I Pipistretti (illustrato): Le Fiabe Di Nathalie Vol.4° 5d3l5n

Nathalie Guarneri

I Pipistretti

Le fiabe di Nathalie vol 4°

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Indice dei contenuti

I Pipistretti Colophone PRESENTAZIONE L'AUTRICE LE FIABE PIPISTRETTI E PIPILARGHI PIPISTRETTI IN CITTA' PIPISTRETTI AL MARE PIPISTRETTI E FARFELLE NOTTE DA... PIPISTRETTI

I Pipistretti

cinque fiabe originali

le fiabe di Nathalie vol.4°

Colophone

Riferimento diritti d'autore

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PRESENTAZIONE

Ehi, venite! Vi devo assolutamente presentare i Pipistretti. Sono pipistrelli un po’ più “sottili” rispetto a quelli comuni, ma come loro si nutrono di zanzare e altri insetti, e… hanno una gran voglia di farsi conoscere. Mamma e Papà Pipistretti, e poi Ciuffolo, Fiffo, Foffo, Ciccia, Sbuffa e Riccia ci tengono a raccontarvi le loro avventure: nel bosco, in città, al mare e perfino nella… nebbia, durante la notte di Halloween. Conoscerete anche altri personaggi che svolazzano attorno a loro: come i Pipilarghi, zia Pipistrella, cugino Pipignao, Mastra Civetta, le elegantissime Farfelle, e perfino… un Fantasmino sperduto. Coraggio! Siete pronti per tuffarvi nelle loro storie?

L'AUTRICE

Nathalie Guarneri scrive da sempre, ha collaborato con diverse riviste di narrativa femminile. Lombarda, con una maturità classica in tasca e una laurea in Lingue nel cassetto, e una tesi sulle fiabe d’arte, è felicemente sposata da oltre trent’anni e ha due figli. Ama la musica, i film e le foto in bianco e nero, le storie romantiche e i classici. On line sono disponibili diversi suoi ebook, “Natale… rosso amore”, “Sei tu la mia ione”, “Tutta colpa di un bouquet”, “Brividi rosa sotto l’albero”, e altre raccolte di fiabe per bambini: “Pettiverde”, che da mesi si trova nella Top 100 Fiabe di Amazon, “Angioletto”, fiabe dedicate al Natale, e “Io sono la Luna”, fiabe pazzerelle della buonanotte. Questo è il suo ottavo lavoro in digitale. Se volete contattarla, comunicare con lei in merito a ciò che scrive, ha una pagina su Facebook che si intitola “Gli ebook di Nathalie Guarneri”.

LE FIABE

PIPISTRETTI E PIPILARGHI PIPISTRETTI IN CITTÀ PIPISTRETTI AL MARE PIPISTRETTE E FARFELLE NOTTE DA… PIPISTRETTI

PIPISTRETTI E PIPILARGHI

Tutti no i sappiamo che i pipistrelli sono animaletti molto utili per la campagna, che si nutrono di zanzare e altri insetti nocivi. Ma non tutti sanno che in natura ne esistono di molti tipi. O, almeno, nella nostra storia c’è una famiglia molto, molto particolare di pipistrelli. Anzi, Pipistretti. Li chiamavano così, perché erano di costituzione più sottile rispetto ai comuni pipistrelli. E soprattutto rispetto alla famiglia che imperversava nel bosco, e che veniva soprannominata, per contrapposizione, “Pipilarghi”. Molti dicevano che i Pipilarghi erano prepotenti, sempre pronti a fare razzie e dispetti di ogni genere, in particolare proprio ai Pipistretti, che dovevano considerarli loro nemici personali, anche se nessuno sapeva, di preciso, perché. Non perdevano occasione, ad esempio, per far ruzzolare giù dall’albero Mamma Pipistretta, poverina, quando era addormentata, per il gusto di farlo. C’era anche chi diceva di aver visto i Pipilarghi starsene nascosti per ridere da matti alle sue spalle, mentre il papà e i figlioletti la soccorrevano, visto che si faceva male alle ali. Il più piccolo dei Pipistretti, Ciuffolo, così chiamato perché aveva un gran ciuffo, era anche il più intraprendente di tutti, voleva vendicarsi e sfrangiare le ali dei Pipilarghi. Ma il resto della famiglia lo tratteneva, dicendo che questo genere di cose non faceva parte del loro stile. Si erano sempre comportati bene, nel bosco, e desideravano continuare a farlo. «Ciuffolo è un birbante, però è anche vero che non possiamo continuare così!», disse una sera Mamma Pipistretta allargando le sue belle ali a pallini, «son tutta indolenzita per le botte che ho preso quando mi hanno fatto cadere l’altro giorno, e ho un’ala scombinata» Papà Pipistretto convenne: aveva ragione lei. Come fare? Si rivolsero dunque a qualcuno che poteva consigliare loro nel migliore dei modi.

Si trattava di Mastra Civetta, che viveva nel folto del bosco in compagnia dei suoi civettini colorati. Era una specie di fata e aveva sempre una risposta saggia per tutti. «So già tutto! Me ne hanno parlato!», esclamò quando Papà Pipistretto andò a trovarla nel tronco del suo albero. «E avete tre possibilità. La prima è scappare via, cioè andarvene da questo bosco, per cercarne uno un po’ più tranquillo, non infestato dagli invadenti Pipilarghi… La seconda è vendicarvi, cercando in tutti i modi di precederli quando combinano questi dispetti. Ad esempio, fissando le loro ali con alcuni rametti agli alberi, quando si stiracchiano, la mattina, prima di fare la nanna…» Papà Pipistretto scosse la testa: «Mio figlio Ciuffolo, il Pipistretto giallo, ha già proposto questo genere di vendette. Come fare gli sgambetti ai Pipilarghi mentre stanno per mettere in bocca cinque o sei zanzarine, per esempio. Ma a noi Pipistretti in genere non piacciono queste cose. Io non insegno la vendetta ai miei Pipistrettini», puntualizzò. Mastra Civetta sospirò, mentre i suoi figli civettini colorati ridevano e si rincorrevano tra loro sull’albero, rischiando di farla cadere. Lanciò loro un’occhiataccia, che li fece desistere dal continuare, poi parlò. «Mi pare saggio da parte tua. C’è anche una terza possibilità!» «E sarebbe?» Mastra Civetta spalancò i suoi già grandi occhioni. «È anche la più difficile da realizzare. Diventare amici dei Pipilarghi. Convincerli ad andare d’accordo con voi» «Cosa? Ma è impossibile. Ci odiano!» «Tu sai il perché?» «No» «Prova a scoprirlo, allora. In fondo può anche darsi che non siano così

