vuotopieno
Un uomo schifoso
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Table of contents
Un uomo schifoso
Un uomo schifoso
Titolo originale: Un uomo schifoso © 2014 by vuotopieno © 2014 Editore ISBN: Correttore di bozze: non accreditato Fotografia: vuotopieno Grafica: Studio V © – Milano Contatti: email:
[email protected] Blog di riferimento: http://unuomoschifoso.wordpress.com/ Twitter: @Unuomoschifoso Facebook: Un uomo schifoso
Solo in visione. Qualsiasi riproduzione, anche parziale, è vietata.
Un uomo schifoso
A Livio,
amico trovato tardi e perso presto.
Introduzione
Ho voluto raccontare un viaggio, la vita di un puttaniere e del suo percorso umano, sovente legato a doppio filo alla puttana nel biasimevole giudizio della gente, forse complici in ruoli non riconosciuti, forse nemici quando non si rispettano gli accordi, ma sicuramente non esiste puttana senza puttaniere; della prima è stato scritto e detto tutto, del secondo si conosce poco. Non importa come mi chiamo, potrei essere chiunque, il vostro vicino di casa o il vostro commercialista, il benzinaio gentile che vi pulisce il parabrezza o l’impiegato delle Poste che vi sorride quando andate a pagare le bollette. Ho fatto una scelta ponderata, ora sono un fantasma, un’entità astratta, invisibile fuggo da me stesso e dagli altri. Ogni mattina al risveglio nutro la voragine scavata nella mia mente, ma mi illudo, niente sostituisce quello che hai perso, nessun dolore è risarcito. Ho scelto di provare, ho scelto di rischiare, spesso ho esitato e non mi è piaciuto, ma non importa, mi sono fermato e ho vissuto.
Caramelle ciucciate e ginocchia sbucciate
Puttaniere non è una parola offensiva, è uno stato (lo stesso si può dire per la donna), uno stato d'inquietudine, di curiosità e di bisogno di novità, soddisfatto dall'unione per il piacere non con una ma con molte. Lev Tolstoj Un uomo corre zigzagando tra le auto che sfrecciano come dardi infuocati nella notte, tremante urla qualcosa verso gli automobilisti, il viso trasfigurato e pallido emerge come uno spettro dall’oscurità. Quell’uomo sono io.
Trent’anni prima
«Nà lavàda, nà sùgàda,la par n'anca duperàda». Non capii nulla ma tutti ridevano, lo feci anch’io per compiacere e darmi un tono. Seduto su di una masochistica sedia con le stringhe di plastica, quelle che ti lasciano i segni dietro le gambe se porti i pantaloncini, contemplavo l’acqua del naviglio scorrere placidamente. Mi godevo lentissimamente, cercando di farlo durare il più possibile, il ghiacciolo azzurro, i miei undici anni spesso venivano sottovalutati e mi permettevano di essere ignorato dai vecchietti avvinazzati che animatamente discutevano di femmine e ato remoto al Bar dell’Alzaia. Figure grottesche come quelle di Bosch si agitano nei miei ricordi: nasi e corpi deformi, gobbe malcelate e orridi sorrisi sotto labbra rinsecchite; questi senescenti ma non svigoriti amici, sono stati i primi indecenti maestri di vita. Partivano blandamente col calcio: il grande Torino, Giuseppe Meazza, il Milan, Gigi Riva e Rivera, la bella ed eterna seconda Olanda. Discutevano di tattiche e moduli, era apionante e seppur affascinato, non ci arrivavo proprio. Al quinto pessimo bianchino trangugiato, iniziava il re incontrastato degli argomenti maschili: la fica, o meglio la figa, come a Milano si preferisce denominarla, regalandole nel tempo un certo grado di aristocratica finezza, spogliandola quasi totalmente dall’osceno e volgare alone originario. A quel punto la mia attenzione veniva inconsapevolmente catturata, da allora, essa è ancora lì. Alle mie giovani orecchie sembravano viaggi in luoghi incantati, racconti di cavalieri e principesse, sconosciute emozioni e impavide gesta, ma molto più conturbanti e maliziosi.
Litigavano sempre sui gusti, chi preferiva la magra piallata perché risultava di classe, chi la formosa butterata di cellulite perché trasmetteva calore e pienezza, chi le bionde e chi le more, chi la porca scatenata e chi invece perdeva la testa per le timide: le cosi dette “acque chete”. Si ammazzavano con corposi termini dialettali come se concretamente e realmente potessero contendersi le ragazze in questione. I ricordi inevitabilmente riemergevano da un lontano e fumoso ato, con il loro carico pesante di rimorsi e rimpianti, ed è per questo che alla fine si finiva in tristezza verso un malinconico armistizio. Allora,tutti trovavano un accordo quando il discorso scivolava sul meretricio e la legge delle leggi:L. 20 febbraio 1958, n. 75, la famigerata Merlin. Secondo i miei nonnini questa legge fu un dramma, anche se non se ne resero conto subito. Vero è, che una volta applicata la legge, con la chiusura delle case di tolleranza, si riversarono sulle strade tutte le prostitute, aumentarono le malattie veneree e la criminalità prese il controllo della prostituzione. Un disastro dal punto vista sociale e sanitario ato in sordina, o quasi. Qualcuna si organizzò in casa, altre, le più anziane in particolare, aprirono case clandestine, insomma cominciò il bordello vero e proprio, fatto di inganni e sotterfugi. Nelle case chiuse le ragazze erano obbligate ad effettuare i controlli medici, i prezzi erano regolati secondo l’inflazione e inoltre, dovevano esistere bordelli per tutte le tasche. La pulizia e l’igiene era tassativa, sia per la ragazza che per il “giovanotto”. Sul territorio italico erano cinque secoli che la prostituzione veniva regolamentata, in diversi Stati e Regni, con differenti modalità, ma comunque legalizzata, solo stupidi legislatori fino ad allora? Si partiva da una svelta o semplice, ando dalla doppia, fino a svariate ore, quello che un cliente desiderava o si poteva permettere.
I cartelli esposti invitavano a un comportamento civile, tipo: “Ai Signori clienti è vietato molestare le signorine prima di aver pagato la marchetta. La Direzione”. Oppure: “Giovanotti! Le signorine lavorano! Si raccomanda di non intrattenerle con le bagatelle inutili! I prezzi del tariffario tanto non si cambiano”. Su tale tariffario spesso veniva offerto uno sconto per i militari e ai giovanotti di primo pelo. Una norma fatta da una donna per le donne, ma non sempre un astratto ideale legislativo regge la prova del pragmatismo naturale o del concreto vivere comune. Le acque scure del naviglio scorrevano senza sosta come il tempo che fugge, per i miei vetusti amici erano spicchi di giovinezza riemersi da un ato lontano, polverosi ricordi che ferivano in solitudine una volta cessata l’euforia del vino. Ma questo succedeva un’era fa, la mia mente di bambino poteva solo cogliere l’amara e nostalgica atmosfera nei racconti dei canuti ometti; un ultimo morso al ghiacciolo all’anice e ritornai a pensare al pallone e ai cartoni animati, corsi a casa a vedere Goldrake. Mentre mi allontanavo feci in tempo ad udire una roca e stanca voce: «Meglio pagare caro il latte che mantenere la vacca» e giù tutti a ridere. Io perplesso mi chiesi cosa c’entrassero ora le mucche e il latte, mistero. Misi cento lire nel distributore di chewing gum, uscirono tre palline colorate, la vita per me era stupenda anche solo così.
Mia madre lavorava pesantemente per mantenere i suoi tre figli maschi, abituata fin da bambina a una vita dura, mio nonno per necessità già verso i dodici anni la portò a lavorare nei campi, quindi le sembrò una grande opportunità e un privilegio potersi massacrare di turni operando come inserviente all’ospedale Galeazzi.
Tuttavia l’emigrazione le permise di essere indipendente, di avere una casa, il necessario per i figli e inoltre, poterli mandare a scuola con dignità, tutto questo ripeto, da sola. Io ero il più piccolo della famiglia, perciò diciamo il più coccolato, ma anche il più solo. I miei fratelli presto andarono anch’essi a lavorare, così i pomeriggi risultavano infiniti, correvo e sognavo nella grande casa alle porte di Milano. Mia madre mi faceva trovare il pranzo pronto sul tavolo, un vigile mi accompagnava a casa dopo la scuola, il tempo era fatto di solitudine e attese, la televisione non la guardavo perché non c’erano i programmi pomeridiani, ma comunque l’avevo presto cassata dai atempi dal giorno in cui vidi il terrificante Belfagor. Fui obbligato a fare amicizia con i miei silenzi, come un’amica più grande la solitudine mi cercava appena giunto a casa, ascoltavo i pensieri scivolare lungo le pareti di quella prigione ovattata. Imparai ad essere felice negli occhi stanchi di mia madre al suo ritorno, fragile mi abbandonai allo scorrere del tempo. Presto cominciai a fare le pulizie di casa, facendo più casini che altro, non avrei mai voluto vederla stanca, il suo stupore quando tornava mi riempiva il cuore facendolo esplodere, mi abbracciava così forte che ci fondevamo l’uno nell’altra, carni e anime mischiate, come se potessi cucire il tempo vivevo solo per lei. Le domeniche assolate spesso le avo esplorando la città. Amavo i silenziosi viali alberati, dalle finestre aperte sipotevano udire i preparativi per il pranzo, componevo spazi mentali in cui cullarmi dolcemente. Ho sempre adorato le atmosfere placide e consolatrici. A volte, sedevo su qualche panchina situata lungo un isolato giardino, il silenzio e una leggera brezza permettevano l’ascolto di echi e boati sportivi, “Tutto il calcio minuto per minuto” era musica nell’aria delle assolate domeniche popolari. Le radioline con tutte quelle “antiche” voci raccontavano stupendi colpi di scena sui campi di calcio. Coloravano con fantastiche espressioni le menti in bianco e nero: “Clamoroso al Cibali!” o “ Bettega ha incornato” come se fosse stato un cervo o, “Boninsegna ha preso il legno” e “ Paolo Rossi
cincischia col pallone” e ancora “Arriva di gran carriera Tardelli”. Fantastiche pennellate che materializzavano i miei beniamini come eroi omerici.
Ora da adulto, spesso ricerco la solitudine, ma essa beffarda mi sfugge con perizia, bizzarra la vita no? Le bambine le consideravo poco. Certo la prima fidanzatina non si dimentica, il primo bacino sulla bocca a labbra serrate, gote rosse e simpatiche su pagine acerbe di vita, considerando che l’amore si insinua presto nei nostri cuori, risulta vano cercare di comprendere il quadro d’insieme, le meraviglie e i vuoti esistenziali mi lasciarono subito senza fiato. C’era altro che non capivo, qualcosa che attraeva e turbava il mio animo in modo vibrante, visioni intangibili e ignoti profumi, ammalianti sguardi e lunghe chiome sciolte: le donne. Sono le femmine che vedi come zie, come mamme di altri, esseri affascinanti e misteriosi. Però, presto ti chiedi perché senti esplodere il cervello e il basso ventre, quando scorgi per la prima volta le mutandine della signora Lucia mentre accavalla le gambe. Lei sorprende il tuo sguardo e maliziosamente ti sorride, consapevole della superiorità e del potere che ha sul tuo giovane desiderio. Spesso la migliore risposta ai nostri quesiti non necessita di parole. Da questo momento, nella mia giovane vita si instaura la figacrazia! Essa governerà la mia esistenza per sempre, influenzerà talmente in profondità il mio essere che farò fatica a capire dove finisce il cervello e dove inizia il cazzo. Sarò cristallizzato nella perenne ricerca della sacra fessura, nel continuo desiderio che spesso si tramuta in frustrazione. La figa mi dominerà; per lei studierò e lavorerò, andrò in palestra, escogiterò sistemi geniali solo per annusarla, acquisterò oggetti che valorizzeranno il mio status sociale ma mi svuoteranno le tasche. Il meraviglioso paradosso sarà che, difenderò strenuamente la condizione di
schiavitù nella quale la natura mi ha incatenato, mi illuderò di essere libero ma farò solo quello che il regime della figapermetterà di fare. I primi turbamenti sono stati gli agognati sogni da adulto, ricreando ora le situazioni vissute da bimbo si cerca di far perdurare il ato nel vuoto presente. Il peccatore di oggi è solo il menzognero bambino che amava spiare la cugina mentre faceva il bagno. Adesso che posso toccare superbe realtà, quanta nostalgia in quei chiaroscuri dell’anima sognante, gioie di bimbo nello scorgere velati collant su gambe affusolate. Dov’è la dimensione in cui potersi perdere senza farsi del male con la nostalgia? A volte riesco a cogliere per un attimo la sapiente meraviglia di quel fanciullo, indeciso se fare guerre con i soldatini o cercare di capire l’imminente futuro, costruire un castello con i cartoni o perdersi nei giochi in cortile, libero e felice ancora di poter dipingere le illusioni usando i colori dell’ingenuità.
Adolescenza inquieta Ricorderai l’adolescenza come il periodo dalle emozioni più intense e dalla esperienze più vere. Un adolescente si butta con ogni cellula del suo corpo in quel che fa, se non altro perché è la prima volta. Stephen Littleword
Non sono mai stato bello né particolarmente espansivo, caratteristiche che non aiutano certo nella conoscenza del misterioso mondo femminile, inoltre all’epoca, vivevo la sessualità ammantata di romanticismo. Il mio caro professore di lettere, Pier Paolo, mi trasmise l’amore per i
classici, mi insegnò a entrare in altri mondi e a vivere altre vite, a preferire sempre la qualità alla quantità, a non gettare via l’intelligenza, a non arrendersi alle prime difficoltà. Troppe letture di un certo tipo però per il sesso, non aiutano, potrei maledirne a decine, la letteratura russa e se in particolare fanno male al cazzo, è ufficiale. Non parliamo di Shakespeare, qui, si idealizzano amori e donne, si sublima ogni centimetro di carne e il dolore è la giusta espiazione alla immeritata felicità. Cominciai ad avere una simpatia politica e a schierarmi, amavo il teatro classico e non scherzo, non mi sarebbe dispiaciuta vivere una storia come in Romeo e Giulietta o ne il Conte di Montecristo. In effetti il tempo mi stava trasformando anche fisicamente, una figura scapigliata tra Syd Barret e un poeta maledetto si aggirava per casa, con la straripante felicità di mia madre sopratutto, la quale escogitava ogni stratagemma per farmi tagliare i lunghi capelli e darmi finalmente una lavata. Emulo di Oblomov cedevo facilmente alle lusinghe del divano, le mie ore della vita erano consumate a non fare un beato nulla, il resto era speso a pensare come poter continuare a non fare niente, con grande classe e dignità, si intende. Ho sempre creduto che Dio abbia creato la sacra fessura per essere da volano alla mia esistenza, non esisteva allora, come non esiste oggi, motivazione più grande per alzarmi dalla comoda posizione assunta sul paffuto e morbido divano. Comunque con le ragazze, compensavo con fantasia e curiosità, non anelavo ad un semplice e puerile “provarci”, gettarsi su qualsiasi giovane femmina asse non faceva per me; diciamo che era più una capacità d’osservazione, un colpire nel giusto modo sulla giusta ragazza. Uno strambo e paradossale miscuglio fatto di codardia e coraggio fungevano da trampolino per la mia acerba follia.
In verità, ero anche aiutato da una certa timidezza delle ragazzine di quegli anni, puntavo per paradosso su ragazze ritenute troppo belle per provarci o troppo grandi per considerare un ragazzino con due peli sul petto e quattro sul mento. Mi specializzai nella ricerca come fanno alcuni animali in natura con il cibo, sapete no? Quelli che si nutrono di ossa o bacche dolcissime in rovi inaccessibili ai più, vanno alla ricerca di qualcosa che nessun’altra bestia prende in considerazione: meno competitori, più possibilità di sopravvivere. Poi, una volta conquistata faticosamente la bella di turno, si creava un effetto “specchietto per le allodole”, una sorta di pubblicità positiva su altre ragazze, esse non si spiegavano il fenomeno in modo logico, come la bella della scuola, Beatrice, potesse stare con uno come me, la curiosità uccise più di una gatta. L’istinto predatorio però si fermava qui, ero ancora troppo grezzo. Si limonava allegramente, si toccava e più raramente ci si faceva toccare, ma non oltre, ferivo ma non in maniera letale. Ore e ore di autentici supplizi con giovani calde vergini. Già, le vergini capitavano tutte a me, ovviamente con nessuna intenzione di farsi deflorare, questo come dicevo, accresceva in me un inspiegabile e stupido orgoglio da principe azzurro, da gentiluomo direi, una maledizione! Alle prime “strenue” difese femminili, pensavo e dicevo: «Certo amore, io ti rispetto e ti aspetterò», un santissimo coglione. Nell’attesa di crescere però, la carta igienica in casa ebbe un’impennata che neanche il Dow Jones con la bolla speculativa, gli acquisti triplicarono, eiaculavo malta da edilizia, per quantità e consistenza. Sapete vero cosa intendo? Sei lì che per ore hai rovistato nelle mutandine calde e bagnate della tua ragazzina, il punto del divano su cui sei seduto ha preso la forma dei coglioni; quando lei decide di andarsene,non prima di essere venuta almeno un paio di volte, tu rimani lì e ti annusi le dita, ti masturbi furiosamente accecandoti con il primo schizzo che ovviamente centra perfettamente la cornea. La prima di tante ingiustizie, sì; perché a lei non piace farti finire, le fa
schifo, mentre tu puoi provare tranquillamente a vedere l’effetto che fa eiacularsi sul viso come nei film porno. Per arrivarci poi al sacro ciuffetto, una fatica di Sisifo, quando sembrava di aver raggiunto l’obbiettivo la giovane arpia ti faceva ritornare al punto di partenza. Mentre la baci, cerchi con la mano di sbottonare e tirare giù la cerniera del suo strettissimo jeans, ma a volte non ti è permesso, quindi infili direttamente la mano, ma qui, ti accorgi che porta i famigerati collant tirati fin sopra l’ombelico, allora fai un movimento da contorsionista con il polso, ritorni su ed entri e poi riscendi giù, se sfortunato puoi solo lisciare il pelo della gatta, se va bene invece puoi usare il dito medio come termometro, dopo mezz’ora di questa pratica circense lei torna a casa orgasmata e rilassata, tu anchilosato e pieno come un otre di sperma e bile; però puoi andare dagli amici al bar ed esclamare, tenendo il braccio alzato e il dito svettante come una guglia: «Ragazzi, chi vuole annusare? Odora di fica!». Non è stata certo di aiuto e anzi, un po’di confusione la infondeva la “letteratura” di mio fratello. La sfortuna di avere un familiare collezionista di fumetti e riviste? poter accedere alla sconfinata collezione e saltare i preamboli di Postalmerket e riviste simili da parrucchiera. Mi innamorai delle ragazze di Supersex, il mio mito fu Gabriel Pontello, bastava il suo fluido erotico e tutte le più belle fighe si inchinavano al cospetto del suo pene, già prontamente eretto. Mi chiedevo come fosse possibile un simile prodigio, inoltre, quando io venivo non emettevo quello strano verso: “Ifix tcen tcen”, cos’era? lo sperma che usciva con maschia violenza a contatto con l’aria? Playboy lo divoravo in un minuto e allora avanti con Le Ore e Caballero, ando da Il Montatore, un fumetto erotico molto divertente, poi Sukia, Zora, Lando, Jacula, Corna vissute, Skorpio. La confusione nasceva dal fatto che in queste storie tutti gli uomini scopavano straordinariamente donne meravigliose, tutto accadeva semplicemente, la donna desiderava quello che voleva l’uomo, nella realtà,
nella mia realtà, era tutto più complicato e difficile. Da Bulgakov a Moana Pozzi, ora comprendo perché non sono cresciuto del tutto normale. Inconsapevole ed euforico, traghettavo la mia adolescenza verso la sospirata e sopravvalutata età adulta, ricordate no? I progetti discussi animatamente su qualche panchina con gli amici: «Appena divento maggiorenne faccio questo e quello, nessuno più mi comanderà, avremo auto e fiche a piacere, potremmo fare ciò che più ci aggrada». Beata ed ingenua giovinezza. Ero comunque felice nel mio mondo illusorio, ma sentivo che tutto stava volgendo al termine, non poteva procedere ulteriormente in queste condizioni, ovvio. Scorrevo come acqua di fiume che inconsapevole sarebbe giunta al mare, lontana dalla fonte e dalla foce. Illuso di poter stare così, eternamente in mezzo, esistere e resistere giovane. A diciassette anni spaccati arrivò la libertà con una meravigliosa Ritmo azzurra, nata già vecchia come tutte le Fiat. Così, alla dick of dog, la guidai senza patente. Che posso dire a mia discolpa? poco, provengo da un’antica famiglia di matti col botto, una stile “I Tenenbaum”. Con largo anticipo sugli amici quindi, che stavano ancora in sella ai vari Ciao o Garelli, i più fortunati su di una Vespa o un Califfone modificato, potei sfoggiare tutto il mio orgoglio tamarro con una vera macchina. Per le auto, gli adulti della compagnia non stavano messi meglio. Si ava dalla Ford Fiesta alettonata con profilo dorato sulle fiancate, alla Golf GL arrabattata per farla somigliare alla più prestigiosa GTI. Alcuni poi, si arrangiavano pietosamente con la A112 del papà con falso emblema Abarth, una specie di scatola con ruotine che viaggiava contro la legge dell’aerodinamica, come il calabrone. Invidia pura invece, provavamo per chi poteva guidare la mitica Alfetta, magari del cugino, sì proprio quello che ti faceva esclamare: «Adesso
chiamo mio cugino … mi ha detto mio cugino …». Figura mitica e mistica creata nella notte dei tempi per tramandare leggende alquanto improbabili. Alberello giallo alla vaniglia, autoradio Pioneer da esibire sotto l’ascella olezzante e via verso l’avventura. Iniziai ad esplorare seriamente e da “adulto” quei viali in cui le signorine esercitavano la professione. Cominciarono i mitici puttan tour, chi non li ha fatti almeno una volta? Spesso propedeutici alla carriera del buon puttaniere. Scorrerie con gli amici a chiedere l’obolo per accedere al paradiso, guardare e magari elemosinare una toccatina, con il famoso deca si girava tutta la notte. L’orizzonte si era ingigantito diventato una sconfinata pianura argentina. C’erano molte italiane, le straniere erano di colore o sudamericane, meravigliose crisalidi per noi, realtà virtuali al limite del vero. Ci fermavamo spesso dalle più simpatiche e disponibili, insomma quelle che ci permettevano lo scrocco sessuale, fosse anche solo annusare il profumo di una vera donna, non capivamo più un cazzo all’odore della micia, bastava la visione di un seno e la mente vacillava su sentieri scoscesi.
Una sera un mio amico con altri caricarono con l’auto una dea d’ebano, una nigeriana dal fisico scolpito, una principessa del continente nero. Il patto fu che per diecimila lire si fe toccare da tutti, la fecero stendere sulla gambe dei eggeri seduti dietro, come una porchetta pronta ad essere affettata e mangiata, la macchina sgommò via e cento mani cominciarono ad esplorare il magnifico corpo con le matte risate della ragazza, perché era più il solletico procurato che lo sconcerto di essere impastata come una pizza. Dopo averla riaccompagnata al posto di lavoro, tutti ebbero una strana e sospetta fretta di ritornare a casa, mestamente il mio amico anni dopo confessò che la sega andava fatta a caldo, il ricordo era più vivido, lui come gli altri corsero nella propria magione a masturbarsi sotto le lenzuola.
Io avo e riavo volentieri da Laura, una ragazza italiana di venticinque anni. Era sì carina, ma andavo da lei spesso per un altro motivo, un cosa che trovavo divertente e mai confessatole, vendeva i suoi servigi con arte, sfoderava con tono formale e una perfetta dizione il suo menù, esattamente come presenta i vini il sommelier o il concierge illustra l’hotel. «Allora per ventimila ti faccio uno splendido pompino che potrai raccontare ai tuoi nipoti. Inizio leccandoti le palle lentamente …» Ed io impacciato: «No, sì, d’accordo ma io volevo sapere solo …» «Aspetta, fammi finire, non mi interrompere, poi decidi con calma. Allora, dicevo, per ventimila comincio a leccarti le palle lentamente, poi o la lingua per tutta la lunghezza dell’asta, arrivo sul filetto e lì ci sto un bel po’, ti lecco la cappella e dopo comincio a succhiartela, quando sei bello eccitato lo prendo tutto fino in gola, avvertimi quando stai per venire perché voglio berla tutta, adoro il suo sapore». La cosa incredibile era che ripeteva il tutto ogni volta, anche se ti riconosceva ed eri stato ad intervistarla almeno una decina di volte, era per me un film porno in carne e ossa, solo tempo dopo capii la sua fine e lungimirante strategia. I puttan tour corali, cominciarono presto a stancarmi, non mi divertivano più, anche perché spesso alcuni preferivano girare per trans, molti dei quali potevano tranquillamente militare in qualche squadra di calcio, cloni di Rumenigge, visti e considerati i polpacci. Volevo concretizzare in solitario e un minimo di discernimento estetico era da prendere in considerazione. E poi, ero stufo di essere continuamente messo in ridicolo dalla ragazza brillante di turno, erano molte le “sbiancate” come si diceva al tempo. Ricordo ancora un afoso pomeriggio d’estate, un giro fuori Milano a cercare le “diurne”. Avvistammo una bella bionda vestita con una canotta e una provocanteminigonna rossa, stava seduta sul cofano caldo della sua auto, accostammo e un mio amico credendosi particolarmente spiritoso esordì: «Non troppa cotta per favore»
Lei senza scomporsi minimamente: «Se torni fra tre giorni te la faccio trovare al sangue». Bisognava finirla lì. Il puttan tour era un viaggio spiritual - carnale, l’iniziazione del puttaniere, un momento catartico nella vita del maschio, qualcosa che si deve esaurire in breve, pena: rischio stallo da voyeurismo. Tutto bello, emozionante certamente, non rinnego nulla. L’auto con i finestrini abbassati, carica con cinque maschi puzzolenti di Drakkar noir in preda a tempeste ormonali, così, impennata e con gli ammortizzatori sfondati per la strade bucate di Milano a cantar di donne e calcio. I tuoi amici che ti urlano: «Ooohhh alzaaaa, questa è bella», perché la radio sta ando Relax dei Frankie Goes to Hollywood, ebbri di eccitazione e di calda Splugen, la marca di birra più terrificante mai prodotta, si procedeva così, per inerzia, sulla strada e nella vita. La grande fantasia nascente sempre dagli stessi:« Bella, mi mostri la merce?» Ripetuto come un mantra. Alla fine la malcapitata di turno qualcosa concedeva pure, ma più che altro per sfinimento o comione. Terminato il giro in genere si andava a concludere con un panino porchettato e canna d’ordinanza, quest’ultima ti autorizzava ad esclamare almeno dieci volte: «Cazzo che stoooria stasera» o «Falla girare, cosa hai mangiato il pollo con le mani?» Era sempre uguale, non cambiava nulla, ma l’erba ti permette di vedere il mondo come lo desideri. La fame chimica è una brutta bestia da ammansire. Bello sì, anzi stupendo, però ogni cosa bisogna viverla alla giusta età.
Ero fidanzato con una bellissima ragazza, ma la stanchezza per le solite mezze scopate era ormai troppa, non capivo cosa ci fosse di male a fare sesso completo ,mi sembrava la cosa migliore e più naturale del mondo, ma pareva che le mie partner la pensassero differentemente, solo petting maratonato. Quel petting estenuante in cui ti fanno male lingua e cazzo: la prima perché usata troppo, il secondo perché non usato per niente.
Dopo laceranti sensi di colpa decisi di provare, elucubrazioni da seghe mentali più che altro. Non era mia intenzione tradirla con una scopata, magari provare qualcosa di meno coinvolgente ma pur sempre appagante, ma basta seghe! Questo film risiedeva ovviamente solo nella mia testa. Risparmiai l’agognato “ventello” con sacrifici da servo della gleba e finalmente raggiunsi il mio scopo: l’acquisto del biglietto per il viaggio nella calda bocca di Laura. Lo ricordo ancora con piacere. Una splendida serata primaverile mi accoglieva tra le sue braccia, mentre raggiungevo il posto di “battitura” lungo la circonvallazione esterna, il cuore pulsava sempre più forte, accelerai mangiandomi voracemente chilometri d’asfalto. Emozionato e tirato a lucido come al primo appuntamento corsi verso il mio destino “gargantuesco e salivato”. La vidi subito: «Ma strano, non si mette mai lì, oh cazzo ma che è?» pensai ad alta voce. Non era Laura ma un palo stradale piegato! Anni dopo seppi che ero stato vittima di un effetto chiamato pareidolia, il mio cervello era andato in tilt come i flipper dell’epoca. Desideravo tanto vederla che la riconobbiin uno stop ammaccato, come quei credenti che riescono a scorgere Padre Pio o Gesù Cristo nella muffa del bagno. Poco più avanti e al solito posto la trovai davvero, prima che cominciasse con il soliloquio la fermai e andammo a consumare in un posticino appartato: sotto un migliaio di appartamenti popolari, lampioni a flash come i paparazzi in via Veneto. «Vediamo se questo rinomato ristorante è all’altezza delle sue stelle Michelin», pensai eccitato ed intimorito. La ragazza mantenne tutte le promesse, fu fantastica e paziente, con certosina precisione mi fece raggiungere un orgasmo intensissimo, così intenso che venne fuori dai polmoni un urlo disumano, qualcosa tipo: «Uuoooahhhrrrghhhh», da una finestra sopra di noi: « Oh, bestia d’un Pavarotti, i vocalizzi falli a casa tua».
Laura mi confessò che l’esposizione verbale di tutto il menù era necessaria, in quanto il cliente si eccitava a tal punto che la prestazione diventava solo una formalità di alcuni minuti per sopraggiunto orgasmo precoce. Niente male direi. Fu amore a prima eiaculazione, il pompino diventò presto la mia pratica preferita, volete mettere? Rilassamento totale e se la ragazza è capace, il contatto della pelle è molto più avvolgente e totale, ancora oggi lo preferisco come atto sessuale agli altri. La radio ava Fade to grey dei Visage, ero felice e leggero, la Ritmo scivolava sull’asfalto come sull’olio, il servizievole carro di ferro e gomma mi portò a casa pieno di gratitudine e felicità. Dopo Laura ci furono nuove esplorazioni, finalmente godevo anch’io senza che ragazza alcuna mi fe sentire un maniaco depravato, quale del resto ovviamente ero, ma per altri motivi.
I conti della serva
Io continuo a ripetermi che non tutte le donne sono puttane, lo sono solo le mie. Charles Bukowski
Dopo l’esperienza militare e con un buon lavoro, ai ad un livello più alto o più basso, fate voi: cominciai a scopare qualsiasi cosa si muovesse o avesse parvenza umana. Diciamo un carotaggio cosmico: donne di tutte le età, trans, travestiti, meretrici occasionali, colleghe di lavoro, vicine di casa, non mi fermava nulla, non c’era ragazza eccessivamente brutta o uomo poco travestito. L’esplorazione ai massimi sistemi dei corpi altrui.
Una domenica pomeriggio caricai una donnina nella zona del dormitorio pubblico, dalle parti di viale Ortles, la ragazza poteva avere sui sessantacinque anni, ma io ero carico come una molla di un orologio a pendolo e tanto bastava. Non ho mai avuto una mentalità grecista, in cui i giovani devono stare con i giovani, i belli con i belli, i vecchi con i vecchi, ho incontrato spesso persone che brillavano come diamanti consumate in corpi logori e stanchi, ma non per questo meno vitali o vogliose di sesso e vita. Ho sempre odiato i belli di natura, ne ho sempre detestato il demerito di esserlo e frequentemente la stupida arroganza di chi indossa la bellezza, la volgarità di un potere non acquisito ma ricevuto, così, dal caso. Mi ha fatto sempre schifo quella cultura, quella ignoranza, che esprime disappunto se nota i contrasti o gli sconfinamenti tra i regni del genere umano, chiedendosi perché quella stupenda donna sta con il vecchio o con il giovanissimo, perché sta con quello così brutto, o come fanno a stare insieme quei due così profondamente diversi, non socialmente compatibili, quindi non accettabili. La società, questa perenne putrescente massa informe, ti pressa, ti comprime affinché tu possa rientrare nei canoni della normalità, un disvalore che qualcuno ha deciso per te, magari migliaia di anni fa e che i suoi inconsapevoli eredi portano fino sotto casa tua, senza considerare gli infiniti mondi che ognuno si porta dentro, molto più veri e dignitosi. Conservo una laida e nociva stima verso i giovani e i belli, detentori di poteri effimeri quanto potenti ed efficaci, non messaggeri di doti morali o intellettuali, ma spietati dispensatori di felicità fisica, davanti alla quale, inutile negarlo, tutti ci siamo arresi. Lei mi guardò tanto intensamente: «Che bel cazzo duro e giovane hai, se vuoi mi tolgo la dentiera, sentirai di più», le accennai un titubante sì: «Ma certo, bisogna provare tutto, signora vada giù tranquilla». L’assenza di denti creava più spazio e in più diminuiva l’attrito, l’effetto orrido delle gengive fu attenuato dal risucchio a vortice, il mio pene sparì nel gorgo antico. Appena finito e in corso di pulizie,si ò voluttuosamente la lingua sul
labbro superiore. A questo punto ci raggiunsero gli amici poliziotti per unirsi a noi e magari fare eventualmente un controllo, dopo averci fatto scendere dall’auto e visionato i documenti, l’espressione di un agente cambiò rapidamente quando vide la data di nascita della mia partner marcescente, la sua faccia si trasformò in una maschera di cera; la mia bella aveva settantadue anni! Mi aveva mentito la birbantella, ma si sa, le donne si abbassano spesso l’età, un vezzo perdonabile. Potei udire un agente dire all’altro: «Ma hai visto? Come è possibile?». Io e la mia nuova e vecchia amica invece, proseguimmo la giornata andandoci a prendere un bel gelato, gustando il cioccolato e il pistacchio assaporammo anche le nostre vite, forse non dolci ma comunque vissute e riempite di salate curiosità e mai sopiti dolori. Uscivo anche tre o quattro volte a settimana, ormai avevo la scimmia della novità aggrappata alla schiena, naturalmente era più appagante corteggiare una donna conosciuta canonicamente, il gioco della seduzione è insostituibile e fare l’amore con la donna che ami non si può paragonare con nessun’altra emozione umana, forse superata solo dalla nascita di un figlio. Ma non è che potevo innamorarmi una volta ogni due giorni e fare un figlio al mese. Ma, perché c’è sempre un “ma” nella vita, io amavo alla follia cambiare donna, mi sembravano tutte diverse, tutte degne delle mie attenzioni e non mi sbagliavo, ogni donna è un universo a sé. Gli uomini in tutte le forme e/o sembianze femminili li cassai definitivamente dalla mia lista, non facevano per me, ma forse proprio in quel momento divenni un vero puttaniere, quando presi coscienza della bulimia spropositata che mi attanagliava, normalmente non avrei potuto soddisfare una simile fame. Cominciai invece a fare due conti, l’aspetto economico in relazione al risultato finale era importante, direi vitale. Ora vi aggiorno in euro ma c’era ancora l’amata e perduta lira. Prima uscita con ragazza pescata nel mare del canonico e consueto corteggiamento.
Lavaggio d’obbligo auto con alberello che è molto chic!: dieci euro Fiori appena decenti non proprio da pezzenti barbonati: quindici euro. Aperitivo al bar dei fighetti: dieci euro. Cenetta romantica in ristorantino elegante, mica volete portarla da “Totonno ò malamente”? Almeno cento euro. Benzina per scorazzarla in giro, eggiata e gelatino: quindici euro. E mi sono tenuto basso con le stime. Alla prima uscita inoltre non si trombava mai, un bel bacio apionato sotto casa sua e vai con l’ennesimo segone sionato a casetta mia. Direte, adesso spesso si smezza con la ragazza, già, ma allora era d’obbligo che pagasse l’uomo, pena la radiazione dal genere umano e successiva discesa al regno animale: O´puorco squattrinato.
Bocca di rosa stradale: Venti minuti di selvaggia timbrata con bella ragazza dalle gambe lunghe e tornite: trenta euro. Loft o escort servizio base: Trenta - quaranta minuti di sesso tranquillo con donna sensuale : sessanta euro. Taac, questo volevo, ci voleva tanto? Senza contare l’eliminazione di tutte le menate varie, scazzi e mazzi, telefonate con scorticamenti scrotali: «Perché non mi hai chiamata? Mi vuoi solo usare? Mi pensi? Quanto mi pensi? Ma dove mi hai portato? Per chi mi hai presa?» Infine, odio profondamente con tutto me stesso l’inquisizione del buon partito: «Che lavora fai? Bella macchina, è tua? Dove abiti? Abiti da solo?
Che prospettive hai nella vita?». Fate voi i conti. Io li feci e conoscete già il risultato: la donna che la concede gratis è la più cara. Ben presto mi ritrovai a frequentare le loft, insomma le vere escort che lavoravano a casa o ti raggiungevano al tuo domicilio.
L’annuncio cartaceo, il gettone e la cabina telefonica
Il pessimista pensa che tutte le donne siano puttane. L’ottimista lo spera. Chauncey Depew
Il sesso in auto cominciava a starmi stretto, in tutti sensi. Ascoltavo rapito avventure mirabolanti da mio fratello maggiore e i suoi amici. Esistevano creature fatate che si facevano trovare su Secondamano o il Corriere della Sera e altri giornaletti di quart’ordine che si prestavano volentieri ad infrangere la legge sul favoreggiamento, ma si sa, in Italia la legge è mobile. Alcune diqueste donne erano delle fuoriclasse, oltre ad essere bellissime erano colte e raffinate, come antiche cortigiane intrattenevano e ti accoglievano da vere amanti, meravigliose. Altre, molte, erano sopravvalutate, presuntuose e sfacciatamente sgarbate, come succede adesso. Era differente anche l’approccio del puttaniere, si esordiva dopo i saluti con: «Come sei fatta?» oppure: «A chi assomigli di famosa?». E qui, dovevi pregare il nostro santo protettore che la signora fosse perlomeno, non dico onesta, ma almeno non troppo fantasiosa. Spesso, quando telefonavi, partivano messaggi sulla segreteria registrati con voce suadente ma falsissima, con tanto di menù ed indirizzo, quindi nessun dialogo, arrivavi sul posto e poi poteva succedere di aspettare come dal dentista dell’asl: avanti il prossimo.
Tuttavia presi i miei rischi e cominciai la mia avventura. Per apparire all’inizio degli annunci, solitamente si iniziava così: “AAA” e poi il testo. “Ciao, sono Maria, non sono vergine ma faccio miracoli”. Oppure, “Vieni da me, dove entra lo mettiamo”. “Distinta Signora cerca micetto anche già morto per farlo con la polenta”.
Era un bel dilemma, indeciso, scelsi la donna dei miracoli, anche perché la seconda e la terza inquietavano un poco. Strappai l’annuncio dal giornale, un quadratino ripiegato più volte finì nella mia tasca sinistra, uscii dalla sala da biliardo del bar, prima di andare via però per darmi un tono, alzai il bavero della giacca e ordinai un Vov, ma il barista: «Non l’abbiamo, vi è lo Zabov, va bene lo stesso?» Ingurgitai l’immondo liquore tutto d’un fiato come fosse sciroppo, accompagnando il gesto con una smorfia, come avevo visto nei film con Bogart, solo che lui lo faceva col whisky. Non potendo telefonare nel bar, chiesi un gettone e indossai l’impermeabile, affrontai la nebbia milanese, una volta esisteva davvero, mi infilai nella gialla cabina con aria furtiva, neanche fossi della Stasi o del KGB. «Ciao cara, sono lì tra due ore, vengo in tram, la Ritmo ha perso un pistone, lascia fare poi ti spiego». Maria riceveva in centro, una sontuosa stanga di un metro e ottanta, meravigliosamente raggiante aprì la porta, apparecchiata con gran classe valeva tutte le centocinquantamila lire, sei volte in più di una qualsiasi stradale, solitamente le loft prendevano cinquantamila, ma ragazzi, questa era di un altro mondo e si vedeva. « Ciao amore, come stai? prego di qua, vuoi bere qualcosa o hai necessità del bagno?»
Io inebetito: «Non devo fare niente grazie» Maria: «No, per darti una rinfrescata» Io con sorriso da scemo del villaggio: «Ma mi sono docciato prima di venire qui» Lei:«No caro, si vede che sei a posto ma puzzi di tram vecchio e fumo». In effetti l’interno del 12 faceva veramente schifo, aveva un odore di legno marcio misto a fumo, era uno di quei mezzi sopravvissuti del 1927 che l’azienda dei trasporti ancor’oggi sfrutta. Ecco, giusto per far capire che pure i clienti delle stradali erano differenti da quelli che frequentavano le escort e che ogni puttaniere si evolve, almeno si spera. Del resto, erano tempi in cui si credeva che le donnine a pagamento fossero come le attrici dei film porno ( lo si crede ancora?): desiderose di assaggiare il“rarissimo” flauto maschile, tutto il resto non importava. Quante idee perniciose nelle piccole teste di noi maschietti. Mi fece sdraiare e come a un bebè spiegò tutto senza parole, la sua mano mi spinse con delicata forza verso l’origine del mondo, in un attimo ribaltò tutte le mie certezze, le bestie vanno persuase con dolcezza e fermezza, con la forza brutale l’animale si irrigidisce. Una volta eccitata mi ripagò con estrema ione, mi sentii felice e piccolo in questo mondo. Ogni maiale ha la sua scrofa. Maria fu la nave scuola sull’arte del cunnilinguo, soldi ben investiti.
Silvia lo deve sapere
Ci demmo appuntamento sotto i portici del centro. Aveva smesso da poco di
piovere, nell’aria un odore di fresca primavera, Silvia arrivò trafelata e sorridente. Silvia era ed è la persona che mi conosce meglio, le racconto tutto e conosce ogni mio lato nascosto, mi sembrò naturale parlarle anche di questa nuova scelta, se scelta fu: essere puttaniere. Eravamo bambini, non ricordo in che circostanza ma stringemmo la nostra profonda amicizia in tempi remoti, da allora lei mi legge dentro senza giudicare. «Adesso pago per scopare o meglio, mi capita spesso di farlo, se non ho la ragazza che devo fare?», feci io tra il serio e il faceto. Slivia mi guardò sgranando gli occhi: «Ah bravo! Adesso sei pure puttaniere! Va bene, si scherza via, non credo sia importante il mio parere, piuttosto, stai bene o stai male dopo? Cosa ti lascia dentro?» «Dipende dall’esperienza, però mi sento più libero, libero di scegliere e di non rivedere la ragazza, felice di poterne scegliere un’altra, di cambiare e sopratutto, sono libero anche dalla prestazione» «Spiegati, non capisco», fece lei con aria stordita. «Mi riferisco all’ansia da prestazione che aleggia costantemente sulla mia testa, sono costretto sempre a fare bella figura, a preoccuparmi su come farla godere, invece quando pago, posso pensare solo al mio piacere, non curarmi del suo orgasmo, non sono sotto osservazione diciamo. A volte ho solo biogno di una svuotata». Silvia inizialmente rimase silente, di solito è così quando prepara una cannonata, ragiona su come indorare la pillola che si appresta a farti inghiottire. «Capisco, ma è una gioia vedere il viso della tua amata che giunge all’orgasmo, non ti riempie di orgoglio? Io credo che questa nuova attività non ti porterà nulla di buono, non lo so, io ti voglio bene, ma penso che ti possa inaridire, cioè, farti considerare le donne come delle bambole da usare a tuo piacimento». Nella mente mi frullarono una miriade di risposte, ma decisi di non continuare la discussione, ero felice di stare con lei, la presi sotto braccio e
eggiamo per il centro deserto, le strade bagnate e la notte mi fecero amare Milano, i nostri i nel silenzio riecheggiavano come pensieri difficili da accettare, Silvia cominciò a cantare, pensai come fosse buona con me, sempre presente e di grande aiuto. Eravamo giovani amici, felici e disordinati, con tanti sogni e nessun dubbio. Silvia mi prese per mano e mi invitò a correre, la metro stava per chiudere, le insegne dei bar e i tavolini all’aperto furono il nostro palcoscenico, vidi il castello in lontananza, presidio delle nostre ingenue certezze. Per figuranti, un gruppo di modelle ci ò accanto con le sue risate e un mucchio di parole incomprensibili, tre ragazzi vestiti come i Duran Duran seguivano a debita distanza, forse intimiditi da tanta strabiliante bellezza. Prima di scendere nel mezzanino guardai in alto, un gargoyle a forma di drago spuntò dalla bianca cattedrale, chiusi gli occhi e fermai il respiro. Silvia mi lasciò la mano, fissandomi: «Sei felice?» Presi l’ultimo treno senza risponderle, mi accompagnò con lo sguardo finché non fui inghiottito dal buio della galleria.
Incidenti di percorso
Quelle ragazze che vogliono procurarsi col solo loro fascino giovanile una sistemazione per tutta la vita e la cui furberia viene ancor più aizzata damadri smaliziate, vogliono esattamente la stessa cosa delle etère, solo che sono più intelligenti e più disoneste di queste ultime. Friedrich Nietzsche
A un certo punto cominciai a miscelare le stradali con le loft, le volevo provare tutte, ero entrato nel tunnel maniacale, succede a molti neo puttanieri, non ci si riesce più a fermare. Non era un bisogno fisiologico, ma proprio necessità di sentire il sapore e il
profumo di femmina, mi ricordo che un giorno una signorina, mentre la mia testa era tra le sue cosce accaldate, disse sorpresa: «Te la stai mangiando, si vede che ti piace proprio». In realtà il mio era un bisogno vitale soddisfatto, come i drogati che riescono finalmente a farsi. Il giorno dopo sarei stato ancora più affamato. Come dicono gli americani? sex addict? ecco appunto, più ne scopavo e più ne volevo scopare. Questa dipendenza fece aumentare il numero degli incidenti di percorso e inoltre, credo che con i soldi spesi avrei potuto comprarmi un appartamento in periferia. Cosa farei se potessi tornare indietro? Ne spenderei molti di più! Una notte d’estate, in una delle mie febbrili uscite, non riuscivo a trovare qualcuna secondo i miei gusti, erano ore che giravo ma ad un certo punto finalmente vidi una fantastica bionda con fluente e lunga capigliatura , accelerai bruciando un rosso, non arrivai in tempo perché un’ altra auto fu più veloce e accostò per intervistarla. Io dietro, in coda come ad un aggio a livello speravo che la ragazza dicesse no al collega, intanto ammiravo estasiato la sua figura sinuosa. Ora, considerate che la zona era perfettamente illuminata ed io avevo una eccellente vista. Questa digressione è necessaria per ”non capire” cosa successe dopo. Mi sentivo come Troisi e Benigni mentre aspettano al aggio a livello, per un treno che non a mai. Le cose sembravano andare per lunghe, decisi di mettere un po’ di pressione e feci gli abbaglianti, nessuna reazione; parlavano e parlavano, allora dopo un paio di minuti persi la pazienza, abbassai il finestrino e urlai: «Dai caro, non le devi mica chiedere la mano!» Chiosando il tutto con una bella clacsonata. A questo punto scesero i eggeri e vennero da me: due carabinieri! Solo allora guardai bene l’auto, aveva tutte le cosine a posto,scritta sul posteriore: CARABINIERI,lampeggiante di colore blu, targa EI, tutto in regola.
Mi feci piccolo come uno gnomo e biascicai qualcosa tipo: «Mi scusi, pensavo che fosse un mio amico» Carabiniere:«Ha amici nell’Arma?» «Sì, no, ma in realtà sono cotto, scusate, vado subito via, sono già nel mio letto». Il giovane carabiniere sorrise e senza dire nulla fece cenno con la mano di andare, lo amai per la sua pietà. Credo che in quel momento, un po’ per il sonno e un po’ per la regressione a babbuino in calore, non riuscii a vedere ciò che era a dieci centimetri da me, notai solo quello che il soldatino pelato volle farmi vedere. Tutti i miei colleghi sanno bene che ad un certo punto l’ormone ha la meglio sulla logica, ma io in questo campo sono stato un caso umano. Ci furono episodi però in cui la situazione potendola giudicare oggi, è stata oggettivamente imponderabile. Un giorno di molti anni fa presi appuntamento con una china girl. Lei mi accoglie con un gran sorriso e a parte il nauseabondo odore di aglio la situazione è serena. Chiedo del bagno, sbaglio porta ed entro in cucina, faccio per richiudere la porta e mi accorgo con la coda dell’occhio che due enormi piedi maschili tentano invano di rendersi invisibili. Saluto e vado via, praticamente un Drive - through, sono convinto che non mi sarebbe accaduto nulla, ma meglio non rischiare e scoprire chi fosse il terzo incomodo. In un’altra occasione invece, l’infortunio fu solo divertente e culinario. Arrivo dalla bella, insomma è un modo dire, diciamo abile ma la tariffa era buona. Quando i prezzi applicati sono troppo bassi o troppo alti, in relazione a
quanto offerto, meglio andarci coi piedi di piombo. Le ragazze erano due, mi accoglie la prescelta, dice di aspettare perché l’amica è impegnata e c’è solo un letto. Annuisco e le dico che non ci sono problemi. Mi fa accomodare sul divano a due posti, il problema era che ricevevano in un micro locale soppalcato; abbastanza imbarazzato potevo sentire distintamente il collega impegnato ad ansimare come una locomotiva a vapore, stava a un metro sopra la mia testa, faccio cenno alla ragazza che vorrei aspettare fuori, ma lei mi blocca bisbigliando che no, troppo via vai per i vicini. L’imbarazzo cresce quando il cliente scamiciato e sudato scende dal soppalco dell’amore, entrambi incrociandoci teniamo lo sguardo basso sperando di non conoscerci. L’afrore delle sue ascelle però, rimase per parecchi anni impresso nelle mie narici. Arriva il mio turno, iniziamo le danze ed è divertente, la ragazza ci sa fare ed io inselvatichisco la performance, si cominciano a fare numeri da circo, intanto però, comincia a fare caldo, molto caldo, un vapore bollente da bagno turco.
Domando: «Scusa, ma tu non hai caldo?»
«Sì, tu caldaroso, dai amore …»
«No, no, è molto caldo l’ambiente»
«No preoccupa, è mia amica che cucina». In effetti adesso si è aggiunto al calore un odore di soffritto.
Sto per terminare madido di sudore e il trapano aumenta i giri, ma da sotto: «Vuoi spagheta o pene?»
La mia partner nella posizione della carriola:«Meglio spagheta, pene mangiato ieri». Mi invitarono a cena ma declinai cordialmente, come biasimarle? Ognuno deve poter soddisfare i propri appetiti.
Fratture miste
Suonai alla sua porta con la certezza di un incontro mediocre, del resto, con le cinesi era sempre così. Cercavo questi incontri perché erano economici, ma l’avvenenza delle ragazze lasciava molto a desiderare, più volte mi sono ritrovato tra le mani, attempate signore al posto di giovani vergini come da annuncio, non che mi dispie in sé il cambio, non mi andava giù l’inganno, tutto qui. Ecco perché, quando mi aprì Lin rimasi come una statua di gesso fermo sull’uscio, possedeva una bellezza straordinaria unita a grazia e dolcezza. Ci spogliammo, davanti allo specchio sembravamo la locandina de Labella e la bestia, dopo l’urto di stomaco per la ripugnanza che suscitava il mio aspetto, fui aggredito dal desiderio, presi a baciarla, mangiai lentamente qual fiore delicato ancora incredulo. La ione crebbe ed ebbi una geniale idea: posizionarla alla pecorina sul divano, io in piedi, ma il divano era troppo basso ed io per centrare meglio l’obbiettivo piegai leggermente le ginocchia, feci giusto in tempo a introdurlo perché dopo un secondo udii distintamente dalla zona lombare: CRACK!
«Porca M … porco D … porca puttana», Lin si girò e mi guardò dapprima spaventata,poi capì e cominciò a ridere. Io rimasi piegato a novanta gradi: «Cazzo ridi? non ti ci mettere anche tu!»
« Tu male? fale massaggiolo? io blava»
«No, no, tu mettele me dilitto, io linglaziale te», conoscere le lingue è importante.
Lin mi aiutò ma rimasi piegato, il nervo sciatico cominciò a pulsare lungo la gamba destra, guardai la mia amica orientale e con una smorfia di dolore: «Lin, tu fale me sconto? Io scopato metà»
«Oh nooo, tu blavo, tu belo, plossima volta tu venile, io fale glosso sconto».
Mi diressi verso la porta gobbo e claudicante, acquistai trent’anni in un attimo, prima di uscire mi voltai per salutarla, Lin rideva, rideva con le mani sulla bocca.
«Lin» «Si amole?» «Ma vaffanculo!».
Altra ragazza, altra rottura. Presi appuntamento per le tre del pomeriggio, arrivai in ritardo e in più non riuscivo a trovare parcheggio.
Il cellulare trillò: «Amore dove sei? Non vieni più?»
«Sì, sì scusami arrivo, sono qui sotto»
Io dico sempre che bisogna ascoltare i segnali che il fato ci manda, basta saperli aspettare. Trovo il portone, finalmente, trafelato mi incammino verso le scale, ma sento una voce da dietro:
«Scusi, lei dove sta andando?»
«Di grazia, e lei chi è?»
«Sono il custode», come se avesse detto: il generale di corpo d’armata. Per non avere ulteriori rotture di coglioni taglio corto:« Da una amica, molto simpatica»
Al cerbero sembra bastare come giustificazione, perché senza dire nulla si volta e scompare nella guardiola.
«Oggi sono in forma, la spacco, la inchiodo al pavimento traando il letto», riflettendo diabolicamente sul futuro prossimo. La ragazza è veramente carina, sono caricato a mille, tant’è che la poverina fatica non poco a trattenere i miei assalti. La casa è pulitissima, il pavimento è lucidato a specchio, anche troppo forse. «Amore, prima il regalino», sussurra con voce tremante e inorridita dalla mia voracità. «Si, ti chiedo scusa, ho avuto un mancamento, come una visione», faccio io agitando le mani e guardando in alto, come se cercassi di scorgere la faccia di Dio. Lei mi guarda giustamente stranita pensando: «Ecco un altro matto». Saldo la tassa di soggiorno e sono sul letto, tengo su le calze perché sono un freddoloso, sarà inelegante ma me ne fotto, forse quella volta avrei fatto meglio a essere raffinato, togliendole. Cominciamo a spremere limoni macinando minuti preziosi, allora scendo a mondare la piccola risaia, Daria apre le paratie dell’amore e allaga il letto. Arriva il mio turno e giustamente mi invita al bagno, un aggio saltato per la troppa foga, io ringalluzzito e borioso mi alzo in piedi sul letto,sembro Mussolini alla trebbia del grano. Per impressionarla mostrandole che sono giovinotto, faccio un balzo all’indietro giù dal letto, ma inaspettatamente il piede d’appoggio scivola sul pavimento finemente lustrato. Annaspo nel vuoto assoluto, per non cadere mi aggrappo al mobile vetrina, però il pollice si incastra nell’anta e si piega, un dolore da doglie mi percuote, mano gonfia in dieci secondi: «Aaaaaaahhhhhhh …» questo è l’urlo disumano di fantozziana memoria che io replicai fedelmente. Non mollo, boia chi molla! Ormai sono lì, chiedo del ghiaccio e intanto Daria mi lava il cazzo nel lavandino come si fa con la lattuga. La pulzella è sconcertata:«Vuoi continuare? sei sicuro?» vedendo ora, troppe parti del mio corpo gonfie.
