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LA FORMA DEL MALE

di sca Angelinelli

“La forma del male” © Copyright 2015 sca Angelinelli Tutti i diritti riservati

Titolo | Lla forma del male Autore | sca Angelinelli ISBN | 9788891174772 Prima edizione digitale: 2014 © Tutti i diritti riservati all’Autore Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE) [email protected] www.youcanprint.it Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

01

Le strade di Contention erano polverose e animate di gente. “Troppa gente”. Jim si calò lo stetson sulla fonte per celare il proprio sguardo nell’ombra della tesa e osservare indisturbato i anti. Ognuno di loro poteva essere la creatura che cercava. Anche la signora in abito bianco di pizzo e crinolina, piegata su una culla, avrebbe potuto non essere ciò che appariva. “Dannazione!”, imprecò tra sé, mentre conduceva il suo mustang, Ribelle, verso il saloon. Se c’era una cosa che odiava di Tom “Cambiafaccia” era che avrebbe potuto benissimo farsi are per il moccioso nella culla tanto quanto per marito della signora, senza che nessuno si accorgesse dello scambio.

Di demoni, mostri e stranezze sputate fuori dall’inferno dei bianchi tanto quanto da quello dei sioux ne aveva viste abbastanza da cominciare a perderne il conto, ma i mutaforma - cazzo! - su quelli non ci potevi mai contare. Se un uomo di notte si trasformava in un coyote perché era stato tanto idiota da appendersi in casa la pelle dell’animale ucciso e cominciava a far fuori la sua famiglia per poi are al resto del villaggio, gli si poteva sparare. Un bel colpo preciso e Rebecca, la sua colt caricata con pallottole d’argento, avrebbe fatto un lavoro rapido e pulito. Tanti saluti al coyote mannaro di Springfield, Arizona. Gli bastavano due occhiate per riconoscere un tizio colpito dalla maledizione: occhi iniettati di sangue, barba non fatta, unghie lunghe, appetito insaziabile e un’improvvisa predilezione per la carne appena scottata. Un po’ come quella volta che aveva inquadrato in una frazione di secondo quell’indiano che non voleva saperne di morire. Maledizione, quello non lo sapeva neppure di essere crepato da una settimana! Eppure il puzzo avrebbe dovuto fargli venire qualche dubbio sulle sue condizioni. Di solito gli indiani non erano così sciocchi. Ma Scalpo che Corre era stato gabbato al gioco da un soldato e si era messo in testa di vendicarsi. Non era bastata la morte a fermarlo e poco gli importava che nell’aldilà i soldi non gli sarebbero serviti a un gran che. Era una questione di principio, diceva. Sacrosanto! Ma che odore terribile avevano i suoi principi.

Con i mutaforma le cose non erano mai così semplici. Per questo Jim dava la

caccia a Tom “Cambiafaccia” da alcuni mesi, ormai. Dal Montana al Nebraska, ando per i due Dakota e il Wyoming, aveva ato più giorni in sella dietro a Tom “Cambiafaccia” che durante gli anni trascorsi con gli Oglala a imparare come comportarsi da vero sioux. Era rimasto un wasichui eppure in quel momento, mentre ripensava alle settimane trascorse sulle tracce di quel dannato fuorilegge, non sentiva l’orgoglio ribollire all’idea di quanto lo avrebbe sfottuto Virgil Walker, la buon’anima di Marshall federale che gli aveva dato le prime pallottole d’argento e quell’incarico maledetto, ma per come lo avrebbe guardato Cavallo Pazzo, il suo “fratello” indiano, se fosse stato lì a vedere quanto il suo culo e la sua sella fossero diventati intimi a causa di un fottuto mutaforma. “Che il diavolo se lo prenda”, avrebbe voluto imprecare, ma la verità era che nemmeno il diavolo voleva avere a che fare con Tom “Cambiafaccia” e per questo gli aveva dato un calcio nel sedere tanto forte da spedirlo su, nelle praterie del selvaggio west. “Amen” avrebbe concluso padre McBride, giù a Fort Laramie. Ma il vecchio esorcista non c’era, Virg se ne stava con molta probabilità a farsi lucidare gli stivali in qualche maledettissimo posto in Kansas e Cavallo Pazzo era chissà dove tra le Black Hills e i monti Big Horn.

Le cose stavano così: doveva risolvere la faccenda di Tom “Cambiafaccia” da solo e il più in fretta possibile, perché di certo lo stramaledetto mutaforma aveva già ammazzato un’altra vittima per assumerne l’identità e prenderne il posto. Era così che agiva anche durante le rapine. Trentasette rapine in banca, cinque assalti ai treni, otto diligenze e un numero imprecisato di morti tra soldati, civili, indiani e qualsiasi altra forma vivente su cui il bastardo avesse messo mano. L’ultima delle quali, per quel che ne sapeva, era stata Anna O’Sullivan, ballerina venticinquenne, gambe lunghissime e occhi da cerbiatta, scomparsa dal saloon di Salvation, South Dakota, dove lavorava, solo per riapparire due giorni più tardi tra i eggeri di una diligenza diretta a sud. eggeri tutti morti, ovviamente, e privati di ogni singolo avere, compresi i denti d’oro del conducente.

Per giorni, cavalcando verso il confine con il Nebraska, Jim si era domandato cosa diavolo avessero pensato gli altri occupanti della carrozza nel vedersi minacciati dal bel visino irlandese di Anna, ma soprattutto quale aspetto avesse assunto Tom “Cambiafaccia” dopo aver mollato la pupa. Perché a Resurrection, da dove la diligenza era partita, non avevano saputo dargli molte informazioni

sugli occupanti della carrozza. Qualcuno aveva notato la “rossa con la veletta”, Anna, anzi Tom “Cambiafaccia” sotto le spoglie di una finta vedova. Ma sugli uomini c’era stata parecchia confusione. Chi sosteneva che vi fosse un medico, chi un avvocato, chi uno zotico allevatore di vacche, altri che ci fosse una specie di giornalista. Di certo c’era che, quando aveva raggiunto la diligenza rovesciata e ispezionato i cadaveri degli occupanti, non aveva trovato né un medico, né un avvocato, né una specie di giornalista. C’erano, invece, oltre a Anna O’Sullivan, un ranchero, con ancora la pistola tra le dita e il colpo inesploso nel tamburo, e un commesso viaggiatore, abbracciato alla valigetta con i suoi campioni di tessuto. Mancava anche il cavallo del ranchero, probabilmente quello con cui Tom “Cambiafaccia” aveva raggiunto Contention.

