeggerete come prescrizione perenne”». Cap. 12
Vengono quindi date altre precise e severe disposizioni sulle modalità della celebrazione della Pasqua (Pesach, in ebraico; parola che significa “aggio del Signore”): - La festa durerà 7 giorni, dal 14 al 21 del mese di Nisan; - in questa settimana non si potrà fare alcun lavoro, ma è permesso preparare da mangiare; - durante i 7 giorni della festa non si potrà usare il lievito: si mangeranno solo pani azzimi, in ricordo della fretta che gli Israeliti avevano di uscire dall’Egitto e per cui non ebbero il tempo di far lievitare la pasta; - chi non osserva queste fondamentali disposizioni si autoesclude dall’identità israelita, e la comunità lo deve “eliminare” (si tratta della pena del “careth”, che può essere interpretata, nel caso, come allontanamento dalla comunità).
Mosè convoca gli Anziani d’Israele e ordina che ogni famiglia: - si procuri un agnello come prescritto dal Signore;
- lo immoli - segni con il suo sangue, usando un ramo d’issopo, l’architrave e gli stipiti della propria casa; - nessuno della famiglia deve uscire di casa fino al mattino; - quando il Signore “erà” per colpire i primogeniti degli Egiziani, - vedrà gli stipiti segnati dal sangue dell’agnello, e “erà oltre” senza colpire i figli degli Israeliti.
A memoria perenne per Israele, Mosè fa la solenne raccomandazione che ancora oggi gli Ebrei recitano quando celebrano “Pesach”: «Voi osserverete questo come una prescrizione, per te e i tuoi figli, per sempre. Quando entrerete nella terra che il Signore vi darà, come ho detto, osserverete questo rito. E quando i vostri figli vi diranno: “Che cos’è questo rito?”, direte: “È il sacrificio della Pasqua del Signore, che ò oltre le case dei figli d’Israele in Egitto, quando colpì l’Egitto
e risparmiò le nostre case”». Cap. 12
Così, immolati gli agnelli il 14 del primo mese dell’anno, gli Israeliti si rinchiudono nelle proprie case per consumare il primo Pasto pasquale secondo le prescrizioni appena stabilite, e per attendere il mattino.
A metà della notte il Signore colpì tutti i primogeniti nel paese d’Egitto, dal primogenito del faraone, che siede sul trono, fino al primogenito del prigioniero che è in carcere, e tutti i primogeniti degli animali. Il faraone si alzò di notte, lui, tutti i suoi servi e tutto l’Egitto, e ci fu un grande grido nell’Egitto, perché non c’era casa dove non ci fosse un morto! Cap. 12
Di fronte alla tragedia che ha colpito la nazione, il faraone convoca Mosè e Aronne nella stessa notte per concedere finalmente agli Israeliti il permesso di lasciare l’Egitto con tutti i propri averi. Scosso dal tragico evento, il potente sovrano sembra anche avere un momento di
sincero pentimento, perché arriva a chiedere di essere benedetto, lui stesso, dai due uomini di Dio. Per paura di peggiori punizioni, annota la Bibbia, adesso sono gli stessi Egiziani che sollecitano la partenza degli Israeliti, offrendo loro oggetti d’argento e d’oro in quantità: “Così essi spogliarono gli Egiziani”, sottolinea l’autore biblico con una punta di rivalsa per tutte le ingiustizie subite dal popolo d’Israele. Il mattino dopo la strage dei primogeniti, gli Ebrei partono in numero di “seicentomila uomini adulti” e a loro si unisce anche “una gran folla” di gente promiscua. Insieme alle masserizie, per la fretta di fuggire, gli Israeliti portano con sé anche le madie del pane azzimo, cioè non ancora lievitato. Gli anni della permanenza in Egitto dei discendenti di Giacobbe, viene precisato secondo un computo ideale, fu di “quattrocentotrenta anni”.
* Il dato numerico di 600.000 uomini adulti appare storicamente esagerato, anche considerando la “gran folla” di gente promiscua unitasi a loro nella fuga; è probabile, piuttosto, che la cifra possa riferirsi al numero degli Israeliti censiti al tempo della redazione definitiva del libro dell’Esodo, avvenuta vari secoli dopo.
L’autore sacro conclude infine l’epopea della loro partenza con queste parole: Una notte di veglia fu per il Signore, quando li fece uscire dalla terra d’Egitto: questa deve essere una notte di veglia in onore del Signore
per tutti i figli d’Israele nelle loro generazioni. Cap. 12
A quelle che abbiamo viste prima, vengono ora aggiunte altre prescrizioni per il rito della Pasqua: - Nessuno che non sia circonciso può mangiare la Pasqua insieme agli Israeliti; - se i non-ebrei (schiavi, mercenari, oppure ospiti) vogliono parteciparvi, devono prima essere circoncisi, devono cioè abbracciare la fede nel Dio che si è rivelato; - un’altra disposizione fondamentale prescrive che, all’agnello, non debba essere spezzato alcun osso (dettaglio importante, questo, citato in seguito nei Vangeli nel racconto della morte di Gesù in croce); - l’agnello deve essere mangiato nella propria casa, le sue carni cioè non devono essere portate fuori del focolare domestico; - è infine nuovamente ribadita la disposizione che durante i 7 giorni della festa non si mangi nulla di lievitato.
«Osserverai questa prescrizione nel tempo stabilito di anno in anno». Cap. 13
E quando, durante la liturgia della cena di “Pesach”, verrà chiesto, nei tempi futuri, da uno dei figli perché si fa tutto questo, il padre risponderà: «E’ a causa di quanto ha fatto il Signore per me,
quando sono uscito dall’Egitto». Cap. 13
A perenne ricordo di quanto Yhwh ha operato nella notte di “Pesach”, viene stabilita un’altra fondamentale disposizione che ogni Ebreo deve tenere sempre davanti, “come un gioiello messo sulla fronte o sulla mano”: «…riserverai per il Signore ogni essere che apre il grembo e ogni parto dell’animale che avrai: i maschi sono del Signore… Ogni primogenito d’uomo, tra i tuoi figli, lo riscatterai. E se tuo figlio domani ti domanderà: “Che cos’è questo?”, gli dirai: “Con mano forte il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla casa di schiavitù. E poiché il faraone si ostinava a non mandarci via, il Signore fece morire tutti i primogeniti in terra d’Egitto, dal primogenito dell’uomo al primogenito delll’animale:
per questo sacrifico al Signore ogni maschio che apre il grembo, e riscatto ogni primogenito dei miei figli”». Cap. 13
Appartengono quindi al Signore, non solo i primogeniti degli Israeliti, ma anche quelli del loro bestiame; con la differenza che, mentre i primi vengono riscattati con il sacrificio di un capo di bestiame, i primogeniti degli animali vengono invece sacrificati come culto al Signore. Se però il primogenito di un capo di bestiame è di rilevante valore economico per una famiglia - come per esempio l’asino e il bue - questo può essere riscattato con un capo di bestiame minuto, cioè un agnello o un capretto.
* Il concetto di “proprietà” sui primogeniti evidenzia l’assunto che ogni essere vivente che viene alla vita appartiene a Dio, perché Creatore dell’universo. E’ precisamente da questa realtà teologica che scaturisce l’imperativo etico ebraico-cristiano che vieta di porre fine, deliberatamente, sia alla propria vita come a quella altrui.
Definite le disposizioni del rituale della Pasqua, finalmente gli Israeliti possono abbandonare il paese della loro schiavitù. Essi, sottolinea l’autore biblico, escono “armati” - annotazione che lascia presagire drammatici sviluppi - e portano con sé anche le spoglie di Giuseppe, come lui stesso si era fatto giurare prima di morire. Da Succot, prima tappa della peregrinazione, gli Israeliti si spostano a Etam, sul limite del deserto; e poi, tornando indietro, si accampano davanti a Pi-Achirot, “presso il mare” (probabilmente il Mare dei Giunchi). Si potrebbe pensare che, dietro a questi spostamenti, ci sia un disegno strategico
studiato a tavolino da Mosè e Aronne insieme ai capi militari; l’autore sacro, invece, mette in evidenza che stratega degli spostamenti è lo stesso Yhwh che li ha spinti a uscire dall’Egitto: Quando il faraone mandò via il popolo, Dio non fu contento che prendessero a strada della terra dei Filistei, benché fosse la più breve, poiché Dio disse: «Perché il popolo non si penta quando vedrà la guerra e ritornino in Egitto». Dio fece girare il popolo per la strada del deserto verso il Mar Rosso. Cap. 13
Il motivo di questi spostamenti, fatti con molta prudenza, sembra essere che gli Israeliti non siano ancora pronti, né psicologicamente né militarmente, per difendersi dalle popolazioni che troveranno sulla propria strada. L’immagine che la Bibbia lascia trasparire dei fuoriusciti è, infatti, un’immagine di debolezza, alla quale il Signore supplisce con la sua continua protezione, che l’autore biblico esprime con due simboli plastici: Il Signore andava davanti a loro di giorno con una colonna di nube per condurli nella strada,
e di notte con una colonna di fuoco, per illuminarli, perché potessero andare di giorno e di notte. Cap. 13
* L’itinerario della fuga è descritto in modo un po’ vago nella Bibbia e presenta anche delle contraddizioni, per cui gli storici non sono concordi nel definire con precisione le varie tappe. Per appianare le difficoltà, alcuni ipotizzano che le contraddizioni siano dovute a differenti Tradizioni bibliche che raccontano, non un unico esodo, ma più esodi avvenuti in tempi diversi.
I guai dei fuorusciti non sono però terminati. Il Signore avverte nuovamente Mosè che il sovrano dell’Egitto si è già pentito della propria decisione e li inseguirà; ma gli Israeliti non dovranno avere paura, perché “l’Egitto saprà che io sono il Signore”, vengono rassicurati. A Corte si sono resi conto di aver perso, in effetti, un’importante forza lavoro. Così, ritornando sulla propria decisione, il faraone e i suoi ministri decidono di riportare i fuorusciti in Egitto. L’esercito, comandato dallo stesso sovrano e forte di 600 “carri scelti”, raggiunge i fuggiaschi accampati presso il mare; questi, assaliti dal panico, “gridarono al Signore” e si rivoltano contro Mosè: «Perché hai fatto questo, di farci uscire dall’Egitto? Non era forse questo che ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare a lavorare in Egitto, perché è meglio per noi lavorare in Egitto
che morire nel deserto?”». Cap. 14
Il grande Profeta li tranquillizza incoraggiandoli ad essere forti, e li raassicura che Yhwh dimostrerà la sua potenza liberandoli per sempre dagli Egiziani. Il Signore viene incontro al suo Condottiero, ma quasi rimproverandolo che in quella difficile situazione non sappia fare altro che pregare invece di agire. Gli dice infatti: «Perché gridi verso di me? Di’ ai figli d’Israele di partire. Tu alza il tuo bastone e stendi la tua mano sopra il mare e si separi, e i figli d’Israele ino in mezzo al mare all’asciutto… e l’Egitto saprà che io sono il Signore…». Cap. 14
Intanto la “colonna di nube” - che l’autore biblico chiama “L’angelo di Dio” - si sposta e va a posizionarsi tra gli Israeliti e gli Egiziani, rimanendo luminosa per i primi e “oscura” per gli inseguitori. Nella notte, Mosè stende la mano e il bastone verso il mare, e un forte vento inizia a soffiare sospingendo le acque, che si dividono per lasciare un varco asciutto nel quale gli Israeliti entrano per raggiungere l’altra riva. Nel aggio miracolosamente apertosi entrano anche gli inseguitori, ma la pesantezza dei carri fa affondare le ruote; e il panico li invade: «Fuggiamo davanti a Israele,
perché il Signore combatte per loro contro l’Egitto». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la tua mano sopra il mare e l’acqua torni sugli Egiziani, sui loro carri e sui loro cavalieri»… L’acqua ritornò e coprì i carri, i cavalieri e tutto l’esercito del faraone… Israele vide la grande potenza che il Signore aveva usato contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette a lui e a Mosè, suo servo. Cap. 14
Quasi tutto il capitolo 15 è occupato da un lungo canto di vittoria che celebra la salvezza di Israele, realizzata unicamente dall’intervento di Yhwh: «Mia forza e mio canto è il Signore, è stato la mia salvezza. Questo è il mio Dio: lo voglio onorare, il Dio di mio padre, lo voglio esaltare… La tua destra, Signore,
si illustra di forza, la tua destra, Signore, fa a pezzi il nemico… Con il tuo favore hai guidato questo popolo che hai riscattato. Con la tua forza l’hai condotto verso il tuo pascolo santo…». Cap. 15
Al canto prendono parte anche le donne, guidate dalla sorella di Mosè e Aronne, Maria “la Profetessa”. Veniamo così a sapere il nome della bambina che vegliò il piccolo Mosè abbandonato sulle acque del Nilo. Sembra che ella abbia un proprio ruolo nella cerchia di comando del fratello: ce lo lasciano ipotizzare sia l’appellativo di Profetessa e sia il fatto che, intonando il ritornello, guidi le danzatrici: «Cantate al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!». Cap. 15
* Il “aggio del Mar Rosso” è uno dei momenti simbolici più noti e importanti della storia della Rivelazione, ma cercare di analizzare come sia materialmente avvenuto è fatica vana e soprattutto fuorviante. Immortalato dalla riflessione dello spirito e dall’arte - uniche espressioni umane che possono tentare di decifrarlo - quell’avvenimento fa parte non solo del vissuto religioso ebraico-cristiano, nel quale è radicato come un DNA, ma anche del vissuto religioso universale.
Guidati dal loro Condottiero, gli Israeliti lasciano ora le rive del Mar Rosso per addentrarsi nel deserto di Sur, camminando per tre giorni senza trovare acqua. La trovano finalmente nella località di Mara, ma è imbevibile per il suo gusto amaro (da qui il nome Mara). Il popolo, puntualmente, si lamenta con Mosè anche per questa nuova situazione di disagio. Egli allora invoca il Signore, il quale gli ordina di gettare un pezzo di legno nell’acqua amara, perché al contatto del legno questa diventi dolce, cioè bevibile. L’episodio dà occasione all’autore sacro di ricordare ancora una volta, al popolo ribelle di Israele, l’assoluta fedeltà del Signore all’Alleanza: se gli Israeliti daranno ascolto alla sua parola non accadrà loro niente di male, come invece accaduto agli Egiziani. Da Mara il popolo si sposta a Elim, dove si trovano “dodici sorgenti d’acqua” e “settanta palme”, numeri simbolici che ci richiamano alla memoria qualcosa: il primo ci ricorda le 12 tribù di Israele; mentre il numero 70, multiplo dei 7 giorni della creazione, potrebbe significare la situazione ideale in cui il popolo viene a trovarsi a Elim, località ideale come il Giardino in Eden, dove c’era appunto abbondanza di acqua.