Ormai avevo pagato, mi fascio la mano con un sacchetto del supermercato dove all’interno in mio soccorso, la bella ha inserito otto cubetti di ghiaccio. Stoico di spirito e rottame di fisico, porto al compimento la mia missione. Referto pronto soccorso: distorsione del pollice mano destra con interessamento del legamento collaterale della metacarpo falangea.
Lilly contro la peste del secolo La moglie fa risparmiare per qualche tempo la spesa delle puttane ma tutte le puttane del mondo non ci risparmiano il pericolo di prender moglie. Giovanni Papini
Quando le mie avventure ebbero inizio, le strade di Milano di notte erano popolate da molte italiane, quasi tutte lo erano, ed era diverso, molto differente da oggi. Con le ragazze italiane si creava spesso un rapporto anche di amicizia, gli incontri venivano vissuti senza premura, certo, non si poteva restare due ore per fare una cosa in auto, ma sostanzialmente era come scopare una commessa o la vicina di casa sexy. Si ava a salutare un’amica, il denaro era solo un dettaglio antipatico ma trascurabile, per me ovviamente. Io attraversai proprio il periodo in cui le italiane lasciarono campo libero alle straniere e tutto cambiò radicalmente. Alcune ragazze dall’estero come dicevo, condividevano già relativamente in modo pacifico le strade, diciamo meglio, un tacito accordo di non belligeranza tra le mafie che controllavano la prostituzione. Si cominciò a vedere qualche nera, alcune sudamericane, era l’inizio.
Lo scossone ci fu con l’arrivo delle albanesi, ragazzine spesso minorenni, trascinate a forza dalle montagne del paese natio sulle vie di Milano, la violenza imposta presto si fece largo, ci furono alcune ragazze uccise, altre scomparse, perché come sempre, quando scoppia una guerra ci rimettono sempre i più deboli. Non che gli altri delinquenti fossero migliori, ma gli albanesi si distinguevano per ferocia e perfidia. L’Italia era diventata terra di battaglia, le bande si scontravano duramente colpendo le ragazze come birilli, antica tradizione fatta di gesti vili e vergognosi. Le mafie italiane si ritirarono a più “nobili” affari, la cocaina rendeva immensamente di più. Le strade furono invase da ragazze albanesi, era pieno, la polizia faceva quello che poteva così come le associazioni di volontariato, ma potevano agire solo secondo le leggi vigenti, naturalmente i politici avevano di meglio da fare che pensare a cosa stava accadendo, come sempre. Purtroppo, il successo fu enorme e le ragazze erano giovanissime, ma credo che in pochi, almeno all’inizio, capirono davvero come stessero le cose. Oggi, gran parte della ricchezza in Albania, proviene dalla droga, acquistata con i milioni ricavati dalla prostituzione e dal traffico di esseri umani di quel periodo. Gli “imprenditori” si sono riciclati insieme al denaro, hanno costruito hotel e villaggi turistici, comprato palazzi sulla costa, dando lavoro a migliaia di persone, son ben voluti e amabilmente rispettati.
Ben presto, una volta capita la situazione virai le mie attenzioni sulle poche italiane rimaste. Ma anche qui, mi stavano aspettando grosse e amare delusioni. Feci qualche esperienza con quelle che lavoravano intorno alla stazione
centrale e in piazza Argentina, eroinomani disperate. In perlustrazione, da lontano ti sembrava di scorgere ragazze molto carine, ma più ti avvicinavi e più realizzavi la sinistra realtà: una sorta di Villaggio dei dannati paurosamente vero,trascinavano i loro corpi avanti e indietro, camminavano per non addormentarsi, altre erano pallide e con il viso imperlato di freddo sudore, sguardi allucinati puntati su possibili clienti, occhi fissi verso l’abisso del nulla. Conclusi in poco tempo questa parentesi, non si poteva andare oltre: una ragazza mi si addormentò in auto mentre la stavo scopando. Si poteva assistere a scene di degrado e disperazione; una si gettava davanti alle auto per fermarle, altre facevano fatica a parlare, molte chiedevano di potersi bucare in macchina, il resto era tutto un mesto e lacerante squarcio sull’umana follia.
Mi rimarrà per sempre in mente una fotografia. Era la vigilia di Natale, verso le sette di sera, tornavo dal lavoro per festeggiare con i miei familiari, piccoli e delicati fiocchi di neve cominciarono a cadere in silenzio, notai su di un marciapiede una ragazza accovacciata con la testa tra le gambe, i anti trafelati avano oltre stando solo attenti a non inciamparci contro. Pensai che poteva essere così l’inferno, un mondo dove l’alienazione e la sofferenza si fondono sino a diventare irriconoscibili. Questa fragilissima creatura si faceva chiamare Lilly, proprio come il titolo della canzone di Venditti. Vedevo Lilly ogni sera nel tragitto che facevo per andare a casa, i suoi occhi splendidi brillavano nella notte, una bellezza raffinata impreziosita da modi gentili, un tulipano strappato e gettato nella merda. Due anni prima di quella triste vigilia di Natale la notai, camminava elegantemente lungo la strada, vestita in modo sobrio, non aveva l’aria di chi si prostituisce né di essere una tossica, purtroppo era entrambe le cose, anche se agli inizi.
«Quanto vuoi?» accennai quasi intimidito. Il suo primo regalo fu un aperto sorriso e la meccanica quanto classica risposta.
«Allora mi fai salire?» aggiunse giustamente, vedendomi imbambolato.
«Sì, scusami, è solo che hai un viso così bello e hai dei lineamenti così fini, posso sapere come ti chiami?»
«Lilly. Grazie, non credo di essere così bella, ma è sempre piacevole ricevere un complimento»
«Cazzo, come la canzone? Non è di buon auspicio, ma è il nome vero?»
«No, mi piaceva la canzone e l’ho fatto mio per il lavoro, poi non sono superstiziosa».
Mi raccontò di avere studiato a Brera e del suo primo buco a diciassette anni. Si era innamorata pazzamente di un ragazzo, già eroinomane, cercò ingenuamente di farlo smettere, naturalmente senza risultati, un maledetto giorno provò quello schifo, lo fece per curiosità personale e per capire in che modo quella roba tenesse così distante il suo ragazzo da lei, bastò una sola volta e Lilly si perse precipitando nel caos. Il padre non volle più vederla mentre la madre la cercava ogni notte in mezzo alla fauna più ributtante e dolente. Facemmo l’amore dolcemente ma decisi di non rivederla più per fare sesso,
quando alla sera avo da lei la invitavo a fare un giro in macchina per riscaldarsi, nel tragitto scambiavamo qualche bacio e molti dolori, cercai in tutti i modi di farla smettere, quando trovavo una soluzione ad un ostacolo Lilly inventava un problema insormontabile, frapponeva un cuscinetto di difesa tra l’eroina e il mondo, io ero solo un fastidioso e superfluo ronzio che dall’esterno ogni tanto si faceva sentire.
Lilly aveva proprietà di linguaggio e possedeva una cultura non indifferente, nessuno merita di cadere vittima dell’eroina ma al tempo mi chiesi come fosse potuto accadere a un essere così speciale. Doveva essere aiutata in ogni modo, così, cominciai a seguirla e spiarla, dovevo sapere con chi si vedeva e dove dormiva, tutto, cercando un complice tra le sue conoscenze se possibile. Ma un tossico chi può frequentare? Solo spacciatori e altri tossici. Una bella sera però, scoprii la casa dei genitori, due professionisti e un solo, inestimabile tesoro: la figlia. Lilly andava a casa solo per prendere i vestiti puliti, che la madre disperatamente le faceva trovare, come se questo piccolo gesto potesse tenere ancora legata Lilly a quella famiglia, al mondo non disperato. Le notti però, dopo essersi prostituita, le ava in un casa abbandonata e occupata da ragazzi di un centro sociale, arrivava a farsi anche quattro o cinque volte in un giorno.
Incontrai i genitori e gli raccontai tutto, chi fossi e cosa mi interessava, dopo un ragionevole scetticismo si aprirono, gli dissi che c’era un centro in Trentino dove potevano aiutare la figlia, insieme potevamo farcela. Andai a parlare con una specie di responsabile della marmaglia che viveva nella casa fatiscente, ovviamente qui non ebbi effetto, se non minacciandolo, volevo che Lilly non andasse più lì. Parlai con Lilly tutte le sere, la massacrai di parole impedendole di lavorare, mandavo via i clienti, Lilly stremata tornò a casa dei genitori. Dopo tre settimane entrò in comunità, ero felice, i genitori più di me.
arono otto mesi e mi chiamò la madre, mi chiese informazioni sulla figlia.
«Pronto? Mi scusi se la disturbo ma non troviamo più Lilly, è andata via dalla comunità con un ragazzo»
Rimasi intontito per alcuni attimi, dentro masticavo un vortice di rabbia e delusione.
«Va bene signora, stasera vado a cercarla, non si preoccupi vedrà che la ritroveremo, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace», non riuscivo a dire altro mentre la madre piangeva. Per molte sere andai nei posti che frequentava, chiesi alle amiche che battevano insieme a lei, ma non ci fu nulla da fare, non sembrava ritornata a Milano. Persi le speranze fino a quella maledetta vigilia di natale, fermai l’auto e mi avvicinai alla ragazza accovacciata: «Hai bisogno di qualcosa? Vuoi venire in macchina a riscaldarti? Dai, non stare qui, fa freddo». La ragazza farfugliò qualcosa sempre con la testa tra le gambe, erano quattro ossa e un respiro sospeso, le toccai una spalla ed ebbi una sua reazione, alzò il viso scavato in un teschio, era quello che restava di Lilly! La presi in braccio e la portai in macchina, era strafatta e si addormentò, la portai in ospedale e avvertii i genitori, Lilly credo che non mi riconobbe. Non la rividi più, la madre inizialmente mi tenne informato, ma Lilly continuava a far perdere le sue tracce, cambiava spesso città, naturalmente trovava sempre qualche maledetto che la spalleggiava nella sua corsa verso l’inferno. Finché una sera una parte del suo strazio non travolse anche me. Stavo
bevendo una birra e da dietro una piccola ragazza mi si avvicinò:
«Ciao, tu eri l’amico di Lilly?»
«Come ero? Lo sono, sai qualcosa? L’hai vista?»
«Sì, ma volevo solo dirti di non cercarla più, Lilly è morta, mi hanno detto di polmonite, credono provocata dall’AIDS, ma sai, scambiava le siringhe usate, io invece sto attenta, l’igiene è importante e poi, io tra un mese smetto, la faccio finita con questa vita, io sono pulita, vuoi compagnia?»
Lasciai il bar e la tossica con il suo delirio come se fossi in trance, accesi l’auto e cominciai a guidare senza una meta. Ogni lacrima un rimorso, avrei potuto fare di più, ma cosa? Avrei dovuto portarla a casa e legarla al letto? Sì, dovevo fare così. Come un sospiro ha attraversato il mondo, Lilly è stata necessaria e improvvisa, un lamento straziante inascoltato, una denuncia e una condanna per chi non sa proteggere i fiori sensibili e fragili, nel mare in tempesta abbiamo solo navigato controvento, per chi sta a guardare dalla terra ferma siamo solo un puntino bianco che presto si inabisserà. Va bene tutto ma I ragazzi dello zoo di Berlino no. Molte altre ragazze sparirono e altre ancora semplicemente morirono. Sempre più magre, sempre più disperate, si allungavano verso la morte giorno dopo giorno, scomparendo lentamente, sfumando silenziosamente senza lasciare traccia del loro vissuto, solo un sordo e immenso vuoto in chi le ha amate.
All’improvviso cadde sulla fragile umanità la nuova peste, un triste acronimo: AIDS. Per me la malattia era Lilly, ancora oggi è così.
Come il marchio della bestia sulla fronte, seminava orrore al suo aggio, chi lo portava era spacciato, era già morto seppur ancora vivo. Inizialmente l’ignoranza fu totale, si sapeva solo che le categorie più a rischio fossero drogati e gay, a mio avviso un’informazione terribile che fece abbassare la guardia alle altre categorie. Si fece sempre più pressante la campagna mediatica sulla prevenzione di questa malattia, i più vecchietti ricorderanno uno spot TV tremendo con le persone avvolte da un alone viola e una musica di morte, terrorismo puro più che informazione. Non si sapeva molto in effetti, in futuro avrei combattuto con la gonorrea, le piattole e una piccola infezione, ma questa nuova malattia faceva paura davvero, non si capiva bene all’inizio come si trasmetteva, con certezza almeno. Come dicevo, più che informare si disinformava, si arrivò a credere che la malattia potesse essere trasmessa con le posate lavate male, asciugamani in comune, saponette, baci e starnuti. I primi a dare informazioni certe furono le associazioni no profit, scienziati coscienziosi fecero un’enorme fatica a divulgare dati sicuri, ci furono polemiche a distanza tra Luc Montagnier e Robert Gallo. Ancora oggi se ci pensate, c’è molta confusione su questa temibile nemica. Le prostitute smisero di baciare, non che prima fosse la regola ma il divieto era per altri motivi, stop assoluto alla fellatio cabrio, con rammarico mi adeguai. Cominciarono le interviste al contrario, cioè le visite specialistiche le attuavano direttamente le signorine e le auto diventarono ambulatori. Ben presto, tutti si tramutarono in professori, ogni persona dispensava consigli, mai nessun dubbio li assaliva. Ricordo una donnina che osservandomi scrupolosamente le occhiaie mi disse:«Non sei malato vero?» «No cara, lavoro come un pazzo e dormo poco, ti basta?»
Poi, lo prese tra le dita e scoperse il glande, una volta, due, lo guardava con aria stranita, tre, ancora su e giù, al fine sbottai: «Ciccia senti, ancora un paio di volte e vengo, ma ti pago una sega e non una scopata eh!» Un’altra mi fece indossare due “vestitini” e un pugno di lubrificante mi inondò il basso ventre, sconsolato protestai : «E’ peggio così, sai?». Ma non volle sentire ragioni, sembrò veramente di lanciare un “salame in un corridoio”. Cominciai anch’io ad essere perseguitato dai fantasmi. In certi momenti provavo strane sensazioni, in altri, mi sentivo osservato, più di una volta mentre mi accingevo a congiungermi carnalmente ho percepito distintamente Alexander Fleming sussurrarmi a uno orecchio: «Sir, se fossi in lei mi guarderei bene dallo sfiorarla, questa vagina non ha un aspetto sano». Fu un periodo che durò diversi anni, una parentesi triste, non per l’uso del profilattico, io lo mettevo sempre, ma per il clima che si respirava, non più gioioso e scanzonato, era calato su di noi, su chi offriva e chi richiedeva, un lenzuolo bagnato sferzato da un vento gelido, ed era posato sulle nostre spalle. Chi vuol continuare conosce il rischio che corre, c’è una malattia perfida che uccide, non esiste cura.
Non era un semplice aggio culturale, ma qualcosa di epocale, l’umanità legò la paura della morte al sesso, prima ci si ammalava ma un rimedio lo si trovava, malattie terribili come la sifilide non facevano paura nemmeno un decimo rispetto all’AIDS, l’uomo storicamente ha inventato una serie di profilattici fatti con tessuto animale per difendersi dalle malattie a trasmissione sessuale, tuttavia si moriva presto per ben altre ragioni, fino a settanta anni fa la vita media era bassissima. Ma ora? Da qualche anno, con l’arrivo di nuovi farmaci, anche se contagiati, di questa peste si muore di meno, almeno in Italia, risultato? Aumento sconsiderato dei rapporti non protetti tra i ragazzini minorenni e adulti irresponsabili, anche tra le nuove prostitute dell’est , rapporti completi intendo, da pazzi veri.
Sono convinto che molte prostitute e molti puttanieri si siano lentamente e deliberatamente suicidati in questa maniera, una forma di roulette russa, questo continua anche oggi, ne sono sicuro. Gli anni ottanta furono anche questo. L’AIDS uccide ancora e quando non ci riesce rende la vita invalidante, bisogna esserne consapevoli.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Vassilissa: «Soy Vassilissa, soy una puta… può interessar?» Lo Russo: «Una puta?» Vassilissa: «Una puttana!» Lo Russo: «Ah, dovrei consultare il regolamento ma… direi che… sì,può interessar!» Mediterraneo
Dopo questi cambiamenti nella società e in me stesso, decisi di non avere troppe partner. Venne il momento, forzatamente, di sperimentare la fidelizzazione. Io? Io che avevo sempre cercato la scoperta, i nuovi e inesplorati orizzonti, al massimo con una ragazza ritornavo una seconda volta, la terza sarei morto di tedio e uggiosa abitudine. Meglio rischiare la morte per noia che per altro però. Vivere conduce alla morte, non c’è dubbio. Iniziarono le ricerche. Trovare una “fidanzatina” permetteva di stare più tranquilli, una volta sicuri dell’igiene di entrambi ci si illudeva di essere sani, così magari, poteva
scapparci una leccatina a crudo. In effetti un altro considerevole vantaggio lo apportava: la ragazza conoscendoti assecondava i desideri ancora prima di esprimerli verbalmente, mentre lei si sentiva più a suo agio, più naturale e spontanea, con il risultato che l’incontro diventava molto più coinvolgente. Aumentando la confidenza anche il rapporto umano tendeva ad essere più profondo, seppur diviso sempre da muri eretti a difesa dell’anima; non cadere nelle mani del “nemico” è fondamentale. Ma frequentando come un fidanzatino la bella, un rischio era in agguato: il rischio innamoramento.
Primo tentativo fallito! L’igienista mentale Per incontrarla fu un’impresa; lei era Eva, una splendida creatura giunta dall’Argentina. Fisso l’appuntamento con la centralinista(già è proprio così, spesso chi vi risponde al telefono non è la ragazza che incontrerete) ma nonostante giunga puntuale sul posto iniziano i primi problemi. Chiamo e richiamo ma nessuna risposta, aspetto venti minuti e richiamo, ma nulla, dopo mezz’ora decido di andare via, infuriato come un toro nell’arena, arrivo sotto casa ed ecco uno squillo, è la “organizzatrice”. «Pronto ammore, scussami, ho fatto casino con gli appuntamenti», mi viene subito da sorridere, in fondo, arrabbiarmi ulteriormente a che servirebbe? Inversione e corro verso la meta sognata da settimane: una autentica modella di Helmut Newton. Entro nel portone col cuore in gola, arrivo sul pianerottolo e incrocio un ragazzo diafano e allampanato, quasi ci diamo il cinque come nella sostituzionein una partita di calcio, divertito penso subito:«Eva riduce così gli uomini? Molto bene, entriamo». Mi apre, faccio fatica a trattenere l’emozione, lei è davvero incantevole, mi
sovrasta di almeno dieci centimetri, mi sorride e con un cenno della mano mi indica di seguirla, sono ipnotizzato dalle sue movenze e dal suo profumo, in un attimo realizzo quanto sia importante la donna in questo universo conosciuto, che vita triste e arida sarebbe con la sua assenza. Osservo ogni centimetro dell’eburnea pelle, vorrei assaporarla tutta, sto vivendo un sogno, un fugace sguardo al comodino però mi riporta repentinamente alla realtà, qui noto il reparto “profilassi medica”. Poggiati su di esso, come trofei, ci sono flaconi di disinfettanti e creme, nell’ordine: Alcool per cute, alcool rosso per uso domestico, lubrificante, crema per mani, salviettine umidificate, colluttorio, crema di incerto uso, fazzoletti di carta, profilattici colorati, spray contro l’alitosi, gel mani igienizzante.
«Sicuro che ci sia tutto?» Eva sorride e mi fa:«Sai, sono una ragazza pulita e pretendo altrettanto dal cliente», in effetti in quella stanza c’era sufficiente materiale per disinfettare un reggimento.
Quasi terrorizzato vado in bagno ancora prima che Eva me lo indichi, qui, seppur appena fresco di doccia, comincio a sfregare il mio piccolo amico come le nonne lavavano il bucato, strofinando con il sapone le macchie più ostinate, lui sembra guardarmi e voler dire: «Oggi che mi stai facendo? Giornata storta eh!».
Rientro in stanza pulito e igienizzato come dopo una quarantena a Ellis Island : «Adesso, direi che possiamo anche evitare ulteriori trattamenti, non credi?»
Eva per niente rassicurata:« Vediamo amore, vediamo».
Come se non leggesse o non le importasse del mio disagio, si a una salviettina tra le tornite cosce, mi avvicino e inizio un profondo e apionato cunnilinguo, ma devo smettere poco dopo perché ho la bocca impiastrata di profumo, in pratica ho leccato e succhiato l’intero liquido della salvietta. Mi sdraio e mi fa indossare il gommino, il famigerato preservativo rosso, quello spesso come le PZERO, prende un fazzolettino e rimuove il lubrificante originale, poi spalma come se fosse senape su un hot dog un po’ di gel, inizia un saporito pompino, ma sembra che lo faccia a un altro e non a me. Prima di are al piatto principale, prende il lubrificante con due dita come fosse golosa marmellata, ne introduce una discreta quantità nella sacra fessura, asciuga il povero hot dog ormai cotto, un po’ di alcool per cute e finalmente si può ricominciare. La ragazza è brava e bellissima, ci sa fare, non si può dire nulla, ma io faccio fatica a capire se sto scopando o facendo le flessioni nudo, il mio salamino non si accorge di nulla. La ragazza è tanto piacente che riesco comunque a finire. Esausto, sudato e incuriosito: «L’alcool rosso non lo usiamo, vero?», lei mi guarda e scoppia a ridere ma non risponde, difatti la cosa inquieta ancora di più. Toglie il preservativo e lo chiude con un nodo, lo ripone in un fazzolettino, prende il cucciolo tra le mani e lo asciuga con i fazzoletti, un bacio sulla guancia come intermezzo, poi gel per le mani e … finalmente il turno dell’alcool rosso, una bella spruzzata sulle mani!
«Mano male, sono sollevato, pensavo che volessi darmi fuoco», esclamo con la faccia di chi si pone i “perché” della vita ma soprattutto i “perché” delle persone.
Mi alzo e mi rivesto, nella stanza un forte e pregnante odore si è diffuso, sembra di stare in ospedale, lei mi saluta con un altro bacio, una energica sorsata di colluttorio ed Eva sparisce in bagno, con lei, anche i miei sogni erotici.
Charlotte
Feci altri tentativi, altri buchi nell’acqua. Fu in una di queste occasioni che incontrai Charlotte, il mio amor perduto. Cosa vediamo in una persona quando ci innamoriamo? Il ato edipico? Un insieme di formule a noi sconosciute che ci permettono di toccare vette di rara beatitudine? Siamo colpiti da come parla? Dai suoi inconsapevoli gesti? Da come cammina? Non lo so e non voglio saperlo, ma ci caddi con tutte le scarpe e vi dico cosa trovai sicuramente in Charlotte. Era una ragazza di ventidue anni appena, minuta con vitino da vespa e sbalorditivi seni, una quinta naturale, un sedere brasiliano che sfidava la legge di gravità, ma soprattutto un viso da sina impertinente, gli occhi affetti da strabismo di venere fecero crollare le ultime difese. Questo all’inizio ovvio, in realtà ciò che mi travolse era la sua simpatia debordante, una vitalità incredibile che non permetteva di pensare, lei capì subito il mio rincoglionimento fulmineo ma non ne approfittò mai, grazie al cielo. Col tempo mi accertai che non fosse sfruttata. Era una battitrice libera, senza voler essere ironico. Mi faceva ridere, ci si ammazzava di amore e risa, ma dopo un po’ cominciarono i solenni dilemmi, chi ci è capitato conosce già cosa sto per scrivere. Quando ritardavo l’eiaculazione mi chiedeva se fossi stato con un’altra,
detto da qualsiasi altra donna mi avrebbe infastidito, ma da lei la cosa mi lusingava, anche se sapevo che la sua gelosia non poteva essere sincera, ci volevo credere, diciamo. A volte succedeva però che mi chiamasse con voce tremante nel pieno della notte: «Vieni qui? Per favore». Entravo in casa e la trovavo rannicchiata come un gattino sul divano, il viso solcato dalle lacrime, non chiedevo nulla, rimanevamo abbracciati in silenzio fino a quando non se ne usciva con una delle sue battute ciniche, capivo che era ata e i suoi fantastici occhi ridevano:
« Cazzo ci fai qua a quest’ora?»
«Mi hai chiamato tu», guardandola stupito.
Dopo un po’di tempo volevo solo che fosse mia, sarei stato pronto a sposarla, ma i suoi piani di vita erano differenti e sicuramente non mi amava, trovava in me soltanto conforto e affetto, è amaro ammetterlo. Pur di vederla dormivo pochissimo, la mia vita era diventata piena di turni massacranti, non mi importava di nulla se non il tempo speso con lei, tutto me stesso era in lei. Quando l’amore ideale si materializza davanti ai tuoi occhi, quando solo la sua vicinanza ti procura uno stato di profondo benessere interiore, cosa importa chi è o cosa fa nella vita? Hai solo due possibilità: con il tuo amore o senza il tuo amore. Una notte inizialmente dolente, le rimasi vicino, era una di quelle volte in cui si sentiva persa, non amata. Decidemmo di non parlare molto, sorseggiammo un cognac e andammo a letto; la strinsi dolcemente a me, il tepore dei nostri corpi nudi ci scaldava i sensi ma non facemmo l’amore, così, una strana e profondissima quiete si posò sulle nostre agitate anime,
finalmente libere dal mondo ostile. Fu per me una notte indimenticabile. Io ero veramente geloso ma non potevo dimostrarlo, mi faceva sentire vivo e felice, sarei voluto essere di più per lei ma cercavo di non pressarla, alcuni dolori non potevano fare parte della mia vita. Charlotte quel famoso muro che divide i puttanieri dalle puttane non lo fece mai crollare, solo qualche breccia per non perdermi definitivamente. Ormai vederla mi faceva stare più male che bene, ma fosse stato per me non l’avrei mai lasciata, continuando a farmi del male, continuando a farmi del bene. Un mattino mi svegliò con una carezza, indossava una tuta di lino bianca trasparente, i raggi del sole filtrando dalla finestra esaltavano le sue forme, portò la colazione e mi baciò delicatamente e a lungo. Il suo profumo carnale rimase nella stanza per molto, gli occhi brillavano di nuova luce, assaporai le sue labbra per l’ultima volta. Pensai di essere morto e di essermi meritato il paradiso Non fu così, dopo alcuni giorni di silenzio, arrivò una lettera, sì usava così anche se non eravamo nell’ottocento:«Non posso più vederti, lo vorrei, perdonami se puoi». Una riga, una semplice riga che mi trafisse con violenza rapida e asciutta, come una rasoiata sull’anima. La cercai ovunque, chiesi in giro e alle amiche, per un paio d’anni sperai sempre di trovare un suo annuncio con un altro nome, persi ogni speranza fino a quando incontrai una sua vecchia amica; mi disse che Charlotte era ritornata in Ungheria e si era sposata, stava bene. La mia vita la stava vivendo un altro uomo; sperai solo che l’amasse come l’amavo io, ancora e perdutamente. Volli pensare che fosse giusto così, ma in amore esiste giustizia? No, esiste o non esiste, semplicemente. A volte nelle notti più tristi, in sogno mi viene a trovare ed io le dico: «Che bello rivederti, ritorna da me», ma Charlotte, muta e con espressione dolce, esce di scena senza voltarsi.
Così, cercai conforto nella mia più cara amica. «Pronto Silvia? Come stai? Io male, appena innamorato e subito lasciato, c’è anche la rima!» «Ciao, ma vero innamoramento? Una lei o un lui?» «Una lei, LEI! Ancora con sta storia dei trans? Riesci a pensare col cervello e non con il clitoride per una volta?» «Senti, è una del mestiere? No, perché se è così, sei nella merda fino al collo», stavolta sembrava seriamente preoccupata. «Il problema non sussiste più, è tornata al suo Paese, faceva la vita sì, non ti ho detto nulla perché mi sono ritrovato innamorato senza neanche accorgermene, e adesso, sono qui a pezzi» «Alla peggio, tu risolvi tutto andando ancora a “caccia”, no? Io è da tempo che te lo dico, trovati una compagna, e tu che fai? Ti innamori di una prostituta, possiedi l’arte di come complicarsi la vita in un lampo!» «Ascolta Freud in gonnella, non è che uno sceglie di chi innamorarsi, ti pare?» «Sì, ma se uno frequenta solo puttane, normale che prima o poi, di una di queste si innamorerà! Io non ho nulla contro il genere, ma sai, la loro vita è complicata, tu sei già molto contorto e alienato di tuo, come mettere insieme nitro e glicerina» «Ho capito, sei utile come un culo senza buco, vado a mangiarmi un po’ di schifezze piene di infarto e diabete, praticamente un suicidio centellinato» «Bravo!Buttati via come al solito, ti voglio bene, se hai bisogno sai dove trovarmi».
Se mi succhi non vale
Spilli, fitti e molteplici spilli che a turno si conficcano nella carne, sono solo carne. Dapprima uno o due, poi sempre di più, punture sempre più ravvicinate, allora realizzi che c’è una battaglia in atto, qualcuno è approdato sul tuo corpo e ti sta attaccando. Telefonai a Silvia: «Ciao, senti, succede qualcosa, sono qui in mezzo alla strada e sto andando al lavoro ma mi sento pungere sul pube e sui coglioni, sempre più dolorosamente, mi prude fortissimo, non riesco a trattenermi dal grattarmi, qui c’è gente, come faccio? Cosa faccio?» «Ma ti prude dove ci sono i peli?» «Sì, hai capito dai» Dall’altra parte del cellulare sentii ridere sguaiatamente: «Tranquillo, hai preso le piattole, ma con chi sei stato negli ultimi giorni?» «Cosa? Aspetta che faccio mente locale, ahi, scusa, cazzo che fastidio … allora, mercoledì un pompino … venerdì l’altro con … con una di colore, cazzo, cazzo! Come si toglie sta roba?» «Vai in farmacia, ti daranno una polvere, auguri mon ami, ahahahah» «Grazie vacca infame, ti auguro il distacco del clitoride! Così, in simpatia eh». La situazione diventò irritante, mi assentai dal lavoro e tornai a casa, mi depilai completamente e vidi gli effetti delle punture: una miriade di cerchietti violacei sul pube, sulle gambe e in parte sulla pancia. Uno schifo inenarrabile! Naturalmente non bastò tagliare il pelo, poiché i perfidi animaletti si attaccano alla radice del fusto pilifero, scesi giù in farmacia. «Buongiorno, avrei bisogno, ho le … ha qualcosa per il mal di gola?» «Ha le placche?» «Come scusi?»
«Ha le placche in gola?» «Ah sì, sì, sapesse che placche, grazie» Cazzo che sbaglio, beccai una farmacista e pure carina, figura di merda, corsi via, era la farmacia sotto casa, come sarei potuto ritornare per la tachipirina? Presi l’auto e cambiai zona, feci diversi chilometri in auto con i mostri che ogni due secondi conficcavano il rostro dentato nelle tenere carni, terribili stilettate senza sosta. Prima di entrare nella lontana e successiva farmacia, spiai dall’esterno come se dovessi rapinarla, tanto per assicurami che non ci fosse molta gente, e magari, non beccarmi una donna medico. Non indugiai oltre, entrai. «Buongiorno, ho preso qualcosa, non conosco il nome scientifico, insomma come pidocchi, ma sul pube» Una fatica immensa per non dire piattole e il dottore laureato in farmacia se ne esce con: «Ah, la pediculosi del pube, sì, ecco, Neomom, tra una settimana ripeta il trattamento». Una signora distinta e a me vicina, mi lancia un’occhiataccia da dietro gli occhiali e si allontana di mezzo metro. «Signora, stia serena, ho le piattole e se non scopiamo, non credo di potergliele attaccare, dottore, mi conferma vero?» alzando il tono della voce. All’uscita, i clienti si aprirono in due ali al mio aggio come fece il mare con Mosè durante la fuga dall’Egitto. A casa lavai tutto e feci il trattamento, ma le simpatiche bestioline non smisero subito di succhiare, e poi c’erano i nuovi nati, essi sono protetti nelle uova, la polvere non ha effetto su di loro, una notte infernale. Ogni tanto ne prendevo una bella cicciona e la stringevo tra le unghie, in controluce potevo osservarne le zampine agitarsi forsennatamente, più mi grattavo e peggio era, richiamavo sangue in superficie, una sbornia per le piattole. Se avessi preso sottogamba l’invasione, le succhiatrici sarebbero potute arrivare fino alle ascelle e perfino alle sopracciglia! Dopo due mesi, ormai sano e pulito, mi svegliavo comunque di notte per un prurito, un pizzico, controllavo scrupolosamente i dintorni del cazzo, la
paura di un’ennesima invasione era enorme. Da allora, mai più ragazze sulle strade di campagna, queste, andando a pisciare nell’erba alta diventano navi cargo per i piccoli parassiti ematofagi, poi, fortunatamente, più avanti venne la moda della donna bambola con la patata totalmente depilata, non è un bel vedere per me, ma almeno il rischio piattole fu scongiurato. Ignaro, pensai che dopo questa battaglia nulla poteva spaventarmi di più, purtroppo mi sbagliai di grosso, avrei sperimentato di peggio, molto peggio.
Il circo Barnum e il fenomeno da baraccone: l’euro Io sto morendo, ma quella puttana di Emma Bovary vivrà in eterno. Gustave Flaubert
Con l’entrata della nuova monetain una notte diventammo quasi tutti più poveri, pochi altri raddoppiarono le proprie ricchezze. Evviva l’Europa, maledetta L’Europa! Il aggio da lira a euro fu quasi più traumatico dell’arrivo dell’AIDS. Andai a trovare una mia amica molto in salute e fidelizzata. Con uno stravagante ghigno di superiorità da nuovo cittadino europeo, baldanzoso e arrogante il giusto, tronfio e coglione, feci cenno di salire ma lei con mio grande stupore mi stoppò subito. «Che c’è cara?»
«Sono cinquanta»
«Si? Cinquanta mila lire, dai sali, ti faccio il cambio in euro!»
«No, cinquanta euri, adesso c’è l’euro».
Ci dissero che l’euro anche al plurale rimaneva euro, e io pensai: ma allora i dollari? I marchi, i franchi, le corone, i fiorini, le sterline? Già solo da questo particolare bisognava capire l’intima perversione dei burocrati, come le fantastiche monete da un centesimo e il cambio lira/euro spuntato dai nostri governanti, siamo solo noi, come cantava il grande Vasco. Grazie anche per questo. Quindi non rimasi sorpreso per gli euri ma solo per i cinquanta richiestomi. Inghiottii la bile che agevolmente risalì l’esofago facendosi largo a sportellate, in un lampo capii che l’italiota si era fatto impalare nuovamente, come la storia insegna a noi piace: Franza o Spagna, purché se magna. Poi ci si meraviglia come giovani virgulti se siam derisi e compatiti. Le prostitute sono le più grandi economiste, altro che speculazioni edilizie o giochi sporchi in Borsa, non si scappa. La vagina ha l’ultima voce su tutto, la vagina è intuitiva, è lungimirante. Cacciai il mio pezzo da cinquanta con la stessa dignità di un eroe dell’antica Grecia, come chi sta barattando la medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi per un tozzo di pane:”Svendo la mia gloria per il pelo”, già perché allora un po’ di pelo situato sulle patate lo trovavi ancora. “Addio mia vecchia e svalutata lira, salute a te orrido e anonimo euro”. Naturalmente c’è chi crede ancora alla favola di Adamo ed Eva, a babbo natale e che se stavamo ancora con la lira finivamo come l’Argentina. Certo, è come sostenere l’esistenza di Dio con la sua assenza, io invece credo alla concreta presenza di Satana.
Nicchie di umanità
Fatto è comunque, che in molti Paesi extra - EU presero fiducia, orde di donzelle di ogni risma arono le Alpi e il Rubicone; capite bene che con un solo biglietto, dico solo uno da cinquanta, facevano mangiare e vestire un mese la famiglia al paesello. Anche quelle sfruttate potevano sfamare i parenti prossimi con quello che avanzava dal taglieggio. Senza contare le nuove e vecchie mafie che presero la palla al balzo, arrivò ben presto la mafia rumena, feroce e crudele almeno quanto quella albanese. Per queste ragioni, cominciai a vedere in giro di tutto: ex-badanti di mezza età, contadine ucraine dalle giganti mani, nobili donne e frutti periferici che provarono a gettarsi nella mischia pur essendo belle come la prima moglie del Rag. Ugo Fantozzi. In effetti però lavoravano, si erano create una nicchia di mercato, c’era chi desiderava donne alle prime armi o chi aveva il gusto dell’orrido, come il sottoscritto. Io ne conobbi molte di queste, naturalmente con grande gioia e a volte con traballante ironia me le scopai.
Il piccolo popolo
Sulle strade di campagna della Lomellina con risaie e zanzare a perdita d’occhio, il mio animo si perse. Un giorno notai da lontano una ragazzotta, decisi di provarla, ma più mi avvicinavo con l’auto e più cresceva una strana percezione: i particolari come la sedia su cui era seduta o l’albero che le regalava l’ombra si ingrandivano, lei no, lei restava piccina. Alina era una graziosa donzella rumena, solo che era troppo alta per essere nana e troppo bassa per essere una persona normale.
La cosa fantastica fu che il mio membro sembrò gigante, il membro di Rocco Siffredi può rendere l’idea, ma caspita, adesso capisco cosa vedevano gli occhi di John Holmes quando scopava, sì, rende più l’idea il mitico John! Magnifica anche l’estrema manovrabilità, facemmo le capriole in auto, mancava solo il trapezio, altro che Cirque du Soleil, mi rimbalzava nell’abitacolo come una pallina magica impazzita. Piccola e tenera con le sue manine, con la sua boccuccia, mi sarebbe piaciuto portarla a casa, così, per diletto, una mignotta mignon da conservare, una riserva speciale da offrire agli amici speciali.
«Che cazzo grande che hai!»
«Tesoro di ragazza, io ti ringrazio tanto, ma è questione di volumi, contrasto e proporzioni»
«Che vuol dire contrasto e proporzioni?»
«Vuol dire che a te, tutti i cazzi risultano grandi»
Alina rise e con la sua vocina stridula continuò: «Ma mia figa dentro è grande, eppure io sono piccola»
«Quello è un altro discorso, è questione di elasticità e usura»
«Che vuol dire usura?»
«Alina eh, te le cerchi proprio. Usura è quando prendi troppi cazzi! Contenta?»
Alina si rabbuiò in volto e rimase in silenzio, per un attimo fui contento di non sentire più quella voce acuta ma poi ebbi pena.
«Alina, ti assicuro che le ragazze piccole fanno impazzire gli uomini, a me piacciono moltissimo, vedrai ti sposerai un bellissimo ragazzo che ti adorerà per questa tua caratteristica»
Si aprì in un grande sorriso: «Dici vero? E figa grande? Anche quella piace a uomini?»
«No, no Alina, quella non piace a uomini!» La baciai delicatamente e la riaccompagnai, le campagne della Lomellina sono stupende, immense e vaste danno il senso dell’infinito, respirai l’aria fresca mentre percorrevamo la strada non asfaltata, il tragitto era in gran parte dentro un bosco che regalava fantastici scorci e per un attimo, mi sentii come in un racconto dei fratelli Grimm. «Piccola Alina, ora l’orco buono ti riporta a casa», così ho pensato e così sarebbe dovuto essere, invece sotto un albero, l’aspettava una sgangherata sedia e una bottiglia di acqua ormai diventata calda. La feci scendere e velocemente mi allontanai, ma non potei fare a meno di guardarla dallo specchietto retrovisore, minuta, mi sembrò ancora più pollicina di prima, finché Alina divenne solo un piccolo punto tra i tanti che componevano il quadro impressionista: Mini ragazza di campagna al tramonto.
La donna cannone
La mia Rosalina era una ragazza ucraina, grassa e stagna, alta circa un metro e settanta, un girovita enorme, di tette direi una decima misura, e non scherzo, mutande misura paracadute. La sua dolcezza era pari al suo peso, che era considerevole. Trattai per l’unica cosa umanamente fattibile in auto: un pompino. Il problema era che ogni tre su e giù con la testa, emergeva come da un’apnea fatta da Enzo Maiorca, il viso rubicondo incorniciava occhi strabuzzanti che imploravano pietà, mi aiutai mentalmente per non farla perire. Finito il durissimo lavoro cercai di farla ragionare.
«Amore però, magna de meno e consuma più frutta e verdura»
«Niente, non ce la faccio a dimagrire, sono stata pure dal dietologo»
«Sì ho capito, ma te lo sei mangiato!»
«Coooosaaa? Tanti uomini piace me, piace mie tette»
«Ho capito e va bene così, volevo solo dirti che la questione estetica è il meno, cioè, molti problemi riguardano la salute»
«Se io no piace te, perché sei venuto?»
«Ma tu piace me! Non hai capito, mi spiace per la tua salute, l’obesità oltre a farti vivere male non ti farà vivere a lungo. Lo so che in questo momento è l’ultimo dei tuoi problemi, ma pensaci, è importante non rimuovere il problema»
«Sai, mi piace tanto cucina italiana, per me tutto buono»
«Immagino, ma fattela piacere un po’ meno».
Pensai di essere stato troppo duro con le mie battute del cazzo, ma all’epoca dovevo per forza dire ciò che pensavo, usavo l’ironia per smorzare un po’ la ruvidezza delle osservazione. La rividi dopo un mese mentre si gustava soddisfatta un gelato cremino, tre morsi e sparì per sempre dentro la sua bocca, la salutai con calore e un po’ di pena nel cuore; Rosalina era un concentrato di amorevolezza immersa in un grasso bozzolo fatto di protezione e dolore. A me le donne patatone fanno sempre molta tenerezza, appaiono a miei occhi come bimbe paffute, la loro vista mi rasserena.
Esperienza sensoriale in Loreto
Ovvero: l’esperienza che nessun uomo vorrebbe mai vivere da sobrio. Una sera in cui avevo voglia di qualcosa di speciale, qualcosa da ricordare,
non la solita sveltina, l’universo ascoltò i miei pensieri e mi accontentò, ma forse sono io che penso in modo confusionario. L’antica saggezza insegna: “Attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo”. Bello vero? Però io umilmente aggiungerei: Quando desideri fallo chiaramente e specifica bene, chi ti ascolta potrebbe fraintendere. Dunque esco con la mia batton-mobile e trovo inaspettatamente subito il mio bocconcino. Faccio salire questa deliziosa rosa, sui vent’anni, davvero aggraziata. La ragazza è anche molto ciarliera e simpatica, sono contento e “lui” è già di granito. Verso il dovuto e via … pompaggio di rito e tutto il solito resto, tutto nella norma, mettiamo il gommino, inizio a pecora e ancora bene, dopo una decina di colpi sento che si bagna, il mio ego smisurato si fa largo: «Ti piace eh? Dai, sei tutta una broda». Ma prima che la ragazza faccia in tempo a rispondere sono aggredito da un forte e penetrante olezzo, lo estraggo e buaaah... sangue dappertutto. «Cazzo è? Le cascate dell'angelo?» La macchina si imbratta, lei non ha assorbenti perché dice che non se le aspettava! ( Oh povera stelassa). Prendo i fazzoletti ma non bastano, afferro la pelle di daino e uno straccio per pulire il parabrezza e tappo il fiume in piena, dall'auto nonostante i finestrini aperti si diffonde tutto il miasma del mercato del pesce, più penetrante di quello che si sente in prossimità delle feste natalizie. E tutta una corsa contro il tempo, metto nelle narici due pezzetti di Arbre Magique staccati a morsi, lancio macchina a cento km/h, ma nulla, la puzza mi attanaglia la gola. Cerco una scarpata dove terminare anzitempo la mia vita, ma purtroppo non la trovo. Mi arrendo, per arrivare a casa cerco di visualizzare nella mente rose e violette di campo. Il giorno dopo portai a lavare accuratamente il mezzo ma non bastò del tutto, olezzo persistente di baccalà andato a male. Chiesi alla girl un risarcimento per odore nauseabondo e schizzi di sangue che manco in C.S.I. si era visto mai, mi fu negato fermamente, si vergognò a morte è vero, ma
l’alcantara non si pulisce con l’espiazione emozionale.
«Mi dispiace tanto, scusami»
«Figurati, non devi scusarti, cosa facciamo? Mi ridai metà dei soldi?»
«Non credo, ho perso tanto tempo, cerca di capirmi»
«Hai perso tanto sangue, e no, non ti capisco».
Abbattuto dall’odore più che dal suo comportamento me ne andai senza salutarla, ma le donne che sanno di acciuga proprio non le reggo, figuriamoci se oltretutto è stronza e sanguinolenta.
Psyco girl
Una notte d’estate girovagando con la mia Torpedo blu, in realtà senza cercare nulla, tentavo solo di godere del silenzio agostano e della placida luce dei lampioni. Una di quelle notti in cui fai un giro così, per pensare o non pensare, comunque fai andare auto e musica per rilassarti, ti dirigi verso la notte con profondo stupore, l’aria fresca che entra dai finestrini ti riempie i polmoni, per lunghi attimi assapori la dolcezza della sospensione. Dopo l’esperienza della mestruata calmai la mia ansia da ricerca, meglio rallentare e scegliere con più cura.
Tuttavia, si stava profilando lo spettro del segone casalingo e io volevo inserire la spina, a un certo punto l’attenzione venne catturata da una silfide di bianco vestita, bellissima, la dama bianca di Coppi. La dolce odalisca era italiana, rilassata mi elencò le specialità della casa, non fu esosa, accettai. Avevo già una discreta esperienza ma nulla lasciava presagire ciò che accadde da lì a poco. Dopo averle dato lo sterco del demonio inizia un bel lavoro come da accordi, a un certo punto però tira fuori chissà da dove un coltellaccio a serramanico e me lo punta alla gola con precisione. In un attimo il mio amico segna la ritirata, povero, non se l’aspettava, un calzino bagnato. Penso:«Cazzo, la biondina profumata è a un o dalla mia preziosa giugulare, che faccio?» Mantengo il sangue freddo e le dico che può prendersi tutti i soldi ma di lasciarmi almeno i documenti, lei continua a tenere puntato il coltello e incredibilmente e contemporaneamente, succhia avidamente il lumachino spaventatissimo, sembrava una scena di Arancia meccanica in cui la vittima ero io. Così, lei non dice nulla e mantiene la lama a contatto con la mia gola. Ovviamente il panico è crescente, le chiedo più volte di levare il cazzo di coltello dalla gola e la bocca dal cazzo, ma a quel punto me lo accosta ancora di più spingendo sulla pelle. Lei insiste in modo strabiliante: «Dai godi che ho poco tempo». Buñuel e Dalì insieme non avrebbero potuto creare una scena del genere, troppo surreale anche per le loro menti. Pensai più volte di fare qualcosa ma più della gola mi preoccupavo del mio fratellino tra i suoi denti, meglio morto che senza cazzo pensai, comunque, guardai fuori, in giro non c'era nessuno e paradossalmente un po’ mi tranquillizzai, per l’ennesima volta lei: «Allora non godi?» e io impaurito: «Scusa ma come faccio?». Finalmente tolse il coltello e continuò ancora a
pompare, pensai di aver incontrato una schizoide di prim’ordine, però qualcosa scattò nel suo piccolo e complicato cervello, si stancò ed esclamò con serafica tranquillità: «Va bene, visto che non vuoi venire accompagnami al posto, ma guarda che i soldi non te li rendo, anche se non sei venuto». Ringraziai i vari profeti di tutte le religioni mentre il sudore freddo imperlava la gelida fronte, come al protagonista di Fuga di mezzanotte quando è in aeroportoper il controllo aporti.
Chiamai la polizia e andammo sul posto, la mia pazza non c'era più ovviamente. Non lo fece per rapinarmi, non per velocizzare i tempi di esecuzione, allora perché? un gioco estremo? Probabilmente sostanze assunte. Cominciai a capire cosa significasse essere violentati. La sensazione più straniante dalla realtà è quella di non sapere cosa succederà nei successivi cinque secondi: «Morirò per mano di una troia psicotica? In questo indegno modo terminerà la mia vita?», sono i deliranti pensieri che feci in quei tremendi attimi.
Angeli e demoni Mi accasciai al suolo annientato. I tremori scuotevano i muscoli come fulmini quando scaricano la loro energia a terra, mi trascinai a letto e in pochi minuti un sudore freddo mi inzuppò i vestiti. Allarmato e febbricitante chiamai l’ambulanza, in ospedale mi fecero molti esami e dopo aver escluso le cause più comuni non trovarono nulla, perché forse cercarono nel posto sbagliato. Dopo un’ora cominciò la fase del vomito, entrai in un vero supplizio: nausea, conati, onde di espulsione. ate sei ore di osservazione e un paio di flebo stetti meglio, gli esami del sangue erano in ordine, pressione e cuore nella norma, reni e fegato ok, anziché tranquillizzarmi la cosa mi preoccupò ancora di più. Tornai a casa chiedendomi cosa cazzo mi stesse succedendo, quella notte ebbi la sospirata e non benvenuta risposta. Mi svegliai con l’impellente bisogno di pisciare il Po con tutti i suoi affluenti,
arrivato sul water però non riuscii a mingere, ritornai a letto, ma dopo un minuto ancora lo stimolo, la dovevo proprio fare, notai però che la cappella era rossa e gonfia, stavolta sì, vidi uscire solo due gocce di rugiada e contemporaneamente sentii un bruciore senza limiti, fu come se qualcuno con una lametta mi stesse tagliando il cazzo in due, tipo salamella alla Festa de l’Unità, un dolore atroce che a ogni schizzo espulso si riproponeva violentemente. Un denso materiale giallo – verde fuoriusciva copiosamente ogni volta che schiacciavo il mio povero sac à poche, dolore e schifo si alternavano a ribrezzo e afflizione, ormai era chiaro cosa avessi: gonorrea; volgarmente conosciuta come scolo, facile capire anche il perché. Medico stronzo ma amico, senza guardarmi in faccia: «Allora, mi fai sei iniezioni di penicillina e quando ti sentirai meglio faremo degli esami, però mi raccomando, non scopare più senza preservativo» accompagnando alle parole un sorriso ironico, ricominciò a scrivere in sumerico la sua bella ricetta. Io: «Ma doc, te l’ho detto, non scopo senza, la ragazza mi ha fatto un pompino scoperto, te lo assicuro, me ne sarei accorto se avessi avuto una figa anziché una bocca a foderarmi l’uccello, no?». All’epoca ero molto giovane e decisi che con le prostitute avrei consumato solo rapporti orali, se possibile senza protezione, questo perché nella mia testa il rapporto completo era qualcosa da praticare solo con la fidanzata, che non avevo tra l’altro, il sesso vaginale andava di pari o con l’amore, ma allo stesso tempo, volevo godere di una pratica che con il preservativo perde tutto. Quindi, si poteva escludere la gonorrea via figa. Doc però non mollò la presa. In effetti a pensarci bene assomigliava a un bulldog, un molosso con il testone e la presa d’acciaio. Medico: «Mah, mi pare strano, a meno che … a meno che, la ragazza non avesse tracce di sperma in bocca di un altro uomo, prostituta?» Io: «Minchia doc che schifo, sì, una mignotta. Va bene, ma dopo le iniezioni mi erà? Posso stare tranquillo?» Medico: «Il termine “tranquillo” è un parolone, la gonorrea può nascondere
altre malattie come la sifilide, ma vedremo poi, adesso fai le iniezioni e fai attenzione, fattele fare da una persona esperta, se vuoi ti mando una signora capace, un po’ anziana ma è bravissima, ha delle mani di piuma». Accettai la presa per i fondelli del mio amico e la signora mani di piuma. Mani di piuma poteva venire a casa mia solo al mattino presto, direi prestissimo, quasi notte: ore sei e trenta! Accettai l’imposizione perché ero stanco di mutande gialle e puzzolenti, dolori lancinanti al cazzo e coglioni pieni di non so cosa. Suonarono alla porta e guardai dallo spioncino: «Oh cazzo! E questa chi è? Pare una bambina mummificata, “un po’ anziana” è un eufemismo direi» pensai, o forse no, mi sembra proprio che lo dissi ad alta voce. Mani di piuma era una creatura non oltre il metro e cinquanta, ingobbita e ingabbiata dentro a un busto che la faceva sembrare ancora più Hobbit di quello che era. Aveva però un viso dolcissimo ed era simpatica, certo il lettore penserà:”Falla pure antipatica la vecchia!”. «Buongiorno, mi chiamo Mariangela, il dottore mi ha spiegato tutto, dove possiamo metterci? Meglio se sta in piedi lo sa?» La vecchina procedeva nel corridoio al rallentatore con la testa china come se cercasse qualche monetina sul pavimento, in realtà più diritta di così non poteva stare, la vedevo veramente instabile, ero preoccupato per il mio marcio culo ma soprattutto che si spegnesse come una candela, in casa mia oltretutto. «Signora posso offrirle qualcosa? Vuole sedersi?» feci io nella speranza di allungarle la vita e che non si accartocciasse sotto i miei occhi» «No grazie, grazie, devo camminare, poi ci sono abituata, facevo l’infermiera, può immaginare, sa quanti anni ho?» Pensai sui centotrenta, sicuro che avesse fatto la crocerossina nell’Impero austro-ungarico, ma volli essere gentile: «No, ottanta forse?» « Eh eh, eheheh, magari, ottantotto», condì la risposta con un ghigno da strega malefica.
«Caspita! Non sembrerebbe, se li porta splendidamente», a quel punto ebbi la conferma che la mia benefattrice si sarebbe polverizzata come una torta sbrisolona a breve. Mani di piuma invece, mi smentì e tirò fuori una sostanza e una tempra incredibile. Anche se il tempo aveva fatto il suo corso e il corpo stava cedendo sotto i colpi dell’artrite e dell’osteoporosi, all’interno della materia albergava un angelo che aveva vissuto ogni sfumatura della vita, china e traballante nel suo incedere, lenta e con l’equilibrio precario, aveva la potenza di un carro armato e la delicatezza di un putto. Ogni mattina per sei giorni si presentò puntuale all’appuntamento. Preparava il medicinale, manovrava le fiale e gli aghi con mano ferma, con la sicurezza di un alchimista trasformò un pene purulento in uno splendido e sano cazzo che mi avrebbe fatto godere ancora per molti anni. «Mariangela, sa? È proprio brava, non sento nulla, oggi sto già meglio» «Sì, il segreto è iniettare lentamente, la penicillina può essere dolorosa, ma ha salvato milioni di vite» A quest’ultima frase la immaginai, non so perché, sotto le bombe, tra barelle e infermerie di guerra, correre tra soldati morenti e corpi dilaniati, trafelata prodigarsi per il sollievo di innocenti e giovani vite, o semplicemente con il seghetto ad amputare arti irrecuperabili. «Mariangela, è sposata, ha qualcuno che le tiene compagnia?» «Oh no, povero uomo, se ne è andato dieci anni fa con un infarto, ma sa, cosa vuole, alla mia età … sono vecchia cosa crede? Sto sopravvivendo a tutti!» Scoppiai a ridere e Mariangela sorrise maliziosamente soddisfatta; sentii un leggero pizzico e poi più niente. «Non si muova, ancora un poco. Ecco, fatto, questa è l’ultima, ha sentito bruciare?» «No Mariangela, lei è un tesoro, mi fa venire voglia di essere sempre malato per essere curato da lei»
«Uh Signur, non dica queste cose per carità!» Tolse l’ago e lo ripose con la siringa nella sua confezione, fece un pallina con l’ovatta usata, richiuse tutto in una bustina di plastica, con fare meticoloso e gesti misurati portò a compimento l’operazione, finita la quale alzò con fatica la testa e guardandomi mi regalò un lungo e dolce sorriso, sicura di aver fatto il necessario per fare stare bene chi ne aveva bisogno. Fu l’ultima cura, nel salutarla l’abbracciai con gratitudine e la baciai con affetto, ridendo come una bimba scomparve tra le mie braccia. Le sue mani dissimularono la calcarea medicina cocente svelandola in ambrosia, il suo giovane e forte spirito contrastò ancora una volta l’inesorabile scorrere del tempo. Mi affacciai alla finestra accompagnandola con lo sguardo, attraversò il cortile evitando piccole e insidiose trappole della pavimentazione, mi parve una coccinella a fine estate, una bambina le si avvicinò per aiutarla ma con un gesto della mano la ringraziò, non ne aveva bisogno. Lei voleva solo procedere, andare avanti e scalare il quotidiano, anche quel giorno riuscì ad integrare la miserrima pensione, pretendeva solo di poter ancora combattere senza aiuti, senza gli inutili e vacui discorsi dei politici, senza elemosinare pacchi alimentari o social card varie. Mariangela lasciò il suo fragile corpicino e il coriaceo busto circa un anno dopo il nostro incontro, morì mentre preparava un bagno alla signora Paola, più giovane di lei di quindici anni!