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i Termine con cui i Sioux indicavano l’uomo bianco, senza alcun riferimento al colore della pelle.

02

Con il dubbio su quale fosse l’aspetto attuale di Tom “Cambiafaccia”, Jim entrò nel saloon e si avvicinò al bancone. “Merda”, a pensarci bene anche il barista dalla faccia dura come il cuoio che lucidava con lo sputo i suoi boccali avrebbe potuto essere il mutaforma fuorilegge. Era davvero un pantano di situazione. Non poteva fare domande, non poteva fidarsi di nessuno, non poteva nemmeno rischiare di scoprire una sola dannatissima carta. Poteva essere la partita più dura della sua vita. Quindi, che fare?

Si appoggiò con un gomito al bancone e fece scorrere lo sguardo sulla sala ancora semideserta. Due uomini giocavano a canasta, mentre un vecchio ricordava il ato insieme a una bottiglia quasi vuota.

«Cosa prendi, straniero?» domandò il barista.

«Whisky, liscio» rispose Jim.

L’uomo sollevò un sopracciglio. «Non sei un po’ giovane per bere così forte prima di mezzogiorno?»

Jim osservò il proprio riflesso nello specchio alle spalle dell’uomo. Il volto non era quello di un ragazzo, ma, nonostante le guance scavate e gli angoli degli occhi segnati da rughe che sembravano alvei di fiumi in secca nella prateria, non era nemmeno quello di un uomo fatto. L’abitudine a tenere spesso gli occhi semichiusi, per proteggerli dal sole accecante, aveva dato una misteriosa profondità al suo sguardo di ghiaccio e la linea dritta delle labbra, poco abituate

a sorridere, gli conferiva un’espressione severa, quasi infastidita. No, non sembrava troppo giovane per bere whisky liscio prima di mezzogiorno, ma - per il grande spirito! - se avesse continuato ad essere così imbronciato, la sua faccia avrebbe finito per assomigliare a quella maschera di corteccia coriacea che era il volto di Virg Walker. E tutto per colpa di Tom “Cambiafaccia”.

Si ò il fazzoletto stinto, che aveva legato al collo, sul viso per detergersi il sudore e sollevò con l’indice la tesa dello stetson grigio, rivelando alcune ciocche di capelli chiari. «No, amico» rispose. «Non mi sembra di essere così giovane. E inoltre ti pago, per cui versami questo whisky liscio. Va bene?» disse, lanciando un paio di monete sul bancone.

L’uomo fece spallucce. «Era solo per dire, straniero. Non ti scaldare. Qui non se ne vedono così tanti di cow-boy come te da quando hanno costruito la ferrovia. Contention è diventata più un posto da damerini».

Jim si sforzò di sorridere. «E c’è un gran via vai, immagino. Avrai molti clienti che non conosci, gente di aggio, magari qualche colono».

Il barista versò il liquore. «Abbastanza. Ma la ferrovia non è come la diligenza, è più veloce. La gente arriva, qualcuno nemmeno scende da quel dannato treno, e riparte subito».

«Niente soste per far rifocillare i cavalli» commentò Jim, buttando giù il suo whisky tutto d’un fiato.

«E tu, straniero? Che cosa fai a Contention?»

Jim posò il bicchiere e lanciò un’occhiata fuori dalle finestre del locale. «Sono di aggio, ma io ho ancora bisogno rifocillare me stesso e il mio cavallo. C’è una stalla in cui lo posso lasciare?»

«Certo. In fondo alla strada, ci sono le stalle del vecchio Billy».

Il cow-boy si scostò dal bancone e abbassò la tesa in cenno di saluto, prima di uscire di nuovo alla luce del sole. «Grazie Mr., terrò presente».

Il barista sembrava a posto. Aveva fatto tutto come da manuale, lo aveva chiamato “straniero”, aveva cercato di estorcergli qualche piccola informazione, ma senza esagerare, la sua era una curiosità pettegola, e si era lamentato del treno, come si conveniva a chi era arrivato nell’ovest con carri e cavalli. Ma le apparenze potevano ingannare e il barista dalla faccia di cuoio avrebbe comunque potuto essere Tom “Cambiafaccia”. Ma c’era un’altra persona, in qualsiasi insediamento bianco, che doveva sapere tutto ciò che accadeva in città e tener d’occhio gli stranieri, e non solo per soddisfare la curiosità di chi osserva la vita altrui da dietro un bancone. Per questo Jim non slegò Ribelle per condurlo alla stalla, ma si diresse a grandi i verso l’ufficio dello sceriffo.

Trovò la prigione piccola, pulita e ordinata e lo sceriffo seduto su una sedia fuori della porta con piedi appoggiati a un palo di sostegno della tettoia, il capello mezzo calato sugli occhi e una mano che sembrava solo abbandonata con le dita che sfioravano la fondina, ma che intuì essere pronta a estrarre nel caso avesse fatto la minima mossa falsa.

«’giorno» salutò toccandosi lo stetson.

Lo sceriffo sollevò appena il capo per mettere in mostra il mento appuntito e i baffi da dragone. «Di aggio?»

