Emilia Cao
Tre giorni
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Titolo : Tre giorni Autore : Emilia Cao Illustrazione di copertina : © Oleksandr Kotenko - Fotolia.com ISBN: 9788867514168 Prima edizione digitale 2012
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Matt aprì gli occhi e si guardò intorno. Dove diavolo era? Balzò in piedi dal letto dove aveva dormito vestito, girò su se stesso e ancora e ancora, quasi perdendo l’equilibrio, agitato, confuso, impaurito perché non riusciva a capire dove fosse. “Di certo sto sognando!” pensò portandosi una mano alla fronte dolorante. La stanza in cui si era svegliato gli era perfettamente sconosciuta. Semplice nel suo arredamento, un letto cigolante quello su cui aveva dormito, un comodino in legno color noce rovinato dalle tarme, adornato da una vecchia lampada dal telo rosso un po’ macchiato e un armadio a due ante, sempre in noce di scarsa qualità, proprio di fronte al letto. Dalla finestra oscurata appena da due tendine rosse, filtrava un fascio di luce grigio, tipico di una giornata nuvolosa. I muri erano fatti in travi di legno. Si sarebbe detta una baita di montagna. Che diavolo ci faceva in una baita di montagna? “Sto sognando”. Eppure tutto era così spaventosamente vero, così maledettamente reale! Sentiva persino l’odore di cucinato: doveva essere un brodo, sì, o una minestra di verdure. No, non era possibile! All’improvviso, immagini sfocate si affacciarono alla memoria: era cominciato tutto alcune ore prima, quando in una strada provinciale, un’auto gli aveva volutamente tagliato la strada costringendolo a parcheggiare. Da essa erano poi scese due persone dal volto coperto che lo avevano afferrato, tirato fuori con violenza dalla sua macchina, gli avevano puntato la pistola dietro la nuca e lo avevano costretto ad entrare nella loro auto. Il buio era piombato tutto intorno non appena gli avevano bendato gli occhi. In seguito, aveva avvertito il dolore fisso di quella che doveva essere una corda stretta intorno ai polsi. La corda…Si guardò subito i polsi: erano ancora arrossati e sfiorandoli con le dita ne sentiva i solchi tracciati dalla stretta. Il cuore gli sussultò nel petto, mentre la dura verità lo inghiottiva in un boccone. “Non ho sognato. Sono stato rapito.”
Dovevano averlo drogato, per questo si sentiva così stordito e confuso. Quanto aveva dormito? Probabilmente tutta la notte. Lo avevano rapito verso le sei di sera ed era già mattina. Matt si ò una mano tra i capelli neri, lisci e folti. Il ciuffo gli rimbalzò sulla fronte. Stava cominciando a sudare. Indossava gli stessi abiti del giorno prima, naturalmente: i suoi pantaloni rossi molto stretti e una t-shirt bianca con uno strano disegno astratto a strisce blu e rosse, la quale gli stava abbastanza aderente da mostrare tutta la sua magrezza. Mentre si ava una mano sullo stomaco, lo sentì brontolare. Da quanto tempo non mangiava? Quando sarebbe arrivato qualcuno per spiegargli cosa diavolo volevano da lui? Matt immaginò che da un momento all’altro potesse entrare un uomo incappucciato, robusto, tutto vestito di nero, pistola in una mano, piatto con brodaglia nell’altra. Cosa gli avrebbe detto? Probabilmente, anzi quasi certamente gli avrebbe rivelato il motivo di quel rapimento, l’ovvia intenzione di chiedere un riscatto alla sua famiglia, perché lui di soldi ne aveva e tanti. Lui era ricco, famoso, tutti gli amanti della musica in Inghilterra e nel mondo intero lo conoscevano. Lui era Matt Johnson, il chitarrista leader degli “Smart”. Da circa 15 anni erano sulla cresta dell’onda con album che ogni due anni circa salivano nelle top ten, riempiendo di denaro sonante le casse della loro casa discografica e naturalmente anche le sue e quelle dei componenti del suo gruppo. Avevano vinto diversi premi e riconoscimenti, avevano viaggiato in tutto il mondo con tournèe che registravano sempre il tutto esaurito. Era una vita incredibilmente stressante, Matt ne avrebbe fatto volentieri la metà di tutti quei concerti, ma occorreva rispettare i contratti e il dio denaro, si sa, non ha pietà di nessuno. Adesso era in un momento di pausa, pausa per modo di dire. L’ultima tournèe si era conclusa brillantemente, ma ora bisognava andare in studio e farsi venire subito qualche buona idea per l’album successivo. Non poteva deludere i fans, che non amano aspettare troppo e soprattutto i produttori, che altrimenti lo avrebbero abbandonato per cercare carne fresca e lui lo “shobiz” lo conosceva bene. Difficilissimo entrarci, facilissimo uscirne. Finito lo stress da tournèe cominciava lo stress da creazione. Erano ati i tempi in cui una sua canzone nasceva da un’emozione, da un desiderio, da un
dolore, da un ricordo. Ora contavano solo i risultati, far cassa, il sold out era d’obbligo, altrimenti facevi la fine di quei gruppi bravi, di talento, che però si spegnevano come candele al vento non appena la vena creativa scemava. Il suo produttore un giorno gli aveva detto: “Matthew” era l’unico che lo chiamava così oltre a suo padre. “Il tuo fine è il successo, ma il successo potrebbe essere la tua fine.” Allora lì per lì non aveva capito. Non poteva. Pensava fosse una frase ad effetto senza sostanza. Soltanto dopo dieci anni, quando il successo era diventato ormai routine, quelle parole vuote si erano materializzate. Il successo lo stava privando del nutrimento essenziale per ogni artista: l’ispirazione. Erano venuti infine i tanto temuti giorni in cui non desiderava più nulla: le donne gli cascavano ai piedi, belle, bellissime, giovani, mature, non aveva che da guardarsi intorno. Non era un adone, ma aveva fascino: molto magro, di altezza media, con degli splendidi occhi color dell’oceano e lo sguardo di chi la sa lunga; e soprattutto il modo in cui suonava quella maledetta chitarra, il maledetto modo in cui cantava, il maledetto modo in cui si muoveva sul palco, tutto ciò produceva un incantesimo a cui pochi riuscivano a sfuggire. Di case ne aveva sei, più che case dei castelli, sparsi nelle più belle città del mondo, mentre in realtà ava più tempo negli alberghi, naturalmente di gran lusso. E le sue auto? Il numero non se lo ricordava, e neanche i modelli, di certo una Ferrari ultimo tipo. Capricci? Desideri improvvisi? Viaggi? Tutto veniva soddisfatto in breve tempo. Desiderio uguale soddisfazione, un’equazione pericolosa per un artista. Insomma, era cominciata la noia, il nemico numero uno di ogni spirito creativo. Se non si esibiva dal vivo, si sentiva come morto, e di certo non era la stanchezza fisica a preoccuparlo. Matt non aveva idee per il prossimo album. Aveva mentito al suo produttore dicendo che una volta terminata la tournèe si sarebbe messo subito al lavoro. Erano ati tre mesi e non aveva scritto nulla di interessante, nulla di ispirato. Ed ora, come se non bastasse, lo avevano rapito. Dovevano essere matti da legare! Rapire una pop star era da fuori di testa! Li avrebbero scovati subito e lui sarebbe tornato ai suoi doveri. Decise di dare un’occhiata fuori dalla finestra, ma non appena si mise a camminare, la testa prese a girare vorticosamente, tanto che dovette risedersi
velocemente sul letto. Si sentiva debole. L’angoscia cominciò a stringergli la gola. In quel momento, una chiave girò nella toppa della porta, che si aprì lentamente, con un leggero cigolio. Così la vide. Minuta, capelli scuri, occhi grandi e neri, la donna davanti a lui non portava alcun cappuccio. Vestita di jeans e un maglione bianco, aveva un’aria normalissima, eppure era la sua carceriera. “Buongiorno Matt”. Gli disse con il labbro superiore che le tremava. “Immagino tu abbia fame. Se vieni in cucina ho preparato qualcosa di caldo.” gli disse con una naturalezza che lo infastidì molto. “Potrei sapere prima cosa diavolo ci faccio qui?” chiese aspramente. “Prima mangia qualcosa.” ora era visibilmente nervosa e impacciata. A stento riusciva a guardarlo negli occhi. Matt rise di scherno. “Mi stai prendendo in giro? Credi che abbia fame?” “Credo proprio di si.” Così dicendo, gli voltò le spalle lasciando la porta aperta dietro di sé. Matt la seguì. La cucina era molto grande, luminosa, con un grande camino scoppiettante da un lato e un comodo divano di fronte. La tavola era dall’altra parte, davanti all’angolo cottura. Su di essa, due piatti fumanti di minestra, un cesto di pane fresco e del vino rosso. La donna sentì alle sue spalle gli occhi fissi di Matt su di lei. “Ok, e va bene, sei stato rapito. Ma se stai tranquillo non ti succederà nulla.” “Questa è pazza!” pensò Matt, poi rivolgendosi a lei le urlò: “Che significa tutto ciò? Continuo a non capire! Sono i soldi che volete? Bene, dimmi la cifra e facciamola finita! I miei saranno preoccupati a quest’ora.” “Non è questione di cifre.”
Matt ebbe un gesto impulsivo e immediato: corse verso l’ingresso, spalancò la porta e si precipitò fuori. Rimase impalato e a bocca aperta, le gambe affondate in 40 centimetri di neve, i fiocchi che gli cadevano copiosi in testa, sul viso e sulle spalle, il freddo gli traava la maglietta di cotone. Nei suoi occhi azzurri si rifletteva lo spettacolo delle Alpi in tutta la sua magnificenza. Era in alta montagna. Intorno a lui solo il bianco della neve che aveva ricoperto ogni traccia di natura la notte precedente. Non c’era un auto o un mezzo qualsiasi, né intravedeva una stradina da percorrere ammesso che sapesse dove andare. Era solo a più di duemila metri con quella sconosciuta. Si voltò. Lei era sull’uscio che si strofinava le braccia per riscaldarsi. La vide abbozzare un timido sorriso. Durò un attimo. Lo sguardo duro di Matt era difficile da reggere. Lei ritornò dentro. Matt la seguì chiudendo la porta alle sue spalle. Provò un certo piacere nel sentire il calore di quella stanza. Lei era seduta sul divano di fronte al camino. Sul suo viso, il riflesso del fuoco le cambiava il colore della carnagione pallida rendendola rossastra. Aveva un’espressione malinconica. Si sarebbe detta lei la prigioniera. Matt s’inginocchiò per terra accanto al camino. “Allora sono in trappola. Non posso fuggire. E’ per questo che non sono legato. Sarebbe inutile. Se tentassi di scappare finirei con il perdermi e morirei assiderato, non è così?” La donna annuì senza guardarlo. Ancora quella profonda tristezza stampata sul volto. Per la prima volta, Matt notò che non era bella, ma aveva un volto interessante: gli occhi neri grandi e profondi, un naso piccolo, una bocca sottile ma ben disegnata. Doveva avere all’incirca la sua età. “Allora quanti giorni devo rimanere qui?” “Pochi, pochi.” gli rispose in un sussurro. Matt si sentiva lo stomaco attaccato alla schiena per la fame. Quando lei lo invitò a mangiare un boccone, accettò volentieri. Una volta riacquistata l’energia necessaria sarebbe stato più facile pensare a come porre fine a quell’assurda situazione. In fondo era solo una donna.