prepotenti, questi Pipilarghi. Magari son solo chiacchiere del bosco!» Non era molto soddisfatto, Papà Pipistretto, quando ritornò a casa dopo essere stato a parlare con Mastra Civetta. Non gli aveva dato nessun consiglio degno di interesse. Per di più, sulla via del ritorno incontrò uno dei piccoli Pipilarghi, esattamente il più tondo di tutti, Pipitondo, appunto, verde e rosso con tanti pallini, che gli tirò addosso con la fionda una serie di bacche colorate, giusto per farlo arrabbiare. Per poco Papà Pipistretto stavolta non si dimenticò dei suoi propositi di nonvendetta, e non lo rincorse per dargli una sculacciata con le ali. Poi si trattenne, ricordandosi di essere un pipistrello serio e coerente: e tornò a casa. «Allora, che cosa ti ha detto Mastra Civetta?», domandò Mamma Pipistretta. «Di rompere la casa dei Pipilarghi a testate? Di tirar loro addosso tutti i rametti del bosco?», suggerì Ciuffolo, che aveva voglia di attaccare briga. «Be’, non esattamente. Potremmo andarcene in un’altra foresta, per esempio. Oppure trovare un modo per andare d’accordo», rispose. Ciuffolo non era per niente contento. «Questa Mastra Civetta non capisce niente. Io voglio litigare!», protestò. «Io no, invece. Ma non mi va di andarmene via», disse Papà Pipistretto. «Nemmeno a me», disse Ciuffolo. «Nemmeno a me!», fecero eco, quasi in coro, Mamma Pipistretta e gli altri Pipistretti figli. «Ma come si fa ad andare d’accordo con quelli lì, che fanno i dispetti alla mamma? Non ci penso neanche», brontolò Ciuffolo, tutto arrabbiato. E andò a ritirarsi nella sua casetta, che aveva ricavato da un buchetto nell’albero, sotto quella dei suoi fratellini.

Papà e Mastra Civetta non avrebbero risolto un bel niente, in questo modo. Lui sapeva benissimo chi erano quelli che facevano cadere la mamma. E non c’era che un modo, per farli smettere. Dar loro una bella lezione! Dunque si armò di pazienza, quella sera, al tramonto, dopo aver dormito a lungo. Prima, con papà, mamma e fratellini, cenò con una bella scorpacciata di insetti gustosi. Poi si mise in viaggio. Non disse a nessuno dove andava: invece la meta del suo cammino era la casa dei Pipilarghi, proprio nel centro del bosco. Com’era buio, lì dentro! Ma grazie ai suoi radar riuscì a evitare tutti gli ostacoli che trovava sul suo cammino. Finché all’improvviso qualcosa gli impedì il aggio, facendolo ruzzolare dentro a una grossa buca. Che cos’era successo? Un grosso ramo di un albero secolare si era spezzato all’improvviso, e gli era finito addosso. Ohi, che botta! Provò a rialzarsi, ma non ci riuscì, un’ala era andata a incastrarsi proprio sotto al ramo. Oltre tutto, gli faceva anche molto male. Poi sentì che qualcuno gli si era avvicinato. «Che guaio!» Era uno scoiattolino con la coda rossa.

Puoi aiutarmi a uscire di qui?

«Puoi aiutarmi a uscire di qui?», gli chiese Ciuffolo. «Ci provo!» Con un paio di saltelli gli fu accanto, cercò di tirarlo fuori, ma senza riuscirci. «Proprio non ce la faccio», disse lo scoiattolino, «mi dispiace» «E adesso? Resterò qui per sempre? Io dovevo…» L’ala gli faceva un gran male, adesso. E gli veniva da piangere. «Aspetta. Chiamo qualcuno che possa farti uscire da qui. Faccio in un attimo!» Lo scoiattolino si allontanò, velocissimo, sembrava un folletto. E poco dopo fu di ritorno, portando con sé qualcuno. Qualcuno che Ciuffolo conosceva bene. “Papà Pipilargo! Ma con tutti gli animaletti che ci sono in questo bosco, proprio lui…?”, pensò il povero Pipistretto, disperato. Immaginava, a quel punto, che Papà Pipilargo gli strape le ali, o qualcosa del genere. Invece… «Oh, poveretto», disse, «sei proprio messo male. Ma vedrai che ti libererò in un batter d’occhio. Tu, Codone», ordinò, rivolgendosi allo scoiattolino, «tieni fermo il ramo, io provo a tirarlo fuori, cercando di non fargli male all’ala». Uno strappo secco, e Ciuffolo fu libero. Libero! E l’ala non era affatto spezzata. Solo un po’ indolenzita.

A Ciuffolo girava un po’ la testa: ma stava bene. «Grazie», fu costretto a dirgli. «Di niente. Ma tu fai parte della tribù dei Pipistretti. Che cosa ci fai, tanto lontano da casa tua?», gli chiese. «Ehm… credo di essermi perso», rispose Ciuffolo, confuso. «Sul serio? Sei arrivato molto lontano! Se vuoi, io e i miei figlioletti ti possiamo guidare verso casa» Cosa? Lui, guidato a casa da quegli orribili individui? Non poteva permetterlo! «No, no, io posso andare da solo!» «Non puoi, hai un’ala che ti fa male. Chissà dove finiresti. Io conosco la strada. E per i miei Pipilarghi sarà una eggiata. Di tanto in tanto anche noi arriviamo sin dalle vostre parti, sai?» Ciuffolo avrebbe voluto tirargli un colpo d’ala. Eccome, se lo sapeva! E non solo “di tanto in tanto”. Quante volte aveva visto quegli antipatici Pipilarghi dalle loro parti? E quante volte avevano fatto cadere la mamma? E i dispetti che facevano a lui? Però… il papà dei Pipilarghi era gentile. Ciuffolo sentiva tanto male all’ala, era stanco e aveva anche voglia di piangere. Non poteva rifiutare il suo aiuto. E così, con la squadra di Pipilarghi al seguito, con la compagnia di Codone, che ormai gli si era affezionato e voleva sapere dove abitava, Ciuffolo fece ritorno a casa. Grande fu la sorpresa del suo papà, della mamma e dei fratellini, quando lo videro tornare proprio in compagnia dei… nemici, che era diventati improvvisamente amici. Ma che cos’era successo? I due papà si salutarono.