«Sì, Mr.». Jim restò immobile, sulla erella. Occhi azzurri come il cielo nella prateria contro il carbone nero di quelli dell’uomo di legge. Poteva essere Tom “Cambiafaccia”? “Cazzo”, se il bastardo fuorilegge aveva preso le sembianze dello sceriffo sarebbe stata dura riuscire a farlo uscire allo scoperto e catturarlo (o magari freddarlo e chiudere la questione in modo definitivo) senza causare qualche problema, giù, all’agenzia e a Virg. Ci sarebbero state indagini e avrebbe dovuto spiegare un mucchio di volte e a un sacco di gente che i dannati mutaforma assumono in modo perfetto l’aspetto della persona che ammazzano per rubargli l’identità, ma anche che non si tratta solo di aspetto. Quei fottuti demoni ti leggono la mente e l’anima, mentre ti ammazzano. E lo sceriffo che aveva di fronte era ancora se stesso, oppure sotto quelle braci che dovevano aver visto troppe sparatorie, scontri con gli indiani e qualche guerra, si nascondeva in realtà il demone cui dava la caccia?

«Vuole entrare, Mr.?» chiese lo sceriffo. «Le offro un drink. Mi sa che dobbiamo parlare».

Jim storse le labbra. La custodia della sua fondina era aperta? Non osò sfiorarla, ma cercò di ricordare e, sì, non l’aveva chiusa. Se avesse dovuto estrarre sarebbe stato veloce. Ma lo sarebbe stato abbastanza? “Dannazione”, non poteva fare altro che seguire lo sceriffo e stare a vedere che diavolo sarebbe successo. Ma di una cosa era certo: quella mattina aveva già imprecato troppo e doveva a tutti i costi raddrizzare quella mattinata davvero pessima.

«Volentieri, sceriffo…?»

«Robert Ferguson» disse l’uomo, entrando nel suo ufficio.

Jim lo seguì, ma non appena mise piede nell’ufficio si sentì come se tutti i massi delle Black Hills gli fossero caduti addosso. A stento non barcollò e gli parve di stare male come dopo la più colossale delle sbronze. Fu solo un attimo, ma un attimo di quelli che ti fanno cedere le ginocchia. E lui non poteva cedere. «Che cazzo…?» Al collo l’amuleto che gli aveva regalato Cavallo Pazzo vibrava come la bacchetta di un dannato rabdomante. «Chi sei tu?» disse, allungando una mano verso la colt. «Che sta succedendo?»

Robert Ferguson si sedette dietro la scrivania e sorrise. «Una piccola precauzione, straniero».

Jim si voltò verso la porta. La testa cominciava a dolergli meno e il suo corpo sembrava reagire bene a quella specie di scarica elettrica che lo aveva colpito. La vista, anche se un po’ annebbiata, non era così confusa da impedirgli di vedere gli intagli tutto attorno alla porta e all’unica finestra della prigione. «Greco» sputò, infastidito. Quando Virg lo aveva costretto a imparare una lingua morta si era detto che tanto valeva imparare il latino dal vecchio McBride, che magari sarebbe tornato utile per qualche esorcismo. Adesso però si trovò a desiderare di aver imparato almeno a leggere quel poco di greco che avrebbe impedito a Virg di avere la stessa aria idiota che immagina dovesse essere scolpita sulla sua faccia, come su un totem indiano. «Che accidenti…?» Sarebbe riuscito a chiudere una frase, prima che l’effetto di quelli che dovevano essere di certo incantesimi finisse?

«Siediti, amico» suggerì lo sceriffo indicando la sedia alle sue spalle. «Devi avere qualcosa di magico addosso, per questo la mia innocua protezione ti sta facendo girare la testa come se avessi fatto fuori la peggior riserva di whisky di Contention. Ma erà. Se fossi stato un demone o qualcosa del genere ti avrebbe già incenerito» spiegò, versando del liquore in un paio di bicchieri.

Jim estrasse l’amuleto d’osso dalla camicia e si sedette.

«Ah» fece lo sceriffo. «Una protezione indiana contro gli spiriti. Un talismano potente. Deve essere il dente di qualche grosso lupo. Dove lo hai trovato?»

«Un dono» si limitò a ringhiare Jim, mentre tornava pian piano più lucido. «Allora? Si può sapere che accidenti è quella roba?» domandò indicando la porta.

Robert Ferguson bevve il suo drink. «Incantesimi. Scongiuri per tenere le forze del male lontane, rivolti a Ecate, Diana e Demetra sulla porta e a Selene, Elios e Apollo sulla finestra».

«Carino» commentò Jim.

«Ehi» ribatté lo sceriffo, sollevando il bicchiere come per un brindisi. «Hai dato una controllata al nostro barista e ti sei diretto qui per squadrare anche me, ragazzo. Dovevo capire chi accidenti eri».

«E lo hai capito?»

Le labbra di Ferguson si allargarono in un ampio sorriso. «Sei una specie di Pinkerton, ma di quelli che danno la caccia alle creature infernali, giusto? Dì un po’, conosci mica Virg Walker?»

“Fantastico”. Questa storia sarebbe arrivata dritta dritta alle orecchie di Virg che si sarebbe fatto delle grasse risate, prima di dargli una riata coi controfiocchi. Non solo i suoi movimenti erano stati tenuti sotto controllo dallo sceriffo, probabilmente fin da quando aveva messo piede a Contention, senza che lui se ne accorgesse, ma era entrato in una stanza schermata con degli incantesimi senza percepirne minimante la presenza. Se invece che uno sceriffo scrupoloso, ci fosse stato Tom “Cambiafaccia” si sarebbe già ritrovato lungo disteso nelle peggiore cassa del becchino locale. Quel pensiero lo riportò subito alla completa lucidità. «Conosco Virgil Walker, mi ha mandato lui».

«Mmmh, e cosa fa uno dei ragazzi di Virg nella mia cittadina?»

Jim prese un profondo respiro, poi guardò il bicchiere ancora intatto sulla scrivania. «Cerco un fuorilegge, un demone mutaforma». Prese il bicchiere e buttò giù il liquore tutto d’un sorso, mentre si domandava se tutta quella scena, gli incantesimi, nominare Virg e il resto, potesse essere solo un trucco di Tom “Cambiafaccia”. «Lei da quanto è qui, sceriffo?»