La sostanza del messaggio biblico che possiamo cogliere dal racconto della storia di Mosè e dell’uscita del popolo ebraico dall’Egitto può essere sintetizzata in questi termini: - Yhwh è l’Unico, non ci sono altre divinità; - se egli non si rivela, l’uomo non può conoscerlo; - la sua volontà si compie sempre; - egli mantiene fede alle Promesse fatte ad Abramo, Isacco, Giacobbe e Mosè; - i discendenti dei Patriarchi sono il “suo” popolo, che egli si è scelto per un disegno particolare, e verso il quale si rende garante sconfiggendo le divinità
dell’Egitto e i carri del faraone, cioè le potenze del Male e dello strapotere degli uomini; - Yhwh è il Signore della Storia; - nel racconto dell’Esodo è sottolineato con evidenza che la Salvezza è un’opera “gratuita” di Dio: è lui che combatte per Israele ed è lui che prende sempre l’iniziativa, mentre gli Israeliti vorrebbero ritornare addirittura allo stato di schiavitù.
* Come si vede, sembra essere un Dio “guerriero” quello che emerge da questo racconto come anche da tante altre pagine della Bibbia; un’immagine senza dubbio problematica, almeno per noi Cristiani, perché abbiamo di Dio l’idea evangelica del Padre misericordioso rivelataci da Gesù. Per “accettare” - nel senso di “capire le ragioni storiche” di certe espressioni forti, per non dire violente, e di certi episodi dell’Antico Testamento - occorre fare lo sforzo di calarsi nei tempi di allora, quando dominava una cultura basata sulla continua e spesso cruenta lotta per la sopravvivenza sia dei singoli che delle popolazioni, quando la supremazia sociale e nazionale era basata soprattutto sulla forza fisica e sulla guerra. Erano tempi che non lasciavano spazio per la politica del dialogo o per la difesa dei deboli. Tenendo presente quel particolare contesto culturale, non c’è allora da meravigliarsi del “linguaggio forte” attribuito anche a Dio, perché era il linguaggio più semplice e comprensibile a tutti. Sta quindi a noi, quando leggiamo quelle pagine difficili, identificare prima di tutto il messaggio religioso fondamentale che la Bibbia vuole comunicare; e, in secondo luogo, filtrare quelle espressioni alla luce della nostra sensibilità formata dagli insegnamenti del Signore Gesù, venuto per portare “a compimento” l’Antico (o Primo) Testamento. Così, per esempio, l’espressione “il popolo temette il Signore”, che nella Bibbia troviamo spesso, non ha il significato di “avere paura” nei riguardi di Dio, ma quello di amore riverenziale della creatura verso il suo Creatore, proprio come nella relazione familiare che si stabilisce tra padre e figlio. Per una lettura corretta e proficua delle Sacre Scritture, si richiede lo sforzo di
un minimo di preparazione da parte di chi le prende in mano. Il presente lavoro vorrebbe contribuire a fornire questa preparazione di base.
ISRAELE NEL DESERTO LA MANNA E LE QUAGLIE [capitoli 16-18]
Un mese dopo la fuga dall’Egitto, gli Israeliti arrivano nel deserto di Sin, sulla strada per il Sinai. Ridotti alla fame, essi si rivoltano contro Mosè rimpiangendo ancora lo stato di schiavitù, perché allora avevano almeno la sicurezza di mangiare pane e carne a sufficienza. Yhwh comunica allora al suo Profeta che sta per “far piovere pane dal cielo”. Mosè e Aronne lo annunciano al popolo, che allo stesso tempo però rimproverano, per le troppe “mormorazioni” contro il Signore e anche contro loro due. Nell’occasione, la Bibbia ci dice - genericamente, senza precisare di più - che “la gloria del Signore apparve nella nube” nel deserto, e così a tutto il popolo è concesso il privilegio di contemplare la manifestazione di Dio nel suo splendore. Il Signore si rivolge nuovamente a Mosè: «Ho udito le mormorazioni dei figli d’Israele. Parla loro così: “Tra le due sere [cioè, al tramonto] mangerete carne e al mattino vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”». Cap. 16
Stormi di quaglie invadono di sera l’accampamento, e così gli Israeliti possono finalmente saziarsi di carne. Mentre, però, dal racconto biblico sembra che il prodigio delle quaglie non si ripeta più, quello della manna sarà invece quotidiano: …al mattino ci fu uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Lo strato di rugiada se ne andò, ed ecco, sulla superficie del deserto qualcosa di fine, granuloso, minuto come la brina della terra. I figli d’Israele videro e si dissero l’un l’altro: «Cos’è quello?», perché non sapevano che cosa era. Mosè disse loro: «Quello è il pane che il Signore vi ha dato da mangiare»… La casa d’Israele lo chiamò manna: era come seme di coriandolo, bianco, con il gusto di focaccia di miele. Cap. 16
Anticipiamo qui una descrizione più articolata della manna che sarà fatta in un altro libro, quello di “Numeri”, al capitolo 11: questa era
come un seme di coriandolo esteriormente simile al bdellio. Il popolo andava in giro a cercare, la raccoglieva, la tritava nelle macine o la pestava nel mortaio, la cuoceva in pentola e ne faceva focacce: il suo gusto era come gusto di pane all’olio.
Trattandosi di “pane dal cielo”, il Signore stabilisce delle regole, una vera “liturgia” da osservare per usufruire di questo dono: - Ogni mattina se ne deve raccogliere la sola razione giornaliera; - deve essere consumata tutta entro la giornata perché, se avanzata per il mattino seguente, si guasterà; - il sesto giorno della settimana se ne raccoglierà una doppia porzione, perché dovrà servire anche per il Sabato, giorno consacrato al Signore; - la manna raccolta in più per il Sabato non si guasterà, e comunque quel giorno non si potrà raccoglierla perché non se ne troverà.
Annunciando a Mosè il dono della manna, il Signore gli aveva anche detto che voleva mettere alla prova il popolo, “per vedere se cammina o no secondo la mia legge”. Dubbio divino più che motivato, perché infatti avviene che ci siano degli Israeliti che non obbediscono: - chi, preoccupandosi del giorno dopo, raccoglie una razione maggiore di manna, al mattino seguente la trova piena di vermi;
- altri invece escono a raccoglierla anche di Sabato, senza però trovarne.
La disobbedienza irrita Mosè, al quale Yhwh ribadisce con fermezza l’ordine di fare osservare il Sabato, suo particolare dono al popolo di Israele. Infine, a perenne ricordo per il suo popolo, il Signore ordina di riempire di manna un’urna per conservarla nella Tenda adibita a santuario. L’autore biblico conclude solennemente il racconto del prodigio del “pane dal cielo” con queste parole: I figli d’Israele mangiarono la manna per quarant’anni, fino a quando giunsero… al confine della terra di Canaan. Cap. 16
* La manna era certamente un elemento che esisteva già in natura sul posto, e che gli Israeliti hanno saputo sfruttare facendo di necessità virtù; l’autore sacro però la interpreta come un prezioso dono di Dio al suo popolo in cammino.
* In che cosa la manna consistesse è materia controversa; sappiamo però che il suo significato simbolico è molto importante: essa rappresenta l’elemento principale di sopravvivenza, quindi di Salvezza, messo a disposizione dal Signore durante la peregrinazione nel deserto. Nella manna che nutre il popolo di Israele, la Chiesa ha visto, fin dalle sue origini, l’immagine e l’anticipazione del “vero pane del cielo” donatoci da Gesù nell’Eucaristia. Nella Nuova Alleanza, il pane e il vino (Corpo e Sangue di Gesù) sostituiscono il nutrimento che aveva sostentato il popolo di Dio durante tutta la sua lunga peregrinazione verso la Terra promessa.
Spostandosi di tappa in tappa secondo le indicazioni di Yhwh, gli Israeliti si accampano a Refidim, nei pressi del monte Oreb (alle propaggini del Sinai), dove però non trovano acqua per sé e per il bestiame. Ripetendo lo schema degli episodi precedenti, il popolo protesta di nuovo contro Mosè e Aronne, accusandoli di averli fatti uscire dall’Egitto per farli morire nel deserto. Questa volta però la protesta è ancora più forte, perché il Profeta si rivolge a Dio nel timore di essere addirittura lapidato. Il Signore gli ordina allora di prendere il bastone con il quale aveva tramutato in sangue le acque del Nilo, di scegliersi alcuni Anziani, di salire su una roccia particolare dell’Oreb e di percuoterla con il bastone per farne sgorgare acqua da bere. Mosè esegue quanto ordinatogli, e anche questa volta il popolo è salvo. Alla località viene dato il nome di “Massa e Meriba”, che significano Prova e Contestazione. Qui avviene il primo incontro ravvicinato dei fuorusciti con un popolo della regione. Era inevitabile che, prima o poi, gli spostamenti degli Israeliti avrebbero dato fastidio alle genti del posto, suscitando inevitabili conflitti. Dice infatti la Bibbia: Venne Amalek e combattè contro Israele a Refidim. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi degli uomini ed esci a combattere Amalek. Domani io mi terrò ritto [a pregare] in cima alla collina, con in mano il bastone di Dio». Cap. 17
* L’attacco degli Amaleciti è un’evidente reazione all’occupazione delle sorgenti d’acqua, bene primario per le popolazioni dell’arida regione del Sinai. Il “miracolo” dell’acqua sgorgata dalla roccia potrebbe anche essere interpretato come il semplice “provvidenziale raggiungimento” delle sorgenti, dovuto sempre all’intervento di Dio che salva il suo popolo.
* In questo episodio vediamo menzionato per la prima volta Giosuè, un personaggio che, al fianco di Mosè in qualità di luogotenente, diventerà importante nella storia della conquista della terra di Canaan.
Accompagnato da Aronne e Cur, altro personaggio della cerchia di comando, il grande Profeta e Condottiero sale sul colle per seguire lo svolgimento della battaglia e pregare insistentemente con le mani elevate a Dio.
E quando Mosè alzava la sua mano, Israele era più forte, e quando abbassava la sua mano, era più forte Amalek. Ma le mani di Mosè pesavano: allora presero una pietra e la misero sotto di lui. [Mosè] vi si sedette sopra, mentre Aronne e Cur sostenevano le sue mani, uno da una parte e l’altro dall’altra…
Giosuè finì Amalek e il suo popolo a fil di spada. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi questo su un libro come ricordo e dichiara alle orecchie di Giosuè che io cancellerò il ricordo di Amalek da sotto il sole». Cap. 17
In ringraziamento per la vittoria ottenuta, Mosè erige un altare e lo chiama “Il Signore è il mio segnale [o vessillo]”. La strofa di un canto vittorioso sottolinea, come una profezia, la colpa di Amalek per essersi schierato contro il popolo di Yhwh: «Mano al vessillo del Signore! Guerra per il Signore contro Amalek, di generazione in generazione!». Cap. 17
* Da questa pagina in avanti s’incontreranno nella Bibbia vari episodi “forti” simili a quello degli Amaleciti. “are a fil di spada” la popolazione sconfitta (o “votare allo sterminio”, altra cruda espressione) era, in quei tempi, il modo di risolvere alla radice i conflitti tra popolazioni; soluzione, purtroppo, che abbiamo vista adottata, qualche volta anche nei tempi moderni. Bisogna partire dal dato di fatto storico di questa “atroce normalità” di comportamento bellico, per interpretare correttamente la “volontà di cancellare del tutto la memoria di Amalek” che l’autore sacro attribuisce a Dio. Si tratta, in realtà, solo di un modo sbrigativo del potere di risolvere i conflitti tra popolazioni, un modo sempre pesantemente segnato dal Peccato d’origine, un
peccato che condiziona anche il comportamento del popolo di Dio lungo la sua storia.
* L’intento primario dell’autore biblico è quello di sottolineare che “Dio salva sempre il suo popolo”, non perché sia migliore delle altre genti, ma perché è il popolo che egli si è scelto per portare a compimento il suo misterioso disegno di Salvezza.
* Come ricordato altre volte, è sempre il problema del linguaggio che, prima di tutto, bisogna saper valutare nei racconti biblici. Per dirla con le parole di Bernard Sesboüè, “Il modo di parlare degli Ebrei... fa risalire tutto immediatamente a Dio. Il popolo ebreo, a partire dal momento in cui si sa guidato da Dio, a lui attribuisce senza sfumature quanto lo riguarda”, anche se il suo modo di agire è uguale a quello degli altri popoli pagani. E’ fondamentale, quando si affronta la lettura della Bibbia, tener presente quest’ultima annotazione, per non incorrere in giudizi dettati più dall’emotività che da una pacata riflessione.
Dopo tutti questi avvenimenti, Ietro, venuto a sapere “tutto quello che Dio aveva fatto a Mosè e ad Israele”, va a trovare il genero e gli riporta la moglie Zippora con i due figli, che erano stati precedentemente rimandati a Madian per la loro sicurezza. I due uomini si raccontano tutto, e alla fine sembra anche di capire che Ietro, sacerdote pagano, aderisca alla fede in Yhwh. Infatti, riconosciuta apertamente la grandezza del Dio che si è rivelato a Mosè, egli offre un olocausto e sacrifici di ringraziamento, e al banchetto sacro partecipano tutti i capi degli Israeliti. Il giorno seguente, Ietro vuole assistere da osservatore allo svolgimento degli impegni pubblici di Mosè. Egli nota che il genero rimane seduto dalla mattina alla sera per “rendere giustizia al popolo”, cioè per dirimere le questioni conflittuali, che inevitabilmente sorgevano, e per “consultare il Signore” in favore della gente, come anche per pregare e fare da guida spirituale.