Scoprirono così che chi faceva i dispetti alla mamma Pipistretta, erano i due piccoli gemelli Pipilarghi, Pop e Pip, cicciottelli e alquanto maldestri. In realtà non lo avevano mai fatto apposta: ma siccome litigavano in continuazione, con la loro vista non proprio perfetta, sbattevano sempre qua e là. E finivano regolarmente addosso a mamma Pipistretta, facendola ruzzolare. L’unico, vero monello del gruppo era Pipitondo, che fu costretto a domandare scusa a tutti i Pipistretti. Pace fu fatta, dunque, tra Pipistretti e Pipilarghi. Pop e Pip, per farsi perdonare, portarono in dono a mamma Pipistretta una foglia gigante, con sopra una gran quantità di insettini prelibati. Insomma, tutte quelle dicerie sulla prepotenza dei Pipilarghi non erano poi vere. Aveva ragione Mastra Civetta. Da quel giorno così Ciuffolo, i suoi fratellini e i Pipilarghi cominciarono a giocare sempre più spesso insieme…

PIPISTRETTI IN CITTA'

Mamma Pipistretta aveva già fatto le valigie, aiutata da Papà . Zia Pipistrella aspettava tutta la famiglia in un bel giardino di città, per qualche tempo. Nel gruppo dei piccoli Pipistretti qualcuno era desideroso di incominciare la nuova avventura. Altri invece avrebbero preferito rimanere nel bosco. «Io non ho voglia di andare via. Sto bene dove sono», protestava Ciccia, la… meno “stretta” della famiglia, con le sue alucce azzurre. Già, chi glielo faceva fare, di andarsene da un’altra parte? Qui, nel suo caro bosco, faceva certe scorpacciate di insetti e vermini squisiti! E se in città non avesse trovato quel che c’era qui? Non aveva alcuna voglia di starsene a dieta. Non ci teneva affatto, a diventare più “stretta”. I suoi fratellini la prendevano un po’ in giro, ma a lei non importava niente: era la più felice di tutte, proprio perché mangiava tante cose buone. Veramente qualche volta la mamma la rimproverava, visto che tendeva a esagerare un po’: ma non troppo. Mamma e Papà Pipistretti intanto si erano raccomandati: in viaggio dovevano stare tutti in gruppo, per evitare di perdersi. Anche loro facevano fatica a orizzontarsi, come sempre si sarebbero affidati ai loro radar incorporati: ma i Pipistretti piccolini avrebbero potuto trovare difficoltà. In particolare, il papà si rivolse ai due più monelli tra i suoi figli, e cioè Fiffo e Foffo, che continuavano a farsi dispetti a vicenda. Fatte dunque le dovute raccomandazioni, tutta la famiglia dei Pipistretti salutò gli amici del bosco e partì, diretta verso la città. Non sapevano proprio che cosa li attendeva, ma erano fiduciosi. Zia Pipistrella in fondo li aspettava da un bel pezzo.

Tante volte Mamma e Papà Pipistretti avevano promesso che sarebbero andati a trovarla, ma non l’avevano mai fatto. Adesso era il momento giusto: con la bella stagione infatti avrebbero trovato da mangiare tante cose buone, e avrebbero fatto amicizia con altre famiglie. Zia Pipistrella qui si trovava bene. Aveva una bella casetta, trovata in mezzo ai tronchi degli alberi di un grande parco. Le succedeva di faticare un po’ a dormire, perché, soprattutto di pomeriggio, finito l’orario scolastico, ci avano tanti bambini, a volte fin troppo chiassosi e… pericolosi, perché giocavano a palla. Con la palla, infatti, molto spesso sfioravano la sua casetta. Ma la sera e di notte era una bellezza: sembrava proprio di starsene in un bel bosco. C’erano poi tanti altri animaletti che all’imbrunire scendevano dagli alberi per fare conversazione, come gli scoiattoli, e tanti uccellini, per esempio. O altri pipistrelli simpatici. Quando arrivarono a destinazione, tutti i Pipistretti furono accolti da zia Pipistrella con grande gioia, che dimostrò svolazzando loro intorno. «Venite a vedere, ho preparato una casetta, tutta per voi, per questo periodo che erete qui! Immaginavo, che sareste venuti!», esclamò, guidandoli verso il grosso tronco d’albero dove abitava. In realtà la casetta non era grandissima, e i Pipistretti erano tanti. Però ci sarebbero stati bene ugualmente. Zia Pipistrella decise che sarebbero rimaste con lei Riccia e Sbuffa, le due Pipistrette più piccole. Si sarebbero fatte buona compagnia. Così cominciarono le loro giornate insieme: di giorno dormivano, e verso sera uscivano dai loro nascondigli, gironzolando e mangiando, il parco era zeppo di cose buone da mangiare.

I Pipistretti erano molto contenti: avevano fatto anche amicizia con gli altri pipistrelli del posto. Erano tutti simpatici tranne uno: Pipistrello Brontolone, un pipistrello anziano che viveva solo e aveva sempre da ridire su qualunque cosa. Gli dava fastidio, per esempio, lo schiamazzo che facevano rondinini e rondinotti attorno a casa sua. Oppure il ronzare delle api sui fiori, mentre sonnecchiava beatamente di giorno. Infine cominciò a borbottare anche vedendo i nipotini di Pipistrella che la sera volteggiavano tra i rami. Secondo lui, gli spettinavano le ali. Fiffo, Foffo, Ciuffolo e gli altri, quando Papà Pipistretto li sgridava, si arrabbiavano molto. «Quello lì, tanto, brontola sempre!», diceva Ciuffolo. «Dovete comunque essere gentili. Ricordatevi che qui siete ospiti di zia Pipistrella», consigliava il papà, che ogni volta andava a scusarsi dal Pipistrello Brontolone per le intemperanze dei suoi figli. I Pipistretti piccoli invece non avevano tanta voglia di scusarsi. «Quasi quasi io le ali gliele spettino veramente», disse Foffo, più tardi, rivolgendosi ai fratellini. «E io gli lego la coda con un bel nodo!», aggiungeva ridendo Fiffo, che era un gran monello. «Ma insomma, non si può!», protestava Riccia. «Cerchiamo di comportarci bene. Se no ci va di mezzo zia Pipistrella e mi dispiace». «Sì, ma una lezioncina a quel Brontolone bisognerebbe darla davvero», intervenne Ciuffolo, che aveva una gran voglia di combinarne una delle sue. «E se gli fimo fare un bel tuffo nella fontana?», suggerì Sbuffa che era la più birichina delle Pipistrette.

Risero tutti insieme, anche se Riccia si rifiutò di collaborare. Invece i piccoli Pipistretti monelli decisero di mettere in atto il loro proposito. Dissero a Riccia che si trattava di uno scherzetto innocente, poi lo avrebbero riportato a casa sua. Dunque una mattina di fine maggio, in cui Pipistrello Brontolone si era appena addormentato, pian piano gli sfilarono la coda dal ramo a cui se ne stava appeso, e poi in volo lo portarono verso la fontanina del grande giardino. Mamma e Papà Pipistretti, che dormivano anche loro, non si accorsero proprio di nulla. Ciuffolo, Foffo, Fiffo, Sbuffa e Ciccia, mentre Pipistrello Brontolone continuava a dormire, lo calarono dentro l’acqua, poi volarono via, proprio mentre lui si svegliava e gridava come un matto per lo spavento. Naturalmente poi, da lontano, ben nascosti, si godettero la scena, ridendo tutti quanti insieme. «Ah, hai visto che buffo? Guarda come scuote le ali!» «E com’è arrabbiato!» «E come strilla!» «Almeno adesso brontola per qualcosa di serio» «Già, ben gli sta!» A fatica il povero Pipistrello Brontolone uscì dall’acqua, grondante. L’idea dei Pipistretti era quella di soccorrerlo adesso, fingendo meraviglia, per poi riportarlo a casa. Ma… accadde qualcosa. Tre ragazzotti – davvero tre brutti ceffi dall’aria cattiva – avanzarono verso la fontana, sghignazzando.