Robert Ferguson posò il suo bicchiere vuoto e aprì il cassetto della scrivania. Ne estrasse alcune foto e le gettò sul tavolo. «Dieci anni, ragazzo. Ma questo non ha importanza, perché se il tuo mutaforma avesse preso la mia identità mi avrebbe rubato anche i ricordi e il ato. Vero?»

Jim sollevò un sopracciglio. Vero, era dannatamente vero.

«Ma» proseguì Ferguson «se io fossi il tuo demone, quegli incantesimi che hanno fatto andare su di giri il tuo talismano mi avrebbero incenerito non appena messo piede qui dentro».

«A meno che non siano opera del demone» suggerì Jim.

«Controllali pure…?»

«Jim» rispose, alzandosi e avvicinandosi alla porta per esaminarla. «James Patrick O’Brian».

Non aveva problemi a dare le spalle a Ferguson, se avesse voluto ammazzarlo era piuttosto sicuro che avrebbe potuto farlo mille volte dall’istante in cui aveva messo piede nella sua città. Inoltre, lo sceriffo era pulito. I suoi incantesimi erano sullo stipite da più di un decennio, di questo ne era sicuro. Forse non conosceva il greco, ma se aveva imparato una cosa da Cavallo Pazzo era come riconoscere gli intarsi nel legno. Anche se il suo “fratello” indiano avrebbe preferito veder intagliate mandrie di bisogni e cavalli selvaggi al galoppo. Spiriti sioux schiacciare demoni con i loro zoccoli, avrebbe detto; parole di wasichu si perdono nel vento. Per sua fortuna le parole incise nell’ufficio di Ferguson non si erano perse nel vento e quella prigione a prova di demone poteva fargli buon gioco. Bastava solo individuare il maledetto “Cambiafaccia”. Così raccontò per filo e per segno la storia allo sceriffo, mentre continuava a esaminare gli intagli.

«Allora ha ammazzato la ragazza e poi si è preso il corpo di un tizio così insignificante che nessuno è stato in grado di descriverlo» stava dicendo lo sceriffo.

«È così».

«E cosa ti fa pensare che sia qui a Contention?»

«Non ci sono altre città nella direzione che ha preso e Tom non è solito stare alla larga dalla civiltà a lungo» spiegò Jim. «Gli piacciono troppo i soldi, le puttane e gli omicidi».

Ferguson sputò il tabacco che aveva in bocca. «Un vero bastardo».

«Già» si limitò a commentare, Jim.

«Bene, ragazzo. Se questo sacco di merda è nella mia città per sarsela scoprirà questa volta ha fatto davvero male i suoi conti. Questa è una città di aggio. Sai che il tuo demone potrebbe essere già saltato sul primo treno e chissà dove potrebbe essere, ma se è qui, giuro, che lo inceneriremo per bene».

Jim osservò per un attimo lo sceriffo Ferguson in tralce. Poteva avere l’età di Virg, aveva una spruzzata di grigio sulle tempie, ma non era appesantito né da troppi fagioli né da troppo alcool. Sì, forse per mettere fine alla carriera di Tom “Cambiafaccia” aveva davvero bisogno di una mano. La prigione dello sceriffo era già una trappola pronta a scattare. Bisognava solo riconoscere il bastardo e portarlo dentro. Cosa non facile, perché Tom “Cambiafaccia” non si sarebbe fatto beccare senza combattere.

«Te lo dico io chi è arrivato di nuovo in città e ci è rimasto» continuò lo sceriffo. «La maestrina, il tizio dell’ufficio postale e il barbiere».

Massaggiandosi il gargarozzo Jim deglutì rumorosamente, sperando con tutto se stesso che Tom “Cambiafaccia” non fosse divenuto il nuovo barbiere di Contention. Gole esposte e rasoi affilati avrebbero costituito presto un notevole tentazione all’omicidio per il bastardo assetato di sangue che era in realtà.

«Ma immagino che non escluderai la maestrina solo perché è una donna».

«No, infatti» rispose Jim, affacciandosi sulla via principale di Contention. «Tom potrebbe già aver mollato il cadavere dell’anonimo viaggiatore della diligenza ed essersi impossessato di un altro corpo».

«E questo ti fa incazzare, vero?»

Jim fremette e non si voltò verso Ferguson che si avvicinava. Non voleva mostrargli le sue emozioni più di quanto quel vecchio uomo di legge non riuscisse già a intuirle. Perché, sì, lo faceva dannatamente incazzare il pensiero che avrebbe dovuto mettere fine alla scia di sangue di Tom “Cambiafaccia” da mesi e che, per ogni vittima che si era lasciato alla spalle, il pensiero che lo aveva tormentato era stato “e se fossi arrivato prima?” Ma “prima” non ci era mai arrivato. Non era mai arrivato neppure vicino a prenderlo. Mai più di quanto non fosse in quel momento. Ma Ferguson aveva ragione: Tom avrebbe potuto essere già su qualche treno, con la faccia sconosciuta del tizio della diligenza oppure con una nuova.

«Vado a parlare con la maestrina» disse. «Poi avrò da spedire una lettera e infine…» deglutì di nuovo e si massaggiò le guance ispide. «Credo che andrò a sbarbarmi come si deve».

Robert Ferguson versò del caffè in una tazza di metallo e ne sorseggiò un po’. «Ragazzo, fai attenzione alla gola, mentre io faccio un giro di perlustrazione alla stazione e al saloon. Il nostro barista ha buoni occhi e ottima memoria, se ha notato qualcosa di insolito a me lo racconterà».

Jim annuì. «Sceriffo, se dovesse incontrare Tom “Cambiafaccia” non lo affronti».

L’uomo sollevò entrambe le sopracciglia e per poco non sputò il caffè che aveva in bocca. «Credi che non si all’altezza? Credi che si troppo vecchio per far fuori un sacco di letame come quello?»