Il suocero, guida religiosa dei Madianiti, anch’essi nomadi ma con un’esperienza più consolidata del giovane popolo d’Israele, si rende conto della gran mole di lavoro che grava sulle spalle di Mosè, per cui sente il dovere di dirgli con franchezza: «Non è bene quello che fai. Ti esaurirai, sia tu che questo popolo che è con te, perché è troppo pesante per te: non puoi farlo da solo. Ora ascoltami: ti consiglio e Dio sia con te! Tu starai al posto del popolo davanti a Dio e porta tu a Dio le loro questioni. Informali dei decreti e delle leggi e fa’ loro conoscere il cammino da percorrere e quello che dovranno fare. Invece prenderai tra tutto il popolo uomini di virtù che temono Dio, uomini veritieri che odiano il guadagno,
e li porrai su di loro come capi di migliaia, capi di centina, capi di cinquantine e capi di decine. Giudicheranno il popolo per tutto il tempo: ogni questione importante, la porteranno a te, ma giudicheranno essi ogni questione piccola. Così alleggerisci te ed essi ti sollevano. Se farai questo, e che Dio te lo ordini, potrai durarla, e anche tutto questo popolo rientrerà presso di sé in pace». Cap. 18
Saggiamente, il grande Condottiero d’Israele accetta i suggerimenti del suocero; poi lo congeda, lasciandolo ritornare nella terra di Madian.
* L’episodio di Ietro mette in evidenza l’arretratezza dell’organizzazione sociale degli Israeliti usciti dall’Egitto, giovane gruppo nomade che si muove ai confini di popoli che hanno già sviluppato una struttura sociale evoluta.
L’influsso di queste popolazioni su Israele è inevitabile. Nel caso in questione si tratta di un influsso benefico; altri tipi d’influsso, come quelli religiosi che vanno a intaccare la fede nel monoteismo, avranno conseguenze drammatiche e saranno rigettati con forza, come si vedrà lungo tutta la Storia biblica.
* Come ultima riflessione, si può forse affermare inoltre che nel discorso rivolto da Ietro al genero ci sia già - anche se molto vago - un primo abbozzo di separazione tra potere politico e religioso, separazione che sarà in seguito definita chiaramente nei Vangeli con la nota sentenza: “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
L’ALLEANZA E IL DECALOGO [capitoli 19-24]
Al terzo mese dell’uscita dall’Egitto, gli Israeliti arrivano nel deserto del Sinai e si accampano ai piedi della montagna. Convocato dal Signore, Mosè sale sul monte dove gli viene ordinato: «Così parlerai alla casa di Giacobbe e annuncerai ai figli d’Israele: “Voi avete visto quello che ho fatto all’Egitto: vi ho portato su ali di aquile e vi ho condotto da me. E ora, se ascoltate la mia voce e osservate la mia alleanza, sarete mia proprietà fra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Voi sarete per me un regno di sacerdoti una nazione santa”». Cap. 19
Ridisceso all’accampamento, Mosè riferisce le parole dell’Alleanza che Yhwh ha stabilito con il suo popolo, e tutti rispondono: «Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo!» Cap. 19
Risalito sulla montagna per riferire il solenne impegno proclamato dagli Israeliti, il Signore annuncia al suo Profeta: «Ecco, io vengo da te nella densità della nube, perché il popolo oda quando io ti parlerò e creda per sempre anche a te». Cap. 19
Yhwh ordina quindi a Mosè che gli Israeliti “si santifichino”. Essi dovranno purificarsi per due giorni, “oggi e domani”, «…perché nel terzo giorno il Signore scenderà agli occhi di tutto il popolo sul monte Sinai. Fissa i confini tutt’intorno per il popolo dicendo: “Guardatevi dal salire la montagna e dal toccarne le estremità:
chiunque toccherà la montagna morirà… sarà lapidato o trafitto sia animale che uomo; non vivrà”. Quando suonerà il corno, allora saliranno sulla montagna». Cap. 19
Sentite queste parole, popolo e sacerdoti si purificano lavandosi il corpo e le vesti, e astenendosi inoltre dall’avere rapporti sessuali in quei giorni santi.
* Lavare il corpo e le vesti, e astenersi dai rapporti sessuali, faceva parte della “purezza cultuale” richiesta per le cerimonie religiose, perché si entrava in contatto con la divinità. La purezza cultuale era nota anche nelle religioni pagane, sebbene in queste si praticasse anche la prostituzione sacra.
* Nella legge ecclesiastica del Celibato sacerdotale - vigente nella Chiesa Cattolica e in parte anche nella Chiesa Ortodossa - c’è una eco anche di queste disposizioni di purezza cultuale. Tuttavia, la ragione fondamentale del Celibato è fondata, soprattutto, sulla proposta dei Consigli evangelici, fatta da Gesù a coloro che egli chiama per seguirlo più strettamente da vicino, in testimonianza del Regno di Dio attraverso il servizio alla Chiesa.
* La pena di morte per chi trasgrediva le disposizioni sacre - che a noi oggi appare fuori di ogni buon senso - deve essere giudicata alla luce della cultura dell’epoca, quando del Sacro si faceva una questione di sopravvivenza per l’intera popolazione e una vera questione di sicurezza nazionale, perché tutta la vita sociale ruotava intorno al culto della divinità protettrice.
Il terzo giorno, al mattino, ci furono tuoni, lampi, una nube densa sulla montagna e un suono molto potente di tromba: tutto il popolo che era nell’accampamento si spaventò. Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio, e si tennero ai piedi della montagna. Il monte Sinai era tutto fumante, perché il Signore era sceso su di esso nel fuoco: il suo fumo saliva come il fumo di un forno e tutto il monte tremava molto. Il suono del corno andava sempre più rafforzandosi. Mosè parlava e Dio gli rispondeva nel tuono. Cap. 19
* Una rappresentazione letterariamente potente, che ci fa pensare alla descrizione di un vulcano in attività: nubi, cupi boati, fumo, scosse del suolo. Questa è l’immagine, o il linguaggio, cui l’autore biblico ricorre per descrive una delle più note Teofanie o “manifestazioni di Dio”. Nei Vangeli, le Teofanie più famose sono quelle descritte negli episodi del Battesimo di Gesù e della Trasfigurazione.
Il Signore chiama Mosè sulla cima del monte per ribadirgli che nessuno del popolo, neanche i sacerdoti, osi salire sulla vetta. Avvisati gli Israeliti, Mosè risale nuovamente sulla montagna; ma questa volta è, per ordine del Signore, insieme ad Aronne. Avvolto dalla “nube”, Yhwh si manifesta pronunciando le Dieci Parole, cioè i Comandamenti:
* «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, da una casa di schiavitù. Non avrai altri dèi davanti a me. Non ti farai scultura e alcuna immagine di quello che è su in cielo, né di quello che è quaggiù sulla terra… Non ti prostrerai davanti a loro
e non li servirai, perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce la colpa dei padri sui figli fino alla terza e quarta generazione, per quelli che mi odiano, ma che fa grazia a migliaia per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. * Non pronunciare inutilmente il nome del Signore, tuo Dio, perché egli non lascia impunito chi pronuncia il suo nome inutilmente. * Ricordati del giorno di Sabato per santificarlo… il Signore ha benedetto il giorno di Sabato e l’ha santificato. * Onora tuo padre e tua madre, perché i tuoi giorni siano lunghi sulla terra
che il Signore, tuo Dio, ti dà. * Non ucciderai. * Non farai adulterio. * Non ruberai. * Non deporrai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. * Non desidererai la casa del tuo prossimo; * non desidererai la moglie del tuo prossimo… e tutto quello che è del tuo prossimo». Cap. 20
Le Dieci Parole sono percepite - narra la Bibbia - in mezzo a lampi e tuoni, al suono del corno e ai densi fumi che emana la cima del monte. Un terrore sacro tiene inchiodati gli Israeliti. Essi, non osando avvicinarsi alla montagna, chiedono a Mosè che sia lui stesso a fare da tramite tra Yhwh e loro. Il Profeta li rincuora, dicendo che il Signore è venuto per metterli alla prova e perché il suo “timore” (che - si badi bene - non significa paura, ma amore riverenziale) sia sempre nei loro cuori, per non peccare trasgredendo i Comandamenti. Dopo, Mosè si dirige nuovamente verso la vetta, addentrandosi nella “nube oscura” che avvolge Yhwh.
* Le Dieci Parole, in seguito, saranno riassunte dalla Bibbia in una sola, quella dell’amore per Dio, che a sua volta si realizza nell’amore per il prossimo: “Da questi due Comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”, confermerà Gesù nei Vangeli.
* Come si può notare, al Primo comandamento è dedicato uno spazio molto più ampio che agli altri. Questo dimostra che il concetto dell’Unicità di Yhwh, il Dio che si è rivelato ai Patriarchi e a Mosè per realizzare il suo misterioso disegno di Salvezza, è il dato religioso fondamentale dell’Ebraismo.
* La rivelazione di Dio nella Sacra Scrittura si articola in alcune tappe fondamentali, che sono come snodi nella Storia Sacra. Esse sono le Alleanze (dette anche Patti o Promesse); e per ognuna di esse, l’iniziativa dell’offerta è partita sempre da Dio: - La prima Alleanza è stabilita con gli stessi Progenitori posti nel Giardino in Eden, con l’unico obbligo di non toccare i frutti dell’albero della Vita e della Conoscenza del bene e del male; - la seconda è quella fatta con Noè, al quale viene promesso che l’uomo e la creazione non verranno più distrutti; - la terza è fatta con il Patriarca Abramo e rinnovata a Isacco e Giacobbe, ai quali Dio promette di renderli un popolo “numeroso come la sabbia del mare”; - la quarta è l’Alleanza stabilita al Sinai con il popolo di Israele, al quale Yhwh dona la sua Legge riassunta nelle Dieci Parole; - la quinta, e definitiva, è l’Alleanza stabilita con l’umanità intera nel mistero del Cristo, Figlio Unigenito di Dio, crocifisso e risorto. Sono varie le Alleanze che la Bibbia registra, ma in realtà si tratta di un’unica Alleanza, continuamente reiterata nella Storia della Salvezza per dimostrare la perenne fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo.
* Nella tradizione profetica biblica, l’Alleanza tra Yhwh e Israele è stata vista come un mistico sposalizio tra Dio (lo Sposo) e Israele (la Sposa): il monte Sinai diventa allora la camera nuziale, e la risposta di fede da parte del popolo (“Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo!) rappresenta il “Sì” che sigilla il patto nuziale dei contraenti; allo stesso tempo, l’episodio del Vitello d’oro è l’adulterio commesso nella stessa camera nuziale, cioè il monte Sinai. La potente immagine sponsale è poi stata ripresa anche nel Cristianesimo, per descrivere il rapporto strettissimo del Signore Gesù (lo Sposo) con la sua Chiesa (la Sposa); rapporto che realizza la vera e definitiva Alleanza di Dio con tutta l’umanità, di cui, quella del Sinai, è storica immagine profetica.
Dopo la promulgazione dei Dieci Comandamenti, che rappresentano il “Codice morale”, nel libro dell’Esodo si apre un’altra sezione di testi che vanno sotto il nome di “Codice dell’Alleanza”, perché contengono una grande varietà di disposizioni cultuali, morali e sociali che rispecchiano la sensibilità culturale dell’epoca. Il Codice inizia raccomandando agli Israeliti di non fabbricare idoli d’argento e d’oro, ma di costruire invece “un altare di terra” per offrirvi Olocausti e Sacrifici di Comunione. Nel caso che l’altare sia costruito con pietre, queste non devono essere tagliate da strumenti d’uomo, perché le renderebbero “profane”. Inoltre - precisazione di decoro! - l’altare di Yhwh non deve avere gradini, perché, salendoli, «…là non si mostri la tua nudità». Cap. 20
* Si nota, in queste disposizioni, la volontà di differenziarsi dai popoli pagani della regione, che costruivano invece altari di pietra lavorata, cioè monumentali. L’autore biblico intende qui alludere, probabilmente, ai sontuosi templi babilonesi costruiti a forma di piramidi, ornate di sculture e con alte scalinate.
Vengono quindi elencate le disposizioni riguardanti la vita sociale e religiosa, che in parte dipendono anche dalle legislazioni degli altri popoli. Si nota, tuttavia, che quelle della Bibbia rivelano uno spirito più umano, uno spirito cioè di giustizia e di misericordia destinato a svilupparsi sempre più, soprattutto dietro l’opera dei grandi Profeti che verranno in seguito C’è da precisare, dal punto di vista storico, che la redazione definitiva delle disposizioni legislative sotto elencate è stata portata a termine in epoca posteriore a quella del nomadismo, quando cioè Israele è già diventato popolo sedentario. Esse sono state inserite dall’autore sacro a questo punto della Bibbia perché rispecchiamo lo spirito dei Comandamenti promulgati da Yhwh sul Sinai. Per offrire una maggiore chiarezza, presentiamo le varie disposizioni raggruppate secondo una sostanziale affinità d’argomento.
Leggi che regolano i rapporti con il prossimo
- «Chi colpisce suo padre o sua madre, sarà messo a morte». «Chi maledice suo padre o sua madre, sarà messo a morte». Cap. 21 - Se uno colpisce un uomo e lo uccide senza premeditazione, deve essere condannato a morte, ma, per salvarsi, potrà rifugiarsi in luoghi prestabiliti (cioè in un luogo sacro); se uno uccide invece con premeditazione, sarà messo a morte anche se si aggrappa all’altare del Signore. - Colui che sequestra un uomo per venderlo, sarà messo a morte. - Se qualcuno, litigando, colpisce il suo prossimo e gli procura lesioni gravi, dovrà pagarne il riposo forzato e assicurargli le cure.
- Se alcuni uomini, litigando, urtano una donna incinta così da farla abortire, il marito esigerà un’ammenda, e il colpevole la pagherà attraverso un arbitrato; ma se ne segue una disgrazia, cioè la morte della donna, «…le darai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, piaga per piaga». Cap. 21
Leggi che regolano il comportamento verso gli schiavi
- Dopo sei anni di servitù, lo schiavo ebreo potrà andarsene libero nel settimo anno senza versare alcun riscatto; se era già sposato, anche la moglie e i figli se ne andranno liberi; se invece la moglie gli è stata data dal padrone durante la schiavitù, questa e gli eventuali figli rimangono del padrone; se lo schiavo non si vuole separare dai familiari, rimarrà tale per sempre dopo che il padrone lo avrà marchiato forandogli un orecchio. - Se un padre vende la figlia come schiava per farla diventare una concubina, questa non potrà andarsene libera dopo i sei anni di servitù; se lei non piace al padrone, e quindi questi non la prende in moglie, la farà riscattare; e comunque non può venderla a gente straniera; se invece il padrone la destina al proprio figlio, la deve rispettare come una figlia.