«Ehi! Ma che roba è quella…?», domandò uno. «È un pipistrello, non vedi?», intervenne il secondo. «Quanto è brutto, fa proprio schifo!», esclamò il terzo. Pipistrello Brontolone capì che parlavano di lui, e li guardò male: «Uh! Sarai bello tu…», disse. Ma i ragazzacci non lo capivano, naturalmente. «Hai ragione. Mandiamolo via!», riprese il primo, e afferrò una grossa pietra, deciso a lanciargliela addosso. Ciuffolo per primo si accorse di quello che stava succedendo. Poi li vide anche Fiffo. E Sbuffa. Intanto il primo ragazzaccio aveva lanciato la pietra, ma per fortuna Pipistrello Brontolone si era scansato in tempo. Intanto però erano arrivati anche gli altri, con grossi sassi acuminati.

Levami di torno queste bestacce!

I piccoli Pipistretti allora si guardarono in faccia in fretta: non dovevano perdere nemmeno un secondo! Il povero Pipistrello Brontolone rischiava grosso con quei tipacci! Ciuffolo, Fiffo e Foffo cominciarono a svolazzare dunque minacciosamente attorno ai tre brutti ceffi che, presi alla sprovvista, si spaventarono un bel po’. «Ahhh! Levami di torno queste bestiacce!», esclamò il primo, con tanto di occhi sbarrati. «Arrangiati tu, io me ne vado. Ma lo sai che se ti si attaccano ai capelli, ti si appiccicano con le ali e poi bisogna tagliarli? Io ai miei capelli ci tengo!», borbottò il secondo, scappando. Pensate un po’: oltre che cattivi, questi tipacci non sapevano nemmeno che queste sono solo fandonie! «E allora questo sasso glielo lanciamo o no?», domandò il terzo. «Be’, io lo lancio lo stesso…» Foffo gli si parò dinanzi con le sue ali blu e il terzo tipaccio non vide più dove doveva tirare il sasso, che però fu ugualmente lanciato e finì sulla zampina della povera Sbuffa che, nel frattempo, aveva cercato di trarre in salvo il Pipistrello Brontolone. Mentre i tre ragazzacci fuggivano, gli altri Pipistretti accorsero: la loro povera sorellina si era fatta male. E anche il Pipistrello Brontolone, che era sì un gran brontolone, ma aveva il cuore buono, si commosse di fronte al coraggio di questa piccola amica. «Oh, mi dispiace tanto! Quel sasso era destinato a me, e un po’ me lo meritavo anche, visto che mi lamento sempre per tutto quanto!», osservò, rincresciuto.

«Non dirlo nemmeno! I miei fratellini ti hanno giocato un brutto scherzo e guarda che cosa stava per succedere!», esclamò Riccia intervenuta in quel momento. Che spavento! Tutti quanti, poco dopo, ritornarono a casa insieme. Pipistrello Brontolone guidava il gruppo insieme a Ciuffolo, che aveva smesso con i suoi dispetti, e Sbuffa, ferita all’aluccia, se ne stava sulle spalle di Riccia. Papà e Mamma Pipistretti sgridarono un bel po’ i figli monelli, mentre Sbuffa fu medicata da zia Pipistrella che aveva nel suo tronco d’albero una gran quantità di medicamenti portentosi: e in poco tempo la piccola Pipistretta guarì. E il Pipistrello Brontolone? Be’, continuò a essere brontolone, si capisce: ma un po’ di meno. Non solo: per tutta la durata della vacanza in città dei Pipistretti, la sera svolazzava a lungo nel parco in loro compagnia: per fare cena e per chiacchierare. Quella brutta avventura, se non altro, gli aveva permesso di conoscere nuovi amici…

PIPISTRETTI AL MARE

L’estate era arrivata anche nel bosco . La sera era tutto un gran svolazzare di uccellini affamati, pipistrelli in cerca di avventure, insetti a caccia di… guai. Mamma e Papà Pipistretti avevano appena finito di cenare quando ricevettero la visita di un loro lontano parente, che abitava al mare. Si chiamava Pipignao, era un grosso pipistrello, cugino per parte di papà, ben pasciuto. E portava gli occhiali. Si accomodò sul ramo che ai Pipistretti serviva per dormire e parlò delle sue giornate balneari. «Qui nel bosco si sta bene», disse. «Al mare, però…» «Che c’è al mare? C’è da mangiare di più?», domandò il goloso Foffo. «Sicuramente sì, e non solo. Gli abitanti hanno costruito tante bellissime casette per noi pipistrelli», spiegò, «dove stiamo tutti bene. Siamo trattati come re! Ci tengono, gli esseri umani, a noi». «Davvero?», domandò Riccia, sorpresa. «Dicono che siamo utili, perché mangiamo tanti insetti nocivi. Vero che sia o no, insomma, è un fatto che c’è di che sfamarsi. Vedete come son diventato cicciottello? Merito di quel che ho mangiato in questo periodo», affermò massaggiandosi la pancia rotonda. «Certe leccornie…!» «Uh. Piacerebbe anche a me», sospirò Ciuffolo. «E poi è un posto adatto ai giovani pipistrelli. Non avete pensato che potreste prendervi una vacanza?», propose a quel punto Pipignao. Mamma Pipistretta fece una smorfia: «Mah, non saprei. Qui noi stiamo bene» «Però è anche vero che un cambiamento d’aria farebbe bene sia a noi che ai ragazzi», obiettò Papà Pipistretto.