«No» rispose Jim, tranquillo. «Ma la sua pistola non è adatta». Accarezzò Rebecca e si concesse un accenno di sorriso «Per ammazzarlo servono pallottole d’argento» disse e uscì nel sole di metà mattina, confondendosi con la folla di Contention.

“Oh merda”. Savannah Grant era proprio il tipo che piaceva a Tom “Cambiafaccia”. Snella, ma non minuta, con un bel viso sottile e punteggiato di lentiggini, lunghi capelli dorati e mossi in ampie onde, ma non proprio ricci, occhi verdi come la prateria dopo la pioggia. Da qualche parte nella sua famiglia si nascondeva un antenato irlandese. Perché diavolo Tom avesse questa ione sfrenata per le donne irlandesi non lo aveva ancora capito, ma non è che avesse molta importanza, perché Tom faceva comunque sempre la stessa cosa: alla fine le ammazzava. E guardando l’affascinante maestra che lasciava liberi gli studenti dopo una mattinata di studio, Jim si augurò che questa giovane donna dai tratti irlandesi non fosse ancora finita sotto il giogo di Tom “Cambiafaccia”. Sorrideva gentile, accarezzava il capo alle bambine più piccole e stringeva la mano ai maschietti. L’ampio gonnelline marrone, protetto da un grembiule bianco, e la camicetta appena ricamata erano semplici, ma non impedivano alla sua figura di apparire elegante e fiera, in cima alla scala della chiesa che fungeva anche da scuola. “Una Chiesa” valutò Jim. Forse il suo demone non era stato così

sfrontato. Ma dato che si trovava di fronte a un edificio sacro, il cow-boy si concesse una piccola preghiera affidando ad essa le speranze per la sorte di miss Grant.

«Miss Grant?» la chiamò avvicinandosi e togliendosi il cappello.

«Sì?»

La donna aveva sollevato una mano, portandola alla fronte per proteggere gli occhi dal sole, e Jim per un attimo restò ad ammirare la sua espressione aperta e cordiale. Ah, se Tom non avesse saputo riprodurre in modo tanto fedele le espressioni del viso umano, gli sarebbe bastato quello sguardo per girare i tacchi e cancellare miss Grant dall’elenco dei sospetti.

«Mi chiamo Jim O’Brian» si presentò. «Sono un Marshall federale, miss» e spostò il gilet per mostrare la stella che aveva appuntata sulla camicia a quadri. «Sto conducendo un’indagine e avrei bisogno di scambiare alcune parole con lei».

«Un’indagine? Di che tipo?»

«Cerco un assassino, miss».

Implorò che miss Grant non si desse alla fuga e non estraesse una pistola per sparargli. Lui, comunque, aveva lasciata slacciata la fondina di Rebecca e sarebbe stato pronto a sparare, anche se a malincuore.

«Vuole entrare un momento?» propose la maestra. «Devo raccogliere i miei testi prima di tornare a casa».

«Certo». Jim salì i pochi gradini che li separavano e la seguì all’interno della chiesa. C’erano ben quattro crocefissi e un quadro con la madonna e il bambinello dietro l’altare. Eppure miss Grant sembrava del tutto a suo agio.

«Quando è arrivata a Contention?» domandò, osservandola mentre ripuliva la lavagna.

«Non da molto. Poco più di una settimana. Sono i miei primi giorni di lavoro» rispose la donna, voltandosi con un sorriso.

«E prima?»

«Wichita, Lamar, Greeley e Lincoln».

«Ha girato parecchio».

La donna si scostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Nelle grandi città ci sono solo scuole private, dove l’insegnamento delle buone maniere sembra essere più importante di quello della matematica o della storia o della letteratura. Mentre nelle cittadine di frontiera… a volte non si riesce nemmeno a raggiungere il numero di alunni sufficiente a creare una classe».

«E tuttavia lei è qui».

«Questi ragazzi avranno bisogno di un’istruzione, Mr. O’Brian. Anche se faranno i contadini o gli agricoltori come i loro padri» spiegò. «La ferrovia sta cambiando tutto. La nostra nazione diventa più piccola grazie ai treni e presto nell’ovest arriveranno uomini interessati alla terra. Questi ragazzi devono almeno saper leggere quello che viene messo loro sotto il naso, oppure firmeranno accordi che potrebbero costare loro la terra e il futuro».

Jim annuì. «Sembra conoscere bene questa situazione».

Miss Grant raccolse i propri libri in una colonna ordinata. «Mio padre perse la terra per un cavillo legale. Aveva firmato un accordo con un ranchero di Amarillo».

«Miss Grant, come è arrivata a Contention?»

«In diligenza, Mr. O’Brian. Perché?»

Lui scosse il capo. «L’assassino che cerco ha attaccato una diligenza e ammazzato tutti gli occupanti».

Miss Grant si portò una mano alle labbra. «In nome di Dio» si fece, svelta, il segno della croce. «E perché mi interroga, Mr. O’Brian? Cosa avrei a che fare io con questa storia?»

Jim restò quasi a bocca aperta. Se era con Tom “Cambiafaccia” che stava parlando, meritava davvero un premio per l’interpretazione, perché il volto della maestrina si era di un orrore genuino, le sue guance appena arrossate davano risalto alla carnagione chiara e nei suoi occhi brillava una luce di inquietudine che li rendeva, se possibile, ancora più belli e acuti. Ma non doveva cedere.

«Sto interrogando le persone che sono appena arrivate in città, miss. Potreste aver incontrato l’uomo che cerco, senza saperlo». “Al diavolo” si disse. Tanto valeva rischiare, prima di cominciare a fantasticare su miss Grant solo per scoprire che dentro di lei si annidava un mostro. «Sarebbe così gentile da seguirmi nell’ufficio dello sceriffo, miss? Vorrei mostrarle alcune fotografie».