La minestra si era raffreddata, ciò nonostante era saporita. Anche il pane era fresco e croccante; buono il vino che non era stato acquistato al supermercato, lo si capiva dal fatto che era molto corposo, proprio come quelli fatti in casa. Matt notò che la donna mangiava lentamente con poco appetito. Alla fine, aveva lasciato metà porzione nel piatto. Lui, invece aveva terminato tutto in poco tempo e aveva anche riempito un secondo piatto. “Posso sapere il tuo nome?” le chiese mentre addentava una mela. “ Puoi chiamarmi Jade.” “Immagino che non sia il tuo vero nome”. “Che importa?” “Già, che importa. E cosa fai nella vita, Jade, oltre a rapire personaggi famosi?” Matt si morse un labbro. Nel momento stesso in cui aveva finito di porre quella domanda se ne era pentito. Non la conosceva, magari non apprezzava l’ironia, poteva offendersi e lui non aveva nessuna intenzione di perdere l’unico possibile interlocutore in quella landa sperduta. Invece Jade sorrise. “Nient’altro. Rapisco solo giovani star.”
La neve a differenza della pioggia, pur posandosi senza far rumore, riesce a cambiare il paesaggio come nient’altro. Si stende come una soffice coperta e rende sopportabile, persino amabile il grigiore di un cielo invernale. Il suo silenzio parla direttamente al cuore delle persone sensibili, che dinanzi a un simile spettacolo della natura si sentono improvvisamente serene. Gli altri lo chiamano mal tempo. Nel cuore di Jade quella neve significava ispirazione e pace interiore. Nel cuore di Matt, invece, era indice di una trappola divina. Da quanto tempo durava quel silenzio? Troppo. Aveva preso a battere il piede a terra nervosamente, mentre dalla finestra osservava impotente la sua prigione. Jade, che intanto stava raccogliendo le
briciole di pane dalla tavola, conosceva il suo problema, perciò gli disse secco: “Ho delle compresse.” “Cosa?” “Dei calmanti. Se vuoi.” “Non ne ho bisogno.” “Come vuoi.” rispose la donna riprendendo a sparecchiare. “Perché io?” chiese all’improvviso Matt. Jade sollevò lo sguardo verso di lui con aria preoccupata, ma non rispose. “Perché proprio io? Ti rendi conto o no che è una follia? Sono una rock star, ne parleranno tutti i giornali, vi state mettendo in un grosso pasticcio!” “Nessun giornale ne parlerà.” “Come?” chiese Matt sorpreso. “Sono entrata nella tua posta elettronica ieri e ho mandato un pò di mail in cui dicevo da parte tua che mi sarei allontanato per qualche giorno per meditare sul nuovo album e che nessuno categoricamente doveva cercarti.” “Hai fatto cosa?” Matt le si buttò addosso prendendola per le spalle e scuotendola violentemente. “Che diavolo hai intenzione di fare?” le urlò in faccia. Quando Matt la vide impallidire, mollò la presa e cominciò ad ansimare. “Non devi preoccuparti di nulla Matt, te lo assicuro. Devi solo pazientare qualche giorno. Finché sarai qui non ti succederà nulla, credimi.” “Come fanno a pagare il riscatto se pensano che io sia in una specie di vacanza?” “Matt, non è tempo di parlarne, sei troppo scosso. Ascoltami, prenditi una compressa, vedrai che dopo ti sentirai meglio e sarà più facile spiegarti tutto.”
“Non mi serve nessuna compressa, vorrei solo la mia chitarra!” Così dicendo si ritirò nella stanza in cui si era svegliato per gettarsi sul letto. Cadde in un sonno profondo.
Mentre dormiva, Jade aprì più volte la porta. La prima volta si fermò a fissarlo mentre dormiva. La seconda entrò silenziosamente e gli sfiorò il viso seguendo la linea del suo profilo come per accarezzarlo.
Quando Matt si svegliò, fuori era calata la sera. Jade era seduta davanti al camino intenta a leggere una rivista di arte. Quando lo sentì entrare posò la rivista e gli andò incontro. “Tutto bene?” gli chiese. Matt non rispose, aveva l’aria stanca e imbronciata. Si versò un bicchiere d’acqua dalla brocca sul tavolo e si lasciò cadere sulla sedia. “Allora, riprendiamo il discorso da prima.” disse guardandola negli occhi. Jade sfuggì a quello sguardo. “Cosa fai nella vita, Jade?” La donna si sedette di fronte a lui. “Dipingo.” “Accidenti! Sei un artista, chi l’avrebbe detto!” Si alzò dalla tavola e si mise in piedi davanti al camino, tendendo le mani verso il fuoco come per riscaldarle. Jade era dietro di lui seduta che lo fissava da capo a piedi, cercando di memorizzare ogni linea, ogni angolo del suo corpo. Non appena Matt si voltò, lei distolse lo sguardo. “E cosa ti piace disegnare?” “Una volta disegnavo paesaggi. Poi mi sono specializzata nella figura umana. Nella natura cercavo di cogliere il meraviglioso, quel particolare momento della giornata, quel particolare connubio di colori, un’ immagine insomma che provocasse un’immediata e inspiegabile emozione. Volevo fissare tutto ciò su una tela e trasmetterlo agli altri. Rendere il meraviglioso di un attimo o di pochi
attimi qualcosa di eterno. Non sempre ci riuscivo e questo mi scoraggiava. Poi ho deciso di cercare il meraviglioso nelle figure umane perché mentre l’emozione che ti provoca l’osservazione della natura è comunque un’emozione oggettiva, poiché tu non sei un albero, non sai cosa significa realmente avere le radici piantate nella terra, restare immobile sempre, come una statua viva, sotto ogni condizione atmosferica, non sai cosa significa essere un ruscello che al contrario è sempre in movimento e trasporta foglie, sassi fino a perdersi nella terra, non sei una montagna che si riscalda al sole o si gela sotto la neve o il ghiaccio. Le emozioni del meraviglioso in natura ci rimbalzano addosso come se fossimo uno specchio, le riflettiamo, ma non possiamo assorbirle nel nostro corpo, nella nostra mente, nella nostra anima.” Matt l’ascoltava estasiato e sorpreso, ma soprattutto confuso. Di tutto si sarebbe aspettato tranne un discorso così profondo dalla sua carceriera. Il fatto che gli parlasse in maniera così naturale di concetti artistici, dimenticando del tutto, almeno in apparenza, di averlo portato lì contro la sua volontà, di tenerlo lì prigioniero senza offrirgli una ragione valida, lo mandava in crisi. Ciò nonostante, doveva assolutamente mantenere la calma e assecondarla, almeno finché non avesse visto trovato un modo per venirne fuori. Si sedette a terra a gambe incrociate dinanzi al camino, mentre Jade si sforzava di trovare le parole giuste per continuare il suo discorso. “Invece, rappresentare in pittura ciò che io chiamo il meraviglioso umano, è molto più difficile, talvolta impossibile, ma nel momento in cui ci si riesce, causa una partecipazione emozionale da parte di chi osserva il quadro, assolutamente soggettiva, unica, personale!” Jade rivolse lo sguardo verso Matt che ora non sembrava seguirla molto. “In parole più semplici, se io riesco a cogliere l’attimo in cui la mente o l’anima genera una particolare emozione e riesco a riprodurla su tela e chi osserva il mio dipinto prova la stessa emozione del soggetto raffigurato, ecco che il meraviglioso umano si materializza, l’emozione a dalla trascendenza del soggetto reale, cioè la sua anima, o la sua mente che si emoziona, alla mente di chi dipinge, dalla mente del pittore alla materialità del dipinto, e da lì infine alla mente o all’anima di chi osserva il dipinto. E questo ogni volta che qualcuno, naturalmente dotato di una certa sensibilità, riesce a cogliere il meraviglioso umano.” “Credo di aver capito. E’ un po’ quello che mi succede durante un concerto.”
“Esatto! Ma non con tutti!” “No,” rispose Matt. “Ci sono varie categorie di spettatori: quelli che vengono perché amano il rock in generale, quelli che non avevano nulla da fare di meglio quella sera, fino a coloro che mi seguono da sempre, i fans, ma anche lì occorrerebbe sapere quanti davvero provano le mie stesse emozioni.” “Già. Ci sono le ragazzine innamorate del personaggio, quelli che si identificano nelle canzoni, quelli che amano soltanto fare confusione ad un concerto! L’emozione di cui parlo io è ben altro.” “Certo. Credo di aver capito è quella che ti prende nello stomaco.” “Esatto.” “Provi dolore e piacere allo stesso tempo.” “Verissimo.” Jade si versò del vino nel bicchiere e ne offrì a Matt che accettò molto volentieri. “Vedi è questo che non sopporto del mio lavoro.” disse Matt. “Cosa?” “Che tutto sia banalizzato.” Jade annuì, sapeva già ciò che voleva dire. “Non scrivo mai pezzi banali, almeno, non credo. Cerco sempre di racchiudere delle emozioni nelle mie canzoni. Poi mi ritrovo a collaborare con persone che invece mi chiedono solo canzoni orecchiabili, commerciali, devo fare attenzione se affronto tematiche scottanti, devo dire e non dire, insomma tanta forma e poca sostanza. Mi fa una rabbia quando presunti giornalisti mi fanno quelle domande stupide tipo: qual’é il tuo colore preferito, quante stanze ha la tua casa, se amo gli animali.…Insomma io sono un musicista e un compositore, dovrebbero chiedermi delle mie canzoni, di come compongo eccetera, anche se a dire il vero a me non va di parlare neanche di questo, per essere sinceri io vorrei solo scrivere e suonare, punto.” “Conosco le tue canzoni, sono bellissime!”
“Davvero?” “Si.” Matt posò il bicchiere vuoto sul tavolo e trovò il coraggio di sedersi accanto a lei sul divano. Se era pazza, come lui credeva, meglio non perdere altro tempo in chiacchiere e affrontarla subito prima di ritrovarsi con un foro nel petto. “Jade, tutto ciò non ha senso.” Lei lo guardò con una tale dolcezza che il precedente pensiero di Matt si dissolse nel nulla. “Tutto ha un senso,” gli rispose “è solo che lo si capisce dopo, quando è troppo tardi.” “Io intendo il fatto di essere qui, con te, su questa montagna, fuori che nevica da matti e non so dove diavolo siamo e stiamo qui a bere e a parlare come vecchi amici di arte e musica, è assurdo Jade! Io devo tornare a casa, non ha senso!“ disse scuotendo la testa. “Una volta a casa possiamo vederci, e chiacchierare quanto vuoi, ma questa situazione mi fa stare male. Chi sei veramente Jade?” Jade era visibilmente imbarazzata, impacciata, confusa. Dopo un pò gli disse: “Devo mostrarti una cosa, vieni.” Uscendo dalla baita li accolse un vento freddo e la neve gelida sul viso. Corsero verso una baita sul retro, più piccola dell’altra. Quando Matt entrò non poté credere ai suoi occhi: l’ampia stanza che si ritrovò davanti era arredata come una sala prove: una batteria sul fondo, due chitarre, una acustica, l’altra elettrica deposte con cura nelle loro custodie; un basso, una tastiera delle migliori marche. In un angolo, un mixer per regolare i suoni e i volumi ed un computer. “Non capisco!” esclamò grattandosi in testa. I suoi occhi tradivano una gioia immensa, era felice come un bambino che avesse appena scartocciato i suoi regali di Natale. Afferrò subito la chitarra elettrica, come Jade aveva immaginato, e accese l’amplificatore. Intonò alcune note, poi una scala e degli arpeggi. “Grandioso! E’ un’ottima chitarra! Cominciavo già a soffrire di astinenza…non posso stare un giorno intero senza mettere le mani su una chitarra!”