Il male non necessario
Il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria appartiene solo ai re,alle puttane e ai ladri. Honoré de Balzac
La follia umana spesso incontra chi dona per pochi centesimi, intensi e impagabili momenti di felicità, pare che l’anima di alcune persone sia
famelica di bocconi avvelenati da puro male luciferino. Spesso le vittime di queste bestie sono i soggetti più dolci e indifesi, allora, la vita perde di significato e si spoglia di ogni valore, perché in fondo una puttanamerita la morte o solo perché ha meno importanza di un maiale e come esso si può sgozzare. Come si presenta il male assoluto? A volte veste elegantemente per non farsi riconoscere, altre volte si insinua sotto la pelle per emergere quando diventi più fragile.
Requiem for a Dream
Gianina era piccola come l'idea che offre il suo nome. Si stringeva addosso il piccolo giubbetto cercando di allontanare il freddo umido della periferia di Milano, questo gesto inconsapevole la faceva sembrare ancora più minuta; così la vidi la prima volta. Gianina non era bella e non era giovane, doveva farsi notare ogni notte, le concorrenti erano ragazze con venti anni in meno e con venti centimetri in più di altezza, aveva perso in partenza. Per una come lei venuta da un piccolo paese della Romania, abituata a lavorare duro in cascina fin da bimba, fare “la vita” poteva sembrare un'ancora di salvezza, un’opportunità. Il suo viso stanco non aveva nulla di erotico, ma i suoi occhi vispi e profondi le davano ora un'aria buffa ora un cipiglio fiero. «Gianina eri dolce e mi facevi stare bene, a me,importava solo questo e tu questo mi donavi, non hai mai chiesto nulla di più, quando ti lamentavi lo facevi solo per ridere e scherzare, sento ancora la tua risata, come avrei voluto portarti via». «Presto, speriamo che arrivi un altro cliente, stasera non ho fatto niente,
conto i giorni e le ore, e forse se guardo bene anche i secondi», questo forse pensava nelle stanche e lunghe notti all’addiaccio. «Dicevi che i tuoi figli sapevano che facevi la badante, volevi tornare, tornare ma come? Con cosa? Risulta faticoso risparmiare». «Ti fidavi più degli italiani, sei stata derubata e picchiata, scopata senza essere pagata, lasciata in aperta campagna, hai pensato che la vita ti avesse mostrato tutto l'orrore degli uomini ma ti sbagliavi». «Oh Gianina, bastavano poche banconote e rendevi felice un uomo, non c'era bisogno di violare anche la tua anima». Silenzi notturni avvolgevano il suo spazio e facevano pensare a casa, luci di auto interrompevano i sogni, un altro cliente da soddisfare. «Perché sei salita su quell'auto? Tu andavi solo nel tuo posto, avevi paura di tutto, lo so piccola, ti fidavi e poi i soldi, tanti soldi, il maledetto denaro, che forse poteva avvicinare temporalmente l'abbraccio dei tuoi figli». «Timida e dolce rosa dell'est, perdonami se non ho potuto fare molto per te, se non ho capito, se non ho potuto difenderti, sono stato solo un cliente, forse quello che ti faceva ridere, forse quello con il quale almeno eri tranquilla, ma sono stato impotente». «Probabilmente avresti potuto parlarmi di quello strano cliente che ti faceva fare giochi orribili». «Non è bastato essere accondiscendente, non è bastato essere la bambola con quale si può fare tutto, non è bastato dire sempre sì, hai detto sempre sì nella tua vita, non è bastato per sopravvivere».
«Ti supplico, dimmi, ora sei libera dall'infelicità?»
Gianina Viorica Ganfalianu, rumena, quarantatre anni, è stata uccisa dopo lunghe sevizie in un garage, in un giorno imprecisato di maggio nel 2011, da
un italiano "fidato".
Silvia mi osservò come si fa con le formiche all’arrivo dell’estate, quando formano il lungo via vai in cerca di cibo, giusto per capirne la provenienza e la destinazione. Stava seduta a braccia conserte, sembrava un generale incazzato. «Interagisci con persone che hanno un carico di sofferenze notevoli: sfruttamento, schiavitù, disagi, fragilità psichiche, molte di queste vivono sulla strada, cosa ti aspetti? Un invito al Rotary Club?» «Dai Silvia, sii seria e non scherzare, stavolta è diverso, Gianina la conoscevo, eravamo amici, il maledetto l’ha uccisa dopo averla seviziata per ore, per me è insopportabile, non ce la faccio più» « E chi scherza? Allora smettila, non essere più un cliente, non ci andare più a puttane!» «Cercherò, non è facile, non lo so» «Come non lo sai? Cosa sei un drogato che non ti controlli?» «Ho idea di sì, cioè, adesso sono sinceramente affranto, ma so che fra una decina di giorni riprenderò a frequentare i soliti luoghi» «Allora caro amico, io mi farei vedere se fossi in te, questa cosa la devi risolvere! Mi spiace per la tua amica ma di più per il tuo modo di vivere la vita» «Va bene, grazie, ti faccio sapere», risposi seccato. Me ne andai lasciandola da sola al tavolino col suo caffè d’orzo, in pratica scappai; non volevo ascoltare, non volevo vedere oltre, ero spaventato dalla mia odiosa reazione. Mi tuffai dentro il traffico serale e tornai a casa, ero diventato cosciente della mia dipendenza. La pelle che abito
Negli anni ottanta abitavo in una via deliziosa sui Navigli, in una casa di ringhiera tinta giallo “Vecchia Milano”, al tempo non era una nuance di moda ma proprio il colore tipico delle vecchie case meneghine. Chi ci abitava non se ne vantava, anzi, e per molti come me, il bagno era fuori sul ballatoio e in comune, una turca con una sedia sopra alla quale era stata praticata un buco. Non era la zona come la si conosce oggi, ma un crogiolo umano: vecchi e veri milanesi si mischiavano a famiglie numerose di meridionali, studentesse straniere vendevano lezioni d’amore; c’erano anime in rovina in cerca di paradisi artificiali, locande in cui uccidersi con vino e carte; osterie in cui il brodo caldo era l’unico piatto della giornata. Gli obesi barconi portavano stancamente il carico di sabbia fino alla Darsena.
Non esistevano locali trendy ma studi diroccati di pittori e artigiani del legno e del ferro; alcune signore facevano ancora il bucato al Vicolo dei lavandai; c’era Tommaso, un signore pelato e corpulento, pittoresco e bizzarro, vendeva giocattoli e scherzi ai anti, è sempre vissuto così, con le sue buffonate ha dato da mangiare a suo figlio con problemi psichici. Noi bambini giocavamo a calcio in strada e l’omino dei gelati con la sua Ape -frigo, dopo una dura giornata di lavoro tornava a casa, a volte se fortunati, ci regalava qualche cono, rimasugli di stracciatella e nocciola o, cioccolato, che delizia. I negozi avevano lunghe liste di crediti da riscuotere, spesso da famiglie dove il lavoro significava sudore e poco salario, era consuetudine al sabato gustare una porzione di lasagne calde o un pollo allo spiedo e pagare al prossimo mese:«Grazie Luigi!», erano queste le sentite parole che si potevano udire dalle povere massaie, Luigi era il salumiere migliore della zona e quello con il cuore più grande. Noi, monelli della zona ci sentivamo fortunati perché avevamo la piscina
Argelati “in casa” e il gelato di Orsi, i Navigli non erano ancora diventati “fighetti”, ci pescavamo le tinche, cavedani e alborelle, durante le secche scendevamo giù con i gambali verdi, che nostalgia! Le notti d’inverno con la nebbia, le strade malamente illuminate diventavano quadri impressionisti per i pochi presenti, canute vecchiette dentro case scaldate da piccole stufe, guardavano fuori dalle finestre il presente come fosse un ato rimasticato senza sapore. Qui è dove ho vissuto gran parte della mia vita e qui ho conosciuto Marina, una persona indimenticabile. Marina abitava con altre sue amiche in alcuni monolocali nello mio stesso stabile di ringhiera, lei e le amiche erano transessuali. Facemmo presto amicizia, lei si divertiva a prendermi in giro o facendomi piccoli regali, avevo dieci anni e vedere questa magnifica creatura che mi copriva di attenzioni mi inebriava; alta e slanciata, i lunghi capelli corvini sottolineavano la sua leggiadria di stare al mondo. Lasciava dietro il suo aggio magnifici e intensi profumi di agrumi. Un giorno, mi fu rivelato da mia madre che proprio donna non era, ma dopo l’iniziale stupore non cambiò nulla per me, forse fu la tipica apertura mentale di bambino, non ancora inquinata da una società malata in cui se non rientri nei canoni della “normalità” sei qualcosa da aggiustare o rottamare. Marina di notte al Castello Sforzesco vendeva ciò che le donne non potevano vendere, faceva tanti soldi e altrettanti ne regalava, donava anche sensuali abbracci e sesso a bei ragazzi, mio fratello era uno di questi. Lui mi raccontò anni dopo di come era dolce e premurosa nel fare l’amore, anticipando ogni desiderio e ogni dettaglio voglioso mentre lo stavi ancora immaginando. Portava allegria e simpatia nel cortile, faceva feste dove tutti erano invitati, univa e non divideva, come se fosse in debito, come per scusarsi e giustificarsi con la società, cercava di offrire tutta se stessa, la sua generosità era commovente e imbarazzante insieme.
Molti uomini di giorno trovavano divertente gettarle palate di merda addosso con gran signorilità, mentre di notte cercavano con bramosia il calore del suo corpo. Questo ipocrita e triste comportamento la faceva cadere in un abisso di dolore. Marina cominciò un percorso personale, un percorso per il cambio del sesso. Le amiche le sconsigliarono vivamente l’intervento: ”Che non sarebbe stato più come prima … e che avevano sentito … e ancora che altre avevano riferito …” Ma tutto era ancora agli albori in Italia e si sapeva poco, tutto nebuloso, però lei desiderava essere più femmina possibile, forse lo era già più di molte donne biologiche. Si sentiva femmina fin da bambino, se ne accorse quando si sorprese a guardare i maschietti, preferendo i vestiti da femmine, guardandosi allo specchio non riconoscendo quel bambino, bello sì, effeminato sì, ma sempre maschietto. Lo desiderava, voleva finalmente liberare la farfalla dal bozzolo non riconosciuto, non era più una lontana e bizzarra chimera.
Lo psicologo diede l’ultimo ok: «Marina, sei pronta!», Marina cambiò sesso, ora sì, più vicina a se stessa. Non è stato semplice, non è stato veloce, quanto è difficile rinascere in un altro corpo? Gli strazi della carne tagliata rimarcavano atrocemente questo secondo parto. Dolorante ma felice, rinata in questo mondo e stavolta da donna, da femmina. All’inizio le cose sembrarono procedere per il verso giusto, il lavoro come previsto aumentò, era l’unica in zona operata e tutti vollero provare la fantastica novità. Dopo un mese o due, ci fu il tracollo, faceva poco, troppo poco, gli uomini che vanno a trans, cercano anche l’aspetto maschile, soprattutto direi, a questo non pensò, o forse si, ma il desiderio di essere una vera femmina era
più forte. Cominciò col “mangiarsi” i risparmi accumulati, iniziò a cercarsi un lavoro canonico ma era difficile, non aveva nessuna esperienza e poi ai colloqui quando capivano gli sguardi si facevano assenti e vitrei. Essere diversi significava esibire il mostro, un freak al limite da guardare con ribrezzo ma non da mostrare nella rispettabile azienda. Ritornò sulla strada, in un altro posto, ancora un po’ di ossigeno per la novità, durò poco. Prestiti e debiti aumentarono e in molti, per l’ennesima volta le voltarono le spalle. Mio fratello un giorno ci fece l’amore e mi disse che fu una pena, Marina da dolce divenne aggressiva, tra le lacrime, singhiozzando, gli disse che non riusciva più a godere, provava sì piacere, ma un blanda imitazione dell’originario maschile, non aveva lo sfogo dell’orgasmo, l’operazione non fu tecnicamente perfetta, il suo viso aristocratico divenne triste come un Pierrot. Oltre al corpo, qualcosa cambiò, qualcosa si ruppe nella sua anima. Dopo pochi mesi Marina ritornò al suo paese natio, mi salutò facendomi l’ennesimo regalo e disse che sarebbe ritornata presto, suggellando la promessa con uno sguardo profondo e triste: «Diventa un bravo ometto», le sue labbra sfiorarono delicatamente le mie. Non avemmo più notizie per quasi un anno, si eclissò. Un pomeriggio, il silenzio assordante del cortile assolato fu squarciato dalle urla di Valentina, una sua amica, urla di disperazione e incredulità, ricevette una telefonata: «Marina non c’è più, Marina non c’è più!» La fragilità incontrò la sensibilità femminile, entrambe rinchiuse in un corpo non riconosciuto, in trasformazione, non amato e non più amabile. Marina, una splendida persona, si tolse la vita tagliandosi le vene dei polsi a soli ventisette anni.
Carogna di sicuro
Nel vecchio caseggiato di ringhiera, dove le gente sognava di fare tredici al totocalcio, tra maghe e vedove di guerra, tra trans e mangia fagioli, tra chi si sporcava di duro lavoro e chi si scopava la cugina in cantina, ecco qui, aveva trovato un suo piccolo rifugio anche Mimmo. Mimmo abitava al piano terra, da alcuni chiamato semplicemente il gobbo, da altri il nano, dai più il marocchino carogna. Questa differenzazione non era discriminante, Mimmo era tutte e tre le cose insieme. Vestiva elegantemente e aveva un certo stile nel proporsi alle persone: distaccato ma gentile, però mai sorridente. Lo si vedeva raramente in giro di giorno, preferiva dormire, di notte invece lavorava in un locale. Forse era meglio così, perché i bambini lo schernivano in continuazione, gli adolescenti preferivano fargli tremendi scherzi, gli adulti gli riservavano con gran cura odio e invidia, già, a Mimmo tatuarono sulla pelle il più infingardo dei sentimenti umani. Poteva sostenere un tenore di vita molto alto per lo standard del caseggiato. Si spostava solo in taxi, cenava sempre al ristorante e soprattutto, ogni fine settimana portava una splendida ragazza a casa, intendo proprio mozzafiato, credo fossero modelle. Non salutava nessuno e non rispondeva al saluto, ma soprattutto, si faceva i cazzi suoi, sempre. Da dietro le vecchie finestre a intermittenza, come tristi luci natalizie, le vuote teste dei vicini facevano capolino cercando di scorgere i segreti del gobbo, le vergogne del nano, i delitti del marocchino. Mentre io cercavo di immaginare nude, le sue splendide ospiti, in me cresceva lentamente un sentimento di ammirazione per quell’uomo. Quando incrociavo il suo sguardo, potevo scorgere vita fremente, occhi in cui brillava una viva intelligenza mista a malinconia. Inutile salutarlo, una volta ci provai ma ebbi una risposta in se, per
me incomprensibile, mentre per gli adulti era sempre: «One more time, please». Ma per la gente tuttavia, lo scherzo di natura era uno spacciatore di droga, occupazione che svolgeva nel locale notturno, le ragazze erano pagate in cocaina, non poteva spiegarsi altrimenti. E poi, non prestava mai soldi a nessuno, perché in molti bussarono alla sua porta in cerca di denaro o di donne. Una carogna d’uomo insomma. Non si sapeva nulla sul suo conto, a parte quello che la natura beffardamente palesava ogni giorno. Inaspettatamente, una sera d’estate, me lo ritrovai di fronte, ero seduto sul gradino del portone, avevo la faccia tra le mani per nascondere le copiose lacrime.
«Posso fare qualcosa per te? Perché piangi?»
Mi stropicciai gli occhi vergognandomi. «Sono infelice, voglio morire»
«Non puoi morire»
«Oh sì che posso»
«Allora fai così, trattieni il fiato fino a morire, vediamo se ci riesci»
Gonfiai le guance e cercai il suicidio, dopo pochi secondi scoppiammo a
ridere.
«Hai visto? Sai perché non puoi morire?»
«No», dissi io ormai conquistato.
«Perché da domani sarai felice, te lo prometto». Una fredda mattina di gennaio, non la dimenticherò mai. Fui svegliato dalla voce di Mimmo, come un comandante impartiva ferrei ordini a uomini grandi quattro volte lui, dalla sua bocca sbuffi di vapore me lo fecero apparire come un satiro inferocito: «Sbrigatevi, alle nove non voglio più stare in questo posto». Come uno spettro si dissolse con la nebbia meneghina. Mimmo era un polistrumentista jazz, lavorava al Blue Note, uno dei club più importanti a livello nazionale per questa musica. Proveniva da una famiglia benestante, ebbe l’opportunità di studiare e tuffò tutto il suo mondo di solitudine nel conservatorio, eludendo così in parte, la perenne tortura che la natura gli aveva riservato. Oggi vive in Francia e non è considerato più solo gobbo, nano e un marocchino carogna, ma anche un grande artista. Respirai a pieno polmoni la nebbia lattea, stropicciai i miei occhi di bambino e osservai triste la scena, alzai la mano per salutarlo e bisbigliai: «Ciao Mimmo!» Mimmo tenne fermo lo sguardo su di me per qualche attimo come stupito, ma subito un sereno e vivo sorriso si aprì sul suo volto, durò poco, si girò e riprese a dominare destino e natura.
La mangiatrice di bambini
Stava lì, a pochi centimetri dalla mia faccia, armonioso e caldo; come era possibile tanta meravigliosa e fragrante golosità? La pelle tesa sopra i muscoli era liscia e profumata, potevo sentirne l’afrore animale, pronto a viverne il burroso e umido invito, mosto in fermento, era lì solo per essere divorato. Dalla stretta vita si allargavano come sentieri le due natiche a formare un cuore, in mezzo solcando il paradiso una sottile striscia di cotone bianco a dividere le grandi labbra, la perfezione delle linee ingannavano il mio spirito tacendo le parole. Un sottobosco autunnale marcescente di senso e voluttà, invano cerco di dimenticare queste perdute sensazioni, il tempo è un artista a donare nostalgici frutti non colti. Incredulo e acerbo ammiravo il più bel culo a mandolino del mondo, almeno del mio mondo, era il culo di Antonella. Avrei voluto palparlo, affondare le dita nella carne polposa come l’aquila aggressiva con gli artigli afferra la preda inerme, infilare la mano aperta per sentire la morbidezza della calda vulva sotto le mutandine. Forse anche, allargare delicatamente le sode chiappe e tuffare in quel limbo succoso tutto il viso, cercando sapori e umori sconosciuti; invece, mi limitai a una puerile e superficiale carezza, come si fa con i cani quando non si conoscono a sufficienza. «Adesso vai a dormire, torna a casa, ci vediamo domani»,fece Antonella con tono fermo e deciso, nella sua voce il rimprovero ma non la sorpresa, quest’ultima non poteva esistere nel suo mondo sensuale. La misura dei limiti delle anime potei osservarli in quella sera a casa sua, la mutualità del desiderio è un imbroglio, disperato rimasi senza fiato, chiusi
la porta e gettai via la febbricitante voglia di sesso. Il cielo era un piccolo rettangolo visto dal mio cortile, spesso rimanevo sdraiato a contemplare cercando di battezzarle, le nuvole, che in svariate forme venivano a trovare la mia giovinezza, avevo solo dodici anni. Mi piaceva restare lì in attesa che qualcuno mi chiamasse, che qualche vicino si accorgesse di me.
Trovavo quella bizzarra fauna molto più interessante delle partite di calcio che i miei amichetti organizzavano quotidianamente, preferivo la compagnia degli adulti, se strani ancora meglio, ero curioso, famelico di sapere e sperimentazioni. Ero stupefatto e intimorito ma inesorabilmente attratto dalle puttane e i trans, dai nani e dai vecchi, dai ladri e dai contrabbandieri, dai drogati e da chi comunque, cominciava a vivere dopo la mezzanotte. Intuivo dalle sofferenze di ognuno che non era la normalità, ma era proprio questo che volevo assaporare, erano molto più interessanti le loro storie, le loro vite, le loro bugie, di tutti i libri che a forza la scuola spingeva nella mia piccola mente. Mi chiamavano a turno. In genere per piccole commissioni alle quali seguivano corpose mance, altri per sapere cosa fosse successo al primo piano, chi litigava con chi, le vecchiette per rimproverarmi e mettermi in guardia dal nano gobbo, compensandomi con favolosi racconti sulla seconda guerra mondiale e caramelle morbide alla frutta. Accettavo tutto questo con gioia e trasporto, ovviamente, accettai anche Antonella. Lei era una splendida siciliana di ventisette anni, famosa soprattutto per il suo culo, che lei naturalmente, faceva di tutto per esaltarlo in strettissimi jeans e alti tacchi, quando eggiava gli uomini si fermavano, era grandioso, fui testimone di un tamponamento tra due auto per “colpa” del suo ancheggiare.
Io amavo di lei anche la bocca e gli occhi che richiamavano molto i tratti di Ingrid Bergman, la gentilezza e la sua innata sensualità. La ragazza non aveva mezze misure, amava stendersi con uomini molto più grandi di lei, o ingigantire le provocazioni a giovani adolescenti, i coetanei non le interessavano, le mie intenzioni e i miei pensieri erano per tutto il giorno, solo su di lei. Sapeva tutto di me, conosceva il modo per farmi arrossire, per mettermi in imbarazzo, per creare un’erezione solo con lo sguardo, fermando il mio volere ogni volta in cui sarei potuto diventare uomo. Inventava ogni pretesto per farmi andare a casa sua, io correvo, non capivo ma pensavo: «Mi piaci». Un giorno nato come tanti e destinato a cadere nell’oblio, Antonella lo trasformò con un semplice gesto in un vivido sogno impresso nei miei ricordi, mi persi e il mio piccolo cuore si fermò. «Antonella sono qui, mi hai chiamato? Cosa volevi?» Dal piccolo bagno lo scroscio miracoloso della doccia coprì la sua risposta.
«Puoi venire qui un attimo? Non trovo l’asciugamano, è sul divano?»
Mi fermai a riprendere fiato, le mani mi tremavano e non riuscivo a parlare.
«No, no, qui non c’è», sapendo benissimo che le mie parole erano solo un paravento alla timidezza.
«Dai vieni qui, non ti mangio mica, aiutami ho freddo»
Aprii la porta del bagno e cercai l’accappatoio che era al suo posto, dove era sempre stato del resto, lo afferrai e glielo porsi allungando il più possibile il braccio, intravidi la sua pelle latte, il corpo frammentato dal vetro smerigliato era di un candore quasi metafisico. Antonella senza tentennare uscì voltandomi le spalle, le affusolate braccia cercarono le maniche dello spugnoso asciugamano, deluso e rilassato mi convinsi di aver superato l’esame, ma in un attimo si girò e per poco non svenni.
«Cos’è quella faccia? Non hai mai visto una donna nuda?»
«No … si … figurati», provai a balbettare.
«Ah si? E chi?»
«Mia… mia madre»
«Ah, ma la mamma non conta».
Richiuse l’accappatoio con l’eleganza del judoka dopo aver vinto un incontro, soddisfatta non infierì sui miei poveri resti. Fui convinto per molto tempo di finire all’inferno, nei giorni e nei mesi successivi mi uccisi di seghe a cui seguirono confessioni dal prete e conseguenti preghiere. Seghe, confessioni, preghiere. Seghe, confessioni, preghiere. Pensandoci oggi, l’inferno lo stavo già vivendo senza accorgermene. Un futuro distante
solo qualche metro, sospeso nel tempo, essere altrove e lontano su strade illusorie, era così conoscere Antonella.
Il gioco continuò ancora a lungo, un giorno mi invitò in piscina. «Mi i un po’ di crema sulla schiena?» Sdraiata con un bikini striminzito mi guardò con una certa severità, come se avesse impartito un ordine, forse lo era o probabilmente si chiese perché stavo ancora lì come una statua di sale. Presi il flacone guardandomi intorno, il mondo si era fermato solo per me perché tutto il resto girava come sempre: i bimbi giocavano rincorrendosi, le urla divertite delle ragazze che venivano bagnate dal ragazzo prestante, anziani con grandi cappelli bianchi sdraiati a prendere il sole, solo io stavo per vivere un film erotico anni ottanta. Il profumo di cocco invase le nostre narici, spalmai la calda e bianca crema sulla schiena come meglio potevo, come può fare un imbranato, un imberbe moccioso. «Slacciami il reggiseno, aspetta faccio io, altrimenti mi rimane il segno» Fece scivolare le bretelle, gli eburnei seni schiacciati come grossi budini sull’asciugamano sembravano voler esplodere. Continuai a frizionare ma un’eccezionale erezione mi fece sprofondare nella vergogna, e se l’avesse notata? Così, cercai in fretta di terminare l’operazione, per me poteva bastare così, avevo immagini e ricordi per anni di seghe. «Ecco Antonella, fatto, l’ho messa dappertutto» «Ma scusa, le gambe non le fai? Guarda che anche lì si prendono le scottature». Con la salivazione azzerata e l’acciaio in mezzo alle gambe continuai, volevo
farlo ma avevo paura che la mia eccitazione si potesse notare, guardai nelle mie parti basse e orrore, una goccia di piacere bagnò il mio costume,il panico era totale, cosa potevo fare? Le scheletriche manine scivolarono sulle tornite cosce, con movimenti lenti e fluidi le dita scorrevano da sinistra a destra e viceversa,a questo punto presi coraggio e volli sentirla tutta, o il più possibile, azzardai sconfinamenti verso l’interno, Antonella in risposta divaricò leggermente le gambe. Mi sentivo un virtuoso pianista quando conquista il pubblico, ma non bastò, Antonella voleva di più. Fece sparire lo slip tra le natiche tirando in alto gli elastici, senza dire nulla mi invitò al pasto più sostanzioso, piombai sulle chiappe, febbrilmente impastavo le morbide e sode carni, non capii più un cazzo. Cominciai a sentire vampate bollenti che a ondate salivano dal pube, ebbi il terrore di venire nel costume. «Dai, non avere paura, a un po’ di crema anche all’interno delle chiappe», fu la fine. Feci scivolare la mano destra come una lama in mezzo alle natiche, con la parte esterna dell’indice sentii distintamente la sua fica bagnata, crollai. Senza dire nulla, di scatto mi alzai, scappai di corsa verso la vasca più vicina e mi ci tuffai. Nuotai sott’acqua a lungo, quando riemersi notai che l’erezione era ancora lì, più splendida e vergognosa che mai. Potevo sentire tutti gli occhi addosso; scappai verso i bagni, e qui, mi masturbai furiosamente, eiaculai credo in meno di dieci secondi, feci una doccia e mi stesi al sole con il cuore ancora impazzito, potei udirlo chiaramente mentre l’acqua a gocce mi copriva le ciglia facendomi vedere la vita attraverso un imprevisto caleidoscopio: stupenda e terribile.
Nei momenti di solitudine mi ripetevo che la volta successivain cui sarei
ricaduto nella sua trappola, sarei dovuto essere più coraggioso, buttarmi o resistere, ma tutto rimaneva su un piano puramente astratto, l’inesperienza mi paralizzava ogni volta e la mente si offuscava. Dopo altre numerose situazioni di questo tipo, una sera però, successe qualcosa, percepii una diversa collocazione dei consueti gesti. «Vuoi ballare con me?» disse mentre si accingeva a mettere sul giradischi Tea for the Tillerman di Cat Steven.
Mi strinse a sé con delicatezza, sentivo il suo fantastico corpo spingersi contro il mio, stavolta non mi provocò verbalmente, non fece i suoi perfidi giochetti. Assaporai il suo buon profumo di femmina, gli sguardi spesso si incrociarono, le mani accarezzarono quanto necessario, quanto possibile. Gli incerti i mescolati alle mie mani sudate non bastarono, non furono sufficienti a celarmi la verità, qualcosa capii. Quella sera mi invitò a restare a casa sua, mangiammo e ridemmo delle scemenze che la TV ci offriva, poi si spogliò e rimase solo con le mutandine. «Se vuoi rimani, finisci di guardare il programma, io ho sonno». Si accucciò sul divano e così rimase splendida, non smettevo di guardarla, presi finalmente coraggio, forse spinto più dalla natura che dall’intelligenza, sfiorai quello splendido culo, sapevo che era ancora sveglia e lei sapeva che l’avrei toccata. Mi fermò con decisione invitandomi ad andare a casa, fu una cocente delusione, ero furioso con lei e con me stesso, per molti giorni cercai di evitarla, quando mi chiamava scappavo via. ai molto tempo a pensare e a recriminare, vivendo più che altro sentimenti di frustrazione.
Ma un mattino me la trovai fuori dalla scuola. «Posso farti compagnia?» Io ancora arrabbiato e permaloso come solo un ragazzino sa fare, annuii. eggiammo lentamente in silenzio, guardammo gli alberi rinascere e infoltire le chiome, sapevo che comunque, non potevo più limitarmi a dire sì, il vialetto come un fiume ci spinse con forza verso la foce.
«Sai, l’altra sera, mi dispiace, per me è difficile, mi dispiace, scusami»
«Antonella non capisco, sono stato io che …»
Bella e triste mi fermò prendendomi il braccio. «Quando abbiamo ballato mi sono eccitata, capisci? Intendo veramente. Non può più succedere, non succederà più».
Affrettò il o lasciandomi indietro. Impalato sul marciapiede sentii gli occhi riempirsi di lacrime, i riflessi dei suoi capelli svelarono il sole nascosto dagli alberi, cercai di soffocare il violento e sommesso dolore, ebbi paura, paura e speranza. Tornando, sulla strada di casa, forse inconsapevolmente, cominciai a cantare una canzone che ascoltai quella sera da Antonella: «You’re still young, that’s your fault, there’s so much you have to know».
Memento mori, stanchezza e riflessioni Ricordo bene il mio primo rapporto sessuale. Ho ancora la fattura.
Groucho Marx
Dopo alcuni anni, quasi come se fosse una professione usurante, anche frequentare le belle donnine cominciò a stancare, entrai in una fase interlocutoria in cui discussi con me stesso, dandomi spesso torto. Questa sensazione prima o poi la provano quasi tutti, è inevitabile. Perdi il gusto della conquista, è tutto semplice e non ti senti più vivo, le dinamiche rimangono sempre le stesse, se le risposte restano immutate dipende dalle domande che ti poni, io cosa chiedevo? L’emozione della ricerca si spense una sera, una semplice e cordiale stretta di mano e la voglia non c’è più. Lei era molto carina, una voce tremendamente sexy, mora con i capelli lunghi e un burroso corpo latino: dinamite pura. Stava lì sinuosa e ammiccante, potevo sentire il profumo intenso di femmina emanato dal suo sesso, era tutto perfetto, tranne la mia mente. Il mio soldatino, provato da tante battaglie stavolta non volle sentire ragioni, anche gli eroi hanno bisogno di riposo, il più nobile dei guerrieri necessita dei Campi Elisi per entrare nella leggenda, insomma, feci una cilecca epocale! Tornando a casa tutti i pensieri confluirono sul fallimento, noi uomini quando dobbiamo alleggerire una situazione siamo bravi come Rigoletto, pensai di ritirarmi a vita monastica o darmi al volontariato in Africa, la presi bene insomma. Tre settimane dopo e con alcuni ettolitri di ormoni in più nella sacca scrotale, pensai che la vita fosse veramente troppo breve per sprecarla per il bene altrui invece che pensare solo a sé. Dovetti rispolverare il vecchio Giacomo Casanova dormiente, si riaprì la caccia alle femmine allo stato brado. Trattenni il respiro e la terra sotto i miei piedi ricominciò a tremare.
La vergine neomelodica
Sdraiato sul letto, annegato nei sogni cerco disperatamente di far sbriciolare le ultime corde che mi trattengono al piano reale. I pensieri uno sull’altro cadono, ne prendo uno a caso, penso che prima di morire sia un peccato sprecare questo sale che brucia nell’anima, sono felice di lasciare labbra e baci a divine suine dalla bocca consumata. Presi da un cassetto l’agendina rossa abbandonata anni prima, qui vi erano catalogate le ragazze in odore di santità, ma che per un motivo o per altro potevano concedere le loro grazie, magari in preda alla disperazione, forse prima di impazzire, io prendevo tutto senza fare la raccolta differenziata. Ripresi a chiamare, le ai tuttein rassegna, come Carlo Verdone in Un sacco bello, ragazze ormai donne che rispondevano: «Chi sei?», o quando andava bene: «Guarda che sono sposata da tre anni». Feci centro con Alessandra, una ragazzina bellina davvero, in un tempo lontano la consumai con una corte spietata per due anni, conobbi anche i genitori ma non c’era niente da fare, essa era fortemente religiosa, una di quelle religioni che non permettono il sesso prematrimoniale, oh caspita, ma ne esiste qualcuna che lo permette? «Pronto Alessandra? Ah sì, no ecco, sono stato diverso tempo in Cina come commerciale per una ditta di fagioli, poi mi hanno mandato a casa ma mi è venuta la sindrome di Tourette, allora non potevo vedere nessuno senza mandarlo a fare in culo, con te mi sarebbe spiaciuto, poi sai, tra depressione e visioni mistiche son ati gli anni, cipossiamo rivedere?» Dopo circa un mese di appostamenti e telefonate da stalker professionista, raggiunsi il mio scopo. Questa graziosa ragazza nonostante i suoi ventiquattro anni era ancora vergine, le piaceva il sesso, lo praticava allegramente, ma il sacro tempio rimaneva inviolato. Eravamo amici e io insistevo, tampinavo, mezzi quasi leciti di persuasione,
tentai anche con l’ipnotismo, uno sfinimento, finché un bel giorno mi telefonò e decise che sì, sarei potuto essere io il primo! Ora, non vi ponete molte domande sul perché fosse ancora vergine, i genitori erano Testimoni di Geova, anch’essa seguace cresciuta a pane e sacre scritture, cercò una sua via differente, non ortodossa diciamo, cedendo ai piaceri della carne trovava la gioia di vivere, in sintesi: dava via allegramente il culo, ma solo quello, la bocca sporadicamente. A me stava bene anche la seconda via della salvezza, per carità, ma vista l’occasione che si mi presentava non ebbi tentennamenti.
«Ciao caro, senti, ci vediamo stasera, però devi portare un paio di CD, lo voglio fare con la musica»
Io: «Va bene che problema c'è, quali?» L’ immacolata: «Non importa, basta che siano di Gigi D'Alessio»
Per un attimo persi i sensi, un giramento di testa, forse avevo sentito male. «Non ho capito, ma sei impazzita? Cazzo sei ata da Geova a D’Alessio, cos’hai in testa, pupazzetti di marzapane?»
Comunque, per l’inviolata fessura scendo all’infame compromesso e vado alla ricerca di un negozio che venda l’improbabile musica. Abbassando la visiera del cappellino come un rapinatore per non farsi riconoscere, mi faccio coraggio ed entro:
«Ciao, mi dai un paio di CD di D’A … di D’A … di D’Alessio?»
Il commesso, commosso: «Sì certo, quali?»
Fuori di me e con le vene pulsanti sul collo, guardandolo con gli occhi della tigre: «Ascolta, io sono nato e cresciuto in un quartiere malfamato, non prendermi per il culo! Perché ci sono differenze?» Il ragazzo scusandosi mi pratica un sostanzioso sconto.
Esco dal negozio con il triste bottino in un sacchetto, cosa si è disposti a fare pur di scopare? Suor vergine arriva puntuale, ancora più bella di come la ricordassi, splendida. Dopo cinque secondi di convenevoli si aprono i giochi. Le lingue intrecciate come cesti di vimini producono energia per dieci kw-h, ma Alessandra mi blocca subito:
«Dai il CD, uffa, uffa il CD»
«Ops, mi era proprio ato di mente, chissà perché?»
Parte la prima traccia: « Nun me lassaaaaa, ammore mmioo nun lo faaa» «Madonna che angoscia devastante!», penso, mentre piango a secco.
«No dai, ti prego, non possiamo fare senza Gigi?»
La risposta è un’immersione della sua testa nei mari del sud in cerca del Kraken. Cerco di infilare il mitico esemplare ma l’animale non risponde a dovere, è barzotto, riprovo e riprovo ma niente, la regina della figure di merda è in agguato, ma ancora in sottofondo: «Vasameeee, damme nu vaaaaaaasooo».
Comincio a sudare sangue.
«Eh minchia ti prego, per favore è un supplizio, non bastano le divine punizioni di Geova? Devo subire pure il martirio di San Sebastiano?»
Ogni strofa è una freccia infilzata nella viva carne delle orecchie. Mi ricordo che pensai:«Ragazzo mio, con D’Alessio non ce la fai neanche te», mi feci forza, cercai di ricordare le lezioni di yoga e controllo mentale che svogliatamente appresi da giovine. «All’armi All’armi!» Qualcosa sembrò muoversi. Macché niente da fare, falso all’arme, allora con una mano strozzo il collo del gallinaccio a tal punto che sembra una lampadina a risparmio energetico, ma di colore viola. Infilo di nuovo: «Cazzo, ti devo deflorare, fosse l'ultima cosa che faccio nella vita» ,pensai ad alta voce. Spingo, spingo, mmm comincia a indurirsi, tac e l'imene si lacera un poco; una furtiva lagrima di sangue fuoriesce dal magico anfratto! Finalmente. Neomelodici, vil razza dannata!Fatti non fummo a penar codeste pene di pene. La strinsi a me con dolcezza e le sussurrai: « Nun me lassà», lei dolorante e un po’ scossa invece lo prese con vigore in mano, approfittando del
momentaneo turgore se lo infilò nel culo! Niente da fare, per troppo tempo aveva goduto solo da quella parte, oserei dire un piacere viscerale.
Cadono briciole dal cielo Cercai intensamente l’amore, la mia fragile anima reclamava il suo spazio, necessitava di sentimenti più profondi e duraturi. Non molto tempo dopo ebbi la più grande storia della mia vita, un amore e ionale, diquelli che si vedono al cinema, solo chestavolta il protagonista maschile ero finalmente io. Purtroppo le nostre menti in modi differenti non erano esattamente equilibrate, è stato meraviglioso e devastante, dividemmo un pezzo di vita, ognuno con le sue paturnie e suoi tarli. Mi disintossicò radicalmente dalla perenne ricerca di fica, almeno lo pensai, almeno al momento. Dedico questo racconto a chi ama e a chi ha amato, a tutti quelli che non hanno mai provatoun sentimento così violento. Questo fu l’ultimo incontro.
La sera placidamente si adagiò su Bellagio e sui due amanti, resistevano solo pochi raggi a riscaldare le spalle nude di lei, lui la cinse per la vita come per dirle: « Io sono qui». Due anime sole si sono incontrate in questo mondo spurio. Volgendo lo sguardo verso il lago Laura spostò le ciglia in un battito, pure questo gesto inconsapevole Giacomo lo interpretò come un segno divino , perché una donna così meravigliosa si era innamorata proprio di lui? Rimasero così, assorti nel tepore di fine estate, in un abbraccio talmente intenso che i loro corpi erano fusi l’uno nell’altro, nel più magnifico discorso
senza parole: “Siamo qui, io e te.” Gli occhi dei due cercarono emozioni dimenticate, i giorni allegri e i “Ti amo” persi. La bocca di Laura con la sua carnosità si schiuse leggermente per dire qualcosa, ma Giacomo ne approfittò per rubarle un bacio, il suo alito profumato lo travolse in un fuoco che divampò nella mente, la mano scivolò lentamente a sfiorarle il vestito, poi più in basso, sentiva il calore dei glutei ma non osò andare oltre. I capelli lunghi danzavano col vento, Laura tentò più volte di ricomporli ma più lo faceva e più sembrava una grande attrice di Hollywood che si prepara per il set, solo che l’attore che avrebbe dovuto baciarla non era una star, ma il suo uomo. Laura gli prese la mano e la portò a sé, faceva così quando lo vedeva in uno dei suoi momenti neri. «Cosa pensi?», non ebbe risposta, ma solo uno sguardo intenso e un’implicita richiesta d’aiuto. Nella stanza ognuno sembrava intento in una sua particolare attività, con il silenzio per compagnia, erano due pianeti fuori orbita destinati a incontrarsi e a collidere nello stesso istante, non c’erano altre possibilità, inevitabile quanto prevedibile. Lui come per scusarsi della non risposta cominciò ad accarezzarle i capelli, poi la nuca, sapeva che le piaceva essere massaggiata, era tenero nel tocco ma minaccioso sul fine ultimo; era una storia verso il tramonto, lo sapevano entrambi, qualcosa era mancato, qualcosa non coincideva e uno dei due amava meno l’altro. Questo amore che con tanta cura fu difeso e curato, fu immenso e profondo. Ancora capace tenacemente di legarli, ancora in grado di accendere il fuoco nelle vene, in ato furono una vita nella vita, due cuori puri accompagnati, purtroppo, da menti tormentate, chi in un modo e chi in un altro.
Laura sensualmente fece scivolare il vestito leggero che fasciava il suo splendido corpo, una gazzella nelle movenze, i seni profumavano come l’aria che entrando dalla finestra spingeva nel cervello l’ultima sera d’estate. Giacomo cominciò a baciarle la fossetta del giugulo tenendole una mano dietro la nuca, Laura iniziò a tremare, le sue guance avvamparono e i suoi occhi si inumidirono, tentò di ricambiare ma il suo uomo aggredì i capezzoli con famelica brutalità. Le spinte della lingua si alternavano a lente e prolungate succhiate, avrebbe voluto mangiarla letteralmente, il sapore dei suoi capezzoli sembrò irresistibile, si fermò qualche secondo, come in trance ipnotica il suo sguardo si posò sul bianco ventre; quanto l’amava, quanto la desiderava, non uno superiore all’altro, ma due sentimenti che intrecciandosi cancellavano ogni sorta di resistenza, ogni freno. Le bocche si unirono cercando la vita dell’altro, gli umori di Laura cominciarono a bagnare copiosamente le mutandine, iniziò a stringerlo così forte che a Giacomo sembrò doloroso, con due dita delicatamente le fece scivolare lungo le affusolate gambe; così nuda ed eccitata, la sua donna, il suo bene, così vicina e così lontana. Sprofondò la sua testa tra le cosce, aveva sempre amato quel suo sapore delicato quando si bagnava, iniziò a leccarla intimamente quasi a volerla scopare con la lingua, il corpo di Laura cominciò a contorcersi e a fremere, la bocca prese ad emettere godimenti balsamici per le orecchie del suo uomo. Quanta intensa può essere la vita in un attimo? Un secondo pronto a spazzare via tutto il dolore, tutte le paure, tutte le vite vissute all’ombra, tutti i ruoli da non protagonista. Ripresero a baciarsi voluttuosamente, lo preferivano a tutto, ma Laura amava il sapore di maschio come Giacomo amava quello di femmina, quindi avvolse con la sue calde labbra tutta la cappella gonfia di sangue, affondò il capo verso quel cazzo pulsante che tanto le aveva procurato piacere, volle leccare ogni suo nerbo e ogni vena, impazziva quando sotto i suoi affondi fino alla gola Giacomo sussultava di piacere.
«Sentire il corpo del tuo amato che gode per te e con te, per il tuo bene, esiste qualcosa di più grande?» Ecco, questo pensava Laura mentre copiosamente i suoi fluidi fluivano dalla fighetta stretta, come miele che cade dalla ciotola: ”Bisogna raccogliere tutto con la lingua”, così fece lui, ò la lingua tra le superbe natiche da ballerina, il meraviglioso e sodo culo ne inghiottì il viso. La prese da dietro facendo scivolare una mano sul monte di venere per sostenerla, Laura inarcò la schiena esponendo il più possibile il superbo e accogliente accesso, la vista dei lunghi capelli posati sulla schiena fu uno spettacolo atteso, lui era in poltronissima! Una magnifica visione cesellata e incastonata per sempre, nella memoria dell’anima. Entrava e usciva dalla sua amata sempre più intensamente, la ione di Laura era incontenibile, voleva essere più attiva, supplicava sesso, supplicava ancora cazzo. Le mani cercavano territori di pelle non ancora esplorati, le bocche bramose anelavano il sapore dei sessi, quanto più forte la sbatteva tanto ella desiderava più forte essere sbattuta, così Laura pensò di pasteggiare a modo suo, si girò e salì come un’amazzone su quel desiderio impazzito. Asciugò, mentre lo cavalcava, il sudore che luccicava sulla fronte del suo uomo con le tumide labbra, afferrò il viso tra le mani e infilò la lingua nella sua bocca:«Adesso ti scopo io, tu godi e basta». Il suo orgasmo si presentò più volte. Quando Giacomo capì il momento, pensò bene di prenderla con veemenza, quei capelli che prima dolcemente accarezzava, ora venivano presi in una mano come una coda di cavallo, tirati con forza affinché le sue natiche potessero sbattere violentemente contro il suo basso ventre, doveva farle sentire il cazzo nel cervello. Dolci e crudeli schiaffi sulle candide natiche cominciarono a dettare il ritmo, Laura riprese ad ansimare, ridivenne la figa da letto, i gesti sicuri e decisi del suo uomo ebbero facile vittoria su una femmina ormai preda di una serie di orgasmi, sembravano susseguirsi sempre più ravvicinati.
Giacomo aveva fame di quella bocca così desiderata quando la sognava ancora sconosciuta, le morse il labbro inferiore, mentre la penetrava, così, faccia a faccia: “Guardiamo il godimento mentre dipinge i nostri visi”. Avrebbe voluto ancora prolungare il piacere dei sensi, ma sentiva che stava per esplodere, riprese a baciarla con grandissima delicatezza, Laura lo guardò, amava questa alternanza fatta di dolcezza e cattiveria, l’intensa e copiosa eiaculazione le inondò di calore umido e di piacere bagnato la fica, lei accolse con ione la resa del suo uomo con un profondissimo bacio. Come duellanti esausti si arresero al disperato sfinimento, nessuna vittima, solo feriti. Si strinsero in silenzio, potevano udire i battiti dei cuori provenire dai corpi esausti e felici.
Laura e Giacomo si amarono così per l’ultima volta, nessun sconfitto e nessun vincitore, solo l’amara conclusione che è solo l’amore a decidere quando e in che modo cessare la sua benedizione. Videro in lontananza la piccola barca che veniva a recuperarli, tutto il lago sembrò volerli fermare, voler bloccare il tempo. I pensieri erano quelli di un lungo viaggio, vittime di se stessi. In quell’ultima notte bruciarono tutte le promesse, i bilanci sbagliati, i sogni infranti. Le luci del mattino contornavano la scena in modo struggente, i i di Giacomo si fecero pesanti fino a fermarsi del tutto. Rimase immobile a osservarla, così, senza riuscire a deglutire, andando via, Laura non si voltò. Cosa resta di una notte erotica se al risveglio diventa il sigillo di un addio? Forse è stato giusto così, cos’altro poteva aggiungersi? Nessuna parola poteva descrivere quello che provavano, nessuna favola sull’ultima volta in cui avevano fatto l’amore con dolore, la consapevolezza della perdita è stato
il prezzo di un’effimera felicità. Cos’è l’amore? Pensare ancora a lei dopo venti anni.
Chiamai la mia ancora di salvezza. «Ciao Silvia, eccomi qua, come mi aspettavo, lo sapevo, è finita» «Caspita che voce che hai, deve essere durissima, non so cosa dirti, solo il tempo migliorerà le cose, ci vediamo e ne parliamo stasera?» «Immagino, ma fa davvero male, non so, faccio fatica anche ad alzarmi per andare al lavoro, o le giornate a dormire, nel travagliato sonno penso meno a lei ma al risveglio ripiombo nell’incubo, solo che è la realtà, un incubo senza possibilità di risveglio. No, stasera no, non voglio vederti, scusami» «Come vuoi, però, fai male a chiuderti nel tuo guscio, amplifichi solo il dolore», fece Silvia con la solita flemma. «Anni buttati nel cesso, a volte ho la sensazione che non mi amasse neanche, sono stanco, sono stufo, ho una pressione fortissima in mezzo al petto» «Non dire così, siete stati anche felici, magari tra una litigata e l’altra … scherzo dai. Vi ho visti insieme, sembravate fusi l’uno nell’altra, dai non giocare, poi è vero, tutto finisce, se non ti avesse amato la storia sarebbe finita in fretta, è difficile stare con un tipo come te, cosa credi? Non ritornerai mica a fare il puttaniere, no?» «Ti preoccupi di questo adesso? Mi parli come se io pianificassi la mia vita a medio o lungo termine, non so neanche che farò a cena, figurati» «No, te lo dico perché, non vorrei che adesso ti mettessi a cercare il tuo amore in altre donne e soprattutto, pure in qualche puttana, sai, basta poco, un particolare, una ragazza che le somiglia, una che si veste uguale, un’altra che ha il suo taglio di capelli, è un attimo andare fuori di testa e non finirla più di farsi del male, potresti vedere Laura ovunque, anzi, sarà così!»
«Se penso a quanto l’amo, a quanto è bella, a come mi faceva sentire bene, calmava tutte le mie ansie solo abbracciandomi, se penso a tutto questo mi viene da piangere» «Allora piangi, disperati, piangi finché lo sentirai, non tentare di bloccare la disperazione, e quando vorrai, io sarò qui ad aspettarti» «Grazie cara, sei dolcissima, avrei dovuto sposarti, nessuno mi conosce come te, sai essere stronza o comprensiva , in base alle circostanze, ma sei sempre e comunque sincera». Silvia fece una lunga pausa e poi cambiò tono di voce: «Sposarmi dici? Chissà, magari lo hai fatto». Rimasi pensieroso, non capii cosa intendesse, a volte le piaceva comportarsi come l’Oracolo di Delfi, non le chiesi una precisazione, ero stanco del mondo e della vita. Quando si soffre per amore si diventaegoisti, le persone che ti amano vengono respinte perché non ti capiscono, così almeno ci pare, io e le mie cazzo di paturnie sembriamo essere diventati il centro del mondo! Prima, c’eravamo solo io e Laura, ora, io da solo e il mondo fuori che rompe i coglioni con le sue cazzate, tutti gli altri problemi sono cazzate, sono io che sto male, solo io conosco l’entità del mio dolore. Che squallida e misera esistenza, non è così l’amore, questa è solo una pallida e scolorita imitazione. Ritorno al ato, ritorno al futuro Pagare una donna per fare l’amore, c’è qualcosa di più insensato? Ma come, io faccio la fatica di scoparti e ti devo anche pagare? Massimo Fini
Come ho iniziato a frequentare le donnine di facili costumi è nota, perché smisi anche, ma come e perché ricominciai? La lunga pausa presa per necessità e per stanchezza, durò giusto il tempo per ritrovarmi sul set di un film fantascientifico. Fui proiettato nel futuro. La realtà si confondeva con il virtuale, carne e pixel insieme, nuovi termini
da imparare in fretta, la rete entrò anche nel mondo della prostituzione, trasformandola. Era tutto cambiato con l’avvento di internet, le stradali erano sempre lì per carità, ma molte si spostarono in casa. Con il nostro Paese non si scherza, non ci fu il rischio di trovare al mio ritorno la prostituzione regolarizzata, meglio lo scempio spettacolare riverso in strada e foraggiare le varie mafie, il progresso non si ferma, in Italia però viene parecchio rallentato e osteggiato. Ho fatto in tempo a vedere mezzo mondo stando seduto comodamente in auto, si sono succedute sul trono del mio ribaltabile: italiane, cubane, venezuelane, colombiane, nigeriane, albanesi, uruguaiane, argentine, brasiliane, lituane, rumene, ucraine, ecuadoregne, greche, cinesi, bulgare, ivoriane, moldave, russe, uzbeke, marocchine, tunisine e raramente pure qualche spagnola e una tedesca, qualche nazione è sicuramente dimenticata. Andare con le stradali non è mai stato un problema per i clienti, voglio dire, nessun tipo di lampeggiante dava particolarmente noia se non per i normali controlli, ma un bel giorno, grazie al pacchetto sicurezza emanato dal governo, qualche intelligentissimo amministratore comunale ideò e mise in atto le ordinanze anti prostituzione. Naturalmente fu fatto per il bene delle ragazze e dei cittadini, ogni comune si ingegnò su modalità e cifre, a Milano le multe erano di circa quattrocentocinquanta euro con verbale e lettera recapitata a casa, dove in burocratese veniva comunicato che eri stato a zoccole; con grande beneficio della pace familiare. Capitò anche a me, due volte. C’era da ridere se non fosse che in questi anni, oltre a famiglie rovinate ci furono anche gesti estremi, basta fare una ricerca sul web e troverete nomi e cognomi. Voglio solo ricordare un ragazzo che festeggiò l’addio al celibato nel più classico dei modi, in un locale hot con gli amici. Ebbro di felicità e doverosamente eccitato, tornando a casa si appartò con una bella ragazza di strada, la polizia comunale li sorprese: multa e sequestro del mezzo, il giovane lì supplicò di lasciar correre almeno per l’auto, l’indomani mattina si sarebbe sposato, l’agente in divisa mostrò coraggiosamente tutta la sua
inflessibilità al pericoloso e incallito criminale, niente da fare. Il ragazzo in preda alla disperazione, che spesso annebbia la menti dei più fragili non facendo vedere vie di uscita, si impiccò ad un albero a poche centinaia di metri da casa. Il comune incassò i soldi insanguinati e il bilancio fu salvo, per fortuna. Come dicevo, internet cambiò in meglio, gran parte di questo mondo. Gli annunci cominciarono ad essere visibili su siti web generici, solo un po’ mascherati e ammiccanti, poi in portali specializzati con tanto di foto e descrizione, fu lo sdoganamento delle ricercate escort, prima bollate come “puttane di lusso”. Il livello delle ragazze e i prezzi si abbassarono lentamente, aumentando però la quantità e l’accesso al servizio semplificato, la prostituzione intanto, non si è mai completamente spostata dalle strade agli appartamenti, più che altro il mercato fece da solo ciò che lo Stato inetto non volle e non vuole fare, si autoregolamentò. Dopo la mazzata sentimentale feci fatica a riprendermi, fu difficile per me anche solo conoscere biblicamente una donna a pagamento, creai un periodo cuscinetto, una sorta di camera di decompressione: mi ammazzai di seghe in sostanza. Divenni Onan il barbaro, un maestro della masturbazione, un dodicenne voglioso in un corpo maturo e stanco. Cominciai diligentemente a catalogare e a dividere, studiare e recensire, insomma le cose vanno fatte bene altrimenti meglio rinunciarvi.
