I Racconti Di Una Vita Vissuta 1ve2y

Antonio Bonelli

Racconti di una vita vissuta

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Indice dei contenuti

MIEI COMPAGNI DÌ VIAGGIO

Nel mio immaginario ho sempre paragonato la vita ad un lungo viaggio su un treno ma senza sapere dove mi condurrà né quanto tempo durerà, né chi incontrerò ad ogni salita, né chi perderò ad ogni fermata. .I miei primi compagni di viaggio sono loro, i miei genitori che mi hanno fatto salire su quel treno, hanno fatto un lungo tragitto insieme a me per poi scendere alla loro ultima fermata, lasciandomi continuare il percorso da solo. Man mano che il treno avanza, altre persone salgono, alcune lasciano pochi ricordi, altre invece diventano importanti, anche se ancora non lo so, sono i miei amici, i miei fratelli, i miei amori e i miei figli, persone meravigliose che ho imparato ad amare. Sono sempre stato una persona chiusa che ama starsene in serafica solitudine, mi piace scrivere le emozioni che provo di qualunque natura, esse siano ed esse diventano per me delle raffinate riflessioni e racconti degni d’essere letti. I veicoli più immediati per raggiungere questo mondo vagheggiato sono il pensiero e la fantasia in tutte le sue eccezioni ed espressioni. Nello scrivere riesco a mettere a fuoco tutto quanto e rievocare fatti del ato chiusi nel cassetto della mia memoria. Quando le ombre della sera si uniscono a quelle della notte, quando il silenzio occupa il posto del trambusto del giorno, solo allora riesco a rievocare e ridare forma a tutte le care creature della mia fantasia e della mia realtà. Sono i volti dei veri protagonisti dei miei racconti, quelli che amano, odiano, soffrono e quelli che cercano un po’ di solitudine Tutti nella stessa dimensione: i buoni, i cattivi, i vivi e gli scomparsi e i loro visi si mostrano pronti a sfilare sulla erella della mia mente. Quando scrivo, non mi sento mai solo, con me ho i vari personaggi nati dai miei racconti, i quali mi parlano e mi accompagnano tenendomi compagnia senza

nulla chiedere in cambio. Nel descriverli riesco a farli rivivere e con loro riesco a concedermi anche il potere dell’ubiquità. Li rendo protagonisti di una vita doviziosa vissuta nel paese del Bengodi, luogo dove esiste abbondanza per ogni cosa, dove tutto diventa una favola e i desideri, una realtà e li conduco sulla Costa Azzurra, in un meraviglioso giorno di settembre. Ha piovuto sul Principato e al confine fra terra e mare s’intravede fra le nuvole un tiepido sole che si rispecchia sul mare, rivelando la sua presenza. C’è uno strano profumo d’estate nell’aria, un leggero vento di maestrale soffia dal mare portando con sé un profumo di salmastro e resina di pino, particolari aromi presenti nei luoghi marittimi. I turisti iniziano ad affollare il Principato annunciando con la loro presenza l’esordio dell’estate monegasca. Gli alberghi della città e della costa sono affollati, non c’è più posto nei parcheggi, occupati in gran parte da limousine e macchine di grossa cilindrata. Non sono alberghi qualsiasi ma simboli di lusso e di eleganza capaci di far sognare migliaia di persone in tutto il mondo. Sono i ritrovi preferiti di persone d’alto lignaggio, da esponenti dell’alta finanza e da piccoli e grandi imprenditori, dove una notte con prima colazione nelle loro suite costa cifre da capogiro. Donne bellissime camminano sulla promenade come se sfilassero su una erella d’alta moda, mettendo in mostra con il loro imprinting appariscente la loro fisicità, indossando abiti e scarpe griffate dei più grandi stilisti di moda, cercando con le loro armi di seduzione d’essere notate e catapultate sulla erella della notorietà. Nel mio racconto, descrivo l’incontro fra un uomo e una donna, costruendo per loro una vita particolare, fatta di risvegli incerti e di lunghe notti abbracciati a studiare la loro pelle e sentirne il suo profumo. E’incredibile come la mente umana si possa trasformare nel più fantasioso degli sceneggiatori e quello che sentiamo ha un significato più profondo di quello che ci appare.

***** Mia madre era lì, davanti a tutti. La stavo rivedendo dopo diversi anni dalla sua scomparsa una sera di Settembre. Anche io stavo attraversando quel tunnel che dalla vita porta oltre la vita. Ero tranquillo, una strana sensazione di pace si era impossessata del mio essere, avevo l’animo sereno percorrendo la via delle tenebre dove al termine si presentava una luce intensa. Ero lieto, mio unico desiderio era raggiungerla al più presto; a un tratto un forte bagliore illuminò il mio cammino. Vidi mia madre su una barella, la stessa nella quale in ospedale la vidi per l’ultima volta. Mi bloccava il percorso, cercavo di proseguire ma da lei ero completamente precluso, negandomi la possibilità di raggiungere quella luce. Mi ritrovai di nuovo al punto di partenza. Ero uscito dal coma; il medico mi disse che avevo subìto un brutto infarto ed era stato un vero miracolo averlo superato. Solo allora mi resi conto che con quel gesto mia madre voleva dimostrarmi tutto l’amore che non era riuscito a donarmi nel periodo della mia infanzia. Nel darmi per la seconda volta la vita ha fatto in modo che la potessi vivere nel suo ricordo, non più nel dolore, ma con tutto il suo amore. C’è una donna, moglie e madre, la quale ha vissuto due importanti periodi della sua vita con tanto amore e immenso dolore per l’abbandono del suo sposo e la perdita di una figlia in giovane età dovuta a una fanatica follia. Solo chi come lei è affondata negli inferi di un immenso dolore può comprendere com’è complesso essere umani e provare pietà per tutte le creature viventi che soffrono. Nel descrivere le sofferenze e il modo di comportarsi di questa magnifica donnaho compreso queste parole molto significative:

“Quando cesserai di voler riempire la tua coppa di felicità e riuscirai a capire di iniziare a riempire con il tuo amore quella degli altri, allora con meraviglia scoprirai che la tua sarà sempre più colma”. Tra loro c’è Giulia una donna dal fascino conturbante, ha occhi azzurri color del mare e capelli biondi raccolti da una piccola coda di cavallo. E’ una donna sicura e decisa, la sua bellezza sta nel trasmettere la sua determinazione, nel curare il suo aspetto e il suo fisico. Ama colorare le labbra con un rosa tenue e truccare gli occhi con un lieve velo d’ombretto celeste. Indossa un vestito bianco scollato che fascia tutto il corpo. Il seno s’indovina libero da ogni impedimento, sa come catalizzare l’attenzione di chi la guarda. Mi appare Laura con i suoi capelli castani e occhi verdi. La sua fronte arrotondata domina il suo bel viso, il suo portamento la rende ancor più affascinante. E’ una figura esile ma fiera allo stesso tempo, signorile nel suo porsi apparendo in tutto il suo artificioso splendore; ha mani affusolate di gran bellezza decorate da un anello di brillante River, sembra una persona uscita da una copertina della Belle Epoque. Alessio la guarda con insistenza, è rimasto affascinato dalle sue labbra, intravede in lei un certo disagio nel sostenere il suo sguardo, cerca con espedienti vari di evitarlo ma con scarso risultato. E’ come attratto da una calamita che lo spinge verso quella magnifica opera d’arte, è consapevole d’essere invadente ma è più forte di lui, non riesce a staccare lo sguardo da lei. Laura fa di tutto per sfuggire da quella scorsa penetrante, ma quando Alessio non la guarda è lei che la cerca. Stefano si sente toccare su una spalla, si volta e in un misto di bellezza appare Ester in tutto il suo fascino, fasciata da un abito bianco che disegna un fisico perfetto.

I suoi capelli sono raccolti all’indietro e un trucco appena evidenziato fa risaltare il suo viso ovale, le unghie delle mani sono rigorosamente rosse, dando maggior rilievo alle sue lunghe dita affusolate. Con un meraviglioso sorriso gli chiede: “Puoi offrire da bere a una donna sola"? Stefano sconcertato da quella splendida visione chiama la cameriera e ordina per Ester un Gran Manie, consumazione ordinata per lei in un tempo lontano. Si guardano a lungo negli occhi e capiscono di non essersi mai lasciati e si amano più di prima, mentre la dolce melodia della loro canzone preferita aleggia nell’aria suggellando con un bacio il loro ritrovato amore. Sento uno strano profumo nell’aria molto familiare. Mi giro e vedo Giulia, mi guarda con occhi pieni di rancore e di sofferenza, mi fissa in un silenzio assordante che parla più di mille parole. Parla di tutte le verità di una storia ritornata dal ato, con le sue gioie e i suoi dolori. Mi sembra di ripetere lo stesso copione di un tempo lontano, per me difficile da dimenticare. Mi sfilano davanti sorridendomi Giacomo ed Elena due ragazzi di sessant’anni ma con il cuore di venti. Sono due esseri perfetti, che si sono innamorati pur avendo due realtà diverse, ma hanno bisogno uno dell’altro come l’aria che respirano. Giacomo è un uomo affascinante. In lui le donne trovano la considerazione, la gentilezza e il rispetto, tre grandi valori persi nel tempo e con le sue parole altisonanti sa toccare i loro cuori. Elena ha capelli castani e occhi neri, il suo fascino lo si può paragonare a magnifici fiori nati tra gli anfratti di alcune rocce che pochi possono vedere, che possono cogliere e capire che sono come la sua vita, un esempio meraviglioso da seguire. *****

Dietro di loro vi sono Eleonora e Matteo in un piano bar Eleonora illumina l’enorme salone con il suo splendore e con il suo fascino mette in risalto la bellezza di quella sala. Ha la testa lievemente piegata verso Matteo per osservarlo meglio, i suoi enormi occhi verdi sembrano diventare più grandi mentre lo ascolta. Lei gli sorride, Matteo con altrettanto sorriso d’intesa alza verso di lei il suo calice di champagne come a voler rendere omaggio al suo fascino Tra loro sta nascendo una un’empatia speciale. Vedo, mano nella mano, Mario e Marta, padre e figlia, mentre il tramonto scende sui campi e sulle case innevate, i due rimangono seduti davanti al caminetto a conversare a tratti tra di loro. Ma soprattutto sento il sibilo del vento che sembra aumentare sempre più forte, come se, spinto da una causa sconosciuta volesse partecipare con la sua voce al loro dolore. Si guardano a lungo negli occhi mentre si uniscono in un interminabile abbraccio, sentono i loro cuori palpitare mentre si parlano di un amore mai finito. E come la bruma del mattino che si era alzata per dividerli, così la nebbia della sera si alzava per proteggere il loro ritrovato amore. Arrivano sorridendo Sara e Lorenzo. Un giorno lui si sente chiamare e con il cuore in gola si volta; è lei che dalla finestra lo saluta. Lorenzo si ferma, Sara gli corre incontro e lo abbraccia, si guardano a lungo, tra loro non c’è bisogno di parole, sono gli stessi occhi a parlare per loro. E in un lungo apionato bacio suggellano un grande amore mai dimenticato e ritrovato nel tempo. Si ritrovano a eggiare su quella spiaggia, mentre per mano si avviano verso il sorgere del sole, ritrovando nei loro baci le sensazioni e il sapore del primo bacio. Mentre ripercorrono i momenti più dolci della loro storia, amabili note di

settembre more, provenienti da un vicino capanno di pesca aleggiano nell’aria avvolgendo i loro pensieri. Per ultimo tra i monti in un’oasi di pace e di silenzio in una baita abita Ottavio un vecchio montanaro dal volto segnato dal tempo e dal sole, dopo la morte di sua moglie vive da solo con il suo inseparabile cane Boldo. Gli piace quel mondo di pace e di silenzio perché gli dà la possibilità di vivere in quel miracolo della natura e nell’evolversi delle sue stagioni. Dietro di lui vedo nuovi volti che vorrebbero unirsi in questa fantastica avventura e il viaggio continua…. Tutto ciò è dovuto alla mia fantasia che svanisce alle prime luci dell’alba fissandomi l’appuntamento per la notte successiva. Il sogno e la fantasia hanno il potere di portarmi fuori dalla mia realtà e farmi vivere momenti sublimi dentro le mie aspirazioni e desideri e in ognuno di questi nei miei compagni di viaggio c’è una parte di me. Il futuro è di quelle persone che credono nella bellezza dei propri sogni e chi non crede è destinato a vivere nella sua eterna solitudine. Sono partito senza sapere la meta, consapevole che la strada percorsa mi avrebbe portato lontano, facendomi lasciare le certezze e stabilità accumulate nel corso di una vita. La consapevolezza d’inseguire lo stesso un sogno e scoprire giorno dopo giorno che fra la strada percorsa e la meta tanto ambita non c’era differenza-.

I L VECCHIO E LA MONTAGNA**

ano gli anni, sfilano le stagioni, le prime nevi vestono i monti con il loro candore, poi si trasformano in una fanghiglia giallastra, pian piano si sciolgono al calore del primo tiepido sole e minuscoli fiori spuntano per avvisare il risveglio della primavera e ogni cosa rivive, poi arriva l’estate in un’esplosione

di colori e profumi e di nuovo l’autunno, i monti si preparano al riposo, nell’abbraccio dell’inverno, in attesa di ridestarsi. E il ciclo della vita riprende, senza mai cessare, senza mai mutare. Nell’imponente catena montuosa circondata da ghiacciai solcati da profondi crepacci, affiancati da una frangia di creste minori, s’ergeva il curioso profilo di un monte che si presentava come un’ardita piramide di granito, alzandosi verso il cielo, quasi a volerlo sfiorare. A questo scenario di stagioni che s’inseguono, di vallate che mutano ad ogni cambiamento climatico, s’intreccia la vita di un vecchio montanaro. Sopra un pianoro luminoso, fra ridenti boschi di larici e prati in fiore, sorgeva un casolare in pietra e legno, disposto su due piani il cui tetto era coperto da vecchie lose. In quell’oasi di pace e di silenzio vi abitava Ottavio, un vecchio montanaro dal volto segnato dal tempo e dal sole, discendente da un’antica famiglia della zona. Ottavio era sempre vestito allo stesso modo, con un gilèt in lana rattoppato ed una vecchia giacca di velluto marrone, ormai sgualcito dall’uso e dal tempo. Era nato in quella casa tanti anni prima, anche lui come i monti di quella vallata, aveva visto are stagioni dopo, dopo Era una casa graziosa, un cespuglio di rododendri cresceva di fianco alla porta d’ingresso, dove fiori di lillà facevano da cornice al suo porticato. All’interno, la casa si presentava con un soggiorno illuminato da una finestra con la vista sulla radura seminata a granturco e fieno. Nella parete che divedeva la stalla dall’abitazione c’era un caminetto in pietra sempre , dove crepitavano pezzi di legno di pino che con il loro profumo misto di resina e legno bruciato riempiva tutta la casa. Appeso al muro, un vecchio pendolo scandiva con il suo battito il are del tempo. Una scala cigolante in legno portava al piano superiore. Nella stanza da letto illuminata da una finestra, che guardava la montagna e la vallata sottostante. Al

piano terreno vi era una cucina rimodernata, a ridosso di una parete una cassapanca girava su due lati di una tavola rettangolare di legno. Dopo la morte di sua moglie, viveva da solo con il suo inseparabile cane Boldo, dedicando ogni sua energia alla raccolta di erbe mediche ed allo studio delle proprietà terapeutiche. Gli piaceva quel mondo di silenzio e di pace che gli dava la possibilità di vivere in quel miracolo della natura e nell’evolversi delle sue .stagioni. Al riparo della casa vi era una piccola stalla con fienile ricovero di due Mucche, una mula e due caprette. Ottavio aveva cura dei suoi animali, erano tutta la sua famiglia, parlava a loro come fossero stati i suoi figli, ad ognuno di loro aveva dato un nome; Neve e Nebbia per le due caprette, Mia e Bice per le mucche ma aveva una predilezione per Gilda, la vecchia mula dal manto scuro, dai garretti robusti e dagli occhi intelligenti. Per lui era una compagna inseparabile, lo aiutava nelle sue fatiche giornaliere nel carico del legname e nel trasporto dei suoi prodotti in paese. In un piccolo prato vi era un orto coltivato a patate e vari ortaggi dove un albero di melo faceva da riparo a diverse arnie avvolte da una a quantità di api che ronzavano capricciosamente sull’erba profumata. Ottavio era un uomo semplice, si accontentava di quello che il suo campo gli dava e del ricavato dei prodotti che la montagna e i suoi animali gli concedevano. A lui non serviva altro, la sua ricchezza era racchiusa dentro di se perché era un uomo felice. La baita era fiancheggiata da un sentiero che portava ad ampi declivi erbosi interrotti da cespugli di rododendri, un ponticello di legno attraversava un torrente che saltellando scorreva a valle; quel sentiero era il collegamento con un piccolo paese rannicchiato su un bassopiano di prati e folti boschi. Nella bella stagione Ottavio scendeva regolarmente una volta alla settimana in paese con Gilda carica di ortaggi, miele e formaggi per venderli e fare acquisti necessari per le sue esigenze e con Boldo, il suo fedele amico a quattro zampe.

Furono proprio loro due a dimostrargli quanto attaccamento avevano per lui. Aveva finito il giro settimanale presso l’osteria del paese, aveva venduto e comprato quello che gli serviva, il resto del guadagno messo in tasca e dopo aver riposto ciò che restava nelle due ceste, le caricò sul dorso della mula e riprese il suo cammino verso casa. Era una bella giornata di maggio, il verde tenue dei carpini, dei faggi e quello più scuro dei larici tappezzava la vallata sino sotto la cresta del monte, dove le ultime chiazze di neve si scioglievano al sole, mentre un’arietta fresca spirava dal monte. Mentre camminava al fianco di Gilda e Boldo, pensando che la giornata era stata proficua e soddisfacente, si sentiva sereno alla vista di così tanta bellezza. Era assorto nei suoi bei pensieri, quando all’improvviso gli si pararono davanti due loschi individui che, brandendo due robusti bastoni, non lasciavano dubbi sulle loro vere intenzioni. Li aveva notati poco prima davanti all’osteria che con fare guardingo lo stavano osservando con una certa insistenza ma lui ci fece poco caso. I due manigoldi si erano piazzati di fronte all’osteria e seguivano, o dopo o, tutti i movimenti di Ottavio e avevano notato che si era appena messo nella tasca della giacca, il mucchietto di banconote, un bel bottino su cui mettere le mani per una bevuta in onore di quel vecchio e decrepito montanaro, ma non avevano preso in seria considerazione le due bestie che erano al suo fianco, credendo di poter vincere. Boldo balzò su uno di loro mordendogli una gamba mentre Gilda iniziò, con le zampe posteriori, a scalciare a destra e a sinistra verso l’altro menando calci con tutta la forza di cui disponeva. Finché i due, scossi da quella granicola di calci e morsi e sorpresi da così tanta tenacia, si diedero alla fuga. Ottavio, dopo essersi ripreso da quell’assalto imprevisto, con un sorriso baciò sul muso Gilda e Boldo come forma di riconoscenza, e ripresero a inerpicarsi sulla mulattiera verso casa.