“Pensavo che stare qui senza strumenti sarebbe stato come finire all’inferno per te!” “Pensavi bene!” Improvvisò una melodia, chiuse gli occhi e per qualche attimo la musica entrò nelle loro anime annullando il tempo e lo spazio e ogni cosa terrena. Matt si sentiva risanato. “Grazie, grazie per averci pensato.” Si guardarono negli occhi per un pò. “Adesso ti lascio solo, ho delle cose da fare…tu suona pure, stai quanto vuoi. Ci vediamo dopo.” Jade uscì lasciando Matt alquanto perplesso e sbalordito. La dimensione onirica nella quale gli sembrava di vivere ormai da troppo tempo, si stava trasformando da incubo a piacevole sogno. La voglia di suonare era tanta, come non gli succedeva da molto. Non aveva mai suonato in una baita di montagna, forse era per quello che desiderava farlo così tanto, o forse solo era un modo per sfuggire a quella presunta realtà che gli era piombata addosso così all’improvviso. Quante volte avrebbe voluto suonare da solo senza i membri del suo gruppo, che recentemente sembravano sempre più svogliati e demotivati. Come gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo quando da ragazzino suonava nel garage che suo padre gli aveva trasformato in sala di musica. Stare lì per delle ore senza preoccuparsi di cosa suonare, senza preoccuparsi di comporre un brano abbastanza orecchiabile da essere vendibile, suonare e basta, suonare, suonare, suonare fino a sentire le mani doloranti, fino a spaccare le casse! Gli anni erano ati così rapidamente. L’alcool lo aveva aiutato a tenersi su quando era giù, diventando di nascosto il suo peggior amico; dopo un paio di critiche pesanti da parte dei giornalisti e dei fans delusi per averlo visto barcollare sul palco e cantare come un dilettante, era riuscito, dimostrando una grande forza di carattere, a ridurne notevolmente il consumo. Purtroppo, le date delle tournèe erano troppe per il suo fisico esile, forse sarebbero state troppe per chiunque, non di certo per il suo produttore che, comodamente seduto nel suo studio, si aspettava di incassare milioni con la pala. Cosa importava se il gruppo andava incontro ad uno stress psico-fisico? Che importava se esibirsi si trasformava in un dovere? Per ogni problema c’era una soluzione e in quel caso si trattava di tante pillole di vari colori. Matt ne ignorava i nomi, ma ne
conosceva bene gli effetti. Per anni non era riuscito a farne senza. Ora era da almeno 24 ore che non ne prendeva una eppure si sentiva benissimo. Afferrò la chitarra e suonò con grande trasporto. Improvvisò una melodia dolce e malinconica che diceva:
“Lascia che la neve ti travolga, lascia che il mio mondo ti travolga, i sogni sono veri se lo vuoi, i sogni sono i miei e sono i tuoi, lascia che la neve ti travolga, lasciati andare, lasciati andare, Prima che tutto finisca nell’oblio. ”
Nelle sue mani, la chitarra elettrica si animava, si accendeva di vita propria. Matt era come il dio che soffia vita nei polmoni di Adamo, come la madre che partorisce il proprio figlio. La sua energia artistica come per magia finiva tra le corde dello strumento e amplificata nella cassa si trasformava in emozioni. Per circa tre ore Matt dimenticò di essere prigioniero in una baita a più di 2000 metri e si sentì stranamente libero come non gli succedeva da tanto. Era così preso, così trasportato dalla musica, che non si accorse di due piccole videocamere poste nei due angoli in alto della stanza, proprio di fronte a lui. Esausto, sentì il bisogno di bere qualcosa. In casa, trovò Jade seduta al tavolo ricoperto da più giornali per proteggerlo dalla pittura. Stava infatti dipingendo su un vaso di terracotta, dei motivi floreali. “Vorrei bere qualcosa.” le disse. “Se intendi alcolici, non ce ne sono. Ho solo del vino.” Matt annuì era
nervosissimo. “Fai uso di droghe?” gli chiese mentre gli versava del vino in un bicchiere. Matt la guardò con aria perplessa. “Non ti preoccupare, non mi scandalizzo!” disse con tono scherzoso Jade, intanto gli porgeva il bicchiere. Notò che a Matt tremava la mano. “So come funziona nello showbiz. Comunque qui droghe non ce ne sono. Mi dispiace. Dovrai resistere.” Matt cominciò a sudare. “Facciamo una cosa. Vuoi darmi una mano?” gli disse con dolcezza. “ Una mano? Tu non capisci…” “Certo che capisco. Ci sono ata anch’io, anche se per altri motivi. E’ solo una questione mentale. Tu sei forte Matt, sei più forte delle droghe. Ne hai bisogno per i concerti, ma qui non ci sono concerti da fare. Dammi una mano Matt, prova a mescolare questi colori. “ Indicò un tubetto di verde e un tubetto di rosso sul tavolo, un pennello e un piatto di plastica pulito. Matt scosse la testa. “Tu sei pazza! Io devo andarmene, che diavolo ci faccio qui? Sto impazzendo! Se resto un attimo di più, non so cosa sarei capace di fare!” Matt si avventò contro di lei urlando: “Devo andarmene, capisci! Ci deve essere un modo per scendere da questa cazzo di montagna!” Fu un attimo. Jade aveva previsto anche questo. Tirò fuori da un cassetto una mini siringa. Nel momento in cui Matt le fu addosso, gli afferrò un braccio, gli sollevò la manica e gli iniettò il calmante. Matt spalancò gli occhi. “Che diavolo era?” si chiese guardandosi il puntino di sangue che gli usciva dal braccio. “Adesso ti sentirai meglio.” “Cosa vuoi fare? Uccidermi?” le urlò mentre tutto intorno si oscurava. “No, Matt.”
Matt non ebbe il tempo di ascoltare il resto delle sue parole, perché finì per terra in preda ad un sonno profondo, mentre Jade lo afferrava con tutte le sue forze affinché non si fe male nel cadere. “Matt, “gli disse con dolcezza mentre gli teneva il capo sulle sue ginocchia. “Non ti farei mai del male. Né permetterei a nessuno di fartene. Finché sarai con me, sarai al sicuro, credimi, devi solo avere un po’ di pazienza.“ E così dicendo lo baciò dolcemente sulla bocca semiaperta. Provò un forte desiderio. Era lì per terra, esanime. Non poteva fare nulla, non poteva sentire nulla. Sì accontentò di sollevargli il maglione e di scoprirgli il torace magro e liscio. Lo accarezzò con dolcezza e lo stomaco le si strinse. Si sentì fortemente eccitata. Dette in un sospiro di rassegnazione, poi lo ricoprì e con non poca fatica lo trascinò sul tappeto davanti al camino. Gli pose un cuscino sotto la testa e lo coprì con un plaid. Avrebbe dormito per almeno un paio d’ore. Era così bello mentre dormiva! Seduta accanto a lui con in mano un blocco da disegno, cominciò ad abbozzare i particolari del suo viso, dagli occhi al naso, alla bocca, alla linea del mento, ai capelli, il tutto da più angolazioni. Poi ò alle mani. Intanto fuori nevicava a dirotto. Jade sorrise. Questo avrebbe facilitato il suo piano.
Matt dormì più del previsto. Quando si svegliò, la fame prese il sopravvento sul suo stato mentale depressivo, per cui si sedette a tavola con Jade e mangiò, senza gustare, la minestra di verdure, la carne e l’insalata. Infine addentò una mela e andò a gettarsi sul divano. Per tutto il tempo non si erano scambiati neanche una parola. Jade temeva un’altra reazione violenta e non aveva voglia di sedarlo di nuovo. Quindi aspettava che fosse lui a parlare, ma Matt rimase in silenzio per quella che sembrò a Jade un’eternità. Non lo sopportava. Avrebbe voluto prostrarsi ai suoi piedi, chiedergli di perdonarla, però sapeva che se lo avesse fatto, sarebbe stata la fine. Doveva fingersi indifferente, doveva fargli credere ancora di essere lui il suo prigioniero. C’era così poco tempo rimasto. Una giornata era volata via, così sarebbero volate le altre e di Matt sarebbe rimasto solo un bellissimo e doloroso ricordo. La sua mente formulò un’improvvisa soluzione. Afferrò il taglierino con cui affilava le matite e si sferrò un taglio
profondo sul dorso della mano che prese subito a sanguinare. Matt la sentì gemere e corse a vedere cosa si era fatta. “Accidenti, è un bel taglio!” Sembrava abbastanza preoccupato perché Jade si sentisse incredibilmente felice. “Hai del disinfettante?” “Si, nel bagno. Ci sono anche delle garze sterili.” Matt si precipitò in bagno e tornò con l’occorrente. “Mi dispiace per come mi sono comportato prima.” Le disse mentre le fasciava alla meglio la mano. “Hai ragione, sono un drogato!” sorrise con amarezza. “Non importa.” “Comunque non ti avrei mai fatto del male.” “Lo so.” “Ecco fatto. Senti, Jade, io ho bisogno di sapere quanto tempo ancora devo restare qui, almeno questo. Mi farà sentire meglio.” “Altri due giorni.” Il volto di Matt si illuminò. “Tre giorni in tutto?” “Si.” “Wao!”si ò una mano tra i capelli spettinati e a Jade piacque molto quel gesto che gli aveva visto fare già altre volte. “Però non mi dirai perché sono qui fino ad allora, scommetto!” “Già. Devi pazientare.” “Non sono stato rapito, voglio dire, non è un sequestro vero e proprio…Qui ci siamo solo tu ed io.”