Come ci si ama
Sega Commemorativa: fatta pensando ad una ex morosa con la quale si fecero i fuochi d’artificio come alla festa di Santa Lucia.
Sega Celebrativacon dedica: per la vicina di casa, la collega d’ufficio o la splendida commessa. Sega Antistress: quando si è nervosi per scaricare la tensione. Sega Valeriana: prima di coricarsi per conciliare il sonno. Sega Mediatica: da Postalmarket a Tilt, da Le Ore a Supersex, dalle pellicole col proiettore alle VHS e ai DVD, fino a Youporn. La più diffusa. Sega Obbligata: fatta con urgenza come se fosse una pisciata; dopo due ore di magiche visioni in palestra o per circostanza in cui l’enorme eccitazione dovuta alla vicinanza coatta di fica ha fatto impennare il livello ormonale. Sega Ciliegina sulla torta: eseguita al ritorno da una fantastica sessione amorosa, quando si ha ancora voglia di lei. Sega Interattiva: chiamata webcam con ragazza free o pay, numero 899 o la telesega di monicelliana memoria. Sega Alice: prodotta da voli pindarici fatti sulle ali della fantasia, senza apparenti legami logici o di senso compiuto, riguarda tutto ciò che non è permesso o voluto nella realtà. Sega Ritardante: prima di andare a un incontro con una bellissima che fa emozionare. Mai praticata ma mio cugino mi ha detto che si può fare. Sega Triste: fatta per mancanza immediata di una donna o i necessari fondi per andare a prostitute. Sega Visto che ci sono: sotto la doccia dopo la terza scappellata. Sega Freud: polluzione notturna o sogno bagnato, può capitare di smanettare il fringuello inconsapevolmente.
Ora non guarderete più il vostro amico con gli stessi occhi, dite la verità, pensavate di farvi delle semplici pugnette? Vi ho complicato la vita ulteriormente.
Ammansire la bestia Arriva un giorno, un brutto giorno in cui ti sorprendi a guardare il soffitto in stato comatoso. Non hai una ragazza nè una amica compiacente che possa alleviare lo sconforto ormonale, non puoi permetterti una puttana, neanche una di quelle economiche, hai un monte di bollette da pagare che ti aspettano dormienti sotto un fermacarte, anzi, proprio la bolletta della luce ti muove le palle a giostra, è un problema di conguaglio, sono cento euro in più, allora pensi a cosa potresti farci con quella verde banconota, ma non puoi spenderla, cosa fai? Guardi desolato il porcellino che ti supplica di non ucciderlo, dai un occhio alla carta di credito usurata, fai qualche conto ma non esce niente in più, quindi viri le tue mire sul free, prendi l’agendina e spulci il numero di qualche ex alle quali piaceva succhiarti anche l’anima, poi desisti riflettendo sulle conseguenze di tale gesto, inoltre, tu ne hai bisgno subito, vuoi scopare adesso, ora hai voglia di fica! Che fai? Consideri il computer e i miliardi di siti porno che potresti visionare, non ti ferma certo il pericolo di un possibile virus che sicuramente scaricherai, ma solo la depressione che ti attaneglierà subito dopo l’orgasmo. La prostrazione con il porno deriva dalle seguenti considerazioni:
Primo: ”Cazzo! Che fica e porca sta ragazza, possibile che io non ne incontri mai una così?” Secondo:”Guarda quell’attore, brutto e vecchio ma si scopa ste fiche, lo pagano anche!” Terzo: ”E questo? Ha una trivella petrofilera al posto del pene!” Quarto: ”Avresti dovuto fare anche tu l’attore porno, ma relativamente al punto terzo non è stato possibile”. Quinto: ”Alla mia età sono ancora qui a farmi le seghe!” Sesto: ”Maledici te stesso, Dio o la natura matrigna per i punti primo, secondo, terzo, quarto e quinto”.
Allora prendi le scarpette adatte e ti fai cinque chilometri di corsa, aiuta senza dubbio, almeno nell’immediato, scarichi molto stress e metti in circolo un mucchio di endorfine, ma dopo un paio d’ore ti senti ancora più voglioso di prima, sei in forma e pieno di sperma. Il nuoto? Peggio. Ti butti su un libro, magari un film, ma trovi sempre un personaggio femminile che eccitandoti la fantasia ti scatena il desiderio, una bella eggiata in centro? Sarebbe da veri pazzi, non è possibile, sai quanta giovane e piacente gnocca incontreresti sulla tua strada? Si paleserebbero con vestitini corti o minigonne, leggins attira cazzi o jeans tirati su fino a formare lo zozzolo di cammello, seni con capezzoli d’acciaio sfreganti il sottile cotone delle t-shirt, profumi e lunghe chiome ti sfiorerebbero allo struscio, no, non è possibile. L’eccitazione comincia a fondersi al giramento di palle, a fine giornata entrambe lasciano il posto alla depressione. Ti butti nel lavoro? Sì certo, ma dipende con chi lavori, colleghe in vista ce ne sono? Perciò, come calmare l’animale? Doccia fredda? Magari bastasse quella. Dopo dieci giorni di agonia una mattina ti tocchi sotto le lenzuola, non è una vera sega ma più una regressione a babbuino, sei talmente pieno che basta sfiorarsi e erutti interi panetti di burro, non devi neanche pensare a qualche immagine erotica, eiaculeresti pure con la foto di Bossi. Poi, aspetti da bravo, attendi la busta paga o qualche fattura da incassare, rimani in trepidante attesa per scoparti la nuova figa giunta dal Brasile, già pregusti l’incontro, già assapori il godimento, ritorni al punto di partenza, tutti ritornano lì, come un trenino che gira intorno, in mezzo ad aspettarti, la fica, sempre lei, la tua felicità e la tua condanna. Da giovane ero felice, non so perchè veramente, di essere nato maschio, forse perchè non avrei avuto le mestruazioni, poi crescendo mi sono ricreduto in fretta. Dal punto vista sessuale nascere maschio etero è un supplizio, una perpetua tortura, l’ eterna lotta tra desiderio e appagamento. Anche la donna più brutta avrà sempre una miriade di possibilità per scopare, l’uomo invece? Il solo fatto che paghi, è per l’uomo una sconfitta biologica e non un vantaggio, o peggio, una mancata emancipazione femminile, come
asseriscono alcune femministe, il maschio nasce perdente, anche in natura è così, ed è prorio questa consapevolezza che ha fatto nascere il maschilismo. Un potere nato e sviluppato in milleni di prevaricazione per frenare l’immensa forza femminle, una forza che spaventa ogni uomo, che cerca in tutti i modi di irretire e contenere lo sviluppo di questa magnifica entità, altrimenti sfuggeggente, libera e potente. L’uomo e la donna sono in perenne conflitto, combattono per vincere la battaglia della seduzione, il dominio sull’altro è un fattore predominante, si à ogni arma e stratagemma per il fine ultimo, l’uomo lotta ma ne esce sempre perdente. Che cos’è la violenza sulle donne se non la frustrazione di un maschio immaturo? Un maschio consapevole che se abbandonato farà un’immensa fatica a riconquistare un’altra donna, al contrario quest’ultima, una volta sola rifiorirà prendendosi cura di sè, l’uomo tenderà ad avvizzire. ”Mi respingi o non fai come dico? Ti bastono o ti violento, reagisci ancora e non ti arrendi? Allora ti uccido; se non puoi essere mia, non sarai di nessun altro”, il terrore di perdere il controllo. La violenza dell’uomo sulla donna è paura, un bambino frustrato che non accetta il diniego femminile, si agita e batte i pugni, questo è il maschio. Ci spaventa tutto di lei, il suo complesso modo di godere, il suo ricercare il piacere in modo cervellotico, il suo orgasmo, anzi, i suoi innumerevoli orgasmi, che al confronto il nostro, pare poco più di una pisciata. La condanna costante nel non sapere cosa vuol dire sentire una vita che ti cresce dentro e sapere invece,che per il nascituro, tu sarai sempre il genitore B, per quanto possa essere una madre stronza e indegna, ella sarà sempre il genitore A. Siamo grossi fuchi impiegati per fecondare la regina, altri scopi di utilità rimangomo tutt’ora oscuri. Allora, fantastichi di fare molti soldi, di vincere alla lotteria, per poterti scopare le grandi fiche che vedi in giro, pagate direttamente o indirettamente attraverso regali e bella vita, e sopratutto perchè sai, che solo diventando ricco ti permetterà di avere l’harem dei tuoi sogni. Il solo sognare queste cose ti rende sconfitto, ne esci perdente perchè dovresti essere apprezzato per ciò che sei, per quello che puoi dare in termini di amore e di fiducia, ma sai che non è così, e cominci a pensare che in fondo, le donne sono tutte delle puttane, chi non lo sembra è perchè lo occulta bene. Ma le donne sono le prime vittime di questo mondo, hanno solo
affinato meglio le tecniche di sopravvivenza. Se ci si chiede se è nato prima la puttana o il puttaniere, si rimarrà senza risposta: chi ha offerto per primo denaro o favori e chi il sesso? Ma una domanda forse utopistica io me la farei: chi smetterà per prima di offrire o richiedere? Anche qui la domanda rimarrà senza risposta, ma quando una di queste due cose avverrà, sapremo di essere entrati in una nuova era. Decisi di finirla con il lavoro di falegnameria quando assunsi le sembianze di uno zombie di Romero e casa mia era diventata il Gabinetto del Dottor Caligari.
“Centro massaggio orientale”, così recitava l’insegna, il primo centro di una futura e superflua pletora. Volli provare questi nuovi centri massaggi cinesi, mi accorsi da subito, amaramente, che sempre di seghe si trattava: etero seghe, nulla a che fare con l’antico e nobile massaggio Tuina. Ammetto però che ne amavo il contesto: l’estrema gentilezza delle pseudo massaggiatrici, la musichetta da film di Bruce Lee in sottofondo, la caramellina e il bicchiere d’acqua offerti prima e a fine trattamento. Davano pure la carta fedeltà, cosa potevo volere di più? Spesso entravi e alla cassa ti accoglieva una splendida mandorla dai capelli setosi, questa però fungeva solo da specchietto per i tordi come me, perché poi mi si rifilava lo scaldabagno a rotelle o il toporagno. I primi centri che aprirono a Milano non facevano pubblicità come ora, li trovavi per caso ando in una via in cui ti eri perso o per il aparola tra amici, erano pochi e le leggende cominciarono presto a farsi largo nelle menti fantasiose dei cazzari. Chi giurava di aver ricevuto un massaggio da Lucy Liu in persona, chi asseriva che un suo amico una volta entrato in un centro scomparve, altri in preda a qualche delirio, sostenevano di essere stati massaggiati gratis perché erano belli, grossi sotto la cintola e brave persone.
Chiedevi subito l’indirizzo di questi pseudo paradisi orientali, ti fiondavi immediatamente con il teletrasporto, ma poi scoprivi mestamente che ad aprirti la porta era il ripieno umano di R2-D2, che eri anche tu improvvisamente diventato bello, ma sempre trenta euro dovevi sganciare per farti dire che eri grande in mezzo alle gambe. Altri venti o dieci per raccontare agli amici che Lucy Liu ti aveva segato.
Così, anche tu eri entrato in un amen nel gorgo delle immani cazzate. Il successo fu enorme, si moltiplicarono a vista d’occhio. Non tutte le ragazze concedevano il famoso finale felice, quindi a volte uscivi unto e bisunto ma non spurgo. Se andava bene, tra massaggio e risatine, extra per il lavoretto, magari in doccia o in vasca, uscivi alleggerito nell’animo e nel portafogli, rapporto prestazione/obolo pessimo, per le stesse cifre virai verso altri ameni lidi. Via, alla scoperta di un nuovo centro. Oggi, all’interno di questi centri viene concesso di tutto e di più, sia per la concorrenza sia per la crisi economica. “Stesso plezzo più plestazioni”. Ora se vai, puoi chiedere anche un’orgia su un letto di ravioli al vapore e sarai accontentato. Addio mie amiche di: «Tu belo, tu blavo, tu cazzo glande», vi ho voluto bene, specie quando vi sorprendevo dormienti sui divani finta pelle, mi avete intenerito quando fra una masturbazione e l’altra mangiavate un frugale pasto all’aglio, finalmente rilassate e allegre. Grazie a te, che non ricordo il nome, ma che mi facesti schiantare dal ridere perché dopo una mia copiosa eiaculazione,asciugandomi apristi i fazzoletti e con candore: «Gualda quanti bambini, tutti buttale ola, peccato!» Comunque grato. L’antica saggezza cinese conosce bene la natura del merlo maschio, siamo come bimbi tonti, amiamo l’illusione ed essere coccolati. Le cinesi però, non sapevano che all’uomo italiano se viene chiesto cinquanta concede settanta, perché è brillante, o almeno piace darlo a credere.
In realtà sta cosa dell’italiano che esibisce lo splendore teatrale me la dissero amiche bulgare e rumene, ma mentre lo dicevano ridevano, chissà perché, non l’ho mai capito. A questopunto meglio vivere in una fantastica illusione che in una pessima realtà, lasciatemi sognare. Perché essere prodighi sempre e comunque? Nacquero come una sorta di spin-off anche i centri thailandesi, stessa cortesia orientale, le similitudini finivano qui però, erano posti più dignitosi: ambienti curati e puliti, alcune ragazze davvero splendide. Ovviamente cambiava anche il tariffario, ma i servigi offerti furono da subito eccezionali. Da sempre invece, presenti in città, quei centri con personale italiano o europeo, ultimamente sudamericano o dell’est Europa, in cui si accede a ogni servizio pagando il dovuto, raramente si esce scontenti. Bisogna sempre considerare che quando si va in un centro massaggi, si paga per avere un massaggio ed eventualmente un extra, paghi il pacchetto, naturalmente si può personalizzare il tutto, ma personalmente se voglio farmi fare un massaggio serio vado da una professionista del settore, se voglio una prestazione sessuale vado da chi mi può dare questo servizio, a volte però, eccezionalmente, entrambe le scelte coincidono in modo eccellente.
Vetrine virtuali, missili e trappole per topi
«Due cose hanno importanza nella vita, le puttane e la mia parola, e le ho sempre onorate entrambe». Al Pacino in Scarface
Davvero ipnotiche le notti ate davanti al monitor, una novità strabiliante per me.
Sfogliavo e sfogliavo annunci, in un crescendo di eccitazione mista ad incredulità regalai al web almeno un paio di diottrie. Ragazze belle come modelle di Playboy si palesavano a me, per giunta disponibili a farmi compagnia; telefonavi, ti mettevi d’accordo e il gioco era fatto, semplice no? No, per niente. Ora, sempre meglio degli annunci sui giornali sia chiaro, ma i pacchi in arrivo furono davvero tanti. La prima attrice fu una brasiliana.
«Pronto ciao, mi chiamo Luca, ti disturbo? Ecco, ho chiamato per l’annuncio, volevo sapere qualcosa in più»
«Sì ammore, io fascio tuto, nessun limite, vieni subito, per una cosa tranquilla il mio regalino parte da centocinquanta». Che poi, sta cosa tranquilla non l’ho mai capita, vorrei vedere che non lo fosse con tale cifra, e infatti, alcune volte paradossalmente mi capitò che non lo fosse, quanti soldi buttati.
«Ah, capito, certo, senti l’unica cosa, sei davvero tu quella delle foto? Sai scusa, te lo chiedo perché sei proprio il mio tipo fisicamente, un sogno che si avvera»
«Ma scerto ammore, per chi mi hai presa?»
Tanta sicurezza mi tranquillizzò, perché una persona dovrebbe mentire facendomi perdere tempo e perderne a sua volta?
Arrivai all’appartamento, la porta si aprì magicamente e ne uscì una manina tozza , vidi solo quella, agitata nervosamente capii di dover entrare. Rimasi perplesso per qualche secondo ma poi decisi di entrare.
«Salve, sono venuto per Leticia», attimi di gelo.
«Sono io ammore» , mettendomi una mano sul pacco: «Ah che belo casso duro che hai», in realtà molle e soffice come un marshmallow.
«Vacca pezzata, è la sora Lella da giovane, che devo fare?» Mi domandai atterrito.
«Ma tu non sei quella della foto, mi dispiace, vado via»
Qui la sosia brutta della sora Lella divenne Chuck Norris in gonnella, cambiò atteggiamento repentinamente, il Golem delle puttane si destò!
«No adeso tu me paghe, me hai fatto perdere tempo! Le foto sono un po’ vecchie ma sono io»
«Ascolta, le foto saranno pure vecchie ma cazzo tu sei esplosa, ti sei anche abbassata di venti centimetri? Cos’è? Ai confini della realtà?»
L’essere grottesco mi si para davanti alla totem maniera, impedendomi di
uscire. Non sapevo cosa fare, ero arrabbiato ma anche imbarazzato dalla scena, stavo per cedere ma poi pensai che davvero me ne sarei pentito.
«Senti cara, o ti sposti o ti alzo di peso rimettendoci un disco lombare, ma giuro che lo faccio!» Forse pronunciai queste parole con reale convinzione, la fermezza in quel caso pagò. La “dolce” Leticia si spostò con la leggiadria che immaginerete, ci aveva provato, in fondo, prima di me quanti erano rimasti tra le sue grasse braccia? Il mio fu un caso estremo ma non tanto infrequente, ne seguirono molti altri meno eclatanti, una ex peripatetica un giorno mi illuminò a riguardo. Mi disse, che le ragazze facevano leva sulla legge dei grandi numeri; molti maschietti arrivano all’incontro pieni come zeppole di S.Giuseppe, si accorgono che la ragazza non è la stessa, ma vuoi il viaggio per arrivare, vuoi il permesso preso al lavoro, vuoi il cervello pieno di crema, incredibilmente, la maggioranza rimane, magari chiedendo uno sconto. Oggi con gli smartphone e tablet vari, il fenomeno si è ridimensionato, anche se rimane qualche sacca di resistenza, Photoshop ne ha fatti guadagnare di soldini a queste paccare. Tuttavia, adesso un cliente può andare all’incontro come un novello Rembrandt portando con sé la tela elettronica, agitarla da invasato e urlare: «Vediiii? Dai non sei tu».
Consiglio del buon pastore: se dopo tutto vi dovesse capitare un episodio simile, ma la ragazza piacervi ugualmente (improbabile), chiedete almeno un forte sconto, se vi risultasse repellente e siete ancora lucidi, andate via senza troppi problemi.
Il pericolo è senza nome Trent’anni dopo Una fredda e umida notte milanese. Un uomo corre come impazzito in mezzo alla strada, le auto a forte velocità cercano di evitarlo rischiando un incidente. Bianco come un cencio si agita e urla qualcosa nel cellulare, si volta, due uomini lo inseguono. Lo stanno per raggiungere. Quell’uomo sono io. Il bambino seduto al bar una sera d’estate, divertito e a tratti annoiato per i discorsi dei vecchietti, non avrebbe mai immaginato di potersi trovare da adulto in una situazione così drammatica , solo per farsi una sana scopata.
Non era una sera come tutte le altre, c’era qualcosa dentro che mi agitava, la noia era la base del malessere ma una piccola angoscia cominciò a farsi strada, non avevo voglia di sesso né di contrastare quello stato, sapevo però che se mi fossi lasciato andare sarei stato peggio, sarei stato male per giorni, così ripiegai sul mio hobby maledetto, forse sarebbe bastata un bella chiacchierata con un amico o una sbronza fino a perdere i sensi, purtroppo è andata diversamente.
Cerco tra molteplici annunci la mia compagnia su internet, scovo un nuovo sito e trovo una ragazza italiana, solita intervista telefonica, la bella mi rassicura su tutto, anzi mi offre più di quanto richiesto, dice a tutto sì, un camlo d’allarme ignorato, ma penso che al massimo farò un viaggio a vuoto, sto morendo e non voglio stare a casa, vado. Arrivo in anticipo all’indirizzo datomi, il numero civico comunicato spesso cambia, lo fanno per osservarti, una questione di sicurezza, anche questa volta succede così, mi conferma infatti la scenetta, lei è nel palazzo di fronte rispetto all’indirizzo in cui mi ha spedito. Sto per entrare e vedo due tizi dentro un’ auto parcheggiata sul o carraio, giovani, ventenni direi, veloci scambi di sguardi, normale direi, percepisco solo una strana
sensazione indefinibile, ma tale rimane e salgo dalla mia bella. Lei mi apre ed è molto carina, stranamente meglio che in foto, ma a volte succede. La casa è in ordine e pulita, ma spoglia, noto distrattamente dei videogiochi sul tavolino della sala, l’immagine ricevuta è quella di un campo profughi lustrato. Una scena vista molte volte quando ero soldato, a ogni ispezione in caserma o al campo, tutto lo schifo e il disordine sparivano e ogni cosa diventava monacalmente perfetta. Un ordine di facciata. Saldo il pattuito e mi avvicino cercando di spogliarla, mi ferma dicendomi che deve andare in bagno, ma che posso spogliarmi io, anzi devo, così ottimizziamo i tempi. Io invece mi siedo e guardo in giro, non so, non sono sereno, c’è un’atmosfera bizzarra, come di attesa. In bagno ci resta un po’, non esce, busso e le chiedo se sta bene, non ottengo risposta.
Esce e irritata quasi mi sgrida: «Ma non sei ancora nudo?»
«No, aspettavo te», accennando un timido sorriso, inizio a spogliarmi, lei mi segue ma toglie solo il reggiseno e mi guarda nervosa, a questo punto capisco tutto, avete mai provato quella sensazione in cui sapete un attimo prima cosa sta per succedere?
Sono agitato, percepisco nettamente il pericolo, voglio andarmene. Riguardo bene i videogiochi, ah ecco, sono tutti di calcio e di auto, le chiedo: «Hai dei figli o ti piace il calcio?» Non risponde, Pes e Fifa, tracce di presenze maschili. Ma ci sono arrivato tardi, gli ormoni impazziti hanno avuto un ruolo decisivo nell’annebbiarmi la mente.
In quel momento suonano alla porta, poi si sentono dei forti colpi, la ragazza corre ad aprire, io cerco di rivestirmi, ma in un attimo sento gente entrare, sono i due che ho visto poco prima in auto, velocemente mi sono addosso, urlano e sbraitano, uno mi colpisce con un pugno, accenno a una reazione ma il compare caccia un coltellaccio e me lo agita a pochi centimetri dal viso. Provo a rimanere freddo e lucido, per quanto umanamente possibile in una circostanza del genere, cerco di ragionare: sono al sesto piano e dalla porta non posso uscire, i soldi li hanno, alla peggio me ne chiederanno altri. Intanto si divertono a giocare al criminale perfido e a quello cattivo, il bastardo del pugno mi dice che è la sua ragazza, mi chiede beffardamente cosa stessi facendo con la sua fidanzata, l’altro contemporaneamente chiede comprensione per la situazione, di capirlo perché il suo amico è geloso, in fondo ci hanno “sorpresi” seminudi insieme. Tutto ben studiato, non c’è che dire. Allora, fintamente mi scuso, dico che possono tenersi i soldi ma che voglio andare via, che comincio a stare male. Continua la commedia: «Come, le hai dato dei soldi?», io annuisco e lui molla un cartone alla ragazza, la quale scoppia a piangere, la insulta e le urla qualcosa in dialetto napoletano. La tensione è altissima.
Nel frattempo mi dirigo lentamente verso la porta d’ingresso, penso di aver capito il giochino ma devo uscire da quel posto, spiego che c’è stato un malinteso, avuto il denaro mi lasciano andare facendo ancora un po’di scena, mi dicono di non farmi più vedere. Ho il battito cardiaco accelerato, ho ancora molta paura pur avendo capito il teatrino, ma decido ugualmente una volta fuori dal portone di chiamare la polizia, perché penso che i due andranno subito via per non farsi trovare e comunque devono pagare per quanto fattomi.
Mi dirigo verso la mia auto, sono in contatto col 113 e cerco di spiegare: «Guardi, sono stato aggredito, ero in un appartamento», una voce femminile gentile ma ferma mi chiede più informazioni: «Si sente bene ora? Ha ferite? Dov’è in questo momento?», sento delle urla provenire da dietro; sono ancora i due pappa truffatori, si sono accorti che sono al cellulare e cominciano a correre verso di me, nel panico non trovo più le chiavi dell’auto, mi giro e vedo nel buio una lama che brilla in mano ad uno dei due. Decido allora di correre verso la strada sperando che desistano dall’inseguimento, ma non è così, urlo alla poliziotta con la quale sono in contatto che mi sono ormai addosso, lei mi dice che i colleghi stanno arrivando ma di non interrompere la comunicazione. Facile a dirsi. Attimi eterni, difficile pensare, difficile ragionare. Le auto suonano ma nessuna si ferma davanti ai miei gesti di aiuto, sembra che i delinquenti siano dall’altra parte della strada, ma mentre ho finito di attraversare uno me lo trovo davanti, che faccio? In pieno terrore, ho perso le speranze. In lontananza c’è un segno, finalmente vedo i lampi blu che squarciano questa notte nera, sono arrivate due auto della polizia, gli agenti scendono e ne bloccano uno, quello senza coltello, l’altro si dilegua in una stradina secondaria. Seduto sul marciapiede, stanco e affranto, cerco di spiegare l’accaduto, ma i poliziotti mi chiedono se i soldi li ho consegnati spontaneamente o no, capisco che il giochetto è stato studiato bene, mi chiedono se voglio denunciarli, rispondo che no, se mi ridanno i miei soldi, gli agenti convincono il bastardo catturato a restituirmi il mal tolto. Nel frattempo fanno scendere la ragazza con i soldi, la guardo con pietà, ma lei, falsa vittima e sprezzante: «Sei un pezzo di merda, figlio di puttana!» Faccio fatica a riprendermi, infatti un poliziotto mi si avvicina e domanda se ho bisogno di un medico o se sono ferito; «No grazie, voglio solo andare a casa e dimenticare».
Mentre la doccia puliva dal mio corpo gli ultimi odori della città, il dolore e lo spavento lasciarono spazio allo sconforto. Perché un uomo doveva correre questi rischi per stare con una donna? Dove vivevo? In che Paese? In che società? Chi o cosa permetteva questo degrado? Feci alcune riflessioni sullo smettere, finirla col cercare puttane per il pozzo nero in cui ero precipitato, nessuna puttana mi avrebbe aiutato a venirne fuori, la scopata ero solo un placebo illusorio e intensificando gli incontri aumentava anche il rischio di fare simili incontri. Il giorno dopo meditai se denunciarli o agire diversamente, presi la mia decisione una settimana dopo.
Segreteria telefonica:
Ore 11:10: «Richiamami appena puoi, un bacio» Ore 15:54: «Pronto? Sono preoccupata, appena puoi richiama» Ore 21.23: «Sono Silvia, sono due giorni che ti chiamo, che fine hai fatto?» Ore 23:25:«Lo accendi almeno questo telefono? Dove sei? Ti aspetto». Dopo l’ultimo evento ai molto tempo da solo, mi sentivo come se fossi stato scaraventato fuori da un treno in corsa, non mi rendevo ancora bene conto cosa fosse successo ma sentivo distintamente le ferite bruciare, lesioni impercettibili a occhio nudo. Non chiesi aiuto e feci male, come risucchiato da un vortice, per qualche ragione cercai esperienze al limite, forse per misurare la mia sopportazione ma più probabilmente qualcosa in me era attirato dal lato peggiore dell’umanità, inesorabilmente. Ero deluso e ferito ma non abbattuto, invece mi sentivo animato da uno spirito bellico, in mezzo a una guerra che nessuno mi aveva dichiarato, si trattava solo di capire in che modo mi sarei autodistrutto. Silvia mi avrebbe
aiutato e mi avrebbe anche capito, ma non volevo coinvolgerla in alcun modo, lei aveva una vita normale ed era felice, credo che l’amicizia può essere anche rinuncia, può essere anche un addio, per questo non la richiamai più. Ripresi, peggiorandola, la mia vita.
Lo scarabeo stercorario
La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Franco Basaglia
La mia natura è questa: raccolgo merda e me ne nutro. Di rado inconsapevolmente, il più delle volte vado proprio a cercarla, ne faccio una bella palla e me la porto a casa. Non mi sono mai curato del biasimo della gente quando mi vede trasportare faticosamente la palla di merda, vado avanti sulla mia strada, a volte ci sono ostacoli apparentemente insormontabili, allora mi fermo a pensare, aggiro il problema o semplicemente comincio a divorarla sul posto. Sono conscio del fatto che potrei essere schiacciato da un ante o infilzato con uno spillo e messo in una teca di vetro, non mi interessa neanche questo, forse rinascerò in un altro posto e in un’altra epoca dove mi andrà meglio, del resto nell’antico Egitto ero considerato sacro, perché non potrebbe ricapitare? Il lato positivo della faccenda è che sono in pochi come me, di conseguenza, non devo lottare poi molto per recuperare sterco, metteteci anche il fatto che a me basta poca merda, non sono ingordo. Certo, non è sempre semplice fare una palla di escrementi, perché come in tutte le cose bisogna avere metodo e precisione, nel mio caso devo impastare il materiale spesso ancora caldo, l’odore è forte, mi sporco tutte le zampette e mi rimane addosso la puzza. Quando vengo attaccato dagli altri insettiduello crudelmente, non
lascio la palla e gli avversari quando si accorgono che è solo merda mi lasciano in pace, allora, continuo nel mio tragitto verso la tana. Non mi vedrete mai frugare nella merda, io mi ci tuffo proprio dentro fino a scomparire, quello che per voi è l’ultimo prodotto di scarto per me è fonte di vita, ho una mia eleganza, danzo sulla mia bella palla per orientarmi e ho un certo stile nell’avanzare. Tutto qui, del resto se il mio creatore mi avesse voluto farfalla mi avrebbe munito di splendide ali colorate, e ora, voi non avreste quell’espressione schifata disegnata sul volto, non importa, possiedo una dura corazza a protezione e ho lo stesso vostro identico diritto di vivere in questo mondo terracqueo.
Faccia di cane La notai subito, Dio creò una simile creatura per qualche ragione, doveva essere molto recondita però, perché tutt’ora me ne sfugge il significato. Sporca, vestita come Madonna agli esordi,infilò la sua unta testa nell’auto dal lato eggero aggrappandosi con le tozze zampine come fanno i cani quando annaspano in cerca d’aria, una zaffata al gusto vino penetrò nell’abitacolo colpendomi in pieno, notai del nero sotto le unghie, c’erano tutti i presupposti per la catastrofe e così fu. «Ciao, per cinquantamila facciamo tutto, in albergo ho tutto per il sadomaso, ho anche le videocassette porno, possiamo stare un’ora», da buon scarabeo riconobbi subito la merda e accettai al volo la proposta senza contrattare. Parlava, parlava in continuazione, la sua faccia assumeva grottesche espressioni come quelle dei vecchi avvinazzati seduti ai tavolini dei bar, i suoi piccoli occhi brillavano al buio, mi parve un ratto che squittendo urla la sua voglia di restare al mondo, rassegnato accettai la mia sorte col distacco di un monaco tibetano. Qualche minuto prima di giungere all’hotel il silenzio lasciò spazio ai pensieri. Faccia di cane: «Fatti mangiare e bere, non mi scappi» Io: «Pezzo laido e informe di femmina, fuggire ora sarebbe come non vivere, la vittima ha un suo ruolo preciso, dignitoso nella morte»
Faccia di cane: «Non posso farne a meno, sei troppo goloso, fammi provare, cosa c’è di strano? Stammi più vicino» Io: «Cammina sul mio corpo, strazia la mia pelle e riduci a brandelli la mia fiducia, io volevo scoparti ma tu gioca pure al bersaglio, spazza via questa eterna e inesauribile voglia di figa». Le ai il denaro per pagare la stanza, l’anti-donna addusse una scusa e scappò via, il portiere mi guardò con pietà mista a stupore, abbassai la testa come quando si sbaglia un calcio di rigore. Derubato e frustrato mi incamminai verso l’auto meditando la vendetta. Sono la contraddizione di me stesso, sono all’asta ma bisogna fare presto, sfiorisco a ogni sussurro di vento. Ritrovai la Signora qualche giorno dopo nel punto preciso in cui la caricai la sera del misfatto, con la stessa e inconfondibile faccia di cane. Inchiodai l’auto in mezzo alla strada e presi a inseguirla, col suo fine fiuto mi riconobbe subito e fuggendo cominciò a gridare: «Aiuto, Ciro aiutame, Ciro arò stai?» Da un vicino tombino emerse Ciro: «Lascia stare la mia donna!» In questa breve frase è racchiuso il segreto del genere umano, chi ne coglierà l’essenza ne svelerà l’arcano e sarà libero dalle catene dell’ignoranza. Basito osservai la pantegana e mi permisi una fine osservazione: «Quale donna? Ah, sta zoccola di merda!», Ciro mi raggiunse e come una furia si scagliò contro di me, gli rifilai una testata che lo fece barcollare e infine cadere, un marocchino giunto dall’Africa appositamente per rompermi i coglioni mi trattenne da dietro, mi voltai e lo afferrai per il collo stringendo più forte che potevo, lasciai la presa perché da dietro potei udire il latrato di Faccia di cane: «T’accire omm è merd!», brandendo una bottiglia rotta. Il bianco africano scappò via ma Ciro si rimise in piedi con la stessa lucidità del mostro diFrankenstein fresco di creazione. Il quadretto: la schiumante coppia, io sconvolto con la camicia fuori dai pantaloni, molti anti a fare da claque, ci si studiava ma nessuno attaccava, uno stallo, giochi di sguardi alla Sergio Leone, mancava solo il sottofondo di Morricone.
«Siete dei ladri, rivoglio i miei soldi!» Il cerbero guardò Faccia di cane e la redarguì, poi, ancora con il naso sanguinante,biascicò qualcosa verso di me come: «Potevamo parlare, adesso non li abbiamo, domani te li rendiamo». Controllai le tasche, le mani, sentivo il cuore pompare velocemente, mi toccai la faccia e sputai a terra saliva e sangue, qualcuno mi aveva colpito, qualche vaffanculo a raffica e tolsi il disturbo. Il giorno dopo all’ora concordata ritornai, c’era solo Faccia di cane in attesa di qualche pollo. «Scusa, ma ho solo dieci, tieni, per il resto a più tardi», la guardai sorpreso senza dire nulla, presi i soldi e non ritornai più, lasciai Faccia di cane al suo destino e alla sua strada. Una palla di muco e disperazione, merda e sperma, rotolò lentamente tra le mia zampette, la guardai intensamente e presi a danzare sopra di essa con rara eleganza e leggiadria.
Eros e Spasmos
Le mie mani non riuscivano a stare ferme, ora andavano a separare i coglioni, ora a mettere nella giusta posizione il cazzo gonfio, c’era più movimento, quel pomeriggio, tra le mie mutande che in strada. Il tempo sembrava rallentare con il caldo, fermai l’auto all’ombra di un albero, da quel punto potevo vedere le puttane diurne eggiare sull’asfalto torrido, ogni tanto qualcuna guardava aspettando un mio cenno, cenno che non arrivò mai, un sorso di birra fresca e un refolo di vento ogni tanto li vivevo già come un premio. Accesi la radio, anche se avevo voglia, tanta voglia di sentire una figa sotto la mia lingua, stavo così bene che avrei anche potuto rinunciarvi quel giorno, mi piace molto quella sensazione di rinuncia a qualcosa che ti preme, una sensazione di potere e di autocontrollo, che tuttavia non è esattamente come eiaculare nel culo di una bella bionda. Stavo per andarmene quando la vidi, una creatura meravigliosa che Dio o la natura aveva reso grottesca per capriccio o disegno misterioso, il secondo termine
serve ai padri della Chiesa per giustificare una delle tante contraddizioni incluse nella bibbia o quando non sanno come cazzo rispondere al dolore delle persone. Sotto il vialetto alberato portava con grande fatica due borse della spesa colme, un o e un movimento a scatto della testa, un altro o e un braccio che la tira verso il basso, una breve pausa e le gambe che impazziscono, questo è quello che la malattia voleva esporre, ma io vidi solo fluenti e lucidi capelli castani che a ogni spasmo, come onde di luce cadevano sulla schiena abbronzata. «Ciao, posso aiutarti con la spesa? Oggi è davvero afoso» «No grazie, sono quasi arrivata, abito qui vicino» «Ti prego, fammi sentire utile, e poi, devo ammetterlo, è solo una scusa per conoscerti». Scoppiammo a ridere, i suoi occhi neri brillarono e acconsentì all’aiuto offertole, mi accorsi di un piccolo neo all’angolo della bocca, pensai che fosse una donna molto sensuale, il vestito lasciava scoperta la schiena ma era molto leggero e per qualche istante a seconda della luce, leggermente trasparente, il sangue mi arrivò di colpo al cervello non capendo neanche io quello che dicevo e infatti: «Sei simpatico ma anche buffo» disse con aria svagata, pensai di essermela giocata male per un appuntamento. Giunti sotto al portone: «Ecco, io sono arrivata, ti ringrazio moltissimo, magari ci si rivede, ciao» Armato di disperazione e grandissima faccia di cazzo: «Ma no figurati, già che ci sono te le porto fino a casa, dai, tanto ho capito che non ho speranze con te, non ti piaccio». Un splendido e doloroso sorriso e mi aprì il portone, abitava al primo piano, salimmo le scale, lei avanti e io dietro, arrivati davanti alla porta dell’appartamento i raggi del sole attraversarono il lucernaio smerigliato e il suo vestito, vidi le bellissime cosce tornite e il perizoma nero, sentii distintamente il profumo della sua fica entrarmi nelle narici e salirmi al cervello.
«Dai vieni entra, una bella bibita fresca te la meriti». Mise, con non poca fatica, la spesa in frigo e inserì un CD nello stereo, bevemmo tè fresco alla pesca, lottava ogni secondo con quel corpo che la faceva scattare come una marionetta, intimamente ero straziato, ma potevo anch’io farmi sconfiggere da quel disastro disarmonico? Decisi di non prendere iniziative, avrei lasciato fare a lei se avesse voluto, rimasi in silenzio col bicchiere ghiacciato tra le mani ad ascoltare i Pink Floyd. Si alzò e prendendomi la mano: «Mi fai ballare?» La presi tra le braccia e gli spasmi si trasferirono anche al mio corpo, erano peggio che osservarli solamente , terribili colpi, ogni secondo, ogni attimo della sua vita a prendere scosse involontarie. Le baciai il collo e la strinsi ancora più forte nella vana illusione di trattenerli, di farli cessare per un attimo, per un momento: «Fra due ore arriva mio marito, pensi di potermi scopare?» «Penso proprio di sì», la baciai profondamente tenendole la testa tra le mani, anche questo sentito gesto fu molto difficoltoso, rischiai di farmi tranciare la lingua, mi abbassai a baciarle il sesso già ampiamente bagnato, mi prese i capelli e vi si aggrappò con tenacia, mangiai quella fica morbida e succosa come l’ultimo pasto di un condannato a morte, assaporandone ogni boccone lentissimamente. Più volte le gambe si chio a tenaglia con una forza straordinaria, mi morse e mi graffiò la schiena, cercai di penetrarla in piedi, le bloccai le braccia, guardai i seni sudati e il ventre invitante, non fu possibile ma non mi persi d’animo, la presi in braccio e la scaraventai letteralmente sul letto, mi tuffai tra le sue gambe indisciplinate, non avrebbe potuto più serrarle, entrai con fermezza, sentii tutto il suo corpo avvolgermi il cazzo, soffocò un urlo mentre le guance arrossirono, ero felice di possederla, ero orgoglioso di farla godere. Cominciò a sussultare, ma stavolta di piacere, le sussurrai a un orecchio: «Sei una femmina stupenda». Godemmo e ci amammo non solo per il mero piacere fisico, ma perché, per un lasso di tempo indefinito inculammo il destino infame, sputammo in faccia alla malattia il nostro disprezzo e ne provammo piacere. Le dedicai questo pensiero immaginandola finalmente libera. “Vibro nella carne frammentata nell’esistenza, a ogni o lo sciabordio
dei pensieri s’infrange annichilendo la materia, così, volteggiando in dissolvenza l’anima mia trova se stessa”. Lotta tra insetti Dopo aver girato parecchie ore decisi di tornarmene a casa, succede che non trovi quella che ti piace o semplicemente hai solo voglia di un giro, la città di notte perde molti difetti e diventa quasi piacevole, ma si erano fatte le tre e il sonno spingeva verso il letto. A un incrocio intravedo una biondina niente male in attesa, il cazzo come al solito ha la meglio sulla razionalità e faccio inversione, sono da lei e contratto per una pompa valeriana per conciliare il riposo. La ragazza dice sempre sì, a tutto, e come sempre non ascolto il grillo parlante nella mia mente, mi porta in un parcheggio sul retro di un ospedale, sembra tranquillo. Pago e inizia un lavoro ordinario, direi mediocre ma a quell’ora non c’è da pretendere né da essere schizzinosi, fisicamente è carina e tanto mi faccio bastare, purtroppo dopo esattamente due minuti, ma veramente due minuti, la ragazza comincia a farmi di mano tanto velocemente da procurarmi dolore. «Oh, piano, mi stai facendo male e poi mica ho pagato per una sega» «Dai, tu vieni, non poso stare tuta note con te» «Ma sei scema? Saranno ati due o tre minuti, dico, almeno dieci minuti di attenzioni le merito per trenta euro, ti pare? Vai, pompa!» Per tutta risposta la ragazza apre la portiera ed esce lasciandola così spalancata. «Dove vai? Vieni qui e finisci, o tieni dieci e mi dai il resto, non fare la stronza!» Sorprendentemente ritorna su i suoi i, mi guarda incazzata e urla: «Dame el telefono» «Quale cazzo di telefono?» ma non riesco a finire la frase che lo vedo sul portaoggetti, lo prendo e lo tengo in mano: «Tu finire bocchino, io dare telefono», dico con la sicurezza dello scacchista che dà il matto, invece l’arpia dei Carpazi agita le braccia verso qualcuno e tira un fischio da far impallidire un pastore sardo. Una montagna con le gambe si dirige verso la
mia auto, la quale fortunatamente è già accesa, ma ho ancora la portiera del lato eggero spalancata, la troia ne approfitta per dire la sua sulla questione: «Adeso mio ragazo fa vedere te, pensa lui a te!» Non riesco a partire in tempo perché il gigante è già davanti all’auto, credo che sia sufficientemente spaventoso, ma decide di esagerare ed estrae dal giubbotto una piccola pistola, la carica tirando indietro il carrello, o qualcosa di simile, decido di andarmene, con lui o senza di lui. Schiaccio sull’acceleratore facendo salire i giri del motore, ingrano la prima e mollo la frizione, il maiale mi si schianta sul cofano e poi sul parabrezza, mi rimbalza di lato e cade pesantemente, l’impatto è violento, parto via veloce e per qualche istante guardo nello specchietto retrovisore, mi preoccupo da buon pirla perché lo vedo immobile a terra, ma dopo pochi secondi noto le zampette agitarsi nel vuoto, come quando schiacci uno scarafaggio, lo vedi che è lì con la materia bianca sparsa sul pavimento ma resiste alla vita e ti chiedi come possa essere, allora gli dai un’altra pesante pestata, purtroppo nel mio caso non ebbi il coraggio di finirlo, l’avventura mi persuase che poteva terminare così la notte, tornai a casa e mi feci una sega, una doccia e un panino. Saturo di incubi volai sul cuscino, discese verticali verso crisi interiori, trovai spazio tra le pieghe della mente, sprofondai nel mio ignoto e mi addormentai. Sognai il paradiso degli insetti, vidi il grande Dio insetto e gli posi una domanda: «Immenso e sciagurato mio Signore, perché hai creato anche le blatte? A cosa servono?» Dio:«Innanzi tutto lo sciagurato sei tu, sbaglio se dico che per vivere fai palle di merda? Stai al tuo posto. I miei disegni sono misteriosi, tu cosa vuoi capire?» «Ancora con questi disegni misteriosi? E che due palle! Allora mi creavi sufficientemente intelligente per comprenderli» «Sì bravo, e io che ci sto a fare qui? Vuoi fare tu Dio? Ti piacerebbe». Così dicendo, spiegò le enormi ali multicolore e volò via, che spettacolo, che sontuosa eleganza, rimasi a guardarlo a lungo con la bocca aperta, ripresi la mia palla di merda e ricominciai la mia danza, però mi fermai assalito da un dubbio: «E se la vera vita fosse il sogno? E la vita invece è solo un sogno? Chi potrebbe distinguere la realtà? Alcuni sogni sembrano più reali della realtà» , va bene ho capito, meglio continuare a fare palle di merda.
La regina e il bozzolo Vivere nella solitudine è scrivere della solitudine, esiste un’altra via? Solo dopo un’esperienza davvero negativa ti metti in discussione, si è subito e facilmente critici sulle persone che ci complicano la vita, più difficile giudicare se stessi con oggettività, più è intricato è più devi farlo bene, nessun alibi o scusante, altrimenti si potrebbe diventare come me. Perdendo contro il mondo, pensai di costruirmene uno tutto mio, con le mie regole. L’unico spazio disponibile è nella propria mente, una vastità immensa in cui è semplice perdersi, nulla è più calzante della propria fantasia, celate da dolci sogni o fantasmagoriche illusioni avanzano le psicosi, percettibili fisime e paure inconfessabili si moltiplicano, a quel punto è tardi: sei diventato prigioniero e carceriere di te stesso. Da un lontano ato emergono fantasmi e dolori mai sopiti, questi nel tempo si sono stratificati creando un muro, nessuno può entrare, il che sarebbe un bene, ma io, non posso neanche più uscire. Molti pensano che isolarsi significhi non soffrire, tenere lontano le questioni che producono dolore, invece si acuisce e si amplifica ogni piccola paturnia, si ripiega su se stessi scavando nel proprio animo pensando di ingannare la vita. Saluti il mondo e tutto quello che vi è all’interno, ti metti sotto le coperte e cominci a costruire il bozzolo, le fantasie prendono il sopravvento sulla realtà, vorresti essere in un altro luogo, in un altro tempo, la tua sinfonia è sempre e comunque stonata, non sei in sintonia con le creature del mondo, c’è qualcosa che non sai spiegarti, qualcosa di profondamente malato e perverso nell’autodistruzione. Ripercorri ogni tuo piccolo fallimento sezionandolo al microscopio, i giudizi sulle scelte del ato sono inappellabili condanne, voragini di nera depressione si aprono sotto i tuoi piedi e non vuoi più la luce, tutto ciò che hai fatto di buono, anche quel poco, viene irrimediabilmente demolito dalla sfiducia, provi odio per l’umanità, ma in realtà il più profondo odio lo riservi per te stesso. Ti saluti allo specchio: «Addio estraneo» e poi termini la giornata al posto del sole, spegni il cellulare e chiudi le serrande, non vuoi vedere né sentire nessuno, desideri solo sprofondare nel vuoto assoluto o smaterializzarti
nell’aria sperando di non essere mai esistito. Così feci anche quel mattino, ma non bastò perché da dietro la porta qualcuno bussava insistentemente. La signora Anna, una mia vicina: «Senti caro, scusa il disturbo, ma c’è tua madre che ti cerca, è preoccupata, dice che non riesce a contattarti da diversi giorni, chiamala, non farla stare in pensiero» «Grazie Anna, farò come dici», la congedai con un sorriso di plastica, ma forse più sincero di quello che poteva sembrare, mi spiacque, Anna era una brava donna. Andai a trovare mia madre la mattina stessa. Suonai il citofono e il portone si aprì, per le scale mentre salivo, cercai di ragionare sulle possibili scuse credibili, pretesti per il mio lungo silenzio, magari mezze verità, mi sentii come se avessi dieci anni e avessi commesso una marachella, ogni figlio regredisce davanti alla mamma, non c’è scampo alcuno. «Ciao mamma, come stai?» dissi timidamente avanzando nella grande sala. Mi aspettava come una regina assisa sul trono, stava lì, mi fissava senza parlare, fece cenno di avvicinarmi, poi, diede un paio di colpi sul divano come si fa con i cani per chiamarli a sé. «Che succede?» «Niente, che deve succedere?» «Madonna Santa che faccia che hai, ma mangi? Credi ancora nella bibbia degli animali? Una fettina panata no, eh?» «Mamma sto bene, tranquilla, volevo stare un po’ solo» Mi prese il mento tra pollice e indice e iniziò a girarmi la testa lentamente da destra a sinistra e viceversa, come se manovrasse un burattino, si avvicinò cercando indizi di perdizione o malessere. «Che occhiaie che hai messo su, ti ci vuole una brava ragazza, non ti manca niente, sei zoppo? Sei orbo? Per caso sei diventato uomosessuale? Alla
mamma puoi dirlo» «No mamma, ma quale ragazza? Quale uomosessuale? poi si dice omosessuale» «E io che ho detto? L’importante è che se pure ti piacciono gli uomini, mettilo sempre, non prenderlo mai, se puoi» «Non credo che funzioni così, comunque, mamma che c’è? Perché mi cercavi?» «Niente, volevo vederti, non posso vedere mio figlio? A parte gli scherzi, ti droghi o cosa? Che hai? Ti servono soldi? Hai litigato con qualcuno?» Cercai di ascoltare ma una scena impressionante mi annebbiò la ragione. «Mamma cazzo, ma non hai le mutande, ancora?» «E allora? Ho caldo, e poi, è la tua piccola casetta, non te la ricordi?» «Ci stavo dentro, non rimiravo il panorama dall’esterno, almeno chiudi le gambe, è uno schifo improponibile!» «Te lo chiedo ancora, ti droghi? Ho visto alla televisione che adesso si fumano anche la droga pesante, ma te non fumi giusto?» «Mamma, sono nato in un paese dove hanno ambientato Gomorra, cresciuto nel peggior Ticinese di tutti tempi, vissuto in Comasina, ho quaranta anni, pensi che avrei aspettato tanto per drogarmi, spacciare o mettermi nella merda?» Come argomentazione sembrò convincente, infatti si acquietò per qualche minuto, restammo a osservare il cielo grigio di settembre e qualche piccione che si apprestava a cagare sul davanzale della finestra. «Mamma, pensi mai a papà?» «Ogni tanto, ogni tanto sì, mi faceva ridere. Allora dimmi, che hai?» Il tono della conversazione si fece serio, sembrò chiaro di non poter più
cazzeggiare, ci guardammo intensamente, non riuscii a dissimulare il disagio del momento, persi ogni remora, vinse lei. Diventava insistente fino allo sfinimento, al termine qualcosa dovevi concederle. «Mi piacciono le donne, ma tanto, così tanto che ne ho bisogno spesso, sono disposto a pagarle, e lo faccio, non mi stanco mai, o almeno quasi, ma in questi giorni in cui mi hai cercato, bene, in questi giorni neanche le donne sono motivo di gioia o pretesto per vivere, tu sai perché, lo sai. Inoltre, non lo so, mi sembra di girare in tondo, cerco una strada diversa per uscirne ma mi ritrovo sempre al punto di partenza, ricordi? Come quando mi comprasti quel trenino che girava sempre su stesso, ero felice allora però, ricordi?» «Ho capito, dalla figa sei venuto e lì ritornerai, non preoccuparti, però non farne un’ossessione e stai attento alle malattie, e poi, lo avevo capito da un pezzo» «Grazie mamma, mi hai tolto un peso enorme, è molto che volevo dirtelo, almeno tu mi consideri normale, e tu sei la persona più importante della mia vita, quella di cui mi importa il giudizio, sono felice» «Normale un cazzo! Sei un puttaniere vizioso, non cambierai più, sei come tuo padre, secondo te perché l’ho lasciato? Proprio vero, la mela non cade mai troppo lontano dall’albero» Abbassai lo sguardo ferito, mi prese la faccia tra le mani e mi baciò, poi mi strinse a sé come quando ero bambino, nella stessa identica maniera. Quando si è giovani si pensa che la vita col tempo potrà solo migliorare, non si guarda al breve ato, ma il nostro tempo è solo un fugace bagliore nell’infinito scorrere. L’Uomo con la sua presunta civiltà e con il suo progresso tecnologico inganna se stesso, è palese la sua disperata contraddizione: non riesce a stare da solo e quando è con i suoi simili, inevitabilmente ne entra in conflitto.
Nella Playstation
La prostituzione, come la buona recitazione, è rovinata dai dilettanti. Alexander Woollcott
Una bella e soleggiata domenica, decisi di andare a trovare una prestante ragazza che lavorava solitamente in appartamento e saltuariamente in strada. Stavolta fui indirizzato su consiglio di un amico, il fai da te per un po’ era meglio lasciarlo da parte. Simona non metteva annunci su internet, la si poteva conoscere col aparola. Il mio amico ò il numero con un avvertimento: «Senti, avrai qualche difficoltà nel comunicare, diciamo che non si esprime tanto bene in italiano». Sembrò un problema da poco in fondo, del resto mica sarei andato a discutere la teoria delle stringhe. L’obbiettivo era molto più basico e animale. Feci ben quattro telefonate concludendo poco a livello organizzativo. I dialoghi furono all’incirca così:
«Ciao, dove sei?»
Dall'altra parte: «Sono kuscyàgòljjr»
«Scusa no, non ho capito, puoi ripetere?»
«Brofshjsghaytjhgf»
«Va bene, ricominciamo», pensai facendo un profondo respiro.
A ogni telefonata aumentavo il volume della voce e scandivo più lentamente le parole.
«DI-MMI, SO-LO, LA VIA E IL NU-ME-RO»
Ebbi le informazioni necessarie. Riceveva in una zona ex - industriale a nord di Milano, posto ideale per un set cinematografico, tipo il remake de I guerrieri della notte. Arrivato sotto lo splendido palazzo di marzapane, come è consuetudine in questi casi la richiamo:«Sono arrivato, aprimi»
Lei: «Citofonashfasjkj»
«Sono giù, giù, aprimi»
Dato che sono portato per le lingue, anche quelle inventate al momento, comincio a capire, capisco che mi dice che il portone non si apre e scende lei ad aprirmi. Caspita, meglio di Uhura di Star Trek! Aspetto cinque minuti, poi dieci. Il mistero aumenta parallelamente alla mia incipiente orchite.
Esce un losco figuro che mi apre, mi guarda in cagnesco senza rispondere al mio saluto di cortesia, penso divertito: «Strano, un posticino così di classe, peccato», mi ficco dentro, primo ostacolo superato. La richiamo per sapere almeno il piano, mi risponde in esperanto, comincio ad avvertire un senso di inquietudine come quando non si riesce a are il livello di un videogame particolarmente ostico. Mi faccio tutti i piani? L’ascensore non c’è, i piani sono cinque, dove abiterà lei? Giungo al quinto piano, trovo un ballatoio, ansimante come una zampogna spompata alla notte del ventiquattro dicembre, la richiamo:
«Cof cof, sono qui, per favore, dimmi dove sei»
Vedo la casa da raggiungere ma non riesco ad andarci, mi sento come K ne Il castello di Kafka, cose e persone non vogliono che io prosegua il cammino. A questo punto non mi sarebbe sembrato affatto strano dover scavalcare un muro, sbloccare una ruota, evitare il fuoco nemico, risolvere un trucco, salvare la principessa, caricare la barra di energia e uccidere il mostro finale. Invece, si palesa il figurone merdifero per eccellenza, quello che almeno una volta è capitato a ogni buon puttaniere che si rispetti. Esce un’aristocratica e corpulenta signora, mi scruta dalla testa ai piedi, poi con aria schifata comincia a trafficare con i panni stesi, li gira, li tocca, li spiegazza e li arrotola, il mio pensiero più candido è stato: «Ma vaffanculo, quattro mutande hai, vuoi sapere se sono quello che pensi? Mezz'ora non ti basta per capirlo?» Finalmente la bella addormentata mi apre la benedetta porta, mi infilo rapido nell'uscio come una sottile ombra cinese.