Al rientro, quella sera, al sicuro nella sua casa, Ottavio si rifocillò con una tazza di latte appena munta da Mia e ringraziò Gilda con una razione doppia di fieno e Boldo con un grosso osso da spolpare. Stanco e riconoscente, si mise sul letto, pensando che in fondo, quella giornata non era stata poi così male. Aveva avuto la conferma che non era solo e che i suoi animali amavano lui tanto quanto lui amava loro. La vita di Ottavio scorre, senza altri scossoni, lenta come quella delle sue montagne. L’estate lascia di nuovo il posto all’autunno che riempie di nuovo i boschi di profumi intensi. Questo era il periodo più propizio per la raccolta delle erbe mediche cui Ottavio dedicava gran parte del suo tempo. Sovente nelle sue ricerche si portava con sé Boldo perché. gli fe compagnia; si sa che gli animali sono i migliori amici dell’uomo e lui ne aveva avuto la conferma mesi prima. L’autunno, con le sue nebbie e le sue piogge, i boschi che sì stendevano sull’enorme vallata erano colpiti dai colori autunnali mentre un vento impetuoso strappava loro le foglie sollevandole come piume, per poi gettarle a mucchi ai piedi delle rocce. Ottavio osservava i piccoli animali che lasciavano i loro nidi attaccati all’incrocio di forti rami, partendo verso climi più caldi abbandonando gli alberi spogli, levandosi in volo contro le grigie nubi che si rincorrevano nel cielo ando accanto a lui come a un amico senza alcun timore, gridando nel loro segreto linguaggio il loro saluto. Dalle montagne si sollevò un forte vento, portando con sé minacciose nuvole nere, la vallata fu avvolta da una leggera pioggia che lambiva con dolcezza i tetti delle case e le pinete che circondavano quei paesini sperduti, sollevando un? intenso profumo nell’aria, un misto di terra ed erba bagnata che si univa a una fragranza di resina d’abete e di muschio. Il paesaggio era avvolto da un silenzio solenne, solo il suo continuo tintinnio rompeva quella pace. Queste erano le giornate che annunciavano l’arrivo dell’inverno. I primi fiocchi di neve incominciavano a cadere. Dal cielo grigio sottili spiragli di luce s’insinuavano sottovoce su quel mondo che si stava assopendo, il silenzio dell’inverno scendeva sulla vallata, era l’unico

interprete di quella rappresentazione. Gli animali del bosco cercavano un riparo, gli scoiattoli si apprestavano ad ultimare la loro scorta di cibo, mentre altri si organizzavano per il lungo letargo. La neve cadeva insistente da molti giorni, le montagne erano coperte da un manto bianco; per Ottavio quel paesaggio pieno di neve aveva un’attrattiva particolare, gli suscitava una comunione tra terra e cielo. I pianori erano spariti sotto la sua coltre che aveva imbiancato le cime degli alberi, piegando i loro rami sotto il suo peso. Si distinguevano i fiocchi che sempre più fitti cadevano sulla vallata e si perdevano dietro ai comignoli delle case. Sembrava che la purezza della neve coprisse tutte le disarmonie della vita ma non la tristezza e l’eterna solitudine di Ottavio che si faceva sentire insistente fra quelle quattro mura irrigidite dal freddo gelido. Il mattino lo ava i ad accudire agli animali e ad impacchettare i frutti del suo lavoro che poi avrebbe venduto. Dopo aver pranzato, davanti al fuoco del camino ava ore a leggere vecchi libri che parlavano delle erbe e delle loro proprietà e ad ascoltare tutto ciò che l’altoparlante della sua piccola radio trasmetteva. Soffermandosi sui canali che, con la loro musica, riempivano il silenzio della casa, rotto solo dal crepitio del fuoco, mentre Boldo accovacciato ai suoi piedi, dormiva con serenità illuminato dal chiarore delle fiamme che la legna sprigionava. La sera, Ottavio usciva per andare nella stalla a dare da mangiare ai suoi animali e dopo essersi assicurato che le grupie fossero piene, salutava una ad una le sue care creature, chiudeva la stalla e rientrava nel tepore della sua baita Una sera, rientrando verso casa, alzò lo sguardo verso la cima tronca della maestosa piramide di roccia e vide che era nascosta da un mare di nebbia che si perdeva lungo il profilo degli altri monti già imbiancati dalla prima neve. Osservò a lungo la foschia che indugiava intorno alle cime che cadeva lentamente come un pesante vapore sulla valle e si sentì avvolgere anch’esso da quella coltre nebulosa.

La notte era fredda solo poche stelle coraggiose mostravano il viso. Ottavio fu invaso da un brivido di freddo, si strinse nel suo lungo mantello e rientrò. Chiuse tutte le finestre, tirò il catenaccio della porta, alimentò il fuoco che stava per spegnersi, cenò con un pasto frugale e salì in camera. Nel letto, mentre osservava il lento dondolare della fiammella della lampada a olio appesa al soffitto, si mise a pensare a quel brutto tempo che non prospettava nulla di buono, cadendo lentamente in un sonno inquieto. Al mattino Ottavio fu svegliato da un forte sibilo di vento, scivolò lentamente fuori dal letto, andò alla finestra e guardò il suo monte come faceva ogni mattina. Sulla sua cima si erano ammassate grosse nuvole nere. Quel vento forte e gelido annunciava l’arrivo di una tormenta. La neve cominciò a vorticare nella vallata e intorno alla piccola baita, mentre forti folate d’aria fischiavano tra i rami degli alberi. Quella tormenta improvvisa aveva colto di sorpresa Ottavio che si trovò impreparato ad affrontarla. Scese in cucina, s’inginocchiò davanti al caminetto e iniziò ad attizzare il fuoco che ben presto lo avrebbe riscaldato. Si avvolse nel suo mantello e, tra le folate di vento che gli tagliavano il volto uscì, per andare dai suoi animali. Aprì la porta che dava sulla stalla, controllò che le greppie dei suoi animali fossero fornite di fieno e si assicurò nuovamente che le porte fossero ben chiuse, cercando di renderle più sicure da quella violenza. La bufera durò per cinque lunghi giorni; i venti si erano calmati ma la neve continuava a cadere sempre più fitta, dominando tutto ciò che trovava con il suo candore. Era stato un inverno lungo e gelido, tutta la vallata si era assopita sotto quei cumuli bianchi di neve, in attesa che arrivasse il momento del risveglio. E il risveglio, come per incanto arrivò. Finalmente un tiepido sole iniziò a illuminare tutta la vallata. La neve smise di scendere e ricoprire i monti e l’inverno lasciò il posto alla primavera che per

Ottavio segnava l’inizio di una nuova speranza. Dalle nuvole fece capolino un tiepido sole che filtrava tra le fronde degli alberi, riscaldando quella natura che per molto tempo era stata sottoposta al gelo invernale. Il pendio riviveva al soffio della primavera, i giovani germogli respiravano la fine aria della montagna in mezzo alla neve che si stava sciogliendo, gli alberi stendevano i loro rami e si scuotevano da dosso il bianco mantello invernale. La natura incominciava a risvegliarsi con i suoi veri colori, gli uccellini ritornavano a cinguettare, gli animali del bosco ripresero a far sentire la loro presenza come se volessero ringraziare quel sole che tornava a scaldarli. Ottavio, risollevato dalla dolce e fresca aria primaverile che risvegliava anche il suo cuore, assopito e triste per tutto il periodo invernale, si accomodò su un grosso masso che dominava la vallata e con lo sguardo abbracciò, con tutta la tenerezza che sentiva sgorgare da quel cuore riconoscente, l’ampio panorama che si presentava. Finalmente poteva ritornare a camminare per quei monti tanto amati e respirare l’aria fresca a pieni polmoni, sempre in compagnia del suo inseparabile Boldo. Un giorno decise di portarsi anche Gilda; voleva andare alla ricerca delle erbe mediche che avrebbe rivenduto all’osteria del paese, le sue erbe curative riscontravano un certo interesse e lui era l’unico che le conosceva a menadito, gli chiedevano consigli che lui prontamente dava. Sapeva quali erano i posti migliori per la sua ricerca che dopo anni aveva imparato a conoscerli e sapeva che Gilda sarebbe stata un valido aiuto per portare a valle le ceste ricolme. Doveva arrivare ai piedi di una montagna dove, non lontano si trovava un piccolo lago, che, quando le sue acque venivano baciate dal sole scintillavano come un diamante. Offrendo uno spettacolo meraviglioso, per poi continuare a salire fin sopra a un pianoro circondato da una splendente catena di ghiacciai con gole profonde e strette che li solcavano dei quali Ottavio non ne conosceva il nome.

Dopo essersi riposato, riprese il cammino verso la sua meta staccandosi a stento da quella vista ineffabile che lasciava dietro di se. Arrivò ai piedi della montagna raccolse tutto ciò che gli serviva e dopo aver terminato le sue ricerche, si accorse che quel giorno si era fermato più del solito. Era ormai giunto il momento del rientro, Mia, Bice, Neve e Nebbia lo stavano aspettando per la razione serale di fieno e lui non poteva lasciarle sole, anche se, quella vista così incantevole lo inchiodava al suolo. Chiamò Boldo che nel frattempo stava incalzando alcuni caprioli sfidandoli nel salto degli ostacoli e si avviarono verso la valle. Strisce di sole lambivano sopra i piccoli ghiacciai e dalle chiazze di neve spuntavano i primi bucaneve, ovunque fiori profumati con infinite gradazioni di colori facevano da cornice a quel paesaggio. Scendeva la sera e gli ultimi raggi di un sole morente tingevano di porpora le cime delle montagne coprendo con il suo crepuscolo la vallata. Era uno dei momenti della giornata che preferiva, quando vedeva il sole precipitarsi sfavillando con le sue folgori iridescenti sulle vallate e sulle montagne che si preparavano al sonno della notte e verso Il silenzio e gli alberi e i casolari sì. Profilavano nereggiando nel cielo crepuscolare del tramonto. Nella primavera inoltrata, a cavallo con l’arrivo dell’estate, gli alpeggi, che in tutto il periodo invernale, erano stati un’oasi. Di pace e di silenzio, iniziavano a popolarsi di pastori con i loro armenti di mucche che pascolavano a centinaia sopra ai prati Dai camini delle grange, pennacchi di fumo si alzavano verso il cielo come segnale di nuove presenze. Il mondo severo dei ghiacciai e del silenzio era spezzato dai loro campanacci, dai richiami dei pastori e dall’abbaiare furioso dei cani che risuonavano su tutta la vallata. Anche lui poteva finalmente lasciar pascolare le sue care mucche e le due caprette.

Un giorno mentre si trovava a raccogliere legna per l’inverno, fu attratto dall’abbaiare continuo di Boldo verso un piccolo strapiombo. Quando fu vicino, sentì un belato, si avvicinò sul ciglio del burrone, guardò verso il fondo e vide Nebbia, la sua capra. L’animale si trovava in precario equilibrio vicino a un cespuglio di rovi arricchito da succulente foglioline, dove vi era un ripidissimo pendio che si affacciava verso il fondo del burrone. Ottavio prese una corda dal basto di Gilda, la legò alla sella e scese con cautela raggiungendo l’animale, lo prese per le zampe e lo portò su per il pendio aiutato da Gilda, mentre Nebbia, con la lingua gli lambiva le mani, come a volerlo ringraziare di averla salvata. Le stagioni si susseguivano a ciclo continuo, finiva la primavera, arrivava l’estate, poi l’autunno e di nuovo l’inverno, portando con sé emozioni e avvenimenti, tutti impressi nella memoria di quel vecchio montanaro che aveva ato tutta la sua vita e ancora doveva, a Dio piacendo, viverne, raccontando le sue avventure a chi gli chiedeva come riusciva a stare da solo in mezzo alla vastità di quella valle, così popolata nelle stagioni buone e così desolata nelle stagioni fredde e lui diceva sempre, che viveva per la sua baita, i suoi animali, per le montagne e nella semplicità con la quale affrontava quotidianamente i suoi giorni. Niente avrebbe potuto rovinare quell’incantesimo fatto di cose semplici e amore, tanto amore per la sua montagna che gli suscitava nel cuore il senso dell’infinito.

MIA MADRE

Spesso mi ritrovo a richiamare una pagina dolente della mia vita e rivivo con amarezza alcuni suoi ricordi. Quanti giorni e quante notti ate cercando di scacciali dalla mia mente senza riuscirci. Vorrei dimenticarle perché sono state scritte con sofferenza farne piazza pulita mi aiuterebbe a voltare pagina; ma poi mi accorgo che per poterlo fare, prima devo catalogarle tutte, per metterle nell’archivio della mia memoria.

Io e mia sorella ci portiamo dentro il tormento di un’infanzia non felice, difficile da dimenticare, con il consapevole dolore di non essere mai stati amati dai nostri genitori. Eravamo come due cuccioli abbandonati a se stessi, bisognosi di quel calore che solo il loro amore poteva generare. Ricordo ancora adesso, quanto eravamo soli e quanto avevamo bisogno di sentire quell’amore e quella protezione che non abbiamo mai avuto. Non potevamo vivere con serenità la nostra infanzia, eravamo costretti a vivere come due persone adulte dentro due corpi da bambini. A noi spettava fare i lavori di casa e mentre avamo le nostre giornate rinchiusi in quelle quattro mura a fare quello che i grandi non erano in grado di fare. Il nostro udito correva verso le grida festose dei nostri compagni che giungevano dal cortile sottostante, coprendo con le loro risate i rumori del giorno. Io e mia sorella ci sentivamo d’essere parte di un gruppo veramente nostro, ci facevamo forza l’un l’altro e ci abbracciavamo per sentire il calore dei nostri corpi di bambini, desiderosi dell’abbraccio degli adulti che ci mancavano moltissimo. La vita a volte è spietata e non guarda in faccia nessuno, tutto questo perché nostra madre, poverina, era soggiogata dalla volontà di nostro padre. Chissà perché, quando siamo al primo stadio della vita, ci comportiamo come i cuccioli d’animali, che per trovare la propria mamma seguono il profumo della sua pelle. Questi primi profumi sono quelli che ci seguono per tutto il periodo dell’infanzia e ci accompagnano per tutta la vita. Del suo profumo non ricordo nulla perché non mi è stata data la possibilità di conoscerlo, invece ricordo bene il profumo della mia nonna materna. Quando mi prendeva in braccio per farmi addormentare, appoggiavo il mio viso sopra i suoi seni, ed ero subito invaso da un dolce profumo di farina misto con l’odore di lavanda della sua pelle.

Ancora adesso nel ricordarla ne sento il suo profumo ed è quello che mi seguirà fino alla fine dei miei giorni. Purtroppo mia madre era diventata dipendente da alcuni farmaci fra i quali anche la morfina che gli erano stati somministrati durante un brutto intervento, quest’ultima, oltre ad alleviare i dolori fisici, le serviva anche per dimenticare quelli del cuore causati dai continui tradimenti di nostro padre. Fu la sua rovina e purtroppo anche la nostra, la spirale della dipendenza l’aveva resa inerme e fuori dal mondo. Credo e ne sono pienamente convinto, se fosse stata amata da nostro padre come meritava, avrebbe superato facilmente l’apatia che ormai aveva avvolto tutto il suo essere. Tutto quello che la circondava non aveva più valore, non esisteva più l’amore della sua famiglia, non esistevamo noi figli, non aveva più rispetto per se stessa e non voleva più vivere perché le erano state negate le motivazioni. Sovente noi bambini eravamo testimoni di furiose litigate fra nostra madre e nostro padre e lui, usciva sbattendo l’uscio di casa per rientrare a notte inoltrata. Aveva trovato un modo semplice e sbrigativo per potersi incontrare con la compagna di turno. Spesso, per essere completamente libero dai vincoli e dai doveri verso la famiglia, rinchiudeva nostra madre in manicomio, a quei tempi era una prassi molto comune ricorrere al manicomio per curare tale dipendenza e noi eravamo spediti in collegio. Ricordo bene la sua riluttanza nel venirmi a trovare e ricordo con dolore, i Natali trascorsi ad aspettare nella sala d’attesa del collegio il suo arrivo. Quando la porta d’entrata del collegio si apriva, il mio viso s’illuminava di un sorriso con la speranza che fosse lui, ma poi si smorzava in una smorfia di dolore e delusione vedendo che invece era il padre di un mio compagno. Ed io, immancabilmente, rimanevo da solo, con il nodo alla gola che mi saliva e le lacrime di delusione che scendevano fitte sul mio viso. Poche volte ho avuto contatti con quell’uomo e nelle poche occasioni che avevo

di vederlo, bramavo un briciolo d’amore, una sua piccola attenzione, una semplice parola o un’invisibile carezza senza mai averle, al loro posto trovavo solo la sua indifferenza e continui silenzi verso me. E pensare che io avrei voluto dirgli quante cose avrei fatto se solo lui fosse stato felice e orgoglioso di me. Sento un dolore immenso, pensando che non posso avere nessun bel ricordo e tantomeno, nessuna fotografia ad immortalarmi insieme a lui, sono convinto più che mai, che non era pronto e non lo sarebbe mai stato, per essere un buon marito e soprattutto un buon padre. Con il are del tempo io e mia sorella siamo cresciuti, abbiamo capito che tutte le sofferenze di nostra madre erano causate dall’immaturità di quell’uomo insensibile e abbiamo cercato di darle tutto il nostro amore, cercando di darle conforto, sostegno, serenità e pace. Eravamo diventati il suo punto d’appoggio al quale lei poteva sostenersi. Abbiamo fatto in modo di renderla importante e indispensabile, ma il suo cuore troppo stanco e troppo logorato dai continui tradimenti di nostro padre e dalla sua costante assenza, non ha più retto. Fu così che decise di lasciarci definitivamente per raggiungere la pace da Lei tanto desiderata. Lo voglio pensare come l’ultimo gesto d’amore nei confronti di nostro padre, andandosene gli ha restituito la sua tanto agognata libertà e lui, a soli tre mesi dalla sua morte, si risposò. Da quel giorno io e mia sorella continuiamo a vivere nel suo ricordo, con il rimpianto di non averla più tra noi, cercando di cancellare dai nostri cuori la sofferenza per l’infinita solitudine della nostra infanzia Dopo diversi anni dalla sua scomparsa, una sera di settembre mi sono trovato ad attraversare quel Tunnel che dalla vita porta oltre la vita. Mia madre era lì, davanti a tutti. La stavo rivedendo dopo diversi anni dalla sua scomparsa.

Mi sentivo tranquillo e una strana sensazione di pace si era impossessata del mio essere, avevo l’animo sereno percorrendo la via delle tenebre dove al termine si presentava una luce intensa. Ero lieto, mio unico desiderio era raggiungerla al più presto; a un tratto un forte bagliore illuminò il mio cammino. Vidi mia madre su una barella, la stessa nella quale in ospedale la vidi per l’ultima volta. Mi bloccava il percorso, cercavo di proseguire ma da lei ero completamente precluso, negandomi la possibilità di raggiungere quella luce. Mi ritrovai di nuovo al punto di partenza. Ero uscito dal coma; il medico mi disse che avevo subìto un brutto infarto ed era stato un vero miracolo averlo superato. Solo allora mi resi conto che con quel gesto mia madre voleva dimostrarmi tutto l’amore che non era riuscita a donarmi nel periodo della mia infanzia. Nel darmi per la seconda volta la vita ha fatto in modo che la potessi vivere nel suo ricordo, non più nel dolore, ma con tutto il suo amore. E’ strano ma non riesco a rammentami il suo volto, ricordo solo il tocco della sua mano sul mio viso quando l’abbracciavo e le davo un bacio dicendole: “mamma ti voglio bene”….

UNA NOTTE DA CLOCHARD

Amedeo ed io, amici da lungo tempo, presi da un’incredibile voglia d’avventura, decidemmo di recarci al casinò di Sanremo con un mezzo per noi completamente diverso “ il treno”. Era pieno inverno, la neve faceva da sottofondo al grigiore del giorno, tutto era avvolto da un impalpabile senso di quiete, forse era stato quello a spingerci alla ricerca di novità, e un treno per noi abituati alle comodità rispecchiava la voglia

di cose nuove. Non avrei mai immaginato che quel treno avrebbe cambiato il mio modo di vedere le cose. Dopo aver sistemato la nostra vettura nel parcheggio della stazione salimmo su treno occupato in gran parte da pendolari che si recavano al lavoro, ci accomodammo nello scompartimento vicino al finestrino. Era ancora notte quando il treno si mosse scivolando sopra i binari lentamente, poi appena fuori dalla stazione con un’andatura sempre più veloce. Quel grande ammasso di ferro era capace di inghiottire nel suo ventre enormi quantità di persone, tutte diverse fra loro, tutte con la propria storia da raccontare. Tutte immerse nei propri pensieri tanto quanto noi due che per ammazzare il tempo c’eravamo tuffati nella lettura dei nostri libri preferiti e riusciva a rigurgitarne altrettante come un grande ruminante ad ogni stazione ferroviaria. Era uno scambio continuo, molte persone che si sedevano accanto a noi, si alzavano dopo poco per lasciare posto ai nuovi arrivati. I vagoni si liberavano per riempirsi subito dopo da chi saliva, a ciclo continuo. Fu così che salirono due donne occupando il posto nel nostro scompartimento, dando inizio alla mia avventura. Una delle due nel parlare con l’altra riuscì a catturare la mia attenzione e a farmi distogliere lo sguardo dal libro che stavo leggendo; diceva che sul treno su cui stava viaggiando, aveva preso i pidocchi ed era stata per lei una brutta esperienza. Da quel momento, nel mio immaginario, mi vedevo invaso da una colonia di piccoli animaletti restando in attività frenetica sulla mia testa, finché le due donne non si alzarono e scesero alla loro stazione. E’incredibile come la mente umana possa trasformarsi nel più fantasioso degli sceneggiatori e quello che sentiamo ha un significato più profondo di quello che ci appare.