- Se il padrone che si è tenuta una schiava come moglie, si prende anche un’altra donna, alla prima «non diminuirà il suo cibo, il suo vestiario e la sua coabitazione: se non farà con lei queste tre cose, ella se ne potrà andare senza versare il denaro del riscatto». Cap. 21 - Se un padrone punisce con un bastone il suo schiavo o schiava, e questi gli muoiono sotto le mani, si dovrà fare vendetta; se invece sopravvivono un giorno o due, non saranno vendicati, perché sono “denaro” del padrone. - Se un padrone, nel punire uno schiavo o schiava, ferisce un loro occhio accecandoli, o farà loro cadere un dente, li metterà in libertà come risarcimento. - Se un bue uccide uno schiavo o una schiava, si daranno trenta sicli al loro padrone e il bue sarà ucciso per lapidazione.
* I “trenta sicli” per indennizzare l’uccisione di uno schiavo non possono non ricordarci i “trenta denari d’argento” versati a Giuda. Gli autori evangelici, raccontando la vicenda della ione e morte del Signore, si rifanno probabilmente alla stima di questa disposizione di legge, per dire che Gesù fu trattato come uno schiavo ancora prima di morire sulla croce, supplizio destinato proprio agli schiavi.
* Per quanto riguarda il problema sociale della schiavitù, occorre dire che un ebreo non poteva diventare schiavo di un suo correligionario; comunque, presso gli Ebrei, la schiavitù assumeva un volto molto più umano che presso tutti gli altri popoli, per l’aspetto misericordioso del Dio che si era rivelato ai
Patriarchi.
Leggi che regolano la sicurezza nel lavoro agricolo
- Se un bue uccide una persona con una cornata, sarà lapidato e le sue carni non potranno essere mangiate; se invece il bue era conosciuto già prima come pericoloso, il padrone potrà essere messo a morte per non averlo custodito; ma se gli viene imposto un risarcimento, lo pagherà secondo quanto richiesto. - Se un uomo lascia scoperta una cisterna e vi cade un bue o un asino, il proprietario della cisterna pagherà l’indennizzo e si prenderà l’animale morto. - Se un bue uccide quello di un altro padrone, si venderà il bue vivo e se ne divideranno il prezzo come anche la bestia morta; se il bue era invece già noto come pericoloso, il padrone lo cederà come indennizzo e si prenderà quello morto. - Se uno lascia pascolare il proprio bestiame nel campo di un altro, dovrà indennizzare il padrone danneggiato. - Se un contadino accende un fuoco e brucia per incuria i covoni di grano del vicino, verserà un indennizzo. - Se si scopre il ladro di denaro o di oggetti che sono stati dati in custodia da qualcuno a una persona, l’autore del furto dovrà restituire il doppio; se il ladro non viene scoperto, il custode del denaro o degli oggetti si presenterà al santuario per giurare di essere innocente. - «Se uno dà al suo prossimo… qualsiasi animale da custodire, e questo muore,
o si rompe qualcosa o è rapito senza che nessuno veda, ci sarà un giuramento del Signore tra le due parti, per dichiarare che il depositario non ha steso la sua mano sui beni del suo prossimo: il padrone [della bestia] accetterà e l’altro non pagherà»; Cap. 22 se l’animale è stato invece rubato mentre era presente il depositario, questi ne dovrà pagare l’indennizzo; se l’animale viene sbranato, il depositario ne dovrà solo portare la prova. - Se uno prende a nolo una bestia e, in assenza del suo proprietario, questa muore o si produce una frattura, si dovrà pagare un indennizzo; ma se il padrone della bestia data in prestito si trova presente, questi non avrà diritto a essere indennizzato, perché gli basta il prezzo del nolo. - Qualunque sia l’oggetto di un contenzioso, di cui due contendenti si dichiarano entrambi proprietari, la causa delle due parti sarà risolta nel santuario per Ordalia (o Giudizio di Dio, specialmente attraverso la prova del fuoco), o tramite Oracolo espresso da un profeta, oppure per Giuramento degli stessi interessati: colui che risulterà colpevole restituirà il doppio al suo prossimo.
Leggi che regolano il trattamento dei ladri
- Se viene colpito a morte un ladro sorpreso a entrare di notte in un’abitazione, i suoi parenti non potranno esigere la “vendetta di sangue”; ma se viene colpito e ucciso alla luce del giorno, si potrà esigere la “vendetta di sangue”. - Il ladro deve dare l’indennizzo per quello che ruba, e se non avrà di che pagare sarà venduto come schiavo. - Se uno ruba un bue o un asino o un montone, e questi vengono trovati vivi ancora in suo possesso, il ladro restituirà il doppio. - Quando un uomo ruba un bue o un montone e lo uccide per mangiarselo, o lo vende, darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame minuto per il montone.
* Riferendoci solo a quest’ultima disposizione, se consideriamo che nel Far West si impiccava una persona per il furto di un cavallo, bisogna concludere che i nostri antichi padri nella fede erano senz’altro più misericordiosi e civili… Battute a parte, le leggi del Codice dell’Alleanza sono certamente dure e tuttavia ispirate anche a una certa giustizia, perché escludono la vendetta incontrollata come quella di Lèmek nel libro della Genesi, il quale uccideva un uomo per una ferita e un ragazzo per una contusione! La legge del taglione, che impone “Occhio per occhio, dente per dente”, rappresenta indubbiamente un progresso nei confronti dell’epoca primitiva; ma il cammino per arrivare alla legge dell’amore anche verso i nemici, predicato e testimoniato da Gesù, sarà però lungo.
Seguono altre disposizioni di legge che riguardano vari argomenti, come la tutela dei più deboli, la magia, la bestemmia, ecc.
- «Non molesterai lo straniero
né l’opprimerai, perché foste forestieri nella terra d’Egitto. - Non maltratterai una vedova né un orfano. Se lo maltratti e grida verso di me, ascolterò il suo grido: la mia ira si infiammerà e vi ucciderò di spada e le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. - Se prendi in pegno un mantello del tuo prossimo, glielo restituirai al tramonto del sole, perché quello è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle, con il quale dormirà: altrimenti, quando griderà a me, lo ascolterò, perché io sono misericordioso». Cap. 22 - Se un Israelita presta del denaro a un altro Israelita povero, non dovrà esigere alcun interesse.
- Non ritarderai il pagamento delle decime dei frutti della terra. - «Se uno seduce una vergine che non sia fidanzata e dorme con lei, verserà il prezzo perché diventi sua moglie. Se il padre di lei rifiuta di dargliela, egli pagherà in denaro secondo il prezzo nuziale delle vergini». Cap. 22 - Le maghe (erano soprattutto le donne che praticavano la magia) non dovranno essere lasciate in vita. - Chi ha rapporti sessuali con una bestia dovrà essere messo a morte. - Chi offre un sacrificio agli dèi “sarà votato allo sterminio”. - Non devi bestemmiare Dio, né maledire il capo del tuo popolo. - Il primogenito dei figli maschi lo dovrai consacrare al Signore. - Anche il primogenito del bestiame, sia grosso che minuto, dovrà essere consacrato: i primi sette giorni resterà con la madre, e l’ottavo lo si offrirà al Signore. - Non mangerete la carne di una bestia sbranata nella campagna.
* Se, giustamente, ci scandalizza la frequente ricorrenza alla pena di morte nella legislazione dell’Antico Testamento, c’è anche da dire che essa è in sintonia con la durezza propria di tutte le legislazioni dell’epoca; durezza, dovuta anche alla “necessità” di avere una legge forte che tenesse unita la nuova società che si stava formando.
* D’altra parte, nella legislazione dell’Esodo emergono chiaramente anche valori importanti, come la difesa dei deboli, della dignità della persona e dei diritti dell’offeso. Anche in queste leggi, seppure imperfette, si può notare il lento e faticoso cammino del popolo ebraico verso la Salvezza promessa dal Signore.
Altre disposizioni di grande valore morale riguardano i doveri di giustizia verso il prossimo. Esse sembrano quasi anticipare l’amore evangelico e, allo stesso tempo, sollecitano la riflessione di natura etica sulla vita politica e sociale di ogni epoca.
- «Non solleverai falsi rumori [o dicerie, calunnie]; non metterai la tua mano con il cattivo, per essere testimone perverso. Cap. 23 - Non seguirai l’opinione della maggioranza nel male. - In una contesa giudiziaria, non deporrai per dare semplicemente ragione all’opinione della maggioranza. - Per essere veramente imparziale, non favorirai neanche il debole nel suo processo. - Non ledere il diritto del povero nel suo processo. - Ti terrai lontano dalla menzogna. - Non farai morire l’innocente perché io non assolvo il colpevole. - Non accetterai doni (in giudizio), perché essi pervertono anche il giusto.
- «Non opprimerai lo straniero: voi conoscete la vita dello straniero, perché foste stranieri in terra d’Egitto». Cap. 23 - Se incontrerai gli animali del tuo nemico dispersi, glieli dovrai ricondurre. - Aiuta il tuo nemico a sciogliere il carico del suo asino che si è accasciato per il troppo peso.
Seguono le disposizioni che riguardano il Riposo dell’Anno sabbatico e quello del Settimo giorno (il Sabato):
- «Per sei anni seminerai la tua terra e raccoglierai il suo prodotto, ma al settimo non la coltiverai e la lascerai riposare: mangeranno i poveri del tuo popolo e le bestie selvatiche mangeranno ciò che resta; così farai alla tua vigna e al tuo olivo». Cap. 23 - L’osservanza del giorno di riposo settimanale, cioè il Sabato, è prescritta non solo per gli Israeliti ma anche per gli schiavi e il forestiero, e - stupefacente innovazione nel rapporto dell’uomo con gli animali! - anche per “il tuo bue e il
tuo asino”.
Tutte le disposizioni legislative elencate trovano, per l’autore sacro, il loro senso nell’Unico Dio che si è rivelato, Yhwh; esse si concludono infatti con un divieto assoluto: «non farete menzione del nome di altri dèi: non si senta sulla tua bocca!». Cap. 23
* L’osservanza del “Settimo anno” sembra, in realtà, che non sia mai stata praticata nella storia di Israele; tuttavia, la particolare disposizione rimane almeno come indicazione forte di una visione religiosa profondamente rispettosa della natura. Il creato è stato affidato all’uomo per essere gestito nella linea di uno sviluppo armonioso e non di uno sfruttamento distruttivo delle risorse naturali, come invece sta avvenendo da almeno un secolo nel mondo. Non è in linea con la volontà del Creatore perseguire lo sviluppo sociale basandolo su un consumismo senza freni, che divora il nostro pianeta come un Molock insaziabile, e inquina perfino la stratosfera con milioni di detriti che formano un anello intorno alla Terra come in un abbraccio mortale.
Vengono infine fissate le grandi feste di Israele, nelle cui ricorrenze ogni maschio adulto deve “presentarsi al Signore”. In realtà esse verranno codificate solo dopo l’entrata in Canaan, quando Israele diventerà sedentario. Le più importanti feste, alle quali se ne aggiungeranno in seguito altre, sono: 1) la festa degli Azzimi, in Primavera, durante la quale si mangiano cibi azzimi (senza lievito) per sette giorni durante la settimana di Pesach; 2) la festa della Mietitura del grano, o festa delle Settimane, che si celebrava
sette settimane (o 50 giorni) dopo la Pasqua; 3) la festa del Raccolto dei campi, in Autunno, chiamata anche festa delle Capanne.
Dopo aver ricordato ancora una volta l’obbligo di portare le primizie del suolo alla Casa del Signore, cioè il dovere di pagare le Decime, l’autore sacro chiude il capitolo 23 ricordando la promessa di Yhwh di far entrare gli Israeliti nella terra di Canaan: «Ecco, io mando un angelo davanti a te, per vegliare su dite nel cammino e farti entrare nel luogo che ho preparato. Sii attento davanti a lui, ascolta la sua voce, non ribellarti a lui, perché non sopporterà la vostra trasgressione, poiché il mio nome è in lui». Cap. 23
Chi sia questo “Angelo” non è possibile definirlo; certo è che rappresenta l’azione protettrice di Dio nei confronti di Israele. Segue la raccomandazione di non fare “alleanze” con gli dèi delle altre popolazioni; anzi, per evitare la tentazione di cadere nell’idolatria, gli Israeliti dovranno demolire stele e cippi eretti alle varie divinità. Quindi - in una sorta di spiegazione storica molto semplificata - l’autore biblico fa dire al Signore che il processo d’insediamento in terra di Canaan sarà un
processo lungo e laborioso, e anche drammatico per il confronto con le varie popolazioni della regione: «Manderò il mio terrore davanti a te… Non lo caccerò [il nemico] davanti a te in un solo anno, perché la terra non resti desolata e si moltiplichino contro di te le bestie selvagge; a poco a poco li caccerò davanti a te, fino a quando tu abbia fruttificato ed ereditato la terra». Cap. 23
* L’autore biblico non si pone affatto il problema etico che riguarda il diritto internazionale dei popoli; egli è unicamente interessato a raccontare la sopravvivenza degli Israeliti usciti dall’Egitto sotto la protezione di Yhwh. A distanza di molto tempo dall’insediamento in terra di Canaan - occorre tener presente che la redazione finale del libro dell’Esodo risale a vari secoli dopo! l’autore sacro interpreta i fatti della lenta occupazione della “Terra promessa” unicamente nell’ottica del progetto di Salvezza. Attribuendo direttamente a Dio la “volontà di scacciare” i popoli stanziati in Canaan, lo scrittore biblico intende affermare la fedeltà del Signore alle Promesse fatte ai patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe e allo stesso Mosè. Per fare una corretta lettura “teologica” di questi, come anche di altri avvenimenti biblici, occorre considerare l’agire di Dio nella Storia come un “intervenire” che alla fine si rivela sempre provvidenziale nel disegno generale di Salvezza.