L'appartamento è piccolo ma disordinato, sembrava che fossero ati i ladri dopo un uragano.
«Scusa Simona, sono arrivato in anticipo»
Lei con voce calma: «Non facio niente!»
«Cooosaaaaaa? Dopo aver superato tutte queste prove che neanche Prince of Persia?»
Sto per andarmene, sono sorpreso e quasi morto, la saluto con furore ma la principessa si corregge subito:
«Non facio niente che sei arrivato prima», stellina,voleva dire che non fa niente, non importa del ritardo.
«Ah Simona, dimenticavo, ti ho già detto che parli come un citofono rotto?»
Mi abbraccia baciandomi teneramente, mi ripaga in modo eccellente dal principio di infarto procuratomi dall’incazzatura. A tal punto eccellente che uscendo di casa sono ancora “gonfio” dopo aver consumato il fiero pasto, ma ecco che, chi ti ritrovo? La contessa impicciona. Lo sguardo si fissa subito sul pacco regalo, te pareva? Ancora lì che tira fuori il bucato dalla cesta, evidentemente una cesta magica perché non
finiva mai di vomitare mutande, ma stavolta rilancia raddoppiando la posta: è presente anche il maritino che indossa un fine pigiama azzurrino da ospedale. Sguardi e occhiate, il marito accenna a un sorriso, che io ho interpretato così: «Beato te che ci puoi andare dalla figliola, io ho sto molossoide che non mi molla». «Peeermessoo», piccolo struscio e penso: «Vi tocca, fatemi are da ste Forche Caudine e chiudiamola qui, abbiate pietà». Puttaniere, perché? E Gesù a loro:«Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto». Matteo 21:31
Il puttaniere è visto dalla società come un uomo incompleto, uno sfigato che ha bisogno di pagare per avere un rapporto sessuale, un reietto che solo così può avere donne bellissime altrimenti non conquistabili. Non è così semplicistico e banale. Vero è solo in parte, c’è una percentuale di uomini che oggettivamente fatica ad avere rapporti con le donne, figuriamoci poi giovani e belle. Questi uomini si sentono o li fanno sentire inadeguati, perché oggettivamente brutti, perché non possono esibire una fantastica vita con uno splendido lavoro o un’auto da novantamila euro. Ma anche in queste manifestazioni esibizionistiche, mi chiedo, non si nasconde la prostituzione e l’induzione? Molti sono impossibilitati perché hanno problemi psico-sociali o perché sono handicappati. Spesso, anch’io che mi posso considerare fisicamente nella norma, o almeno quasi, con una discreta cultura e con una professione dignitosa, ebbene, spesso mi sono sentito invisibile agli occhi delle donne, che è ancora peggio, se vogliamo vedere, di essere disprezzati.
Ho letto negli sguardi femminili, un diverso interesse in base al livello sociale raggiunto o che millantavo: un lavoro di responsabilità con sottoposti, vestiti di sartoria, auto di grossa cilindrata, non dico che contasse solo quello, ma il Re leone fa gola, è la natura che porta a scegliere il meglio per la propria discendenza e per il relativo benessere. Per questi casi, compreso il mio, credo fermamente nella positiva funzione sociale del meretricio, una sorta di valvola di sfogo necessaria. Un aiuto a una forza fisiologica che preme costantemente. In Giappone lo si è capito da molto, fino a pagare delle professioniste con il servizio sanitario nazionale, affinché queste possano aiutare a essere attivi sessualmente gli handicappati gravi, quelli cioè che non possono provvedere da soli, nemmeno con la masturbazione. Nei Paesi nord europei molte prostitute si sono specializzate proprio in clienti con invalidità di vario grado e genere: assistenti sessuali. Perché il benessere derivato da una vita sessuale, non dico soddisfacente, ma almeno sufficiente, non è considerato di pari livello come il diritto all’istruzione, al lavoro, al voto? Perché si considera il soggetto invalido come un sub-umano non in grado di provare desiderio sessuale? Perché? Perché la chiesa cattolica e il Vaticano sono i padroni della nostra coscienza, perché siamo un popolo di ipocriti e spesso pavidi struzzi.
Chi non ha problemi così particolari e seri, invece, perché va a “donne?” Non so, io ho amici che scappano da mogli che attuano ricatti sessuali, altri perché in ritardo si sono accorti di essere sposati con delle suore, altri ancora perché la ione è morta e sepolta da un pezzo ma tengono duro per i figli e/o per problemi economici. Perché piace cambiare? Perché semplicemente piace la fica? Certo, probabilmente è la maggioranza. In mezzo a questi ci sono fior di professionisti, uomini molto belli e curati, uomini ricchi, che hanno molte
avventure e ioni, ma nonostante questi vantaggi, vanno lo stesso a puttane, perché? Perché un’amante, ha delle pretese, prima o poi presenta il conto, magari richiede il posto della moglie e non si scappa. Pure quelle che dicono: «Ma no, vai tranquillo, io sono diversa, rispetterò i tuoi spazi!» Io ho una carissima amica che ha accettato per amore, il suo ruolo fuori dal matrimonio, ma è veramente una perla nera: cosa rara e preziosissima. Altri motivi? Perché in azienda è meglio non mischiare sesso con il lavoro. Perché si ha desiderio di possesso: pago e ottengo, stop. Perché si ha voglia di trasgredire, voglia di fare cose nuove e perverse altrimenti interdette con la compagna, molte donne negano anche un semplice pompino al proprio uomo, che diamine! Per pigrizia, per comodità, per umiliazioni e delusioni subite. Per noia. Per bisogno di affetto e calore umano, non importa se fittizio o reale. Perché molti hanno bisogno di un contatto fisico, altrimenti impossibile da ottenere in altro modo. Per non avere nessuna rottura di palle post coito, altro che coccole; io per esempio subito dopo aver scopato non amo parlare né avere il contatto fisico, preferisco una bibita fresca e un buon pezzo musicale. Mi diventa refrattario anche il cervello, l’istinto immediato sarebbe di scaraventare la partner giù dal letto con un calcio, sarebbe. Milioni di motivi per milioni di uomini. Un esercito di invisibili. Ci si chiede, perché chi ha una moglie bellissima che si concede ogni sera, che a letto esibiscenumeri da pornostar, perché anche questi fortunati vanno a troie? La risposta è: saturazione.
Questi sono alcuni motivi, che però, vengono solo dopo, oltre il principio naturale della nostra specie. Possiamo prenderci in giro quanto vogliamo con la mostra tecnologia, con la nostra cultura e le nostre speculazioni filosofiche, con la nostra pseudo intelligenza superiore: siamo animali. Gli animali non hanno ancora inventato la cartamoneta, altrimenti vedremmo documentari sulle ere scopaiole, anzi no, già ci sono, esistono molte specie in cui il maschio porta alla femmina ogni genere di ricchezze: cibo, materiale per il nido, prede, protezione. Oltre naturalmente, a pavoneggiarsi come facciamo noi umani, solo che anziché usare la Ferrari, carte di credito platino o mostrare i muscoli al mare, esibiscono fantastiche livree o gonfiano il petto, dove sono le differenze? Le donne che accompagnano i politici, i calciatori, gli attori, i capitani di industria? Sono le femmine dei maschi alfa, quelli in cima alla scala sociale, ovviamente non le vedrete con due noccioline in mano, i maschi di questo rango offrono ben di più, regalano nidi caldi già pronti, tantissimo cibo per gli inverni a venire e molta, moltissima protezione dalle fatiche della vita. Queste femmine sono consapevoli di essere bellissime e giovani, sanno di valere più delle altre e di conseguenza non si accompagnano al maschietto spelacchiato e gracilino, un gregario del branco insomma. Questo è (se vi pare). Siamo tutti puttanieri e puttane, non solo in campo sessuale, del resto basta guardare i politici per farsi un’idea più ampia.
Il puttaniere consapevole però, non nega la propria identità, è un lupo solitario, che seppur reietto dalla società va avanti per la sua strada, è solo, ma finalmente libero da una vita basata sull’inganno. Non si nasconde, non gli importa del giudizio che una società becera e fallimentare ha in serbo per lui.
Una società ipocrita fondata sulla teocrazia e i falsi ideali di Patria, dogmi instillati fin da bambino e propinati come valori e diritti per facilitarne l’assoggettamento. I contesti religiosi e politici hanno sempre giudicato riprovevole il puttaniere e la puttana, questo però alla luce del giorno; no, perché poi di notte, i detentori e i servi del potere sono i primi a chiamare ragazze e ragazzetti per i loro sfoghi. Compreso Papi e Capi di Governo e a cascata tutti gli illustri e Onorevoli sottoposti. Ovviamente, così Illustrissime autorità non hanno neanche bisogno di pagare, basta la promessa di protezione che il potere autonomamente genera; naturalmente chi si concede non è per forza di cose una o un professionista del settore. Da non sottovalutare che l’Uomo non è monogamo, ma anzi, la natura ci ha strutturati per avere più partner possibili per il maschio e a farsi ingravidare dal più sano e forte per le femmine. Il matrimonio è un’istituzione artificiale creata per il benessere della comunità, laica o religiosa, non dell’individuo, piuttosto l’individuo viene in esso imprigionato da regole sociali, eludendo le quali il biasimo e il disonore sono assicurati, la società ti espelle. Del resto, il nostro corpo non a caso, è un meraviglioso luna park sensoriale, il successo riproduttivo della specie è determinato dalla fitness biologica. La natura originale è continuamente forzata e violentata con freni e lacci culturali. Il desiderio di fare sesso con donne o uomini piacenti è naturale, per noi maschi poi, è necessità, una spinta perpetua naturale a inseminare più femmine possibili. La mia personale opinione sulle perversioni? La più grande è fare sesso con la stessa persona per tutta la vita. Diciamo per concludere che, le puttane e i puttanieri consapevoli sono solamente più onesti e coerenti, moralmente più integri. Non se la raccontano per così dire, come fanno i moralizzatori e le caste puritane. I finti perbenisti di giorno che di notte diventano superstar del sesso a pagamento, sono poi, i più miserevoli, sono sepolcri imbiancati.
Attenzione però, il fatto di prendere coscienza che la natura ci domina più o meno inconsapevolmente, non giustifica MAI comportamenti deprecabili e fermamente condannabili, anche tra gli animali ci sono regole sociali: «Scopi se hai il mio permesso, nessun tacito assenso». Tutto ciò che è al di fuori si qualifica come violenza, sia chiaro. Scrivo questo perché non vorrei che alcune menti, diciamo confuse, fraintendessero le mie parole in modo strumentale. Quando pagate avete il diritto previo consenso, a un certo tipo di prestazione, non comprate o affittate un corpo, un involucro di carne e sangue, pagate il tempo per fare del sesso con una persona che è disponibile a darvi piacere. Poi, nella vostra mente siete liberi di farvi il vostro film, ma considerate sempre l’essere umano che avete di fronte. Se non fossero esistite le prostitute, non avrei mai avuto la possibilità di scoparmi oltre 1400 donne, di queste solo un centinaio non professioniste, sono felice di esserci riuscito e spero di poter continuare; vorrei morire da vivo!
«Eccoti qui! Allora non sei morto? Sei solo uno stronzo! Qualsiasi cosa ti sia successa, non si sparisce così, cosa ti ho fatto?» Silvia, l’ultima persona che avrei voluto incontrare, ma l’unica persona che non mi ha mai deluso. Stava così, in piedi chiusa nel suo cappotto ad aspettare una spiegazione, mi vergognavo e non sapevo da dove cominciare, mi grattai il capo più volte e poi crollai sui gradini della scala. Silvia era venuta fino a casa, mi sorprese alle spalle appena chiusi la porta. Me la ritrovai sul pianerottolo come l’ufficiale giudiziario, ma come spiegarle? Come chiederle perdono? L’emozione fu così intensa che piansi, Silvia mi abbracciò e mi baciò le guance ripetutamente. «Ci sono io adesso, ci sono io» «Scusami, scusami, sono stato molto male, non eri tu il problema, ti voglio bene»
«Va bene, non preoccuparti, ti voglio bene anch’io, stai tranquillo». Restammo abbracciati a lungo e in silenzio, la guardai e non fui sorpreso di trovarla bellissima. Silvia aveva un viso dolcissimo, grandi occhi a cui era impossibile sfuggire, il suo corpo elegante misurava ogni movimento con calma,aveva una preziosa e sensuale bocca, sulla quale qualsiasi uomo sarebbe morto volentieri, anche se lei, non disdegnava una certa compagnia femminile. Fui grato della sua presenza, delle sue parole e del suo buon profumo, Silvia fu la voglia di ricominciare, lenzuola fresche e pulite nelle quali riposare, e poi, fragrante e buona come il pane duro spezzettato in una tazza di caffèlatte bollente.
Effetto Louvre Ci sono uomini così perversi che dicono che le donne sono tutte sgualdrine solo perché una non volle esserlo.
Benito Jeronimo Feijoo y Montenegro
Starete forse pensando: “Ma con tutti questi incontri maledetti o grotteschi, che ci andavi a fare prostitute?” Perché l’incontro senza sorprese è quello più frequente, ma non degno di accenno in questo libro, mentre invece, alcuni incontri straordinari in senso positivo, quelli sì che devono essere menzionati. Cos’è l’effetto Louvre? Si spiega con quella sensazione che scaturisce quando si è stati con una donna fantastica, un incontro in cui si è stati benissimo ma che, sei conscio di non aver provato e fatto tutto, c’è ancora molto da fare e ammirare. Proprio come quando si termina una visita al celebre museo.
La Signora
Una bella sera di molti anni fa, ai svogliatamente dalla strada più commerciale di Milano: Corso Buenos Aires. Per chi non è della città, deve sapere che è un corso lungo mille e seicento metri pieno di negozi, con un po’ di fantasia, ricorda la Fifth Avenue di New York. Qui si vedono continuamente donne, la maggior parte curate e sexy, osservare le vetrine alla moda, auto di lusso andare verso il centro e tanti curiosi con pochi soldi; ma mai nessuna ragazza che offre la propria rosa. Per quest’ultimo motivo, rimasi senza fiato quando vidi un angelo di femmina, una strepitosa donna che potenzialmente poteva concedermi le sue grazie. Una donna sulla trentina che indossava con superba eleganza un tailleur scuro, alta e formosa, così, ferma sul marciapiede, pensai che stesse aspettando qualcuno. Nulla di strano fino al momento in cui un’auto accosta, lei si avvicina e poi l’auto riparte velocemente, si ripete la stessa scena con un’altra auto, stavolta allora, ingrano la prima e faccio inversione, sono da lei. Mi si avvicina titubante e impaurita, a bassa voce mi chiede cinquanta euro, io la guardo stupito e la faccio velocemente salire. «Scusa eh, ma sei sicura che lavori? Non mi sembri molto convinta, va tutto bene? Posso aiutarti?» «Sì, si, è solo che è la prima volta, ho un bisogno urgente di soldi, non l’ho mai fatto, ho chiesto soldi anche ad alcuni amici, ma lasciamo perdere gli amici». La donna sembrava sincera e ne ebbi la prova qualche minuto più tardi. Andammo in hotel, era nervosa e chiedeva continuamente: «Va bene così? cosa devo fare adesso? cosa ti piace? poi mi paghi?» Nel tragitto parlammo di altro, cercai argomenti leggeri per
tranquillizzarla, mi sorprese la sua cultura e i modi raffinati, sotto le labbra umide e carnose potevo scorgere i bianchissimi denti. Un trucco leggero e delicato sottolineava il fiero sguardo, il lungo collo era esaltato da una collana di perle di fiume. Io ero come in trance, stordito dalla sua bellezza, quasi intimidito e imballato. Portava un sensuale taglio carré come la fumettistica Valentina di Crepax, si spogliò lentamente e fu una visione indimenticabile. Avete presente i film del grande Mario Salieri? No? Bene, le donne nei suoi film sono curatissime e sensualissime. Lei era così. La mia bella portava un reggicalze nero e mutandine intonate, le gambe affusolate erano impreziosite da calze velate. La sua pelle risultava leggermente abbronzata e vellutata al tatto, emanava un profumo intenso di frutti esotici e vaniglia. Dal reggiseno ricamato, come se volessero esplodere da un momento all’altro, si scorgevano morbidi e prosperosi seni, le ampie aureole mi fecero impazzire. I suoi grandi occhi verdi esprimevano insieme disagio e curiosità, mi spogliai anch’io, facemmo l’amore come due amanti, fui dolce e premuroso. Leccai ogni centimetro del suo corpo e non solo, presi a leccare come un labrador feticista le calze e le mutandine, le annusai a lungo. ammo diverse ore tra sesso e abbracci, tra risate e tristi richiami alla vita reale, io persi qualsiasi orientamento, stavo come se fossi caduto in vortice ionale infinito.
«Mi sembri felice, sono stata brava?» disse sorridendo e rossa in viso.
«Scherzi? Non ricordo neanche più come mi chiamo», bofonchiai come un
perfetto ebete.
Quante cose avrei potuto dirle e in quanti modi diversi? Ma non sono capace di fare il bel tenebroso, divento ancora più ridicolo. Si fece la doccia e tornò in stanza, i capelli ancora bagnati le frustavano la nuda schiena, si versò da bere e mi guardò per un attimo: «Perché mi guardi così? Sembri ipnotizzato», disse asciugandosi le labbra con il dorso della mano. Quel gesto forse inconsapevole, lo trovai così animale, così sensuale.
«Ti guardo così perché sei una visione, sei incredibilmente attraente, possiamo rivederci?»
«No, non credo, no, non è possibile». Mentre si rivestì, osservai ogni indumento che lentamente andava a contatto con la sua pelle, prima le mutandine e poi le calze, blandamente la femmina animale si tramutò in una signora, il tubino e le scarpe, prima che indossasse la camicia mi avvicinai, seduto sul bordo del letto la trattenni in un vano abbraccio, le mani strinsero saldamente i glutei, con la faccia schiacciata sul ventre annusai e baciai il più possibile, infilai le mani sotto la gonna, la supplicai di restare ancora.
«Sono stata bene, sei dolce, sei interessante, ma devo andare, devo».
Ci salutammo lentamente e in modo teatrale, mi diede un bacio e si incamminò verso il corridoio dell’hotel, si girò una volta, sorrise e fece l’occhiolino, guardai le sue gambe allontanarsi dalla mia vita disegnando
magnifici comi nell’aria. Non volle darmi nessuna informazione per ritrovarla o contattarla, non la rividi mai più. Trovai una donna tra le mie braccia senza averlo meritato, ma forse fu un sogno, se chiudo gli occhi però, posso ancora sentirne il fragrante profumo di femmina, una vera femmina.
Prigioniero della pitonessa Avevo ventidue anni, appiedato e squattrinato, cortesemente mio fratello mi prestò la sua Talbot Horizon, auto di tremenda fattura ma con diecimila lire, il famoso deca, giravo la città per ore. Tuttavia, bisogna ammettere che era una ciofeca talmente schifosa che quando accostavo a una mignotta, questa, spesso non si avvicinava nemmeno, quasi inorridita; una sera una ragazza coraggiosa o estremamente bisognosa, appoggiando i gomiti al finestrino abbassato a metà per poter parlare, si spaventò tantissimo, il cristallo crollò di botto nella portiera, lei sorpresa e dolorante: «Ma che macchina di merda che ce l'hai!»
«Lo so, scusami».
Quella sera dopo aver girato come una trottola senza trovare nessuna, prendo la strada verso casa e prima del ponte di piazza Napoli, scorgo una statuaria e bionda teutonica, una donna di mezza età o una milf come dicono oggi i giovani, all'epoca ero di bocca buona ma ad avercene adesso di queste matrone dotate di tecnica sopraffina. Mi conferma di essere germana di tedeschia origine, ben piazzata e occhioni azzurro mare.
Molto simpaticamente esordisce con: «Io fare un pompino che tu non timentica tutta tua vita!»
Io scettico: «Seeee, avanti un’altra, buttiamole ste ventimila, dai monta»
«Se non fero tu non paca me», disse con fermezza.
«Ok sali allora, wunderbar!»
Per principiare, si abbassa e mi fa l’occhiolino sorridendo, vivi quell’attimo in cui ti chiedi cosa voglia dire quel sorriso; tipo beffardo, come dire: «Ti ho fregato» o come per comunicarti: «Adesso te magno tutto». Lentamente comincia a leccare le palle, ottimo e abbondante, le succhia dolcemente come se dovesse cullarle in bocca; sale lentamente sull'asta, con la lingua esegue movimenti avvolgenti come se fosse un pitone che avviluppa con le spire la preda, così avanti per cinque minuti buoni senza mai andare sulla cappella. Mi sussurra: «Tu rilassa e chiuti gli occhi», obbedisco al mio generale tedesco, con la disciplina germanica non si scherza. Inizia il supplizio del piacere, arriva sul glande e fa tipo due o tre risucchi molto aderenti, senza staccare la bocca a la lingua intorno alla cappella altre tre volte, per una volta molto lentamente esegue un affondo fino alla radice, una vera gola profonda, poi si tira su e ricomincia: tre risucchi dolci, tre slinguate avvolgenti, un deep lento. Noto che dopo ogni affondo, quando si tira su, ruota leggermente la testa come se volesse disegnare una spirale, ogni tanto facendolo uscire fuori, a fine corsa schiocca la bocca, come quando i bimbi si gustano il lecca lecca, assaporandone così tutto il gusto.
La cosa incredibile è che continua così per venti minuti, poi trenta, ancora, fino a quaranta minuti! Intuisce, capisce gli attimi che precedono l’orgasmo, allora si ferma e torna sulle palle, succhiando e leccando; oppure il contrario, quando la situazione sensoriale torna in stallo per così dire, senza mai usare le mani, con la lingua titilla furiosamente la punta del glande. Mentre la saliva cade copiosa sul mio basso ventre, penso di non venire più, pur essendo molto eccitato. Capisce che mi sta venendo una sincope e allora ci sputa su facendolo sparire in gola, sempre più velocemente, sempre più violentemente, si auto scopa in bocca. Estasi pura. Ma a questo punto succede qualcosa che non ho mai più provato in tutta la mia vita. Ormai avvinto sul sedile reclinato, comincio a sentire come una sorta di formicolio a metà della spina dorsale, sembra di sentire una leggera scossa elettrica che percorre tutta la schiena, mi preoccupo per qualche attimo, si sposta verso il coccige e ritorna su per l’asta del pene, sento una megaeiaculazione fuoriuscire: un geyser. Un urlo mi si strozza in gola facendomi sussultare, Kundalini che risale? Fantastico viaggio. La sensazione sulla schiena scompare per lasciar posto a un vuoto mentale, non nascondo che un po'mi spavento. Fu una sensazione d'insieme, forse, la cosa più vicina all'orgasmo femminile, seguita da un’incredibile senso di rilassatezza e intimo tepore. Lei si tira su, deglutendo, a l’indice sulle labbra come per non perderne neanche una goccia, mi guarda e ridendo, sussurra: «No dico niente io», io stordito e con la vista annebbiata come se fossi sedato: «No cazzo ! Cosa mi hai fatto?» Mi regala un immenso sorriso, i suoi occhi brillano di un favoloso celeste, ma non risponde.
Pagai ovviamente con lauta mancia la mia walchiria. Con mio grandissimo rammarico non la ritrovai più, la cercai come un folle per mesi, ancora oggi, quando o da quella strada mi torna in mente con profonda nostalgia. «Ciao Ingrid, spero tu sia stata felice in questi anni, mi auguro che esista il karma perché tu mi hai fatto del bene, tanto, tanto bene». Il trio Le scanno Presi appuntamento con una signorina orientale, avevo voglia di mangiare cinese. Sapevo naturalmente che non avrei trovato quella delle foto viste su internet, speravo solo che non fosse un vaso della dinastia Ming con gli arti. Fui invece positivamente sorpreso, una ragazza carina sui vent’anni mi aprì la porta sorridente. Versai subito l’onorevole obolo, non capiva né parlava la lingua di Dante, ma a gesti pensai che forse ci saremmo intesi. Le indicai i miei vestiti e la sedia per poterceli appoggiare, con ampi movimenti cercai anche di farle capire che avevo bisogno del bagno, ma non deve aver capito molto perché esclamò impaurita: «Tu polizia?» la guardai strabuzzando gli occhi: «Se, ciao core». Purtroppo, anche i gesti sono diversi da Paese a Paese, tuttavia con fatica riuscimmo a denudarci, steso sul letto, iniziai a sentire un rumore strano, come un criceto in attività, come se l’animaletto nascosto rosicchiasse del legno. Mi alzai per capirne l’origine, la cinesina interdetta mi guardò col preservativo in mano, sembrava una bimba che ha appena scartato l’ovetto Kinder. Aprii una porta a soffietto, seduta c’era una ragazzotta di campagna intenta a limarsi le unghie. Mi si illuminò il glande! Eureka! La invitai a unirsi a noi con una mimica eccellente, praticamente Marcel
Marceau in versione porno; comunque ella capì, l’agreste pulzella con celato entusiasmo si spogliò e venne sul lettone, probabilmente pensò che fosse meglio farsi un uccello che farsi la manicure nel buio tinello. Come tre furetti impazziti cercammo i rispettivi luoghi umidi, però, a un certo momento decisi di disciplinare un po’ il traffico: tutte le auto dovevano convergere su Piazza Grande Asta, ando da Viale Palle Borboniche o Largo Ano Augusto. Grande sollazzo per tutti, il frenulo della lingua mi fece male per due giorni. Fu un carnevale di sorrisi e leccate, leccate e sorrisi, sporadicamente qualche stantuffata, stavo diventando, persuaso, felicemente lesbica. Che dire, avete mai notato la differenza tra una musica trasmessa in stereo e una in mono? Praticamente un altro mondo. Ecco perché non smetto mai di cercare, nonostante le brutte avventure e lo sperpero di denaro, potrebbe capitare di trovare il mio Santo Graal. Ad maiora!
Schopenhauer, Kandinsky, gli scacchi e l’arte della penetrazione anale
“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, ando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”. «Cara, sapessi quante volte mi sono ritrovato a pensarla così, anche se Schopenhauernon ha contemplato la serenità, che poi è la mia massima aspirazione. Per me la serenità è quello stato in cui si sta bene anche se non felici alla follia e si è annoiati ma non a morte». Anastasija mi guardò per un attimo, sembrò felice di controbattere.
«Io lo trovo troppo pessimista, forse questa sua visione del mondo è dovuta anche alla figura del padre, uomo ricco e pragmatico che pose fine alla sua vita col suicidio, non lo so, e poi, non mi piace il suo astio nei confronti di Hegel, preferisco kant e Nietzsche».
«Ma allora scusa, dovrebbe piacerti, con gli ultimi due che hai citato Schopenhauer è legato a doppio filo, ognuno deve qualcosa all’altro, sai no? Il noumeno e il velo che copre la verità, la cieca volontà di vivere, la rappresentazione del mondo, l’esaltazione della volontà dell’uomo che diventa superuomo». Questa profonda e seriosa conversazione si svolse dopo quaranta minuti di: «Ti scopo, ti scopo bella fica, ti piace il mio cazzo eh?»
«Sì, sì, sbattimi bastardo, sbattimi come una troia»
«Ma tu sei una troia!»
Intavolammo il simposio sulla filosofia quando le chiesi cosa faceva in Russia, con mia grande sorpresa mi ritrovai seduto a discutere con ione dopo aver scopato con ione. Fui sbalordito, ma se la puttana è russa c’è da aspettarselo, mi chiesi cosa ci fe una ragazza così colta col mio cazzo tra le cosce, con il suo sapere mi regalò fulgidi momenti di intelligenza e sose conversazioni. Sporadici e fugaci attimi di gioia, come diceva il filosofo tedesco, la mia vita è così, non ci posso fare nulla, mi sono sforzato ogni giorno per vederla diversamente, ho solo potuto accrescere fino a unirli, più attimi di gioia, ora quando voglio un po’ di serenità faccio così, lego innumerevoli momenti piacevoli e mi illudo di essere felice.
Le puttane sono il mio balsamo, l’anestetico al dolore quotidiano, gli attimi di improvvisa gioia che mi rendono al fine, piacevolmente insensibile. Questa gioia diventa sommesso stupore e intima felicità quando incontro ragazze più colte e intelligenti di me, non che ci voglia molto in verità, però penso: «Sono pochi settanta euro per aver scopato anche il suo cervello», non è giusto, ogni volta che succede maledico il mio stato economico perché mi impedisce di donare di più, vorrei pagare il congruo compenso. Se tutte le condizioni sono presenti, allora è molto più appagante praticare del sano sesso con una donna intelligente, sai che la ragazza ti tiene testa, è presente e non costretta, non iva per obbligo o ingenuità, per poca esperienza o per violenze subite, si concede per denaro certo, ma se le piace il sesso lo si constata chiaramente; se ti concede la sua mente, ti concede tutto il suo universo e le cose che ci sono dentro.
Anastasija aveva lunghi capelli neri, lucidissimi e setosi come le donne orientali, ma la sua peculiarità era il colore degli occhi: grigio acciaio. Ventitre anni di pura meraviglia siberiana.
«Mark Zacharovič Šagalov, io lo amo da pazzi, sai, studio arte, il mio preferito»
«Ho piacere, ma scusa, chi cazzo è ?»
Lei mi spinse in là con la mano senza rispondermi, era fatta così, un po’ altezzosa e molto permalosa, una bella mente in una grande figa, la sua intelligenza superava in lei la bellezza fisica, che pure era considerevole.
All’uscita del bagno: «Marc Chagall, èChagall, il suo nome è stato
sizzato»
Preso in contropiede: «Ah, certo, mi piace l’uso del colore e il suo romanticismo, l’ottimismo che traspare nonostante il suo dolorosissimo ato», cercando di recuperare il più possibile, infatti Anastasija sembrò acquietarsi. Cercai di distrarla cambiando discorso: «Scusa, ma per il culetto sono cinquanta in più?» Ma come se non mi avesse sentito: «Bravo, hai colto nel segno, sai che lui era ebreo e per questo aveva sofferto molto, ma se guardi i suoi quadri, sembrano fatti da un bambino felice». Continuò così per dieci minuti, evidentemente doveva proprio amare il pittore, io però ero preoccupato perché si assottigliava il tempo per la trombata, ora, va bene arricchirsi culturalmente, ma almeno dopo aver eiaculato, anche per la mia stabilità mentale, per dire.
«Sì scusa, dicevo, tu per il culo chiedi cinquanta in più, esatto?»
La bella siberiana si infervorò ancora di più: «Ma stai sempre a pensare al mio culo? Tutti uguali voi italiani!»
Ormai sembrava un comizio, a questo punto colpito nell’amor patrio, ma soprattutto perché mi ero rotto i coglioni, ebbi una reazione violenta.
«Anastasija ascolta, Vassily Kandinsky è superiore, non c’è paragone ovvio, ma il suo apporto alla pittura è infinitamente superiore, con l’astrattismo ha negato la rappresentazione della realtà come era stata fatta fino ad allora.
Un genio che ha spezzato le catene alla fantasia imprigionata nelle forme, esprimere il circostante universo e i propri sentimenti con linee e forme, con il colore, esaltando la propria intima visione e non la realtà normalmente percepita. Non voglio parlarti di Picasso poi …», con disperazione cercai di giocare all’attacco.
Si strinse nelle spalle e con un filo di voce:«Sì, sono cinquanta in più per il culo».
Vidi spegnersi l’entusiasmo che pochi secondi prima le illuminava il viso, mi rattristai per questo ma avevo tanta voglia di amare quel corpo oltre che la mente e il tempo non era a mio favore. Le sfilai le mutandine dalle lunghe gambe. Rifiutai il lubrificante e cominciai a leccarle il buchetto dolcemente, mi presi tutto il tempo necessario per vendicarmi, infatti dopo una decina di minuti Anastasija cominciò a masturbarsi. La lingua lavorò su più fronti, trasportai i suoi umori sul segreto anfratto, infilai la lingua più volte come un piccolo duro cazzo, poi appoggiai il dito medio facendole sentire una leggera pressione, Anastasija inarcò la schiena e se lo spinse dentro. Così fu anche per il cazzo, feci fare tutto a lei, poteva controllare la spinta e la frequenza, e infine, quando si sentì sicura, cominciò a incitarmi, allora presi il comando delle operazioni, solo alla fine e col suo permesso. Tutto qui il segreto, se si vuole inculare una donna, anche la più restia, deve avere la netta sensazione di poter condurre tutta l’operazione, di potersi fermare o rinunciare se lo desidera. Anche una volta dentro, quando ormai è fatta, bisogna trasmetterle questo messaggio: «Ti stai inculando da sola, smetto quando vuoi», nessuna mi ha mai detto di smettere. Ora il bambino felice ero io, avevo vissuto uno degli intervalli di gioia descritti da Schopenhauer, a chi importava se illusori? «Mi hai fatto stare bene, abbiamo ancora un po’ di tempo, ma dopo la seconda mi devono ricoverare, cosa possiamo fare?» Dissi con un filo di voce.
«Non so, adesso ti porto da bere, sei tutto sudato»
Avevo trovato la puttana della mia vita: intelligente e colta, bella da mozzare il fiato, pure servizievole, cosa volevo di più? Ah sì, porca? nessun problema, era anche porcellina.
«Cara, scusa, sai giocare a scacchi?» Prima di finire la domanda mi pentii di averla posta, fu come se il Sassuolo Calcio avesse sfidato il Brasile.
«Sì bello, vuoi giocare? Mio papà era bravo, mi ha insegnato a giocare a cinque anni, a otto partecipavo ai tornei».
Sollevai gli occhi al cielo e bestemmiai muovendo solo le labbra, mentre lei mi guardò illuminata, fece spazio sul tavolo e prese una vecchia scacchiera, pronta a singolar tenzone.
Io: d2-d4. Anastasija: c7-c5. Difesa Benoni!
Dopo quel giorno, ci furono molti altri incontri; sempre sesso, frequentemente scacchi, occasionalmente filosofia e arte. Labbra umide e gambetto di donna, Giordano Bruno e massaggio erotico, Nabokov e pompini salivati, tante sconfitte e qualche gloriosa vittoria. Quanto è curiosa la vita? Anastasija fu come uno di quei pruriti in cui più ti gratti e più ti viene voglia
di grattarti.
Il Non Luogo Pare che la prostituzione sia un problema. Ma dov’è il problema? Scopare va bene. Vendere va bene. Allora che cosa c’è che non va nel vendere scopate? George Carlin C’è una fascia grigia, una zona immaginaria dove si possono incontrare i puttanieri più esperti e le puttane a progetto, le cosi dette non professioniste, in questo “luogo non luogo” possono esserci barlumi di piacevole sesso o sprazzi di felicità e bellezza. Bisogna però intendersi subito su cosa significhi non essere professioniste, dato che oggi, almeno due annunci su cinque fanno riferimento a questo termine. Qualsiasi donna o uomo che sia occupato principalmente in un lavoro o studio, e che solo sporadicamente si prostituisce per arrotondare o per altri esigenze. Insomma, deve essere assolutamente indipendente e mantenersi in altra maniera che non sia incontrare sconosciuti per pecunia. Ovviamente sono gli incontri più rari, (anche se ultimamente sono aumentate considerevolmente le possibilità che possa succedere) ma sono anche quelli più soddisfacenti. Il rapporto risulta più spontaneo, non ci sono quegli automatismi che hanno le prostitute professioniste, ne esce qualcosa che assomiglia molto a un incontro canonico non a pagamento: baci, carezze, e perfino gesti impacciati che rendono il tutto meno meccanico e prevedibile, ma soprattutto è la molla psicologica che produce l’enorme emozione, scoparsi una donna che non lo fa di mestiere.
Il baratto Lavoravo come cassiere in un supermercato di una grande catena, avevo un misero contratto part–time che non bastava neanche a pagarmi l’affitto. Questo grande gruppo commerciale filosofeggiava spudoratamente di ideali che facevano riferimento alla sinistra, ma poi di fatto, i dipendenti erano sfruttati magnificamente: turni verticali che non permettevano un’altra occupazione part-time, ma soprattutto non si ava mai a un full-time, avevo colleghi che da quindici anni lavoravano così, non potevi costruirti una vita, ovvio. Qui, feci amicizia con una signora sui quaranta, era piacente e curata ma non bellissima, mi faceva comunque sangue. La notavo sempre triste, sceglieva sempre la mia cassa per pagare le poche cose nel grande carrello, la facevo ridere con stupide battute e così in breve facemmo conoscenza. Un giorno finito il turno me la ritrovai all’uscita. La guardai un attimo interdetto: «Posso offrirti un caffè?» feci io con aria sorniona già pregustando altri sapori. Mi spiegò che era separata e quanto fosse faticoso andare avanti con il suo lavoro, mi chiese se conoscessi qualcuno che potesse assumerla a part-time, magari nel negozio dove lavoravo io. Le spiegai che me ne sarei interessato ma che non contavo nulla, prendevo poche lire per turni verticali assurdi. Ci rivedemmo ancora, ma stavolta fu più chiara e decisa, mi propose un incontro per un regalino, io chiesi quanto dovesse essere questo regalino, mi rispose: «Fai tu». Finita la giornata lavorativa la portai a casa mia, qui trangugiammo una frugale cena e una buona bottiglia di vino rosso. Chiesi perché scelse me che ero povero in canna, mi spiegò che aveva molta paura a compiere questo o e che comunque le piacevo perché la facevo
sempre ridere, le ero simpatico e si sentiva a suo agio. Facemmo del mediocre sesso, senza lode e senza infamia, qualcosa da non ricordare, fin quando arrivò il tempo di pagarla. Le chiesi se trentamila lire potessero andare bene, lei annuì, ma poi non so perché, forse perché anch’ io mi puzzavo allegramente di fame, mi venne in mente una malsana idea. Il supermercato per le feste natalizie mi regalò un trancio di salmone affumicato, le proposi l’infame baratto: «Guarda, preferisci i soldi o questo bambinello? Vale cinquantamila lire!» Mi guardò per un attimo perplessa, pensai per un momento che stesse per sputarmi in faccia, ma poi si alzò dal divano e afferrò il pesce, lo mise sotto il braccio come una baguette e andò via salutandomi con la mano senza girarsi. «Aspetta, aspetta», cercai di fermarla, ma la porta si richiuse con una certa violenza dietro le sue spalle. Non feci una bella figura, me ne pentii, ma tant’è, oltre a essere braccino non fui neanche lungimirante. Per dire. Mi servì comunque da lezione. Fashion and Lounge bar A Milano, soprattutto nei locali della movida e in centro, anche di un certo livello, diciamo quelli griffati, ci sono da sempre belle figliole in cerca di ricca compagnia. Certo, per incontrarle, per scoparle, richiede un minimo di impegno, quindi il giro non è adatto bene a chi è pigro come me. Vestirsi in modo adeguato ed essere di buona presenza potrebbe non bastare, ci vuole un po’ di dedizione e pazienza, ma soprattutto denari, tanti denari. Mostrare anche quello che non si possiede, prendere un tavolo con
un’ottima bottiglia potrebbe essere l’inizio ma non è sufficiente. Diciamo che la spunta chi offre cocaina e mostra auto davvero super fuori dal locale. Allora come falene attirate dalla luce accorrono modelle e veline televisive, superbe presenze di cui faticosamente se ne riconosce l’origine terrestre. Della coca ne facevo tranquillamente a meno, non mi andava di girare per Milano come un pusher per farmi una scopata, soprattutto, senza essere moralista non ne faccio uso, se consumi devi anche condividere, per cui meglio lasciar perdere. Io e un mio amico cominciammo a frequentare due locali in particolare, nei privè vedemmo infilarsi calciatori e personaggi della televisione, accompagnati da ragazze di rara bellezza. C’era un giocatore dell’Inter, classe da vendere, ma era spesso nella bufera perché giocava svogliatamente e mancava agli allenamenti, ecco lui, quando entrava nel locale, era sempre accompagnato da due bionde, ogni volta diverse ma sempre bionde. Una sera però, prendendo l’ennesimo tavolo, ci accorgemmo degli sguardi insistenti di una ragazza, la invitai a sedersi, lei chiamò un’amica. Forse era una serataccia o forse era sul tardi e la loro paura di non beccare nessuno fece sì che beccassimo noi, o parafrasando Vecchioni: forse si eradistratto Dio. Comunque sia, eravamo lì, in un bellissimo locale a bere Krug rosè con due fantastiche ragazze. Io guardavo e riguardavo una ragazza in particolare, mi sembrava di averla già vista. Fatto è, ma questo lo sapevamo, feci come il Geom. Calboni in Fantozzi all’Ippopotamo, rivelai a fine serata che le ragazze sarebbero state disponibili a are la notte con noi, per la modica cifra di quattro biglietti verdi a testa, più taxi. Accettammo. «Tassì, come si fa ad avere un tassì qui? tassì!» urlai con
cafonaggine di un primate. Continuavo a rimuginare, non ero convinto e chiesi:
«Scusa, ma tu hai fatto pubblicità o hai lavorato in TV?»
«No magari, figurati è difficile entrare in quel mondo» fece lei abbassando con velata tristezza gli occhi nocciola.
In hotel, scelsi quella che mi rendeva perplesso, così, giusto perché magari avendola ancora davanti agli occhi mi sarebbe venuto in mente chi fosse, ma soprattutto perché era la più figa tra le due. Lei sensuale si denuda ma: «Eh no cazzo!» esclamo nel mio sordo cervello. Migliaia di ore ate davanti al PC a infuocarmi gli occhi come un agente dell’F.B.I. che scruta le foto segnaletiche, forse servirono a qualcosa! La ragazza puntualmente appariva come una novità sul più noto sito di escort, la ammollava in allegria, tutto compreso a cento dobloni, un affare! Non dissi nulla, ma sicuramente non faceva la modella, peccato, persi un po’ di magia e un po’ di soldi, ci saremmo volentieri risparmiati tempo e tavolo, il mio amico invece forse fece centro, la sua ragazza nel mio database mentale non esisteva. Oggi sul web, fra chat e siti di incontri vari, gira di tutto, è più facile trovare ma anche sbagliarsi è più semplice, però è un dato incontrovertibile: molte donne hanno intuito l’affare e un giro sulla giostra lo fanno fare, del resto, perché darla via gratis se c’è chi è disposto a pagare lautamente? Considero che sia raro trovare sul web una vera non professionista, più facile imbattersi in donne che lavorano solo in certi periodi facendo pochi incontri, le vere no prof sono nel reale, più facile imbattersi in badanti o in conoscenze fatte in ato.
Un mio caro amico cerca quasi esclusivamente no prof, ne ha fatto una missione di vita, a volte ne trova, allora viene fuori il gioiellino che premia la fatica della ricerca, ma lui si applica, io ripeto, sono un pigro, la ricerca mi sfianca.
Piccoli imprevisti
Chi non si aspetta l’inaspettato, non scoprirà la verità. Eraclito
Ti conosco mascherina!
Può succedere che nonostante sia tutto calcolato, nonostante facciate ogni cosa con ponderazione, capita che ci si metta il caso o il karma, il destino chissà, ma va tutto in merda.
Sono al centro commerciale e cammino sicuro nella mia invisibilità di uomo comune, mi dico: «Non sei mica Raoul Bova», l’unica cosa positiva di non esserlo è poter andare in giro senza essere riconosciuto, invece no, c’è qualcuna in questo mondo universo che mi riconosce, eccome se mi riconosce. Già, è proprio la brunetta che di solito mi pecorizzo con gran sollazzo o la biondina che conoscele mie intime e ben celate perversioni. Il panico è alto, si cerca di fare mente locale e sperare che non si sia avuto contrasti con la ragazza, giusto così, per non essere smerdati davanti alla tua donna con cui eggio romanticamente mano nella mano.
E’ successo più di una volta, da solo o in compagnia, fortunatamente le ragazze ci sono più abituate, si sono limitate sempre agli sguardi e ai sorrisi beffardi; meglio non uccidere la gallina dalle uova d’oro del resto, più che uomo, mi hanno fatto sentire un portafogli con le gambe. Talent scout! «Cazzo, quella deve essere nuova!», pensi pregustandoti già la saporita scopata, ti avvicini con l’auto e poi ti fermi, lei ti guarda spaventata, ma imperterrito:
«Ciao, quanto?»
«Sto aspettando mia madre», sentenzia ella seraficamente.
Come ci si sente? All’inizio prevale il senso dell’umorismo, ma poi, un po’ un lupo famelico in cerca di facili prede e si arrossisce dentro. Una volta accadde una cosa singolare, trovai una persona più stordita di me. Vidi una bella donna sui cinquanta ferma sul marciapiede, non persi tempo, pensai che fosse meglio rischiare che perdersi un così squisito e succulento bocconcino. Infatti mi sbagliai. Accosto, colpetto di clacson d’ordinanza, la donna non aspetta neanche l’intervista, senza esitazioni apre la portiera e sale, si aggiusta i capelli e con voce calda sospira: «Sei in ritardo, hai avuto problemi?» Non finisce la frase e: «Aaaaahhh, ma lei non è mio marito!» Apre la portiera gettandosi fuori con la rapidità di un gatto a cui hanno dato fuoco la coda, i capelli dritti alla Einstein, terrorizzata fugge via senza voltarsi verso la fermata del bus. Comincio a ridere come un pazzo da solo ma vado via per rasserenarla.
Faccio un giro, scendo dall’auto e la osservo da lontano, dopo circa cinque minuti arriva un’auto, stavolta quella che aspettava, stesso modello e colore della mia. Sale come risucchiata da un tornado, adesso è con l’uomo giusto, quello sposato molti anni prima.
Acqua e olio tutto a posto? Sono tutto bello satollo di cacciucco e Muller Thurgau ghiacciato: «Cosa meglio di una bella galoppata serale per digerire il tutto?» pensa il mio pene aspettando il suo turno. Con la mia fidata trombo-mobile mi dirigo ove la pastura è sempre fresca e disponibile. Trovo subito una bella damigella, mi fermo e inizio l’intervista, la strada è stretta e quindi non posso accostare, mentre parliamo con l’auto accesa, l’imprevedibile: «Porca puttana!» Mi si spegne di botto, così, riprovo ad accenderla ma niente da fare è morta. Da dietro comincia il carosello come se la nazionale di calcio avesse vinto i mondiali, scendo e comincio a spingere, la mia buttana (tesora) con minigonna e tacchi a spillo mi aiuta e si attacca al baule come un magnete da frigo. Dopo mezz’ora arriva il carro attrezzi, batteria partita ma col booster non riparte, mesto saluto il mio amore e salgo sul carro, il pesce mi si ripropone e non solo quello della cena. La mia bella se la ride alla grande, glielo concedo, è stata l’unica ad avermi dato una mano.
In un altro caso invece …
Finisco la mia dolce trombata, ci si pulisce e si riparte. Dopo circa cento metri l’auto pende a sinistra e sento il classico rumore di gomma rotolante: «Vaffanculoooo. Non ci voleva», penso guardando la gomma liscia come il culetto di un bebè, quante volte ho rimandato il cambio delle gomme? Una decina di volte, ho ascoltato il monito del gommista? No.
«Quanto ci vuoi tempo?» Masticando un chewing gum a bocca aperta la mia bella mi fa notare che il tempo è denaro, la osservo grondante sudore, senza rispondere ricomincio a smontare i bulloni.
Dopo cinque minuti di bestemmie in aramaico (così il destinatario non può dire di non aver capito) perché un dado si è affezionato al mozzo, la principessa riparte con la solfa.
«Dai, senti eh, io c’ho da lavvorare, mi ero fatti già due clienti se tu machina non si rompe». Ho pensato per un attimo, devo confessarlo, di usare il crick anche per lei e non solo per la gomma, ma poi ha prevalso il pensiero della fedina penale pulita. «Tié, beccati sto pezzo da venti e chiamati un taxi», con grande pietà mi guarda dall’alto, sputa per terra e mi saluta con il dito medio alzato.
Esiste un altro modo? Erano due o tre mattine che mi svegliavo con uno strano prurito. Il fastidio non veniva dalla cute ma dall’interno del cazzo, infatti trovavo sollievo solamente strizzandolo come un canovaccio bagnato.
Non mi preoccupai molto fino a quando non vidi fuoriuscire una sostanza biancastra tipo latte, non provavo dolore ma solo un senso di pesantezza ai testicoli, come se questi improvvisamente fossero diventati dei meloni maturi. Ero sicuro che non fosse lo scolo, come dimenticarlo del resto? Andai dalmio amico medico comunque, sempre lo stesso, sempre amichevole, sempre stronzo. «Ciao, credo di essermi preso qualcosa, dico, tipo roba sessualmente trasmissibile» «Ancora? Hai una vita sessuale turbolenta» «Che mi fai la predica? Guarda che sei vestito di bianco e non di nero, a meno che tu nel frattempo e a mia insaputa non sia diventato papa, dai, fammi il piacere!» «Su, fammi vedere il peperone» «Ecco, è un piacere vedere la tua imperturbabile professionalità, mi fai stare sereno, dove ti sei laureato? All’ateneo di Amici miei?» «Uhm, niente di grave, è solo clamidia, ma devi fare un esame specifico e poi i soliti per scongiurare le altre malattie, quand’è che ti sposi?» «Quando tua moglie ti lascerà per mettersi con me» «Ascolta, questo è il primo, mi raccomando fallo il più presto possibile e poi torni qui, è un tampone uretrale». Tampone uretrale. Mi dava l’idea di intimo e morbido, qualcosa che tende a conservare e proteggere, mi stava bene! Arrivai in via Pace dove si trova un noto lazzaretto, già di prima mattina. Infatti qui, si viene trattati come lebbrosi, con indifferenza se va bene, più spesso con seccante scortesia se va male, leggi negli occhi di tutto il personale: “Te la sei cercata, vedi di non rompere troppo i coglioni”. Alla ricezione cominciò lo show.
«Buongiorno, dovrei eseguire un tampone uretrale e l’esame HIV» Da dietro lo spesso vetro Danny DeVito: «Ha già fatto esami qui? Ha il numero?» «Sono già stato sì, ma il numero non l’ho, sono venuto un anno fa, sa, ne è ato molto di tempo» «Allora non può fare gli esami, abbiamo un registro» «Lo capisco e fate bene, ma io sto male e devo fare almeno il tampone uretrale, non piscio da quattro ore, vi lascio il documento» «Il documento non serve, è anonimo il test» «Pure il tampone è anonimo? Da bravo, mi faccia entrare e non esageri» «Io ho delle disposizioni, aspetti che chiamo il responsabile, intanto attenda in saletta», si alza dalla sedia ed è più basso di quando ci si stava seduto. Dopo dieci minuti di attesa che a me sembrarono dieci ore, venni chiamato e mi portarono nello studio del dottor Mabuse, un medico sui quindici anni che si atteggiava a divinità, accento tedesco e un corpo con evidenti deformità erano esposti con gran disinvoltura. Mi accolse con una risata maniacale stringendomi la mano, la mia, perché la sua era una chela di granchio. Senza mai guardarmi negli occhi: «Conserva da molto il disturbo?» Odio quelli che non ti guardano mentre ti stanno parlando, sarà per timidezza o per abitudine, comunque sia, mi stanno sul cazzo! Girandomi verso la finestra: «Quattro giorni» Sempre con gli fissi al ricettario e sbuffando: «Viene solo ora?» Alzandomi e andando alla finestra: «Solo ieri i sintomi sono diventati evidenti!» Mi vide e si destò dalla sua negligenza: «Scusi dove va?»
«Ha iniziato lei! Nulla, volevo prendere un po’ d’aria, qui dentro è caldo» Risposi così perché ignaro dell’esame a cui sarei stato sottoposto. Il dottor Mabuse mi fece stendere sul lettino e mi chiese di abbassare i pantaloni, alzai un po’ la testa e notai che in mano aveva due sottili aste di metallo con all’estremità del cotone, cominciai a sudare. «Stia fermo, immobile, sentirà un leggero fastidio» Potei sentire la gelida asta entrare nell’uretra molto chiaramente, rigida e lunga penetrò per due o tre centimetri, in effetti sembrò fastidioso e non altro, fino a quando non strizzò il pene almeno tre volte, il dolore divenne acutissimo quando fece ruotare il tampone, urlai bloccandogli la mano. «Fermo, fermo!» disse lui sereno. «Mi sta facendo male, basta!» «Stia fermo, ho finito», naturalmente estrasse il tampone con la delicatezza di una ballerina classica. L’apprendista stregone ritornò alla sua scrivania mentre io feci fatica a riprendermi, lo raggiunsi con l’andatura e la postura che adotta lo scimpanzé quando vuole camminare in maniera eretta. «Mi ha fatto molto male, lo sa? Esiste un altro modo?» «No, comunque non è un esame doloroso, forse ha provato fastidio» «Posso farle una domanda?» «Sì, certo» «Lo hanno mai fatto su di lei?» «No». Presi il famoso numero per il ritiro del referto e me ne andai senza salutare, sospirai e mi sentii sollevato di uscire da quel posto. ai davanti alla ricezione sventolando il biglietto con su il famigerato numero come se avessi
vinto alla lotteria. Danny DeVito non mi guardò neanche. Non voglio più essere un numero. Dopo due settimane di antibiotici ero guarito, ma per certezza dovetti ripetere alcuni esami nei mesi successivi, ma indolori, molto meno indolori. Dopo ogni infezione ho sempre sospeso la mia attività preferita. All’inizio certo, per paura di ricaderci, ma poi riflettendo, è sempre stata una scelta ponderata sulla soggettiva incomprensione verso la causa e l’effetto, ancora oggi faccio fatica ad associare un atto così straordinario e piacevole come il sesso al dolore che ne può conseguire. Non sempre il dolore è derivato da un contagio e da una malattia, spesso con il nostro atteggiamento rendiamo la vita spiacevole a un altro essere vivente. Un sorriso non ricambiato, un gesto di scortesia, una violenza verbale, sono piccole cose, ma se sommate possono rendere l’esistenza più arida e accrescere la sfiducia verso l’umanità. Quando esco da un incontro soddisfatto, sono felice, perché sicuramente ho fatto stare bene la prostituta, ogni atto gentile non è sempre ricambiato, ma quando succede allora si può ambire all’amicizia, la scopata in sé è solo sfogo, tutte le sensazioni che rimangono alla fine sono amorevoli carezze che ti faranno stare bene per il resto della giornata. Non mi sono mai illuso di aver fatto godere qualcuna, né che qualcuna si fosse innamorata di me perché sono speciale, ma sono sicuro che qualche donna mi pensa con affetto e simpatia, nonostante tutto, nonostante me. Molte altre invece, per colpa della mia giovinezza e del mio egoismo, mi hanno buttato via nel cestino dei ricordi indesiderati, qualcuna, spera di non incontrare più nessuno come me. Questo per me è il più grande dolore. Oggi ho capito, è il solo modo che conosco per sottrarmi alla paura del dolore e della morte: esistere nell’illusione di aver lasciato un buon ricordo, una piacevole sensazione in chi per scelta o costrizione, sopravvive al suo essere puttana. Sono pacificato e senza rancore, accettando ogni cosa del mio essere puttaniere, fino in fondo e integralmente, malattie comprese. Esiste un altro modo?