Jade gli poggiò dolcemente la mano sulla bocca. “Sh,” gli disse. “Basta domande.” Si sedette di nuovo al tavolo da lavoro. “Tra due giorni io morirò,” pensò Jade “e tu sarai libero. La tua libertà sarà la mia morte.” Poi si rimise a colorare il vaso. “Adesso dobbiamo pensare a come trascorrere al meglio questo tempo che ci rimane.”disse Matt. “Bé, per stasera c’è poco da fare. E’ già buio e nevica a dirotto, ma domani potremmo farci un giro nelle vicinanze, conosco a memoria questa montagna. Ti porto in un posto dove c’è un panorama mozzafiato.” “E i vestiti?” “Nell’armadio troverai tutto ciò che ti serve.” Si sedettero accanto al camino e parlarono tutta la sera. Matt le raccontò di alcune storie divertenti capitate nelle varie tournèe, di episodi particolari, di situazioni al limite. Jade raccontò della sua ione per la pittura e delle difficoltà di realizzarsi in un mondo di èlite. Mentre chiacchieravano, lei pensava che lui non fosse bello, ma incredibilmente affascinante. Matt invece pensava che Jade non dovesse avere tutte le rotelle a posto, ciò nonostante era una persona incredibilmente colta e interessante. Era davvero piacevole chiacchierare con lei. Inoltre non potè fare a meno di immaginare la nudità delle sue belle gambe nascoste sotto un paio di leggins blu. Bevvero del buon vino rosso, Jade doveva intendersene, e sgranocchiarono noccioline, ridacchiando qua e là per alcuni episodi divertenti capitati nella lunga carriera musicale di Matt, anche perché lui aveva una innata propensione verso il racconto comico. Riusciva a trovare il lato divertente di qualsiasi situazione. “Eravamo a Parigi ed eravamo completamente ubriachi! Mancavano solo due ore al concerto e, nonostante la sbronza, eravamo coscienti e ben consapevoli di non essere assolutamente in grado di stare in piedi sul palco. Non so perché avevamo cominciato a bere. A volte capitava così per gioco, a volte per noia!”
“Una rock star che si annoia?” “Ti sembrerà impossibile, ma capita anche a noi, forse anche di più dei comuni mortali!” Jade rise. “Insomma, io barcollavo, Steve barcollava, ad un certo punto tutti e due contemporaneamente abbiamo pensato bene di appoggiarci l’uno all’altro, ma nessuno ha retto il peso dell’altro, così siamo finiti a terra sul basso di Tom. Allora, devi sapere che a Tom toccagli tutto, ma ti dico tutto, ma non toccargli il basso, nel senso che non lo devi neanche sfiorare, è fissato, è malato, dico sul serio, neanche sfiorarlo e noi gli siamo finiti addosso sbattendolo per terra e sfracassandolo. Credo che non dimenticherò mai quel crack sordo! Pensai, è finita, adesso Tom sbrocca di brutto. In realtà era ubriaco anche lui e non sapeva cosa fare se ucciderci o ridere.” Jade rise portandosi una mano sulla bocca. Matt notò che aveva delle bellissime mani affusolate. “Me lo ricordo come se fosse ieri. Tom si è diretto verso il basso, lo ha sollevato mentre le corde si aprivano a destra e sinistra ondeggiando come ali. ò una mano sulla parte davanti completamente schiacciata. Lo accarezzò come il ventre di una donna.” Le disse spostando lo sguardo verso i seni di lei, che si agitavano vistosamente ogni qualvolta lei rideva. Jade rabbrividì. “Pezzi di legno chiaro fuoriuscivano e tutto quello che riuscì a dire fu cazzo! Allora io e Steve scoppiammo a ridere a crepapelle, ci faceva male lo stomaco tanto che ridevamo, ci piegammo in due e fu allora che Tom ci scaraventò addosso il basso. Steve ebbe la peggio e gli toccò suonare con un vistoso cerotto sul sopracciglio. Io me la cavai con un graffietto in faccia.” “Come avete fatto poi a suonare in quelle condizioni?” “Doccia fredda, solito sistema. Anzi, gelata. Il nostro agente ci prese di peso aiutato da un paio di bodyguard e ci gettò sotto l’acqua gelida con tutti i vestiti. Un paio di compresse per il mal di testa e via. Il concerto andò bene, in realtà non ce ne accorgemmo neanche, ormai ci capita spesso di suonare in maniera automatica, perché purtroppo…” Matt improvvisamente scurì in viso. Jade aspettò pazientemente che ricominciasse a parlare, non solo perché era curiosa di sapere cosa volesse dire,
quale fosse la causa del suo turbamento, ma anche perché le piaceva proprio sentirlo parlare, le piaceva la sua voce, non a caso era una rock star e una rock star deve avere qualcosa di speciale nel modo in cui articola i suoni, nel modo in cui muove le labbra, la lingua, nel modo in cui muove la testa mentre parla o gira gli occhi verso l’interlocutore. “E’ un periodaccio.” riprese Matt. “Ho poche idee, anzi nulla, non ho più voglia e la cosa mi spaventa. Vogliono, pretendono pezzi sempre perfetti, vendibili, melodie orecchiabili ma originali, con testi non troppo difficili. I contratti non ti lasciano tregua. Devi produrre, scrivere, sempre. Poi magari tu preferisci alcuni pezzi e loro ti dicono, non questo no, meglio quest’altro. Non vedo l’ora che scada quest’ultimo contratto per produrci da soli.” Jade guardò l’orologio a muro che segnava le due di notte. “Sono stanca, Matt, io andrei a dormire.” “Ok, va bene. Anch’io sono un pò stanco.” “Matt, so che forse è inutile dirtelo, ma ti consiglierei di non fare sciocchezze, tipo scappare domattina presto, qui siamo in capo al mondo, neanche io sarei capace di trovare il sentiero giusto per arrivare giù prima che faccia buio. Non ce la faresti, Matt, moriresti congelato. Quindi, stai tranquillo e buonanotte.” Jade si alzò e gli accarezzò dolcemente una spalla, poi chiuse la porta della sua camera dietro di sé.
L’indomani mattina scoprirono che aveva nevicato tantissimo. Aperta la porta d’ingresso, Jade e Matt spalarono la neve che si era addensata impedendo il aggio dalla baita centrale a quella posteriore dove c’erano gli strumenti. Il cielo era nuvoloso, ma aveva un suo fascino. Jade prese improvvisamente il cavalletto, pennello, tavolozza e colori e cercò in pochi minuti di fotografare quel magnifico paesaggio invernale. Matt rimase a guardare per un po’, poi preferì mettersi a suonare. Gli venne in mente una melodia, non era molto originale, somigliava ad un’altra che aveva composto qualche anno prima, ma non se ne preoccupò, l’importante era suonare, lo faceva stare così bene. Pensò alla sua ultima fiamma e canticchiò delle parole che messe insieme non avevano molto senso, però si sentiva bene e questo era ciò che contava.
Jade sbucò dalla porta dopo aver bussato più volte senza ricevere risposta. Matt balzò dalla sedia e si tolse di scatto le cuffie. “Scusa non ti avevo sentito.”Disse appoggiando la chitarra nella custodia. “Allora, hai scritto qualcosa?” “Niente di che, solo note dietro note.” “Potresti ispirarti alla tua ultima conquista.” Matt rise. “Proprio a lei pensavo per trovare un’idea, ma non mi è venuto niente.” “E’ molto bella. E’ troppo facile innamorarsi di una modella.” “Bé, effettivamente.” rispose Matt ricordandosi le curve perfette di Elizabeth e l’armonia del suo viso. “Troppo facile!” Insisté Jade. “Prova a innamorarti di una come me! Quello si che è coraggio!” disse ridendo. Matt rimase senza parole, avrebbe voluto risponderle, dire qualsiasi cosa , ma tutto ciò che gli veniva in mente gli sembrava inopportuno. Per fortuna Jade ruppe da sola quel silenzio imbarazzante. “Ti va di fare due i?” gli chiese. “Due i? E se ci perdiamo?” “So dove andare, dai vieni!” Jade sembrava felice. Non aveva quel volto pensieroso e serio come il giorno precedente. Matt se ne sentì contagiato. Infilò il giaccone, i guanti, cappello e sciarpa e la seguì verso un sentiero che saliva sul retro della baita. Tutt’intorno il bianco la faceva da padrone. L’unico colore diverso erano i rami neri degli alberi, che qua e là apparivano dove la neve era scivolata via. Camminarono in salita per circa mezz’ora. Jade notò che Matt non era affatto stanco, doveva di certo essere in forma se voleva affrontare le fatiche di una tournèe e quella eggiata ne era la prova. Superata una ripida salita che sembrava non finire mai, dall’altra parte si scorgeva un lago semi ghiacciato,
circondato dalle vette di altre montagne. Intanto il celo si divertiva a colorarsi di sfumature di grigio, mentre le nuvole si lasciavano spingere da un vento leggero. “E’ bellissimo qui!” esclamò Matt. “Già.” Jade ripulì un masso alla meglio per sedersi, poi tirò fuori dalla tasca due barrette di cioccolato una al latte e una fondente. “Quale preferisci?” Matt indicò il fondente. Era incredibile, si era preoccupata anche di comprare cioccolata diversa per venire incontro ai suoi gusti! Matt la guardò fisso. Un dubbio cominciò a insinuarsi nella sua mente. Non ci aveva pensato prima, perché prima gli sarebbe sembrato assurdo, adesso diventava alquanto probabile. Improvvisamente ebbe paura. Quella donna non lo convinceva. Era scaltra, intelligente, determinata. C’era davvero soltanto lei dietro quell’assurdo rapimento? Era talmente abile da organizzare tutto da sola? Sì, doveva aver organizzato tutto lei. Altro che timida e insicura, in pochi secondi lo aveva narcotizzato mettendolo ko! Mentre lui pensava tutte queste cose, Jade lo guardò e gli sorrise. Era il sorriso più dolce che avesse mai visto. Matt andò in confusione. Chi diavolo era veramente Jade? Cosa voleva da lui? E se avesse voluto fargli del male? Meglio non fidarsi di quegli occhi grandi e persi chissà dove. Tremò al pensiero che lassù non ci fosse nessun altro, al fatto che non l’avesse mai vista parlare al cellulare con qualcuno. No, non c’era nessun altro. Nessuno, solo lui e Jade. “Allora,” irruppe Jade facendolo leggermente sobbalzare. “Visto che sei subito tornato a suonare, credi che ti stia tornando lentamente l’ispirazione?” “Non lo so. Devo dire che questo posto, sì, questo posto mi ispira, anche questa situazione paradossale.” Il voltò di Jade s’incupì. Volse lo sguardo altrove, verso il lago. “Sono sicura che riuscirai a scrivere qualcosa prima di domani. Approfittane, il tempo c’è.” Seguì un silenzio fastidioso per Jade. Siccome temeva una reazione nervosa da parte di Matt come quella del giorno prima, aveva portato con sé il necessario.