Veramente anche lui sognava di vedere il mare. Ne aveva sentito tanto parlare, sin da quando era piccolino, da certi suoi parenti: ma non lo aveva mai visto! «Dai, papà. Ci andiamo?», disse Fiffo, speranzoso. «Be’, è il posto ideale per la gioventù pipistrella», assicurò Pipignao con sussiego. «Davvero?», si informò Mamma Pipistretta. «Sì! Si possono fare tanti incontri interessanti. Da quando gli umani hanno preparato tutte quelle casette, il posto si è riempito di pipistrelli un po’ ovunque, specialmente nelle piccole pinete vicino al mare. Si sta benissimo, c’è molto da mangiare e non si viene disturbati. Inoltre volare sopra alla distesa azzurro-blu, la sera, è molto suggestivo», assicurò Pipignao. «Mi pare un’ottima idea. Credo che ti seguiremo, caro Pipignao, quanto ritornerai al mare. Se c’è posto anche per noi…», disse allora Papà Pipistretto. «Di casette ce ne sono tante, e alcune sono perfino sfitte. Sono sicuro che vi troverete molto bene!» Dunque quando Pipignao partì, lo seguirono anche tutti i Pipistretti insieme, svolazzando. Il viaggio fu molto lungo, di tanto in tanto facevano tappa in qualche boschetto nelle vicinanze, infine arrivarono al mare. Il mare! Fiffo, Foffo, Ciuffolo e gli altri non avevano mai visto nulla del genere, ne restarono incantati. Mamma Pipistretta invece aveva solo sonno per il lungo viaggio, e arrotolò la coda sul primo albero libero che riuscì a trovare. Aveva fame, ma si sentiva troppo stanca per seguire gli altri. Così si addormentò, proprio mentre cugino Pipignao illustrava al resto della famiglia tutti vantaggi dell’abitare in un posto come quello.

Si svegliò poco dopo, quando le venne fame. Pensò allora di cercare gli altri al mare. Veramente non sapeva dove fosse, né com’era fatto. Ma svolazzando qua e là sarebbe riuscita a trovarlo, no? Invece continuò a volare senza sosta, senza trovare un bel niente. Alla fine, ancora più stanca, si riposò sul primo alberello delle vicinanze. “Devo riprendere fiato”, pensò, arrotolando la coda e chiudendo gli occhi. Si stava addormentando di nuovo quando sentì qualcuno che parlava, vicino a lei. «Toh! Un topo che dorme a testa in giù!» Mamma Pipistretta aprì gli occhi e si trovò di fronte un bambino e una bambina che la guardavano, incuriositi. Chi aveva parlato era stato un bimbo, con il visetto tutto spruzzato di lentiggini, e un gran profumo di gelato attorno. Era il più piccolo dei due. «Non è mica un topo. Si chiama pipistrello», lo corresse la bimba, di nome Irene, che era più grande di lui, aveva due trecce molto lunghe e rideva. «Adesso non lo vedi, perché sono chiuse, ma ha anche le ali» «Ah sì?» «Sì. È un animaletto molto utile in natura. Lo sai che i pipistrelli dormono di giorno e volano la sera e la notte?» «E tu come lo sai?» «Me lo hanno insegnato a scuola». Il bambino, Alessio, stava per rispondere qualcosa, ma lei cominciò a guardarsi attorno: «È strano, però. Qui non ci sono altri pipistrelli. Vuoi vedere che questo si è perso?» «Perso?»

«Sì. Poverino. Sai che cosa facciamo? Lo portiamo a casa nostra e gli prepariamo una casettina, tutta per lui» Mamma Pipistretta voleva protestare, e magari chiedere alla bambina che le indicasse dov’era il mare, ma non era in grado di parlare come lei. Voleva sfuggirle, ma non ci riuscì, perché la teneva ben stretta per le zampine. Irene la portò a casa, il suo papà in fretta le costruì un rifugio e le mise anche qualcosa da mangiare dentro. Mamma Pipistretta gradì: aveva molta fame. La stanchezza del viaggio e il lungo sonno non le avevano permesso di andarsene in giro in cerca di cibo. Ma aveva anche fretta di trovare Papà Pipistretto, i suoi piccoli, cugino Pipignao! Come poteva scappare di lì? Non sapeva nemmeno dove fosse il mare, di cui tutti le avevano parlato! Le veniva da piangere. Così, dopo aver mangiato un po’, rimase chiusa dentro la sua bellissima casetta. Era il tramonto, udiva gli svolazzi degli altri pipistrelli, ma non aveva alcuna voglia di uscire. «Ehi! Ehi, tu! Perché non esci? Non senti che ci sono anche gli altri?». Irene si era accorta che Mamma Pipistretta non si era mossa da lì, e si stava preoccupando. «Forse non si trova bene qui», considerò il suo fratellino, Alessio. «Magari stava meglio sugli alberi», borbottò la ragazzina, sconsolata. «Ho sbagliato a portarla qui. Pensavo che stesse meglio. In fondo qui siamo più vicini al mare. E ci sono tante casette di pipistrelli come lei, giù nell’angolo…» Mare? Qualcuno aveva pronunciato questa parola? Mamma Pipistretta sbucò dalla casetta.

La videro anche i due fratellini, che si scambiarono un'occhiata soddisfatta. «Guarda, pipistrellino, ci sono tanti altri pipistrelli come te, li vedi? Sono tutti in cerca di cibo. E là in fondo c’è la spiaggia, poi il mare» Mamma Pipistretta non se lo fece ripetere: uscì dal piccolo rifugio con sue le ali a pallini e sospirò. Poi lanciò uno stridio di ringraziamento. «Ci vediamo!», esclamò, e partì, tutta felice, alla ricerca dei Pipistretti. C’erano davvero tanti e tanti pipistrelli che volteggiavano attorno a lei, intenti a cercare zanzare e altri buoni insetti per cibo. «Avete visto per caso un pipistrello di nome Pipignao?», cominciò a chiedere, «e una famiglia di piccoli Pipistretti?» Nessuno le dava ascolto, parevano tutti troppo impegnati a mangiare per darle retta. Finché, svolazzando, non andò a sbattere contro qualcuno. Era un pipistrello molto grosso, anche più di cugino Pipignao: non ne aveva mai visto uno simile, faceva quasi paura. «E tu chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti! Sei una pipistrella forestiera?», chiese con una voce ringhiosa. Mamma Pipistretta raccolse le ali per lo spavento: «Sono una mamma e…» «Tutti i pipistrelli in vacanza da queste parti devono are prima da me! Io sono Pipigrande e controllo chi va e chi viene, chiaro?», gridò, arrabbiatissimo. A Mamma Pipistretta veniva da piangere: ma in quale posto era capitata? Avrebbe voluto tornarsene nel suo bosco. E lo avrebbe fatto anche subito: ma non poteva certo andarsene via senza i suoi figlioletti. Dov’erano finiti? E chi era questo Pipigrande, poi?