Silvia ricomparve, con la sua vicinanza affettiva ma anche col suo tono
sardonico quando si parlava di puttanieri e puttane. «Ciao caro, tutto bene? Come vanno i tuoi incontri?» «Bene, bene, a parte una piccola infezione, frequentemente sfogo, a volte mi diverto, raramente ne esco soddisfatto» «Ancora?, ma perché non ti trombi un’amica o una donna che ha voglia solo di divertirsi? Ce ne sono, sai? Sarebbe più appagante» «Ti stai proponendo?» «Ma dai scemo! Per me sei come un fratello» «Ho commesso tutti i peccati, l’incesto mi manca, potresti completarmi non credi?» «Non so, sono preoccupata per te, ti metti in pericolo inutilmente, non ti piacerebbe una nuova compagna? Hai molto dare, ti conosco» «Pensa per te, non parliamo mai dei tuoi amori, come mai? Lo sai, visto che dici di conoscermi, mi sto abbruttendo e non riesco più a legarmi a qualcuno, cominciano a darmi molto fastidio gli esseri umani» «Ah bene, ti mancava diventare pure misantropo, lo sai che chi odia le persone per prima odia se stesso?» «Ti ho mai per caso detto che mi voglio bene o che mi stimo? E poi, cerco di difendere il genere femminile, tengo lontano le donne da me per il loro bene, cosa cantavaJeanne Moreau? Ah sì,“Each man kills the thing he loves”. Più ci si ama e più ci si fa del male, tutti subiamo la fascinazione del nostro carnefice, una rincorsa al dominio psicologico sull’amato, un gioco basato su di un equivoco di fondo, l’amore tra uomo e donna non è mai compromesso ma c’è sempre una parte che subisce e un’altra che ha il dominio perché ama di meno, il bello è che nessuno capisce chi è veramente la parte debole, solo quando ci si lascia si scopre la verità, spesso il carnefice non corrisponde a chi guidava il gioco. Amore è patire, soffrire, essere gelosi e ansiosi, e io mi sono rotto il cazzo!» «Hai ingoiato la filmografia completa di Fassbinder? Lasciamo perdere, ho
capito non è giornata, ti saluto, sai dove trovarmi, ciao amore».
Il mostro di Assago
Una sera d'estate verso le undici, sotto un cielo senza luna. Mi apparto romanticamente vicino alle Cave, io e la signorina ci spogliamo e apriamo le danze, per sicurezza parcheggio sempre la mia auto in modo da aver più di una via di fuga, cerco ove possibile, anche di vedere una via d’uscita a piedi. Tuttavia quella sera ero relativamente tranquillo, conoscevo bene il posto. La zona è completamente al buio, all’improvviso spuntano da dietro due luci, sembrerebbe un'altra coppia, l’auto parcheggia ad una decina di metri da noi e spengono i fari. «Ok, sono un’altra coppia», medito, ma in realtà non sono rilassato, guardo sempre nel retrovisore. Mai mentire a se stessi. Dopo qualche minuto gli incomodi ospiti riaccendono l’auto e le luci diventano abbaglianti; si piazzano dietro di noi, la ragazza si inquieta, cerco di calmarla. Siamo in una situazione di svantaggio, bisogna recuperare in fretta: abbiamo i sedili ribaltati e siamo nudi. Cerchiamo gli indumenti intimi per rivestirci, è a questo punto che noto due uomini scendere dall'auto; quello alla guida lentamente viene dalla mia parte, invece, faccio appena a vedere l'altro che molto più velocemente corre sul lato della ragazza, ma mentre si gira verso il socio noto che ha in mano una pistola! « Cazzo!» Sono spaventato a morte. Non perdo tempo a rivestirmi, avvio l'auto e sgommo, da sdraiato e nudo comincio a guidare, dico alla ragazza di tirarmi su il sedile e non pensare ad altro, solo che non vedo nulla e mi sento come un cosmonauta che pilota la Soyuz alla deriva nello spazio.
L’auto ci insegue e non ci molla, è incollata al mio paraurti, la ragazza è terrorizzata, urla: «Corri corriiii», adesso sono nella posizione normale di guida, riaccendo i fari giusto in tempo, rischio per un pelo di cadere in una roggia, l’auto si inclina ma riesco a sterzare e a portarla sul piano. I due uomini spengono i fari dell'auto e per un pezzo in cui la strada si fa più larga riescono anche ad affiancarci, faccio in tempo ad arrivare a una stradina che porta alla città, lo spazio si restringe, spingo sul gas e sono davanti, ce l’ho fatta, sono sulla strada illuminata e asfaltata. Spaventatissimo credo ancora che siano della polizia o i carabinieri, terrorizzato penso: «Adesso usciranno dal buio della cava e ci fermeranno per multarci». Non uscì nessuno da quei campi inghiottiti nella notte. Ritornammo alla città come chi si sveglia da un brutto incubo, la mia bella tremava come una foglia, ci vollero parecchi bicchieri e due ore per calmarla. L'auto non aveva nessun lampeggiante, nessuna livrea riconducibile ad una delle forze dell'ordine, i due tizi non portavano uniformi o pettorine, insomma secondo me fui fortunato. Mi sono sentito come una di quelle coppie attaccate nell'intimità per rapina, violenza o peggio. Mai più in posti troppo isolati! Mai più.
Dott.Giulio Guarda la Nana
Tempo dopo la disavventura della Cava cominciai ad appartarmi in posti più urbani. Pensai che fosse meglio prendere una multa che rischiare altro, ma non avevo fatto i conti con un tipo di animale notturno, un animale molto popolare, una specie di sciacallo. Una sera sul tardi. Trovo l’imbosco con una bella brasiliana in un parcheggio in zona Greco.
Cominciamo a fare roba seria e si avvicina un'auto con dentro un uomo sui cinquanta, beato e tranquillo si gode lo spettacolo, sarà a una distanza di pochi metri e vede molto bene il porno live. La cosa mi urta da subito, allora sposto l'auto e parcheggio in un altro posto lì vicino, il distinto signore prende e si sposta anche lui, tanto da poter vedere ancora meglio, se possibile. Io con la pressione arteriosa a duecento riaccendo l’auto e faccio manovra, mi metto in un angolo del parcheggio, lo spettatore non pagante esegue la stessa manovra e si mette dietro. La ragazza più che intimorita è spazientita, io riaccendo, lui riaccende, ci rimettiamo in marcia, ma questa volta faccio inversione in modo da trovarmelo sul mio lato, abbasso il finestrino e apparentemente calmo:
«Andiamo avanti tutta la notte così?»
Il personaggio senza scomporsi e con sorriso beffardo: «Sa, io mi diverto così»
«Senta, adesso mi sposto ancora una volta e se proverà a seguirmi le brucerò l'auto con lei dentro, la vede bene così?» L’uomo con la giacca ingrana la prima e ritorna sulla sua via da compagno di merende.
Mi hai rotto il cazzo!
Da molti anni me ne andavo in giro col mio salamino in giro a infilare l'infilabile: «Ma che bello inserire, che goduria sentire, che sollazzo venire». Ma purtroppo il fato decise di metterci lo zampino. Vedo questa bella e terribile arpia di mammelle fornita in generosa
grandezza, ci si apparta e calo l'asso di bastoni, lei guarda e riguarda, fissa, contempla, allora io da gran signore quale sono: «Oh, mica dobbiamo giocare a ciapanò, imboccatelo!» Comunque, abbastanza inquietato dallo sguardo fisso e nonostante il mutismo della sirena, alla fine mi scappa duro. L’essere femminile apparentemente umana, con una mossa da me sperata, tira fuori due mammelle da infarto, diciamo una quinta naturale, non sembrava affatto così esageratamente popputa da vestita, una sorpresa, ma non sarà l’unica della serata. Avvolge con le sue morbide carni il mio ignaro amico, lo fa affondare tra queste zizze di bufala e lui sparisce contento e felice, mentre lei finalmente favella:
«Ti piace mie tette?»
Io con sguardo da mistico: «Si, si, mi illumino di tette».
Dopo un paio di minuti di favolose sensazioni un grido nella notte squarcia il silenzio : «Aaahhhhrghhh, oddio che dolore atroce!» Lei un po’ stupita da tanto ardore:
«Amoro tu venuto veloce, bravo»
«Cazzo dici? Mi hai fatto malissimo!»
Ma la cagna maledetta insiste: «Ma no, non vedi che sei tutto bagnato, tu venuto».
In effetti avevo sentito due o tre schizzi caldi sulla pancia ma non mi sembrava proprio di aver eiaculato, infatti:
«Oh porca pupazza, sono pieno di sangue». Sembrava un mattatoio, solo che il capo di bestiame abbattuto ero io, imbrattato o meglio, zuppo di sangue e lei niente, non proferisce verbo e non sembra sconvolta: «Scendi cazzoooo, vai viaaaa».
Accendo l’auto, con una mano guido e con l'altra cerco di tamponare il sangue, «Porca puttana comincia a girarmi la testa». Per fortuna l'ospedale è vicino, esco dall'auto come uno dei protagonisti di Pulp Fiction, entro e mi fiondo al pronto soccorso, un infermiere utile come un culo senza buco:
«Signore, deve fare il Triage aspetti»
«Ma è cieco? Quale Triage? Non vede che sono uno sbocco di sangue?»
Un meraviglioso spettacolo per gli astanti acciaccati che seppur doloranti non si sono astenuti da farsi belle e grasse risate, solo giusto un po’ trattenute. Operazione urgente, frenulectomia e otto punti di sutura, il mio soldatino non si riconobbe più, ma nonostante tutto ancora vivo, certo malconcio dopo la battaglia però, onore al merito.
Silvia: «Come? Perché hai i punti sull’uccello?» «Te l’ho già detto, è per la tettona, non ricordi?» «Sì, mi hai parlato di un piccolo incidente, ma non che fosse necessaria un’operazione per rimettere le cose in ordine» «E sì, il problema è al mattino quando mi sveglio duro, i punti tirano e possono rompersi, a volte esce sangue ma sto bene,il peggio è ato» «Ascolta, da quello che mi hai raccontato dei tuoi ultimi incontri, stai regredendo alla fase di “scarabeo stercorario”, non sarebbe il caso di consultare qualcuno? Almeno vedi da dove proviene questa necessità di autodistruzione, questa voglia di farsi del male» «Ma no, è stato un incidente, non preoccuparti, il mio malessere non credo che c’entri» «Ah no? Forse, io però ormai mi sento impotente, so solo che per un lungo periodo te la stavi vivendo abbastanza serenamente, ultimamente invece, guarda caso gli “incidenti” come li chiami tu, stanno aumentando, scusa, e i tizi che ti hanno inseguito alla cava? I guardoni? Senza contare che le puttane problematiche le incontri tutte tu, anzi, credo che i termini puttana e problema sia sinonimi, io ci penserei seriamente se fossi in te, riflettici». Pensai che Silvia stesse esagerando come al solito, così, per farmi desistere dal continuare, però in fondo aveva ragione, io cercavo avventure, scontri più che incontri. Quando ti metti su una lunghezza d’onda particolare, è inevitabile trovare persone che sono come te, io ero perennemente in lotta tra due mondi, uscivo ed entravo nell’ altro con troppa facilità, ero sempre io, ma da pacato e civile uomo comune mi trasfiguravo in un perverso distruttore. Avevo bisogno di entrambe le realtà, dovevo esprimere i miei ruoli nonostante i pericoli a cuiandavo incontro, il punto era: cosa cercavo nel cupo e vizioso mondo? Entrambi gli universi mi appartenevano, nel primo c’erano i miei affetti e tutta la routine quotidiana, nel secondo potevo dare libero sfogo alle mie fantasie e placare i miei dolori. Cercavo di spingermi oltre, i limiti da superare non erano nei giochi sessuali, ma nelle persone, chi mi aspettavo di incontrare? Non cercavo il condannato ma il boia.
Quella gelida manina … te la taglio!
Esiste, purtroppo esiste la prostituta ladra. Non mi sono mai dato una risposta specifica sul perché, non ho mai pensato che fosse disperazione, forse ingordigia e stupidità insieme, forse più semplicemente perché si può essere prostituta e ladra, una cosa non escluda l’altra. La prima volta capitò a Torino, in auto. Mentre la gazza ladra armonicamente suonava lo strumento a fiato, sentii una leggera pressione sulla gamba, di istinto feci per sentirne la provenienza e la mia mano toccò la sua intenta a frugare nel portafogli, una banconota era già fuori, per un attimo rimasi sorpreso, poi incazzato e deluso. «Guarda, se mi avessi chiesto dieci in più te li avrei dati, non c’era bisogno di rubarli». Avanzò un sacco di patetiche scuse ma mentre parlava, io sentivo solo un fastidioso ronzio, ero solo sconcertato e amareggiato, la lasciai sul posto e me ne andai. La seconda volta capitò una sera d’estate, ancora una volta in auto. Ebbi un rapporto completo con una ragazza, una volta finito, tornando verso casa mi accorsi che la catenina che avevo al collo era sparita, una cosetta da poco, ma era un regalo e ci tenevo. Cerco e ricerco in auto, pensando che magari fosse caduta sotto i sedili nell’ardore del momento, nulla, ma poi, mi sovviene un immagine, un flash: la ragazza che più volte mi accarezza la nuca. Torno da lei ma la stronza ovviamente è sparita, mai più rivista né in quel luogo né in altro posto, meglio così, per entrambi. Una loft mentre ero in bagno per le abluzioni mi alleggerì di cinquanta euro,
me ne accorsi solo il giorno dopo, troppo tardi, difficile andare a reclamare il maltolto. L’esperienza più movimentata invece, mi capitò con una italiana, una sbandata, che però aveva il suo bel fisico. La raccattai (termine non a caso) in una zona non male di Milano, non sembrava tossica. Andiamo a imboscarci, lei ha un vestitino corto, non c’è bisogno che si spogli per un lavoro subacqueo, io invece lo faccio calandomi i pantaloni e verso il contante. Lei mette via il denaro, finge di abbassarsi ma in realtà con la manina apre la portiera e scappa, corre verso la strada. Per un attimo rimango così: sedile reclinato, pantaloni giù, pene eretto, portiera aperta, plafoniera accesa; una stupenda immagine che vi accompagnerà nei vostri peggiori incubi per anni. Chiamo i carabinieri e parto all’inseguimento della troia volante. Sale su un auto e via verso stazione Garibaldi, accelero e gli sono in culo, con gli abbaglianti e manovre al limite faccio capire che non mollerò l’osso. Quando arrivo al primo semaforo arriva la sorpresa; fino ad allora ho pensato che l’auto fosse del complice, invece quando il conducente vede che scendo con adeguato attrezzo in mano, scaraventa letteralmente la chiavica fuori. L’imbelle essere attraversa l’incrocio correndo e fa incredibilmente in tempo a prendere un altro aggio, risalgo in auto, brucio un rosso semaforico e faccio inversione, inseguo pure questo. «Pronto? sto inseguendo la ladra verso Melchiorre Gioia, direzione periferia»,ho dovuto pure comunicare in tempo reale la mia presenza ai carabinieri, dove cazzo ero? In Miami Vice? L’ultimo individuo si spaventa subito perché mi nota immediatamente, si ferma e la fa scendere, la ragazza si oppone e tergiversano ma poi si precipita fuori, corre verso un parcheggio di taxi, io la inseguo a piedi, riesce a entrare in un mezzo, il tassista accende l’auto ma mi paro davanti e gli urlo che ha in auto una ladra e se parte gli prendo la targa, il tassista prova a chiamare i soccorsi al cellulare, ma non occorre, due auto dei
carabinieri finalmente arrivano a sirene spiegate, bloccano tutti. Vengono controllati i documenti di tutti, bene, ma qui arriva uno di quei frequenti momenti in cui pensi:«L’Italia è proprio un Paese di merda!» Un agente si avvicina e con fare sbrigativo:
«I soldi li ha dati lei alla signorina?»
«Si certo, ma prima di ricevere la prestazione è scappata!»
Mentre va verso un collega mi intima di non muovermi, di stare vicino alla mia auto. Noto il conciliabolo tra divise, un altro agente mi raggiunge.
«Lei adesso cosa vuol fare?»
«Io? nulla, rivoglio i miei soldi e finisce qui.»
«Guardi, noi non facciamo i magnacci di nessuno, se vuole domani va in caserma e sporge denuncia»
«Cioè? dovrei fare querela a quella roba lì? Prendere un avvocato, affrontare una causa, per trenta euro? Se permette vado via, altrimenti tra poco arrestate me».
Per quanto incredibile questa storia possa sembrare, purtroppo è vera, lo sconforto fu enorme e mi fece riflettere, io ho sempre ammirato l’Arma dei carabinieri, ma quella volta per come mi trattarono la delusione fu cocente. Il problema fu che, i soldi li avevo messi in mano io a lei, nessun furto, anzi, magari mi si denunciava per induzione. Grazie Senatrice Merlin, anche per questo. Come sopravvivere alle nostre paure Una nazione senza bordelli è come una casa senza bagni. Marlene Dietrich
Un puttaniere in preda a una crisi di fame può mettersi nei guai o avere seccature, la parte razionale della nostra mente vacilla davanti a una succulenta cena a base di fica. Definire il puttaniere è impossibile, siamo trasversali, di ogni ceto sociale e politico, di ogni età e religione, ognuno in modo differente affronta l’esperienza della copula previo pagamento, e purtroppo anche i relativi inconvenienti che possono manifestarsi. Ci sono quelli romantici e pacati, quelli violenti e animali, quelli gentili e premurosi, quelli timidi e impacciati, intelligenti e stupidi, puliti e sporchi, gran signori e pidocchi. Sognatori e cinici. Non bisognerebbe neanche sottovalutare il proprio stato d’animo, i miei più grandi fallimenti sono dipesi da uno sbagliato atteggiamento, e poi, ci sono le paure e i timori ingiustificati, le fobie e i preconcetti, questi ultimi sì, mi hanno creato non pochi problemi. Quando ad accogliermi è stata una modella dalla divina bellezza i tarli mentali si sono presentati puntuali. Per dire.
Angelo che riceve a casa: «Ciao, posso offrirti qualcosa da bere?»
Mio pensiero: «Cazzo, mi vuole somministrare del sonnifero per derubarmi», per dire.
Bellezza da capogiro: «Che lavoro fai? Sei sposato?»
Mio pensiero: «Perché vuole saperlo? Non è che dopo mi ricatterà?» Per dire.
Il lussurioso amore: «Come sei bravo, mi fai godere».
Mio pensiero: «Uhm, mi costerà un regalino extra», per dire.
Con le stradali è sempre meglio andare con solo i soldi necessari alla prestazione e con biglietti di piccoli taglio, non aspettatevi il resto, in ogni caso potreste essere derubati o rapinati. Evitare di esporre a vista come se l’auto fosse un suk: orologi costosi, catenine d’oro e tutto ciò a cui tenete. L’imbosco non deve essere assolutamente vicino alle abitazioni, nessuno è tenuto a vedere o sentire le vostre acrobazie, la denuncia è possibile in caso di controllo. Ma come esperienza insegna, neanche scegliere un luogo troppo isolato è buona cosa, insomma meglio un motel. Mettere sempre l’auto nella direzione più consona alla fuga, in caso di emergenza dovrete fare meno manovre possibili.
Se il posto non vi piace proponetene uno voi alla ragazza, ricordatevi comunque che anche se lei accettasse si sentirà meno tranquilla, quindi potrebbe risentirne la prestazione, ovvio.
Con le loft pescate da internet, invece il controllo sarà sulle foto e sul numero di telefono dell’annuncio. Ci sono foto palesemente false o ritoccate, ma in caso di dubbio in rete troverete programmi o siti che analizzano l’immagine rivelando dove la ragazza è presente nel web oltre all’annuncio in oggetto, o da dove provengono le foto. Per il numero invece basta inserirlo su un motore di ricerca, così saprete se è già stato usato per chi o dove. Questi sono semplici accorgimenti ed è meglio essere prudenti piuttosto che splendidi, poi, fate Vobis. Invece, se volete farvi una grande scopata in relazione a quanto può o vuole dare la ragazza, seguite scrupolosamente i seguenti suggerimenti.
Alle persone più navigate potranno sembrare indicazioni pleonastiche, ma vi posso assicurare che sono pochi a comportarsi in questa maniera, soprattutto al primo incontro. Considerate sempre di avere a che fare con una persona umana, con una donna, e solo alla fine con una prostituta. Prima e durante l’incontro la ragazza avrà timori di ogni genere, ma i più frequenti sono di trovarsi di fronte a un violento o una persona che potrebbe farle del male, non essere pagata o di trovarsi tra le lenzuola un folle. Presentatevi sempre, anche con un nome di fantasia, siate sereni nel parlarle, ditele chiaramente ciò che vorreste e in che modo, quanto vorreste stare, soprattutto, rispettate tutte le cose concordate.
Non ponetele domande private, al limite ne parlerà lei se vorrà, non fate battute tipo: “Vorresti essere la mia fidanzata? Vuoi sposarmi? Perché lo fai?” Lo so che sono frasi che si buttano lì per stemperare l’atmosfera o in preda all’entusiasmo dopo una bella prestazione, ma alla ragazza potrebbe sembrare un vostro sondare il terreno su un tipo di protezione, fidatevi, anche chi sorriderà intimamente si irrigidirà. Siate cordiali anche nella telefonata o intervista, come noi, anche loro, cercheranno di capire dalla voce e da come vi esprimete, che persona siete. Un piccolo social-time è l’ideale, prima e dopo sarebbe opportuno, prima per tranquillizzarle, dopo per confermare che non siete orsi bruni. Valorizzate la conversazione, molte sono laureate e assai intelligenti, potreste uscire da un incontro svuotati fisicamente ma arricchiti culturalmente e umanamente, fate emergere il lato umano e non ve ne pentirete. Se volete, meglio portare un pensierino, una piccola cosa, a tutti fa piacere ricevere attenzioni. Andate sempre puliti e profumati, bocca compresa, anche se non richiesto espressamente da lei, chiedete sempre il bagno per una rinfrescata. Non chiedete mai alla vostra prescelta dell’amica che esercita con lei, che è per sfiga, generalmente più sexy, come la mitica Medusa essa vi pietrificherà con lo sguardo. Non siate dominanti, non usate sotterfugi per dissimulare la fragilità maschile. Non fate il buon samaritano, tipo: “Ti porterò via, ti tolgo dalla strada, ti mantengo io per non farti battere”, se non siete in grado di mantenere così grandi promesse, inutile creare false aspettative. Potreste avere già dalla prima volta un eccellente rapporto sessuale, ma non è matematico, vi posso assicurare però che dalla seconda, sarete ricompensati alla grande, magari non ricorderà il vostro nome ma sicuramente sarete riconosciuti per i vostri modi gentili e come persona gradevole.
Tenete presente che sono persone, possono avere avuto una giornata storta, problemi o non stare bene, è la realtà non un film porno in cui siete i protagonisti maschili. Mi spiace dirlo, ma lo scrivo soprattutto per quelle persone che spesso confondono le due dimensioni: la vita vera e il virtuale pornografico. Calma e gesso, potrebbe essere alle prime armi, con tutte le fisime del caso, potreste essere il primo cliente della loro carriera, tutte le ragazze ricordano il primo, lasciate di voi un bel ricordo, soprattutto il meno traumatico possibile. Io in genere non chiedo sconti sulla prestazione, per non dare campo libero alla ragazza in caso di malcontento, la prima e ovvia risposta sarà: «Con questo prezzo, pretendi pure? Ti ho fatto lo sconto», anche se non arrivaste a questo punto, l’atmosfera e l’incontro potrebbe risentirne. Siete stati con la bella di turno e avete seguito tutto alla lettera? Ma nonostante ciò non siete stati contenti del rapporto? Bene, non maleditemi subito, esistono anche le stronze, avete letto bene, non persone complesse, no, no, proprio stronze; ma questo è un altro capitolo. Non litigate mai, lasciate il pattuito e andate via, evitate ogni genere di discussione, dite loro che non ritornerete perché vi siete trovati male, ma solo questo e poi togliete il disturbo, l’imponderabile è dietro l’angolo. Le conseguenze in questi casi non valgono mai un biglietto da cento euro. Non si tratta di abbassare il capo, ma solo di essere realisti, accettate che ci sono persone che non sanno stare al mondo, prendetene atto e ricordatevi che i simili si attraggono. I problemi maggiori potreste averli a casa con le vostra compagna. Sempre doccia dopo l’incontro e se non è possibile, almeno non rientrate subito, andate a bere una birra, meglio puzzare come un beone che profumare di femmina compiacente. Usare una sim dedicata, meglio altro cellulare chiuso nel cassetto dell’ufficio o armadietto.
Se il PC è condiviso eliminare ogni traccia di navigazione, farlo bene però, la cronologia non è sufficiente, fatevi consigliare sul come da persona esperta. Attenzione alla rintracciabilità e ai software localizzatori scaricabili sugli smartphone. Fate coincidere la serata del calcetto con l’incontro, se non siete sportivi trovate un amico fidato; conoscevo un tizio che si faceva prestare la divisa sudata dopo la partita con tanto di puzza compresa. Controllate bene l’auto, aspirate gli interni, io nel tempo ho trovato di tutto: accendini, forcine per capelli, involucro preservativo aperto o preservativo integro, fazzolettino umidificato, anello, orecchino, aporto (poi reso), rossetto, mascara, matita labbra. Ma il più infido di tutti è il famoso capello di differente colore o lunghezza della vostra partner:esiziale! In caso di fallimento mantenere il sangue freddo, negare sempre, anche l’evidenza più palese: negare, negare, negare. Fingetevi sorpresi e schifati, dite l’auto l’avete prestata a quel vostro amico fidato, che già al corrente sarà pronto anche a rispondere a una telefonata informativa della “iena”. Sulle tracce lasciate nei prodotti tecnologici invece la vedo dura, potete dare colpa a un virus o a scherzi, a clonazioni, ma qui le gambe sono cortissime. In genere un buon amico ed essere previdenti salvano un matrimonio o un legame.
La puttana vergine Qualche brava ragazza magari leggerà questo mio trattato sulla follia, ecco mi piacerebbe comunicarvi cosa non dovreste mai fare, ma soprattutto vorrei che non vi faceste più la domanda: «Come mai non è più tornato?» Ammesso che vi importi.
Certo, il mio sogno, il mio ideale sarebbe quello di incontrare sempre la puttana vergine e una volta la incontrai. Entrai nel suo piccolo appartamento, come in una commedia che gli attori conoscono a memoria recitammo le nostri parti in modo didascalico. Ero stanco nel corpo e nella mente, cercai solo di gettarmi dietro le spalle fiumi di dolore e di emozioni, sprofondare nell’abisso dell’abitudine ovattata, niente sorprese, solo una riga diritta davanti alla mia faccia. Osservai la stanza e il letto in cui centinaia di altri “ me stesso” cercarono delizie evanescenti come fuochi fatui, posai la giacca sulla sedia e andai in bagno. Qui, in questo luogo necessario quanto freddo notai il cestino vuoto, vuoto e pulito. La mia mente costruì immediatamente un muretto di cinta all’inglese, dietro il quale un verde prato faceva da cornice a splendide rose Virgo, trovai quiete e intimo tepore in quella vista. Il delicato profumo uscì dalla mia mente per riempire la stanza, le fragranze volarono sinuose lungo le pareti come le note di Pachelbel. Ero il primo, certo, si intende il primo della giornata, ma quella mattina imparai ad accettare, a non chiedere sempre il massimo alla vita, lasciai andare tutti i miei attaccamenti e vissi la compagnia femminile come uno splendido dono. Il copione è sempre lo stesso ma forse a volte è meglio recitare a braccio, ma per farlo bisogna essere degli artisti come in Les Enfants du paradis, io non ne ho il talento.
Come consigliato già al puttaniere, non rispettare il pattuito è davvero sgradevole, potreste però anche esporvi a menti non proprio sane, le quali potrebbero leggere una scorrettezza da parte vostra come un affronto personale e reagire di conseguenza.
Dite la verità se non volete consumare un tipo di rapporto, non dite: «Amore ce l’hai troppo grosso», quando sappiamo che non è vero. Ogni maschietto è ben consapevole del proprio compagno di giochi e poi, solo il 2% della popolazione maschile mondiale è superdotata, io purtroppo faccio parte del restante 98%! Siate puntuali e precise sull’appuntamento, organizzatevi, non dite alle 13 e poi con vari messaggi si arriva alle 14, alle 15, o peggio si cancella l’incontro, non siamo tutti nullafacenti e perdigiorno. Non esponetevi a brutte figure e alla nostra ira mettendo foto non vostre, eccessivamente ritoccate o di dieci anni fa. Lasciate perdere l’effetto ormone. Non dite: «Caro il tempo è scaduto», ritraendovi, se è ato un minuto oltre il concordato. Variante prima, dopo quattro minuti:«Ma sei sempre così lungo a venire?» Variante seconda: «Ti rimangono tre minuti, dai amore». Variante terza, staccandosi dall’arnese: «Dai amore, adesso fatti una sega così finiamo».
Non mettete la mano durante la penetrazione sul membro o sul pube, adducendo come scusa che è troppo lungo. Spegnete o mettete in modalità silenziosa il cellulare, non rispondete mai durante l’amplesso. Capisco che è dura prendere decine di cazzi al giorno, ma se possibile, non inondate le parti intime con quintali di lubrificante, per noi allora diventa più eccitante metterlo in una bistecca arrotolata. Non alzate la posta una volta giunti all’incontro, non dite che non avevamo capito al telefono. Peggio se in auto: «Se vuoi toccare il seno dieci in più, il culo altre dieci, la patata no, non mi toccare i capelli».
Non staccatevi con la bocca o con la mano durante l’eiaculazione, di fatto, strozzando l’orgasmo. Come sopra, piuttosto negate l’atto, questa è un’azione che davvero mi induce ad un raptus folle. Non accogliete il cliente in ciabatte o sciatte, per questo ci sono già le mogli. Non cominciate a usare la mano vigorosamente se state praticando un pompino con la speranza che si venga prima, risulta solo fastidioso, a me urta in modo particolare. Non esordite con: “Dai amore non vieni? — Hai sniffato? — Hai preso il viagra? — Hai già scopato prima di venire qui?— Problemi sessuali?”.
Non cominciate a parlare dei vostri guai, problemi e menate varie, né prima né durante il rapporto, magari dopo, alla fine. Se avete bisogno di aiuto ditelo chiaramente in separata sede temporale. Non sputate nel piatto in cui mangiate parlando male del cliente precedente, siamo autorizzati a pensare che farete lo stesso con il prossimo parlando di noi. Non fateci vedere il cumulo di preservativi usati utilizzati in giornata, non fateci usare l’asciugamano in comune, non è bello condividere lo sperma con i colleghi. Non parlate di tematiche femminili prima, tipo: mestruazioni, strane perdite, emorroidi. Già, mi è capitato anche questo. Non parlate mai delle mogli, per nessuna ragione, a meno che non sia il cliente a farlo per prima. Non usate troppo profumo, sarebbe meglio nulla, una bella doccia è sufficiente. Non cominciate a godere come una pornostar al settimo orgasmo dopo la prima leccata, siate il più possibile naturali. Non ve ne uscite con perle surreali, tipo: “Sei strano, non guardarmi in quel
modo, mi fai paura — Sei un maiale, voi uomini siete tutti uguali —Che sei, maniaco sessuale? —Dai fai presto, ho un altro cliente — Non sei malato vero?”. Non usate più i preservativi rossi, avremmo la stessa sensibilità se indossassimo il copertone di un T.I.R., oltre a strozzare fino a farlo diventare blu il povero tacchino. Non accoglieteci in stanze che sembrano camere oscure illuminate come in un film di David Lynch, o con le stesse atmosfere create da Edgar Allan Poe. Niente prestazioni a macchinetta, anche se avete tanti clienti sappiate gestire gli appuntamenti e gli incontri, la maggior parte dei puttanieri gradisce un atteggiamento da fidanzatina. La più famosa loft di Milano riceveva decine di clienti al giorno, a ognuno però riservava baci languidi e morbide carezze, coccolava senza nessuna fretta, sempre dolce e rilassata, andando avanti così per anni, credo che sia diventata molto, ma molto benestante.
Il satiro emigrante
Un bordello ci vuole, in una città per bene: come ci vuole il Municipio, il Tribunale, le carceri, l’ospedale, il cimitero, e il Monte di Pietà. Curzio Malaparte Fica e cioccolato Un giorno, il mio amico più caro mi telefonò:
«Stasera ci vediamo? Devo parlarti di una cosa, una cosa che ti piacerà, io da un po’ di tempo vado in Svizzera»
«Ah bene e che vai a fare, lo spallone?»
Per me fino a quel momento il Paese bianco crociato, come per molti, era la patria del cioccolato, banche e orologi; non certo della lussuria e del peccato, anzi, mi faceva ammosciare considerevolmente la nuova suggestione. Alcuni italiani già ci andavano ben prima dei servizi in TV, chi abita in Lombardia e Piemonte sa di cosa parlo, ma ho conosciuto gente affamata di fica, “emigrata” anche dalle regioni centrali, perfino da Roma. Una sera questo mio amico mi fece are il valico, ero felice come un bimbo quando lo si porta alle giostre per la priva volta, la realtà superò le aspettative,vidi da lontano un palazzo giallo ocra, sul quale svettava un’insegna abbastanza ordinaria: Bar Oceano.
«Mi hai portato fino a Lugano per andare in un cazzo di bar?» Feci io, sbagliando sempre tempo e luogo delle mie uscite.
Era ed è ancora il più famoso bordello del Canton Ticino, il parcheggio era un’esposizione di targhe nostrane, pagammo ed entrammo, l’odore buono di fica già si poteva sentire aprendo la porta del “privè”. Il mio ingresso trionfale fu salutato come il ritorno di Giulio Cesare a Roma dopo una campagna vittoriosa, una schiera di splendide ragazze mi sorridevano e mi si offrivano, salutai tutte con la mano aperta, come fa il Papa quando benedice la folla acclamante. «Oh mie care pecorelle, sarebbe mio grande giubilo potervi accogliere nel mio cuore, tutte, una per una, ma Noi siamo uomini e oltre la terza non ce la si fa proprio». I molti clienti guardavano queste fate come inebetiti, avevano la stessa espressione delle scimmie che osservano il monolite nero in 2001: Odissea
nello spazio. Almeno una trentina di ragazze uscivano ed entravano dal locale per raggiungere le camere con il fortunato prescelto e pagante. Brasiliane, russe, rumene, dominicane, il livello di bellezza oscillava tra il “Più che bona” a “ Cazzo che fica spaziale”. Qui era l’optimum della consumazione gnocchesca: la sincrasi delle marchette stradali e delle escort su internet in Italia. Ragazze da copertina, le potevi osservare quasi ignude dal vivo, potevi parlarci come con le stradali, sentirne il profumo o apprezzarne la risata. Impagabile. La mente ritornò a quei simpatici vecchietti di quando ero bambino, realizzai davvero, cosa significasse entrare in un bordello. Tutto in ordine, tutto chiaro. Ottanta euro ed ella ti porta in cielo, lenzuola pulite comprese. Notai security e telecamere dappertutto, la sicurezza era per le ragazze ma anche per i clienti, a me stava benissimo così. Le ragazze pagano solo l’affitto della stanza, il guadagno fatto con il sudore della era, giustamente, rimane nelle loro tasche. Finalmente lontano da ragazze più o meno sfruttate, da paure e cattive sorprese, dai controlli più o meno invasivi delle polizia, dalle multe, lontano da mogli e stoviglie volanti. Ci guadagna il cittadino svizzero con le tasse e con l’ordine, ci guadagna la ragazza, il gestore del bordello e il personale che ci lavora, le autostrade elvetiche e tutto l’indotto: benzinai, ristoranti, hotel, bar. Chi paga tutto questo? Migliaia di puttanieri italiani. Per fortuna in Italia la prostituzione non esiste, le ragazze che vedete in strada sono sagome cartonate messe lì per valorizzare esteticamente il paesaggio, gli annunci su internet invece sono di vere massaggiatrici, che pensavate?
Tutto perfetto? No, non proprio. Da qualche tempo la polizia ha cominciato a fare controlli a tappeto, a cercare “il pelo nell’uovo” nei locali per farli chiudere, in molti casi ci sono riusciti, sembra che sia in relazione ad infiltrazioni mafiose dell’est nei postriboli. A malincuore devo ammettere che fanno bene, sono orgogliosi del loro Paese e lo amano, lo difendono dalla feccia.
Intanto, anche l’Austria comincia a posizionare i suoi bordelli al confine con l’Italia, novelli carri armati che non mietono vittime, non vogliono il nostro sangue ma solo euro e sperma, i veneti ne faranno le spese. La Slovenia si organizza per il contrattacco, la Germania come sempre agisce da potenza: il suo territorio è presidiato da migliaia di postazioni missilistiche, se ne contano oltre settecento solo a Berlino, solo che non lanciano missili ma solo fighe, tette e culi.
L’Italia? Nulla, come al solito, noi aspettiamo che qualcuno ci venga a salvare, nel caos generale tutti possono mangiare, così c’è campo libero per i papponi, per le mafie, e ogni tanto, viene pure fuori il politico di turno che si scopa la ragazzina quattordicenne o la minorenne nipote del faraone. Ci si sguazza dentro alla merda, dopo un po’ non si sente neanche più la puzza.
L’olandese scopante Qualche anno fa mi inoltrai nelle basse terre rubate al mare, il motivo banale fu per lavoro, ma giustamente il mio pitoncino reclamava femmine di bianca cotenna e di rosse gote. Presi alloggio all'Ambassade Hotel, qui iniziò un simpatico rapporto con il più anziano dei portieri: un uomo sulla sessantina, distinto e all'apparenza distaccato, un tipo alla Peter Sellers per intenderci.
Chiesi in inglese la mia prenotazione, il portiere con faccia grandissima di cazzo mi rispose in italiano, allora io:
«Bene, è così pessimo il mio inglese?»
«Per niente Signore, anzi, ma vorrei fare pratica di italiano se non le dispiace»
E io: «Lei è un gran paraculo!»
E lui senza scomporsi minimamente: «Ah, il signore è di Roma?»
«No, di Milano», ma quest'ultima battuta mi confermò che sapeva l'italiano meglio di me e gli feci i complimenti.
Mi piacciono moltissimo le persone che seppur provocate riescono a mantenere il controllo e tengono botta. Il pomeriggio esco a farmi un bel giretto, prima lungo i canali e qui, cominciano i pensieri; un tipo mi segue, un marocchino sui vent’anni, allungo il o ma nulla, sempre attaccato alla schiena, giro in una strada e mi fermo subito dietro l'angolo, il tipo gira e me lo ritrovo ad un palmo dalla faccia: «Dai, cosa cerchi?» e lui un poco in inglese e due parole italiane sciorina le solite cose:
«Ciao, viva Baggio, Italia bella» e mi offre del fumo, sono abbastanza infastidito.
«Ma secondo te, vengo ad Amsterdam e compro hashish come alle colonne di San Lorenzo?»
«Ma la mia è forte, la mia è buona». «Sì certo, ma adesso togliti dai coglioni» , gli volto le spalle non prima di mollargli un’ultima occhiataccia.
Giro un paio di locali consigliatomi, in cui provo la torta alla droga, la birra alla droga, il tè alla droga, l’aria alla droga, roba per turisti, e io che non fumo neanche le sigarette sto in "squadra" perfettamente. Ritorno in hotel stanchissimo e assonnato, di duro ho solo le ginocchia e le emorroidi che come spilli mi torturano il deretano. Il giorno dopo, finito il lavoro, mi ritrovo nei dintorni del porto quando vedo la scena più agghiacciante della mia vita. Marito e moglie (poi rivelatisi turisti tedeschi), lui un cristo sul metro e novanta — massiccio come una roccia — eggiano in mezzo a tanti. a ad alta velocità un uomo in scooter sfiorando la coppia, per poco non lo centra in pieno, il tedesco gli dice qualcosa come per ammonirlo, lo scuterista olandese frena e scende dal mezzo, si dirige verso la coppia, io sono a tre o quattro metri, vedo un luccichio nella mano destra dell’aggressore, non faccio in tempo a dire "A", il tipo con un gesto che non dimenticherò mai, un movimento veloce come una pennellata, taglia la gola di netto al turista, il tedesco stramazza al suolo tra le urla della moglie e delle persone vicine. L’animale con calma rimonta in sella e sparisce, nel giro di due minuti netti arrivano polizia e ambulanza ma il tedesco giace esamine in un lago di sangue. Sconvolto,vago per la città senza una meta, penso e ripenso all’episodio, che
infatti sarà indelebile nella mia mente per sempre.
L’indomani vado a fare un giro nel quartiere a luci rosse, tra tante bellezze in vetrina, mi viene una depressione di dimensione gargantuesca. Le ragazze sono belle, sono consapevoli, tutto quello che volete,sono un mero puttaniere a cui piace scopare anche a pagamento, ma vedere essere umani in vetrina mi fa specie e non lo trovo per nulla esotico, ipocrita? Può essere. Una ragazza bionda e con lineamenti nordici mi invita a entrare, accetto almeno per curiosità. Io, sempre in inglese:
«Sei molto bella, sei olandese?»
«Veramente sono di Ferrara», in italiano. Minchia, mi sa che devo perfezionare l'accento!
La ferrarese: «Vuoi venire? son cinquanta»
«Guarda sei davvero nasty girl ma caspita, di italiane in Italia ce ne sono parecchie, non ti offendere».
Vado via sollevato per non aver scopato, devo essere malato! Ho molto tempo libero e vado a visitare la casa dove trovò rifugio Anna Frank, incredibile, mi è sembrato proprio di vivere in quel periodo, c'è
ancora la stanzetta dove condivideva il sonno con i coinquilini e una piccola porzione di parete, la sua porzione, dove attaccava le figurine di modelle dai giornali ritagliate, alcune sono ancora lì mezze strappate, mi è quasi scoppiato il cuore. Ritorno in hotel, ormai precipitato in un triste turbinio di mestizia e acredine, mi appisolo su una poltrona. Ultima serata ad Amsterdam e non avevo ancora concluso nulla di carnale, nella hall, sono lì seduto come in coma e mi si avvicina il mio Peter Sellers:
«Tutto bene signore?»
«No caro, immaginavo un soggiorno diverso»
«Posso fare qualcosa?»
Io sardonico:«Sì, mi faccia conoscere Miss Olanda». Per un attimo mi scruta in silenzio come per leggermi dentro.
«Guardi, magari Miss Olanda no, però una che le si avvicina molto sì».
Resto di stucco, non per il tipo di servizio che per carità, è proposto da tutti i portieri, ma per la perspicacia del mio amico; è proprio vero, la differenza in questo porco mondo la fanno poche persone. Accetto e dopo un'ora arriva in stanza Agatha, olandese di razza, un metro e ottanta di bontà, occhi verdi smeraldo e poppe di muccosa memoria,
sanamente bella, porcella e professionale. Il suo tempo è stato costoso, ma è stato tempo da ricordare, del resto, quanto gratuitamente ne sprechiamo inutilmente? Finalmente, mi scrollo di dosso tutto il dolore di ciò che ho visto e vissuto, Amsterdam diventa finalmente lussuriosa, grazie soprattutto a Peter! Sogni e dittatura Fermo così, con il vestito di lino bianco abbacinante al tramonto, seduto sul muretto del Malecon osservo la vita scorrere lentamente. Da una vecchia radio escono le note di Chan Chan, alcuni bimbi corrono dietro a una palla malconcia, le case diroccate color pastello assorbono la luce ognuna in modo differente. I pensieri scivolando, cadono uno a uno verso l'oblio tropicale, la musica e il calore rendono faticoso ricordare da dove provengo. L'aria a volte è salmastra e a volte si riempie di odori a me sconosciuti; pensieri in movimento, fluttuando verso l'ozio assoluto riempio me stesso di cose nuove. Ecco, lei si staglia in controluce sulla porta del paladar come una visione sciamanica, i capelli lunghi e neri si posano sulla spalle come fiamme di veleno, si gira e mi sorride, i suoi occhi brillano e da questo istante sarò suo per sempre. Sfavillante il suo sorriso mi imprigiona dolcemente. Le lentiggini coprono il nasino delizioso, la natura le ha posate pure sotto gli occhi fungendo da cornice a delicati e raffinati lineamenti. Giace nuda tra le lenzuola, curve e rotondità impongono il maestoso mondo dei sensi, bianchi drappi fasciano il suo corpo solo in parte, una statua del Canova: sensuale ed elegante. Mentre malinconico guardo fuori dalla finestra cerco in fondo all'ultimo bicchiere il motivo della mia presenza in quel luogo. Mi avvicino ancora una volta per morire dei suoi baci e delle sue carezze; mi
guarda e mi abbraccia come si fa con i bambini quando vogliono dormire nel lettone perché hanno avuto un incubo, legge nei miei occhi tutta l'infelicità di una vita gettata. “Abbracciami mia meravigliosa creatura, così dimentico, forse, l'orrore e la solitudine. Mi dispiace, non riesco a scoparti, non riesco a sbatterti, voglio solo amarti dolcemente fino all'alba quando un anonimo taxi ti porterà in un'altra città, via da me, fragilità è il mio nome stanotte. Sai di buono, sai di pesca e mandorle, che sontuoso peccato, che danza sensuale il tuo volto”. Le sue lunghe gambe chiuse a forbice sembrano leggi che regolano il mondo, l’eburnea pelle è come pergamena sulla quale scrivere il mio piacere. Poche parole e molto silenzio, un bacio e un altro ancora, ancora e ancora, nessuno dei due sembra volere alzare il manto della realtà. Occhi che osservano tanta tristezza, sulle guance che tanto ho accarezzato, sulla bocca carnosa di melograno che succo ne promette ancora: «mordimi e forse si placa questa fame».
La guardo tremante uscire dalla mia vita, via, oltre l'alba. Mi siedo sul ciglio della porta a osservare la felicità scappare con lei, una piccola ombra mi scivola di lato, distoglie dolcemente l'attenzione, mi volto e penso a un insetto, no, è un piccolo colibrì, cerca di arrivare con forza e delicatezza al cuore di un fiore: «Stupendo compagno, anche tu sei alla perenne ricerca di qualcosa? La tua visione mi inebria il cuore, grazie». Mi risuonano in testa le parole che ho udito da quella vecchia radio: "El cariño que te tengo Yo no lo puedo negar...", è vero. Cammino verso la spiaggia di Guanabo cercando di non essere troppo fuori luogo, vedo la gente sorridere pur avendo poco, io invece ho molto ma sono svuotato nell’anima, sono ancora capace di riconoscere la purezza? Un bimbo mulatto con gli occhi verdi smeraldo si avvicina, apro le braccia e lui ci si tuffa dentro con slancio, quanto calore umano in un semplice gesto, qui è ancora possibile.
Una oldsmobile rossa sfreccia sulla strada infuocata, alzo una mano, il ragazzo esegue un'inversione come se avessi visto Robert de Niro, salgo, vivo come in un film in cui il protagonista torna a casa dopo un lungo viaggio, ma cambiato e diverso. Cercavo jineteras, ron e la mar, invece questa terra mi ha adottato placidamente e senza remore, mi ha amato e accettato, come se avesse preso un bimbo "sfortunato", sentendo che è diverso dagli altri ha prestato più attenzione nel seguirlo, nell’amarlo. Grazie Cuba, non mi sono mai sentito uno straniero, mai un ospite, mai un turista, ma solo un cubano un poco differente.
La rivoluzione copernicana il Forum
Che cos’è il matrimonio se non prostituzione a un solo uomo anziché a molti? Angela Carter
I puttanieri ai miei esordi si sono sempre mossi nel sottobosco, un territorio in cui le leggi non erano e non sono tutt’ora chiare, regole fumose, non è stato mai facile vivere alla luce del giorno. Per salvaguardare il proprio privato ma anche perché, come dicevamo, agli occhi della gente si è visti come appestati, siamo costretti a mentire, obbligati a vivere una parte che spesso è più vicina a quella recitata, tutti i giorni, nella perbenista società. Per questi motivi e per il conformismo che ci attanaglia con falsi moralismi, spesso mi sono sentito solo. Certo, mi rendevo conto di non essere l’unico puttaniere al mondo, incrociavo i colleghi che uscivano dai postriboli, si parlava con qualche
amico, ma in generale non potevo sfogarmi o raccontare semplicemente un fatto curioso accadutomi, chi mi avrebbe ascoltato? Chi mi avrebbe compreso? Non so se in tempi remoti, nella storia, ci siano mai stati circoli di puttanieri, un posto dove poter raccontare la propria esperienza, le gioie e i fallimenti, magari ufficialmente no, forse con il pretesto dei golf club o della serata poker questo è successo e succede. Tuttavia una notte, navigando in internet nel mare magnum della prostituzione, mi imbatto in un curioso forum, ve ne erano anche altri simili, ma più asettici e freddi, inoltre questo sembrava più goliardico, si respirava una aria leggera. Trovai il circolo che cercavo, finalmente. Mi iscrissi e rimasi silente osservatore per un tempo indefinito, leggevo e leggevo, cercai di orientarmi, gli utenti più dotati si distinguevano per ironia e fantasia, mantenevano un clima leggero ma non frivolo, ai ore ed ore a leggere di avventure e disavventure simili alle mie, emozioni e suggestioni trasmesse e condivise. Spesso molti giornalisti superficiali, hanno descritto questo genere di siti come se fossero una sorta di Trip advisor, ove gli utenti consigliano una prostituta piuttosto che un’altra, niente di più sbagliato e fuorviante, questi professionisti sono inclini più a suscitare pruriginosi pensieri nei lettori che a informare, evidentemente, le banalità sono nascoste dietro ogni penna. In questi luoghi virtuali vengono raccontate le esperienze vissute, ma i gusti non si discutono, ognuno ne ha di propri, un incontro vissuto con la stessa ragazza risulterà differente per ogni uomo che ci andrà, perché la ragazza agirà a pelle diversamente a ogni incontro e perché ogni uomo assumerà un atteggiamento proprio e differente, originale. Come è possibile consigliare? Frequentemente, mi sono trovato a visitare la stessa ragazza più volte, accorgendomi di aver provato differenti emozioni, una volta ne sono uscito entusiasta e la volta successiva demoralizzato, quale ragazza sarebbe stata da consigliare? Avrei sbagliato comunque. Meglio e più genuino è riferire la propria esperienza, nel bene e nel male, punto.
Io spesso preferivo chi lavorava ai racconti con un po’ di fantasia, alcuni davvero esilaranti, facendomi letteralmente piangere dal ridere. Dopo un po’, decisi di partecipare e raccontare le mie esperienze. Mi integrai facilmente e presto notai all’interno del forum anche sezioni dove la chicchera era più libera, posti in cui si poteva discutere di qualsiasi cosa, c’era chi postava racconti di fantasia o poesie, altri declamavano i dolori o i successi personali, chi chiedeva informazioni su malattie veneree o eiaculazioni precoci, una bel fritto misto insomma, ma molto divertente. Fui obbligato da subito a imparare sigle che parevano marche di detersivi o moduli delle tasse: CIF,CID, COB, COF, CIM, e così via, acronimi in lingua inglese che stanno per tutte le prestazioni che si possono ottenere, nel nostro caso, da una prostituta. Fatevi una cultura!
Agency = Agenzia = L'escort si avvale del o logistico di un'agenzia. Anal = Anal sex= A level = L'escort dà via il suo magnifico fondoschiena. BJ = Blowjob = Pompino. BBJ = Bareback Blowjob = Pompino scoperto (senza guanto). Bondage = Giochi con corde o manette. CID = Cum In Deep = Sborrata interna. CIF = Cum In Face = vedi COF. CIM = Cum In Mouth = Sborrata in bocca. COB = Cum On Body = Sborrata sul corpo. COF = Cum On Face =Sborrata in faccia. Couples = Coppia.
Covered = Covered blowjob = Pompino coperto (con guanto). DATY = Dinner At The Y = leccare la figa. Deep throat = Gola profonda (Se non capite guardatevi il film). Doggy (style) = Sex from behind = Pecorina. DP= Double Penetration= Doppia penetrazione,la girl lo prende contemporaneamente davanti e dietro. Extra = Rate suppletivo per prestazioni optional. Facial = vedi COF. Fetish = Tacchi, mutandine, calze, eccetera. Fisting = Infilare tutta la mano. French kiss(FK) = Kissing with tongue = Bacio con lingua. Full-Service = L'escort include tutti i servizi. GFE = Girl Friend Experience = Scopata intima, come con la propria ragazza. HJ = Handjob = masturbazione maschile. Incall = la ragazza riceve nel suo appartamento. Independent = Indipendente = L'escort lavora da sola, senza agenzia. Lesbo show = Giochetti lesbici tra escort. Missionary (style) = Missionario (se vi state chiedendo cos’è, avete sbagliato libro). O-Level = Oral sex = Sesso orale. Outcall = Escort visits you = L'escort vi raggiunge. Overnight = Disponibilità escort tutta la notte.
OWO = Oral Without = vedi BBJ. Petting = Preliminari. Pissing = Pioggia d'oro (dare o ricevere l’urina). PSE = Porn Star Experience = Esperienza come/con una star del porno. Punter = Escort amateur = Puttaniere. Rai1 =Lato A= figa. Rai2= Lato B= culo. Rate = Tariffa/Regalo. Rose = Rate, soldi da cacciare. Rimming = Anilingus. Sado-Maso= Giochi di dominazione. SBB = Sex Between Breasts =Spagnola. Services = Le prestazioni fornite dall'escort. Sex toys = Vibratori, dildi, palline, ecc. S/M = Sadomaso. Squirting = Gushing= Eiaculazione femminile ( dei loro liquidi). 69 = Orale reciproco e contemporaneo. Straight sex =Intercourse = Fare sesso. Strip-tease = Spogliarello. Swallows = Inghiotte lo sperma. Touching = Toccarsi, accarezzarsi.
Tour = L'escort visita città diverse dalla propria. Vibro show = Giochetti con Sex toys (Vibratori e quant'altro). VU= velocità urbana = 50 km/h = 50 Euro.
Ecco, se siete arrivati a leggere tutto, capirete perché oggi essere puttaniere è diventato un secondo lavoro, bisogna avere la specializzazione e masticare l’inglese. Io ero rimasto ancora a: “Scusa quanto vuoi?” e lei che rispondeva: “Trenta di bocca e cinquanta all’amore”, stop, niente CID O CIM!