Il viaggio continuò fino alle prime luci del mattino, rimasi diverso tempo a guardare dal vetro del finestrino i paesaggi e gli alberi rincorrersi senza sosta, come se volessero gareggiare in una corsa con il treno. Ed era proprio quel correre a darmi una sensazione di libertà e di leggerezza, fin da bambino quando partivo con i miei genitori per le vacanze estive; provavo quella piacevole emozione, anzi allora con i vecchi treni il ritmo ondulatorio delle ruote sulle rotaie mi cullava e a volte mi faceva addormentare. Rimasi intrappolato in quei pensieri per parecchio tempo pensando che in fondo non mi dispiaceva dopo tanti anni avere intrapreso quel viaggio. Mentre ascoltavo il suono metallico delle ruote sopra i binari, iniziai a provare un certo torpore e dopo pochi istanti caddi nelle braccia di Morfeo. Poco prima d’arrivare, Amedeo mi svegliò mentre il treno imboccava il binario di destinazione per entrare in stazione. Arrivammo a San Remo in una bellissima giornata di sole, il cielo non tollerava la minima intrusione da parte delle nuvole. Era talmente bella che preferimmo di fare una eggiata godendoci quel sole caldo che ci stava regalando le bellezze di quella graziosa cittadina. Ci fermammo davanti a un negozio di libri, Amedeo volle entrare per chiedere se avevano un’edizione di un suo scrittore preferito, la sua richiesta fu esaudita, comprò quel volume che la cassiera mise dentro ad una borsa di plastica. Dopo avere superato la piazza, raggiungemmo la eggiata ando sotto alberi di palme e pini di mare, alcuni giardinieri tenevano in ordine le aiuole curando i loro fiori dove si poteva vederli in una splendida raccolta in tutto il loro variopinto splendore-. I raggi del sole filtravano tra i rami delle piante di alto fusto in un sapiente gioco di luci colorate, creando effetti d’ombra sulle panchine del viale, occupate da gruppetti di anziani che rievocavano con nostalgia i loro tempi ati. Una coppia di poliziotti con le mani incrociate dietro la schiena vigilava la eggiata a quell’ora piena di turisti e all’occasione si fermava per rispondere alle loro domande. Giunse l’ora del pranzo, lasciammo alle spalle il canto degli

uccelli, la fragranza dei fiori e il calore dell’aria. Giungemmo al ristorante e dopo aver pranzato, ci recammo nel nostro locale preferito. Incominciammo a giocare fino tarda sera, quando Amedeo raggiunse la sua quota di perdita ed io di vincita, lasciammo la sala giochi. Scegliemmo di recarci in stazione e prendere il primo treno che ci avrebbe condotto a Savona e lì attendere la prima coincidenza per Torino. Arrivammo a destinazione a notte inoltrata. Erano circa le due, la stazione era deserta, soffiava un forte vento gelido, sembrava d’essere in una steppa desolata della Russia. Riuscimmo a trovare un poliziotto che si aggirava in quella sconfinata distesa di ghiaccio, gli domandammo su quale binario c’era un treno che ci avrebbe portati a Torino, ci fu risposto che il primo sarebbe partito alle otto. E’ proprio vero! prima di intraprendere un viaggio sopra a un mezzo che non usi da molto tempo, bisogna informarsi sulle sue norme di trasporto e dei suoi orari. Dopo aver appreso che il servizio di taxi era terminato e per raggiungere qualche albergo dove poter pernottare, avremmo dovuto fare circa cinque km a piedi. Amedeo ed io ci guardammo sbigottiti, e dopo esserci interpellati, decidemmo di rimanere nella sala d’attesa della stazione e aspettare l’arrivo del nostro treno. Entrammo in quell’enorme sala, sembrava d’essere bloccati in una ghiacciaia, mi chiedevo come mai le costruivano grandi come delle piazze d’armi. Era arredata con poche panche di ferro, dove in un lato c’era un unico termosifone che avrebbe dovuto scaldare tutta la sala, conquistato da un barbone che assorbiva tutto il suo calore. Amedeo si sedette su una di queste ad aspettare l’ora della partenza, si coricò coprendosi il corpo con i fogli del suo giornale e come cuscino per la testa, la borsa di plastica contenente il suo libro. Cercai di sistemarmi alla meglio lontano dalla porta per evitare i continui spifferi d’aria gelida, tentando di trovare il modo di coprirmi con quel poco che avevo ma con scarso risultato. Avevo sempre più freddo.

Guardai Amedeo stava russando sotto le coltri del suo giornale, sembrava che il freddo non lo scalfisse neppure, lo stesso pur vivendo in ristrettezze si era sempre comportato come un nobile decaduto vivendo in una veste non sua, tanto da conquistare da noi amici il soprannome di conte Hunter, non avrei mai pensato avesse un così grande spirito di adattamento. Le ore della notte avano con esasperante lentezza, un silenzio irreale aleggiava nella sala, solo il leggero russare di Amedeo rompeva quel silenzio. Mentre pensavo al dolce tepore del sole del mattino e al calduccio del mio letto, il mio sguardo si posava in continuazione sopra di quel vecchio abbracciato a quell’inavvicinabile fonte di calore. Mi feci forza mi alzai e andai a sedermi vicino a lui, gli chiesi gentilmente di spostarsi e di lasciarmi una parte del suo posto, mi guardò con un sorriso e si spostò. Mentre stavo assaporando quel dolce calduccio la stessa colonia di pidocchi lasciata sul treno il mattino, si presentò più agguerrita che mai; non ci feci caso, ero troppo impegnato a mantenere la posizione che mi era stata offerta e a farmi mille perché. Perché un povero vecchio come lui non aveva pensato nemmeno un istante a dividere con me parte di quella sua piccola fortuna, mi chiedevo io l’avrei fatto?…. Allora spinto dalla gratitudine, misi le mani in tasca per darle una quota di ciò avevo vinto nel pomeriggio, ma con grande stupore la rifiutò con dignità dicendomi: che gli era sufficiente un grazie. Quel clochard con quel gesto mi stava insegnando un grande valore di vita, facendomi comprendere che non bisogna pensare solo alla propria felicità ma parte, dovrebbe essere donata a chi ne ha più bisogno e solo così si potrà apprezzare meglio la propria. Parlammo per tutta la notte come due vecchi amici, mi disse che prima di trovarsi in quella situazione incresciosa era un imprenditore che viveva nell’agiatezza. Ascoltandolo, avevo scoperto in lui un uomo di grande cultura sorrideva con una

fierezza calma, vidi nel suo sguardo occhi pieni di rassegnazione e di sofferenza. Il suo soffrire, forse era dovuto alla rinuncia di tutto il bello che la vita gli aveva donato e poi tolto, Aveva condotto una vita agiata; piena di felicità circondata da tanto amore, ma per uno strano scherzo del destino aveva perduto tutto ciò aveva realizzato. Dopo aver fatto delle speculazioni sbagliate e per volere salire più in alto nella scala sociale, ebbe un crollo totale di quello che aveva, perdendo il suo denaro e la famiglia. Per questo cedette al demone dell’alcool, incominciò a bere sempre di più e con il ar del tempo il problema si fece sempre più serio, il bere per lui era diventato un rifugio per superare le sue insicurezze e le sue paure. Tutto ciò lo portò a restare privo dell’affetto della sua famiglia, che lo lasciò allontanandolo da casa e si trovò a vivere in quella penosa condizione. Dopo averlo ascoltato, accettai di buon grado l’invasione di quei piccoli animaletti che indisturbati continuavano la loro opera di distruzione. L’oscurità della notte incominciava a lasciare il posto alla luce del mattino, una debole patina di luce grigia filtrava dalle finestre della sala. Oltre alle sue pareti tutto era ancora silenzio, la stazione dormiva ancora. Giunse finalmente il mattino, riuscimmo a partire per rientrare nel nostro mondo, nel caldo del mio vagone il mio pensiero si volse a quel luogo notturno, dove con sgomento ero stato costretto a pernottare, tra me pregai di non trovarmi mai più in una situazione del genere. Giurai a me stesso di non dimenticare mai i senza tetti e quel vecchio barbone che non poteva avere le mie stesse possibilità. La vita spesso ci regala il mondo che abbiamo sempre cercato. dentro di lui troviamo tutti i nostri desideri realizzati, l’amore, la felicità e soprattutto tanta serenità. Però non sempre ci sorride e spesso ci mette davanti a delle dure prove ma non è

detto che fra una di queste non ci sia anche quella che ci potrebbe costringere a vivere come quel povero Clochard.

SFOGO D’UN ANZIANO

La vita mi appartiene, non per il tempo che ho trascorso ma per l’esperienza che ho vissuto. Molti dicono che sono vecchio e che il mio tempo è ato e vengo considerato come un oggetto inutile e che, giunto a una veneranda età, i palpiti del cuore e dell’anima devono cessare per fare posto alla pace e alla tranquillità ma si sbagliano perché io sono vivo, pieno di energia e pronto ad amare e ad essere amato ancora. Sono come un vulcano assopito con tanta lava nel proprio ventre, capace di scaldare il mondo intero. Grazie al fatto che sono anziano, ho acquisito dalla vita diversi grandi valori come la saggezza e l’umiltà ed ho appreso quali sono le debolezze umane, sono in grado di donare parole di conforto a chi ne ha bisogno e offrire il mio amore a chi ne sente la necessità. Dovrei essere considerato come un angelo custode e non come una persona inutile. Sono alla ricerca di persone che si possano dedicare a me e che abbiano caratteristiche consone al mio modo di vivere. A volte capita di sentirmi solo e m’intristisco sempre di più, la vita da solo non è facile e vado alla ricerca di qualcuno con cui condividerla per ritrovare le gioie che non vivo più da molto tempo. Non mi interessano più le pulsioni giovanili, quelle le lascio a chi deve ancora iniziare a vivere, io desidero altre cose molto più semplici e sentimenti veri dati con sincerità e amore.

Sono diventato più esigente nelle mie scelte perché sono consapevole della mia realtà, cerco punti forti di riferimento sui quali poter contare e fare affidamento, che siano generosi, affettuosi, dotati di una certa classe e soprattutto intelligenti. Non mi piace la supponenza, l’inaffidabilità, la mancanza di rispetto, l’egoismo e l’arroganza. Forse questa utopia è troppa per il mondo di oggi ma è ciò che io desidero di più. Il sesso fra anziani, spesso stupisce e scandalizza, chi fa questa considerazione, pensa che il sesso sia permesso solo ai giovani ma si sbaglia. In amore esiste un troppo presto ma non un troppo tardi. Quando si ha la possibilità di trasmettere e di ricevere amore, in maniera concreta e appagante, si riscopre che la vita è bella e bisogna viverla anche quando si è anziani. Io che mi sento anziano solo sulla carta d’identità, credo di non dire cose senza senso e credo che questo mio pensiero sia il pensiero di tanti anziani come me ma io ho il coraggio di dirlo apertamente.

IL SEGRETO DÌ MARIO

Per tutta la notte aveva nevicato sulla valle, dove un piccolo paese era rimasto isolato dalla neve. Dal cielo ancora grigio, sottili spiragli di luce s’insinuavano sottovoce su quel paese ancora assopito, l’unico rumore era il delicato fruscio dei fiocchi di neve. Le cime degli alberi erano imbiancate e i rami erano piegati sotto il peso della neve. Mentre i fiocchi sempre più fitti cadevano sulla strada e si perdevano dietro ai comignoli delle case. Sembrava che il suo candito manto coprisse tutte le disarmonie della vita ma non riusciva ad avvolgere il dolore e la tristezza di Mario, una persona anziana avvolta nel suo nero pastrano che si aggirava dentro quel turbinio di neve.

Davanti alla chiesa vi era un bar trattoria, dove le sue finestre si affacciavano su un vecchio portico di mattoni rossi che conduceva sulla piazza principale del paese. Marta, la proprietaria del bar, era una donna di gran bellezza con occhi verdi segnati da una triste e continua malinconia. Faceva parte della famiglia più nobile e più agiata del paese. Aveva vissuto tutta la sua vita con i nonni e la madre vedova ed era cresciuta senza la figura e l’amore del padre, vittima di un incidente, e dopo la morte dei propri nonni e di sua madre era lei a gestire l’azienda di famiglia. Marta cercava di pulire con le mani la finestra velata del locale per seguire con lo sguardo quella persona che le suscitava tanto interesse. Ogni mattina vedeva Mario arrivare e affacciarsi alla porta del bar per salutarla con un sorriso. Tutte le sere Mario si fermava a cenare e rimaneva finché Marta non chiudeva l’esercizio, dopo l’accompagnava davanti al portone di casa sua, per poi avviarsi presso la propria abitazione. Era una sera d’autunno, Mario tornando a casa camminava lungo il viale costeggiando il torrente che attraversa il paese. Guardava il suo lento scorrere e la sua mente lo portava verso mete ormai lontane. L’aria era umida e greve, persisteva una leggera foschia e in alcuni tratti si era alzata del tutto, tranne che nella bassa pianura e lungo il corso del torrente. Ma nel giro di poco la nebbia era diventata meno fitta e si stava diradando quasi del tutto. Camminava adagio avvolto nei suoi pensieri, in compagnia dei suoi ricordi, che a un tratto avevano in comune lo stesso soggetto, come se fossero tutti in relazione tra loro ed erano chiari davanti a lui, pronti per essere presi. Non poteva più mantenere quel giuramento fatto alla madre sul letto di morte, per lui era diventato troppo pesante vivere con quel tormento: doveva parlarle. Quel mattino Marta non lo vide per tutto il giorno, pensava fosse andato a fare quegli esami clinici che da qualche tempo aveva prenotato, credeva di vederlo

alla sera ma non lo vide nemmeno per cena. arono tre giorni ma di Mario nessuna notizia. Marta preoccupata per la sua assenza decise di andare a casa sua per avere notizie. Marta suonò il camlo, sentiva i i che si avvicinavano, il tintinnio delle chiavi che giravano nel nottolino della porta e Mario aprì. “ ciao, che sorpresa, come mai da queste parti?” le disse, sentendo che il cuore batteva all’impazzata. “ scusa se vengo senza neanche avvisarti ma è da tre giorni che non ti vedo al bar e cominciavo a preoccuparmi”. “Ho preso una brutta influenza e il medico mi ha consigliato di non uscire e stare in casa al caldo per qualche giorno” le rispose . . Mario la fece entrare, la accompagnò nella sala e la fece accomodare. Mentre Marta si sedeva, lui si avvicinò alla mensola del caminetto, dove sopra vi erano due fotografie, le prese e le girò a faccia in giù sul ripiano. “la gradisci una cioccolata?” si apprestò a dirle, sperando che lei non avesse notato quel gesto. ”grazie, ma non vorrei disturbarti se stai poco bene”. “ nessun disturbo anzi, mi fa piacere che sei ata a salutarmi, vado in cucina a prepararla e arrivo subito”. Marta rimase stupita nel vedere quanto ordine c’era, si era immaginata di trovare la casa disordinata e sporca, considerando che era un uomo di una certa età e solo da chissà quanto tempo ma con grande sorpresa si trovò in un ambiente accogliente e pulito. In fondo alla sala c’era un caminetto , dove crepitavano due grossi ceppi di legno. In mezzo alla stanza c’era una tavola rotonda con centro una tovaglietta, anch’essa rotonda, di cotone bianco fatto all’uncinetto, nel centro, un vaso di fiori con tre rose bianche e una rossa.

Lei rimase ad aspettarlo in salotto, domandandosi per quale motivo aveva nascosto quelle foto. Mario ritornò con due tazze di cioccolata fumante con crema di nocciola, si accomodarono l’una di fronte all’altro ed iniziarono a parlare, a dir la verità era Marta che parlava mentre lui l’ascoltava in silenzio, quella era la sua più grande qualità, forse era quella virtù che lo faceva distinguere da tutti gli altri. Per Marta era sempre stato un piacere confidarsi con lui, perché gli infondeva fiducia e lui sapeva darle una risposta per ogni domanda che gli faceva, riusciva a guardarla nel suo animo e comprendere ciò che lo tormentava e darle ottimi consigli per lenire la sua sofferenza. Dopo aver finito la cioccolata, Marta si alzò. “devo andare ad aprire la trattoria e non sai quanto mi dispiace lasciarti da solo ma se hai un mazzo di chiavi in più, o stasera e ti porto la cena, tu stai al caldo e riposati”. Mario, che da tre giorni non riusciva a mangiare più che una minestrina in brodo, la ringraziò per quel gesto d’affetto e andò alla credenza, la aprì e tirò fuori un mazzo di chiavi che gli consegnò. “ci vediamo più tardi” e baciandolo sulla guancia, uscì. Cominciò a nevicare, chi poteva, rimaneva al caldo nelle proprie case, il locale si riempì di poche anime, giusto per un caffè caldo e qualche bicchierino ristoratore. Mentre in cucina preparava piatti da presentare nel menù della cena, un turbine di pensieri le frullavano nella mente, ripensava al gesto di Mario nel coprire le fotografie al suo arrivo ed alla cioccolata calda con crema di nocciola che lei adorava bere da quando era bambina, i fiori sul centro del tavolo che le ricordavano quelli che metteva sua madre sul tavolo della loro sala da pranzo, e sopratutto non riusciva comprendere quel senso di protezione di Mario nei suoi confronti. Tante erano le domande che si presentarono in successione nella sua mente e cui non riusciva a dare risposta. L’unica cosa che sapeva era che quell’uomo la attirava in modo particolare ma non sapeva per quale motivo.

Aveva continuato a nevicare per tutto il giorno e si era levato un forte vento gelido. Chiuse la trattoria, prese la cesta con la cena e si avviò verso la casa di Mario. Giunta davanti all’abitazione, aprì la porta ed entrò. Non sentendolo, si avviò verso la stanza da letto e vide che era sotto le coperte, pensando che stava ancora dormendo, chiuse la porta e si avviò in cucina. La casa era fredda, Marta mise altri pezzi di legna nel camino e la brace riprese ad alimentarsi, sprigionando un leggero fumo grigio profumato di ginepro e resina di pino. Accese la stufa e si apprestò a scaldare la cena mentre il dolce tepore del camino si diffondeva per la casa. Marta, mossa dalla curiosità, si avvicinò a quelle due fotografie, le voltò e con grande sorpresa vide, sulla prima che era contornata da una sottile cornice d’argento, un uomo e una donna teneramente abbracciati. Marta ne scrutava attentamente i loro volti chiedendosi chi fossero, studiò quei volti per un po’ e poi, con grande stupore, si accorse che erano Mario e sua madre. Nell’altra, in una cornice più grande, c’erano tante foto, una vicina all’altra, ognuna di loro aveva la data in cui era stata scattata, riprendeva una bimba che man mano cresceva e diventava adulta. Nel guardarle, il cuore si fermò e allora tutto diventò chiaro. Si avviò verso la camera e svegliò Mario. “svegliati papà, ti ho preparato la cena” Mario ancora assonnato, si alzò, andò al camino e volse lo sguardo verso mensola, dove vide le fotografie girate nel loro giusto verso. ”Lo hai capito guardando le fotografie?” le chiese, Marta annuì e volle sapere per quale motivo glielo aveva tenuto nascosto per tutto quel tempo. “ ho vissuto tutta la vita credendo che tu fossi morto, perché questo mi aveva

detto mia madre, per tutta la vita mi sono portata addosso Il peso ed il desiderio di sapere chi eri, per tutta la vita ho sentito la tua mancanza” le diceva fra le lacrime “ perché ti sei tenuto dentro questo segreto? Tutti i giorni venivi al bar, tutti i giorni mi vedevi. Perché non mi hai mai detto nulla"? Mario, stringendole le mani tra le sue disse: ”Io e tua madre eravamo due ragazzi innamoratissimi, lei era una bellissima ragazza proveniente da una delle famiglie più ricche e nobili del paese, mentre io ero figlio di poveri contadini”. Ci fu un lungo silenzio, poi Marta lo invitò a continuare. “Ai tuoi nonni, questo non piaceva. Mi riconoscevano la grande volontà di lavorare e sapevano quanto l’amavo ma loro volevano per lei, un uomo del loro ceto, per questo le vietarono di frequentarmi” A quel punto Mario interruppe il racconto, le parole gli uscivano con sforzo, quasi gli pesasse rievocare quel periodo, poi, con fatica riprese. “Lei, in fondo, non si vedeva zappare orti e raccogliere frutta sugli alberi, fra galline e conigli che gli sarebbero ati sotto la gonna”. Dopo una lunga pausa, guardò la figlia e con voce roca riprese a parlare: “Lei diceva di amarmi, ma non avrebbe mai abbandonato l’agiatezza di quella famiglia. per me e non sarebbe mai andata contro il volere dei suoi genitori”. Il nostro era un amore impossibile ed io, malgrado la voglia di lavorare e la mia onestà, non potevo dare a tua madre, quello che avrebbe voluto, sono arrivato anche al punto di vergognarmi della mia.”. Marta vide sul viso del padre un sorriso amaro. Dopo una lunga pausa riprese a parlare: … “ ma il destino ci giocò un brutto scherzo, lei rimase incinta di te”.