«Hai detto che sei una mamma!», insistette Pipigrande. «A chi vuoi raccontare bugie? Dove sono i tuoi piccoli?» A quella domanda Mamma Pipistretta si arrabbiò a sua volta. Aprì le ali con tutta la forza di cui era capace. «Li sto cercando! Sono andati tutti al mare mentre dormivo e mi sono persa!», gridò. Pipigrande non era ancora convinto: «Sei una pipistrella che ama il mare, vero?» «Sapessi dov’è, almeno, il mare! Accidenti a me e a quando ho deciso di seguire cugino Pipignao!» «Cugino Pipignao? Hai detto proprio così?», ripeté Pipigrande allargando a sua volta le ali. «Lo conosci?», domandò Mamma Pipistretta, stupita. «Ma Pipignao è il mio più grande amico, da quando rincorrevamo le zanzarine in mezzo agli ombrelloni, da giovani pipistrelletti. Mi ha proprio detto che aveva tanti ospiti, stasera, l’ho visto svolazzare verso le cabine! Vieni, andiamo da lui» Mamma Pipistretta era stanchissima per tutto quel volare, ma aveva troppa voglia di vedere i suoi Pipistretti, e lo seguì, stando bene attenta a svolazzare nella sua orbita. Aveva paura di perdersi di nuovo! Il viaggio stavolta non durò molto. Ah, finalmente vide davanti a sé una distesa tutta azzurra che si muoveva, sentiva uno strano profumo, e in lontananza cominciò a udire le voci che ben conosceva. Sbuffa, Riccia, Ciccia, Fiffo, Foffo, Ciuffolo, Papà Pipistretto, Pipignao… In un lampo la circondarono. «Ma dov’eri finita?» «Io pensavo che fossi dietro di me e invece…»

«Mamma! Ho sentito tanto la tua mancanza!» «Hai visto che bello il mare, mamma?» «Ci sono degli insetti che non ho mai mangiato prima, mamma, ne ho tenuto uno per te, vuoi assaggiarlo?» Coccole, bacini, tenerezze: Mamma Pipistretta, anche se stanca, non poteva essere più felice di così. E dopo tanta paura, prima di vedere questo mare bellissimo, ci voleva proprio…

PIPISTRETTI E FARFELLE

Mamma e Papà Pipistretti stavano ancora dormendo, e così anche i piccoli Pipistretti: Ciuffolo, Fiffo, Foffo, Riccia e Sbuffa. Solo Ciccia, la meno… Pipistretta della famiglia, si era svegliata presto: perché aveva un gran male al pancino. Il giorno prima si era fatta una solenne scorpacciata di vermini e di insetti volanti, anche quelli che non aveva mai visto prima – buonissimi! – ma forse aveva esagerato un po’. Le girava perfino la testa e quando volava era anche peggio. Pensò che l’unico rimedio era andare a trovare Mastra Civetta. Almeno, lei sapeva quel che c’era da fare in casi come questo: aveva un sacco di rimedi. E non solo: adesso voleva diventare un poco più… “stretta”. Le sorelline, Riccia e Sbuffa, la prendevano in giro un po’ troppo ultimamente, dicendole che era diventata rotonda: e che potevano perfino giocarci a palla. Mamma Pipistretta le aveva sgridate, e loro ci erano rimaste male. Ciccia però era diventata triste-triste. Davvero, di recente era diventata troppo cicciottella. Più “Ciccia” di così! Raggiunse dunque in volo, pian piano, il tronco dove viveva Mastra Civetta con i suoi civettini colorati, e chiese se poteva entrare. «Per te è sempre aperto. Ciao, Ciccia, come mai da queste parti, e a quest’ora?», le domandò, sbadigliando e aprendo le ali. «Mi fa male il pancino, ho mangiato troppo» «Hai parlato con la mamma? Ti ha chiesto lei di venire da me?», indagò allora Mastra Civetta. «No. Ma sai, vorrei anche diventare meno… ciccia. Le mie sorelline mi prendono in giro», spiegò.

Allora Mastra Civetta cercò di aiutarla, dicendo che poteva mangiare certi insetti e meno altri che facevano ingrassare di più. Le disse anche di aver pazienza, che non poteva diventare subito “stretta” come le sue sorelline. «Ma io vorrei essere come loro… domani!», protestò Ciccia, desolata. «Domani? Ci vuole del tempo: per queste cose non va bene avere fretta», osservò Mastra Civetta scuotendo il testone, «comunque adesso ti ci vuole subito un rimedio per il male al pancino. Coraggio, vieni dentro che te lo do. È uno sciroppo alla fragola di bosco, molto buono» Ciccia invece era rimasta male. Voleva diventare subito… strettissima, più stretta delle sue sorelle, per far loro rabbia. E così, senza nemmeno ringraziare Mastra Civetta, senza nemmeno prendere lo sciroppo che le stava preparando, e il pancino ancora tutto dolorante, uscì dalla sua tana e volò via, anche se non sapeva esattamente dove. Si addentrò nel folto del bosco, un po’ a zig-zag, finché non arrivò in una radura che non aveva mai visto prima, oltre le case dei Pipilarghi, e si fermò per riposare. Davanti a lei vide due farfalle coloratissime piene di brillanti, che danzavano al sole. “Wow, che belle!”, pensò. “Loro sì che sono strette!”. «Ciao!», la salutò una svolazzandole intorno. «Tu chi sei, come ti chiami?» Ciccia si vergognava un po’, tondetta com’era. «Sono una pipistrella, anzi, una Pipistretta. Mi chiamo Ciccia», rispose. Le farfalle risero tutte insieme: una, due, tre, dieci. Quante erano! «Ciccia! In effetti sei un po’ cicciottella. Mai pensato di fare una dieta? Se sei una Pipistretta…!»

Era quello che aveva sempre pensato… «Sì, ma…» «Noi siamo le Farfelle», si presentò la prima che aveva parlato, «le farfalle più snelle di tutto il bosco, come vedi siamo bellissime!», sottolineò sbattendo le ali a più non posso. Lo vedeva sì: avevano certe ali lucenti…! «E come fate?» «Ci alleniamo svolazzando sempre e mangiando insetti leggeri, quelli che non ci fanno ingrassare» «Ma non avete mai fame? A me, quando ho fame, brontola il pancino», disse Ciccia, un po’ preoccupata. «Sì, ma poi ci si abitua. Non vedi che linea snella abbiamo? Mangiare squisitezze non è poi così importante!» Ciccia scosse la testolina e agitò le sue ali. La mamma diceva sempre che mangiare squisitezze non faceva male, bastava non esagerare. Solo che lei… esagerava sempre. Certo le Farfelle erano meravigliose e sarebbe stato bellissimo diventare come loro.