Perché il forum è stata una rivoluzione? Facile, per la prima volta ci si poteva confrontare, ci si poteva raccontare e ci si poteva aiutare. Soprattutto ci si metteva in guardia da missili terra aria spaventosi, o da vere e proprie trappole messe in atto da alcune gang che lavorano in casa. A Milano ancora oggi ci sono delle tizie conosciutissime che da anni vanno avanti rubando e minacciando, qualche volta con violenza. Alcuni trans più o meno modificati fanno lo stesso, gente che vuole guadagnare senza in cambio concedere la prestazione, facendosi forza sulla vulnerabilità del cliente. Bisognerebbe creare un forum anche al femminile, per mettere in guardia le ragazze dai puttanieri stronzi, è più difficile da realizzare, ma tutto è possibile. In tre anni di permanenza feci in tempo a creare dei legami, che durano ancora oggi. Ho conosciuto delle persone speciali per umanità e intelligenza. Chi ci vuol considerare degli sfigati lo faccia pure, chi vuole sentirsi superiore moralmente non abbia remore, picchi duro verso questo schifo di umanità che si accoppia febbrilmente, però noi, “scopando pagando”, interagiamo con la verace e sporca pozzanghera senza giudicare. Con alcuni di questi amici si parlava di tutto tranne che di donne. Inoltre, scrivere spesso di me e della mia vita, mi permise di avere un confronto con persone sconosciute, chi meglio di quest’ultime possono vedere la tua vita in
modo del tutto oggettivo? Un’esperienza formativa che non avrei mai pensato di vivere. Mi affezionai non solo a molte persone iscritte ma anche al forum stesso, cioè, all’idea astratta di una comunità, fatta anche di molta superficialità ma capace in alcuni momenti di raggiungere vette altissime di sensibilità umana. All’inizio non fu facile per me, sono una persona che non ama condividere i propri stati d’animo, tendo a essere esageratamente schivo al limite della misantropia. Comunque, avevo voglia di contribuire, credo che lo feci alacremente senza mai risparmiarmi, recensivo ogni mio incontro, ogni mia sensazione, cercando di essere divertente e il più oggettivo possibile, come dicevo, anelavo a trasmettere un’emozione, non me ne fregava niente di consigliare o il contrario, le esperienze vanno vissute in prima persona. Scrissi molto anche in altre sezioni, aprendo a riflessioni sulla varia umanità o cercando di pungolare lo spirito critico degli utenti, spesso cercai di estendere le discussioni anche ad altri argomenti che non fossero la figa, non volevo che ci si autoghettizzasse o peggio che ci autocelebrassimo in una sorta di orgoglio del puttaniere. Non ho mai considerato la prostituta come un territorio da conquistare o come un oggetto da usare, ma solo come una grande opportunità: la possibilità che un essere umano ti possa concedere una via per stare bene o per essere meno solo, la trovo eccezionale; questa persona si dona a un’altra, non importa che lo faccia per denaro, nessuna somma, se ci pensate attentamente, può essere congrua per concedere una così profonda intimità. Gli uomini riescono a monetizzare tutto, ci sono rimasti solo i sentimenti, ma questi non possono essere ingabbiati e canalizzati a forza verso un’altra persona, quindi non sono spendibili né acquistabili, troveremo col tempo senz’altro dei succedanei, dei surrogati dell’amore, ma per allora, spero di essere già sotto tre metri di terra. Sul forum come dicevo, trovai fantastiche realtà, ma con mia grande sorpresa anche tanti vuoti educativi e culturali, c’era proprio gente allo
sbando; persone che ponevano ingenuamente quesiti su malattie a trasmissione sessuale , su disfunzioni erettili, ragazzini di vent’anni che prendevano le pillole dell’amore, uomini che avevano un’idea della donna abbastanza degradante, devastati dalla pornografia o da un maschilismo anacronistico. Per fortuna nel forum c’erano almeno un paio di medici che partecipavano attivamente e spesso rispondevano alle frequenti domande. Io non biasimo questi uomini, ci mancherebbe, sono atterrito da una società che non concede la giusta importanza all’educazione sessuale; purtroppo per molti la pornografia rimane ancora l’unica unità di misura. Viviamo in una società in cui la donna è considerata buona per attrarre pubblico e acquirenti in spot pubblicitari o per sfruttarla in spettacoli di bassa lega, il sesso e la donna in particolare sono usati dai media per provocare una reazione istintuale, spesso affiancati a prodotti che nulla hanno a che spartire con il sesso o che sviliscono la donna. La famiglia sovente coltiva un’ignoranza da generazioni, lo Stato laico è assente come sempre. Vogliamo parlare ai nostri figli come si deve di sessualità? E la Chiesa? Possiamo ascoltare i consigli sul sesso e la famiglia da persone che non hanno mai avuto esperienza diretta? No, infatti molti preti sono i primi a essere “confusi” sull’argomento, facendo molti danni, spesso irreparabili e da punire (secondo me) con la castrazione, non chimica. Avete mai visto una bella trasmissione sull’educazione sessuale e sulle parafilie in prima serata sulla RAI o Mediaset? No, meglio far are Amici o Sanremo, per l’ennesima volta Rambo o Ballando con le stelle: vergognosi; lasciamo perdere i privati, ma l’emittente di Stato? Sul forum, c’erano uomini che pensavano di averlo troppo piccolo, o almeno non abbastanza per far godere una donna, altri credevano che il proprio eiaculato fosse scarso, alcuni preoccupati dall’essere eiaculatore precoce perché duravano “solo” dieci minuti, molti convinti che le donne amano tutte essere sodomizzate brutalmente ed essere spruzzate in faccia. Secondo voi, da dove provengono queste paure o idee bislacche? Ormai
stratificate saranno dure da rimuovere, viviamo in una società che si auto rigenera verso il basso alzando l’asticella dell’assuefazione. Giustamente, molti di noi, chiedono a chi è più esperto, nel forum è possibile, ecco perché molti uomini si attaccano a un forum per avere informazioni che già dovevano far parte del proprio bagaglio educativo dall’età di dieci anni, almeno. L’ipocrita società e gli insulsi politici poi si chiedono perché ci sono bambine di tredici anni che si prostituiscono, o perché ci sono ragazzini che violentano le coetanee. Ci si indigna per qualche giorno, ci si scandalizza per un attimo, e poi tutti a vedere la sagra delle zoccole in televisione.
Le belle fiche piacciono a tutti e un bel pornazzo ogni tanto ci sta alla grande, ma non ne faccio l’unità di misura della realtà, altrimenti avrei sempre una compagna non sufficientemente bella e giovane, un cazzo ostinatamente piccolo e le imprese a letto mi sembreranno da imbranati, con conseguenti deficit e fisime mentali. Oggi il porno è diventato l’anti erotismo per eccellenza; intravedere è più eccitante che vedere: un bel paio di gambe che vengono accavallate saranno sempre più erotiche dell’omone nero che per ore si pedala la bionda da dietro. Una noia mortale con una sessualità estrema e poco erotizzata. Ecco come si spiega il successo del selfie erotico o porno, la gente è attirata da gente vera, che a sua volta vuole i trenta secondi di celebrità, fosse anche solo per l’enorme clitoride pubblicato sul web. Attivi o ivi? Gli uomini sono tutti d’accordo per frequentare le prostitute, e lì sì sfogano e non danno più noia alle altre. Dunque le rispettino. Cesare Pavese
Io cerco di essere sempre attivo nelle cose che vivo, quindi feci moltissime recensioni, mi piacerebbe ricordarne alcune,ho eliminato solamente le schede con tutte le sigle e ogni riferimento della ragazza, spero possiate
coglierne lo spirito goliardico.
Brasile e nutella Invecchio precocemente e l’amore in auto comincia a pesarmi, patisco l’umidità e gli inutili batticuori,la notte non mi affascina più molto, vorrei stare a casina con il plaid a quadri sulle ginocchia, suicidarmi con un chilo di nutella. E questo ho fatto ieri,subito dopo sono andato a cercare una bastoncina di liquirizia cazzo-commestibile. Come se dovessi andare dalla mia amante curo ogni minimo dettaglio: «Oh Signur, va che bell’om», penso mentendo spudoratamente mentre mi osservo allo specchio. Tuttavia non esco così agghindato dalla prima comunione, ho pure i capelli “leccati” dal gel, credo di essere l’unico quarantenne a usarlo ancora nel mondo occidentale. Schiaccio un brufolo purulento sul mento e mi taglio bene il cespuglietto intorno al tenerone: «Dai, così stasera sembrerai più lungo, sei cuntent?» Insomma, tutto a regola d’arte, ah no, mi sono pure pulito la lingua, così sarà più rasposa quando la leccherò. Ho telefonato alla ragazza almeno dieci volte, ogni volta fingendo di essere un altro, tipo l’ispettore Clouseau. Ho fatto anche accenti diversi, tanto che all’ultimo mi ha chiesto se fossi africano. Tutto ciò per paura di prendere un missilone. Le sensazioni sono più importanti spesso, delle informazioni. Mi dirigo come Flash nella via straconosciuta da ogni maschio etero milanese, ma ad un scert punt, ciò che non ti aspetti: troppa nutella … minchia ballerina! Mi scappa una cagata sciolta da primato mondiale, un mal de panza che non vi dico. Ormai comunque sono quasi arrivato, ma non posso salire e fare: «Scusa, vado subito in bagno a cagare il mondo, spruzzandoti il wc stile Pollock», certo potrei dirle che andrei solo a lavarmi ma, non so ancora cosa accadrà
dopo la deflagrazione, cosa uscirà dai miei intestini? Inizio ad avere i crampi, sempre più ravvicinati. «Resisti, resisti», mi dico facendomi coraggio. Comincio a sudare freddo. o veloce il numero civico dell’amore, come Alonso che rifiuta il pit stop allungando di un altro giro veloce. Cerco insegne accese: bar, ristoranti, bische clandestine, qualsiasi cosa che includa nella sua natura una latrina. Nulla, neanche un anfratto da topo di fogna, del resto devo solo riempirne un secchio. «Ecco un ristorantino!» Entro, il cameriere mi chiede se son solo, dico: «Guardi, proprio solo no, è un’emergenza dopo qualcosa prendo», mi indica il bagno tra lo schifato e l’incazzato. «Te la scordi la mancia dopo, figlio d’un cane malato!»Pensieri delicati come questo presero forma. Taac, e la porta non si apre, una vocina contrita: «Occupato», minchia, mi sto proprio cagando addosso, credo di aver assunto la colorazione in viso degli alieni di Avatar. Finalmente sento lo sciacquone, sta per uscire il soggetto occupante, ma all’improvviso, si infila un ragazzotto sulla ventina: «Scusi», mi fa con fare stupito:«Scusi è in fila?» «No, come hobby amoare le serate davanti ai cessi», entro e mi calo le braghe contemporaneamente, il ragazzo ha rischiato grosso. Finalmente libero l’ordigno nucleare “Bomba fine di mondo”, esco dal cesso madido di sudore, la mia camicia sembra la sacra sindone, bevo una birra e mi godo la fine del terremoto. Giungo dal mio amore carioca al pian terreno, porgo le mie scuse per il ritardo, non faccio neanche in tempo aporgere i soldi che ho la sua lingua sulla mia faccia, praticamente un labrador. Che benvenuto! Buono, buono, ha due labbra enormi, dopo aver leccato quasi tutto il petto scende, et voilà, sparisce tutto in un sol boccone, mi sento come aspirato, mi
vuole mangiare, la bimba cattiva continua: palline, perineo e anus compresi. Lambisce e sugge egregiamente, il linguone da lucertola dei Visitors non conosce limiti, blocco il sistema succhiante e la posiziono a pecorona , essa è pulita e ricambio l’oralità, il suo corpo si anacondae dalla fessura esce miele millefiori. Metto il frac al mio amichetto e Pazuzu si impossessa di me, comincio a stantuffare come un forsennato, no, non sono più io. Mi fermo e ricomincio, mi rifermo e aspetto, ricomincio e mi rifermo … e aspetto;a questo punto lei interdetta:
«Perché ferma? è gostoso!»
«Niente cara, faccio il buffering come su Youporn», non sono più abituato alla realtà.
Gostoso è gostoso, anche troppo, sono lì per capitolare un paio di volte, devo richiamare tutte le mie forze interiori per resistere. Vuole fare l’amazzone, qui resisto di più mentre lei sembra in preda ad un rito voodoo , basta, giungo nella sua bocca-vagina, accoglie e poi sputacchia. Bacini e bacini, vorrebbe ricominciare, mi accarezza, mi asciuga la fronte, insomma una gran donna: porca e dolce, o perlomeno lungimirante. Son ati almeno quaranta minuti. Social-time prossimo allo zero viste le rispettive ignoranze dell’altrui idioma, del resto non sono andato lì per discutere di fisica quantistica.
Ciao gostosi.
Non più andrai farfallone amoroso La birichina di anni ne dichiara una trentina, di viso non sfigura con ninfee eteree ma la sua figura ricorda più che un Monet direi un Renoir, non proprio Goya o Botero. La sua terra di origine è la Valacchia. Si concorda a venticinque franchi per una insindacabile e immarcescibile fellatio priva di ogni barriera con intenti a preservare. Nulla osta al palpeggio di zona erogene e nella fattispecie "pube" e callipigia di Afrodite memoria, porgo le mie dita nelle vicinanze delle nari per sentirne il femmineo profumo, ma:«Peste mi colga!» Olezzo fognante si appropinqua al mio real senso molecolare. «Vade retro e noli me tangere». Ora principia a usar di lingua sulle gonadi, ma non lappa la insipiente peripatetica: «Orsù!» La incito, allora a al capostipite nobiliare, però anche in codesta versione ammanca di stile, non sugge ma pantomima solo il moto ascendente e discendente, mi tratta come pargolo col pattello . L'etera azzarda giustificazioni che la fan sembrare come arpia delle mie pene. «Di Grazia, la mia mente vacilla e il mio corpo reclama, posso vedere un barlume di erotismo in siffatta situazione?»
Ma ella ha lo sguardo vitreo di un soriano malato ed esclama dopo nove minuti esatti:
«Mio Signor, non posso star tanto tiempo», l'istinto animalesco, che mi portò fino a questo grado di evoluzione mi direbbe di menar una bella spinta con la pianta del piede sull’immenso culone, affinché ella venga catapultata oltre la sfera del tuono ma, noblesse oblige, certo perdere venticinque talleri in codesta lacrimosa maniera è una disfatta.
Lo scettro emette timidi sputacchi che vanno a tuffarsi nella pinguedine che copre i miei favolosi e ottenebrati addominali Suvvia! Almeno Lor Signori siano allertati a star lontani da tal signora. Per piacer, per piacer, oibò, solo non ci stò e di cibo terreno si pace il mio eterno errare. Me tapino, il destino vil marrano mi ha sfidato a singolar tenzone ancora una volta. Indosso la feluca, il mantello copre la mestizia nell'osservare il grigiore di cotanta condizione umana, o dopo o sprofondo nella notte, solo come prima ma con una pletora di pensieri incastrati in un angolo recondito del mio cervello, mangiato dai vermi. Battuta di caccia Reale Prestate attenzione o baldi giovani! Qui si ragiona sopra lingua vetusta, difficultade s'ù l'orizzonte si profila. Codesta notte è notte da rimembrare per viril smanettamenti in villana solitudine. Inoltrandomi nottetempo nella foresta di Milanwood, nulla osteggiava il mio prode destriero, ma il cammino fu lungo e periglioso, pieno di insidie, il mio fidato Bucefalo, già come il mitico corsiero di Alexandros, ha puro sangue regale di regno svedese , esso è forte e ha solide membra sulle quali viaggiare. Lo conduco al trotto, così da non sfiancarlo e sopratutto per mirare meglio la fauna. Ora, i Signori astanti si chiederanno che tipo di caccia ho intrapreso; di solito amo cacciar animali notturni favorito dalle tenebre, non possiedoprecisi gusti per la cacciagione, ma su una cosa non transigo: la selvaggina non deve soffrire durante la battuta. Qua et là piazzo ingegnose trappole, perlustro stagni, mi apposto nel bosco, seguo le tracce lasciati da pavidi cavalieri. Il mio lignaggio impone un certo obbligo del protocollo, quindi non
scenderò nei particolari più cruenti. Chiedo venia alle Vostre Signorie. Bucefalo è nervoso, il suo fiuto è garanzia per la mia vita, infatti oltre i larici ci sono molti uomini del Re; dovete sapere che questi sudditi approfittano spesso del loro potere ed è meglio starne alla distanza di almeno due leghe.
Timor non mi percuote l'animo ma l'atavico appetito comincia a mordere le viscere, non voglio indugiare oltre. Certo, diranno le Vostre Eccellenze: «Perché fuggir le guardie Reali se male non faceste ad alcuno?» Sicuro! Ma qui la cacciagione presto fugge alla loro vista, mentre nelle nobili stanze, il Re si sollazza et gozzoviglia fino a scoppiare di tal prede, senza colpo ferire alla sua borsa. «Me tapino, perché i miei natali non furono di blu sangue macchiati?» Ormai affranto nel cuore e nel corpo, cerco riparo in un campo di cavalieri militari: prodi crociati di ritorno dalla Terra Santa. Qui vengo rifocillato, ormai satollo di cervo e sidro, brindo alla loro salute: «Onorato miei pari, è giunto il tempo di congedarmi, l'alba è vicina». Ecco che nel cammino di ritorno, in una piccola strada, dietro a un carro, scorgo una bella donzella, il cuor sobbalza, mi avvicino e senza smontare da cavallo, spostando solo il mantello e la spada, le domando la provenienza, Ella mi risponde che parla solo l'ispanico idioma, ma che è Dacia di natali. La pulzella possiede beltà e gesti cortesi, è fasciata in veste purpurea che incute soggezione. «Non sarà essa figlia di Satana o di peste immonda?» Pensai intimorito. La invito a montare sul mio destriero, corriamo verso luoghi appartati e isolate colline, un gufo ci osserva stupito per aver invaso il suo spazio senza remore. Il viso angelico ricorderà nei secoli avvenire una speciale venere: Donna Cindy Crawford. Occhi dipinti di nero colore, incarnato lunare, sopra le scarlatte labbra anziché un neo, la bella palesa un piccolo brillante. Si avvicina al regale augello con voluttà che un poco mi sorprende in verità,
sugge con dovizia sia la testa che i preziosi gioielli nella sacca di cuoio. Dato le sue rotondità, cerco di far conoscere alle mie mani tutta la magnifica lattescente pelle. Anche se sul cavallo la posizione risulta alquanto scomoda, la prendo da tergo, che dire, molto tempo non a prima che il seme esca con impeto: «Allora suvvia! Vieni qui e accogli il sensazionale getto che offusca la mia mente in rivoli di piacere». Ella prende tutto nel suo bocciolo di rosa per poi sputar in terra come un qualsiasi marinaio di piratesco veliero. Riprendo finalmente la strada verso la sospirata magione, accorgendomi di avere addosso il suo magnifico effluvio, fragranza di giovine femmina. Anche oggi, amici miei, posso dichiarare di aver pasteggiato con fresca selvaggina, ed è stato un banchetto pantagruelico. Meraviglioso, nevvero? Siano Le Vostre Eccellentissime Persone, come Cavalier Cazzotorto e suo fedele purosangue, in cotal guisa amor carnale e di spirito nessun vi negherà. Fortunatamente et fortunosamente, la speme è semper la ultima desuenda. Per Lor Signori che vivranno nei secoli ad venir, ego scriverà in idioma formal, senza così venir tacciato Gentil autor ma di negletto ingegno! Ad Dio, vil marrani!
Pomme de terre douce international avec petit pois à la creme blanche
Ricetta originale e varianti regionali.
Difficoltà:Alta
Cottura: novanta minuti. Preparazione: trenta minuti. Dosi per:1/3 persone Max. Costo:elevatissimo Prendete una grande patata, quelle vecchie sono ottime, tengono di più la cottura, ma nel nostro caso andrà bene anche giovane, però deve essere una patata soda e polposa. Pelatela, lavatela e asciugatela, distendetela su un letto di cappelle di funghi porcini. La patata deve avere un aspetto sano, compatta e succosa, non si transige. La patata americana è eccellente, ma in verità ottime pure le nostrane di montagna, evitate assolutamente le trans-geniche! Ingredienti e consigli:
Sensualità aristocratica: Rania di Giordania. Improbabile da trovare, assaporatela a piccoli bocconi. Eccellente al forno, tortino con tartufo bianco di Alba.
Porcaggine: Sasha Grey. In modica quantità, non eccedere, andrebbe a coprire gli altri sapori. Gateau.
Personalità: Julia Roberts. Gusto deciso alla paprika. Intingetela nel wasabi, impazzirete. Occhi: Anna Mouglalis. Due possono bastare, in insalata lesse, semplici e nutrienti per l'anima.
Bocca: Scarlett Johansson. Una è sufficiente, crocchetta sapida con interno caldo e morbido. Simpatia: Paola Cortellesi. Mettetene in quantità non stona mai, una scorpacciata allegra, provatela fritta taglio fiammifero.
Culo: Belen o se non ne trovate di stagione Sabrina Ferilli. Come le fate le fate, vi lasciano la bocca piena, la Belen si esalta con un bel pezzo di carne argentino, mentre la Ferilli si sposa bene con il pesce di mare.
Freschezza: Cristina Capotondi. Bella fresca mi raccomando, al cartoccio mantiene il gusto selvatico.
Seno: Manuela Arcuri o Sabrina Salerno se non trovate la prima. Da mangiare con sugo di lepre, non si resiste molto alla vista.
Charme: Annette Bening. Conta anche lo stile di come impiattate, eleganza e stile nella vostra bocca e sulla vostra tavola.
BDSM: Megan Fox. Se volete una patata cotta in modo originale, nouvelle cousine! Gambe: Bellucci Monica. La tradizione italiana non si tradisce: sana e polposa, non smettereste mai di addentarla ... squisita come gnocca alla sorrentina.
Sguardo ammaliante: Violante Placido. Buona come purea, un ricciolo di burro e noce moscata, avrete così un piatto delicato e sostanzioso insieme.
Da fare roba pesante, rough sex. Jennifer Lopez, patata bella piena e rustica, non abbiate timore, strapazzatela... con le uova e fiori di zucca.
Voce: Monica Guerritore. Così, come stuzzichino...en ant con un pizzico di sale rosa dell'Himalaya.
Femminilità: Valentina Lodovini. Novella, quindi si consiglia come contorno a portate più importanti.
Capelli: Marcia Cross. La patata ha solo la buccia rossa, ma dentro è bianca e saporita, panzerotta con mozzarella di bufala.
Trombamica: Audrey Tautou. Cucinata alla duchesse, squisita.
Da esibire per gli amici: Charlize Theron. Fate vedere che siete capaci di fare la spesa! Al forno col rosmarino.
Cena romantica e social time: Michelle Hunziker. Si sa, le patate del nord hanno antiche tradizioni culinarie, sotto la cenere è la morte sua.
Fuga su un isola deserta: Shakira. Se vi stancasse come patata al sale marino almeno canta bene, ottima in frittata con la salvia.
Da farne indigestione: Melissa Satta. Io la preferisco gratinata ma questa patata si presta a tutte le cotture senza problemi, non adatta per chi è a dieta perché ne mangerete, ne mangerete, e ne mangerete ancora senza nessun freno. Attenzione. Preparazione:
Lavate e pulite bene i piselli, grandi, medi o fini non importa, sarebbero meglio freschi ma vanno bene pure i surgelati al Viagra o Cialis. Dopo aver praticato un bel buco nella patata introducete piano e con cautela il pisello (pardonne moi, i piselli). Nel frattempo accendete il forno e mettetelo a 90°, il forno intendo... Per velocizzare la cottura e renderla più fragrante si può lubrificare la patata con dell'olio d'oliva vergine, se ne trovate ancora. Mentre avete infornato la patata e ne aspettate la cottura, create una bella salsa allo yogurt, la crema deve essere bella densa e bianca, agitate e sbattete il tutto senza fermarvi, quando è pronta versatela in un sac à poche. Sfornate la patata e ancora bollente adagiatela sul piatto, versateci sopra tutta la salsa o solo qualche spruzzo, a piacere. La patata se potesse vi ringrazierebbe. Aggiungete un pizzico di maggiorana, sale e pepe q.b., decorate il piatto con piccoli schizzi di aceto balsamico. Servite la patata molto calda, dal ripieno dovrebbe uscire un bel sughetto, i vostri amici impazziranno! Innaffiate con un ottimo Muller Thurgau o an excellent Krug rosé. Chi preferisce la birra consiglio Menabrea 150°anniversario ambrata o una weiss Paulaner.
Consiglio finale:
La patata deve essere mangiata con tutti i cinque sensi: osservatela, sentitene l’odore fragrante, toccatene la consistenza, gustatela e infine ascoltatene la sensazione piena che vi offre in bocca. La patata è un cibo semplice che esiste da sempre, non stanca mai, ma per apprezzarla ci vuole ione e arte nel cucinarla.
Bon appetit!
Entrato in questa nuova dimensione, ci presi gusto, mi divertivo a scopare e a scriverne sul forum, non per compiacermene ma solo perché condividendo sembrava che il piacere si prolungasse.
Un mio caro amico, una volta mi disse una cosa che mi colpì, sosteneva che eravamo fratelli di era. Scopare la stessa donna che ha appena finito con il tuo amico o con un utente del forum, è creare un legame, come se un filo invisibile legasse tutti in un abbraccio impalpabile. Purtroppo, col tempo, notai fenomeni assai sgradevoli, in verità presenti in quasi tutte le comunità virtuali o reali che siano, ma l’anonimato diciamolo, stimola i poveretti. Ci furono anche incomprensioni e silenzi assordanti con i gestori del forum, quindi, decisi di non partecipare più attivamente. Nonostante tutto, sono stato felice di averne fatto parte, parte di un club finalmente non esclusivo e non elitario, ormai si autodefiniscono tutti così, che tristezza la megalomania. Per queste emozioni e per questa nuove opportunità, ringrazio infinitamente chi ha creato il sito e chi, con grande fatica e tra mille difficoltà lo porta avanti, grazie invisibili amici.
Dolce veleno Silvia in mezzo alla strada sotto una pioggia battente. Questa è l’ultima immagine che ho di lei, un ricordo color seppia. Era sempre stata lei a consolare me, sempre lei a scendere e scavare nelle profonde miniere della sofferenza, per uscirne subito sorridente e felice con adamantino ottimismo, ma stavolta sembrava diverso. Mi guardò mesta, le tremava la voce e le mani nervosamente torturavano una bustina di zucchero: «Perché vuoi lasciarmi? Cosa ti ho fatto o cosa non ti ho fatto?» «Ma cosa dici? Saremo sempre amici, perché queste domande? Sei impazzita?» «Ti prego, sii gentile, sto ancora imparando», disse Silvia abbassando la testa per non incrociare il mio sguardo. «Non capisco, cosa intendi?» Ero stordito e sorpreso, non capivo e Silvia sembrava non volesse o non potesse farsi capire e continuò. «Non riesco a capire cosa hai nel cuore, le persone vogliono sentire le bugie, le persone scendono a compromessi, io non ci riesco e tu stai chiudendo i cancelli lasciandomi fuori» «Quando hai finito con le metafore mi avverti, smettila, cosa stai dicendo?» Silvia mi prese una mano stringendola così forte da farmi male, il mondo sembrò fermarsi come se aspettasse la sua fine, ritrovai il calore della mia amica in quella forte stretta, pensai a tutti i momenti vissuti con lei. «Silvia, io ci sarò sempre per te, non preoccuparti» «Non capisci, io sono preoccupata per te, non per me, cerca di volerti bene e poniti sempre domande, su tutto. Ti ricorderai di me?»
Ricordai tutti i timidi abbracci spezzati da golose risate e da saporite lacrime, notti accese da confidenze e sogni da raggiungere. Ricordai libri e film consigliati, frasi sceme dette a caso, complicazioni del cuore risolte con un sintetico e lineare vaffanculo. Ricordai una donna che mi teneva fuori dai guai, ricordai una vita migliore. Quanti momenti inutili bruciati con persone che non mi interessavano invece di stare con Silvia, quale parola ora? Quale azione ora? Quale argomento per fermarla? Niente da perdonare, niente da restituire, non riuscivo a trovare un motivo valido per un addio così struggente. Silvia si alzò e corse via, si girò a guardarmi sperando di essere fermata,rimasi fermo ad assaporare l’ennesimo commiato, l’ennesimo abbandono. Raccolsi il coraggio e trattenni a stento le lacrime, gettai lontano da me tutti i rimorsi e i rimpianti. Ancora spazi liberi da riempire, questa volta non ero preparato però, ancora un sorso amaro da mandare giù e pezzi di vita da ricomporre.
Il puttanismo sociale e Frine Quei bordelli del pensiero che si chiamano giornali. Honoré de Balzac
La puttana è una santa. Con lei è cresciuta l’umanità, per lei o attraverso di lei si sono scatenate guerre, fondato città, dipanati intrighi internazionali, intrecciate congiure, eretti regni e innalzati imperi. Sul letto della puttana ci sono ati tutti, ma proprio tutti: papi, imperatori, presidenti, politici, intellettuali e semplici proletari, manager e impiegati. Su di essa sono stati scritti poemi, opere, film e poesie, la puttana ha ammaliato gli artisti e svezzato intere generazioni di adolescenti, ha fatto conoscere il piacere fisico e mitigato solitudini a vecchi e handicappati.
La puttana è la dispensatrice di piacere per eccellenza, ma anche di contatto umano che molti non possono ricevere in altra maniera, la sua è una funzione sociale rilevante, valvola di sfogo del desiderio e libertà di costumi, confidente e amica, alleata nella lotta quotidiana della vita. Eppure, nonostante ciò, della puttana vogliamo riconoscerne i vizi ma non le virtù, amarla in segreto e disprezzarla pubblicamente, ipocritamente messa alla gogna dalle donne ma intimamente ammirata. Dare della puttana è un’offesa, ma dovrebbe diventare un complimento, perché in essa è la vergogna di una società ignobile e non della persona che si prostituisce, la puttana con la sua presenza svela la miseria umana celata sotto la coltre di una morale patetica. Molti uomini, si illudono che pagare significa comprarsi una donna, pensano di poter affermare così, il dominio sulla femmina e usarla a piacimento, senza capire che da sempre essi sono le prede, figure comprimarie pronte ad inchinarsi davanti a un semplice sì. Avrete letto o guardato servizi giornalistici , libri o documentari, in cui si cerca di raccontare la prostituzione, praticamente tutti lo fanno allo stesso modo, magari con tagli diversi, ma in sostanza tutti uguali. Si parte subito dalla vittima: la prostituta, i protettori ormai diventati aziende, il giro d’affari, qualche ragazza che racconta la sua storia, il mancato guadagno dello Stato se fossero pagate le tasse sulle marchette, infine, ci sono i clienti, vengono liquidati con due righe, in genere non proprio edificanti, nel fenomeno visti come la causa principale: i richiedenti dell’offerta. Predatori sessuali senza scrupoli, gente sfigata. Il biasimo ricade su questi piccoli uomini che foraggiano le mafie andando a scopare. In una parola: schifosi! Non fraintendetemi, non nego che le donne siano le più esposte e le più fragili in questa filiera, ma il fenomeno deve essere eviscerato in profondità — non si può solleticare il palato di una certa cultura perbenista, pronta ad elevarsi a giudice, sentendosi nel giusto — mostrando solo strade di notte piene di ragazze e trans, senza toccare tutte le responsabilità. Anche i clienti delle prostitute — seppur in numero infinitesimale rispetto alle prostitute — sono stati uccisi, rapinati, derubati, picchiati, ricattati.
Spesso, anche il cliente vive il rapporto con dolore e mestizia, ma per molti è il solo contatto fisico con una donna che ci si può permettere, per alcuni addirittura l’unico contatto fisico con l’umanità. La profonda solitudine quando c’è, fa male a tutti. Ovvio, da sempre la prostituta è vista come oggetto e quando viene uccisa, anche da morta, è una morta di serie B, nessuna corsa a chi ha più morti nella rispettiva categoria, ma il cliente non è il motore che muove tutto, solo, tra tanti, una ruota dell’ingranaggio. Chi è l’ingegnere? Chi permette alla macchina di muoversi? I clienti non hanno sensibilità? Siamo tutti mostri da abbattere? Vorrei seguire la logica di chi fa queste inchieste, penso: «Ok, smetto di andare, smetto di contribuire, ma vorrei, anzi esigo, che tutti facciano la loro parte nel ridurre il dolore del mondo». Il fatto è, che nessun abitante del così detto primo mondo, se ne vuole tirare fuori, a tutti piace il benessere acquisito costruito in secoli di schiavismo e sopraffazione su altri esseri umani, la nostra pseudo felicità ha un costo. Certo ora, comincerete a pensare ai vostri acquisti equo e solidali, al vostro vivere in modo ecologico, fate bene, è un inizio. Alla vostra adozione a distanza, alla vostra donazione a Telethon, è qualcosa. Poi penserete che non comprate diamanti, sapendo bene che per estrarli ci vogliono vite umane, per questi sassolini vengono scatenate feroci guerre. Non comprate pellicce, non andate a caccia, non visitate delfinari e zoo, gli animali hanno il diritto di vivere nel loro ambiente senza essere sterminati per la nostra vanità o divertimento, giusto? Ma la benzina? Già, chiedete alle compagnie petrolifere cosa fanno in Nigeria, o di come stanno inquinando il nostro eco sistema. Le aziende che producono armi hanno bisogno di guerre, noi italiani eravamo così bravi a fare le mine antiuomo, sapete sì, pure quelle che sembrano giocattoli per far saltare le piccole dita dei bimbi, anzi, mi sa che salta tutto il bimbo. Sicuro, adesso non le produciamo più, in compenso le banche italiane
investono allegramente milioni di euro nelle aziende estere che le producono, tutto questo con i nostri soldini investiti e depositati, lo sapevate? Quando vi hanno proposto l’investimento vi hanno comunicato dove andavano i vostri risparmi? Tipo a: Lockheed Martin, General Dynamics, Alliant Techsystems. Un piccolo investimento di un buon padre di famiglia italiano si trasforma in un’arma letale per il piccolo nero africano; ma lontano dagli occhi è lontano dal cuore? Un buon piatto di pasta? Sì, di quella più famosa, stessa cosa, digitate sul vostro motore di ricerca: Anda - Bührle & Barilla, vedrete cosa ne esce. Non pensavo che i fusilli al pomodoro potessero uccidere. I soci dei pastai si sono arricchiti col nazismo e oggi col terzo mondo, a qualcuno importa? I suicidi nelle fabbriche cinesi? Gli schiavi nell’antico Egitto erano più tutelati e curati, e non è una battuta, i bambini con le loro manine che costruiscono palloni, scarpe, peluches, mattoni?
Avete ancora il vostro prodotto della “mela morsicata” ultimo modello, tra le mani? Strano, l’azienda del genio Jobs non si tocca? Quando era ancora in vita chiuse gli occhi e strinse il culo sulla gente cinese che costruiva materialmente il suo mito, suicidi e omicidi mascherati sono il bollettino mensile in queste mega fabbriche. La “Samsung” in Brasile? Stessa cosa, solo che lì gli schiavi vengono dalle favelas. Sapete cos’è il coltan? In gran parte si trova in Congo, ed è un minerale che si trova adesso in casa vostra, magari nelle vostre mani. Il coltan viene usato per i prodotti tecnologici, serve a ottimizzare i consumi, viene usato per tutti i cellulari, consolle di videogames, videocamere, eccetera. Il problema è, che da quando si impiega questo materiale, sono morti più di quattro milioni di persone, per farci fare i fighetti, per far sì che la batteria non si scarichi in fretta mentre digitiamo l’ennesimo ed inutile messaggino. I jeans scoloriti tanto di moda? Un paio di pantaloni e altri morti per le
sabbiature, buon acquisto! I bei tessuti multicolori che usano le case di moda? Informatevi cosa succede in India e in Bangladesh. Una bella cucchiaiata di nutella e via le foreste del Borneo e con esse, purtroppo, gli oranghi, a rischio estinzione. L’olio di palma usato è dannoso per l’ambiente e per la salute, ma costa poco.
Potrei continuare a lungo e approfondire con dati e fonti, ma non è questo il libro adatto. Chi vuole chiamarsi fuori, lo faccia e rinunci adesso, buttando via tutti questi prodotti, cambiando stile di vita, altrimenti si taccia. L’essere umano è un virus su questo pianeta, la Terra ne farebbe volentieri a meno, ogni giorno l’uomo uccide se stesso e l’ambiente che lo ospita, schiavizza e massacra altre specie, depreda intere aree e risorse limitate, tutto questo lo esegue con cognizione di causa, con perversione. Tacciano i politici asserviti alle lobby di potere e ai grandi gruppi finanziari. Tacciano i ministri e i seguaci dei vari culti religiosi, che in nome dell’invisibile “presenza” celestiale, hanno costruito regni terreni sottomettendo miliardi di persone, annichilendo la coscienza umana e ottundendo le loro menti fin da bambini. Chiudiamo gli occhi su quello che ci è comodo, subito pronti a elevarci moralmente su chi infrange le nostre piccole certezze. Quindi cari giornalisti, sepolcri imbiancati, bacchettoni e moralizzatori dell’ultima ora, prima di puntare il dito e spargere merda su di noi, sappiate che la vostra/nostra vita è intrisa in ogni momento della sofferenza di altri esseri viventi, che ne siate consapevoli o no, questo poco importa. Siamo tutti l’inferno per qualcun altro, io ne ho preso coscienza e voi? Il pensiero più profondo è per tutte le donne che fanno la vita, sperando che
un giorno non troppo lontano tutto possa cambiare. Forse in un futuro, credo un futuro lontano, la prostituzione non esisterà più, neanche negli uffici e in televisione, né sul luogo di lavoro, né in ogni altra manifestazione umana. Non è utopistico pensare che un giorno l’umanità raggiungerà un livello di consapevolezza ed evoluzione talmente alto da poter fare a meno della mercificazione del sesso e degli esseri umani. Ma fino ad allora, mi auguro che presto si regolarizzi la prostituzione. Chiunque si prostituisce non sia costretto ma lo faccia in piena coscienza, paghi le tasse, e sia obbligato a effettuare i controlli sanitari. Inoltre, il reato di favoreggiamento dovrebbe essere eliminato dal codice, mentre quella sullo sfruttamento dovrebbe far paura a chiunque venga arrestato: non meno di dieci anni, da scontare tutti in carcere, forse questa è la vera utopia.
Credo che questa sia l’unica via percorribile per portare un po’ di civiltà in questo disgraziato Paese, affinché non si legga più di donne torturate e uccise, di ragazzine rapite e schiavizzate. Non è una soluzione perfetta, non è l’unica, ma ci sono tante menti illuminate che ci governano, penseranno loro a sciogliere questi nodi, o no? I puri di cuore svengono pensando a uno Stato che incassa sulle marchette, invece sono in ottima forma quando pensano allo stesso Stato che dispensa morte ogni giorno attraverso tabacco e alcol, uno Stato che induce alla disperazione e fa ammalare di ludopatia i pensionati che si giocano tutto alle slot machines, o sul gioco d’azzardo in generale, web incluso. Scommettiamo? ( Meglio usare un altro termine).
Tornando alle donne. C’è qualcosa invece, di osceno e biasimevole nelle ragazze che si vendono cercando in ogni modo di apparire altro, di voler sembrare caste e pure, di negare se stesse e ricrearsi una seconda verginità. Se hai fatto la puttana, ammettilo, io non ci trovo nulla di deprecabile, ma se invece mi vuoi convincere che ti hanno pagata perché sei simpatica, allora è reato, reato di presa per il culo.
Sciamannate del nostro recente ato, che si spostavano in voli di Stato tra ville e residenze presidenziali, pseudo amanti di produttori che lavorano in televisione, ragazzine vendute dai genitori per apparire in spettacoli quasi porno, per poi riapparire attrici impegnate, magari le vedi pure in campagne per la parità della donna. Il giorno dopo declamano studi e percorsi di gavetta per essere arrivate dove sono arrivate, castigando pubblicamente chi come loro, comincia a farsi largo nella vita a colpi di fica. Donne affermate in politica che in gioventù hanno tentato la via del mondo dello spettacolo, non riuscendoci, hanno comunque trovato un modo per non lavorare, è tutto regolare, ci mancherebbe, peccato che una volta cambiata pelle improvvisamente si tramutano in femministe garanti della morale universale.
Queste donne sono miserabili figure e vere nemiche delle donne, le vere donne; essere puttana è un impegno, una tradizione, bisogna essere coerenti con lo status e con la professione, rinnegare il ato ci può stare, ma per favore non tiriamo fuori la storia che si era giovani e sprovvedute, che si è state imbrogliate e raggirate, come mi tocca leggere quotidianamente da confessioni di veline e simili. Ecco, le ragazze in questione dovrebbero interessarsi di più a chi le ha precedute, farsi una cultura su chi del mestiere ne ha fatto un’ arte, chi ha conquistato il potere, chi con la testa e non solo con la fica ha fatto strisciare ai suoi piedi grandi uomini: Frine. Frine era una ragazzina di umili origini, niente a che vedere con la altrettanto celebre e ricca Messalina, meno eroica di Raab, meno pentita della puttana che lavò i piedi a Cristo. Fuggita da Tespie forse già molto giovane, dove insieme alla famiglia raccoglieva capperi, arrivò ad Atene povera, malvista per ceto e nascita. Ma in testa la piccina aveva molto sale evidentemente, perché divenne ben presto la più importante etera di Atene, che significava del mondo al tempo. Tra i suoi clienti c’erano politici, artisti, filosofi, probabilmente anche un certo, giovane di belle speranze: Alessandro Magno, sicuramente Filippo II, Demostene e Prassitele, quest’ultimo ebbe l’onore di esserne l’amante preferito e di poterla ritrarre come modella per le sue Veneri.
Diventò ricchissima, tanto da offrirsi di ricostruire le mura distrutte di Tebe, ma per farlo desiderava che il suo nome fosse apposto su di esse, Tebe rimase senza mura! Troppa l’ipocrisia, esagerato riconoscere la grandezza di una puttana. Lasciò i beceri Tebani a contemplare lo stupido orgoglio e lo squallido perbenismo, mentre lei si ritirò nel suo palazzo a conversare con i filosofi. C’era la fila per andare da lei, ma Frine decideva con chi andare e con chi no, quali tariffe applicare e se le andavi a genio il giro di giostra poteva essere gratis. Casa sua era diventata il salotto buono della città, se contavi qualcosa ci dovevi essere. L’episodio più celebre fu il suo processo. Accusata di empietà per aver creato un’associazione segreta dedita a riti orgiastici, nonostante la strenua difesa dell’oratore e difensore Iperide, sembrava ormai inevitabile la condanna a morte, ma un geniale e semplice gesto risolse a suo favore il giudizio, Iperide si avvicinò e le strappò un lembo di veste, scoprendone il seno, i giudici rimasero a bocca aperta davanti a tanta bellezza, riuscite a immaginare una scena più regale? Con un gesto rapido ed elegante la bellezza della natura ebbe la meglio sul falso moralismo e sui parrucconi che ci ammorbano ancor oggi. Frine fu assolta e divenne leggenda! Probabilmente aggiungo io, qualche giudice ha voluto approfondire la conoscenza di cotanta mirabile bellezza, dai, non ripigliamoci per il culo, ma è comunque una bella storia, il risultato non cambierebbe. Ecco, questa era Frine, una grande donna che si è preso il mondo con la testa ando per la fica. Riflettete ragazze dalla marchetta facile, la dignità non si compra in profumeria, non dipende dal lavoro che fate ma da come lo fate.
Fotografie in bianco e nero
I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi. Carlo Dossi
Ci si stanca di tutto, anche di cose che sembrano invaderci l’anima fin dal primo momento, osservo me stesso frequentemente e mi sono accorto della noia che aggredisce la mia mente non appena l’oggetto è conosciuto totalmente, questo mi accade anche con le donne. A un certo punto, ogni azione diventa scontata, priva di significato e importanza, perdendo la forza di attrazione cade definitivamente dalle mie mani, succedeva così anche da bambino con i giochi, però, al contrario di oggi, la vita era una continua scoperta e il mondo era un luogo misterioso e affascinante, c’era l’universo da esplorare. Di un lontano ato cosa rimane? Forse una fragile e tenera nostalgia che si aggrappa al monumentale edificio dei ricordi, ma in fondo, alla fine di tutto, quando tutto è finito, un grande senso di gratitudine. Io sono stato fortunato. Immaginate un bambino curioso in cerca di storie, un bambino pieno di domande e innumerevoli “Perché?”, bene, a sua disposizione ha un luogo incredibile con decine di migliaia di fumetti, diverse migliaia di riviste e libri, polverosi tomi e splendide raffigurazioni. La casa di mio fratello era la mia Biblioteca reale di Alessandria, naturalmente c’erano anche libri proibiti che man mano, crescendo, potevo consultare, mi concedeva la lettura in loco, qualcosa in prestito ma niente in regalo, come ogni collezionista era geloso dei suoi “bambini”. Entrare in questa piccola casa non era per niente facile, mio fratello abitava sotto l’appartamento di mia madre, io scendevo e bussavo, bussavo ancora, ma spesso non ottenevo risposta dall’interno e allora tornavo con mestizia nella mia stanza, sapevo che era in casa ma intuivo anche che qualcosa in lui non andava, non tutto nella sua mente era registrato a dovere, però alcune volte succedeva un fatto per mestraordinario, sentivo la sua voce dal cortile: «Vuoi venire a leggere?» Lasciavo incompiuta qualsiasi cosa stessi facendo e correvo da lui, con il sottofondo musicale delle urla di mia madre. La casa era piccola e buia, le finestre perennemente chiuse e solo due lampade a far una fioca luce, odori di carta vecchia e nuova, sensazioni di polvere e segreti celati invadevano la mia giovane mente. A volte pescavo a caso dagli scaffali, oppure semplicemente allungavo una mano e qualche universo di carta si apriva
intorno a me, c’erano libri e fumetti ovunque, un armadio pieno, mobili, vetrine soggiorno, sotto e sopra il letto, sul comodino, sul tavolo e nei mobiletti, per terra accatastati e in teche catalogati, ovunque carta da leggere e amare. Mi tuffavo in mondi meravigliosi perdendo ogni contatto con la realtà, lontanissimi luoghi o irreali verità, arti marziali e lo zen, Mozart e Platone, l’America con i suoi indiani, mio fratello gentilmente mi spiegò perché esistevano gli indiani con le penne in testa e quelli che praticano yoga. E ancora, L’Uomo Ragno e Batman, Lubitsch e Sukia, storie di fantasmi e l’enigma di Kaspar Ha,Kubrick e Zagor, l’incidente di Roswell e Diabolik, Tex e la rivoluzione se, Supersex e il mistero del o di Djatlov, tutto così, un mondo anarchico in cui ogni lettura conviveva pacificamente con un'altra senza conflitti e attriti, tutto era permesso e tutto poteva coesistere. Nei fumetti erotici o pseudo giornalistici di cronaca, scoprivo magnifiche donne disegnate, occhi languidi, labbra carnose e gambe affusolate in calze autoreggenti, per decenni la mia donna ideale è stata così: eroticamente irresistibile. Il mio primo film porno lo vidi su un proiettore super 8, il proiezionista? Esatto, mio fratello. Avevo tredici anni e ricordo ancora l’odore acre della pellicola e lo sfarfallio della luce sul muro bianco, dopo Rin Tin Tin e un episodio di Furia, caricò una pellicola danese, mi parve un film sugli alieni: donne e uomini tutti biondi e con la pelle bianchissima, svettava è il caso di dirlo, un tizio allampanato con un cazzo enorme perennemente in tiro, in ogni scena c’era lui, magrissimo, quasi diafano, chiesi a mio fratello come potesse reggere, dopo un breve silenzio mi rispose: «Ci sono più cose in cielo e in questo film, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Era fatto così, un’intelligenza sopra la norma ma una personalità borderline. Appena nacque qualche pelo sulla mia faccia, cominciai insieme ad amici, a stazionare intorno ai cinema porno, un bel giorno vestiti da “adulti” riuscimmo a entrare al Jolly, una sala storica di Milano ora diventata un circolo di biliardo. Enzo rubò una cravattona a fiori al padre, Claudio i pantaloni al fratello, Marco era già vecchio e brutto di suo, io indossai una giacca che mi faceva sembrare un giocatore di football americano. La cassiera ci osservò a lungo, guardandoci negli occhi come succede in
dogana, capì che eravamo minorenni, ma era martedì pomeriggio e gli spettatori pochi, cominciò a staccare i biglietti,davanti a Franco si fermò:«No, tu no, te sei minorenne», cazzo, aveva stoppato il più grande del gruppo, seppur di qualche mese, ma sarà stato il viso imberbe o perché doveva dimostrare di non essere stata completamente gabbata, di fatto, Franco rimase fuori, riuscì solo a farfugliare: «Ragazzi, vi aspetto al bar», chinò il capo e lentamente andò via. L’impatto fu straniante, fiche e cazzi enormi si stagliavano sul grande schermo, gemiti e urla strozzate fiorivano dalle casse acustiche, per evitare le poltrone sborrate e i vecchi che si masturbavano in fondo alla sala ci sedemmo in prima fila. L’attore principale interpretava un idraulico, in trenta secondi entrò in casa della bella attrice e con una scusa surreale se la scopò, eravamo al settimo cielo perché realizzammo quanto fosse facile scopare! All’inizio si rise molto prendendo per il culo gli spettatori ma dopo qualche minuto subentrò l’eccitazione e ci ammutolimmo. Alla fine del primo tempo si accesero le luci e notammo che eravamo in un circolo di intellettuali, ogni spettatore spiegò davanti a sé un quotidiano tenendolo bene aperto sul viso come una maschera di carnevale in cui non c’erano i buchi per gli occhi. Alla ripresa del film si avvicinò la cassiera con la torcia e ce la puntò in faccia come se fosse della Gestapo: «Maialini, vi affido queste ragazze, mi raccomando, fate i bravi», ci spostammo per far sedere tra noi quattro belle figliole di Brescia che non sapevano che cazzo fare a Milano se non entrare in un cinema porno. Ora, il lettore penserà subito all’immensa fortuna capitataci, e lo fu, ma le occasioni bisogna almeno coglierle. Ridemmo e scherzammo a lungo come dei deficienti, ma neanche uno che allungasse una mano, capimmo definitivamente quanto fossimo pirla quando ritornò l’ispezione della SS kassieren: «Ragazze, tutto bene?», un’arguta e stanca fanciulla del gruppo: «Sì, sì, anche troppo». Uscimmo dal cinema con i pantaloni gonfi ma l’aria di chi ha perso Quel treno per Yuma. Alcune emittenti locali cominciarono a trasmettere a tarda notte film porno, forse per farsi pubblicità, usando piccoli accorgimenti patetici cercarono di non farsi chiudere, Telereporter al venerdì e Rete 55 al giovedì dopo il cartello: Fine delle trasmissioni. Regalavano, bisogna riconoscerlo, un bel filmone anni settanta con ragazze di folto pelo munite, molto pelo, per me la
peluria era sinonimo di fica, cose ci fosse sotto non mi interessava, bastava il triangolo irsuto. Il problema era la ricezione, in casa possedevamo un unico televisore, un attrezzo arancione con una antenna circolare e una telescopica, quindici pollici con a lato sei pulsanti e una rotella per la sintonizzazione del canale, in bianco e nero. Questo gioiellino tecnologico era posizionato in cucina, ora capirete che, non era per nulla facile guardarsi il porno alle due di notte con il pericolo che mia madre entrasse a bersi un bicchiere di latte, ma rischiai. Oggi, chi è abituato al digitale terrestre, parabola, Sky, schermi interattivi da cinquanta pollici con tecnologia 3D, non può capire l’emozione che provai nel vedere i film dentro quella piccola scatola con lo schermo pieno di “farfalle”, che non è un modo gentile per definire la vagina ma proprio un effetto della ricezione quando questa non era perfetta, e vi assicuro, non era mai perfetta. “Crociera erotica” è stato il primo titolo assaporato, mi masturbai in piedi e ricurvo a dieci centimetri dallo schermo, con la mano libera muovevo l’antenna appena il segnale calava, sincronizzai il movimento della sega alla presa della antenna circolare, lo sguardo doveva fare la spola dallo schermo alla porta della cucina, così ingobbito pregai tutti i santi delle pornostar che mia madre non aprisse quella porta. Improvvisamente e senza nessun controllo eiaculai, qualcosa di epico, penso sei, forse sette enormi schizzi, inondai il piccolo apparecchio TV, un fiotto arrivò alla porta distante almeno due metri, rischio facial se fosse entrata mia madre all’improvviso, vai a spiegarglielo dopo … sommersi il pavimento, sperma ovunque, accesi la luce e ai la notte terrorizzatoa rimuovere seme dalle suppellettili. Affilammo le nostre armi e puntammo più in alto, scoprimmo Il Teatrino, postribolo sito dietro piazza Duomo, fucina di innumerevoli pornostar, qui, dopo il film, si esibivano e qualcosa di più, ragazze splendide. In realtà l’infimo livello era dato più dagli avventori, non erano esattamente quelli del Moulin Rouge, una platea difficile per tutte, l’antesignano di tutti i porcai d’Italia. Per accedervi bisognava superare una tenda polverosa di velluto, una volta raggiunte le squallide poltroncine si aspettava, dopo una serie di gregarie arrivava la star, da qui è ata la storia del porno: Cicciolina, Ramba, Milly D’Abbraccio, Petra, Eva Orlowsky, Jessica Rizzo,
Vampirella, Venere Bianca. Un sabato sera c’era il pienone, poi, capimmo il perché. Entrò in scena una bellissima ragazza, dopo essersi spogliata lentamente i maiali erano già bavosi e con la mano destra sul pacco, finché la ignuda femmina fece fermare la musica e chiese: «Chi vuole venire sul palco e continuare lo spettacolo con me?» ci fu un’alzata di mani che non si vide neanche nel Soviet Supremo durante la guerra fredda, ma la ragazza indicò me, che meraviglia: «Chi, io?» feci con aria sorpresa, alzandomi in piedi. «No, non tu, il tuo amico carino alla tua destra!» Come distruggere l’autostima di un ragazzo in cinque secondi. Enzo si alzò e salì sul palco, si fece trastullare per dei buoni venti minuti. Finito lo spettacolo era giunto il momento della grande star, fortunatamente eravamo seduti nelle prime file, perché dopo l’esibizione solitamente l’attrice scendeva per farsi tastare. Era la donna più bella e sensuale che avessi mai visto, elegante come una regina e flessuosa come una pantera, sorrideva sempre ma lo sguardo era malinconico, non so spiegare ancora oggi, provai una sensazione di tenera tristezza. La ragazza finalmente ò tra le fila assetate di maschi vogliosi, un veloce aggio forzato e non gioioso, tanto è che appena poteva si ritraeva gentilmente dalle mille mani. Venne il mio turno, avevo il suo sesso a pochi centimetri dalla faccia, mi volli distinguere, essere cortese, forse fui fortunato: «Posso toccarti? Non hai fastidio?» dissi titubante. «Delicatamente sì, certo che puoi», alzai la testa e vidi un solare sorriso, arrossii sicuramente perché sentii il viso andare in fiamme, le appoggiai entrambi le mani sui glutei pieni, poi, le accarezzai la peluria castana, fece per andare ma si girò verso di me: «Quanti anni hai?» Io balbettando e mentendo:«Dici … diciotto, ma, ma tu, come ti chiami?» Scoppiò in una risata e divertita mi disse: «Come? Non hai ascoltato quando mi hanno presentata? Moana, mi chiamo Moana». Reminescenze, da lontano osservo questi ricordi, frammenti e tessere di vita, momenti disgregati, anni di acerba follia e sospese emozioni, sapori persi e odori evocativi, con gratitudine e tutto sommato, penso a mio fratello, ma
Mio fratello è figlio unico.