. Marta si accorse che il padre faceva fatica a continuare nel racconto, il suo viso si era trasformato in un mix di rabbia e di dolore. “ stai bene papà?”. Mario la tranquillizzò e continuò nel suo racconto: “I tuoi nonni cercarono di convincerla ad abortire ma vista la sua decisione di portare a termine la gravidanza, decisero d’allontanarla dal paese per non dare adito alle chiacchiere della gente e la mandarono da una zia in un paesino dell’Austria, dove nascesti tu”. Dalla finestra si vedevano grossi fiocchi di neve scendere lievi, coprendo con il loro candore gli alberi, le strade e i tetti delle case, trasformando il paesaggio in una cartolina natalizia, mentre loro, seduti davanti al caminetto, seguitavano a parlare, due piatti di stufato erano sul tavolo ma nessuno dei due aveva voglia di mangiare. Mario, dopo essersi alzato per mettere un altro pezzo di legna nel camino, riprese: ”Nella vita spesso si è costretti scendere a compromessi per non perdere tutto quello che di più caro hai nel cuore”. La sua voce s’interruppe di nuovo in un silenzio carico di tensione, per riprendere subito dopo con tono rabbioso. “I tuoi nonni e tua madre, mi fecero giurare di non dire a nessuno d’essere tuo padre e se non l’avessi fatto, non mi avrebbero permesso di vederti ”.Avevo chiesto l’aiuto di tua madre, ma lei mi rispose in tono secco, che fra noi era finita”. Una nuova pausa interruppe quel discorso, poi, la voce riprese come una condanna rabbiosa: “Mi hanno tolto la felicità di vivere con te la tua vita e per questo non riuscirò mai a perdonarli”. Erano ancora tante le domande che Marta voleva fare ma in quel momento, dovevano aspettare.

“Dopo diverso tempo che tua madre era partita, iniziarono a far sapere alla gente del paese che si era innamorata di un bravissimo ragazzo del posto, con grandi possibilità economiche, che si erano sposati e che li avevano fatti diventare nonni di una magnifica bambina”. Marta vide sul viso del padre una smorfia di sofferenza, era sparito il volto dell’amore, lasciando posto solo a quello dell’odio e del dolore. Sembrava che, dietro a quella maschera il tempo si fosse fermato rendendo i suoi lineamenti più duri e segnati. Mario, che oramai aveva sciolto ogni freno, continuò a parlare: “dopo qualche tempo, i tuoi nonni fecero sapere che per un amaro scherzo del destino, il genero era stato vittima di un incidente stradale, lasciando vedova una giovane donna e orfana una bambina appena nata. Avevano completato il mosaico di bugie costruito solo per salvaguardare il buon nome della famiglia e voi due potevate ritornare”. Si asciugò la lacrima che gli stava scivolando sulla guancia ”potevo fare ben poco contro le loro bugie…cosa mai avrei potuto fare per non perdere la possibilità di vederti anche da lontano?”. “purtroppo quello che può succedere nel corso della vita, a volte non siamo noi a deciderlo, ed è ancor più difficile sapere cosa sia giusto fare, io son stato costretto a scegliere mio malgrado e sia stato soggiogato dalla volontà degli altri. Avevo paura di tutto, di quello che avrei potuto fare e di quello che potevo dire ,ma soprattutto, se non mi fossi attenuto alle loro volontà, ti avrei perso”. La sua voce si ammutolì e dopo poco fu di nuovo un soffio di vento venuto dal nulla: “dopo la morte dei tuoi nonni, incontrai tua madre, la pregai di rivelarti chi fossi ma lei me lo impedì, dicendomi avrei distrutto la figura di quella persona che credevi tuo padre e la mia confessione ti avrebbe fatto soffrire inutilmente. Me ne feci una ragione, pensai che forse fosse giusto quello che pensava e per non vederti soffrire rinunciai a quel proposito”

Marta che fino a quel momento rimase in silenzio ad ascoltare, gli prese le mani e gli disse: “perché, quando la mamma è morta, non hai pensato di dirmelo?Ormai più nulla ti teneva legato a quel segreto”. A quel punto Mario si fermò e con voce rotta dall’emozione con occhi lucidi di pianto, le disse: “Quando tua madre si trovò sul letto di morte, mi chiamò e mi fece giurare di mantenere il nostro segreto e non dirti nulla per non turbare la tua serenità. Così facendo, ti avrei dato la possibilità di ricordarla con amore e non con rancore per averti impedito di conoscermi. Nonostante tutto ciò, nulla mi ha proibito di starti vicino e di averti sempre nel cuore”. Sulle labbra di Marta comparve un sorriso mentre ascoltava le parole di suo padre e Mario non avrebbe mai immaginato che in quel sorriso ci fosse tanta amarezza. Marta con le lacrime agli occhi le disse: “quando avevo bisogno di te, tu dov’eri? ” “ So di aver sbagliato, avevo l'obbligo di fartelo sapere, avrei dovuto combatterli per l’amore che avevo per te, ti chiedo perdono per non averlo fatto e ti chiedo perdono per tutte le attenzioni che non ho potuto darti, so di essere anche io responsabile di questo tuo grande dolore. ma adesso che ci siamo ritrovati, ti prego non mi abbandonare”. E mentre la notte scendeva sui campi e sulle case innevate, i due rimanevano seduti, l’uno nello sguardo dell’altro, ad ascoltare il sibilo del vento che sembrava aumentare sempre di più, come se, per una causa sconosciuta volesse partecipare anche lui con la sua voce, al loro dolore. Si guardarono a lungo, erano i loro occhi che parlavano e si unirono in un lungo abbraccio sentendo i loro cuori palpitare mentre parlavano tra loro di un amore ritrovato e che mai sarebbe finito. E come la nebbia del mattino si era alzata per dividerli, così la nebbia della sera si alzava per proteggere il loro ritrovato amore

UN MISERO PEZZO DÌ LEGNO

Monte Bello era un ridente paesino arroccato su uno scosceso promontorio di roccia scura a picco sul mare, attraversato da scale e scalinate che si diramavano tra le case fatte di pietra con il tetto di ardesia e con l’intonaco verniciato di bianco e rosso mattone, colori tipici dei paesi di mare. Era abitato da trecento anime, animali compresi, da povera gente che viveva solo della pesca, ma questo non gli impediva di vivere felici ugualmente. Nella parte più alta del paese si estendeva un’accogliente piazza, dove erano concentrati la chiesa, un vecchio negozio di generi alimentari dove era possibile trovare di tutto e un’osteria, chiamata “La Lanterna”. Quell’osteria aveva un arredamento molto particolare; diverse botti vuote fungevano da tavolini, mentre quelle più piccole venivano usate come sedie, altre invece, servivano da sostegno al bancone, un lungo ripiano in legno. Alle finestre, grossi drappi di rete da pesca con stelle marine e cavallucci di mare rendevano l’ambiente più famigliare ed accogliente. L’aria profumava di aromi provenienti dalla cucina e il buon odore di vino persisteva ovunque. Dietro al bancone, l’oste mesceva da tre botti alle sue spalle, il vino richiesto dai clienti abituali. “La Lanterna” era il richiamo per quell’umanità che sovente si riuniva per discutere dei tanti problemi della collettività, i quali, davanti a un buon bicchiere di vino venivano, il più delle volte, risolti. Un sentiero costruito tra le rocce, portava alla spiaggia sabbiosa, attorniata in alcuni punti da frangiflutti naturali che davano origine a piccole insenature, dove il mare poteva rilassarsi dall’impeto delle onde e la spiaggia poteva accoglierle in un fruscio che scivolava sul suo bagnasciuga, dando origine ad un suono lieve ed avvolgente.

Due grandi speroni rocciosi racchiudevano un piccolo porto, luogo in cui trovavano riparo alcune barche a motore insieme a Speranza, un battello da pesca d’alto mare. Alla sera, gli uomini partivano a bordo delle loro barche, con il desiderio di ritornarci il mattino seguente con le reti cariche di pesce e le donne rimanevano da sole, con l’angoscia di non vederli più tornare. E tutte le mattine, quelle donne si ritrovavano insieme in quel piccolo porto, in attesa del rientro dei loro uomini. Quando li vedevano arrivare in lontananza, ringraziavano Dio e poi si apprestavano ad aiutarli a scaricare le ceste. Dopo aver selezionato e tolto quello che serviva a loro, il resto veniva portato al mercato per essere venduto nella città più vicina ma il ricavato non bastava. Sulla spiaggia si poteva vedere un grande battello in secca vicino al mare, sopra al ponte, un tubo di ferro sporgeva a forma di comignolo, fumando gradevolmente. Quella singolare dimora aveva due oblò orientati verso il mare, sopra di loro due grandi lampade sempre accese che, nelle notti di tempesta, orientavano i pescatori verso la terra ferma. Anni prima era stato un battello con tutti i crismi che riusciva a pescare grosse quantità di pesce ed era il maggior sostentamento per tutti. Per anni si era dondolato sul mare, scricchiolando nelle tempeste ma poi, usurato dal tempo, aveva finito il suo viaggio su quella spiaggia. In quella curiosa abitazione ci abitava Michele, anche lui pescatore, con sua moglie Maria e suo figlio Nico. Michele era un uomo magro, sul viso aveva rughe profonde provocate dai riflessi del sole e dalla salsedine, sulle sue mani grosse cicatrici provocate dal continuo lavorio nell’issare le reti piene di pesce dal mare alla barca, segni di una vita dura e piena di sacrifici e dalla cicatrice più profonda che era nel suo cuore, in ricordo dei suoi compagni che non l’avevano voluto a bordo quella sera tremenda. Michele, insieme ad altri pescatori del paese, erano riusciti, con il sudore del loro

duro lavoro, a comprare un piccolo peschereccio, sostituto di quella dimora galleggiante che aveva finito il suo compito, che chiamarono Speranza. Questo piccolo battello da pesca era la più grande risorsa del paese e un beneficio per tutti quanti perché poteva pescare molti più pesci rispetto alle altre barche. Monte bello era un paesino sconosciuto, un piccolo puntino nell’immensità del mondo che non era segnato neanche sullo stradario, in un luogo talmente difficile da raggiungere che a nessun veniva in mente di raggiungere, non c’erano attrattive e neanche siti archeologici che potessero risvegliare la curiosità dei turisti e forse, proprio perché era fuori dal mondo e fuori da ogni tipo di realtà, screzi, controversie e arrivismo, che poteva assomigliare ad Eboli o al paesino dell’isola che non c’è. In tutte le case regnava l’amore. In tutte le case c’era il sorriso di una donna e le grida gioiose di bambini. Tutti potevano contare su tutti e tutti erano uniti come una grande famiglia. Uniti nella gioia ed anche nel dolore. Una sera d’autunno il cielo si mostrò grigio, il mare scuro, funesto e tempestoso, non preannunciava nulla di buono ma Speranza era il maggior sostentamento e dopo le tante perplessità su cosa era meglio fare, i pescatori decisero che lei doveva uscire ugualmente mentre tutte le altre barche sarebbero rimaste al porto. Tutti quanti si misero al lavoro per districare le reti ed issarle a bordo e prima che Speranza con tutto l’equipaggio partisse per inoltrarsi dentro a quel mare burrascoso, le donne, insieme a coloro che sarebbero rimasti, compreso Michele che si era rotto un polso e che non poteva essere d’aiuto, si riunirono insieme per un’ultima preghiera. E fra abbracci, baci e lacrime, quegli uomini partirono lasciando sulla spiaggia gli amici, le loro donne e i loro bambini che rimasero fino a quando Speranza non si perse nell’oscurità. Il peschereccio navigava fra onde che si facevano sempre più alte, doveva raggiungere il posto prestabilito per buttare le proprie reti ma in lontananza si vedeva l’incredibile massa di vento impazzito con nubi turbinose che avanzava nella sua direzione. L’uragano cominciava ad avvicinarsi con una furia spaventosa, aveva raggiunto il massimo della sua potenza che si scatenava al suo interno con una ferocia incommensurabile, il vento imperversava lacerando la superficie del mare,

sollevando spruzzi e onde altissime, non esisteva più una netta linea divisoria tra mare e cielo. Quando il peschereccio Speranza si trovò nell’occhio del ciclone, fu colpito da una gigantesca onda che provocò uno squarcio nella chiglia. Per tutti gli uomini a bordo furono momenti di panico, terrore, e preghiere rivolte al cielo, si chiedevano se sarebbero tornati a casa. Speranza fu travolta da quell’onda e venne inghiottita dentro al vortice. Contro quella furia, nulla era possibile ed ogni tentativo di salvezza era vana. In un saluto estremo, quegli uomini volsero lo sguardo verso terra, sapendo che non sarebbero più ritornati e uniti nell’ultimo abbraccio piansero per le loro famiglie che non li avrebbero visti ritornare. Speranza fischiò l’ultimo suono della sua sirena e poi fu solo il buio. I marosi di quel mare in tempesta avevano inghiottito il peschereccio con tutto il suo equipaggio. Il silenzio tornò sul mare, l’unico segno di quella furia erano i resti dell’imbarcazione sparsi e alcuni corpi senza vita di alcuni marinai che vagavano fra le onde ormai tranquille. All’ora del rientro, i famigliari, come usavano fare di solito, si recarono sulla spiaggia ad aspettare l’arrivo dei loro cari ma quel mattino l’attesa fu vana. Da quel giorno, sparirono i sorrisi delle donne e le grida festose dei bambini, si sentivano solo più i pianti e urla di disperazione. Dopo diverso tempo, insieme, come facevano di solito all’osteria “La Lanterna” quando dovevano discutere di cose importanti, decisero di fare un crocefisso di legno pregiato, intarsiato dal più bravo falegname della zona, in ricordo di quei marinai che avevano dato la vita per la sopravvivenza di tutto il paese Lo misero al centro della piazza per ricordare i propri cari, vittime di quella nefasta disgrazia. Ma tutte le mattine, con grande stupore trovavano il Gesù crocifisso, ai piedi della croce. Molti furono i tentativi per fissarlo, ma tutti gli sforzi furono vani. Ogni mattina, il Cristo stava steso ai piedi del suo crocifisso.

Un giorno il mare restituì parte dei rottami di legno che provenivano dal fasciame di Speranza. Nella notte, Nico, il figlio di Michele, sognò Gesù che gli diceva.”Se volete che la mia immagine rimanga sulla croce, la croce deve essere costruita con i poveri resti di legno e chiodi trovati sulla spiaggia. Fino a quando non lo farete, io cadrò sempre ai piedi di quella croce che non sento mia “. Gli abitanti costruirono la croce con quei semplici pezzi di legno, comprendendo il loro immenso valore e da quel giorno videro per sempre il loro Gesù inchiodato a quella croce senza più cadere a terra. Ogni racconto ha una sua morale loro l’hanno capita, ora proviamo a capirla anche noi.

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I

MIEI MILLE PERCHE’

Come sovente accade ogni mattino, mi sveglio con un dolore nuovo, mi chiedo cosa sto facendo ancora in questo mondo Dopo essermi alzato e preso tutte le medicine del caso, mi reco dal medico per richiedere le ricette degli esami che devo fare di routine, penso di essere uno dei pochi pazienti più controllati del paese. Sono completamente provato dalla malattia e stanco di andare su e giù per ospedali, spesso vorrei seguire il vento del tramonto per porre fine a questo continuo supplizio.

Cosa mi trattiene dal mettere in atto questo pensiero è l’amore che nutro per una donna meravigliosa che mi ha accompagnato per mano tutta la vita e una figlia fantastica di una bellezza eterea che ogni padre vorrebbe avere. E’ un mattino uggioso, l’estate è già finita e l’autunno alle porte, mi sto recando presso lo studio del mio medico, cammino sotto una sottile pioggia in mezzo alla gente che frettolosa si reca al lavoro. Sovente incrocio i loro sguardi, occhi che mi guardano e s’incontrano con i miei senza vedermi, immersi nei loro pensieri e nei loro problemi. I loro visi si presentano tutti nella stessa dimensione, sfilandomi davanti come manichini senz’anima, facendomi entrare nella più profonda tristezza. Mi trovo a camminare su terreni sconosciuti e fronteggiare mille perché. Basterebbe il buongiorno e il sorriso della gente che incontro per darmi la forza di combattere tutte le avversità che si presentano durante la mia giornata. Sembra che la fabbrica del sorriso e dei sogni abbia chiuso i suoi battenti per fare posto alla zona industriale della realtà. Purtroppo viviamo in un mondo, dove l’umanità è costituita in gran parte da persone vuote che credono che il proprio valore dipenda dal vendere la propria immagine apparente e non il suo contenuto interno che è molto più veritiero. La pioggia continua a colpire l’asfalto sollevando piccole bolle di polvere, mentre un leggero vento impietoso solleva le foglie cadute dagli alberi. Alzo lo sguardo e noto su un ramo un ero che si scrolla dalle penne il pianto di quel cielo, quasi a voler sentire il rumore delle sue ali in quel silenzio. Il suono di un clacson mi scuote dalle mie meditazioni, intorno a me c’è un silenzio irreale, solo il rumore della pioggia scandisce il battito della vita. Arrivo dal medico, nella sala d’attesa ci sono altre persone che come me aspettano il proprio turno per essere ricevuti. Tutti con la loro storia e il proprio dolore, alcuni discutono tra loro, c’è chi legge e chi si guarda in giro con la speranza di vedere qualche volto amico per potergli raccontare i suoi nuovi dolori, altri portano la propria croce in quel luogo per

poterla barattare con qualche altra ma dopo aver sentito quella degli altri, preferiscono tornarsene a casa con la propria. Tra loro vedo un volto ben noto, chiamato da me “agonia“ per il suo viso pallido e sempre con un’espressione comatosa. Con un filo di voce che sembra esalare l’ultimo respiro mi chiede: “ Tutto bene? A quella domanda la mia mano destra si porta lentamente, cercando di non farmi notare, su una parte del mio corpo per fare gli scongiuri il solito gesto di rito usato abitualmente da tutti gli uomini di questo mondo e gli rispondo: “Si grazie, tutto bene“non ho voglia di intavolare un discorso con “agonia” e lascio che muoia lì la voglia di parlare di quell’uomo. Mi domando perché lo faccio, ma non so darmi una risposta pazienza lo aggiungo alla lunga lista dei miei mille perché. Dopo essere stato visitato, il medico mi dice che sono tutte le mie patologie esistenti che mi arrecano dolori nuovi e come il solito mi trascrive nuovi esami da fare, con nuove medicine da prendere e penso. “Adesso con tutti questi nuovi farmaci che devo prendere, dovrò recarmi in farmacia con il carrello della spesa”. Prima di congedarmi, scherzando gli chiedo con un filo di voce: … ”Dottore morirò?” … Lui guardandomi sopra i suoi occhialini, con tono professionale mi risponde: “Gli comunico una notizia fresca, uscita proprio questa mattina al notiziario. “Tutti dobbiamo morire prima o poi”. Quel “prima” detto con voce marcata, non mi convince, la mia mano destra, celata nella tasca dei pantaloni, come attratta da una calamita, si sposta lentamente, cercando di nascondere il suo avvicinamento sopra alla zona di rito e dopo averlo salutato, esco dallo studio e fra me e me, dico: “perché gli faccio sempre la stessa domanda se so che lui mi risponderebbe

sempre nella solita maniera?” Con questo nuovo pensiero mi reco in paese per fare le mie commissioni. Prima di tutto vado a fare colazione nel solito bar, entro e come sempre vedo la titolare con occhi tristi che con un filo di voce mi accenna un lieve saluto quasi le mancasse l’aria e in silenzio mi prepara la colazione. Esco da quel luogo pieno d’angoscia, ho voglia di ritornare dal dottore per farmi prescrivere un farmaco contro i miei effetti sulla depressione altrui ma poi penso ”Probabilmente non esiste nessun farmaco che possa lenire questa mia patologia”. Entro in un negozio d’erboristeria, mi affaccio sulla porta e come faccio ogni mattina, chiedo a Stefania, la titolare, alla quale ho pensato di appiopparle il nomignolo di “virgola” perché quando legge i miei racconti, mi fa notare che non distanzio mai l’ultima parola dalla virgola, se posso salutarla. Con un sorriso mi da il buongiorno e mi dice di entrare, è il primo sorriso e buongiorno che ricevo da una persona amica. E in quel sorriso, intravedo nei meandri dei miei pensieri, farsi luce un raggio di sole che scaccia una piccola parte dei miei pensieri negativi, rigenerando in parte quelli positivi. Esco dal negozio ancora abbagliato da quel raggio di sole e tra me dico “Però"! Quella signora ha proprio un bel sorriso”. o sulla piazza del paese per recarmi in tipografia per stampare l’ultimo racconto che ho scritto durante la notte, mi sento chiamare, mi volto e vedo Carla, l’amica di Stefania che mi dà il buongiorno con un sorriso radioso ecco che mi appare il secondo raggio di sole! Dalla borsa tira fuori uno dei miei racconti appena scritto, mi dice che nel leggerlo ha trovato in me, una bella capacità di descrivere i luoghi e le sensazioni con parole esaustive e semplici. Continua dirmi che a un certo punto del racconto, ha addirittura avuto la sensazione di percepire il profumo dei fiori che avevo descritto.