Nella Bibbia, la Storia dell’uomo appare procedere sempre secondo proprie intrinseche leggi, che - non dobbiamo dimenticarlo mai! - sono segnate dal sigillo del peccato, cioè da ingiustizia, violenza, egoismo e una congenita incapacità di costruire quella pace che l’uomo desidera dal più profondo del cuore. Ma è proprio in questo procedere della Storia segnato dalla “colpa”, che si fa presente la continua azione di Dio come un suo reale “coinvolgimento” nelle vicende dell’umanità, che troverà a suo tempo la perfetta realizzazione nella venuta del Figlio suo Unigenito, il Signore Gesù, uomo tra gli uomini.
Come se fosse il racconto proveniente da una seconda Tradizione biblica, ci viene ora nuovamente detto che Mosè e Aronne sono convocati da Dio sul monte; questa volta insieme anche a 70 Anziani e a due figli di Aronne, Nadab ed Abiu. Ma avvicinarsi a lui è concesso unicamente a Mosè, al quale vengono rivelate le Dieci Parole e tutte le altre disposizioni. Tuttavia, anche quelli che accompagnano il grande Profeta hanno lo straordinario privilegio di avere una qualche percezione della divinità: Videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi c’era come un pavimento in piastre di zaffiro, della purezza dello stesso cielo. [Il Signore] non stese la sua mano contro i privilegiati dei figli d’Israele: guardarono il Signore, poi [in un pasto rituale]. mangiarono e bevvero. Cap. 24
Disceso dal monte Sinai - come ci ripete questa seconda Tradizione biblica Mosè espone al popolo le norme del Codice dell’Alleanza elencate nei capitoli precedenti; e l’autore sacro sottolinea che tutto il popolo rispose a una sola voce: «Faremo e ascolteremo tutto quello che il Signore ha detto».Cap. 24
Conclusa con adesione unanime l’Alleanza, Mosè erige un altare composto da 12 stele di pietra, una per ogni tribù di Israele, e incarica “alcuni giovani” che offrano sacrifici ed olocausti (secondo l’interpretazione talmudica, “si tratta dei primogeniti che fungevano da sacerdoti”). Il sangue degli animali sacrificati viene poi asperso, metà sull’altare e metà sul popolo, a sigillo forte della stipulazione del Patto. Mosè viene convocato di nuovo sul monte da Yhwh. Questa volta il grande Profeta è accompagnato dal solo Giosuè, che si tiene però a distanza per sacro rispetto; Aronne e gli Anziani rimangono invece all’accampamento per assistere il popolo. Al suo Profeta il Signore promette: «…ti darò delle tavole di pietra, la legge e i comandamenti che ho scritto per istruirli [gli Israeliti]». Cap. 24
La “nube” scende a coprire la cima del Sinai per “sei giorni”. L’autore sacro commenta: Al vederla, la gloria del Signore
era come fuoco divorante in cima al monte… Cap. 24
Il capitolo 24 si conclude dicendo che, chiamato nuovamente da Yhwh, al “settimo giorno” Mosè avanza e si addentra nel mezzo della Nube misteriosa. E, lì, rimane per “quaranta giorni e quaranta notti”.
* Non si può non pensare che queste cifre (6, 7, 40) non abbiano un valore simbolico: ci richiamano infatti i “sei giorni” della Creazione e il “settimo giorno” (cioè il Sabato), come anche i “quaranta giorni e quaranta notti” di pioggia del Diluvio universale. Tutte e tre le cifre ci ricordano sia la Prima creazione (quella dell’universo e dell’uomo) come anche la Seconda creazione (quella di una nuova terra e una nuova umanità con la storia mitica di Noè). Riportando questi numeri, la Bibbia intende dire che con l’Alleanza del Sinai il Signore sta operando una Terza creazione, quella di un popolo, “il suo”, che darà origine alla nuova umanità, il cui pieno compimento sarà il Messia promesso ai Progenitori nel Giardino in Eden.
A conclusione dell’Alleanza stipulata, si possono citare, a commento finale, le ultime parole del Salmo 147, un canto di lode con cui il popolo d’Israele celebrerà in seguito l’agire di Dio nei suoi confronti: Non fatto questo con nessun’altra nazione, non ha fatto conoscere a loro i suoi giudizi.
PROGETTAZIONE DELLA DIMORA DEL SIGNORE [capitoli 25-31]
Il Signore disse a Mosè: «Ordina ai figli d’Israele che prendano per me un’offerta: da ogni uomo, che sarà spinto dal proprio cuore… Mi faranno un santuario e abiterò in mezzo a loro…». Cap. 25
* I sette capitoli che seguono appaiono piuttosto aridi per l’argomento che trattano, e possono quindi risultare anche “noiosi”; non stupisce se, mettendo mano alla Bibbia, venga voglia di saltarli. Per affrontarli, infatti, ci vuole solo l’interesse che è proprio dello studioso biblico o anche una curiosità professionale, come può essere quella di un architetto o di un arredatore. Sembrano capitoli aridi perché trattano di misure e forme di elementi per la costruzione del “santuario mobile”, cioè smontabile, che gli Israeliti portano gelosamente con loro per tutto il periodo della peregrinazione. L’emozione vi è apparentemente assente, eppure questi capitoli sono anch’essi “Storia Sacra” a pieno titolo, e con un preciso significato; non ultimo, il significato sociologico della necessità di avere un centro religioso visibile come punto di riferimento e di coesione per la fede del popolo d’Israele. A dir la verità, una certa emozione vi è comunque presente, suscitata almeno dal
semplice elenco dei preziosi arredi sacri interamente d’oro (o rivestiti del nobile metallo) e realizzati con “lavoro d’artista”, che l’autore biblico ci descrive con una punta di religiosa meraviglia e anche con l’umano orgoglio di offrire a Yhwh il meglio di quanto il suo popolo poteva realizzare. Cercheremo di presentare i relativi dati della progettazione nella maniera più snella possibile.
Il contributo per la costruzione del santuario si estende a tutto ciò che c’è di più nobile tra i materiali: «Oro, argento e bronzo, porpora viola e porpora rossa, scarlatto, bisso e tessuto di peli di capra; pelli di montone tinte di rosso, pelli conciate e legni d’acacia; olio per illuminazione, balsami per l’olio d’unzione e per l’incenso aromatico; pietre di onice, e pietre da incastonare nell’efod e nel pettorale». Cap. 25
Si apre ora una serie di precise disposizioni, che provengono dal Signore stesso, e sono precedute sempre dalle espressioni verbali “Faranno… Farai… Farete…”.
A Mosè viene raccomandato di eseguire tutto “secondo il progetto” che gli è stato mostrato sul Sinai; questo significa che niente è affidato all’improvvisazione, ma tutto ha un preciso significato.
* Dalla descrizione di quanto segue, si presume che all’autore biblico siano ben noti gli arredi sacri in uso nelle liturgie pagane; ricordiamo inoltre che lo stesso Mosè, cresciuto a corte, doveva conoscere bene il complesso e raffinato rituale della religiosità egiziana. Ma, sottolineando che è il Signore stesso a ordinare minuziosamente il tutto, l’autore sacro si distanzia dalle altre religioni, e insieme afferma che la Liturgia ebraica è il mezzo privilegiato di preghiera, perché dettata non dall’uomo ma dallo stesso Yhwh.
I dati degli arredi verranno presentati tutti, ma nella loro essenzialità. In quanto alle misure, queste saranno approssimative, perché dipendono da come viene calcolato “il cubito”, una delle unità di misura vigenti all’epoca.
L’ARCA, cassa rettangolare di legno di acacia, lunga da 115 a 130 cm, larga e alta circa 70 cm. Rivestita completamente d’oro puro dentro e fuori, ha 4 anelli d’oro fissati ai piedi e 2 stanghe di legno, rivestite d’oro, sempre infilate pronte per il trasporto.
Il PROPIZIATORIO, coperchio dell’Arca fatto d’oro puro. Alle sue due estremità vi sono due cherubini d’oro, uno di fronte all’altro, con le ali spiegate verso l’alto nel gesto di proteggere il Propiziatorio e col viso inclinato rivolto ad esso.
La TESTIMONIANZA del Signore sono le due Tavole della Legge che saranno consegnate a Mosè sul Sinai per essere custodite dentro l’Arca.
Vera Dimora di Dio è quindi la stessa Arca, secondo quello che il Signore dice a Mosè: «È là che ti incontrerò, e da sopra il propiziatorio, tra i due cherubini che sono sull’arca della testimonianza,
ti dirò tutto quello che ti ordino riguardo ai figli d’Israele». Cap. 25
* L’Arca dell’Alleanza che custodisce la “Testimonianza” (cioè l’autentica Parola di Yhwh) è al centro della religiosità ebraica. Il grandioso Tempio, che Salomone costruirà in seguito, avrà proprio la funzione di contenere l’Arca con le due Tavole della Legge. Essa verrà custodita nell’ambiente più sacro dell’edificio, il Santo dei Santi, dove poteva entrare solo il Sommo sacerdote una volta all’anno. L’Arca andrà poi persa nella distruzione del Tempio da parte dei Babilonesi nel 586 a.C. Il Cristianesimo vedrà simboleggiata in essa l’immagine e la profezia di realtà superiori e uniche: - la Vergine Maria - che portò nel suo grembo Gesù, Figlio Unigenito di Dio e vera Parola di Dio - è la realizzazione della vera Arca, quella della Nuova Alleanza; - ma il concetto di Arca si estende anche alla Chiesa, di cui Cristo è il Capo perché lui stesso l’ha fondata: essa infatti custodisce la Parola di Dio e la Grazia dei Sacramenti che le sono state affidate per la Salvezza di tutti.
Il VELO delimiterà lo spazio del Santo dei Santi, dove sarà collocata l’Arca con la Testimonianza. Sarà fatto di porpora viola, rossa e di scarlatto, e di bisso ritorto;
e avrà figure di cherubini, “lavoro d’artista”. Sarà appeso a 4 colonne di legno di acacia rivestite d’oro e poggiate su 4 basi d’argento. Il Velo costituirà la separazione tra il Santo dei Santi e il resto della Dimora.
* Il Velo della Dimora (o, più tardi, del Tempio di Gerusalemme) è, nell’economia dell’Antico Testamento, il simbolo plastico della “separazione” tra l’universo dell’uomo e quello di Yhwh. Le due realtà non si devono confondere: esse rimangono assolutamente distinte, pur nella stretta relazione che tra loro intercorre. Nell’economia invece del Nuovo Testamento, il Velo di separazione tra Dio e l’uomo è stato “squarciato” dalla Risurrezione di Cristo, come leggiamo nei Vangeli. In altre parole: in Cristo, vero uomo e vero Figlio di Dio, l’umanità entra a fare strettamente parte della Vita trinitaria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo; l’uomo è cioè innalzato alla sfera divina.
La TAVOLA dei Pani dell’Offerta, collocata subito al di fuori del Santo dei Santi, sarà di legno di acacia e rivestita di oro puro; lunga cm 90 e larga cm 45, sarà alta cm 65.
Intorno avrà una cornice d’oro larga un palmo, sormontata da un bordo anch’esso d’oro. Come piedi avrà 4 anelli d’oro nei quali si inseriscono, per il trasporto, 2 stanghe di legno di acacia rivestite d’oro. Di oro puro saranno anche i suoi arredi sacri: piatti, coppe, anfore e tazze. Sulla Tavola verranno deposti i Pani dell’Offerta per essere sempre alla presenza del Signore.
Il CANDELABRO, posizionato di fronte alla Tavola dei Pani dell’Offerta, sarà fatto “con un talento di oro puro” (calcolabile tra i 20 e i 40 kg), lavorato come un’unica massa. Esso avrà un fusto e 6 bracci adornati di calici, bulbi e corolle lavorati;
sopra si collocheranno 7 lampade.
L’OLIO per tenere il Candelabro sarà fatto da olive schiacciate; Il compito di tenerlo sempre sarà di Aronne e dei suoi discendenti, «…perché sia davanti al Signore da sera a mattino: statuto perenne per i figli d’Israele…». Cap. 27
* La Tavola dei Pani dell’Offerta include il concetto di “mensa”, esprimendo così la comunione del fedele ebreo con il Dio che si è rivelato ai suoi Padri.
* Il Candelabro esprime invece il concetto della “luce” che ha fugato le tenebre del caos che regnava prima della Creazione; ma allo stesso tempo illumina la “mensa”, cioè il rapporto stretto dell’uomo con Dio, e fa luce al credente nel cammino della propria vita.
* Al fedele cristiano la Tavola richiama la Mensa eucaristica sulla quale si rende presente “il vero pane dal cielo”, Cristo stesso nel mistero sacramentale del suo corpo e del suo sangue; mentre il Candelabro ci ricorda le lampade poste sulla Mensa eucaristica e davanti al Tabernacolo, simboli di Cristo”Luce” del mondo.
L’ALTARE per l’Offerta dell’Incenso,
posto al di fuori del Santo dei Santi davanti al velo che nasconde l’Arca, sarà di legno di acacia rivestito di oro puro; alto cm 100 e di cm 50 per lato, avrà 4 corni per ogni angolo; attorno avrà un bordo d’oro e 2 anelli d’oro per infilarvi le stanghe di legno rivestite d’oro. Ogni giorno, al mattino e al tramonto, Aronne brucerà l’incenso. Una volta l’anno, i 4 corni dell’altare verranno purificati con il sangue del Sacrificio di Espiazione.