“Caro Matt,” le veniva così facile chiamarlo così.”prendila come una vacanza. In fondo, non ti sto trattando male, giusto?” “No, assolutamente.” “Sei fin troppo gentile Jade,” avrebbe voluto dirle. “Chi sei veramente, Jade? Cosa vuoi veramente da me?” Ma non ebbe il coraggio di rompere quel momento apparentemente sereno. Accettò di partecipare a quel gioco perché sapeva di non avere scelta. Intanto più la guardava, più le sembrava di conoscerla da tempo. Gli piacevano quei suoi lunghi silenzi, il suo modo di abbracciare con lo sguardo la natura, il modo in cui sorrideva e si grattava il naso. Gli piaceva il modo in cui batteva gli occhi e muoveva le labbra per parlare. Gli piaceva la curva morbida dei suoi capelli scuri sulle spalle e il riflesso che la luce provocava. Pensò che sarebbe stato bellissimo saper disegnare e immortalarla lì, seduta su quel masso mezzo innevato, con le montagne e il lago sul retro. Ma lui non era un pittore, lui era un compositore. Sentì improvviso il bisogno di suonare, di comporre, voleva bloccare quel momento come un’istantanea, attraverso le note di un pianoforte, così chiese a Jade di rientrare e lei ne fu felice. Mentre Jade preparava da mangiare, Matt si rinchiuse nella sala degli strumenti e ci rimase per almeno tre ore. Il pranzo si era fatto freddo, ma Jade non osò disturbarlo. Solo quando lui varcò la soglia con gli occhi stanchi e l’aria sonnolenta, lei riscaldò il sugo e la pasta. Mise la carne a grigliare nel camino e condì le carote. “Quand’ero piccolo mio padre mi diceva sempre che ci sono avvenimenti nella vita reale che possono superare la fantasia.” Disse Matt mentre mangiavano. “E’ vero.” “Questo ne è un esempio.” “Il fatto che tu sia qui?” “Già. Potrei trovare una spiegazione folle, anche se non più folle della realtà che sto vivendo.” “Cioè?”
“Tu sei un angelo del Signore che mi ha rapito affinché ritrovi l’ispirazione per comporre la mia musica.” Jade rise. “Credo di essere molto lontana dall’idea di angelo e poi mi manca il necessario!” Disse guardandosi le spalle. “E di certo non sei asessuale.” Affermò Matt. Jade arrossì. Dovette bere in fretta un sorsone d’acqua per buttare giù il boccone che le era rimasto bloccato in gola. Non finirono il pranzo. Bastò che Matt le sfiorasse la mano, poi si alzasse, l’attirasse a sé, la stringesse forte, la baciasse con trasporto, le accarezzasse la schiena e finirono subito in camera di lei dove il letto era più spazioso. Fu così facile lasciar scivolare via gli abiti ingombranti. Fu così facile, respirarsi addosso, ansimare insieme, ascoltare il piacere reciproco. Dopo che ebbero fatto l’amore, Jade sospirò: “Potrei anche morire adesso.”sussurrò con gli occhi umidi. “Non lo dire neanche per scherzo!” disse Matt mentre la teneva stretta a sé accarezzandole una spalla. “Prima pensavo che vivere fosse dipingere. Lo so, non dovrei dirlo Matt, perché domani sarà l’ultimo giorno, poi tu andrai via e tutto sarà sembrato un bellissimo sogno, però per come mi sento io adesso, non me ne frega più nulla! Io non pensavo saremmo arrivati a tutto ciò e non so perché tu l’abbia voluto, so perché l’ho voluto io e questo mi basta. Ho paura di sapere quello che pensi veramente, anzi, non lo voglio sapere. Voglio solo chiudere gli occhi e assaporare questi momenti, viverli, viverli fino in fondo!” “Non credere che io non provi nulla per te Jade.” “Sei confuso. Non dire nulla, nulla!” disse sfiorandogli le labbra con le dita. Poi lo baciò con dolcezza e ione. Era vero, Matt era incredibilmente confuso. Mai nessuna droga gli aveva procurato le emozioni forti di quei giorni.
Improvvisamente Jade si alzò e si rivestì in fretta. “Devo disegnare!” disse sparendo nel suo studio. Matt invece rimase lì ancora per un pò. Qualcosa gli annebbiava piacevolmente la mente. Dopo circa mezz’ora, si vestì anche lui e si ritirò nella stanza degli strumenti. Fu così che la melodia arrivò per incanto, come nei tempi migliori e così le parole:
Sto vivendo un sogno meraviglioso dove nessuno mi può rintracciare l’aria che respiro è piena di te ed è tutto ciò di cui ho bisogno.
Non c’è solitudine se ci sei tu non c’è noia se ci sei tu ti chiedo solo di non svegliarmi più anche se tutto questo è solo un’illusione.
Alla fine ho trovato l’amore proprio quando ormai non ci speravo più ed è diverso, non lo potevo immaginare così bello così intenso.
Non c’è dolore se ci sei tu non c’è paura se ci sei tu ti chiedo solo di non svegliarmi più anche se so che tutto questo è solo un’illusione.
Quando Matt entrò in cucina trovò Jade con gli occhi arrossati. Aveva pianto. Stava cercando di rimettersi a posto, ma l’espressione del volto diceva tutto. “Cos’è successo?” le chiese Matt allarmato. L’abbracciò forte e la baciò sulla bocca. Jade non disse nulla. Ricominciò a piangere in silenzio. “Ok, se non hai voglia di dirmi nulla non importa, sappi solo che io sono qui vicino a te.” Jade accennò un sorriso e si soffiò il naso. Rimasero seduti sul divano abbracciati per un bel po’, la mente di Matt che riecheggiava della una nuova melodia, la mente di Jade che non riusciva ad accettare che tutto stesse volgendo al termine. “Matt,” gli disse ad un certo punto. “Dimmi, cara.” “Promettimi una cosa.” “Tutto quello che vuoi, Jade.” “Promettimi che non mi dimenticherai mai.” Matt la guardò negli occhi con un’espressione perplessa. “Ma che dici, Jade, perché dovrei dimenticarti?” “So quello che dico, Matt. Promettimi che non mi dimenticherai.” Due grosse lacrime scivolarono rapide sulle guance pallide di Jade. Matt si commosse. “Te lo prometto.”
Matt l’abbracciò fortemente, poi non riuscì a resisterle e cominciò a spogliarla. Fecero l’amore su quel divano e fu ancora più bello e più travolgente. Nudi, Jade distesa su di lui, ascoltavano l’uno il battito dell’altro, come una musica divina. Seduti l’uno di fronte all’altra, seguivano con un dito le linee dei rispettivi corpi, esplorando ogni angolo, accarezzandosi, respirandosi, baciandosi senza meta, senza fine se non quello di liberarsi insieme. “Jade,” le sussurrò mentre lei gli respirava il collo. “Io non ho mai incontrato una donna come te.” “Si.” gli rispose un po’ distratta, mentre lo baciava sul viso. “Jade,” “Si?” “Io ti amo.” Jade sentì un improvviso calore scorrerle giù per la schiena. Scosse la testa incredula. “Non ci credi?” le chiese Matt. “Solo perché colleziono modelle non vuol dire che io non sia capace di amare.” “Matt, caro!” Come gli piaceva sentirsi chiamare da lei! Jade scosse la testa. “Ok, non ci credi, ma è vero, è vero tanto quanto è assurda tutta questa storia. Avanti Jade, non penserai che mi sia bevuto questa storia del rapimento a fine estorsione! All’inizio si, è ovvio, ma dopo che ti ho conosciuta, insomma, un rapimento davvero insolito, in una baita di montagna, in un posto da sogno, con tutte le comodità, niente botte, niente minacce, ottima cucina e poi persino una sala prove tutta per me! Jade, ti sarà costato una fortuna, come pure assumere dei delinquenti per rapirmi e portarmi fin quassù! Jade..” le prese la mani. “Ammetto che all’inizio ho avuto paura, che..” era visibilmente impacciato.
“Che volessi farmi del male.” “Io?” Jade rise. “Quando mi hai mostrato la sala prove, ero felice, ma confuso. Mi sentivo come in un puzzle, vedevo dei colori delle forme, ma non riuscivo a metterli insieme per formare l’immagine originale. Perché? Perché tutto questo? Non riuscivo a darmi una risposta, o forse semplicemente non volevo.” “Perché?” “Non lo so esattamente. Curiosità? Forse solo questo, o forse non potevo ammettere che provavo qualcosa nei tuoi confronti, fin dalla prima volta che mi sei apparsa davanti. Mi affascinava tutta la storia, volevo vedere dove volevi arrivare, cosa realmente volevi da me. Da come parlavi, dalle cose che dicevi, man mano ho capito che non potevi essere una fan impazzita, e neppure una folle rapitrice. Poi quando siamo stati insieme Jade, il puzzle ha preso forma.” “Ora hai capito perché ti ho portato qui?” “Volevi che io creassi qualcosa per te, una musica tutta per te e l’ho fatto Jade, l’ho fatto, vieni che te la faccio ascoltare!” Le prese la mano e quasi correndo si precipitarono verso la baita. Una volta nella sala prove, Matt imbracciò la chitarra classica e cominciò a suonare quella canzone scritta quella stessa mattina, mentre lei era nel suo studio a dipingere. Al termine Jade battè le mani commossa. “E’ bellissima, Matt, bellissima!” e scoppiò a piangere. “Ma, Jade, tesoro, cos’è che ti fa star male, dimmelo!” Posò la chitarra in un angolo e si sedette con lei in braccio. “Jade, ti ho detto che ti amo, ed è vero, come è vero che sono qui accanto a te. Qualsiasi cosa ti turbi la supereremo insieme.” “Non c’è nulla che mi turbi, è solo che mi sembra tutto troppo bello!” Matt l’abbracciò forte.
“Matt, tu mi hai fatto provare delle emozioni uniche. Io non pensavo succedesse quello che è successo, te lo giuro, volevo solo stare con te per qualche giorno e vederti creare.” “Vedermi creare?” “Si. Ti ho registrato mentre suonavi. Guarda lassù.” indicò una telecamera piccolissima in un angolo in alto della stanza. “E ce n’è un’altra lì. Ti ho filmato e ti ho registrato, solo così potevo cogliere l’attimo della creazione.” “E’ per questo che mi hai portato qui? Tutto quel discorso iniziale sulla creazione, era questo quello che volevi da me?” disse con aria delusa. “Io non pensavo, non potevo immaginare che tu…che io… io ti seguo da sempre, da quando eri un ragazzino appena ventenne. Ti vidi in tv, nel tuo primo video, ricordo tutto, com’eri vestito, come ti muovevi sciolto sul palco, la tua voce giovane ma già virile, come eri bello, con il tuo viso liscio, pulito, il ciuffo che ti cascava sugli occhi. Ero una tua fan e lo sono ancora. Quando ho progettato tutto, io mai avrei immaginato che tu potessi provare qualcosa per me. Insomma, io vicino a te sono il nulla che respira!” Matt restava immobile a fissarla. Non le piaceva quell’espressione severa sul suo volto. Non era più il Matt che le aveva sussurrato parole d’amore. Le sembrava di cogliere del rancore nei suoi occhi. “Ora è tutto diverso!” continuò Jade con una certa ansia. “Vieni ti mostro quello che ho disegnato.” gli disse prendendolo per mano. Matt entrò per la prima volta nella sala di pittura di Jade. Definirla un caos era un eufemismo. In realtà, sembrava ci fosse appena ato un tornado! Tele sparse ovunque per terra, affiancate sui muri come un domino appena cascato; tre tavolini, di cui uno piuttosto grande, ricoperti di colori, tavolozze, stracci variopinti. Un paio di sgabelli, un lavandino che sgocciolava noioso in fondo sulla destra. Le tendine dell’unica finestra, erano pure imbrattate, doveva essersi pulita le mani anche lì. Al centro dell’ampia stanza, c’era una tela molto grande appoggiata su un cavalletto. Era di spalle, Matt non poteva vedere cosa c’era dipinto. Jade era agitatissima. Lo prese di nuovo per mano e finalmente gli mostrò la sua creatura. Matt rimase sconvolto. Vide se stesso per la prima volta. Era in piedi con la sua chitarra, in una posa che lasciava senza fiato, dietro di lui l’immensità del cielo e la corona bianca delle Alpi. Immortalato era ora dinanzi a
lui, il momento della sua ultima creazione, quando aveva composto la melodia per Jade, ispirato dal suo grande e improvviso amore. “Mio Dio Jade! E’ bellissimo!” “Hai capito cosa è successo Matt? Ci siamo ispirati a vicenda, entrambi abbiamo creato nello stesso momento, non è fantastico?” Matt rimase senza parole per un po’, preferendo guardare se stesso ritratto con gli occhi semichiusi,dello stesso colore del cielo, la fronte appena corrugata, l’espressione del viso quasi affaticata e beata allo stesso tempo, l’euforia, l’estasi, quel senso di leggerezza nel contatto con il divino, l’atto della creazione. Jade c’era riuscita. “Hai intenzione di esporlo, Jade? Voglio dire, devi esporlo, è un capolavoro, non perché ci sia io, beninteso, ma perché hai davvero colto l’attimo.” “Non lo so.” “Come?” “Non sono sicura di volerlo esporre. E’ mio e lì ci sei anche tu.” “Tu sei un’artista è tuo dovere donare al mondo la tua creazione. L’arte è per tutti.” “Conosco il mondo dell’arte, Matt, come tu conosci quello della musica. Tutto sarebbe strumentalizzato e banalizzato.” “Non capisco! Questo ti aprirebbe ogni porta, diventeresti una delle maggiori artiste contemporanee, il tuo nome finirebbe su tutti i libri d’arte, gireresti il mondo, chiunque vorrebbe un tuo dipinto, Jade, entreresti nella storia dell’arte!”