Il cielo scuro dei miei pensieri che si era fatto cupo fino all’uscita dal bar, inizia ad aprirsi sempre più, trafitto ancora da un altro magnifico raggio di sole ho ricevuto un’altra dose d’energia positiva! Dopo averla ringraziata per le belle parole che mi ha appena detto, con un sorriso la saluto augurandole una buona giornata. Entro in tipografia; la titolare Paola, una ragazza con grandi occhi azzurri come un cielo terso e un fisico da mozzafiato, con un sorriso mi dà il buongiorno. E’la terza persona che mi dà importanza. Parliamo dei miei racconti, le do la chiavetta USB e le chiedo di stamparmi il racconto che ho fatto durante la notte. Di solito prima di procedere, dà un’occhiata veloce su cosa deve stampare per aggiungere qualche virgola o punti dimenticati, è una bravissima correttrice di bozze e sa darmi ottimi consigli per aggraziare i miei racconti. Dopo aver ricevuto la sua dose di complimenti per ciò che ha appena letto, quel raggio di sole si apre sempre di più aumentando la mia carica di positività. E’ incredibile come persone delle quali non conosci quasi nulla, possa trasmetterti con un sorriso e una parola “gentile” tanta serenità e gioia di vivere. Prima di tornare a casa, sulla strada del rientro, o davanti a quel luogo d’angoscia dove ho fatto colazione e mi sento chiamare da una voce femminile, è Caterina. Una persona anziana molto intelligente che ama leggere libri ma che purtroppo la sua misera pensione non le permette di comprare ed io, sapendo della sua difficoltà, le regalo molto volentieri i miei racconti. Dopo la morte del marito e del figlio deve convivere con la sua solitudine e anche lei come me, con tutte le malattie che ha accumulato negli anni. Vive in un alveare vivente chiamato “condominio”, dove regna l’indifferenza generale e di solito ognuno pensa a se, senza sapere neanche chi abita alla porta accanto. Anche a lei basterebbe un loro sorriso o una parola “gentile” per portarle un po’ di luce nelle tenebre della sua eterna solitudine, ma in quel condominio non

succede mai, nessuno si accorge di lei. Quando legge, riesce a uscire dal baratro senza fondo di quella solitudine così opprimente. Di solito legge alla sera quando va a letto, le piace circondarsi di tutti i personaggi del racconto, che le tengono compagnia senza nulla chiedere in cambio, finché non si addormenta. Le vado incontro con un sorriso, la saluto e la invito a bere un caffè. Ci sediamo al tavolino e mentre aspettiamo che arrivi la cameriera con le tazzine, lei mi dice di aver finito di leggere l’ultimo racconto che le ho dato. Mi racconta con emozione che, in diverse pagine si è immedesimata nella protagonista e si era commossa fino alle lacrime, ringraziandomi di quel regalo. Ecco un’altra domanda che si aggiunge a tutte le altre ”Si è commossa forse perché le ho fatto rievocare alcuni momenti belli da lei vissuti e rivisti nel racconto?”. La ringrazio per le belle parole e prima di salutarla per avviarmi verso casa, le chiedo se vuole leggere il mio ultimo racconto che ho appena fatto stampare e che, se voleva, gliene avrei portato degli altri, nel ringraziarmi con un sorriso di riconoscenza mi dice di sì e ci diamo appuntamento per il mattino successivo. Quello è stato il raggio di sole più bello che ho ricevuto nella mattinata. Guardo l’orologio, vedo che è quasi giunta l’ora del pranzo, sono quasi arrivato a casa quando incontro tre persone a me ben note, sono le mie due nipoti con mia figlia e la loro cagnetta Chira che appena mi vede mi corre incontro scodinzolando, seguita dai miei tre tesori che con tre sorrisi luminosi mi danno tre stupendi baci. Allora quel raggio di sole esplode con tutta la sua luce nel cielo grigio dei miei pensieri, spazzando del tutto la mia negatività. Tra me dico:

”Dopotutto, questa vita è proprio bella mi conviene viverla in pieno finché il buon Dio mi dà la possibilità di farlo”. Arrivo a casa, mia moglie mi ricorda che prima di pranzare devo controllarmi la glicemia e farmi la puntura d’insulina, è già il quinto buco che mi faccio, e mi ritrovo a pensare “ non vorrei, che dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua, mi uscisse da tutti questi buchi”. Dopo aver pranzato, mi sdraio sul divano, mi accingo a guardare il telegiornale che parla sempre delle evasioni fiscali e delle avventure sessuali del politico di turno e della condanna emessa a suo carico dalla Corte Suprema. Non sanno più di cosa parlare, forse ci sarebbero cose più importanti da discutere e risolvere. Probabilmente i nostri politici e i Signori giudici non sono a conoscenza che decine di consiglieri Regionali facenti parte di diverse ideologie politiche sono stati indagati dalle nostre forze dell’ordine dopo attenti e documentati accertamenti per aver sottratto ingenti somme di denaro dalle casse delle loro regioni per far fronte alle loro piccole e costose spese personali. Forse non hanno ancora avuto il tempo d’iscriverli nei registri degli indagati e non interdetti dai pubblici uffici per il loro troppo lavoro. Quasi certamente non sono ancora a conoscenza che il settanta per cento dell’umanità maschile esercita il culto del sesso a pagamento secondo le proprie possibilità finanziare. Allora mi dico.: “forse hanno cambiato le regole del Codice Penale e non si esercita più la frase la legge è uguale per tutti - ma viene applicata solo per qualche eletto”. Poi parlano del rientro di milioni d’Italiani dalle ferie che si trovano nella buca delle lettere le bollette, con tutti gli aumenti che i nostri politici hanno fatto durante il periodo estivo. Chissà perché sono sempre applicati nel periodo delle vacanze, quando milioni

di Italiani sono al mare o in montagna per godersi le ferie dopo un anno di lavoro. “Perché lo fanno, se il telegiornale persevera nel dire che il popolo Italiano diventa ogni giorno più povero” mi chiedo. Allora penso: ”forse non sarà vero, se insiste ad andare in ferie pagando ottanta euro al giorno per un ombrellone e una sedia a sdraio e tre euro per una bottiglia d’acqua minerale sopra una spiaggia del demanio”. Anche questo si accumula nel sacco dei miei mille perché Tutta la mia carica di positività accumulata durante la mattinata incomincia a scemare piano, piano, dando spazio alle grosse nuvole gonfie di problemi di riprendere il proprio ruolo negativo. Dopo il telegiornale mia moglie, cara donna. contribuisce nel mio processo negativo facendomi partecipe della visione della sua soap-opera preferita che ogni primo pomeriggio, ci accompagna da anni con i suoi problemi contrastati da intrighi, amori adulterini tra suocero e nuora, fra cognati e cugine o fratelli o nonni, tutti di quella grande famiglia che da vita a Beautiful. Che strazio ogni quattro minuti l’intrigante storia è interrotta dalla pubblicità, che è propinata in continuazione ogni cinque minuti. a il pomeriggio, la giornata volge al tramonto e giunge la sera, dopo essermi fatto il sesto buco per iniettarmi l’insulina, mi siedo per cenare, guardo il telegiornale sperando che il mondo giornalistico si sia stancato di parlare sempre del Cavaliere ma con grande rammarico sento che è di nuovo il principale argomento E’ arrivata la notizia bomba …. Lo scandalo di Ruby- Gate … Sarà la notizia che riempirà nei giorni seguenti le pagine dei rotocalchi, parlando delle vicende Boccaccesche del “bunga, bunga” e delle quattro bellissime donne coinvolte, Dove, fra le mura di una delle tante camere da letto della grande villa del Cavaliere, tra un massaggio e l’altro, la sua voce imperiosa echeggiava, rivolgendosi al caro amico russo, dicendo … “Mi consenta avanti la prossima”-. Lo stanno classificando come il nuovo Silvestre Stallone del sesso. A questo punto provo una certa invidia nei suoi confronti perché è sempre circondata da

bellissime donne ” beato lui ma come fa a farcela? Mi dico “ Poiché nei suoi discorsi elettorali ha sempre urlato ai quattro venti di aver trovato “ l’elisir di lunga vita “ per curare tutti mali che affliggono gli Italiani, non mi dispiacerebbe conoscerla, per poter anch’io vantare un’attività sessuale di un certo livello come la sua “. Dopo aver fatto una cena ” luculliana” a base di petto di pollo alla griglia e un bel piatto d’insalata condita con una goccia d’olio e di limone, sento bussare alla porta dei miei perché, la sindrome della mia depressione che uccide ogni mia speranza di uscire da quel vortice senza fine. Sono in attesa che inizi il film della serata, dopo quattro minuti dall’inizio, come al solito, è interrotto sul più bello dalla pubblicità che continua per cinque minuti e così via “ Ma perché continuano a farla non si sono ancora convinti che siamo sempre più poveri? “ Chiudo per un attimo gli occhi e mi addormento, perdendo il finale. Sento la voce di mia moglie che forse, disturbata dal mio russare, mi dice d’andare a dormire, mi alzo dal divano tutto assonnato e mi vado a coricare. Ormai ho interrotto il sonno, è inutile sperare di dormire, tutti i miei perché e le mie angosce m’impediscono di abbandonarmi a un sonno ristoratore. Come sono lente le ore della notte sembra che il tempo rallenti la sua corsa molti pensieri affiorano dalla mia mente e tante colline mi diventano invalicabili. Guardo l’orologio, sembra essersi fermato, scruto fuori dalla finestra e non intravedo nessuna luce del giorno, mi rimane sempre presente la luce delle tenebre, mi sento sempre più solo e penso che nessuno senta il mio grido di dolore e mi tenda la sua mano per aiutarmi. Cerco di dormire ma il buon Morfeo non arriva mai mi rimangono solo presenti tutti i miei perché, le mie paure, le mie angosce e soprattutto i rimorsi di non

aver saputo amare nel modo giusto la persona che mi ha tanto amato. Mi alzo e vado a sedermi davanti al computer per scrivere il nuovo racconto sulle mie giornate impregnate di mille perché sono quasi le cinque del mattino, sono molto stanco, vado a letto sperando di addormentarmi. Giunge il mattino, all’orizzonte s’intravede un leggero chiarore che divide il cielo dal mondo e sorge piano, piano il sole, una nuova vita incomincia… nascono bambini, muoiono donne e uomini, finiscono vecchi amori e ne nascono di nuovi. La fabbrica della realtà sta iniziando a sovraccaricarsi di lavoro, la ruota della vita continua a girare, percorrendo nuove strade, solcando nuovi orizzonti colorati di tanti perché. Mi alzo al mattino, carico delle mie solite negatività Ritornerò dal medico forse gli chiederò di nuovo se morirò. E il ciclo della vita rincomincia

LO SPECCIO DEL LAGO

Mi capita sovente di rifugiarmi nei ricordi del ato e a volte questo ritorna, riservandomi impensabili sorprese. Rivivendo quei momenti, capisco l’importanza di alcune scelte che, d’acchito non avevano valore ma che con il tempo, hanno riacquistato l’importanza dovuta, capendo che il fato qualche volta ci mette lo zampino e riesce a mescolare le carte in tavola, imprimendo un altro percorso alla vita. Anche Stefano la pensava cosi come me…. Scendeva la sera, gli ultimi raggi morenti del sole tingevano di porpora i tetti delle case che si riflettevano sul lago, regalando alle sue acque colori particolari. La natura incominciava ad addormentarsi, i rumori del giorno si stavano spegnendo, lasciando il posto a un concerto di cicale accompagnato da un frinire di grilli.

Mentre le barche rientravano nel porticciolo, una leggera brezza scendeva sul lago, alcune papere e magnifici cigni, che per tutto il giorno avevano dominato le sue sponde, si dirigevano verso il canneto per trovare ricovero per la notte. A ridosso del lago vi era una grande piazza, dove infervoravano i preparativi per allestire la fiera. Stefano faceva il rappresentante di liquori, era un uomo affascinante, aveva superato i cinquant’anni da un po’ ma non mostrava gli anni che aveva se non per la brizzolatura dei suoi capelli. Aveva occhi scuri penetranti, sapeva di piacere alle donne e questo era per lui motivo d’orgoglio, forse, proprio per questo, la sua clientela era prevalentemente femminile. Si trovava in quella graziosa cittadina Austriaca inviato dalla ditta, per procacciare nuovi clienti. La luce dell’insegna filtrava nella stanza dell’hotel occupata da Stefano, una grande finestra che guardava il lago, si affacciava su un piccolo balcone. Affacciato alla ringhiera, guardava quel magnifico spettacolo serale che la natura gli stava offrendo mentre, da un vicino piano bar, le dolci note della sua canzone preferita aleggiavano nell’aria. Era una canzone che lo riportava indietro nel tempo, verso Ester…. Un grande amore ostacolato e finito per volere dei genitori di lei ma mai dimenticato e Stefano, intrappolato nel suo ricordo, non aveva ancora trovato la donna che gli fe cancellare dal cuore quel volto. E con quel ricordo che gli saliva in testa, arrivando dal nodo alla gola che gli si era formato, chiuse la finestra del balcone e andò a dormire. Alle sette suonò la sveglia, partiva di buona ora per iniziare il giro dei clienti che erano nella lista che gli aveva fornito la ditta. I lavori d’allestimento della fiera erano terminati e lui iniziò il suo giro con il piano bar che si trovava proprio lì vicino, ordinò un caffè e chiese alla cameriera se poteva parlare con il titolare. “Mi dispiace ma al mattino la titolare non viene mai” le rispose. “ma tu guarda il caso…un’altra donna come possibile cliente” pensava Stefano

tra se e se sorridendo. “Quando la posso trovare?” chiese a quel volto impreziosito da due occhi verdi e profondi che lo stava guardando con curiosità. “la trova alla sera” gli rispose con un sorriso accattivante “grazie, erò questa sera e spero di rivederla”, si apprestò a dirle, ricambiando il sorriso. Uscì e continuò il suo giro di lavoro. La giornata era stata proficua, sulla sua lista poteva annotare nuovi clienti, doveva ancora andare al piano bar ma era ancora presto e prima di ritornare in albergo per la cena, decise di fare una eggiata in riva a quel lago che infondeva pace. Assorto nei suoi pensieri e nel ricordo di quella canzone che gli aveva provocato un sonno agitato, guardò quelle acque limpide e ferme e per incanto, intravide riflesso, il volto della sua amata e perduta Ester che svanì al aggio di un cigno. Finito di cenare si recò al piano bar e la cameriera dagli occhi verdi smeraldo lo vide avvicinarsi al bancone, con il solito sorriso del mattino, gli chiese. “Buona sera, cosa le posso preparare?” Stefano, guardandola e ricambiando il sorriso, ordinò un whisky con ghiaccio. “è arrivata la titolare?” “sì, è nel retro, gliela vado a chiamare” gli rispose. Mentre era seduto davanti al suo bicchiere, la sua mente lo riportava verso quell’immagine riflessa nello specchio del lago e non riusciva a capire perché gli fe quel giochino. Si stava per alzare per chiedere al pianista di suonare la sua canzone preferita, quando le dolci note di “un uomo e una donna” si sprigionarono d’incanto nell’aria come se volessero riportarlo da quel volto.

Ma si sentì toccare una spalla, si voltò e con stupore, gli apparve Ester in tutto il suo splendore, avvolta da un abito nero che mostrava un fisico perfetto. I suoi capelli erano raccolti all’indietro, un trucco appena evidenziato faceva risaltare il suo viso ovale, le sue unghie rosse davano maggior risalto alle lunghe dita affusolate delle mani. Rimasero tutti e due ammutoliti ed immobili a guardarsi increduli. “Ester?” riuscì a dire Stefano dopo un attimo di disorientamento. “Stefano che ci fai qui" “io…io sono qui…per…cioè…veramente sto lavorando…nel senso…scusa…sto farfugliando…aspetto la titolare per parlare di lavoro” era talmente emozionato che la lingua gli si impastò in bocca, facendogli fare la figura del cretino. Ester lo guardò, anche lei sconvolta e felice di avere davanti quel volto tanto amato e mai dimenticato. “sono io la titolare” gli rispose, asciugandosi una lacrima che stava scendendo silenziosamente sulla guancia. Si guardarono a lungo negli occhi e capirono che non si erano mai lasciati e che si amavano ancora di più. Con un meraviglioso sorriso Ester gli chiese. “ricordi ancora questa canzone?” “certo che la ricordo..e da ieri sera che mi è entrata in testa e non riuscivo a cancellarla. Stavo andando dal pianista a chiedergli di risuonarla” Stefano, che aveva ripreso l’uso della parola ma ancora sconcertato da quella splendida visione, chiamò la cameriera e ordinò due Gran Marnier, non aveva dimenticato che era il suo liquore preferito. Mentre la dolce melodia della loro canzone aleggiava nell’aria, un meraviglioso bacio fece rinascere in loro il ritrovato amore.