Ah, le sorelline non l’avrebbero più presa in giro. Anzi: sarebbe stata lei a prenderle in giro, chissà. Così decise di unirsi alle farfalle snelle: e seguire i consigli che le davano, scegliendo gli insetti che ingrassavano di meno. Ben presto il mal di pancia di prima ò. Ma con il trascorrere del tempo al suo posto le vennero tanti crampetti per la fame. Quegli insettini leggerissimi le facevano il solletico dentro e non le piacevano affatto. Voleva insistere, però, e non arrendersi tanto presto. Guardava le Farfelle che volteggiavano, così snelle ed eleganti, e immaginava quando, un giorno, avrebbe potuto danzare come loro. Giorno dopo giorno, invece, con quei miseri insettini per cibo, si sentiva sempre più debole e affranta. E aveva un gran sonno. A volare non ci riusciva nemmeno più. Avrebbe voluto tornare a casa: dalla mamma, dalle sorelline. «Eccoti qui finalmente! Ma dov’eri finita? Mamma Pipistretta è disperata, ti cerca da un pezzo!» La voce di Mastra Civetta, poco dopo, la svegliò da quel sonno che le era preso all’improvviso. Ciccia aprì prima un occhio, poi l’altro. Si sentiva tutta indolenzita. E anche affamata. «Cos’è successo? Dove sono? Che cosa ci faccio qui?» Mastra Civetta rise. E così anche i civettini intorno a lei. «Ti sei persa. Questa è la zona più interna del bosco, dove vivono le farfalle più leggere del mondo, le Farfelle»

Ah, lo sapeva bene. Quanto aveva sognato di essere come loro! Adesso, però… «Io… io… volevo smettere di essere “ciccia”», farfugliò Ciccia, «e diventare snella come le Farfelle…» Mastra Civetta borbottò: «Ma le Farfelle hanno una costituzione diversa, sono leggere per i fatti loro. Tu sei una pipistrella e devi alimentarti secondo quel che mangiano gli esseri della tua specie. Coraggio, mettiti sulle mie spalle. Ti porto a casa. Sapevi che Mamma Pipistretta non fa che piangere? Sono giorni che ti cerca dappertutto! Siccome non ti ha trovata nemmeno nel boschetto degli scoiattoli, nemmeno dai Pipilarghi, ha deciso di venire da me. Tu lo sai, ho occhi magici che vedono un po’ ovunque. E sono riuscita a scovarti» Ciccia non aveva proprio nulla da obiettare. Aveva sonno, fame e voglia di starsene per un bel pezzo sotto l’ala della mamma. Non aveva neanche più desiderio di essere come una Farfella, anzi, si domandava come aveva potuto anche solo pensarlo. Dunque senza più protestare, e facendosi aiutare dai cinque civettini colorati, si appollaiò sulle spalle di Mastra Civetta, e poi si lasciò trasportare fino a casa sua. Chiudeva gli occhi, dicendosi che adesso cominciava a sentirsi bene, solo all’idea di poter tornare a casa, dalla mamma e dalle sorelline. Né Riccia né Sbuffa la presero in giro. Anzi. Erano tutt’e due molto preoccupate per lei. Per non parlare della mamma. A lungo sfamarono Ciccia con gli insettini più buoni che riuscirono a trovare, per permetterle di riprendersi presto. «Le Farfelle sono bellissime, sì, ma sono anche smorfiose: a me non piacerebbe essere come loro», le disse Riccia, agitando i riccioli e le sue ali verdi. «Noi Pipistrette siamo le migliori», rincarò la dose Sbuffa. «Tanto, che ci vuole? Un po’ di polvere magica di Mastra Civetta sulle ali, e

siamo anche meglio. Vuoi mettere?» Risero tutte insieme. E quando Ciccia, rimessa in forma, fu definitivamente guarita, tutte e tre volarono a trovare Mastra Civetta, si fecero regalare un po’ di polvere brillante da mettere sulle ali e poi… via!, nelle sere d’estate, e girare per il bosco, tutte piene di lustrini! Erano le pipistrelle più carine che si fossero mai viste. Ciccia si sentiva contenta: era anche un po’ meno cicciottella e stava benissimo. Non era affatto necessario diventare magra come una Farfella, per essere felice con le sue sorelline…

NOTTE DA... PIPISTRETTI

La famiglia dei Pipistretti al gran completo era in fermento nel bosco. Si stava avvicinando la festa di Halloween. Sapevano bene che in città gli umani si preparavano tutti al grande evento, e c’erano bambini e grandi in giro, spesso vestiti da pipistrelli. Mamma e Papà Pipistretti dicevano che non fosse il caso di avventurarsi fin laggiù, nonostante zia Pipistrella li avesse invitati, per una gran festa al Castello Stregato. Invece Ciuffolo, Fiffo e Foffo avrebbero voluto svolazzare sopra le case, tanto di sicuro non sarebbe successo nulla di brutto. Anzi! Era quasi la loro festa, no? Veramente Riccia, Sbuffa e Ciccia avrebbero voluto restare nel bosco. C’era una bella festa tra gli alberi: anche se incominciava a fare freddo, stavano bene dove si trovavano. «Senti, se proprio i Pipistrettini vogliono andare in città, accompagnali tu!», disse Mamma Pipistretta al papà. «Vorrà dire che io resterò con Riccia, Sbuffa e Ciccia» «Mi dispiace, avrei voluto che restassimo tutti insieme questa notte», rispose Papà Pipistretto. «Pazienza. Resteremo insieme quando ritornerete». Così, mentre i Pipistretti maschi si avventuravano verso la città, le Pipistrette rimasero a svolazzare nel bosco. Ma si sentiva, nell’aria, che non era una notte come le altre. Sembrava davvero una notte incantata. Una notte speciale per tutti. Naturalmente Papà Pipistretto non aveva paura, mentre con le sue grandi ali aperte guidava i suoi piccoli: ma faceva così freddo! E c’era anche tanta, tanta nebbia.

Si sa, però, che i pipistrelli non hanno una vista molto acuta, e si orizzontano comunque bene anche al buio. Quella volta però sembrava che tutto quanto, attorno, li fe confondere. Nemmeno Papà Pipistretto, cioè, riusciva a capire dove si trovasse. «Uffa, papà. Ma dove siamo finiti?», domandò Ciuffolo a un certo punto, ritraendo le zampine. «Non mi pareva che la città fosse tanto lontana! Lo ricordo bene, quando ci siamo andati, per trovare zia Pipistrella!» «Già, è vero!», esclamò Foffo. «Come mai non siamo ancora arrivati?» «Io sono stanco, mi fanno male le ali!», protestò Fiffo, piegando pian pianino le sue ali rosse. «E ho anche sonno…» «Non preoccupatevi, siamo quasi arrivati. Sono sicuro!», esclamò Papà Pipistretto che in realtà sicuro non si sentiva per niente. Però, però… sentiva che non era lontano dalla meta, anche se non capiva che cosa glielo fe intuire. E soprattutto non capiva quale fosse la sua meta: forse la casetta di zia Pipistrella? Questo Castello Stregato dove si sarebbe svolta la festa, era molto lontano da casa sua, quella del parco? Con il suo sistema radar aveva provato a mettersi in contatto con lei, ma non ci era riuscito, forse per via della nebbia, che era troppo fitta. Del resto adesso era troppo tardi per tornare indietro. E l’aria non aiutava di certo… A un tratto, mentre Fiffo, che aveva male alle ali, andò a raggomitolarsi sotto l’ala del papà, tutti udirono qualcosa. «Uhhhh! Uhhhh!» Fiffo si spaventò tantissimo. «E che cos’era questo?»