«Certo, Mr. O’Brian. Se posso essere d’aiuto in qualche modo» senza esitazione, la donna aveva preso sottobraccio i suoi libri e lo aveva raggiunto a metà della navata.

03

Disteso sul letto con ancora addosso cinturone e stivali, Jim fissò il soffitto mentre per l’ennesima volta le sue fantasie si soffermavano sul volto gentile della signorina Grant.

La maestrina aveva superato la prova e lui aveva dovuto ingoiare il sospiro di sollievo che avrebbe voluto lasciarsi sfuggire quando, entrati nell’ufficio dello sceriffo, la signorina Grant non aveva dato alcun segno di sofferenza. Gli incantesimi della prigione non avevano avuto su di lei alcun effetto e così le avevano dato qualche manifesto con foto di criminali da guardare, tanto per continuare la commedia e farle cercare il misterioso assassino. Ma la sua gioia era durata poco, perché non appena l’affascinante maestrina aveva lasciato la prigione, Bob Ferguson se n’era uscito con un’idea che non gli piaceva affatto.

Mettendosi seduto, Jim si ò le mani sul viso sbarbato. «Dannazione» imprecò tra i denti. Il nuovo barbiere di Contention era innocente quanto Miss Grant. Era arrivato da poco in città, in seguito a un annuncio nel quale si metteva a disposizione un negozio già avviato. Veniva da Boston e voleva fare fortuna nell’ovest. Sarebbe stato un candidato ideale per Tom “Cambiafaccia”, ma Jim sapeva che il fuorilegge non condivideva i gusti sessuali del giovane coiffeur e così anche lui era ato indenne alla prova dello sceriffo. Restava solo una persona sospetta, l’unico nuovo cittadino di Contention che non si era potuto schiodare dal suo posto di lavoro: l’impiegato della posta. Un uomo alto, allampanato, con pantaloni troppo corti e mani macchiate di inchiostro. Era andato a controllarlo dopo essersi fatto radere e lo aveva osservato per tutto il tempo in cui gli dettava il testo del messaggio da inviare via telegrafo a Virg Walker.

“Arrivato a Contention. Stop. Tracce di Tom “Cambiafaccia”. Stop”. A quel punto si era aspettato almeno un’alzata di sopracciglio, invece il diligente

impiegato aveva chiesto lo spelling di “Cambiafaccia”. «Merda» sbottò per l’ennesima volta. “Incontrato sceriffo Ferguson. Stop”.

Stop. Stop. Stop.

Era fermo al palo. Quel maledetto mutaforma poteva essere Arcibald Fletcher, impiegato postale abbastanza anonimo da are quasi inosservato, oppure una qualunque delle altre numerose persone che vivevano a Contention. E dato che era alto il rischio che il fuorilegge abbandonasse il corpo che stava occupando per prenderne uno nuovo e darsela a gambe, Robert Ferguson aveva suggerito di usare miss Grant come esca.

«Hai detto tu è che il suo tipo» aveva risposto lo sceriffo alla sue ferma obbiezione.

«Questo non significa che dobbiamo metterla in pericolo».

Il bel visino di Anna O’Sullivan continuava a tormentarlo e non aveva intenzione di rischiare che Tom “Cambiafaccia” se ne andasse in giro per il mondo anche con la faccia di Savannah Grant per poi abbandonarne il corpo in pasto ai coyote, una volta che non gli fosse più servita. Tuttavia il dannato sceriffo aveva ragione: se Fletcher era il mutaforma, avrebbe di certo fatto la sua mossa. Era stato messo alle strette dal messaggio inviato a Virg e il fatto che avesse declinato l’invito a seguirlo in prigione con la scusa di non poter abbandonare il lavoro poteva costituire quasi una prova.

«Cazzo». Si alzò e si avvicinò alla finestra. Nella polvere sollevata da carri e cavalli e nel via vai di persone sulle erelle, Jim riconobbe la figura segaligna

di Fletcher che si avvicinava a i rapidi all’hotel. «Che accidenti…?» Che Tom “Cambiafaccia” stesse venendo dritto dritto da lui per mettere fine alla partita? Jim si accigliò e fece per voltarsi e afferrare lo stetson. Gli sarebbe andato incontro, non si sarebbe fatto trovare impreparato e avrebbe dato al mutaforma quello che si meritava: una razione doppia di piombo e argento. Ma non appena si mosse un’altra figura attirò la sua attenzione nella folla. Miss Grant si era avvicinata all’impiegato e stava scambiando con lui alcune parole. «Maledetto Ferguson» sbottò Jim, voltandosi veloce come un serpente a sonagli e quasi correndo fuori della sua stanza. Che diavolo era venuto in mente allo sceriffo? Lo aveva avvisato che quel piano non gli piaceva affatto. Di più, che quel piano era fuori discussione perché metteva a repentaglio la giovane maestra e che, inoltre, senza le sue pallottole d’argento non sarebbe riuscito a uccidere Tom “Cambiafaccia”. “A meno che…”, Jim digrignò i denti. A meno che Bob Ferguson non lo avesse fatto cadere nella sua trappola e per questo avesse inviato miss Grant a parlargli. «Fottuto bastardo» sibilò, uscendo dall’hotel. «Fletcher!» gridò, per attirare l’attenzione dell’uomo.

E con sua grande sorpresa il volto dell’impiegato si aprì in un sorriso. «Ah, Mr. O’Brian» disse, andandogli incontro.

Jim corrugò la fronte, ma liberò il calcio della pistola per essere pronto a impugnarla.

«Mr. O’Brian, ho ricevuto una risposta al suo telegramma» disse Fletcher. «Ne segnalavano l’urgenza, per cui ho pensato di portargliela subito».

In quel momento anche la signorina Grant si avvicinò. «È successo qualcosa?»

Jim aprì il foglio che Fletcher gli aveva consegnato. Ne scorse le righe più volte e a stento si trattenne dalla tentazione di strapparlo. «Sì, merda» rispose. «Siamo

tutti in pericolo».