Parlarono a lungo, confidandosi a vicenda che nessuno aveva preso i loro cuori perché erano rimasti fedeli al ricordo del loro amore e dopo aver posato i bicchieri sul ripiano del tavolino, Ester lo pregò di seguirla. “vieni con me, devo farti vedere una cosa”. Stefano si alzò, lei lo prese per mano lo portò in un piccolo giardino sul retro del locale, dove tra begonie, ginestre e tanti altri fiori, c’era una grande voliera occupata da due stupendi pappagallini che, in un turbinio d’acrobazie dimostravano la loro felicità nello stare insieme. Ester iniziò a raccontare a Stefano la storia dei due pappagallini. ”mi trovavo a Parigi per far visita a una mia vecchia zia, stavo eggiando in una viuzza e mi fermai davanti a un negozio di animali esotici, rimasi incantata alla vista delle tante voliere che erano esposte, tutte di diverso colore e con l'interno una miriade di cardellini, canarini e pappagallini inseparabili che cinguettavano e svolazzavano allegramente”. Stefano la ascoltava in silenzio, le note della loro canzone erano finite e al loro posto si sentiva il frinire delle cicale. ”attratta da quelle gabbie, entrai per poterle vedere meglio, quando il mio sguardo si fermò davanti ad una di loro messa in un angolo". Dentro c’era un pappagallino verde e giallo che se ne stava rannicchiato con i suoi grandi occhi pieni di tristezza a fissare la porta del negozio. Il proprietario mi spiegò che era della razza degli inseparabili e che il suo compagno era uscito dalla gabbia mentre la stava pulendo, era un comportamento insolito ma ormai lui era abituato a vederselo svolazzare nel negozio, quando finiva di sistemare la voliera, lui puntualmente rientrava e si sistemava vicino alla sua compagna. Un mese prima, un cliente non chiuse la porta del negozio e lui scappò, lasciando da sola la pappa gallina che stava rischiando di morire di solitudine e si stupiva che fosse ancora viva dopo tanto, visto che gli inseparabili non riescono a vivere da soli. Il racconto di Ester continuava catturando la curiosità di Stefano che la ascoltava attentamente, senza capire dove volesse arrivare con quel racconto.

”Non so perché ma decisi di comperarla, portandola in questo giardino, la misi in questa voliera ma il suo sguardo era sempre rivolto ad un punto indefinito dell’orizzonte. Una mattina la vidi che volava nella voliera da tutte le parti come se fosse impazzita. Mi accorsi che aggrappato alle grate della gabbia c’era un altro pappagallino inseparabile che voleva entrare. Capii subito che era il compagno fuggito dal negozio ed inspiegabilmente era riuscito a ritrovarla dopo tanto tempo e ad una distanza così notevole. Aprii la gabbia e lui entrò, si avvicinò a lei e si parlarono nel loro linguaggio segreto, poi incominciarono a volteggiare in rocamboleschi giochi, come a volermi ringraziare per averli riuniti di nuovo. Solo allora compresi per quale motivo non erano morti, perché dentro di loro sapevano che un giorno si sarebbero ritrovati”. Stefano che, alla fine di quella storia, aveva capito il significato, le disse. “noi due siamo come questi inseparabili, nessuno ci potrà più dividere”. Ester, guardandolo intensamente negli occhi, rispose. ”ora che anche noi ci siamo ritrovati, ti prego, non lasciarmi più perché questa volta ne morirei”. Non c’era bisogno di risposta, gli occhi di Stefano parlavano da soli e abbracciati alla ringhiera del giardino che si affacciava al lago, lo specchio illuminato dai lampioni, rifletteva l’immagine di loro due che si sarebbero amati per sempre. Tutti dicono che l’amore fa male, ma non è vero. La solitudine fa male, il rifiuto fa male. Perdere qualcuno fa male. L’amore è l’unica cosa in questo mondo che copre tutto il dolore e ci fa sentire ancora meravigliosi.

LA NOTTE DÌ SAN LORENZO

La giornata si avvicinava al tramonto precipitando con le sue folgori iridescenti sul lago, immergendosi in quello specchio d’acqua con i suoi colori.Alcune papere e magnifici cigni, che per tutto il giorno avevano dominato le sponde del lago, si stavano dirigendo verso il canneto per trovare ricovero per la notte. Al porticciolo alcuni pescatori continuavano alacremente a districare le proprie reti, e a caricarle sulle imbarcazioni che erano pronte a partire. La luce dell’insegna filtrava con la sua discontinuità nella stanza dell’albergo occupata da Stefano, cliente abituale, che ogni anno lo frequentava nel periodo estivo. Nella sua stanza una grande finestra si affacciava su un piccolo balcone che guardava l’enorme specchio d’acqua. Stefano era un uomo di circa quarant’anni, era dotato di un notevole fascino che non sfruttava e che se solo si fosse deciso ad usare, avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi. Aveva un viso espressivo con occhi chiari penetranti, l’unica traccia della sua età era la brizzolatura dei suoi capelli. Era arrivato in tarda serata e come sempre, ad attenderlo, c’era Sandra; L’aveva salutato caldamente, forse un po’ più del solito, l’aveva accompagnato al piano superiore e consegnandogli la chiave gli disse: “Ben tornato“ “grazie“ “spero che anche quest’anno tu possa rilassarti in nostra compagnia”. “sarà sicuramente così” disse di rimando mentre la guardava, era ato un anno dall’ultima volta che l’aveva vista e sembrava che fosse ato solo un giorno. Una cena frugale ed una breve eggiata per sgranchire le gambe indolenzite per il lungo viaggio in macchina e poi, un sonno ristoratore fino al mattino. Si era svegliato molto presto, non voleva perdersi neanche un minuto di

quell’alba, e seduto ad uno dei tavolini apparecchiati per la colazione, mentre si godeva una vista magnifica sorseggiando il caffè, stava pensando a Sandra. Lei era la titolare dell’albergo in cui alloggiava, lo gestiva insieme al marito che, anni prima era stato vittima di un incidente stradale, facendogli perdere l’uso delle gambe e costringendolo su una sedia a rotelle, quella condizione invalidante lo limitava molto, lasciandole quasi tutto il carico della gestione, ma l’assisteva nell’amministrazione e in alcuni piccoli lavori di manutenzione. Sandra era una donna veramente attraente: I suoi capelli rossi scuri erano lunghi e lucenti, aveva occhi di colore verde non comune, ben distanziati sul suo volto ovale. Sotto il maglione da pescatore portava pantaloni attillati, dove s’intravedeva un corpo flessuoso e perfetto. Stefano, immerso nel calore del giorno, rivide quel corpo che saliva le scale davanti a lui mentre lo accompagnava nella sua camera, non poteva fare a meno di notare i suoi fianchi che ondeggiavano appena. La figura di quella donna lo faceva entrare nei suoi pensieri con vivide visioni che sfuggivano al suo controllo, e lasciava che la sua fantasia galope dentro quella vista. Il leggero chiarore che divideva il cielo dal mondo, facendo sorgere pian piano il sole, lo distolse da quei pensieri; ogni mattino gli piaceva guardare quella riproduzione della vita con i raggi sottili del sole che, in quel gioco di luci e di ombre, annunciava l’inizio di una nuova vita. Mentre il sole lo abbagliava e con gli occhi chiusi assaporava il calore dei suoi raggi, si sentii avvolgere da un’altra sensazione; un profumo particolare che non sentiva più da diverso tempo, si era dimenticato cosa significasse provare quella particolare emozione pur essendo in grado di conoscerla. Aprì gli occhi, si girò lentamente, sapendo con assoluta certezza chi stava per vedere: anche se leggermente sfocata dalla luce del sole, Stefano riuscì a vedere il volto di Sandra che con un ampio sorriso gli diceva : “Sapevo di trovarti qui, questo è il posto ideale per veder nascere il sole”.

Da molti anni tra loro esisteva un’empatia speciale, ma non avevamo mai avuto il coraggio di dichiarare i loro sentimenti, forse per paura di avere un rifiuto o perché lei era sposata. “Ho organizzato una serata nella terrazza per vedere le stelle cadenti ed ho pensato di venirtelo a dire”. “vengo molto volentieri” rispose Stefano, che, oltre ad essere abbagliato dal sole che ormai era già alto, lo era anche da quegli occhi così penetranti. Sandra, presa da un impeto che non era da lei gli disse, facendo trapelare quel desiderio represso per troppo tempo: “Stanotte è la notte di San Lorenzo, guardando le stelle cadenti potremmo esprimere un desiderio, e non è detto che questa notte non si possa esaudire”. Stefano, con un sorriso disarmante e con gli occhi puntati su di lei rispose: “ Io ci sarò” “ bene! Allora ti aspetto” E lasciandolo con quelle parole dette e non dette, si diresse verso la reception dell’albergo. Sandra continuava ostinatamente a lavorare, andando avanti ed indietro fra la sala da pranzo e la reception, dando disposizioni ai camerieri per l’organizzazione dei tavoli e con il marito ad organizzare le ultime cose per l’accoglienza dei nuovi arrivi previsti per il giorno dopo, ma la sua testa era da un’altra parte. Stefano dal canto suo, girovagava senza meta, aspettando con ansia l’arrivo della sera., sperando che una stella cadente potesse fare il miracolo tanto atteso. E mentre la guardava andare da una parte all’altra dell’albergo, facendo finta di essere assorto nella lettura di un libro, distrattamente andò ad urtare un bicchiere posato sul tavolino, tagliandosi un dito. “ Ma por…” “che succede?” disse Sandra che lo sentì imprecare. “mi sono tagliato da vero stupido, non ho visto il bicchiere e l’ho urtato, chissà

dove avevo la testa…”. “fammi vedere” “ma no, è una cosa da niente, più che altro sono i pezzi di vetro che ho sparso dappertutto”. “per quello non è un problema, ora chiamo qualcuno che venga a toglierli, però ora vieni con me e ti disinfetto il dito”. Sandra mentre lo disinfettava gli prese la mano e la appoggiò sul suo grembo per fasciargli il dito ferito. E con quel tocco, in loro esplosero tutti i desideri inappagati che si erano accumulati in tanti anni. La giornata ò lentamente, Stefano con il suo dito incerottato, ripensava a quella scarica di adrenalina che gli era corsa lungo il braccio come fosse stato attraversato dalla corrente, continuò a vagabondare per tutto il giorno, d’altronde era il suo primo giorno di vacanza e in fin dei conti poteva permettersi di non fare assolutamente nulla. Finalmente arrivò l’ora della cena, si sedette al suo tavolo ma mangiò svogliatamente, non aveva appetito quella sera, lo stomaco gorgogliava per la fame, ma sembrava che volesse riempirsi di altro cibo Dopo aver cenato, si ritrovarono tutti quanti sulla terrazza a contemplare le stelle che brillavano nel cielo buio della notte, compresa Sandra. E si abbandonarono nella contemplazione di quel magnifico cielo stellato con un senso di soffusa serenità, forse derivante dal fulgore estivo di quel cielo. Mentre Il crepuscolo ava nella notte, una falce di luna saliva in alto, nascondendosi a tratti fra le poche nuvole, dove galassie di stelle si aprivano come un mantello per coprire il mondo. Sotto il loro chiarore, il lago aveva un riflesso d’ombra e d’argento facendo oscillare il suo riverbero fra le sue onde che si schiudevano per mostrare il loro splendore, Stefano e Sandra si fermarono a lungo a guardare il chiarore dell’acqua sotto quella luce. Quel cielo notturno stava donando scie luminose di stelle cadenti, che avano da un cosmo all’atro apparendo in questo mondo, per poi sparire in un altro; fra

lo spazio delle cortine nere del cielo, ravvivando la magia del cosmo a cui affidare la realizzazione di un loro desiderio. Sandra in quel momento disse a Stefano: “Esprimi un desiderio” “l’ho già fatto” le rispose “è un sogno che conservo da molto tempo dentro il mio cuore e spero che si avveri”. Staccarono gli occhi dal cielo, i loro sguardi si incontrarono: e mai sguardo fu più intenso Si era fatto tardi, gruppi di clienti guardavano un’ultima volta, quel magnifico spettacolo e altri invece, rientravano in albergo per andare a dormire. Quando anche gli ultimi se ne furono andati, loro due rimasero da soli sull’alta spianata; lei lo sospinse nell’angolo formato dalla balaustra e con lo sguardo rivolto al cielo gli disse: “Dopo di tutto, è sempre lo spettacolo più bello del mondo”. Stefano le prese la mano e guardandola intensamente le disse: “Sei tu lo spettacolo più bello del mondo”. Sandra sorridendogli gli chiese: ”Hai espresso il tuo desiderio?” “io sì e tu?” A quella risposta, i loro visi si fecero sempre più vicini, finché le loro labbra non si unirono e si fo insieme in un lungo bacio. Dopo un tempo interminabile, le loro labbra si staccarono, i due, frastornati, si guardarono negli occhi e in un abbraccio avvolgente, rimasero stretti ad ascoltare il battito pesante dei loro cuori. Lei, guardandolo rossa in volto, con un filo di voce, gli disse: “Sono arrivata alla conclusione che non ho più la pallida idea di quella che sono

e cosa voglio”. “forse è meglio che ci fermiamo qui e andiamo a dormire” disse Stefano mentre sentiva il cuore che batteva all’impazzata, sapeva che quella era una storia che non avrebbe dovuto mai iniziare. E si allontanarono da quel posto che era stato teatro di un loro desiderio. Stefano, nella sua camera, sdraiato sul letto non riusciva a prendere sonno, pensava con insistenza a Sandra e alla sua mano sul suo ventre, a quel bacio e alle parole dette subito dopo: ”Da quando mio marito ha avuto l’incidente che lo ha costretto sulla carrozzella, la mia vita sessuale si è spenta del tutto”. Quelle parole gli risuonavano alla mente come un martello pneumatico, Sandra gli aveva lanciato un messaggio ben chiaro e lui si sentiva investito da uno spirito comionevole verso quella donna che lo stava portando alla perdizione, sprigionando in lui una marea di emozioni. Sapeva di non controllare più la sua ione per quella donna, ma aveva deciso ugualmente di non assecondarla. Per un momento, con gli occhi chiusi, gli parve di sentire le calde labbra di Sandra sfiorare le sue e un senso di struggimento lo pervase in tutto il corpo; aprì lentamente gli occhi, uscendo pian piano da quel sogno, la donna che lo aveva baciato così dolcemente era solo un’ombra fuggevole, ma in cuor suo sapeva, che quelle labbra avevano lo stesso sapore di quelle di Sandra. Anche lei nel letto stava ascoltando il ticchettio dell’orologio che scandiva il lento scorrere del tempo. Spiava il respiro regolare di suo marito profondamente addormentato sotto l’influsso della dose di sonnifero che prendeva tutte le sere da quando aveva avuto l’incidente, perché non riusciva più a dormire. “Mi tiene sveglia il caldo” pensava “Ma chi voglio prendere in giro"? La scusa della mia insonnia è Stefano e il tocco della sua mano mentre lo medicavo”. Lo immaginava nella sua camera addormentato da un pezzo, voleva scacciare dalla mente quell’immagine che continuava a turbarla senza riuscirvi, rendendosi conto di una sconcertante verità: desiderava fare l’amore con lui.

Era ridicolo che una donna con i suoi principi morali potesse sentire una forte attrazione per una persona di cui sapeva ben poco, vista solo per un breve periodo dell’anno, ed era peccaminoso avere il desiderio immediato di fare l’amore con lui. Pensava che dovesse solo averlo nei confronti di suo marito e non con il primo uomo affascinante che le capitasse davanti, tuttavia era bello far correre la fantasia con quel pensiero. Scese dal letto ed in punta di piedi andò verso la porta e la aprì; Stefano sentì i i sul pianerottolo dirigersi verso la sua camera e poco dopo anche la porta della sua camera si aprì, facendo trasparire una figura femminile che si stagliava alla luce fioca del corridoio, rimase ferma per un secondo, giusto il tempo per Stefano di immaginarla, e subito dopo la porta si richiuse. La stanza ritornò nel buio, solo l’intermittenza dell’insegna la illuminava a tratti, percepì il suo profumo e sentì il sangue scorrergli rapido nelle vene. Alzò adagio la testa e udì un respiro trattenuto accanto al letto e un corpo che si sdraiava accanto al suo, sentendola così vicino non riuscì più a controllare quella ione che stava cercando da ore di reprimere. Si protese verso il comodino è accese la luce, vide le gote di Sandra sotto la luce schermata della lampada in una vampa di rossore; indossava una camicia da notte nera trasparente, coprendola come una seconda pelle, i suoi capelli sparsi sul viso cercavano di nascondere la sua eccitazione più forte. “Ho paura di tutto e di quello che stiamo per fare, ma soprattutto se vado via da questa stanza, non proverò più quello che sto provando ora” diceva Sandra mentre accarezzava Stefano. E in ogni carezza scambiata, capirono che tutto poteva accadere quella notte; per tutta la sera, dopo quel bacio, avevano cercato di nascondersi, convinti entrambi che non dovevano andare oltre, ma ora, quella ione struggente li stava avvolgendo e non potevano fare a meno di evitarla. Era come se il loro autocontrollo stesse sciogliendosi come cera. Il corpo di Stefano si avvicinava lentamente a quello di Sandra che si preparava ad accoglierlo, per poi abbandonarsi nella vigorosa lotta e fondersi in lui come un metallo colato in una forma unica. Finalmente i due si stavano trovando in quel mondo ionale pieno di sensazioni e piaceri da molto tempo agognato.

Lei tremando, si portò al seno la testa dell’uomo che desiderava abbandonarsi in lei, continuando a bruciare in quella ione che aveva più valore della sua stessa vita. Restarono avvinti per diverso tempo, pensando d’essere trasportati in una nuova vita, per realizzare un loro sogno custodito da molto tempo dentro ai loro cuori. Le labbra di Sandra erano dischiuse nella grazia femminile, offrendogli la bocca per un interminabile bacio ed esausti, si abbandonarono a un dolce torpore. Per loro non esisteva un domani, c’era soltanto quella notte. Sandra non provò nessun senso di colpa nei confronti del marito, dopo aver fatto l’amore, si sentiva completamente appagata, aveva provato forti emozioni e piaceri scomparsi nel tempo. Tuttavia nel suo intimo sapeva di non potere avere un futuro con lui, perché non avrebbe mai potuto lasciare suo marito. Le vennero in mente le parole del medico del reparto, dove lui rimase ricoverato per mesi dopo l’incidente, in bilico fra la vita e la morte dopo il lunghissimo intervento ed il coma farmacologico per cercare di tenerlo in vita; la informava sulle sue condizioni critiche: ”Purtroppo suo marito ha perso l’uso di tutte due le gambe ed ha subito un trauma che nessun farmaco può guarire, ora ha bisogno più che mai di lei, di tutta la rassicurazione, il sostegno e l’amore che lei saprà dargli”. Un bel peso, considerando che tutti e due erano ancora giovani, con il desiderio di avere dei figli che Sandra sapeva che non avrebbe mai avuto, un peso troppo grande da gestire da sola ed una responsabilità nei confronti di quell’uomo che una volta, e forse ancora, anzi, sicuramente, ama. Sandra si sollevò su un gomito “Non è molto degno di una signora ma voglio dirti grazie” bisbigliò. Stefano sorridendo allungò una mano e accarezzandole il viso le disse: ”tu sei una gran signora e soprattutto una donna straordinaria, grazie a te ho ritrovato il vero amore”.

Lei lo baciò ancora e abbracciati gli sussurrò: ”Siamo come stelle lucenti alimentate dai nostri ricordi, finché questo ricordo sarà chiuso nei nostri cuori, le nostre stelle continueranno a brillare e ci aiuteranno a non sentirci soli e non farci cadere nell’oceano scuro della vita.” Poco dopo l’alba, Sandra si ricordò di avere un marito e in punta di piedi uscì da quella stanza che era stata l’artefice di un grande amore. Le luci di un nuovo giorno incominciarono a illuminare il lago, mentre un volo di gabbiani con il proprio garrire, s’innalzava verso il cielo per annunciare il nascere di un nuovo amore. La storia tra loro dura tuttora, Stefano va spesso da Sandra per are la fine settimana, Marco, il marito di Sandra sa tutto di loro, glielo ha raccontato lei e lui ha accettato comunque, perché l’amore che ha per Sandra va oltre al tradimento; è disposto anche a dividerla con un altro uomo pur di saperla felice, perché per via dell’incidente non ha più potuto farlo lui. L’amore vero non muore mai, resta sempre chiuso in un angolo del nostro cuore per ricomparire in mille modi diversi e la luce buona delle stelle illumina il cammino di ogni amore, quale esso sia

CON LUI

Ero appena uscita da un fallimento di un matrimonio pieno di tensioni e di dolori da me vissuti come donna oggetto, non mi era permesso di far rispettare la mia dignità di persona e di donna. Ero completamente sottomessa da una persona che m’incuteva paura, e dalla quale ero totalmente dipendente. Mio marito con la sua malvagità era riuscito a farmi vedere e conoscere l’inferno. Ho vissuto per diverso tempo in un mondo buio, dove l’oscurità la faceva da padrona, mi sembrava di essere una pedina di un immenso gioco di scacchi, dove potevo essere mossa o stare ferma a suo piacimento.