“Lo so, Matt, lo so. E poi? Poi che ne sarebbe di me? Tante cene con tanta gente falsa, incredibilmente ricca che di arte non ne capisce nulla. Credi che capirebbero anche lontanamente il sentimento forte, infinitamente grande che c’è dietro la creazione di questo quadro? Per me è tutto questo quadro, è il senso della mia vita, non voglio condividerlo con nessuno, tranne che…con te. Non
voglio che nessun altro lo guardi, che nessuno ne sfiori neanche la cornice!” Si abbracciarono e si baciarono con ione. Finirono subito per terra a fare l’amore tra le tele e gli stracci imbrattati di pittura. Non potevano più solo guardarsi, Matt e Jade, non potevano più solo sfiorarsi, la creazione divina era ormai dentro di loro e loro dentro di essa. “Tutto questo finirà Matt, lo so.” gli disse mentre se ne stavano per terra nudi l’uno nelle braccia dell’altro. “Cosa dici?” le chiese Matt. Jade prese a rivestirsi, tremava di freddo. Matt si alzò in cerca dei suoi vestiti. “Finirà, Matt. Tra noi due, finirà.” ammise amaramente Jade, che improvvisamente afferrò le mani di Matt che era solo riuscito a infilarsi le mutande e il maglione. “Vieni!” Lo trascinò fuori che quasi inciampava con le scarpe slacciate e il freddo che gli attanagliava le gambe snelle e pelose. Anche Jade aveva indosso solo il maglione, le mutande e le scarpe. “Ma sei matta?” le urlò dietro mentre correvano verso la baita. Una volta dentro, si inginocchiarono dinanzi al camino. “Oh mio Dio Jade, pensavo volessi vedermi morto congelato!” “Sarei morta anch’io! Togliti tutto. Qui davanti al camino si muore di caldo.” Rimasero di nuovo entrambi nudi, in ginocchio l’uno di fronte all’altra. Jade prese ad accarezzargli i capelli, poi le spalle, la forma appena accennata del suo petto scarno, i fianchi, le gambe. E così fece lui subito dopo. Finirono l’uno nelle braccia dell’altro,avvinghiati stretti, le labbra mai stanche, solo desiderose e insaziabili del sapore dell’altro.
“Cosa dicevi prima, che tutto finirà?” Le chiese Matt mentre, seduti dinanzi al camino e avvolti in una calda coperta, prendevano una cioccolata calda.
“Giochi a fare la pessimista?” scherzò. “Sono semplicemente razionale.” “Tu?” Matt rise di cuore. “La mia artista razionale preferita.” Jade sorrise. “Dico sul serio. Tu tornerai a fare le tue tournèe, io nel mio paese a dipingere per pochi soldi.” “E’ una tua scelta.” “Ne sei proprio sicuro? Tu credi che nella vita davvero siamo noi a scegliere?” “Tu hai scelto di rapirmi e lo hai fatto.” “E tu hai scelto di amarmi?” “Si.” “Non credo. C’è qualcosa di impalpabile che regola la vita delle persone.” “Cosa?” “Eh, se lo sapessi! Non hai scelto tu di essere Matt Johnson, di avere i tuoi genitori, di avere le tue doti vocali e artistiche. Lo stesso vale per me. Quelle che tu chiami scelte, io le chiamo conseguenze.” “Vuoi dire che le nostre vite dipendono da una sliding door?” “Esatto. Tutto dipende dal caso o da una volontà incomprensibile per noi, una specie di energia universale che decide se le porte del treno debbano restare aperte abbastanza per farci entrare o se si debbano chiudere affinché il nostro destino sia diverso. E le nostre scelte, le scelte importanti della nostra vita, sono solo le conseguenze del fatto che siamo riusciti a salire o meno.” “Allora io ti dico che decido io di amarti e di restare con te tutta la vita su questa baita. Affanculo tutto, le tournèe, i soldi, la bella vita! Jade io non sono mai stato così felice! E tu?” “Anch’io, Matt, anch’io, ma se tu rinunciassi al tuo mondo finiresti con l’odiarmi. Tu appartieni alla musica come io appartengo all’arte, questa è l’unica
certezza che ho. Io e te non siamo nulla in confronto all’eternità dell’arte e della musica. Siamo solo dei mezzi attraverso cui l’energia creativa si manifesta agli umani. Io e te spariremo un giorno, inghiottiti nel nulla, resterà la nostra arte, per sempre.” “Quindi, vuoi dire che non possiamo stare insieme?” Jade annuì. “Tu non provi niente per me, mi hai solo usato!” Disse con voce strozzata Matt, alzandosi in piedi di scatto. Andò nella sua camera e si rivestì. Quando rientrò in sala. Jade era vestita e si vedeva che era scossa. Matt le andò incontro e tenendole le mani sulle spalle le sussurrò: “Io ti amerò per sempre Jade. Qualsiasi cosa tu provi per me.”
Il terzo giorno, il sole si fece spazio tra le ultime nuvole e lentamente il cielo si colorò di azzurro. Matt e Jade se ne stavano nel letto abbracciati. “Non so nulla di te.”disse Matt ad un certo punto. “Poco male.” rispose Jade. “No, davvero, mi piacerebbe sapere qualcosa.” “A che scopo?” “Mah, tu sai tutto di me.” “Tutto?” Jade rise. “Tutto quello che scrivono i giornali.” “Intendevo le mie canzoni. Attraverso le mie canzoni, tu un pò mi conosci.” “Una parte di te, Matt. Solo una parte.” “Quella che però ti ha spinto a…” Jade annuì imbarazzata. Si alzò e svogliatamente prese a vestirsi.
Matt le accarezzò le gambe mentre si infilava il maglione. Poi, mentre si metteva i leggins le sollevò il maglione per baciarle la schiena. Jade rabbrividì. “Vuoi sapere qualcosa di me.” “Si.” disse adagiandosi sul cuscino e incrociando le braccia dietro la testa, pronto ad ascoltarla. Jade osservò il contrarsi dei muscoli delle sue spalle in quel movimento naturale e le piacque. Avrebbe voluto disegnarlo, ma preferì restare lì a guardarlo con la sua barba scura di due giorni e quegli occhi color dell’oceano. “Bene, ti dirò qualcosa. Sono un’artista.” “Non avevo dubbi!” “Dai, dico sul serio! Ho sempre amato disegnare e dipingere, più di ogni altra cosa. Ma non ho mai avuto fegato. Ho lasciato che le occasioni mi assero davanti. Le ho lasciate andare perché avevo paura, paura di farcela.” “Forse non hai incontrato le persone giuste.” “Si, forse.” “Vedi, se io non avessi incontrato Tom, mai mi sarebbe ato per la testa di formare un gruppo. Figuriamoci poi di scrivere canzoni, un album, i concerti. No, davvero, non ci pensavo proprio!” disse mentre Jade si divertiva ad arruffargli i capelli. “ E tu? Hai mai pensato di aver trovato le persone giuste?” le chiese. “A dire il vero mi è capitato di incontrare persone che mi avrebbero potuto aiutare, o comunque darmi la possibilità di fare esperienza, purtroppo io sono codarda e ho lasciato perdere.” “Non è ancora finita, Jade. Sei giovane e per fortuna gli artisti possono dipingere finché ne hanno voglia. Non sei mica una vecchia in punto di morte!” Jade avvertì come una pugnalata. Deglutì nervosamente, poi cambiò discorso. “Ti ricordi quel concorso che ci fu su internet per disegnare la copertina del tuo terzo album?”
“Si.” “ E ricordi anche che vinse un ragazzo di Liverpool.” “Certo.” “Bene, quel disegno l’avevo fatto io.” “Cosa?” “Si. Ero sicura che non avrei vinto mai, mi sembrava così banale, ne avevo abbozzati almeno cento, però nessuno mi sembrava abbastanza bello, particolare, speciale. Insomma, alla fine ho preso quello che mi sembrava il migliore e l’ho regalato a George Adams. Era un mio amico, almeno credevo, finché non ha partecipato al concorso senza dirmelo e ha vinto.” “Mio Dio Jade! Ci saremmo potuti conoscere dieci anni fa!” “Mah, non lo so. E cosa sarebbe cambiato?” “La sliding door si sarebbe aperta.” “Forse si, forse no. Forse io sarei scappata di nuovo.” “Perché hai paura Jade?” “Non lo so.” “Non credi nell’amore?” “Quello per sempre? No, nulla dura per sempre, Matt. Io e te siamo destinati a diventare polvere e a essere dimenticati, finiremo nel nulla da dove siamo venuti, perché l’amore dovrebbe durare per sempre se noi stessi non siamo eterni?” “Lasciamo che duri allora quanto noi.” “Quante volte ti sei innamorato Matt?” Matt si mise a pensare. “Mah, non saprei…una decina di volte? Tre però importanti, almeno
sembravano.” “Ecco la parola giusta: sembravano. Nel momento in cui il desiderio finisce, inizia la quotidianità e l’amore è bello e sepolto, altro che eternità! Sono certa che se Romeo e Giulietta si fossero sposati, dopo qualche anno avrebbero finito con lo scannarsi a vicenda, altro che suicidio per amore!” ironizzò. “Allora tra di noi cosa c’è?” le chiese abbracciandola. “Non lo so, credo pura attrazione fisica, intellettuale e artistica.” “Accidenti, niente male! L’importante è che non sia amore!” scherzò Matt.