Robert Ferguson lo aveva giocato. Lo aveva imbrogliato come fosse un ragazzino. Gliele aveva raccontate grosse e lui se l’era bevute tutte.

Robert Ferguson era morto due settimane prima, il suo dannatissimo spirito era andato a far vista al capo della tribù di Cavallo Pazzo prima di cavalcare verso i pascoli celesti, McBride si era svegliato urlando preghiere miste a imprecazioni irripetibili, disturbato da un incubo che aveva turbato perfino un esorcista cinico come lui, e Virgil Walker aveva dato il benservito alla sua puttana messicana ando la notte a ubriacarsi per scacciare il volto del vecchio compagno d’armi dalla sua testa.

Robert Ferguson adesso era Tom “Cambiafaccia” e sapeva un mucchio di cose che nessun dannato fuorilegge mutaforma dovrebbe conoscere sui Marshall federali cacciatori di demoni.

«Jim O’Brian!» la voce cupa di quello che era stato lo sceriffo riecheggiò nella strada soffocando il brusio dei anti.

Come se Tom “Cambiafaccia” potesse governare gli elementi, un soffio di vento sollevò la terra per nascondere a sua figura e farla riapparire un attimo dopo con già in pugno la pistola pronta a fare fuoco.

«Via di qui» ordinò Jim, spingendo miss Grant dietro di sé. «Fuggite nell’hotel». Non attese di vedere se la maestrina e il signor Fletcher ubbidivano al suo comando. Se erano abbastanza svegli, si sarebbero dileguati di lì in un batter d’occhi. Non ci voleva un genio per capire ciò che sarebbe presto accaduto e

attorno a loro le urla della folla spaventata già animavano Contention come un formicaio attaccato dalle termiti. Era palese che si stesse per svolgere un duello e nessuno voleva essere nei paraggi quando le bocche di fuoco delle armi avrebbero sputato il loro urlo di guerra.

«Porterò il tuo cadavere a Virg Walker» minacciò Tom “Cambiafaccia”, esplodendo il primo colpo.

Jim si gettò a terra. Rotolò della polvere. La mano corse veloce verso Rebecca, la colt dalle pallottole d’argento. Trovò riparo dietro le ruote di un carro e senza prendere la mira sparò verso il fuorilegge che aveva osato prendere le sembianze di uno stimato sceriffo.

Lo mancò e Tom “Cambiafaccia” si fece una grassa risata.

«Credi che sia un coglione, Jim? È questo che pensi?» Jim serrò le labbra e seguì i i dell’uomo che si stava spostando per togliere dalla propria mira l’impaccio della ruota del carro.

«Quando sei entrato nell’ufficio di quel pazzo di Ferguson il tuo talismano indiano ha reagito».

Jim deglutì a vuoto. Che cosa era davvero accaduto nella prigione di Contention? Faccia a faccia con la canna della pistola di Ferguson, non ebbe il tempo di cercare una risposta. Mentre un secondo colpo veniva esploso, lui si spostò veloce ancor più dietro il carro. Ma non poteva continuare a nascondersi.

«Ti ho fatto un incantesimo, Jim» continuò Tom “Cambiafaccia”. «Spara pure quanto cazzo ti pare. Non mi beccheresti nemmeno se ti lasciassi avvicinare tanto a appoggiarmi quella puttana della tua colt alla testa».

“Cazzo” fu l’unica imprecazione di Jim.

«E nemmeno il tuo talismano Sioux ti salverà».

Jim non ci badò. Si sollevò. Uscì allo scoperto. Sparò. Sparò. Sparò. Quattro colpi veloci. Pallottole che come fulmini fendettero l’aria. Tutte spedite dritte dritte verso il petto di Bob Ferguson e tutte andarono irrimediabilmente a vuoto.

Un quinto sparo invece riempì il silenzio seguito dall’ultimo canto di Rebecca. Un colpo esploso dall’arma di Ferguson. Un colpo che sfrecciò, preciso, verso la spalla di Jim, mandandolo a terra con un rantolo più di rabbia che di dolore.

«Fottuto bastardo» ringhiò Jim.

«Può darsi, ma sono il fottuto bastardo che ti ammazzerà, cacciatore».

Si dice che, quanto ci si sente vicini alla morte, tutta la vita scorra davanti agli occhi. Jim non era ancora così vicino alla fine da ripercorrere la sua breve, ma intensa, esistenza. Tuttavia, mentre gli speroni dello sceriffo, come il ticchettio delle lancette di un orologio, tenevano il tempo delle minacce di Tom “Cambiafaccia”, lui ripensò al periodo trascorso tra gli Oglala.

“Se tu perdere tuo vantaggio, che fare?” aveva domandato un giorno Cavallo Pazzo, indicando Rebecca con un cenno del capo. Jim piegò le labbra in un ghigno soddisfatto. “Se perdere mio vantaggio, trovare un’altra via” si disse.

In alto, da una finestra dell’hotel, un bagliore attirò la sua attenzione. Un bagliore e l’immagine - Dio! - quasi angelica di miss Grant. “Fletcher?”, sperò che l’anonimo impiegato postale fosse segretamente un buon tiratore. Non che delle normali pallottole avrebbero potuto uccidere il mutaforma, ma gli avrebbero dato di certo il tempo per attuare la sua idea. Un’idea folle, ma l’unica che Cavallo Pazzo avrebbe approvato.

«Spara!» urlò, quindi Jim.

Robert Ferguson si volse appena verso l’hotel. Fletcher sparò. Jim riuscì a percepire nel riflesso il sussulto di miss Grant e si ripromise di invitarla a cena quella sera stessa, proprio mentre il suo corpo rispondeva al richiamo della lotta.