L’unica cosa che mi ha permesso di continuare vivere in quella penosa situazione è stato l’amore che nutrivo per i miei due figli nati da quella unione, è per questo che non riesco a cancellare dalla mia mente una pagina che non vorrei fosse stata mai scritta. Forse avrei dovuto vedere il mondo com’era realmente e non come Io sognavo La mia vita era finita su un binario morto, mi trovavo davanti a un bivio che mi obbligava a prendere una decisione. Quando finalmente riuscii a chiudere quella storia, ma a non togliermi dall’anima il peso di quegli anni vissuti negli inferi. Alla fine ero riuscita a spezzare quelle catene che mi tenevano prigioniera e sono ritornata a vivere; sono riuscita a voltare pagina del mio romanzo di un periodo burrascoso della mia vita, e disintossicarmi di ciò che avevo subito con l’aiuto di un uomo che sapeva proteggermi e amarmi come avevo sempre desiderato da un uomo. Per lui, sono rinata il giorno che ci siamo incontrati e con lui ho conosciuto il mio vero mondo; incominciammo a frequentarci e ogni giorno che ava, avevo sempre più bisogno della sua presenza. Mi fece conoscere nel darmi tutto se stesso, l’apice delle emozioni e dei piaceri che solo lui riusciva a trasmettermi, facendomi vivere in quel mondo nuovo pieno di luce e di tanto amore. Con le sue parole e il calore del suo amore mi ha aiutato a rimettermi in piedi e farmi sentire”una vera donna” importante e indispensabile. Mi ha fatto riacquistare la dignità di me stessa e tutti i miei valori di vita, trasmettendomi tanta serenità e gioia di vivere. La nostra è stata una storia nata in sordina, ma con il are del tempo era diventata importante tanto da far pensare che sarebbe durata a lungo. Invece dopo diverso tempo s’interrompe tragicamente; Era stato vittima di un tragico incidente. Dopo la sua morte, ho sofferto immensamente l’unico rifugio era la mia casa con i miei ricordi più cari, ogni angolo traboccava della sua presenza, lui era

dappertutto, nelle fotografie di nozze in quelle in vacanza con i nostri amici, ma soprattutto nel mio cuore, ma allo stesso tempo era vuota, allora mi rendevo conto che la mia casa e io stessa ruotavamo nel suo ricordo. Sono legata a tutto ciò che mi ricorda Lui... la cosa incredibile che non riesco ancora a concepire è come si può perdere tutto quello che si ha di più caro nel cuore in pochi minuti. Mi è stato tolto tutto quello che avevo acquisito distruggendo così il mio mondo. Vorrei trovare parole appropriate per dire tutto quello che è racchiuso nel mio cuore ma è talmente pieno di disordine che non ne riesco a vederne il suo contenuto. Tutti dormono tutto il mondo intero dorme soltanto i miei sogni, i ricordi e i miei tormenti rimangono alzati per tenermi compagnia nelle mie notti insonni. Appena sveglia penso a un amore lontano che non potrò più ritrovare, mi trovo sola nella mia casa che un tempo era il sacrato del nostro amore sempre alla ricerca di qualcosa, ma non so cosa. Sono come un albero a cui il vento gli ha spezzato un grosso ramo, per Lui molto vitale. La vita spesso ci regala il mondo che abbiamo sempre sognato e cercato, dove dentro di lui troviamo tutti i nostri desideri realizzati, l’amore, la felicità e soprattutto tanta serenità, sovente con freddezza agghiacciante, quello che ci ha dato ci viene tolto. Sono rimaste solo più le sue rovine dove, mi aggiro alla ricerca di un po’ di quella perduta felicità. Sento tantissimo la sua mancanza, per me era come un porto sicuro, dove poter approdare in qualsiasi momento e mettermi al sicuro dalle molteplici tempeste della vita. In certi istanti sento il telefono squillare penso è “ Lui” ma subito dopo rientro nella mia realtà e cado nell’abisso della disperazione E’ ato tanto tempo dalla sua immatura scomparsa è ho continuato a vivere mesi di profondo sconforto.

Mi è stato difficile andare avanti senza la sua presenza che per me era fondamentale, ogni tanto in me emergono nuove paure e problemi insuperabili, non mi sento più sicura di nulla, mi manca terribilmente il suo principale sostegno, “mi manca Lui e non mi rendo conto che non c’è più.” A volte, all’improvviso sento la necessità di piangere, non mi dà sollievo, ma non farlo mi è insopportabile, e cado nello sconforto più totale. Sono sola, non ho nessuno vicino che mi possa interessare e farmi uscire dall’indolenza che si è impossessata del mio essere. Il mio comportamento autodistruttivo mi rende vulnerabile facendomi perdere la realtà del mio insieme. Ho una profonda continuità d’inquietudine che contamina il mio cuore superando i miei limiti di sopportazione, il mio senso di frustrazione è continuamente in agguato, questo mio dolore mi porta fuori dalla realtà. La vita per una donna sola non è facile! Vorrei trovare un compagno con cui condividerla e ritrovare le gioie e l’emozioni che non vivo più da molto tempo. . Non mi interessa la bellezza. la ricchezza e l’età, sono ben altre le virtù che io cerco Che sia sincero, sensibile, generoso e sia soprattutto intelligente, cosa non condivido è l’inaffidabilità e la mancanza di umiltà. Forse quest’utopia è troppa per il mondo in cui viviamo, ma è quello che desidero di più, purtroppo questo non accade. Ora voglio solo più vivere il suo ricordo con serenità e senza ombra di sofferenza. Non voglio più vivere con uno sguardo nel ato, perché mi spaventa cosa mi potrebbe ricordare, ma voglio solo più esistere nel presente con il ricordo del nostro magnifico amore.

DE’JA’ VU

Fin da piccolo ho sempre mostrato un interesse particolare per il periodo della “Bella èpoque”, ricordo mia madre quando, in alcuni momenti, mi parlava dei nonni che erano vissuti in quel periodo, descrivendoli nei minimi particolari.

Non riuscivo a capire, come non riesco ancora adesso a capire, per quale motivo ne fossi così attratto, sembrava che una forza astratta mi attirasse verso di sé, avendo quasi la certezza che, rivivendo quel periodo, avrei ritrovato me stesso. Tutte le volte che sfogliavo quei vecchi album di fotografie, custodite con cura da mia madre in un baule, messo in un angolo della soffitta, mi immaginavo all’interno di una di esse, chiudevo gli occhi e mi sembrava di vivere in un sogno, pur sapendo di essere sveglio. Fu proprio mentre rovistavo dentro il quel baule che, all’improvviso, il mio sguardo si incollò su una fotografia... C’era un vecchio signore che teneva per mano un bambino, dietro di loro c’era una fila enorme di botti di legno che contenevano vino. Non so per quale ragione rimasi diverso tempo a guardare quel Vecchio Mi sembrava un viso conosciuto. E nella frazione di un secondo, senza che potessi fare nulla per impedirlo, mi ritrovai catapultato in quella dimensione, come se avessi fatto un lungo viaggio nel tempo all’indietro. Magicamente entrai in quello scenario, abbandonando le mie sembianze, per trovarmi in un luogo misterioso a me completamente sconosciuto, vedendomi nei panni di quel bambino tenuto per mano dal nonno. Era una scena che avevo già vissuto tanti anni prima e quella sensazione mi provocava uno stato d’animo a metà tra il turbamento e lo scetticismo. Era il primo ricordo di quell’esistenza, con la sensazione che fosse stata piena e felice-.Siamo agli inizi del ‘900… La ”bella èpoque” è al culmine del suo sviluppo Mi chiamo Alexander, sono nato a Parigi nel 1884 da una famiglia borghese. Mio padre e mio nonno sono i maggiori produttori di champagne della Francia, mia madre viene da una famiglia d’alta aristocrazia con antenati d’alto rango. Fin da bambino ho ato molto tempo con mio nonno nelle cantine della grande tenuta, dove si produce il miglior champagne e il miglior cognac della Francia. Ha sempre voluto che assaggiassi piccole dosi di ciò che produceva, diceva che

quello era il miglior modo per sapere se il vino era di qualità, spiegandomi come conoscere l’anno di produzione, il tempo d’invecchiamento e da quali vigne venivano. Mio nonno ha un grande difetto nonostante ami profondamente mia nonna e per lei nutra un profondo rispetto, ha un debole per le altre donne, invaghendosi prima di una e poi dell’altra. Anche se loro fanno parte di una casta privilegiata, dove gli scandali non sono ammessi e dove il perbenismo è d’obbligo, mio nonno continua a mantenere il suo stile di vita del tutto trasgressivo e libero da vincoli e costrizioni. A lui piace are il tempo liberonei salottini privati diMaxims, accompagnato da stupende donne che rallegrano le sue serate. La sua eleganza è impeccabile, seguendo le tendenze della moda del tempo, arricchita sapientemente da piccoli dettagli che fanno la differenza. Non è difficile intuire chi si nasconde dietro quella figura tanto eclettica, l'esteta per eccellenza che fa del suo modo di vestire uno stile, tanto da essere preso come esempio. Dal suo armadio escono un'infinità di abiti e accessori, tra questi spiccano i suoi cappelli di Borsalino. Lui è diventato il modello d’eleganza della Parigi bene, tanto che le riviste di moda lo menzionano sempre con il suo cappello che porta sempre con sé, rientrando in quegli accessori preziosi con cui fregia il suo stile. Gli piace andare nei migliori Casinò d’Europa, il favorito è quello di Montecarlo dove si butta a capofitto sui tavoli da gioco, e sovente perde somme ingenti. Se ne andato un giorno, neanche ricordo come, probabilmente questa vita dissoluta gli ha stroncato il cuore, con lui è andato via uno dei pilastri che rappresentavano la “bella èpoque”, ricordo solo che, quando l’ho visto morto, aveva un sorriso sulle labbra, forse pensando d’essere ancora tra le braccia di una donna. Mia nonna era una donna bellissima, il fascino sprigionato dalla sua figura era indefinibile, purtroppo non ho avuto modo di conoscerla molto bene perché è

morta qualche anno prima del nonno, quando io ero ancora un bambino, evidentemente nascondeva in silenzio il dolore per quel marito dedito solo ai piaceri della bella vita, senza curarsi di lei e lei un giorno non ce l’ha fatta più, lasciandosi morire d’inedia. Ho avuto modo di conoscerla solo grazie ai racconti di mia madre, che parlavano di come ava gran parte del suo tempo a prendersi cura delle persone ammalate ed indigenti del posto, pagando per loro visite e medicine. Lei svolgeva con dignità il suo compito di moglie, lasciando sempre e dovunque dietro di se degli ottimi ricordi, sovente affiancava mio nonno nei maggiori salotti mondani di mezza Europa, dove era d’obbligo essere accompagnati dalle loro mogli, ma questa era solo una facciata, quello che veramente provava lei, lo porta dentro la sua tomba. Ora che ho raggiunto la maggiore età, grazie a lui, sono il numero uno dei Sommelier sulla piazza di Parigi. Dopo aver assaggiato i migliori vini, i migliori champagne e cognac in commercio, ora sono in grado di dire l’anno di produzione, il tempo d’invecchiamento e chi l’ha prodotto. Per questo motivo nei migliori salotti della Parigi bene, sono oggetto di grosse scommesse che senza sforzo vinco. A Parigi per me è tutto bello, i ponti, i viali con le sue eggiate, i night-club e i Bistrot dove viene servito il foie-Gras con baguette calde, ma soprattutto prediligo Pigalle con la sua vita notturna. Ho scelto di acquistare una garconniere arredata a Montmartre nella posizione più alta della collina, e dalla sua piccola terrazza posso scorgere una splendida vista della città. Poco lontano da Place Pigalle sorge il famoso Moulin Rouge, dove pittori e scrittori di fama mondiale si ritrovanoper trarre ispirazione per le loro opere, guardando gli eleganti balli che si susseguono, uno dietro l’altro. Mi piace vestirmi dai migliori sarti di Parigi ecomprare camice e cravatte da Carver, il leggendario camiciaio di fronte al Ritz. Hoincominciato a frequentare i migliori Cabaret di Parigi, soprattutto i salottini di Maxin in compagnia delle più belle donne e sul mio tavolo si sprecano

bottiglie di Don Pèrignon, mio champagne preferito. Ho acquisito diverse particelle cromosomiche da mio nonno, mi piace la bella vita, le belle donne, le belle macchine e soprattutto, mi piace andare nei vari casinò a giocare, e per questo vado sovente a Montecarlo... Sono seduto a un tavolo del caffè De Pari, sto aspettando che apra il casinò, al tavolo di fianco al mio la vedo… una figura di donna Una bella donna non può sfuggire alla mia attenzione, lei Mi colpisce in particolare la sua avvenenza... Per me le belle donne rappresentano magnifici dipinti degli impressionisti, e come i bei dipinti, possederne uno non significava a non averne altri. Penso che le si siano le donne più belle del mondo e per questo amo are il mio tempo libero nelle sue sale da gioco, posto ideale per incontrarle. Lei indossa un vestito celeste che le fascia il corpo e che le fa risaltare le curve sinuose, ha occhi azzurri come il mare e capelli biondi raccolti sotto un elegante cappello. Era la donna che appariva sovente nei miei sogni Quella con cui avrei voluto trascorrere ogni giorno della mia vita Mi guarda con un sorriso radioso che riflette un mare di promesse. Mi sorride, con altrettanto sorriso d’intesa alzo verso di lei il mio calice come a voler rendere omaggio al suo fascino. Le chiedo: “Posso presentarmi?” Sorridendo mi da la mano. “ Mi chiamo Caroline”. Mi avvicino a lei con l’idea di trovare un’avventura facile e breve, di quelle che avevo vissuto molte volte, ma mai nessuna degna di essere ricordata. Le mie storie d’amore sono sempre state effimere, ma questa volta mi prendo tutto il tempo per farla durare il più a lungo possibile

Caroline ha la testa lievemente piegata per guardarmi meglio, i suoi occhi si fanno più grandi mentre mi ascolta. Parliamo a lungo, conoscendoci a vicenda, gli dico d’essere scapolo perché non avevo ancora trovato la donna dei miei sogni. Mi dice d’essere la vedova di un titolato dell’alta aristocrazia Monegasca, che con la sua morte le ha lasciato una discreta fortuna consentendole di vivere agiatamente fino alla fine dei suoi giorni. Penso: “Siamo perfetti per stare insieme ”Senza saperlo, mi stavo già innamorando e senza saperlo lo stava facendo anche lei , solo che avevamo trovato il tempo e il momento sbagliato per farlo. “Buona sera Signor Alexander” mi dice l’autista che è venuto a prendermi. “Domani mattina dovrà rientrare a Parigi, deve presentarsi al reggimento”. “e per quale motivo?” “siamo entrati in guerra Signore “. Caroline è sconcertata, lo vedo dall’espressione del suo volto, anch’io lo sono, quella notizia mi ha tolto il buonumore; mi chiede: “Vuoi venire a casa mia? Ho una bottiglia di champagne che deve essere aperta” Me lo sta dicendo con un leggero cruccio che le sta velando gli occhi di lacrime “si…” le rispondo. Ci eravamo appena incontrati e già le nostre vite si separavano Avrei ato tutta la notte con lei, la prima notte insieme come fosse stata l’ultima Se la guerra ci avesse risparmiati, ci saremmo rivisti dopo sicuramente La strada che conduce a casa di Caroline è in salita e piena di curve che, dal centro di Montecarlo porta alla collina.

. È una bella casa, con una terrazza che dà su un panorama mozzafiato, ma in quel momento non avevamo voglia di ammirarlo. Io rimango lì fuori, giusto il tempo per vedere Caroline che arriva con i due calici in mano. Ed appoggiati al davanzale di quella terrazza, i nostri sguardi si incrociano, i calici velati di gelo svuotati ed appoggiati sul tavolino con lentezza, come a voler imprimere nelle nostre menti ogni attimo Un abbraccio ci unisce ed un bacio, il primo di tanti che seguiranno, suggella per sempre il nostro amore appena nato, ma nessuno di loro uguaglierà le sensazioni ed il sapore del primo. Inizia a piovere, mi accorgo che Caroline ha freddo, la stringo tra le mie braccia e lei risponde al mio abbraccio ancora più forte, mi da l’impressione che voglia sincerarsi che sono veramente con lei. Rientriamo in casa, non smette di piovere, l’unico rumore è il delicato tintinnio della pioggia sulla veranda. Lei, incollata al mio corpo, chiude gli occhi e le sue labbra si aprono sulle mie Quel bacio è il preludio del nostro Desiderio Mi avvicino, Il suo corpo scivola vicino al mio, sentiamo insieme, il miracolo della nostra pelle che si unisce, facendoci entrare in quel mondo ionale dove l’uomo e la donna si fondono in un solo corpo E per un istante la nostra vita ha un senso. Attimi intensi con una ione travolgente, sensazioni che non vogliamo che finiscano, li viviamo minuto per minuto, fino alla fine e dopo, rientrati ognuno nel proprio corpo, rimaniamo abbracciati e ci addormentiamo profondamente. Arrivano le prime luci del mattino, mi preparo per la partenza, l’avvenire si presenta ora, sotto una luce del tutto diversa, al punto che, le mie prospettive non mi paiono più le stesse. Guardo ancora una volta quella stanza, teatro del nostro amore, sembra che l’aria sia sparita ed insieme a lei anche la luce del sole, il suo sorriso, solo più un ricordo senza Speranza Un bene prezioso perduto per sempre. Sulle sue guance scorrono le lacrime, mi sento inumidire gli occhi, cerco di

mantenere calma la voce e abbracciandola, le dico: “Forse non ci rivedremo più, o forse, ci incontreremo in una nuova vita”. Per un attimo interminabile, le nostre labbra si schiudono per formulare parole, ma non esce alcun suono, è il nostro sguardo che parla per noi, dicendo tutto quello che è racchiuso nei nostri cuori È il 1914, le gioie spensierate della bella èpoque e il modo di vivere che riguarda soltanto il ristretto mondo degli aristocratici e dei ricchi borghesi, si spegne, ora, ad illuminare le serate di Parigi, sono i bagliori della prima guerra mondiale. Vengo richiamato alle armi con il grado di tenente ed oggi mi è arrivato l’ordine di partire per la prima linea. Le trincee sono semplici fossati scavati nella terra, queste sono le postazioni strutturate per la difesa di noi soldati. Non offrono un riparo sicuro, soprattutto le prime linee che distano pochi metri da quelle nemiche. Le virtù imposte dagli alti comandi sono: obbedienza assoluta ad ogni ordine impartito, resistenza alle sofferenze ed alla paura di trovarsi sempre a un o dalla morte. Le nostre giornate sono: Attesa del rancio che spesso non arriva, attesa della posta e attesa dell’ordine di attacco Pochi sono i momenti di riposo. Per gli esponenti degli alti comandi noi siamo considerati come le semplici pedine di un grande gioco di scacchi, rappresentato dal campo di battaglia; Dobbiamo muoverci come loro ci impongono, con attacchi contro il nemico seguiti dai ripiegamenti, lasciando sopra quella enorme scacchiera, centinaia di pedine che non avrebbero più giocato nessuna partita. Non ci sono né vinti né vincitori a sventolare le loro bandiere, ci sono soltanto i caduti lasciati sul campo, morti per una stupida partita di scacchi e il pianto di chi, per quella stupida partita, non li avrebbe più visti tornare. Ci accomuna lo spirito di corpo e la solidarietà tra noi soldati, tanto solida, da percepire la morte di un nostro compagno come la perdita di una parte di noi. Quasi ogni giorno siamo sotto il fuoco del nemico e quando cessa, intorno a noi

subentra un silenzio assoluto, solo i lamenti dei feriti, la presenza dei morti lasciati sul terreno dalle due parti e i nostri respiri, rompono quel silenzio. Rientriamo nella nostra trincea, questo è il momento in cui, con la mente e con il cuore, ci rivolgiamo ai nostri cari, scrivendo lettere o rileggendo le loro. E con il pensiero rivolto a loro, per qualche istante ci scordiamo gli orrori del giorno. Gran parte dei soldati del mio plotone è analfabeta, per questo io sono stato incaricato di scrivere e leggere per loro. Grazie ai loro racconti ed ai loro pensieri, conosco tutto di loro, conosco i nomi dei famigliari, degli amori, degli affetti e conosco i sogni che vorrebbero realizzare dopo la guerra e so che per molti di loro, questi sogni non si sarebbero mai realizzati. Sono stato incaricato di compilare il ruolino di servizio, elencando i nomi dei caduti dopo ogni battaglia e fare la conta dei superstiti, è un compito straziante Ogni nome che scrivo nell’elenco dei caduti, è come se fosse una coltellata che ricevo in pieno petto, rivedo il suo volto, i nomi dei suoi cari e i sogni che non avrebbe mai più potuto realizzare; di lui rimane un semplice foglio di carta, dove la famiglia viene informata che il suo caro ragazzo è caduto in battaglia, servendo con fedeltà a sprezzo del pericolo, la sua patria. Scrivo a mia madre lunghe lettere, le chiedo come sta e come sta papà, mi preoccupo della loro salute e mi informo dei danni che ha subìto la nostra azienda; Scrivo tutti i giorni a Caroline, le racconto la guerra, le racconto gli orrori che vedo e dei tanti miei compagni che non ce l’hanno fatta, le dico quanto mi manca… Lei mi scrive, ricevo le sue lettere una volta a settimana, mi dice che rimpiange i pochi attimi d’amore ati insieme e come s’immagina la nostra vita futura alla fine della guerra. Le sue lettere smettono d’arrivare, l’unica cosa che mi tiene in vita sono quelle, mille pensieri mi turbinano nella mente e s’ingigantiscono sempre di più Decido di scrivere a mio padre per chiedergli se riesce farmi avere notizie di lei.