L’INCENSO aromatico sarà preparato con parti uguali di vari balsami: storace, ònice, gàlbano, sale e incenso puro. Esso non dovrà essere usato per uso profano
e nessun Israelita ne dovrà preparare di simile, per non essere radiato dal popolo di Dio: «…sarà per voi cosa santissima ». Cap. 30
* Nell’antichità, l’incensazione era riservata alla divinità. Nei Vangeli, infatti, l’incenso offerto dai Magi al bambino Gesù, a Betlemme, è l’attestazione della sua divinità. Nelle funzioni liturgiche solenni della Chiesa è prevista l’incensazione dell’Altare, dei Ministri e di tutti i fedeli; e nelle esequie è prevista anche per il defunto. Il significato di queste incensazioni è ricordare che, tramite il Battesimo, siamo inseriti nella stessa Vita trinitaria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
La DIMORA sarà fatta con 10 teli di bisso ritorto e di porpora viola, rossa e di scarlatto; sui teli vi saranno figure di cherubini ricamati con “lavoro d’artista”. I teli saranno lunghi dai 12 ai 14 metri e larghi 2 metri; 100 cordoni e 50 fibbie d’oro uniranno i teli per formare un tutto unico. Altri 11 teli di peli di capra
e di circa le stesse dimensioni copriranno la Dimora; altri 100 cordoni e 50 fibbie di bronzo uniranno questi altri teli a formare un tutto unico. La Dimora avrà, inoltre, una seconda copertura di pelli di montone tinte di rosso, e anche una terza copertura di pelli di tasso.
L’ARMATURA di sostegno della Dimora sarà composta da 48 assi di legno di acacia rivestite d’oro, da collocarsi verticalmente ai lati della Dimora. Saranno lunghe circa 4,5 metri e larghe cm 65; le assi avranno anelli d’oro dove inserirvi le traverse per tenerle unite. Saranno fatte 96 basi d’argento, 2 per ogni asse.
Saranno fatte 15 traverse di legno di acacia rivestite d’oro per collegare le assi messe verticalmente.
La CORTINA all’ingresso della Dimora sarà di porpora viola, rossa e di scarlatto, e di bisso ritorto; essa poggerà su 5 colonne di legno d’acacia rivestite d’oro; gli uncini per la cortina saranno d’oro, e di bronzo saranno le 5 basi delle colonne.
* Yhwh, Creatore dell’universo, non ha certamente bisogno di “una casa” dove abitare: egli dimora nel cuore dell’uomo. Ma la relazione dell’essere umano con Dio a necessariamente, oltre che attraverso lo spirito, anche attraverso “la carne”, attraverso cioè i modi espressivi della comunicazione umana, fatta di parole e gesti che si esprimono nella “Liturgia”. Questo termine significa in greco “Azione del popolo” nell’ambito politico e sociale; nel contesto religioso significa, invece, “Azione corale di lode” nei confronti di Dio. La Dimora (o più tardi il Tempio di Gerusalemme, o anche qualsiasi chiesa di oggi) è il luogo dove la comunità dei fedeli esprime l’Azione liturgica in tutta la sua dignità ed efficacia.
L’ALTARE degli Olocausti,
collocato all’esterno davanti alla Dimora, sarà di legno di acacia rivestito di bronzo, e ai lati avrà 4 corni; sarà un quadrato di circa metri 2,20, alto circa metri 1,30; ai lati avrà 4 anelli per le 2 stanghe di legno d’acacia rivestite di bronzo. I suoi arredi (recipienti, vasi, bracieri, ecc.) saranno di bronzo. Sarà fatta anche una graticola di bronzo “lavorato in forma di rete”; essa sarà posizionata sotto l’altare, a metà della sua altezza.
* L’Olocausto è il sacrificio cruento di un animale immolato sull’altare e interamente bruciato in onore della divinità: “In soave odore”, è l’espressione tipica usata nella Bibbia per dire che si tratta della lode più solenne che può essere rivolta a Yhwh. Ci sono poi, come vedremo, anche altri tipi di sacrifici. Mediante l’Olocausto, l’Ebreo riconosceva la sua totale dipendenza da Dio Creatore, al quale tutto appartiene. A noi Cristiani, il più solenne sacrificio dell’Antico Testamento ricorda, come un simbolo forte, il Sacrificio di Gesù sulla croce, divenuta in quell’occasione, per un misterioso disegno divino, l’unico e autentico Altare per tutta l’umanità.
Il BACINO di bronzo, collocato all’esterno della Dimora vicino all’altare dei sacrifici, conterrà l’acqua per le abluzioni di mani e piedi di chi officia. I sacerdoti dovranno lavarsi mani e piedi prima di entrare nel santuario o procedere ai sacrifici: «…e [così] non moriranno. Sarà per loro uno statuto perenne per lui [Aronne] e per i suoi discendenti nelle loro generazioni». Cap. 30
* L’abluzione delle mani che il Ministro compie durante la Messa, prima di iniziare la parte centrale e più importante di essa, è un’eco di quest’antica disposizione dell’Esodo; è simbolo - sia per il Ministro come per i fedeli - di purificazione da ogni residuo di peccato prima di accostarsi al mistero di Dio.
Il RECINTO intorno alla Dimora avrà tendaggi di bisso ritorto, lunghi circa 50 metri
per ognuno dei 2 lati più lunghi. Ogni lato avrà 20 colonne, ognuna con rispettiva base di bronzo; gli uncini delle colonne e le loro aste trasversali saranno d’argento. Il tendaggio del recinto verso occidente sarà lungo circa 25 metri, con le relative 10 colonne e 10 basi di bronzo. I 2 tendaggi di apertura del recinto verso oriente saranno lunghi circa 6 metri per ala; e avranno 3 colonne per parte con relative basi di bronzo. Alla porta del Recinto ci sarà una cortina di circa 10 metri, fatta di bisso ritorto, di porpora viola, rossa e di scarlatto, “lavoro di ricamo”; essa sarà sorretta da 4 colonne con relative basi di bronzo. L’altezza del recinto sarà di circa metri 2,5.
* La presenza di Yhwh in mezzo al suo popolo è definita con la parola ebraica “Shekinàh” (che significa Tenda o Dimora); il santuario che verrà costruito sarà il simbolo di questa presenza misericordiosa. Il particolare termine ebraico è usato anche oggi dalla teologia cristiana per indicare il medesimo concetto di “presenza del Signore in mezzo al suo popolo”, cioè nella Chiesa. Il Santuario, che custodisce l’Arca dell’Alleanza con le due Tavole della Parola di Dio e che viene avvolto anche dalla Nube, è per i Cristiani simbolo potente e profetico di Cristo, mediante il quale Dio “ha posto la sua Tenda, cioè la sua presenza, in mezzo all’umanità”. Così, il movimento di Yhwh che “discende” sulla Dimora nella Nube per rimanere in mezzo a Israele, diventerà, con la Risurrezione di Cristo, “movimento ascendente” dell’umanità verso l’Alto, perché attraverso la grazia del Battesimo e degli altri Sacramenti siamo inseriti a pieno titolo nella Vita trinitaria di Dio stesso.
Definita come dovrà essere costruita la Dimora, viene ora descritta nelle sue varie componenti l’istituzione dell’Ordine sacerdotale, perché svolga la funzione di “mediazione” tra Yhwh e il suo popolo. Il Signore ordina a Mosè: «Tu fa’ avvicinare tuo fratello Aronne e i suoi figli con lui… perché sia mio sacerdote: Aronne, Nadab, Abiu, Eleazaro, Itamar... Farai vesti sacre per tuo fratello Aronne…
e per i suoi figli…». Cap. 28
Le VESTI Liturgiche, descritte minuziosamente, saranno confezionate dagli artigiani più esperti che Dio riempirà di “uno spirito di saggezza”; essi anno oro, porpora e bisso.
L’Efod è un tipo di tunica, sostenuta da una cintura. Sulle spalline dell’Efod saranno incastonate 2 pietre di onice; su queste saranno incisi, 6 per parte, i nomi dei 12 figli di Giacobbe.
Il Pettorale del Giudizio è la borsa semirigida e quadrata di circa cm 22 per lato che viene appesa sul petto; vi saranno incastonate 12 pietre preziose diverse, disposte su quattro file, a ricordo delle 12 tribù di Israele: «Aronne porterà i nomi dei figli d’Israele
sul pettorale del giudizio, sul suo cuore, quando entrerà nel santo, in memoriale perpetuo davanti al Signore». Cap. 28
Nel Pettorale saranno custoditi gli Urim e i Tummim, che serviranno per tirare le “sorti sacre”, cioè per giudicare i contenziosi.
Sull’Efod sarà indossato il Mantello; al suo orlo inferiore si appenderanno sonagli d’oro che suoneranno quando Aronne entrerà e uscirà dal Santuario.
Il Copricapo o Turbante di Aronne avrà sul frontale una lamina d’oro puro con la scritta “Sacro al Signore”; essa significa che «Aronne porterà la colpa
che potranno commettere i figli d’Israele, in occasione delle offerte sacre da loro presentate. E sarà sulla sua fronte per sempre, in loro favore davanti al Signore». Cap. 28
Per gli altri sacerdoti saranno confezionati “per gloria e decoro” tuniche, cinture, copricapo e Calzoni di lino “per coprire la loro nudità”. I calzoni dovranno arrivare dai fianchi fino alle cosce e saranno indossati anche da Aronne: «Statuto perenne per lui e per i suoi discendenti». Cap. 28
* Le Vesti sacerdotali sottolineano che l’Azione liturgica non è un’azione laica, o profana, ma religiosa, perché compiuta da persone a questo deputate da Dio stesso, per mettere la comunità in comunicazione con lui. Nella Liturgia cristiana le Vesti che indossano i Ministri del culto sono chiamate Paramenti.
L’OLIO per l’Unzione sacra sarà preparato con balsami pregiati mischiati in varie proporzioni: mirra, cinnamomo, canna aromatica, cassia e olio d’oliva. Con l’Olio saranno unti la Dimora, l’Arca, la Tavola,il Candelabro, gli Altari dell’incenso e degli olocausti e tutti gli accessori: «Li santificherai e saranno santissimi: chiunque li toccherà sarà santo». Cap. 30 Saranno unti e consacrati anche Aronne e i suoi figli perché esercitino il sacerdozio. L’Olio dell’unzione non dovrà essere impiegato per uso profano: «Non si verserà su carne umana e non ne farete della stessa composizione: è santo e santo sarà per voi». Cap. 30
Minuziose sono anche le disposizioni per la cerimonia di CONSACRAZIONE di Aronne e dei suoi figli “perché esercitino il sacerdozio”: - Mosè laverà con l’acqua tutti i consacrandi; - sul capo di Aronne verserà l’Olio dell’unzione, - e lo rivestirà con tutte le Vesti sacre. - I figli di Aronne saranno invece vestiti dei soli tunica, cintura e copricapo. - Saranno immolati un giovenco e due arieti senza difetto; - insieme alle carni, saranno offerti in un canestro: pani, focacce e schiacciate azzime, preparate “con fior di farina di frumento” e cosparse di olio. - Verrà prima offerto il giovenco, sulla cui testa verranno imposte le mani; - con il suo sangue si aspergerà l’altare; - le parti grasse della vittima verranno fatte ardere in sacrificio sull’altare, - tutte le altre saranno bruciate fuori dell’accampamento, perché si tratta di un Sacrificio per il peccato. - Verrà poi offerto il primo ariete, sulla cui testa verranno imposte le mani; - con il suo sangue si aspergerà l’altare per gli olocausti; - dopo essere stati ben lavàti interiora e piedi, l’ariete sarà diviso in alcuni pezzi e immolato tutto sull’altare: “E’ un olocausto in onore del Signore”. - Verrà poi offerto, più o meno con le stesse modalità, anche il secondo ariete: - dato che si tratta dell’ariete per il rito di “Investitura”, verranno aspersi del suo sangue anche Aronne e i figli, ponendone un po’ sul lobo dell’orecchio destro, sul pollice della mano destra e sull’alluce del loro piede destro; - le parti grasse della vittima, insieme questa volta anche alla coscia destra, saranno bruciate sull’altare come offerta “in onore del Signore”;
- altre parti, cioè il petto e la coscia sinistra, saranno presentate “con un gesto di agitazione”, cioè con rito di elevazione, e diventano proprietà degli officianti: «saranno la porzione per Aronne e per i suoi figli… il loro prelievo in onore del Signore». Cap. 29
* La purificazione del corpo con l’acqua è chiaro simbolo della purificazione interiore della persona dai propri peccati.
* L’unzione con l’Olio, invece, che era usato anche per ungere i re nelle cerimonie d’intronizzazione, indica l’elezione dei sacerdoti all’alto compito di “mediatori” tra il popolo e Yhwh. L’Olio sacro fa parte ancora oggi, nella Chiesa, del rito di amministrazione dei Sacramenti dell’Ordine, del Battesimo, della Confermazione e dell’Unzione degli infermi.
* L’aspersione con il sangue - sia dell’Altare come anche dello stesso Aronne e dei figli - ha il forte significato simbolico di unire il sacerdote (rappresentante del popolo) alla vittima immolata in onore della divinità.
Al termine delle cerimonie, seguirà il pasto sacro, consumato con i Pani dell’Offerta e le carni del rito eseguito per la Consacrazione: «Un profano non ne mangerà, perché sono cose sacre… Per sette giorni farai l’investitura… Per sette giorni
farai l’espiazione per l’altare e lo consacrerai: l’altare sarà santissimo e sarà santo tutto quello che toccherà l’altare». Cap. 29
Le Vesti sacre di Aronne eranno poi al figlio che gli succederà nel ruolo; questi, quando sarà il momento, le indosserà per sette giorni come rito d’investitura. Così, Aronne e i suoi figli, afferma solennemente la Bibbia, «Avranno il sacerdozio in statuto perenne». Cap. 29
Impegno primario dei sacerdoti sarà quello di offrire tutti i giorni l’Olocausto per la Gloria del Signore.
L’OLOCAUSTO quotidiano comprende l’offerta di 2 agnelli di un anno, uno al mattino e uno al tramonto; insieme verrà offerta un po’ di farina impastata con un po’ di olio puro, e verrà offerto anche del vino:
«È l’olocausto perenne per le vostre generazioni, all’ingresso della tenda del convegno, davanti al Signore, dove io vi incontrerò… Abiterò in mezzo ai figli d’Israele e sarò loro Dio. Sapranno che io sono il Signore, loro Dio, che li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto per abitare in mezzo a loro: io, il Signore, loro Dio». Cap. 29
* L’Olocausto quotidiano dell’agnello e l’offerta del pane e del vino ci ricordano, come una profetica anticipazione, il pane e il vino dell’Eucaristia che si celebra ogni giorno in tutta la Chiesa, a ricordo dell’immolazione di Cristo sulla croce, “avvenuta una volta per sempre”, come dirà San Paolo.