Ignorando il dolore e il sangue, lasciò la presa sulla spalla ferita. Si alzò. Scattò verso lo sceriffo. Ignorò lo sparo che il suo nemico esplose contro di lui, mancandolo. E non sprecò l’ultima pallottola d’argento per cercare di sparargli dritto nel cuore, ma dallo stivale sfilò il suo coltellaccio indiano. Una lama lunga e seghettata che avrebbe tranciato le ossa a un orso. Si gettò su Robert Ferguson senza vedere più lo sceriffo che era stato, ma solo l’ennesima vittima di Tom “Cambiafaccia” che lui non era stato in grado di salvare. Lo colpì con un pugno in pieno volto. Bob Ferguson barcollò e Jim ne approfittò per colpirlo al polso, facendogli saltare di mano la pistola.

«Se perdi il tuo vantaggio, che fai Tom “Cambiafaccia”?» gli sibilò, a un millimetro dal volto, mentre lo colpiva con una serie di pugni ben assestati.

«Fottiti, Jim». Il mutaforma sollevò la mano destra. Palmo ben aperto, dita separate, l’intenzione precisa di appoggiarla sulla fronte del rivale.

Ma Jim non era uno sprovveduto. E Tom “Cambiafaccia” poteva anche aver neutralizzato Rebecca, poteva aver scoperto dove fossero lo sciamano della tribù di Cavallo Pazzo, padre McBride e Virg Walker. Ma non avrebbe usato la sua faccia per andare a far loro la festa. No. Anche Jim sapeva un paio di cosette sui mutaforma e non si sarebbe lasciato sfiorare dalla mano di Tom “Cambiafaccia” per farsi succhiare l’anima e la memoria. Per cui si abbassò. Scattò in avanti. La lama del pugnale dritta verso il ventre del mutaforma e giù, a fondo nelle sue budella.

«Bob Ferguson era un amico di Virg, stronzo» sussurrò, mentre sollevava il coltellaccio per aprire in due lo stomaco del demone. «Hai fatto una cazzata a impadronirti proprio di lui».

Tom “Cambiafaccia” lo fissò con occhi sgranati, mentre sul suo viso le sembianze di Bob Ferguson andavano sciogliendosi come una statua di cera, rivelando quelle di un uomo senza identità, poi quelle di Anna O’Sullivan, poi quelle di centinaia di altre persone, una dopo l’altra come gli strati di un quadro mille volte ridipinto.

«Ero stanco di averti alle costole» mormorò il demone.

Jim piegò le labbra «Felice di averti rotto i coglioni». Estrasse di colpo il pugnale. Di fronte a lui una creatura informe, dal corpo nero e senza espressione, come un’ombra che cammina. Occhi vuoti fissavano le sue iridi azzurre, mani deformi cercavano di protendersi verso il coltellaccio che grondava sangue

simile a fango. Ma Jim non esitò oltre. Sollevò il braccio. Caricò il colpo e tranciò di netto la testa senza volto di Tom “Cambiafaccia”. «Virg si è raccomandato: fagliela pagare cara» disse.

In quel momento il talismano che portava al collo divenne pesantissimo. L’incantesimo che il demone aveva lanciato su di lui stava svanendo. Jim si sentì per un attimo come intrappolato in un vortice. Barcollò e arretrò di qualche o, ma una voce gli impose di riprendere al più presto il controllo.

«Attento Jim!» era l’urlo ansioso e spaventato di miss Grant.

Jim ò il pugnale nella sinistra, la mano destra corse al calcio di Rebecca. Estrasse, veloce come un falco. Sparò, dritto nel bel mezzo della fronte nera di quella cosa che era stata il demone mutaforma Tom “Cambiafaccia”. Un unico colpo preciso, l’ultimo che gli restava, ma il più importante di tutti quello che mandò in frantumi la forma corporea del demone. Mentre ancora l’eco della detonazione riempieva il silenzio, infatti, ciò che restava del corpo del demone esplose in una nuvola nera. Come cenere si disperse nel vento, come fumo venne trascinata via lontano da Contention. E Jim non resistette alla tentazione di far ruotare più volte la colt sulle dita, prima di rinfoderarla e alzare uno sguardo soddisfatto e sorridente verso la finestra dalla quale miss Grant lo osservava piena di ammirazione.

«Ottimo lavoro» le disse, salutandola con un cenno dello stetson logoro. «Anche a lei, signor Fletcher».

L’uomo stava cercando di accendersi una sigaretta con mani tremanti e Jim si lasciò sfuggire un sbuffo sollevato al pensiero che quelle stesse mani avevano poco prima imbracciato un fucile ed esploso un colpo non molto lontano da lui. Ma le cose erano andate per il meglio: la mestrina e l’impiegato erano non solo

innocenti, ma anche al sicuro da possibile aggressioni di Tom “Cambiafaccia”. Il nome del fuorilegge sarebbe stato cancellato dagli elenchi dei ricercati, la sua carriera di bandito aveva avuto il giusto tragico epilogo. L’unica cosa che proprio non gli andava giù era l’idea del rapporto che avrebbe dovuto stendere per Virg. Abbassando la tesa del cappello sugli occhi, Jim storse le labbra. «Cazzo» imprecò. Virgil Walker lo avrebbe davvero sfottuto molto a lungo per essersi fatto prendere per i fondelli da Tom “Cambiafaccia”. Avrebbe potuto costargli caro. Se non avesse mandato quel telegramma o se non avesse accennato allo sceriffo, probabilmente si sarebbe trovato faccia a faccia con la mano della morte molto prima di quanto lo sciamano Sioux gli aveva previsto. “Al diavolo” si disse. Miss Grant gli stava venendo incontro con i rapidi e il bel volto arrossato dall’emozione. Aveva promesso a se stesso che l’avrebbe portata a cena, giusto? Bene, era un uomo di parola e non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di are qualche ora piacevole insieme all’affascinante maestrina, prima di ripartire. La frase che chiudeva il messaggio di Virg, infatti, non ammetteva repliche e forse nemmeno ritardi, ma - che diamine! - si era meritato una piccola ricompensa. Quindi i diavoli di Paradise City avrebbero atteso ancora un po’, giusto il tempo di una cena.

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