Ed un giorno arriva la lettera tanto attesa Resto diverso tempo a rigirarla tra le mani, ho paura di aprirla, sento dentro di me una premonizione che non mi piace… La apro con questa sensazione che mi attanaglia lo stomaco: - Caro figlio mio, mi dispiace doverti dare brutte notizie. Caroline è rimasta ferita durante un bombardamento, le ferite che ha subìto erano troppo gravi e profonde, ha resistito per giorni ma l’infezione era troppo estesa -. Lo stomaco si fa in mille pezzi La tua Caroline non ce l’ha fatta, è morta due mesi fa. Mi dispiace tanto. Con affetto, Papà.Una doccia fredda nel freddo della guerra, tutta cosa mi circonda non ha più, né valore né senso, decido di offrirmi volontario per le missioni più pericolose, non voglio più vivere, non m’interessa più, tutto quello per cui lottavo ogni giorno, sparito, con lei muoio anche io E succede così Durante un attacco Sento un forte colpo e una sensazione di calore in mezzo al petto E cado… Con la faccia riversa verso il sole, sento il mio spirito abbandonare lentamente il mio corpo... Avverto una strana sensazione di serenità mentre mi allontano dalla mia esistenza Sento l’animo sereno mentre percorro la via delle tenebre dove in fondo si proietta una luce intensa, il mio unico desiderio adesso è di raggiungerla al più presto. Un forte bagliore illumina il mio cammino, vedo farsi largo in un alone di luce la figura di mio nonno, è seduto nel salottino di Maxim’s con due bellissime donne, una è Caroline intenta a tendermi la mano, io gliela prendo ed in quel preciso istante, riesco a staccarmi del tutto dal mio corpo.

Stavo rievocando la scena del mio decesso e il momento del aggio nella mia vita successiva.

Come per magia ero stato spinto da una forza oscura davanti a quella fotografia, che mi aveva fatto vivere in un tempo ato. Mi ritrovo nuovamente proiettato nel mio mondo, come se mi fossi appena svegliato da un sogno.

Esito sempre a rendere pubblica questa mia esperienza, se così vogliamo chiamarla, perché ho paura d’essere considerato un pazzo o perlomeno bizzarro dai miei colleghi ed amici, ma questo è quello che mi è successo. Mi chiamo Alberto e sono nato a Roma nel 1941… Tutto iniziò quando decisi d’andare a Parigi per scrivere un mio romanzo dal titolo “ Un amore sulla Senna”. Ero abituato a recarmi nei luoghi dove si sarebbero trovati i miei personaggi e mettere su carta le mie emozioni, che per me sarebbero diventate delle raffinate riflessioni e racconti degni di essere letti. Tengo a precisare di aver visto Parigi solo in cartolina e sopra qualche rotocalco, che la raffigurava come una delle città più belle del mondo. Mi trovavo sul treno e dal finestrino guardavo quella magica città avvicinarsi, fu allora che mi assalì una strana euforia, mi sembrava di tornare a casa dopo tanti anni e mi chiedevo perché quella vista mi suscitava tale sensazione. Quando giunsi alla stazione, la cosa più stupefacente era il piacere di sentire parlare il se e mi bastarono poche informazioni chieste alla gente del luogo che già capivo e mi esprimevo in maniera corretta nella loro lingua, come se parlassi la mia lingua madre Parlavo correttamente il se senza averlo mai studiato a fondo, era per me, una lingua conosciuta solo sopra i libri di testo ed in modo molto approssimativo. Mi trovai a eggiare per le vie di Monmartre, quando sbucai su una piazzetta ed ebbi una strana sensazione di dejà vu che mi attirò verso una vecchia casa con una grande terrazza che guardava tutta Parigi

Mi stavo chiedendo quale strana malia mi faceva percepire quel profumo che stranamente sentivo famigliare e soprattutto, come riuscivo a destreggiarmi tra i suoi vicoli e le scorciatoie Era qualcosa che riconoscevo senza averla mai vista e mi sembrava d’esserci già stato. Arrivai davanti al portone di quella casa, di fianco c’era un negozio, in vetrina c’erano esposti quadri di Parigi ed altri con volti di bellissime donne. Sarei rimasto più a lungo ad ammirare quelle magnifiche opere d’arte, ma la stessa forza che mi aveva condotto lì, mi spingeva all’interno del negozio. Quando entrai, vidi un cartello con la scritta “Fotografie della bella èpoque” con una freccia che indicava una scala che portava al piano superiore. Salii le scale come un automa e mi trovai nell’interno di una camera. Mi stavo chiedendo perché quella vista mi procurava tanto interesse, era come se ci fossi già stato, sapevo che la finestra dava sulla terrazza e che la porta che avevo davanti, conduceva nel bagno. La cosa più sconcertante era il mio grande piacere di trovarmi in quel luogo, dove sulle pareti vi erano appese fotografie di luoghi delle belle èpoque, quando all’improvviso, il mio sguardo si posò su una fotografia C’erano due persone sedute al tavolino di un bar, erano una donna ed un uomo e l’uomo era mia esatta immagine Non riuscivo a capire Cosa ci facevo in quella foto? Chi era quella donna? E soprattutto, cosa mi sta succedendo? Mi pervase un certo imbarazzo nel guardare quella foto, un vortice di pensieri mi stipavano la mente, facendomi rivivere strane emozioni, sicuro di averle già vissute in quel luogo... Capitava di nuovo E di nuovo sentivo quello stato d’animo a metà tra il turbamento e lo scetticismo Uscii da quel negozio, l’unica cosa che volevo in quel momento, era allontanarmi il più in fretta possibile da quel posto. Mi fermai a pranzare in un caratteristico ristorante con grandi vetrate che si

affacciavano sul fiume Senna. Pranzai con un piatto di spaghetti all’astice in perfetta armonia con un vinello bianco fresco al punto giusto. Guardando quel fiume, cercavo nuove ispirazioni, scrivendo tutto ciò che vedevo e sentivo al aggio lento della sua corrente. La mia idea era di scrivere il racconto di un amore nato sopra quel fiume e nella mia mente, stava già nascendo. Tutti i tavoli erano sistemati ai lati della Senna per permettere ai clienti, di godere in pieno della vista che si presentava ai loro occhi, mentre alcuni musicisti li intrattenevano con una musica in sottofondo. In un tavolo vicino al mio si accomodò una donna dal fascino conturbante, aveva occhi verdi e capelli neri pettinati a caschetto, con una frangetta che le copriva parte della fronte arrotondata. Le labbra erano evidenziate da un rossetto dal color rosa tenue, quella donna ricordava molto la donna che sovente vedevo nei miei sogni. Indossava un vestito nero di seta scollato che la avvolgeva come una seconda pelle, rivelando ogni dettaglio del suo corpo mostrando una postura perfetta, portava tacchi vertiginosi e uno scialle bianco sulle spalle. Mi sembrava d’essere ritornato nel ato e inspiegabilmente, di trovarmi a ripetere un copione vissuto in un periodo lontano. Ero conquistato dal suo sorriso, i suoi denti erano bianchi come l’avorio, ci guardammo, l’un attratto dall’altra, ci scambiammo i sorrisi che lasciavano trasparire un certo interesse reciproco, bastò uno sguardo in più e già eravamo uniti in una magica dimensione. Guardandola mi venne in mente la figura della donna vista nella fotografia il mattino, che mi aveva suscitato tanto interesse. “Posso presentarmi?” gli chiesi, avvicinandomi al suo tavolino. “certo” mi rispose di rimando “io mi chiamo Marianne, con chi ho il piacere di parlare?”

“mi chiamo Alberto e sono qui a Parigi per scrivere un libro”. “allora è uno scrittore, che tipo di libri scrive?” “scrivo storie d’amore” “bello"! Mi piacerebbe leggere qualche cosa” “se vuole le farò leggere quello che ho scritto fin’ora, sono poche le pagine che ho scritto, ma ho l’impressione che continuerò con velocità a scriverne”. “è ispirato?” mi chiese Marianne “in questo momento parecchio” risposi, guardandola negli occhi Il pianista stava suonando la melodia del “que reste-t-il de nos amours ” di Charles Trenet , con un sorriso invitante le chiesi di ballare, lei mi seguì sulla piccola pista e, mentre la stringevo dolcemente, potevo sentire il profumo della sua pelle. La sensazione di un dejà vu che mi stava accompagnando ormai da qualche ora, mi stava dicendo che avevo già vissuto quel momento, facendomi rievocare persone e fatti conosciuti su quel fiume in un tempo remoto. Quando il pianista smise di suonare, ritornammo al nostro tavolo, ci sedemmo davanti ad una coppa di champagne, parlando ininterrottamente per un lungo periodo “Oltre a scrivere, che cosa fai nella vita?” mi chiese. Eravamo ati dal lei al tu senza neanche accorgersene “non faccio un gran che, viaggio molto cercando nuove ispirazioni, sono un uomo single e posso permettermi di farlo” le dissi, rigirando la coppa di vino fra le mani. Lei mi stava ascoltando con attenzione, allora diventai più eloquente. “Amo molto il periodo della bella èpoque e mi sarebbe piaciuto vivere il quel mondo, a volte ho la sensazione di trovarmi con la brama insoddisfatta di non aver potuto vivere amori e ioni di quel tempo, con l’amarezza di non averli mai goduti, è per questo che nei miei libri, racconto sovente questo”.

Mi sembrava la cosa più naturale del mondo parlare con lei, era come se avessi ripreso un discorso lasciato a mezz’aria e ripreso a distanza di tempo, ritornando al punto in cui era stato lasciato. Marlene mi fece domande sulle mie esperienze acquisite durante i miei viaggi, ammirando la mia profondità di pensiero che traspariva da tutto ciò che le dicevo. “Io sono vedova, mio marito mi ha lasciato qualche anno fa”. “mi dispiace molto” “tu cosa fai per vivere?” “fortunatamente mio marito mi ha lasciato un’eredità che mi permette di vivere di rendita per il resto della vita ed inoltre, vivo nella casa che fino a qualche anno fa, era la casa dei miei genitori, anche loro, sono morti lasciandomi da sola.” Quelle parole mi risuonarono nella mente come se le avessi già sentite, ma a Parigi vicino a quel magico fiume tutto era possibile, anche innamorarsi di una donna forse conosciuta in un’altra epoca Era un’incontro piacevole, dal quale stava nascendo un magnifico sodalizio, che permetteva di farci domande e reciprocamente darci delle risposte. Senza rendercene conto, avevamo ato tutto il pomeriggio in quel locale, il momento di doverci salutare si stava avvicinando ma Marianne mi sorprese con una richiesta: “Che ne dici di venire a cena da me? Abito a pochi isolati da qui e la mia casa ha un terrazzo che dà sulla Senna, anche da lì si può godere di una splendida vista…”. Non so per quale motivo, speravo che me lo chiedesse e la mia risposta fu immediatamente “ Sì, con molto piacere”. eggiammo lungo le sponde del fiume, continuando a raccontarci e, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, ci prendemmo per mano.

“Ti rivelo un segreto” mi disse a bassa voce. “Ho la sensazione di averti già conosciuto”. Quelle parole mi risuonarono come un camlo, che anche lei stesse vivendo lo stesso mio dejà vu? “Anche io credo di conoscerti da molto tempo, ma non riesco a ricordare in quale circostanza”. Arrivammo al portoncino di casa sua, era in legno con il tetto in tegole canadesi, costruita a un centinaio di metri dal fiume; Aveva davanti una veranda fatta di grandi vetrate scorrevoli, che d’estate si potevano aprire trasformandola in una specie di podio. “Mettiti comodo sul divanetto che c’è in terrazza, io vado in cucina a prendere da bere, ti va bene un bicchiere di Perno?” “si grazie” E mentre lei svaniva dalla mia vista, rimasi incantato da quella vista mozzafiato, dove era possibile vedere una parte di Parigi ed in lontananza la torre Eiffel. Ritornò con un vassoio sul quale, due bicchieri colmi di quell’aperitivo tipico se dall’odore intenso di anice, facevano compagnia a una baguette con il camembert. “Mi spiace ma non ho molto da offrirai” mi disse mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. “Non mi sembra poco, anzi Se devo dire la verità, in questo momento ho poco appetito”. “Sai Anche io non ho molta fame” rispose avvicinandosi a me. Lasciammo intonso il vassoio che, placidamente, rimase sul tavolino Ci unimmo in un tenero abbraccio ad ammirare le luci dei lampioni che occupavano il posto del sole di quella giornata, rispecchiandosi sfavillando con le loro folgori iridescenti sul fiume.

Davanti a quel magnifico tramonto che si specchiava sul fiume, le nostre bocche si unirono in un lungo supremo bacio. Dopo quel bacio lei mi disse: ”Ora per noi esiste solo il nostro presente”. Mi piaceva sentirla parlare e quella cadenza se, rendeva ancor più armoniosa ogni sua parola ed in quell’istante, desideravo solo abbandonarmi tra le sue braccia, cancellare tutto il mio ato e vivere con lei quella ione d’amore che non avevo mai provato. Mi sembrava di immaginare uno di quei quadri di Montmartre, esposti nella piazzetta degli artisti, il ritratto di un uomo e una donna attratti come una calamita l’un verso l’altro, che si univano in una magica dimensione. Ci fermammo a lungo sul terrazzo, guardando quel fiume calmo e scuro, illuminato dalla luna che si rispecchiava con il suo color pallido sul suo lento scorrere. Lei mi prese la mano, in quel tocco sentivo un certo fluido riversarsi in tutto il mio essere, da quel momento, l’uomo che ero sparì e un uomo nuovo prese il mio posto. Era come aver ricevuto in dono il vero amore, tanto da fondere le nostre menti in una sola, richiamando dai meandri della mia, piaceri ed emozioni uniche, uscite da quel gorgo senza fondo di desideri inappagati per molto tempo e celati in fondo al cuore. Mentre la baciavo, sentivo le braccia di Marianne che mi stringevano forte e la magia di quel fiume tornò a fluire a grandi ondate. Solo allora capii perché avevo desiderato tanto intraprendere quel viaggio. Le emozioni si susseguivano una dopo l’altra, mi sembrava d’essere sull’orlo di un precipizio e precipitavo in un meraviglioso panorama che si apriva davanti al mio sguardo Non avevo mai provato tale sensazione per nessuna donna. La sua figura mi era diventata all'improvviso indispensabile . Marianne appoggiò la sua mano sulla mia, come se volesse sincerarsi che ero con lei e si fece sempre più vicina. I nostri corpi si unirono sempre di più, prima esitanti, poi stringendoci forte.

La nostra pelle venne a contatto, i nostri respiri si fecero sempre più pesanti e le nostre mani si lambirono delicatamente. Mentre le nostre labbra continuavano a unirsi con ione, il desiderio salì in noi, ormai avevamo perso ogni controllo di noi stessi e tutti i sentimenti esplosero insieme. Il desiderio, la paura e la voglia struggente. che avevamo l’uno dell’altra, ci trascinava in quel mondo ionale dove l’uomo e la donna si fondono in un corpo unico. Stavo rivivendo la storia di un uomo e una donna mentre vivevano una travolgente storia di amore in una precedente rincarnazione, dove due mondi diversi s’intrecciano nella storia vissuta in un melodramma dai risvolti fantasiosi. Ad un certo punto, mentre guardavo Marianne, mi apparve un Flashback: vidi il volto di Caroline che mi stringeva e si preparava per ricevermi; questa visione si alternava in continuazione con il volto di Marianne. Stavo facendo l’amore contemporaneamente con due donne diverse, in un amplesso vissuto senza nessuna inibizione, assaporando ogni emozione trasmessa da quel meraviglioso pegno d’amore, poi lentamente, rientrammo nuovamente ognuno nel proprio corpo, e per un attimo la nostra vita ebbe un senso. Tra noi c’era un legame indefinibile che mi faceva provare un sentimento di nostalgia verso qualcosa che avevo già vissuto. Mi pervase un certo imbarazzo nel guardarla, un turbinare di pensieri sommergeva dalla mia mente, facendomi rivivere lo stesso amplesso vissuto in una vita remota con Caroline a Montecarlo. Avevo rivissuto la storia di un’immensa ione fra un uomo e una donna, interrotta da una guerra, che ricomparivano in una vita successiva con altre sembianze, altri nomi ed altre vite, ma con lo stesso ruolo quello di portare a termine una storia rimasta in sospeso nel tempo. Marianne si era addormentata con una mano sul mio petto.

Decisi di completare il mio libro; Quel fiume e Marianne mi diedero l’ispirazione per completarlo. Presi il taccuino e incominciai a scrivere il turbinio di sensazioni ed i piaceri provati e ritrovati con quel incontro. Le righe aumentavano fino a completarne le pagine, una dietro l’altra e così via, fino a completare l’ultimo capitolo. “Sei rimasto sveglio tutta la notte?” mi rispose Marianne che si era appena svegliata. “Si… Sono rimasto a guardarti mentre dormivi e poi ho deciso di riprendere a scrivere il mio libro”. “tutta la notte?” “a quanto pare si…” “a che punto sei arrivato?” “penso di averlo finito” “davvero"? Allora lo voglio leggere!” “tu sarai la prima a farlo perché la protagonista sei tu…”. “e come finisce?” “non si svela mai il finale dei libri, ma, viste le circostanze, ti dico solo che finisce bene”. La notte si stava spegnendo con i suoi rumori, la natura riprendeva a respirare e all’orizzonte si intravedeva un leggero chiarore che divideva il cielo dal mondo e sorgeva piano, piano il sole. Dal terrazzo della casa ci fermammo a guardare quel meraviglioso spettacolo della vita e con il sottofondo del fruscio del fiume, ci scambiammo un lungo bacio d’amore. Guardai Marianne e le dissi: “Questo libro è la storia del nostro amore nato in un tempo lontano che non

cesserà mai di esistere”. “Io ti ho sempre aspettato, ho sperato che questo momento arrivasse perché in cuor mio sapevo che saresti ritornato, e adesso sei qui, nulla più ci potrà separare”. E per mano c’incamminammo sulla strada della nostra felicità, lasciando alle spalle la nostra storia d’amore che ci aveva uniti e divisi, per riviverla di nuovo e più intensamente. Sono ati molti anni da quel giorno, Io e Marianne ci siamo sposati e abbiamo deciso di vivere in quella casa con il tetto di legno vicino alla Senna, amandoci ogni giorno come se fosse il primo, provando sempre le stesse emozioni percepite il primo giorno che ci siamo incontrati.