* I sacrifici dell’Antico Testamento sono simbolo dell’unico Sacrificio della Nuova Alleanza, il Sacrificio di sé stesso consumato da Gesù sulla croce, e anticipato da lui nell’Ultima Cena con le parole dell’Istituzione dell’Eucaristia: “Questo è il mio corpo…Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti...”. Il sangue dei sacrifici dell’Antico Testamento era per la Salvezza del solo popolo ebraico, quello versato da Cristo sulla croce è per tutta l’umanità.
Le SPESE d’esercizio della Dimora
saranno sostenute da un contributo di mezzo siclo: lo dovrà versare ogni Israelita dai venti anni in su, sia povero che ricco, al momento che verrà fatto il censimento del popolo. Il contributo sarà il “riscatto per la propria vita”, cioè per non essere colpiti da qualche flagello per la “colpa” di aver fatto il censimento.
* Come si vedrà in seguito nella Bibbia, i censimenti del popolo d’Israele sono “cosa sgradita” al Signore. L’idea religiosa sottostante è che essi appaiono come un arbitrio dell’uomo, un’indebita pretesa di “contare le proprie forze”, tradendo così la fede nella provvidenza di Yhwh, unico garante e guida del popolo che egli si è scelto per realizzare il suo disegno di Salvezza.
A capo del progetto per realizzare tutto quello che riguarda la Dimora, il Signore “chiama per nome” due persone, due artigiani e allo stesso tempo artisti: Besaleel e Ooliab. Essi vengono riempiti dello Spirito di Dio, che concede loro: «…sapienza, intelligenza, scienza per ogni opera, per far progetti ed eseguirli in oro, argento e bronzo, per scolpire la pietra da incastonare,
intagliare il legno e fare ogni opera». Cap. 31
* Nella scelta di questi due personaggi, dotati d’ingegno e gusto artistico, il Dio che si è rivelato a Mosè dimostra di considerare l’Arte, in tutte le sue espressioni, un’emanazione della propria Gloria, e una delle forme più esaltanti con le quali l’uomo manifesta le proprie capacità comunicative. E’ per questo che l’Arte non deve essere considerata “fine a se stessa”, perché essa trova il suo senso pieno solo nel celebrare e comunicare la Gloria di Dio, cioè il Bello e il Vero dell’uomo; altrimenti essa diventa sterile e non comunica più. Nella Chiesa, come anche in tutte le religioni, l’Arte ha sempre avuto modo di esprimersi in splendide e molteplici forme a servizio dell’uomo.
Il Signore conclude tutte le indicazioni date a Mosè sul Sinai raccomandando, ancora una volta, l’osservanza del Sabato: il trasgressore - viene qui ripetuto più volte - sarà punito addirittura con la morte.
* La condanna a morte per chi non rispetta il Sabato bisogna leggerla nel contesto delle “stipulazioni d’alleanza” in uso nell’area dell’Antico Oriente: chi trasgrediva l’alleanza - sia quella stipulata tra il popolo e il suo re, sia quella tra due popoli - meritava di morire: questa era la cultura dell’epoca. La pena della condanna a morte sottolinea, allora, l’importanza fondamentale dell’Alleanza donata da Yhwh.
Ma l’osservanza del Riposo sabatico è fondata, più che sulla costrizione, soprattutto sul Patto che Yhwh ha stabilito con il suo popolo:
«I figli d’Israele osserveranno il sabato... Alleanza perenne. Tra me e i figli d’Israele è un segno perenne …». Cap. 31
Concludono il capitolo 31 le parole: Quando [Yhwh] ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè due tavole della testimonianza, tavole in pietra, scritte con il dito di Dio. Cap. 31
IL VITELLO D’ORO E LA NUOVA ALLEANZA [capitoli 32-34]
Mosè e Giosuè sono sul Sinai ormai da “40 giorni e 40 notti” e non si fanno ancora vedere. Sottolineando l’impazienza degli Israeliti per la lunga attesa, l’autore biblico, dice: Il popolo, vedendo che Mosè indugiava nello scendere dal monte, si radunò intorno ad Aronne e gli disse: «Facci un dio che vada davanti a noi, perché di questo Mosè… non sappiamo che cosa ne sia ». Cap. 32
Aronne prende atto che Mosè tarda a scendere; e, dato che non ha la stoffa del fratello, cede alle pressanti richieste di una parte del popolo. Egli ordina quindi a tutti di consegnare i pendagli d’oro personali, per fonderli e farne una scultura in forma di torello, animale comune del panteon pagano. Di fronte all’idolo aureo, tutti si prostrano e dicono: «Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto». Cap. 32
Costruito un altare, vengono offerti olocausti nel generale tripudio del popolo. A Mosè, ignaro sul Sinai di quanto sta succedendo, Dio ordina: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Si sono allontanati presto dal cammino che avevo loro ordinato... Ho visto questo popolo, ed ecco è un popolo duro di nuca. Ora lasciami fare: la mia ira si accende contro di loro e li divora, mentre di te farò una grande nazione». Cap. 32
Il grande Profeta tenta di placare “l’ira” di Yhwh con un’argomentazione che vorrebbe stuzzicare l’amor proprio divino, ma che, considerata rivolta a Dio, appare un po’ ingenua. Gli dice infatti Mosè: “Se distruggi il tuo popolo, gli Egiziani avranno buon gioco nel dire che lo hai fatto uscire con malizia proprio per farlo morire nel deserto, e questo non gioverebbe alla tua immagine!”. La supplica si chiude con le parole: «Recedi dall’ardore della tua ira e risparmia il male al tuo popolo. Ricordati dei tuoi servi Abramo,
Isacco e Israele [Giacobbe], ai quali hai giurato per te stesso e ai quali hai detto: “Moltiplicherò il vostro seme come le stelle del cielo e darò tutta questa terra, …ai tuoi discendenti che la erediteranno per sempre”». Cap. 32
L’accorata preghiera ottiene il suo effetto, perché l’autore sacro conclude: Il Signore abbandonò il proposito di fare del male al suo popolo. Cap. 32
* E’ sorprendente l’arditezza letteraria con cui l’autore biblico, per descrivere l’amore indefettibile di Dio per il suo popolo, inverte le parti della scena: egli mostra cioè Yhwh come “vittima” di un’ira incontrollata e Mosè come il “saggio consigliere” che rabbonisce il suo Dio! E’ anche da sottolineare il modo del tutto umano, cioè antropomorfico, con cui l’autore biblico esprime la reazione del Signore di fronte al grave peccato di tradimento. Dicendo infatti a Mosè “Va’, scendi, perché il tuo popolo che hai fatto uscire dall’Egitto, si è pervertito.”, egli sembra rifiutare Israele come proprio figlio, sembra esprimersi cioè come un genitore in collera, che addossa all’altro genitore tutta la paternità o maternità di un figlio incorreggibile.
Finalmente, sorreggendo tra le braccia le due Tavole della Testimonianza, Mosè
scende dalla montagna insieme a Giosuè. Esse erano tavole scritte su due lati, da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole. Cap. 32
* Queste ultime parole, così precise, impongono una riflessione. Sappiamo che i Musulmani ritengono che il loro libro sacro, il Corano, sia stato scritto “materialmente” da Dio stesso in lingua araba, e che l’originale sia conservato in cielo. Proprio per questo fatto, gli Islamici, almeno quelli più radicali, non ammettono che si possano fare traduzioni del Corano per leggerlo in altre lingue. Nella tradizione islamica riecheggia con evidenza l’accenno che il libro dell’Esodo fa alle Tavole della Testimonianza, in quanto “scritte, o incise, direttamente da Dio”. Maometto conosceva bene infatti sia l’Antico Testamento come anche il Nuovo Testamento, perché in Arabia (siamo nel VII secolo dopo Cristo) vi era ai tempi una forte presenza sia ebraica che cristiana.
* Il modo di considerare la Bibbia da parte della Chiesa è, invece, del tutto diverso: essa è certamente Parola di Dio, autentico Messaggio divino nel suo contenuto fondamentale di Salvezza, ma è scritta “da mano d’uomo”, cioè con i pregi e i limiti dei linguaggi culturali delle varie epoche in cui si sono formati i numerosi libri che la compongono. Ed è proprio per questo, che la lettura della Bibbia necessita di una corretta interpretazione, di cui la Chiesa, guidata e continuamente assistita dallo Spirito Santo, è stata e sarà sempre l’unica garante.
Scendendo dal monte, a Giosuè sembra di percepire rumori di battaglia provenienti dall’accampamento; Mosè però gli rivela la dolorosa realtà. Al vedere l’idolo d’oro e la festa che si sta svolgendo, il grande Profeta e Condottiero va su tutte le furie per il peccato di tradimento dell’Alleanza: egli scagliò dalla mano le tavole, e le ruppe ai piedi del monte. Prese il vitello che avevano fatto, lo bruciò nel fuoco, lo frantumò fino a farlo diventare polvere, la sparse sulla superficie dell’acqua e la fece bere ai figli d’Israele. Cap. 32
Fatta bere la pozione a coloro che si sono macchiati del grave peccato perché poi la espellano come cosa immonda, Mosè prende di petto Aronne e lo rimprovera aspramente per aver permesso e collaborato all’atto d’idolatria. Per farci capire che il momento era cruciale, l’autore sacro sottolinea che “il popolo era sfrenato”: parole che lasciano intendere che l’unità degli Israeliti si stava sfaldando, e che stava prendendo il sopravvento la corrente dei nostalgici dell’Egitto.
* Costruirsi un idolo venerato da un’altra nazione, voleva dire lasciarsi imporre da questa usi e costumi, significava cioè asservirsi e perdere la propria identità. Le Tavole della Legge spezzate, e il popolo che fa festa intorno al suo idolo, sono immagine del rifiuto di seguire la norma divina, per abbracciare invece una concezione di libertà concepita unicamente come “assenza di vincoli”. Concezione, che sembra anche essere una delle maggiori istanze che dominano oggi la cultura laica occidentale.
Di fronte al grave pericolo di scissione nella comunità, e di dissolvimento della fede nell’Unico Dio che si è rivelato ai Patriarchi, Mosè prende una decisione estrema quanto atroce. Chiama a raccolta gli uomini della tribù di Levi e affida loro una missione da compiere: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: “Metta ognuno la propria spada al fianco, ate e riate da porta a porta nell’accampamento e uccidete a chi suo fratello, a chi il suo amico, a chi il suo vicino”». I figli di Levi fecero come aveva detto Mosè e del popolo caddero in quel giorno circa tremila uomini. Cap. 32
Per questo atto di fedeltà, comprensibile solo nell’arcaico contesto politicoreligioso del tempo, la tribù di Levi riceve come “benedizione” l’investitura di Custodi del santuario di Yhwh. Il giorno dopo, il grande Profeta e Condottiero convoca tutto il popolo per tentare la riconciliazione, e dice loro: «Voi avete commesso un grande peccato, ma ora salirò dal Signore:
forse otterrò ancora il perdono del vostro peccato». Cap. 32
Per l’intercessione di Mosè, il Signore concede naturalmente il perdono, e ordina al suo Profeta di condurre il popolo verso la terra promessa con giuramento ad Abramo, Isacco e Giacobbe, senza aver paura dei popoli che incontreranno sulla strada, perché questi saranno sconfitti. Nella sua grande misericordia, Yhwh ripete che proteggerà gli Israeliti facendoli precedere dal suo “Angelo”; ma precisa anche un altro tipo di punizione e un’accusa rovente: «…non sarò certo io a salire in mezzo a te, perché sei un popolo duro…». Cap. 33
All’udire la punizione di non godere più della presenza di Dio in mezzo a loro (la Shekinàh), essi si rattristano e, in spirito di penitenza, nessuno di loro indosserà più i propri ornamenti.
* Che dire della strage di Israeliti compiuta per motivi religiosi? Ai Cristiani può ricordare, tra i tanti episodi della storia, la strage degli Ugonotti nella notte di San Bartolomeo in Francia nel 1572; come anche le stragi che oggi vengono compiute dall’estremismo islamico. * L’atroce episodio - assolutamente inqualificabile per la sensibilità religiosa cristiana - lo si deve valutare inserito nella storia drammatica dell’uomo. Questa procede sempre secondo le sue intrinseche leggi segnate dal peccato, cioè dall’ingiustizia, dall’egoismo e dalla costitutiva incapacità umana di assicurare quella pace duratura che tutti desiderano dal più profondo del cuore.
* L’episodio del Vitello d’oro sembra mettere in luce le problematiche irrisolte del piccolo ed eterogeneo gruppo uscito dall’Egitto: non tutti sono discendenti di Giacobbe, non tutti cioè professano la fede pura nel Dio dei Patriarchi, non tutti quindi condividevano le decisioni di Mosè. Tra i tanti, quello del Vitello d’oro è l’episodio più eclatante dei ripensamenti e rivolte che si verificano ogni tanto all’interno del gruppo dei fuorusciti, soprattutto nei momenti in cui la figura di Mosè sembra indebolirsi, o essere assente come in questo caso, assente “per quaranta giorni”.
* Un’altra riflessione che si può fare sull’episodio è la seguente: quando ci si allontana dalla vera fede - rappresentata qui da Mosè - si finisce inevitabilmente col crearsi altre divinità, altri surrogati della fede. L’uomo non può infatti rimanere senza un riferimento all’Assoluto, per il semplice motivo che egli è “creato da Dio”, quindi, in qualche modo da lui “strutturalmente dipendente”. A questo proposito, la riflessione teologica ci dice che, se Dio smettesse di “pensarci”, noi e il creato non esisteremmo più. Il fenomeno dell’idolatria è chiaramente visibile anche nella nostra epoca, un’idolatria piuttosto rabberciata: il grande ricorso ad amuleti, oroscopi e maghi nella nostra società evoluta, come anche agnostica e smarrita, e il perseguimento di valori che distruggono la dignità dell’uomo, sono specchio, in un certo senso, di quello stesso rifiuto del vero Dio verificatosi ai piedi del monte Sinai.