“Tra un ’ora vengono a prenderti.” “Cosa? Tra un’ora? Chi?” “Delle persone. Ti porteranno a casa.” Jade parlava mestamente con il volto basso, non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. “D’accordo, come vuoi.” rispose Matt scuro in viso. Quando l’auto arrivò, Matt e Jade si abbracciarono sotto la soglia. Jade non piangeva, ma era visibilmente angosciata. Matt aveva gli occhi umidi. Si baciarono apionatamente. “Sai dove trovarmi, amore mio.” le sussurrò Matt in un orecchio. Jade annuì. Quando entrò nel fuoristrada, Jade sparì nella baita. L’uomo al volante, con un berretto di lana e la barba incolta, emanava un odore animalesco. Gli disse qualcosa in un incomprensibile italiano e Matt si limitò ad annuire. Il suo cuore era a pezzi. Quello fu il viaggio più lungo e più triste della sua vita.
Nei mesi successivi Matt lavorò duro al suo nuovo disco. Le canzoni vennero giù quasi da sole, come per magia. Ripensava alle parole di Jade, a quella strana, misteriosa energia che secondo lei è la sola che permette all’artista di creare. I
suoi musicisti lo guardavano perplessi. Erano anni che Matt non lavorava con tanto fervore, con tanta ione. Sembrava un altro, forte, pieno di energie, incredibilmente professionale, pretenzioso, a volte irritante per quanto rigore chiedesse a se stesso e a loro, eppure profondamente triste. Era come se gli mancasse qualcosa. Non era nemmeno più interessato né alle groupie, né alle bellissime donne che superstar del loro livello erano soliti trovare nel locali che frequentavano. Non toccava più alcolici, neanche la birra e aveva smesso di fumare; sosteneva che la sua voce doveva essere perfetta per la registrazione dei pezzi e per il tour. I suoi amici, abituati alle sue stranezze, lo lasciarono fare senza porgli troppe domande, in fondo il risultato dei suoi sforzi era un album incredibilmente bello, il più bello di tutta la sua carriera. Dove fosse stato in quei tre giorni non lo seppe mai nessuno e dopo un pò smisero anche di chiederglielo. ò un anno. Il disco uscì con un titolo che solo una persona oltre Matt poteva capire pienamente: “Amore e creazione”. Fu un successo internazionale, milioni di copie vendute in tutto il mondo, il sold out in tutti gli stadi. La band di Matt entrò definitivamente nella storia della musica.
Una sera Matt stava salutando i suoi fan al termine dell’ennesimo concerto. Agitò in aria la sua chitarra producendo dei suoni metallici che echeggiarono mescolandosi alle urla estasiate del pubblico Gli altri componenti del gruppo conclo all’unisono il brano. Insieme si inchinarono ai loro fan promettendogli di tornare presto. Le luci si spensero con l’adrenalina ancora in corpo. Nel camerino, Matt si sciacquò il viso madido di sudore. Si guardò nello specchio e per un istante immaginò il volto di Jade. Jade che era sparita nel nulla, Jade che non aveva risposto mai alle sue lettere, alle sue mail, perché lui l’aveva cercata e l’aveva trovata, mentre Jade non gli aveva mai risposto. Allora aveva capito che era come diceva lei. Tre giorni soltanto, tre giorni superbi, tre giorni indimenticabili, tre giorni soltanto per scolpire il loro amore nella pietra e non lasciarlo scalfire dalla routine e dalla noia. “Finiresti con l’odiarmi” gli aveva detto. Ora si domandava ancora come avrebbe potuto odiare lei, la musa ispiratrice del suo capolavoro. Questo proprio non lo concepiva. Doveva trovarla, doveva andare da lei a tutti i costi. Mancava
un mese alla fine del tour. Poi sarebbe andato da lei. In quello stesso istante, in una baita di montagna che Matt conosceva bene, una giovane donna su una sedia a rotelle fissava un quadro. Le sue mani scarne afferravano un pennello per tentare di dipingere, ma il pennello cadeva in terra. La donna piangeva. Prese allora un pacco di lettere e ne estrasse una per leggerla l’ennesima volta. Erano tutte firmate Matt Johnson.
Circa un mese dopo, Matt giunse in paese verso mezzogiorno. Lo stesso uomo che tre anni prima lo aveva accompagnato all’aeroporto per tornare a casa dopo quella strana storia durata tre giorni, lo accolse a braccia aperte. “Mi fa piacere rivederla!” gli disse l’uomo che aveva conservato quello stesso strano odore animalesco e la stessa parlata troppo rapida per poter capire cosa stesse dicendo. “Sto cercando Jade Summers.” gli disse con un italiano quasi perfetto. Il viso dell’uomo si incupì. “La signora della baita? La pittrice inglese?” gli chiese pallido. Matt annuì. “Mi dispiace, signor Johnson.” Si grattò in testa impacciato e addolorato. “La signora non c’è più da 15 giorni.” “Cosa vuole dire non c’è più? E’ partita?” “No, signor, Johnson…pensavo lo sapesse.” L’uomo dette in un profondo sospiro e disse con un filo di voce: “La signorina Summers è morta 15 giorni fa, mi dispiace molto.” Matt afferrò l’uomo per le spalle e lo strattonò con violenza. “Non dica sciocchezze!” disse in inglese, ma l’uomo intuì bene il significato. “Jade Summers, capisci? Forse ti stai confondendo.”riprese in italiano. “D’accordo, la porterò da lei.” gli disse alla fine e gli fece cenno di seguirlo. Si infilarono in macchina attraversando con prudenza quel percorso fatto di strade dissestate, strette, a strapiombo sul vuoto, mentre Matt tentava di scacciare quel peso insopportabile che gli opprimeva il petto.
Giunti a destinazione, Matt riconobbe la baita e la commozione lo vinse quando all‘improvviso la immaginò appoggiata all’arco della porta che gli sorrideva. Prese un fazzoletto e si asciugò le lacrime. Fuori l’aria era fresca, sebbene il sole si sentisse molto forte per essere marzo. Di neve non ce n’era che sulle vette più alte, mentre intorno alla baita la poca vegetazione annunciava l’arrivo della primavera. Matt aveva quasi paura ad entrare. L’uomo lo vide fermo sull’uscio della porta e gli fece cenno con la mano che sarebbero entrati dopo. Invece lo condusse sul retro della baita dove una croce si ergeva su una lastra di marmo ed il peggio che Matt fino all’ultimo aveva disperatamente cercato di negare a se stesso lo attendeva scritto in neretto: un nome e due date. “La signora Jade era una donna meravigliosa.” disse l’uomo con voce rotta dalla commozione, per poi allontanarsi silenziosamente verso l’uscio della baita e lasciare Matt da solo con il suo dolore. Matt in ginocchio batté il pugno sulla lastra che nascondeva la bara di Jade ferendosi leggermente. Non c’era la sua foto ma solo la data di nascita e di morte, ora finalmente sapeva quanti anni aveva quando si erano conosciuti, soltanto che adesso come allora non gli interessava. Rimase per un po’ a piangere disperatamente davanti a ciò che restava del suo più bel ricordo, della sua musa ispiratrice, della donna dei suoi sogni. Dopo una ventina di minuti, si decise a entrare nella baita dove l’uomo, che gli disse di chiamarsi Roberto, gli aveva intanto gentilmente preparato un caffè. “Era molto malata.” disse in italiano. “cancer” disse poi con una pronuncia incerta. “Queste sono sue.” disse a Matt porgendogli un pacco di lettere legate da un nastro azzurro, le sue mandate a Jade in quei tre anni e un altro pacco di lettere tenute da un nastro rosa, quelle di Jade che non gli aveva mai spedito. “Vuole rimanere un po’ qui?” gli chiese l’uomo aiutando il parlare con i gesti. “O vuole andare via?” “Il quadro.”Disse Matt. “Il quadro che mi ritrae, dov’è?” Si recarono insieme nello studio di Jade. Tutto era incredibilmente in ordine. I dipinti e gli schizzi erano spariti, restavano soltanto delle tele bianche accatastate sulle pareti, gli stracci puliti e piegati, i pennelli disposti in fila sul tavolo da lavoro. Negli ultimi tempi, una donna si era occupata di lei che ormai non poteva più camminare e aveva trasformato la stanza di un’artista nella stanza di un
dottore! Chissà cosa ne aveva pensato Jade, chissà se negli ultimi tempi aveva ancora combattuto per essere libera. Matt si avvicinò al cavalletto adagiato in un angolo, dove una tela giaceva coperta. Sollevò il panno bianco e scorse il suo ritratto. L’emozione lo inondò e pianse di nuovo. “Ma è lei!” esclamò l’uomo. “Mio Dio è bellissimo questo quadro! Non ne sapevo niente, non l’ha mai mostrato durante le sue esposizioni!” “Chi prenderà le sue cose?” chiese Matt tra l’italiano e l’inglese. “Ha dei parenti? Padre, madre, fratelli, sorelle?” “Le sue ultime volontà le conosce il notaio Bini, lo trova in paese, questo è il suo numero. Forse avrà già cercato di contattarla, ma evidentemente non deve esserci riuscito. Se vuole l’accompagno io.” Matt capì il necessario, poi prese una decisione. “Vorrei rimanere qui qualche giorno, è possibile?” “Certo! Intanto avviso il notaio che lei è qui.” “Non ho contanti con me, la pagherò….” L’uomo, che si chiamava Roberto, gli strinse amichevolmente il polso. Matt capì. “E’ troppo gentile!”gli disse. Roberto gli sorrise. “Lei è stata una persona importante per la signora Jade e allora è ospite mio! Understand? My guest!” Matt a fatica rispose al suo sorriso. “Qui c’è tutto il necessario per almeno una settimana.” disse aprendo alcuni mobiletti della cucina. “Quando decide di andar via mi chiama, questo è il mio numero.” gli disse lasciandogli un biglietto sul tavolo. Poi si congedò e il rombo del suo fuoristrada in breve tempo sparì tra le montagne. “Mi basteranno tre giorni.” pensò Matt sorseggiando il caffé intiepidito.
eggiò per la baita inseguito dalla memoria violenta e soffocante di quei tre giorni. Quando entrò nell’altra baita, quella che era stata la sua sala prove, non resse alla disperazione, afferrò una chitarra e la usò come un bastone per fracassare ogni strumento si trovasse davanti. Pezzi di batteria e di tastiera schizzarono dovunque per la stanza. Alla fine, si ritrovò esausto, ansimante, con un brandello di chitarra in mano e un cumulo di rottami. Cadde in ginocchio e pianse.
Nella baita principale, il fuoco scoppiettava nel camino. Il sole era andato via lasciando il posto a nuvole cariche di pioggia. L’aria si era notevolmente rinfrescata. Matt era seduto sul divano. Accanto a lui, il plico delle lettere di Jade, quelle che non gli aveva mai mandato.