BDSM e frattaglie ( Piss and love) Mi svegliai verso le dieci e decisi di prendermi la giornata. Non avevo voglia di nulla e nulla aveva voglia di me. Quando svanisce l’incoscienza si matura, uhm, maturare, molto labile il confine con marcire, è quando non ci si sorprende più e non si vuole più scoprire, sì, stavo infiacchendo corpo e mente, non andava bene così. Perlustrai la casa in mutande, necessitava di una pulizia radicale ma potevo are la mattina a lustrare? Guardandomi allo specchio mi apparve un cazzo di obeso con la barba lunga e i capelli a cespuglio di more. Aprendo il frigo in cerca di qualcosa che calmasse l’ansia di vivere una voce destò la mia attenzione: «Finiscimi, non lasciarmi in questa agonia, ho la pelle che mi brucia, sei senza pietà!» Era il mezzo limone ammuffito comprato tre settimane prima, sobbalzai ma feci finta di niente, ma da sotto: «Burp, pardon, guardi però, qui non ce la facciamo più, mio fratello sta morendo, mia cugina comincia a puzzare, cosa vuol fare? Non ci chiuda la porta in faccia come sempre, ci dia una risposta ora, in fondo è rimasta solo una piccola porzione, faccia il serio», invece queste erano le uova del tiramisù, avevano ragione; poi ancora una vocina: « Aiuto, aiuto, no, non ancora, ho paura del buio, mi lasci sempre al buio papà, ti prego portami con te», ebbi comione anche della Coca. Seduto al piccolo tavolo della cucina ingurgitai l’ultima porzione di dolce e la Coca con il limone, quest’ultimo mi sorrise grato, mi voltai verso la finestra, piccoli fiocchi di neve scendevano silenziosi, almeno loro non mi rivolgevano la parola. Andai verso la libreria, la contemplai come se veramente fossi interessato alla lettura, invece notai solo la polvere che li ricopriva: «Da quando è nato il web vi ho trascurato, mi dispiace», pensai, riflettendo a quanta gioia e consolazione mi diedero in ato, persone vissute secoli prima che volevano ancora vivere, desideravano ancora raccontare, manifestare il proprio pensiero all’umanità, chiusi gli occhi e distrattamente li sfiorai con le dita. Misi nel lettore Nina Simone e accesi il PC, in posta c’era solo qualcuno che
voleva rendere il mio cazzo più grosso e dei tizi che mi avvertivano che il mio conto corrente era stato violato, tutto nella norma quindi. Su facebook i soliti idioti che facevano a gara a chi era più vivo nel mondo virtuale, dei morti viventi nel reale; qualche notizia sul Corriere, nessun film decente da vedere, naturalmente sapevo già dove sarei andato e ci andai, annunci di incontri, donnine facili che potevano riempire la mia uggiosa giornata. “Donna quarantenne, italiana, si offre per compagnia particolare, pratiche sadomaso e giochi dannunziani, chiamare solo con numero visibile”. Avevo trovato la mia scintilla, qualcosa che non mi fe sentire uno zombie, chiamai subito. «Ciao, chiamo per l’annuncio, ecco, volevo sapere cosa si può fare e cosa no» «Ma sai, quasi tutto, tu cosa vorresti fare? Sei master, slave, switch? Ami i giochi medical clinical o preferisci il bondage?» «Aspetta, ho capito solo “Ma sai”. Non so, io vorrei pisciarti in bocca ma non so in quale categoria affiliarmi» «Porcellino, va bene, ma sei capace o è la prima volta?» «No dai, non credo che ci vogliano capacità particolari per pisciare» «Per mingere no, ma per farlo in bocca a qualcuno forse, in genere ai neofiti per la troppa eccitazione il pene resta duro, impedendo così la fuoriuscita della pioggia dorata. Fai così, bevi molto prima di venire qui». Così, scesi al supermercato sotto casa a comprare tre bottiglie di acqua minerale, di quella particolarmente diuretica, ora avevo tutto per il mio “sadico piano”. Ebbi subito una strana sensazione, come quando noleggi il pedalò per un ora ma dopo cinque minuti che pedali capisci che hai fatto una cazzata. Cominciai a tracannare dalla prima bottiglia, le altre due le portai con me, durante il viaggio ne avrei bevuto ancora, arrivato sotto casa della professionista mi accorsi che il parcheggio non era facile e che due bottiglie giacevano vuote sul sedile eggero.
L’effetto diuretico cominciò a fare effetto ma era sostenibile, purtroppo però il posto per l’auto lo trovai distante dal portone, cosa avrei dovuto fare? Pieno come un otre di sperma e urina mi incamminai verso l’agognata destinazione. Stringendo il più possibile il muscolo pubococcigeo cercai di rallentare il disastro apocalittico: pisciarmi addosso in pubblico; arrivai comunque al portone. Telefonai: «Ciao, sono arrivato, posso salire? Capisci a me» «No, non adesso, ho un cliente che si sta lavando, puoi aspettare dieci minuti? Ti richiamo io». Fui preso dal panico, mi scappava veramente da pisciare già da un po’, ma adesso, ogni minuto che ava la pressione aumentava sempre più, quasi insostenibile. Più volte pensai di andare in un bar ma poi? Avrei mandato all’aria il sospirato pissing, magari farne solo un po’? Macché, una volta aperta la diga chi l’avrebbe richiusa? Nel mio corpo intanto si era scatenato il caos. Ero al limite, richiamai: «Pronto, non ce la faccio più, fai scendere il collega», mi pregò di attendere ancora un paio di minuti. La vescica cominciò a chiedersi che cazzo stava succedendo e chiamò i reni: «Scusate, sapete qualcosa voi? Cioè, cercate di mandare meno prodotto!» «Ma sei scema? Secondo te intossichiamo la fabbrica per agevolarti il lavoro? Anche noi stiamo facendo gli straordinari», risposero stizziti i reni. «Oh, hai saputo qualcosa? Io non ce la faccio più, sono diventata tutta rossa e c’è pure il maniaco del pubo che continua a darmi certe spinte» fece l’uretra preoccupata. «No niente, i reni sono i soliti snob, aspetta che chiedo al direttore, qui la cosa è seria» «Scusi Dott. Cervello, è al corrente della situazione?» «Sì, sì, tenete duro finché potete, ho le mani legate, ho ricevuto preciso ordine dalla proprietà: minzione solo al segnale concordato. Purtroppo è così, sono vittima quanto voi di questo perverso sistema, ah, ma mi sentiranno alla prossima riunione, accidenti se mi sentiranno, intanto
riferisca all’uretra di rilasciare 2ml di prodotto, me ne assumo la responsabilità». Nel frattempo io saltello da una gamba all’altra come la scimmietta di Remi quando si esibisce in un grottesco balletto, alle persone che mi onorano della loro attenzione regalo un sorriso di plastica stampato sul bel faccione viola, rimpiango solo di non poter battere i piatti con le mani e sollazzare ulteriormente il pubblico ante. La mia bella finalmente mi richiama, adesso posso salire, faccio in tempo però, a bagnarmi le mutande come un pupo da latte: «Maledetto corpo, questa è insubordinazione!» Pensai incazzato. Il piano da raggiungere era il quinto, fortunatamente l’ascensore funzionava, ma una volta all’interno, forse per il luogo chiuso e raccolto, pensai di liberarmi lì dentro, ero esausto, stavo per cedere come Dorando Pietri a Londra a pochi metri dall’arrivo, dopo aver percorso quarantadue chilometri! Invece resisto e lei mi accoglie sorridente, ma dopo un attimo mi osserva meglio, vedo il suo viso contrarsi in una smorfia: «Stai bene? Vuoi sederti e bere qualcosa?» Una semplice domanda di cortesia —la seconda— si stava per trasformare in un futile e abbietto motivo di omicidio, pensai di metterle le mani al collo e strozzare quello splendido cigno. I miei due neuroni ragionarono e la portai in bagno, la feci accomodare nella vasca e per poco non l’annegai, annaspando e con gli occhi socchiusi, più volte cercò di riprendere fiato, ma il getto era continuo e potente come quello che esce dagli idranti dei pompieri. Finalmente l’incendio dopo diversi minuti fu domato, e in quelle chiare, fresche e salate acque il mio spirito trovò quiete. Brigita e la nave dei folli Mi aspettava un doppio viaggio, uno fisico e uno mentale, ne ero cosciente e volli intraprenderli entrambi. Ero stanco che tutto mi scivolasse via, che non rimanesse nulla dopo gli incontri, la mia psiche per qualche motivo cominciava a scindersi, ero attore e spettatore allo stesso tempo, spesso, riuscivo a guardarmi mentre scopavo, ero dentro l’azione e anche fuori, non mi faceva sentire bene, pensai che un incontro particolare forse mi avrebbe
tenuto incollato alla realtà, al momento. Brigita abitava nella profonda pianura lombarda, un luogo recondito e silente, non sperduto, volutamente celato, un posto che non proietta ombre per non mostrarsi, schivo come un vecchio che non ha più nulla da raccontare. Partii da Milano in tarda mattinata, splendeva un pallido sole ma sufficiente a mettermi di buon umore, mi sentii subito come in gita scolastica, una breve escursione che interrompesse la noiosa vita di classe, queste piccole dinamiche mentali mi resero felice di essere in vita.
Dopo solo pochi chilometri cambiò il paesaggio ma anche il tempo, le case lasciarono il posto ai capannoni industriali, il sole alla nebbia, più avanti ancora solo campagna e cascine, la nebbia a nebbia più fitta. Lentamente anche la felicità assaporata pochi minuti prima lasciò spazio a una lieve malinconia, inevitabile, cambiai stazione radio e continuai il viaggio. Andavo da Brigita per un incontro di dominazione, qualcosa di non troppo pesante, sculacciate e umiliazioni verbali, una eggiata da cagnolina, forse qualcosa in più, non lo sapevo, avremmo deciso al momento, ero già contento di aver trovato una donna disponibile a un simile incontro, è una rarità, in Italia per lo meno. L’auto è il luogo in cui riesco a pensare meglio, anche in mezzo al traffico, i pensieri fluiscono più lentamente e si fanno guardare, e qualche volta si lasciano gettare via per non ritornare, forse la mente cerca da sola un posto dove trovare pace, se vivessi in montagna nulla sarebbe paragonabile a una sana scarpinata tra i boschi. Tuttavia, io ho la macchina e ci sono affezionato, in tanti anni mi ha dato riparo ed è stata usata come alcova, all’interno ci ho mangiato e ci ho dormito, l’ho usata come biblioteca silenziosa per insane letture e come mezzo per ascoltare la musica o l’ovattato vuoto che risiede nella mia testa. Quel giorno invece, la mia vetusta e solida auto mi accompagnò in luoghi umidi e sconosciuti, pantano di morte per molti giovani uomini, ora, fertili risaie per fameliche bocche e insetti senza rispetto.
Mortara, Mortis Ara, il nome è tutto un programma, tutta una garanzia. Curiosamente in questo ameno sito si svolse più di una battaglia sanguinaria. Anno 773 Carlo Magno re dei Franchi pensa bene di venir giù contro i longobardi, circa settantamila morti. Anno 1525, dominio spagnolo difeso a lungo con tenacia. Anno 1849, austriaci e piemontesi, Risorgimento. Arrivando qui, è come a Eboli, ci si ferma pure Cristo, anch’io non volevo essere da meno. Brigita mi chiamò per sapere se mi fossi perso, ero in ritardo: «Brigita, sì, sto girando da un’ora, qui è tutto uguale e la nebbia non aiuta». Il viaggio allucinante continuò. Ai lati della strada alberi con lunghe braccia mi concedevano l’onore delle armi, vedevo l’esercito se marciare imponente, longobardi sfiancati e logori, armi al suolo e pozze di sangue sulla via, famiglie distrutte e dolori incancellabili, ignoti danzatori ballano nella mia mente, la Storia si sovrappone ai ricordi personali. Psichiatra: «Conosce il motivo per il quale è qui?» Io: «Perché non voglio fare del male a nessuno, non voglio uccidere persone che non conosco, senza motivo, senza ragione» Psichiatra: «Ma lei è un soldato, potrebbe accadere, è un suo dovere, le ripeto la domanda: conosce il motivo per il quale è qui?» Io: «Ho detto al mio capitano che è un assassino, non l’ha presa bene» Psichiatra: «Vede? Lei considera tutti potenziali assassini, anche il suo capitano, lo sa che possa farla declassare? Io: «Ma il capitano è un assassino, ha ucciso una donna e la sua bimba in Libano, tornando ubriaco da una bettola le ha investite, non mi interessa se mi farà declassare» Psichiatra: «Si considera diverso dagli altri?» Diverso, diverso, diverso, dovrebbero cancellare questo termine dai vocabolari, sembra sia un cancro, appena sei etichettato in questo modo sei finito, qualunque sia la tua diversità sarà motivo per escluderti, per farti sentire meno, un freak, un fenomeno da immolare sull’altare della
normalità, chi non è normale è minus habens, fosse anche un genio, perché comunque anche sei hai qualcosa in più non sei come gli altri, non essere come gli altri è male. «Dove sei? Allora, vai sulla strada grande, poi a destra, c’è una piccola strada, percorrila fino alla fine, dopo ti richiamo», Brigita mi riportò al presente come un tuffo nell’ acqua gelida, dopo lo shock iniziale ci si sente rigenerati. Percorsi a tutta velocità la stradina di campagna, pochi minuti e sarei stato da lei, alcune lacrime mi solcarono il viso, la nebbia si levò dalla campagna e terminò nell’abitacolo, il suo profumo mi fece sentire parte di questo mondo, odiato e amato. Da una piccola casa bianca immersa nel candido paesaggio, come in una fiaba, spuntò come per magia una testa bionda, la ragazza mi sorrise e fece cenno di entrare nel cortile. Brigita veniva da un Paese a me caro, la patria di Kafka. La ragazza era alta un metro e ottantacinque, braccia e spalle da pallanuotista, difficile immaginarla schiava e remissiva, il tempo mi diede torto, infatti il suo animo era tenero e dolce. Non grassa ma massiccia, incredibilmente femminile se non ci si fermava all’apparenza, senza chiedersi perché, buona per farci l’amore, lasciai condurre a lei i giochi. Fui padrone senza rendermene conto, i suoi occhi antichi preservarono il suo piccolo cuore, senza parole e abbracciati ci sentimmo come sogni trattenuti. Nessuno si illuda, sarà sempre la slave a decidere cosa farvi fare, il dominio è un’illusione per menti ottuse. Mi parlò della sua famiglia, dei suoi progetti, della sua vita in Italia, mi persi sulle lunghe e grosse cosce, presi fiato e chiusi gli occhi. Ascoltai i suoi racconti come favole di un Paese lontano, parola dopo parola scavò nella mia mente leggendomi dentro, nascosi la mia vita e il mio ato. «Sei bello e triste», disse sottovoce come è capace solo una mamma. Scoppiai a ridere: «Delle due solo una è vera, considerando che non sono bello … direi che sei una brava psicologa» «Si capisce da come scopi, hai tanto dolore e dolcezza da esprimere» «Ecco, pensa che ho prenotato un incontro alla De Sade e invece mi ritrovo
a essere Cyrano de Bergerac, va bene, ristabiliamo un po’ d’armonia originale, fammi una bella pompa che l’ora sta per finire, sucamelo!». Mi strinse a sé, scomparvi dentro quel grande universo di carne. Si aprì l’orizzonte e lo stomaco, vidi la grande donna dallo specchietto retrovisore salutarmi con la manona. Ingranai la prima senza voltarmi, l’aria era serena e la mente sgombra. La strada verso casa mi fece pensare al tempo trascorso, gli alberi rinsecchiti cercarono di dirmi qualcosa, non li ascoltai. Dietro una curva, a un aggio a livello, esattamente in mezzo alla strada: un airone cinerino! Questa meraviglia della natura, un cazzo di uccello enorme, stava per essere schiacciato come una blatta qualsiasi, lentamente spiccò il volo inconsapevole del pericolo schivato. Ora, era successo davvero o era solo nella mia mente? ai diversi minuti per riprendermi dallo stupefacente incontro ravvicinato, ma quando sei dentro a una valanga e sei quasi sommerso, che senso ha chiedersi se sei pazzo? Mi fermai a un baracchino, ordinai un panino con cipolle piccanti e una birra, mentre lo stomaco smise di brontolare sotto la mia pelle i dolori ricominciarono a salire, ma decisi che quella giornata doveva essere solo mia. Un rutto e una scorreggia, poi mi alzai e via verso Milano, però ancora un desiderio, una sola richiesta: «Brigita, sembri vera, non mi scordare». Nel frattempo cercai in ogni modo di contattare Silvia, non rispondeva più alle mie chiamate né ai miei messaggi. Un pomeriggio mi presentai sotto casa sua, ma all’ultimo momento mi fermai e pensai quanto fosse inopportuno il mio comportamento, la mia amica aveva scelto di non vedermi più, perché avrei dovuto insistere? Certo, non ne capivo la ragione né condividevo il modus operandi attuato, ma tant’è. Le volevo un bene dell’anima, questo sì, soffrivo molto la sua assenza ma ho sempre rispettato le scelte di chi mi ha lasciato, a partire da mio padre ando per la ragazza della mia vita finendo a un mio caro amico, ora toccava a Silvia.
La fabbrica del male
Arrivai a Cracovia di sera distrutto,dopo dodici ore di viaggio all’interno di un tubo del dentifricio che ostinatamente la compagnia continuava a
chiamare bus. Con le ginocchia sul mento e immerso in canzoni folkloristiche polacche, mi chiesi quale persona malvagia fossi stato in un’altra vita per meritare un supplizio del genere. Fui costretto pure a sorbirmi Arma letale in anglo/americano con la traduzione in voce off fuori sincrono, in polacco; la mia vicina di posto, una signora con due culi, eccitata ingollò un chilo di carpa fritta. L’aria ormai satura sapeva di capelli sporchi e scorregge al pesce. Scesi dal mezzo e respirai a pieni polmoni la fresca aria, è la prima cosa che si percepisce quando si arriva in un nuovo posto, attraverso gli odori vengono comunicati al cervello svariate sensazioni, presi lo zaino e cominciai a vagare senza meta, volevo vedere le persone del luogo, avevo bisogno di sapere come scorreva la vita in quel posto. Entrai in un sex shop, mio fratello ne gestiva uno all’epoca, per un breve tempo ci lavorai anche, così, quando potevo entravo come un super maniaco in tutti i locali per adulti che mi capitavano, per rubare idee o spunti commerciali, ma questa volta, l’idea migliore sarebbe stata impossibile da realizzare in Italia. Il negozio non sembrava molto grande, c’era un odore misto di plastiche e caucciù, entrando, la prima sala era il tipico serbatoio di cazzi di gomma e bambole gonfiabili, in fondo, sedeva un tizio con i baffi, l’aria scazzata e una camicia a quadri, come tutti i gestori di questi posti, glielo leggi proprio in faccia che ne hanno pieni i coglioni di film porno e relativi clienti, sono sempre come persi su Marte, fateci caso. Diedi un’occhiata veloce ma fui subito catturato da gemiti di godimento anale, per poco non mi prese un colpo, da dietro una tenda intuivo del movimento, entrai cauto e fiducioso nella stanza, ma purtroppo, era una piccola saletta adibita a cinema, in un angolo, un paio di vecchi senza dentiera si masturbavano vicendevolmente. All’uscita il gestore mi chiese se cercassi qualcosa di preciso, alla mia risposta negativa capì da dove venivo e cominciò a farfugliare di calcio e pasta, ovviamente chiosava ogni frase con “mafia e bell’Italia”. Mi guardò silenzioso per qualche attimo, poi, come illuminato da un mistico risveglio, una sorta di nirvana del porno: «Tu, no fai sega con video porno!» «Ti sbagli di grosso, appena posso mi ammazzo di seghe invece, smetto solo quando esce acqua e non più sperma» Il baffone non capì se fossi ironico, lo rassicurai, ero stato maledettamente
serio. «Ah capito, ma no è forse meglio scopare che guardare?» Senza aspettare la mia superflua risposta, urlò qualcosa in polacco apparentemente verso l’ignoto, pensai di averlo fatto sbroccare, a volte mi succede, le persone non mi reggono a lungo, invece, rimasi a bocca aperta. Due ragazze in costume sbucarono da un’altra saletta, una bionda e una bruna, carine anche se non bellissime. «Guarda amico, quale tu preferire? Per sessanta zloty ti fai bella scopata, anche culo puoi mettere, no piace culo?» Li guardai con la mascella caduta sulle caviglie, sembravano una pubblicità anni settanta: fissi e sorridenti, aspettavano lo stop del regista. Pensai di essere in una candid camera. «Ma sul serio? Scusa, e dove si consumerebbe il delitto?» «Oh, ma tu no preoccupa, tu c’hai tutto, anche doccia, tu vuoi fare doccia?» «Eh sì, voglio fare sì», così dicendo la bionda mi prese per mano, sorrise e dopo avermi portato in una sorta di sgabuzzino si chinò e aprì una botola sul pavimento, mi sentii come se stessi scappando dai nazisti, esitai un attimo ma lo sguardo dolce della ragazza mi persuase. Sotto, per tutta la grandezza del locale c’era una sorta di porcaio per deviati sessuali, il posto giusto per me insomma. A una parete una croce di sant’Andrea nera faceva bella mostra di sé, in giro frustini e corde, manette e lubrificanti, preservativi, riviste e cassette porno, un grande lettone e una figa vera completavano il quadro. La ragazza prese il comando delle operazioni, ero troppo stanco per fare lo stallone, pochi minuti e giunsi al capolinea, feci la seconda doccia e mi gettai sul letto, era pieno di macchie, sangue e sperma internazionale, ma avevo bisogno di stendermi. Mi guardai intorno meglio, l’ambiente inquietava anche un pervertito come me, lì sotto poteva succedere e quindi succedermi qualsiasi cosa, senza che nessuno sentisse o vedesse, ero nudo in uno scannatoio sotto terra in un punto qualsiasi di Cracovia, al pensiero, mi alzai come una molla e indossai i vestiti, diedi una mezza gomitata alla bionda che già ronfava e uscimmo dalla “tomba”.
Il baffone mi guardò stupito: «Amico, tu finito? No piace ragazza? Vuoi altra? Vuoi ragazzo, piace ragazzo?» Versai il dovuto e sorrisi, ci mancava pure che mi inculassero, probabilmente il “ragazzo” era lo stesso gestore, non so perché ma questo dubbio mi assalì. «No grazie, mi sono trovato bene, sono solo stanco, scusa una cosa però, perché mi hai chiesto se volessi un ragazzo, sembro gay?» «Ma amico, qua venire tutte persone, molti chiedere cose pazze, io fare solo business, io tengo tutte le cose per business» Dopo aver esposto la sua visione sugli affari, ripartì per Marte, riassunse quell’aria tipica di chi vive nei pornoshop, la cortesia sparì dietro a monosillabi e alle parole crociate, ormai non interessavo più come cliente. Lo salutai, mi rispose con un gesto della mano senza alzare la testa dalla lettura, uscendo, urtai “accidentalmente” uno scaffale facendo cadere un mega cazzo di gomma, il baffone si riaccese come un robot e si alzò, era la prima volta che lo vedevo in piedi, era un cazzo di gigante! Presi il fallo e lo accarezzai come se fosse un cucciolo di Labrador, poi lo agitai nell’aria per rassicurare la montagna umana che non si fosse rotto, velocemente guadagnai l’uscita. Il fine ultimo di quel viaggio, tuttavia, era la visita al campo di concentramento di Oświęcim (in tedesco Auschwitz). Così andai in cerca di un hotel, ma poi, non so ancora spiegarmelo, pensai di partire subito, la corriera che faceva l’ultimo viaggio era ancora in stazione, acquistai il biglietto, si erano fatte le dieci di sera. Svuotato e pulito mi sentivo meglio, il viaggio durò circa un’ora, attraversammo sessanta chilometri di boschi immersi nel buio più totale, scaraventato nell’Amazzonia d’Europa piombai in un sonno profondo. All’improvviso fui svegliato con vigore da una mano a tenaglia sul braccio, vidi intorno a me quattro persone che agitandosi cercavano di dirmi qualcosa, l’autista fermò l’autobus e si fece largo tra i eggeri cercando di venire nella mia direzione. Cercavo di capire la situazione perché a livello di lingua ero zero, il polacco per me era incomprensibile, non capivo neanche una parola, così mi presero
di forza, quasi mi sollevarono di peso, come una rockstar ai concerti dopo che si è lanciato sul pubblico, fui spinto vicino all’uscita. «You speak English? français? hablaespañol? cazzo!Italiano?» Pensai di essere arrivato, ma allora perchè dovevo scendere solo io? «Is Oświęcim? Is Oświęcim?», chiesi all’autista. «Nie, nie», fu la stringata risposta. Ero spaesato e impaurito, stavo per essere gettato in mezzo al niente, non c’era nulla fuori, non si vedeva niente di niente, nè luci, nè cartelli, solo il buio della notte, e nessuno sembrava capire o in grado di farsi capire. Così, puntai i piedi come fanno i muli e urlai qualcosa tipo “state indietro, ho il biglietto”, non ricordo bene, ma rammento perfettamente le loro facce sconsolate. Uno a uno ritornarono al loro posto, l’autista disse qualcosa e riprese il posto di guida, il viaggio ricominciò. Tornando al mio posto facendo il tunnel centrale li guardai malissimo, pensai: «Guarda sti stronzi, farsi i cazzi propri no eh? Bastardi». Dopo circa altri dieci chilometri di boschi e di null’altro, arrivammo al capolinea, qui scendemmo tutti, io per ultimo, tanto per accertarmi che non ci fosse il trucco, i eggeri sparirono lentamente inghiottiti dal bosco, sporadiche risate spuntavano dalla fitta vegetazione, dopo poco neanche più quelle, rimasi in piedi come un cactus nel deserto. Mi si avvicinò un’anziana signora che in un misto di tedesco/inglese/polacco, finalmente, riuscì a spiegarmi gli strani avvenimenti di poco prima. Quella precedente, era l’ultima fermata prima del capolinea, lì vicino c’era l’hotel, l’unico, il solo, avendo riconosciuto in me persona non del luogo (da quel momento anche persona non grata) cercarono in ogni modo di farmi are la notte al coperto. Mi ero inculato da solo con una trave, praticamente. Cercai di farmi coraggio, non era la prima volta che viaggiavo da solo e poi, eravamo nella civilissima Europa, cosa poteva accadermi? Stanchissmo e affamato mi gettai sulla panca di legno della fermata, mani a cuscino, sopra di me una pensilina a farmi da coperta, si erano fatte le due, chiusi gli occhi. Ero immerso in un silenzio quasi assordante, ma per rendere l’atmosfera ancora più tetra, giustamente, gli uccelli notturni cominciarono a farsi
sentire con lugubri versi. Sentii dei i, qualcuno si stava avvicinando. Emerse dall’oscurità una specie di folletto gigante, a un metro da me si fermò, per diversi minuti continuò a guardarmi senza dire nulla, l’essere indossava un gilet rosso e un berretto dello stesso colore, una lunga e folta barba grigia incorniciava il viso scavato dagli anni, era sicuramente anziano. «Nie jesteśpolskim, gdziejesteś?» «Non ti capisco mi dispiace, non ho soldi», dissi io con fare scocciato, chiedendomi che cazzo volesse da me sopratutto, ma lui continuò. A farmi compagnia oltre l’upupa ci mancava anche il logorroico. «Nie mahoteli? tu zatrzymaćzimno», per risposta ebbe il mio più totale silenzio, ma la parola ”hoteli” suonava tanto dolce. Continuammo per venti minuti senza capirci, io con l’inglese e a gesti, lui con il polacco e a smorfie, ma all’improvviso travammo la Stele di Rosetta. Il vecchio ormai sfinito, puntandomi l’indice sulla faccia: «No kriminal, no kriminal?» «No, no, and you? Are you a kriminal?», a questo punto scoppiò a ridere mostrandomi tutti e sette i denti che portava in bocca, ci abbracciammo come disertori scappati dal fronte, tipo Sordi e Gassman ne La grande guerra. Ci presentammo, il mio folletto si chiamava Rudolf, forse la stanchezza o forse la mia ingenuità, decisi di affidarmi a lui ciecamente. Mi fece cenno di seguirlo e ci incaminammo nel bosco, superati i primi alberi, in lontananza vidi piccole e fioche luci, provenivano da un comprensorio di case popolari, Rudolf si fermò e cominciò ad armeggiare con la patta dei pantaloni, guardandomi mi invitò a fare lo stesso. «Hai capito male, roba tra uomini non mi interessa!», pensai di dargli una botta in testa e seccarlo, ma evidentemente capì il mio imbarazzo. «Vescica, vescica, vescica», così dicendo tira fuori il lumachino ed espleta i suoi bisogni, a me non scappa ma poi non capisco perchè sia necessario pisciare insieme come quando si era bimbi. Mi porta nella sua umile e piccola casetta.
Una stanza e un cucinotto al piano rialzato, senza bagno, il suo appartamento finiva lì, almeno avevo avuto la spiegazione della mancata pisciata in compagnia di poco prima. In mezzo alla stanza, come un monolite celtico era piazzato un enorme masso, forse di trenta chili, intorno solo disordine e polvere, Rudolf chiaramente viveva senza una donna, l’abitazione era tipica dell’uomo che avvizzisce aspettando di morire. Il mio nuovo amico prese una coperta e un cuscino, poi mi indicò il lercio divano, mi sdraiai vestito con la convinzione di fare finta di dormire, avevo ancora qualche timore ma il proposito durò dieci secondi, sprofondai in un sonno profondissimo. Al risveglio pensai di aver dormito pochi minuti, invece erano ate otto ore filate, fui felice di essere ancora vivo e di avere il culo ancora integro. Rudolf sorridente mi portò un bicchierone di tè con sciroppo rosso, caldo e fragrante lo trangugiai con voluttà, che buono, non avrei voluto smettere mai di bere! Avevo gli occhi lucidi, uno splendido sole illuminava la stanza, mi apionai a questi attimi incredibilmente intensi. Rudolf fu impaziente di mostrarmi un album di fotografie, erano tutte in bianco e nero, come se questo particolare avesse potuto fermare il tempo. In una di queste, vicno a un caccia della seconda guerra mondiale c’era Rudolf da giovane, impettito nella sua tuta da pilota. In un’altra, una ragazza bionda con un vestito a fiori, sua moglie, morta durante il conflitto. Rudolf a gesti mi spiegò la sua pena per l’amara ironia della sorte, con le braccia larghe a uccello che plana fece il giro della stanza, poi indicò la moglie e giungendo le mani le portò vicino al viso, chiuse gli occhi; lui era ancora vivo! Sentii il viso bagnato di lacrime, provai rabbia e vergogna per le mie paure, per la mia ignoranza, per i miei stupidi preconcetti. Tremando portai via Rudolf da quella casa in cui si era sotterrato, almeno per un giorno. Misi sul tavolino cinquanta zloty, Rudolf portò il pollice alla bocca, mi lasciò intendere che se li sarebbe bevuti tutti, apprezzai la sua sincerità:«Ok, no problem», gli dissi con altrettanta franchezza, lo presi a braccetto e uscimmo al sole. Mi accomopagnò facendomi da guida, al famigerato campo di sterminio, era a pochi minuti da casa sua, ma tutto ben celato, immerso in un meraviglioso
verde, un posto così incantevole e bucolico, come poteva aver ospitato l’inferno sulla terra? La risposta era insita nella domanda; i nazisti scelsero questo luogo proprio perchè lontano dai centri abitati e isolato, poi col tempo, gli ebrei di tutto il mondo si opposero alla costruzione di qualsiasi cosa che fosse sviluppo, per non creare una sorta di Disneyland dell’olocauasto, purtroppo però, di questo isolamento ne hanno fatto le spese gli abitanti del posto. Io e il mio nuovo amico ammo il pomeriggio seduti sull’erba alta, a farci compagnia due birre e un magnifico cielo, mezza giornata vissuta in silenzio ad aspettare la corriera che mi avrebbe riaccompagnato a casa. Ci salutammo caldamente promettendoci di rivederci, in cuor nostro sapevamo che non sarebbe successo, ma entrambi, sicuramente ammo momenti straordinari. La corriera velocemente mi portò via dall’inferno, da Rudolf e dalle mie puerili certezze. Attraversando echi lontani di dolore e spavento, urla e vite interrotte arbitrariamente, in fondo al mio animo stratificò altra malinconia, ma poi pensai che continuare questo splendido viaggio chiamato vita, sia comunque stupefacente. Mi voltai un’ultima volta, vidi Rudolf come un lontano puntino, la terra e il cielo lo schiacciarono, tornammo alle nostre solitarie esistenze, lontani e vicini, amici per un giorno.
Vorrei dedicare queste mie righe a tutte le donne che fanno il “mestiere”, ma anche ai magnifici esseri in via di trasformazione e a tutti gli uomini che si prostituiscono, siano essi gay o etero. Ho trovato nelle prostitute tante emozioni e tanta vita, ma soprattutto infinita umanità, nella finzione dell’atto tanta sincerità, nei modi sgarbati e negli atti violenti ho visto oceani di dolore e cuori induriti, ma è sempre bastata una carezza e in lacrime si è riversato il bisogno di amore, la supplica a non essere lasciate sole, almeno per una notte.
Fiori d’acciaio
Chiudendosi, la porta lascia finalmente il mondo fuori. Lentamente scivola l’acqua sul corpo adoperato, portando con sé l’ultimo odore non mio, esso respira. Silenziosamente, la solitudine famelicamente sbrana la giornata agonizzante fatta di sconosciuti incontri. Perlacee curve disegna la crema sull’ incarnato, se alzo lo sguardo vedo la stanchezza lasciare il posto a fragili e ingenui sogni di bambina. Esausta trovo quiete tra le fresche lenzuola, mentre l’assenza percuote la mente, l’anima mia è volata verso il domani, spossata trovo rifugio solo nel tormentato sonno. Piccole case di carta colorata sul comodino, osservano il mio tempo sfiorire: «Quante ancora dovrò farne prima di smettere?» Fuggo nel ato pigmentando illusorie tele: «Cosa vuoi fare da grande?» Parole su parole hanno celebrato le purpuree labbra, vacui discorsi e infiniti dialoghi votati al nulla hanno esacerbato l’ultimo mio spunto sincero. Il frugale pasto riflette sullo schermo , guardo persone normali che hanno una vita normale, ogni cucchiaiata mandata giù è uno scampolo di vita non assaporato, presto inghiottito nell’attesa di un altro lui da far sentire unico. Riprendo la maschera: «Chi devo essere oggi? Quale parte interpretare per l’ingannevole realtà?» Chimera e illusione per gli uomini son diventata. Lumeggiando l’immaginifica ione ho inventato il lieto fine. Sontuosa la notte inchioda la mia vita su questo metro di asfalto nero, mi aspettano. Inizia l’illusorio spettacolo, figure trasparenti lentamente sfilano come mannequin sotto il mio giudizio, i fari illustrano i resti di un candido esotismo: «Tua moglie non lo deve sapere».
Ardente e profonda brucia la ferita che porto dentro, come sale infuoca la certezza di essere viva. Il mio destino in mano a un soffio di vento: «Che volto avrà questa notte per me?» Sfilo tra la gente innocente pensando di essere niente, sguardi biechi e feroci sgomentano il mio cuore, ma stasera, cercherai il paradiso tra le mie braccia. Frecce al veleno sepolte, amari e pungenti cadono gli spilli dell’ipocrisia, strazianti ricordi emergono tra un “Quanto?” e un “Andiamo?” Svogliate e stracciate cortesie preludono al vento di un vorace sfogo. Ma tra mille sorrisi e un bacio non dato, sarà questo che ricorderai, domandando: «Perché lo fai?» L’inconscio fragile e un sogno complice sono ora per te, mi basta poco per venir via. Ciecamente insoddisfatta, invitante e amante, finalmente sarò la tua splendente realtà. Inaspettatamente non più puttana, foglie rosso cremisi cadono dal il mio ato, saprò ancora riconoscermi? Non importa, ora sono Persona.
Città vuota Le prigioni sono costruite con le pietre della legge, i bordelli con i mattoni della religione. William Blake Quell’estate decisi di non partire per le vacanze, mi sarei preso del tempo per rimettere a posto molte cose, avrei fatto piccoli lavori in casa e saporite dormite pomeridiane, qualche buon film e finalmente avrei avuto tanto tempo per leggere, insomma, non sarebbe stato così male restare in città.
Cala la sera e si alza pompando puntuale l’inesauribile voglia di femmina, un sorriso si allarga sulla mia faccia pregustando nella mente i preziosi giardini e le rose da cogliere. Osservo maschere che ostentano e se non possono invidiano, figure umane in cui l’imperativo è vincere, o tra i locali alla moda in cui migliaia di mani si stringono ipocritamente, persone che sono quello che hanno. Man mano che mi allontano verso la periferia mi sento più sporco e leggero, mi dirigo dove i marciapiedi sono disastrati, le strade gelosamente difendono le loro buche nell’asfalto e la puzza di bitume. Ammiro i volti incorniciati da meravigliose e irrisolte pennellate, venditori di dolore e dispensatrici di peccato si mischiano come carne e tiepido sangue. Fin quando non sarò in mezzo a loro mi sentirò un ciarlatano, uno spettatore della notte che giudica perché non ha il coraggio di mettersi in gioco. Scrutare da dietro un finestrino non fa per me, se non si arriva diritto al cuore delle persone che senso ha esistere? Scorrono le consapevolezze insieme ai metri di strada macinati, la musica bollente attraversa il mio corpo e la mia mente si tuffa nei ricordi felici di bambino, incontro in invisibili abbracci le persone che il tempo ha cambiato, sono libero, sono felice, un sommesso entusiasmo mi colma. La città vuota è piena! Guardo i miei fallimenti e i debiti sulle persone della notte, altri “me stesso” che sperano di ingannare distrattamente l’oscurità, fingono di non vedersi, fingono di non ferirsi, fingono di essere altro. Ma gli animali della stessa specie si riconoscono dall’odore, non serve presentarsi. L’estate mi regala un meraviglioso cielo cobalto e miei occhi colmi di lacrime ringraziano il dono; un principio d’ironia colora la condizione umana: un’immensa vastità riempita di domande poste da un piccolo essere seduto su un granello di sabbia mentre l’universo lo guarda con indifferenza, forse è meglio lasciarsi trascinare dalla corrente, fluire con il tempo assaporando il più possibile gli scampoli di felicità.
Scivolare sull’asfalto nel silenzio della notte, abbassare tutti finestrini per fare entrare quell’aria fresca e profumata, una bibita da sorseggiare in quarta e poi, accendere la radio accettando la musica che capita, tutto questo dopo una magnifica scopata, facendo galleggiare la mente libera, questo è il mio buen retiro. Tra donne dimenticate ho affogato le mie paure, nelle fredde notti ho bruciato le ultime voglie sotto la pelle, ho assaporato corpi sudati di sale e desiderio senza chiedermi del domani.
Luci nella notte alla fine del viaggio
Fuori pioveva, ci guardammo e scoppiammo a ridere per quanta acqua veniva giù. L’intenzione di Debora era di lavorare molto quella notte, ma appena espresse la sua volontà venne sulla terra il finimondo del Signorelli. «Vuoi una birra?» le chiesi con la ferma speranza di poterla trattenere. Debora con i suoi quarant’anni era ancora più bella di quando a venti ballava sui palchi come ragazza immagine, la sua femminilità gareggiava ogni momento con la simpatia straripante. Con il suo fantastico corpo e la sua voglia di vivere era stata la regina dei grandi concerti di musica house e techno, quelli che si tennero nell’Italia del nord negli anni novanta. Accettò, in un silenzio impastato di malinconia osservammo le gente correre per trovare un riparo. Cominciò a raccontare episodi della sua vita, che seppur a volte tragici, alla fine chiosava sempre con una battuta spiritosa seguita da una fragorosa e deliziosa risata. Come non amare una persona così? Avrei voluto alleviare in un sol colpo tutto il peso che le schiacciava l’anima, al costo di farmi male.
Avrei voluto avere una strategia per aggirare i suoi muri eretti a difesa della luce buia in cui si rifugiava. Il cameriere ci portò le birre accennando un complimento, ma Debora lo fermò subito facendolo arrossire con una seriosa risposta che non era nelle sue corde, la guardai comionevolmente pensando a tutti gli uomini che cercarono con falsa cortesia di entrare nelle sue mutandine.
«Guarda, ho ancora un bel culo, che dici?» fece porgendomi il cellulare sul quale, in effetti, si potevano scorgere le foto di uno strepitoso sedere disegnato per essere mangiato con voluttà.
«Debora, non hai bisogno delle mie rassicurazioni, lo sai che sei sempre splendida, sei più sexy di molte ventenni», il suo sguardo si illuminò per un attimo, poi sorrise e fece una smorfia da bimba.
Ritornò all’attacco:«Allora perché non sei mai venuto con me?» «Perché sono convinto che con te vorrebbe dire fare l’amore, e io non voglio pagare per fare l’amore, scusami sono io lo strano, perdonami».
Mi accarezzò il viso mentre i miei occhi si abbassarono, in quel momento mi sentii frustrato, disgregato e perso. Come tra le braccia di un amante invisibile ci lasciammo cadere fiduciosi nella vacua attesa.
«Sai Debora, vorrei smettere, soprattutto quando conosco donne come te, la cosa non mi fa sentire bene»
«Dai cazzo! Dovrei essere io a dire queste idiozie, non mi mandare in paranoia, pensa se tutti i clienti fossero come te, potrei chiudere bottega, mi tocca pure pagarti la birra!»
Ridemmo di gusto, non ce la facevamo proprio a rimanere seri, come alla fine del primo round ci prendemmo una pausa ordinando altre due birre. Ci sentimmo come nobili decaduti che guardano il mondo con il sufficiente distacco per non soffrire, ma che non sanno addolcire allo stesso modo i propri reconditi e amari dolori.
«Hai un progetto per il futuro? Cosa vuoi fare quando smetterai?»
Mi guardò turbata, forse era la domanda che le rimbalzava in testa più spesso, un chiodo fisso nella paura più grande.
«Non so, forse apro un bar, forse vado all’estero», mentre lo diceva non mi sembrava convinta per nessuna delle due opzioni.
«Perché non ci sposiamo?», disse guardando l’orologio.
«La più bella e sentita dichiarazione d’amore che un uomo possa ricevere! A proposito, che ore sono? Lo sai, non ti piaccio», dissi io ridendo.
«Come no? Sono qui con te adesso, perché ci starei secondo te?»
Cercai in fondo al bicchiere ancora un po’ di birra e una risposta che non fe male a entrambi: «Non so, credo di esserti simpatico, di farti ridere, tutto qui»
«E dici poco? Io sono pazza di te, tu sei solo pazzo»
«Sì è vero».
Smise di piovere e come d’incanto svanirono le nostre contraddizioni e le nostre complicazioni, Debora si alzò lentamente: «Forza, sarà meglio andare, vediamo di dare un senso a questa notte». Uscimmo e respirammo la buona aria ripulita dalla pioggia che a Milano è una rarità, le strade bagnate come specchi riflettevano le luci e le nostre inquietudini. Come treni, sfiorandosi nella notte condividemmo un pezzo di tragitto, ritornammo velocemente sulle nostre strade portandoci dentro le parole dell’altro. Guardai Debora ravvivarsi i capelli, era una femmena come dicono a Napoli, volendo indicare una donna che esprime una grande sensualità. L’orologio pubblico segnava le due e mezza, ingoiando disagio e desiderio restammo senza parole. Divenni triste pensando a quel momento ormai alla fine, mi diede un bacio come un caldo e vaporoso arrivederci.
«Sarà facile incontrarsi, no?»
«Sì Debora, lo sarà».
Elegia di un addio Tutti siamo costretti, per rendere sopportabile la realtà, a tenere viva in noi qualche piccola follia. Marcel Proust
Prima di perdere ogni fiducia nei miei simili, cercai di assecondare la liturgia che ti persuade alla normalità, nei labirinti della mente qualche bravo dottore troverà sempre una molla da aggiustare o un ingranaggio da ingrassare. La mia testa è sempre stata un simposio di contraddizioni e puerili ingenuità, dare spazio alla componente emotiva in mezzo a questo caos mi è sembrato naturale, ma il malessere e la cupezza sono cresciuti dietro i sorrisi, toccando il fondo spariscono i riferimenti e si butta il cuore oltre il muro sperando che qualcuno lo raccolga.
Dalla parete color salmone spuntava come un ricciolo scuro un piccolo chiodo, lui fissava me e io fissavo lui. «Buongiorno, le piace?» disse lo psicologo indicando il quadro sostenuto dal mio chiodo. «Eh? Ah sì, non ci crederà ma quando iniziai a dipingere ne feci una copia, Polifemo che spia Galatea dormiente è meraviglioso» «Lei cosa ci vede? Cioè, che sensazione le trasmette?» «Conoscendo il mito dovrei provare disprezzo per il ciclope ma invece credo che Redon voglia comunicarci l’impossibilità di essere amati, provo tenerezza e tristezza per il gigante» risposi io, pensando in realtà quanto fosse stato indelicato il dottore a non considerare il chiodo, almeno era originale, un comune chiodo ma almeno vero, il quadro no, solo l’imitazione dell’imitazione della realtà. «Non prova pena per Galatea e per il suo amante Aci, ucciso dal ciclope?»
«Nel dipinto Aci non è presente e poi era un bellissimo giovane, io odio i belli di nascita, come avrebbe potuto competere un gigante puzzone e con un occhio solo? Non provo nessuna pena, no» «Perché odia i belli?» «Io odio la bellezza, dalla bellezza non ci si può difendere» «Si spieghi meglio», fece lo psicologo come se si fosse seduto a teatro» «Chi nasce bello eredita un dono senza merito, un potere al quale nessuno può resistere, lei ci riesce? Vede, può non condividere la condotta di una persona, disprezzarne la mente stupida, biasimarne il carattere, ma se questa persona è bella, davvero bella, lei ne sarà irrimediabilmente attratta, fino a rovinarsi se è il caso» «Interessante, ma lei si considera bello? Oppure se non si considera tale, potrei pensare che la sua è solo invidia» «L’odio prescinde dalla mia condizione, se fossi bello mi sentirei in colpa, ma la bellezza non ha bisogno di approvazione, è assoluta, molte persone belle non si ritengono tali e vivono complessate, una beffa che si aggiunge alla beffa. Vede dottore, vorrei estenderle il concetto: quando la bellezza nasce assume vita propria, è indipendente e nello stesso tempo dirompente, nessuno può resisterle. Se lei guarderà un gol di Maradona o un dipinto di Caravaggio, un film di Kubrick o ascolterà una canzone di David Bowie, non penserà a drogati, assassini e schivi misantropi, ma sarà solo rapito in modo mistico dalla bellezza insita nell’opera, in un momento indefinibile a parole, lei, come tutti, sarà conquistato, la bellezza è potente come Dio» «Si senta libero, oggi vuol parlare di questo?» «No dottore, vorrei parlare della mia solitudine e del mio disadattamento» «Crede di essere disadattato e solo?» «Non so, forse in diverse misure lo siamo tutti, me la racconto così, mi definirei una persona che vive perennemente in uno stato di coscienza alterato»
«Al telefono mi ha detto che è disperato per la perdita di un’amica, ne vuole parlare?» «Sì, Silvia, la persona che mi conosce meglio, è sparita, mi ha abbandonato, tra l’altro asserendo il contrario, cioè che la stessi lasciando io, sono confuso e triste» «In ato mi ha raccontato della sua amica, lei si ricorda dei miei dubbi nei riguardi di Silvia?» «Sì dottore» «Ora, si sente male perché non c’è Silvia o per il dialogo che avevate instaurato? Riesce a distinguerne la differenza?» «Credo per entrambe le cose» «Ma ipoteticamente parlando, accetterebbe Silvia anche se questa non potesse più comunicare con lei?» «No, no, assolutamente» «Non le sembra singolare come risposta?» «Perché? Silvia per me era il confronto, l’uomo davanti allo specchio» «Parrebbe più importante il dialogo che Silvia e lei avete instaurato che la presenza e la vicinanza fisica» «Non so, non l’ho mai vista in questi termini, trascorrevano anche mesi senza che ci vedessimo ma quando ci incontravamo sembrava che il tempo non fosse ato» «Di Silvia lei ne parla sempre benissimo, quasi un’agiografia, c’è qualcosa che la disturbava di lei? Qualcosa che la irritava?» «Di lei no, nulla, mi dava solo fastidio quando parlava del mio hobby preferito, era sempre sarcastica» «Come hobby intende il fatto che frequenta abitualmente le prostitute?
Perché crede che fosse sarcastica?» «Sì, detestava il mio essere puttaniere, non lo faceva per giudicarmi, semplicemente mi disincentivava ad andarci, tentava in ogni modo di allontanarmi da quel mondo» «Lei frequenta ancora le prostitute? Voglio dire, Silvia è riuscita nel suo intento di farla desistere?» «Definitivamente no, il punto è questo, quando insisteva riusciva a tenermi lontano per lunghi periodi, questo mi spaventava e non la cercavo per molto tempo» «Lei è spaventato dalla possibilità di non andare più a prostitute?» «No, non dalla possibilità che possa succedere, ma da una decisione che io potrei prendere, in genere sono inamovibile, anche contro i miei interessi, se decidessi di non essere più puttaniere non tornerei indietro, questo mi spaventa» «Capisco, potremmo asserire che Silvia sia stata il suo occhio interiore?» «Sì certo» «Potremmo dire che Silvia simboleggia la parte migliore di lei? Crede che Silvia sia in molti aspetti o in assoluto migliore di lei? Come persona intendo» «Sì, sì, senza dubbio è una persona magnifica, migliore di me» «Potremmo dire che Silvia non esiste?» «Ahahahah … no, questo no, esiste eccome!» «Ne è sicuro? Ricorda dove e in che occasione vi siete conosciuti?» «No, glielo dissi, eravamo bambini, sono cose che si dimenticano» «Crede? Può chiamarla adesso? Così per un saluto veloce, la mette in vivavoce, usi il mio telefono»
«Assolutamente no! Io stimo e amo Silvia, ha fatto una scelta e intendo rispettarla! Dottore sta diventando sgradevole con queste domande, non crede?» «Va bene, non si alteri, non era mia intenzione provocarla. Ma non le sembra strano anche il modo in cui è andata via? Intendo, senza una motivazione, io credo che in realtà abbia ragione Silvia, è lei che l’ha mandata via, lei l’ha uccisa» «Ma no, non c’era ragione di mandarla via, mi faceva stare bene, e poi, che è questo gergo psichiatrico? Io non ho ucciso nessuno!» «Un possibile movente potrebbe essere stato la caparbietà di Silvia nell’allontanarla dalla prostituzione, adesso è libero di frequentare chi vuole, non ha nessuno che la chiama nel cuore della notte per sapere come è stato l’incontro» «Io riferivo degli incontri solo quando questi mi sconvolgevano l’esistenza, non è che raccontavo le mie avventure alla Giacomo Casanova maniera, dottore, se lo lasci dire ancora una volta, misuri con attenzione i termini, se usa ancora qualcosa come movente me ne vado!» «Appunto, Silvia era una parte di lei, la parte che voleva tagliare in modo definitivo con la prostituzione, Silvia interveniva per farla smettere, lei ha una forte tendenza all’autodistruzione, Silvia questo lo sapeva e ha cercato di fermarla più volte, non riuscendoci. Sembrerebbe un disturbo dissociativo dell'identità, se mi aiuterà, ne cercheremo insieme le cause» «Ma, ma dottore …» Mi alzai dalla poltrona e me ne andai senza salutare. Vagai per ore senza una meta, cercai risposte nelle facce di plastica che incrociavo, sbandando paurosamente persi l’equilibrio. La mia vita stava rotolando come una piccola moneta quando cade per terra, non importava dove sarebbe finita né se si fosse fermata su testa o croce, rotolava e basta. Inutili consigli riecheggiarono nella mio cervello, esplosero tutti i tentativi falliti, vomitai acqua e bile, sputando sul muro l’ultimo muco agganciai la mente alle nuvole facendola volare via, mi addormentai sorridendo su di un lercio marciapiede.
Fluttuando sull’esistenza
A volte vorrei che la vita fosse lunga e piena di significato, sezionata e spiegata, fuggita via dal tempo che scorre, struggente e malinconica al momento in cui succedono le cose e non dopo, vorrei che fosse come ne Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Vorrei correre via da qui, inerme e deluso ripenso a tutte le cose buone che mi ha donato la città. Nei lontani ricordi di bambino cerco le fredde nebbie e gli odori forti uscire dai cortili popolari. Le infinite partitelle a pallone riemergono daframmentate rovine, sguardi intensi regalati e ricevuti, ombre dal ato le gambe delle donne che ottengono la mia viva attenzione. eggio di notte alla ricerca dei miei luoghi, sono ancora lì e sono cambiati poco, ma è come guardare una donna amata in ato, si cerca il perché di tanto amore, purtroppo significa perdersi nell’illusione di credere che possa ritornare tutto come prima. Girando tra i corsi e le vuote stradine osservo i turisti calpestare distrattamente i miei poveri sogni, mangio voracemente porzioni d’aria, negli occhi la paura dell’oblio e la voglia dei vecchi sapori. Evocative musiche risuonano da improvvisati cabaret all’aperto, gioie che mi appartengono ma solo da spettatore ormai, le rughe dell’anima non mi abbandoneranno mai. Strappo un sorriso a un bambino mentre condividiamo un goloso gelato, quanta vita che è trascorsa con troppi, troppi pochi grazie. Un tram sferraglia la mia mente richiamandomi al presente, rivedo tutte le mie amiche che per pochi spiccioli hanno allontanato la solitudine e l’alienazione dalla mia fragile esistenza, comincio a capire come è inutile
soffrire, tormentarsi solo per il male che il mondo ci obbliga a vivere non è giusto.
Milano non è più fredda e all’improvviso, è una terra straniera, una città aperta, il luogo di un ato che non tornerà mai più. Quanta vita scritta sul filo della follia, strani amori e storie perse credendo di stare bene, inutile farneticare sui propri fallimenti e perdersi in congetture, ho avuto pagine bianche a disposizione su cui scrivere, ho deciso di farlo a modo mio. Ho amato le donne in ogni misura e in ogni modo, ho imparato che nel mondo delle puttane tutto ritorna al punto di partenza, conservo l’illusione di fare nuove scoperte e nuovi corpi da amare, ma mi rendo conto che è solo un girare a vuoto senza una destinazione. Si comincia con qualcosa di puro e innocente, crescendo gli errori sono inevitabili, i desideri di bambino lasciano spazio ai compromessi, lentamente cadono i sogni e le illusioni; l’uomo di oggi è alla fine del viaggio. Con malinconica nostalgia, penso a un bimbo dai grandi occhi con il nasino schiacciato sulla vetrina del giocattolaio che guarda rapito un trenino rosso girare in tondo; forse, il punto più alto della felicità è un trenino che non porta da nessuna parte.
Fine
CAPITOLI Introduzione Caramelle ciucciate e ginocchia sbucciate Trent’anni prima
Adolescenza inquieta
I conti della serva
L’annuncio cartaceo, il gettone e la cabina telefonica
Silvia lo deve sapere
Incidenti di percorso Fratture miste Lilly contro la peste del secolo Amor, ch'a nullo amato amar perdona
Primo tentativofallito! L’igienista mentale Charlotte Se mi succhi non vale Il circo Barnum e il fenomeno da baraccone: l’euro Nicchie di umanità La donna cannone Il piccolo popolo
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Dolce veleno Il puttanismo sociale e Frine Fotografie in bianco e nero BDSM e frattaglie ( Piss and love) Brigita e la nave dei folli
La fabbrica del male Fiori d’acciaio Città vuota Luci nella notte alla fine del viaggio Elegia di un addio Fluttuando sull’esistenza Fine