A questo punto, introducendo un argomento che appare di per sé meglio collocabile nei capitoli precedenti, l’autore biblico ci descrive il ruolo della Tenda del Convegno, alla quale si recano gli Israeliti per “consultare” il Signore: - Tutte le volte che il popolo leva il campo, Mosè fa smontare il santuario mobile per poi erigerlo nel nuovo posto; - la Tenda viene montata sempre fuori dell’accampamento; - ad essa si reca chiunque voglia “consultare” il Signore;
- quando Mosè vi si reca per pregare, tutti lo seguono con lo sguardo stando in piedi davanti alle proprie tende; - tutte le volte che Mosè entra nella Dimora, scende la “Colonna di nube” posizionandosi all’ingresso; - il popolo rimane nell’accampamento e si prostra per terra davanti alle proprie dimore; - dentro la Tenda del Convegno, Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con il suo vicino. Cap. 33 - Terminato il colloquio con il Signore, Mosè ritorna all’accampamento; - all’interno della Tenda rimane come custode il giovane Giosuè: “non si allontanava dall’interno della Tenda”, sottolinea la Bibbia quasi a voler legittimare la sua figura di futuro successore di Mosè come Condottiero d’Israele.
Segue quindi, come tipico esempio di colloquio “faccia a faccia” tra Yhwh e il suo Profeta, uno splendido brano che trascriviamo quasi per intero.
«Tu [o Signore] mi hai detto: “Ti ho conosciuto per nome e hai anche trovato grazia ai miei occhi”.
Allora, se ho trovato grazia davanti ai tuoi occhi, fammi conoscere la tua via, così che io ti conosca ...». [Il Signore] rispose: «Il mio volto camminerà con voi…». [Mosè] gli disse: «Se non è il tuo volto a camminare con noi, non farci salire di qui. In che cosa si saprebbe qui che ho trovato grazia ai tuoi occhi, io e il tuo popolo? Non è forse perché tu cammini con noi e ci distingueremo, io e il tuo popolo, da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra?». Il Signore disse a Mosè: «Anche questa cosa che mi hai detto farò, perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome».
[Mosè] gli disse: «Fammi dunque vedere la tua gloria». [Il Signore] rispose: «Io farò are tutto il mio splendore davanti a te e pronuncerò davanti a te il nome del Signore. Farò grazia a chi farò grazia e avrò pietà di chi avrò pietà». E [il Signore] soggiunse: «Non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere». Il Signore disse: «Ecco un luogo vicino a me: ti terrai sulla roccia. Quando erà la mia gloria, ti metterò nella fenditura della roccia e ti coprirò con la mia palma [della mano] fino a quando sarò ato; poi ritirerò la mia palma e mi vedrai di spalla,
ma il mio volto non si vedrà». Cap. 33
Riprende ora il racconto delle Tavole della Legge, che abbiamo lasciate spezzate ai piedi del monte, dopo l’episodio del Vitello d’oro. Yhwh ordina a Mosè di procurarsi altre due tavole di pietra sulle quali egli scriverà nuovamente le medesime parole che erano su quelle distrutte. Gli dice, inoltre, di ritornare sul Sinai anche il mattino seguente, ma da solo: sulla montagna non dovrà esserci nessuno, neanche greggi al pascolo! Il giorno dopo, il Signore “scende nella Nube” accanto a Mosè e “proclama” il proprio Nome: «Il Signore, il Signore, Dio di pietà e misericordia, lento all’ira e ricco di grazia e verità, che conserva grazia per mille generazioni, sopporta colpa, trasgressione e peccato, ma senza ritenerli innocenti, che visita [castiga] la colpa dei padri sui figli e sui figli dei figli fino alla terza e fino alla quarta generazione». Cap. 34
Di fronte a questa dichiarazione dell’amore misericordioso di Dio, Mosè si prostra, riconosce umilmente le colpe del popolo e intercede nuovamente per ottenere il perdono, supplicando Yhwh perché continui a considerare gli Israeliti “sua eredità”.
Il Signore gli risponde: «Ecco, io contraggo un’alleanza di fronte a tutto il tuo popolo: compirò prodigi che non sono mai stati compiuti in tutta la terra e tra tutte le nazioni…». Cap. 34
Al grande Profeta viene nuovamente profetizzato che i popoli della regione che si opporranno a Israele saranno “cacciati”; e gli viene tassativamente proibito di fare alleanze con gli abitanti della terra in cui sta per entrare, per evitare la tentazione dell’idolatria. Anzi, agli Israeliti viene ordinato che, occupando la nuova terra, distruggano altari, stele e pali sacri pagani, perché «non ti prostrerai a un altro dio, poiché il Signore è un Dio geloso». Cap. 34
Viene quindi ripetuto l’elenco delle disposizioni sulle quali è basata l’Alleanza, e che già conosciamo; ecco le principali: - non prendere in moglie per i propri figli donne pagane straniere; - non fabbricarsi idoli in metallo fuso; - ogni primogenito maschio sarà consacrato al Signore e riscattato; - osservare il riposo del Sabato; - pagare le decime con il meglio delle primizie;
- osservare le feste degli Azzimi, delle Primizie della mietitura e del Raccolto; - obbligo, per ogni Israelita maschio, di presentarsi davanti al Signore tre volte all’anno.
Il Signore disse a Mosè: «Scrivi queste parole, perché secondo queste parole ho contratto alleanza con te e con Israele». Cap. 34
Mosè rimane sul monte, a colloquio con il Signore, per “quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua”: annotazione di natura simbolica, a cui faranno cenno anche i Vangeli nel riferirci l’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto. Quando, con le due nuove Tavole della Legge in mano, Mosè scende dal Sinai per riferire i termini dell’Alleanza, tutto il popolo nota che “la pelle del suo viso era raggiante” per aver conversato con Yhwh. Il fenomeno turba gli Israeliti; così, il grande Profeta è costretto a coprirsi il viso con un velo quando parla alla gente, mentre se lo toglie quando entra nella Dimora a parlare con il Signore.
REALIZZAZIONE DELLA DIMORA DEL SIGNORE [capitoli 35-40]
In questi ultimi capitoli l’autore biblico descrive la realizzazione del santuario e degli arredi sacri, i cui nomi, forme e dati di manifattura già conosciamo bene dai capitoli 25-31, nei quali è stato esposto quanto si doveva realizzare. Stimiamo bene quindi non riportare nuovamente quei dati. Prima di iniziare la serie di disposizioni per la costruzione della Dimora, Mosè rammenta, per l’ennesima volta, il dovere di osservare scrupolosamente il Sabato: in quel giorno non si dovrà accendere neanche il fuoco, pena addirittura la morte! Sanzione estrema, dettata dalla paura che l’identità ebraica possa dissolversi, insieme anche allo stesso progetto divino di Salvezza.
Le disposizioni per realizzare il Santuario possono essere riassunte così: - offrire con generosità un contributo “per il Signore” su quanto si possiede di prezioso: oro, argento, bronzo, tessuti pregiati, pietre preziose, ecc.; - artisti e artigiani devono prestarsi volentieri per la realizzazione dell’opera.
L’appello alla generosità ottiene pieno successo: Ogni uomo e donna, spinti dal proprio cuore a portare qualcosa per l’opera che il Signore aveva ordinato di fare
per mezzo di Mosè,… portarono volontariamente al Signore. Cap. 35
Anzi, si è addirittura costretti a sospendere la colletta, perché il materiale regalato è sovrabbondante. Mosè presenta quindi al popolo gli artisti e ingegneri Besaleel e Ooliab per confermarli capi del progetto. Essi, viene sottolineato, sono stati “chiamati per nome” dal Signore stesso. I due, dotati di saggezza e intelligenza, sono capaci di realizzare ogni sorta di opera e di ideare progetti. A questo punto, per sottolineare che i due progettisti e i loro collaboratori realizzano il tutto proprio come il Signore aveva ordinato, l’autore biblico elenca meticolosamente, con quantità e misure, quanto è stato già descritto nei capitoli precedenti. Ne riportiamo, per rinfrescare la memoria, solo i titoli: - la Dimora, - l’Armatura di sostegno, - il Velo, - l’Arca e il Propiziatorio, - la Tavola dei pani dell’offerta, - il Candelabro, - l’Altare per l’offerta dell’incenso, - la preparazione dell’Incenso aromatico, - la preparazione dell’Olio dell’Unzione, - l’Altare per gli olocausti,
- il Bacino di bronzo, - il Recinto.
Sospesa la colletta, viene redatto dai Leviti, sotto la direzione di Itamar, un computo accurato dei preziosi beni raccolti. Nel conteggio è compresa anche la tassa di “mezzo siclo” pagata da 603.550 adulti maschi “dai vent’anni in su”, come risultavano dal censimento. La cifra appare esagerata, ma potrebbe corrispondere ai tempi in cui fu redatto il libro dell’Esodo, cioè a vari secoli dopo. Calcolando mediamente “talenti” e “sicli” dell’epoca, le quantità di materiali preziosi impiegati riferite dalla Bibbia sono notevoli: - circa 1.000 kg d’oro; - più di 3.000 kg d’argento; - più di 2.000 kg di bronzo.
* Tutto quest’oro, argento, pietre e stoffe preziose, profusi per la Liturgia sacra, creano in molte persone delle perplessità, soprattutto nella nostra epoca segnata dalla recessione, dall’aumento della povertà, dall’incapacità della politica di assicurare esigenze fondamentali come l’assistenza medica, la scuola, la cura degli anziani, ecc.; ma creano perplessità anche considerando solamente i tempi di allora, quando la povertà non era certamente minore.
* Oggi si grida spesso allo scandalo per “le ricchezze della Chiesa”, simpatizzando con Giuda Iscariota che, nel Vangelo, fa la famosa proposta riguardo al presunto “spreco” che una certa Maria stava compiendo ungendo i piedi di Gesù con un costosissimo profumo: “Perché non si è venduto il profumo per trecento denari e non si è dato il ricavato ai poveri?”. Sappiamo cosa risponde Gesù: “Lasciala fare… I poveri infatti li avete sempre
con voi, me invece non avete sempre”; risposta, con la quale il Signore prende le distanze dal falso “pauperismo” di Giuda, per focalizzare invece l’attenzione su un valore ben superiore, cioè sui drammatici avvenimenti salvifici che si stavano per verificare a breve: il suo arresto, ione, morte e risurrezione. Il presunto “spreco” del profumo nell’episodio evangelico diventa, allora, un gesto simbolico dal valore ben più alto del preziosissimo unguento. Nel giudicare quindi, nel libro dell’Esodo come anche nella storia della Chiesa, l’impiego di oro, argento, pietre e stoffe preziose per i manufatti artistici destinati al culto, sarebbe saggio tener presente il loro valore simbolico di oggetti tramite i quali l’uomo celebra, sottolineandole proprio “anche materialmente”, la dignità e grandezza della presenza divina nella propria vita personale e sociale. D’altra parte, come usiamo il linguaggio letterario più ricercato per comunicare ed esprimere i più profondi sentimenti verso le persone che amiamo o stimiamo, perché non dovrebbe essere altrettanto anche nei riguardi degli oggetti di culto che usiamo per metterci in dialogo con lo stesso Creatore dell’universo, a cui tutto appartiene?
Minuziosamente descritte nei dettagli, segue anche l’elenco delle Vesti liturgiche realizzate “come il Signore aveva ordinato”: - l’Efod, - il manto dell’Efod, - le tuniche, - i calzoni - le cinture - i berretti - il turbante di Aronne e la sua lamina frontale.
L’autore biblico conclude l’opera di realizzazione della Dimora con queste parole: Così fu terminato tutto il lavoro della dimora e della tenda del convegno. I figli d’Israele fecero secondo tutto quello che il Signore aveva ordinato… Mosè vide tutta l’opera e riscontrò che era fatta come aveva ordinato il Signore. E Mosè li benedisse. Cap. 39
Nell’ultimo capitolo del libro, il Signore ordina di montare la Dimora, e precisamente “nel 1° giorno del 1° mese” dell’anno ebraico; l’anno è il 2° dall’uscita dall’Egitto. La disposizione delle varie parti della Dimora è nuovamente descritta meticolosamente, ma, conoscendola già dai capitoli precedenti, non la riportiamo. Viene quindi comandato di “ungere”, con l’Olio dell’Unzione, la Dimora, gli altari e gli arredi per renderli “sacri”, cioè idonei al culto. Dopo essersi lavati con acqua, saranno unti anche Aronne e i figli, i quali poi indosseranno le Vesti sacre: «…e saranno miei sacerdoti;
la loro unzione sarà per essi come un sacerdozio perenne, per le loro generazioni». Cap. 40
Così, eseguita ogni cosa come il Signore aveva ordinato, “nel 2° anno, nel 1° giorno del 1° mese” dall’uscita dall’Egitto viene eretta la Dimora di Yhwh.
Il libro dell’Esodo si conclude con le parole: La nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno perché la nube vi dimorava sopra... Quando la nube si innalzava al di sopra della dimora, i figli d’Israele si spostavano in tutte le loro tappe; e se la nube non si alzava, non si spostavano finché non si fosse alzata. Perché di giorno la nube del Signore
era sopra la dimora e di notte vi era sopra un fuoco... Cap. 40
Con l’immagine della Nube che si alza o si posa sulla Dimora di Dio, e che sembra “dettare” al popolo d’Israele l’itinerario del cammino verso la Terra promessa, si chiude il libro dell’Esodo. Iniziato con la fuga dall’Egitto dei discendenti di Giacobbe guidati da Mosè, il libro ha raccontato il formarsi di quel gruppo eterogeneo di persone in “un popolo”, unificato da una particolare identità religiosa. Questa identità è definita dall’esperienza della Pasqua e dell’Alleanza sul Sinai con il Dio che si è rivelato, e che ha donato le sue leggi a Israele per farne un popolo “diverso” dagli altri; “diverso” non per renderlo superiore come razza, ma per assolvere un compito particolarissimo che gli verrà man mano svelato lungo la sua storia. Il racconto che occupa la seconda parte del testo, cioè la costruzione della Dimora con i suoi arredi sacri, apre già al “Levitico”, terzo libro della Sacra Scrittura. Esso contiene le “prescrizioni religiose” che fanno degli Israeliti un popolo “Santo”, cioè “separato” dagli altri popoli, e con la missione di essere Testimone del progetto di Salvezza di Dio in favore di tutta l’umanità.
-------------------Un particolare ringraziamento a Fr. Michele Eriani per la preziosa consulenza informatica prestata per la pubblicazione dell’opera. --------------------
----------------------Nota: A breve, saranno disponibili anche gli altri tre libri del Pentateuco.