Aprile 2005
Dolce Matt, sono ati due mesi da quando ci siamo separati e mi sembra un’eternità…Mi sono subito pentita di averti lasciato andare via, la tua mancanza mi soffoca. Adesso va meglio perché la malattia incalza e so di aver fatto la cosa giusta. Non ti ho detto che ero malata, non mi sembrava ne valesse la pena, anzi, sarebbe stato come cercare di muoverti a comione, al contrario io speravo che tu mi odiassi! Non avrei sopportato di vederti soffrire, Matt, mai! Tu sei la gioia in persona, la felicità, l’entusiasmo, la voglia di vivere fatta uomo! So che stai lavorando al tuo nuovo disco, sono sicura che sarà un successo!
Dicembre 2005
Mio grande amore,
ultimamente mi sento meglio e questo mi permette di lavorare per una mostra che terrò la prossima estate a Milano. L’Italia è bellissima ed è diventata la mia seconda casa, però mi manca l’Inghilterra perché so che lì ci sei tu…Sto pensando di trasferirmi su nella nostra baita. Sai, l’ho comprata! Erano i miei ultimi risparmi, ma non importa, i soldi servono solo per essere spesi e credo di aver fatto una cosa giusta. Tornando lì mi sembrerà di starti più vicino. Mi manchi!!!
Maggio 2006
Matt, mio caro, ho saputo di questa tua storia con la fotomodella Brenda Rush. Devo dire che è davvero bellissima! Avevo dunque ragione a dire che la tua strada era già segnata! Sei un uomo di successo e meriti tutta la felicità di questo mondo e te lo dico mentre mi si spezza il cuore.…Ricevo sempre le tue lettere. Le leggo e le rileggo. Mi danno molta forza, non puoi neanche immaginare quanta…Ma non posso risponderti, anche se è la cosa che più vorrei al mondo! Ora so che non mi scriverai più.
Luglio 2006
Mio amore perduto, la mostra è stata un successone. No, il tuo quadro non l’ho presentato, le promesse le mantengo! Quello è solo tuo e mio, è tutto ciò che resta del nostro amore, non interessa a nessuno, solo tu ed io Matt, tu ed io, come quel febbraio di un anno e mezzo fa. Ho ricevuto un’offerta da un ricco magnate arabo. Devo dipingere dei ritratti della sua famiglia e per un po’ andrò in Arabia Saudita. Spero di non soffrire troppo il caldo, comunque ora mi sento bene e credo di farcela. In caso contrario me ne tornerò nella mia cara baita. Un’ ultima cosa, ho
saputo della tua rottura con Brenda, come mi dispiace…hahaha, in realtà ne sono felice, non dovrei dirlo, ma è la verità!
Dicembre 2006
Mia musa, sono riuscita appena in tempo a finire i miei ritratti in Arabia che sono stata malissimo! Per fortuna giusto in tempo, li ho consegnati, mi hanno pagato, mi hanno fatto tanti complimenti e sono tornata in Italia per ricoverarmi. Sono state due settimane d’inferno, non vedevo l’ora di uscire! Ora sto meglio, diciamo così, ma a volte faccio fatica a camminare e a tenere i pennelli in mano, mi fanno male le ossa. Mah, parliamo d’altro. So che hai terminato l’album e che uscirà in primavera. Sarò la prima a comprarlo!
Marzo 2007
Matt, caro, dolce, Matt, quest’album mi ha commosso fino alle lacrime. Queste canzoni parlano di noi, del nostro amore. Matt, non mi hai dimenticata! “White mountains” mi fa rivivere i tre giorni ati con te e sono felice, felice di aver vissuto abbastanza per conoscerti. Ci sono persone che vivono a lungo senza conoscere l’amore. Si illudono, mentre trascinano una storia che non gli procura altro che noia e insoddisfazione. Altri per egoismo si lasciano sfuggire il grande amore, altri ancora per egoismo lo distruggono. Io ti amavo e ti amo troppo per ridurti a compagno di una donna malata. Sei troppo speciale per me, devi essere felice e libero, Matt non dimenticarlo mai, LIBERO!
Agosto 2007
Mio unico grande amore, voglio fare una pazzia! Ho comprato il biglietto per il tuo concerto di settembre a Londra. Il mio medico mi ha detto che sono pazza, io gli ho detto che non posso morire senza averti visto cantare. Mi ha guardato storto, poi ha sorriso, ha capito, è una persona sensibile per essere un dottore! Così mi ha dato dei consigli e dei medicinali nel caso mi sentissi male. A presto Matt, a presto amore mio!
Settembre 2007
Sole dei miei giorni, dire che è stato bellissimo è dire poco, perché è stato meraviglioso anche se terribile allo stesso tempo. Tu eri lì a pochi metri da me e io non potevo toccarti. Con questo immenso dolore credo di essermi riscattata da tutti i miei peccati! Peccato che non io non sia cattolica… Ho pianto di gioia, di dolore, di tristezza, di felicità. Meriti tutto il tuo successo, Matt, sei davvero un genio della musica! Devo dire che sono stata davvero tentata di incontrarti. Con le conoscenze che ho adesso non mi sarebbe stato difficile. Ho resistito. Non sono un bel vedere. Ho perso quasi dieci chili. Nello specchio vedo una vecchia sofferente. No, Matt, tu di me devi solo ricordare il meglio.
E tra le tante, l’ultima lettera.
Marzo 2008
Mio amatissimo,
sto molto male. Le medicine non mi fanno più nulla. Siamo ati alla morfina. Dormo molto e quando mi sveglio faccio fatica anche a respirare. La signora che si occupa di me è davvero gentile e premurosa. A volte si offre di imboccarmi e io mi vergogno. In fondo non ho più fame. E’ lei che mi ricorda che è ora di pranzo. Potrei andare avanti per giorni senza mangiare. Come vedi questa non è la mia scrittura. Ho chiesto a Maria, così’ si chiama la signora, di scrivere per me, perché le dita non mi obbediscono più. Questa forse è l’ultima lettera e mi sento responsabile nello scriverla. Vorrei dirti tante cose, ma in fondo a che servirebbe? Non voglio essere banale, ne sentimentale. Quando le riceverai io non ci sarò più se non nei tuoi ricordi. Ci siamo scambiati il regalo più bello: l’eternità. Io ti ho fatto da musa ispiratrice per il tuo album più bello e tu mi hai ispirato il mio quadro più bello. E’ tuo, Matt, fanne ciò che vuoi, ma promettimi di non vivere con malinconia, non è da te e sarebbe stupido. Quel dipinto che ritrae la tua genialità, ti deve solo ricordare che si vive per essere felici e l’unico modo per esserlo è rendere felici chi ci sta accanto. Tu rendi felici i tuoi fans e ne sono milioni e hai reso felice me che ormai non ci speravo più. Io credo, spero, di aver fatto lo stesso con te. La mia energia veglierà su di te affinché ogni giorno della tua vita sia splendente come il sole d’agosto. Voglio salutari dicendoti quello che ti avrei sempre voluto dire:
tua per sempre nella nostra libertà.
Jade
Con gli occhi rossi e la gola bruciante, Matt rimise a posto le lettere una per una e le riavvolse nel nastro rosa. Le unì alle sue e le lasciò sul tavolo. Il cellulare squillò. Era il notaio. Si dettero appuntamento per quel pomeriggio. Matt puntuale alle 16.30, bussò alla porta del suo ufficio.
Il notaio Bini, un uomo alto e prestante sulla cinquantina, lo accolse parlando un perfetto inglese. “La signora Summers le lascia il dipinto dal titolo “Il momento” e la sua baita di montagna nella località St. Bart. Non possedeva null’altro.” “E tutti i suoi quadri?” “Li ha venduti tutti poco prima di morire. Il ricavato è stato dato in beneficenza.” Nella mente di Matt ritornarono improvvisamente le parole di Jade: “Non vivere di ricordi.” “Vorrei vendere la baita. Il ricavato lo donerò al comune di St Bart affinché costruiscano una scuola di pittura alla memoria di Jade. In fondo questo paese è stata la sua casa e i suoi abitanti la sua famiglia nei suoi ultimi giorni.” “E’ molto generoso da parte sua.” “E il dipinto, quello lo tiene? Ho avuto già molte richieste da persone facoltose e anche gallerie d’arte, vale una fortuna ora che, purtroppo… la signora Summers è ata ad altra vita.” “Immagino. Per ora lo terrò io, grazie infinite. Dove devo firmare?”
Il tempo per molti è un’ottima medicina per lenire le sofferenze del cuore. Per altri è soltanto un macigno che con il are degli anni aumenta il suo peso. Occorre scegliere. Matt fece la sua scelta: la musica. La musica non ha tempo, la musica vince il tempo, la musica scavalca il tempo, lo annienta, ne cancella il peso, il valore. Lo riporta ad essere ciò che è: un’eterna illusione. Matt riprese a scrivere con grande creatività, non solo per se stesso, ma anche per qualche musicista emergente. Cambiò radicalmente vita, niente più notti bianche, niente più alcool, niente più interviste o partecipazioni a spettacoli musicali. Spesso si recava a New York, si intrufolava in un qualsiasi locale di nicchia e cominciava a suonare per un pubblico ristretto, molto esigente, che per
fortuna spesso ignorava chi fosse ed era sempre un successo. In soli tre anni scrisse circa 300 canzoni, 100 brani strumentali e una sinfonia. Riprese a studiare il pianoforte e dette una decina di concerti di musica classica. In una delle rare interviste concesse affermò: “Dieci anni fa credevo di essere diventato ciò che ero. Mi sbagliavo. Adesso sono diventato ciò che sono.” Il ritratto “Il momento” non lo vendette mai, ma concesse ad un importante museo di Londra di metterlo in mostra affinché tutti potessero conoscere il genio artistico di Jade Summers.
L’ultimo album di Matt Johnson è del 2010 e si intitola: “Tre giorni”.
Nessun opera nasce dal nulla. Le fonti di ispirazione possono essere molteplici, non necessariamente avvenimenti drammatici, non necessariamente situazioni particolari. Può capitare di trovarsi in macchina, di ascoltare la radio, cosa che non fai mai e improvvisamente un brano musicale ti entra nelle vene, la tua mente si isola dall’esterno, immagina davanti a sé l’immensità dell’universo simile ad una lavagna pulita, una lavagna che occorre assolutamente imbrattare. Ecco che come un fiume in piena arrivano nel cervello immagini strane, confuse, un puzzle da rimettere a posto a tutti i costi! E poi giungono per incanto le parole, che chissà in quale parte dell’universo giacevano nascoste in attesa di essere trovate. Un’opera di narrativa può nascere dal caso, se si crede nel caso; può nascere da un episodio banale, se si crede nella banalità. Io non credo né nell’uno, né nell’altro.
Emilia Cao
L’autrice
Emilia Cao nasce a Napoli il 18 giugno del 1970. Si laurea nel 1998 in lingue e letterature straniere e dopo qualche anno inizia la sua carriera di docente di lingua inglese nella provincia di Torino dove attualmente risiede. Ha scritto diversi racconti, un romanzo e una raccolta di poesie in attesa di pubblicazione. “Tre giorni” è il suo primo racconto.