«Sembrava un urlo pauroso», borbottò Foffo. «Un urlo impaurito, piuttosto», corresse il papà, «qualcuno in cerca di aiuto». «Siamo noi, ad avere bisogno di aiuto», si lamentò Fiffo. «Io non ce la faccio più e voglio la mamma» Anche Ciuffolo e Foffo volevano la mamma, ma non lo dicevano, perché si vergognavano un po’. Poi, all’improvviso, il grido si ripeté. «Uhhh! Uhhh! Aiuto!» «Vedete? Qualcuno ha bisogno di noi», insistette Papà Pipistretto. «E chi è?», domandò Ciuffolo. Lo videro un attimo dopo, perché si parò dinanzi a loro una figura enorme, trasparente, che si muoveva. Anzi, si dibatteva dentro a un albero. Era… un fantasma! «Aahhh!» Ciuffolo, Fiffo e Foffo si misero a gridare tutti e tre insieme, ma gridò anche il fantasma, che a sua volta si era spaventato. «Ma di che avete paura, si può sapere?», intervenne il papà. «È solo un povero fantasmino che è rimasto incastrato nel cavo di un albero. Non vedete?» Vedevano poco, i piccoli Pipistretti, e soprattutto avevano tanta paura. Ma guardando meglio, si accorsero che davvero si trattava di un fantasmino. «Mi sono perso proprio nella notte di Halloween, che sfortuna!», disse, quando capì che i Pipistretti volevano solo aiutarlo. «Ma come hai fatto a incastrarti in un albero, se sei un fantasma?», gli domandò Ciuffolo, mentre il papà provvedeva a liberarlo.

«Non lo so. Mi sono trovato qui per caso», rispose il Fantasmino mentre si scuoteva di qua e di là, per ritrovare la sua dimensione. Papà Pipistretto lo aiutò a liberarsi, con la collaborazione dei piccoli Pipistretti. «Grazie. Volete venire con me a una festa di Halloween?», domandò volteggiando in mezzo alla nebbia. «Ma se ti sei perso, come fai sapere dov’è?», obiettò Foffo. «Credo di aver capito dove si trova. Noi fantasmini, quando non siamo impediti da qualcosa, riusciamo sempre a individuare i castelli stregati». «Castelli stregati? Magari è lo stesso posto dove ci ha invitati zia Pipistrella!», considerò Papà Pipistretto. Poi si rivolse al fantasmino: «Credo che ti seguiremo. Anche noi ci siamo persi, sai?» E così, in quella notte piena di nebbia, paurosissima, il Fantasmino e i quattro Pipistretti svolazzarono tutti insieme, alla ricerca del Castello Stregato. Lo trovarono dopo poco tempo, era proprio nelle vicinanze: più buio che mai, con una torre tutta storta che sembrava dovesse spezzarsi da un momento all’altro. I gradini erano rotti e malmessi: ma a loro, che potevano volare, non interessava affatto. Nella zona nord del castello c’era una festa con tanti esseri umani mascherati in maniera diversa. Ma il lato sud era tutto occupat o da fantasmi di ogni genere, e anche molti pipistrelli.

Tra questi Papà Pipistretto riconobbe zia Pipistrella, che aveva le ali decorate. «Che peccato, che la famiglia non sia al gran completo!», esclamò quando li vide. «Mamma Pipistretta, Riccia, Sbuffa e Ciccia sono volute rimanere nel bosco», raccontò il papà. «Capisco. Ma in questa notte stregata, tutto è possibile», disse la zia con una strana espressione, che nessuno capì. Nel castello la festa era già iniziata da un po’ e ognuno volteggiava felice. Fuori intanto la nebbia continuava a salire sempre più densa, sempre più fitta. Al bosco, nel frattempo, Mamma Pipistretta aveva finito di mangiare, con Riccia, Sbuffa e Ciccia. Volava tra un albero e l’altro, e si guardava attorno. Quella nebbia faceva un po’ paura anche qui. «Mastra Civetta dice che tanto adesso verrà un gran vento», le disse Sbuffa, «dunque sparirà presto» Nessuno dubitava delle previsioni di Mastra Civetta, perciò Mamma Pipistretta si sentì tranquilla. Quel che non si aspettava, fu quanto successe dopo… Il vento si levò, prima leggero, poi sempre più forte, quasi impetuoso. Riccia, Sbuffa e Ciccia svolazzavano lasciandosi accompagnare dai soffi e ridevano da matti, con la loro mamma. A un tratto però si sentirono sbatacchiare qua e là: tutte e quattro! «Ma che succede?», gridò Sbuffa. «Mastra Civetta aveva ragione…», disse la mamma. «Presto, al riparo dentro

l’albero!» Invece non riuscirono nemmeno a raggiungerlo. Il vento soffiava davvero troppo forte, le respingeva indietro ogni volta che cercavano di arrivare nella loro casetta. Non solo: a un certo punto si ritrovarono fuori dal bosco, con la nebbia che appariva e scompariva di colpo. «Ma dove stiamo andando, mamma?», protestò Riccia. «Non riesco più a volare dove voglio!» «Nemmeno io», rispose Mamma Pipistretta, «però restiamo insieme». Si presero per le zampe tutte e quattro e così facendo il vento non poté dividerle. Volarono a lungo, lasciandosi trasportare: e non sapevano neppure dove. Riccia, Sbuffa e Ciccia avevano tanta paura, e Mamma Pipistretta si stava chiedendo se tutto questo non avesse a che fare con la notte stregata di Halloween. Finché poi, così come era arrivato, il vento cessò. Dondolando sulle loro ali, Riccia, Sbuffa, Ciccia e la mamma si ritrovarono su un paio di gradini malridotti, di un posto che non avevano mai visto prima. «Ohi, ohi, mi gira la testa!», si lamentò Riccia. «Che posto è mai questo? Sembra un castello», disse Sbuffa guardandosi intorno». «Lo è davvero. Ma…» Mamma Pipistretta cominciava a riaversi e in lontananza vide qualcuno che ben conosceva. «Zia Pipistrella! Ciuffolo! Fiffo, Foffo! Papà Pipistretto!», gridò. C’erano proprio tutti, il vento pazzerello e dispettoso le aveva accompagnate alla

festa di Halloween, per far sì che si trovassero insieme. Papà Pipistretto andò loro incontro aprendo le ali. «Riccia! Sbuffa! Ciccia! Mamma Pipistretta! Ma che bella sorpresa! Come avete fatto a trovarci?» «Proprio non lo so. È stato il vento a portarci sin qui. Mastra Civetta aveva ragione», disse la mamma. Zia Pipistrella volteggiò intorno a loro: «Evviva! Adesso ci siete proprio tutti! E allora, venite. La festa di Halloween è appena incominciata e la notte dei pipistrelli è ancora lunga!» E si avventurarono nel castello tutti insieme, in compagnia dei fantasmini, ormai loro amici.