IL GESÙ CLONATO E L’ANTICRISTO VEGETARIANO
Paolo Ricci
EDIZIONI SIMPLE
Via Weiden, 27 62100, Macerata
[email protected] / www.edizionisimple.it
ISBN edizione digitale: 978-88-6259-693-0 ISBN edizione cartacea: 978-88-6259-212-3
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Prima edizione cartacea aprile 2010 Prima edizione digitale ottobre 2012
Copyright © Paolo Ricci
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“Il nuovo padrone della terra (L’Anticristo) era anzitutto un filantropo, pieno di comione e non solo amico dell’uomo, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione, e sottopose i mattatoi ad una severa sorveglianza…” Vladimir Soloviev. Il racconto dell’Anticristo.
All’uomo nuovo con lo zaino
Ritorno nella valle di Re Alfredo
Che stranezza vedere Ilfracombe, nel Devon del Nord. La Valle di Re Alfredo. In questo luogo ameno mio padre morì e l’Anticristo vegetariano compì i suoi primi miracoli, nello stesso momento, che, prodigiosamente, il Gesù Clonato risuscitava i morti in Bretagna. Chi può dimenticare gli eventi incredibili degli anni 2043 e 2044? Ho visitato la tomba di pietra arenaria di mio padre, immersa tra le sterpaglie che coprono l’oblio, tipicamente britannico, di tanti defunti nel cimitero della chiesa parrocchiale di Ilfracombe, la Holy Trinity in Church Street, che ha tracce sassoni e normanne. La tomba, a differenza di altre che affogano nell’edera e nella graniglia, sembra un’oasi amorevolmente curata. L’ingiustizia delle cose! Il cimitero è in essenza la preservazione del sistema delle ingiustizie mortali scolpito in pietra o inciso in povero legno. La lastra di porfido è stata premurosamente accudita e restaurata dagli sfregi fatti dai cristiani e dagli islamici fondamentalisti. Ieri, a Shag Point, è caduto un aviogetto, un “Fattery – 3”, il ragazzetto che lo guidava si è spappolato tra le rocce. Tutti sono corsi a vedere lo spettacolo cruento. Quando mio padre arrivò nel Devon imperversavano macchine d’ogni tipo e motorini, ora, ci volano sulla testa “Elichamp”, “Rockwise”, “Solotrek” e “Fattery 3”; il cielo è denso d’oggetti misteriosi che si scontrano e si polverizzano tra loro. Che stranezza visitare questo luogo intriso di fatiscenza vittoriana, cullato da una luminescenza ultramondana che raccoglie le strutture, decorosamente preservate, del tempo dell’abbandono. E che stranezza trovare le cose di mio padre coperte di polvere, ragnatele e tempo.
Tutti gli oggetti e gli utensili della casa d’Erminio, ormai obsoleti e tecnologicamente superati, funzionano ancora benissimo: il water che analizza automaticamente le feci e digitalmente informa il dottore d’eventuali malanni, l’ “Household Windmill” (il mulino a vento) e i pannelli solari che generano energia (ho scoperto che c’è ancora un notevole surplus di energia), il “Pollution Meter” che controlla le eccedenze d’emissioni gassose della casa, il purificatore dello scarico delle acque sporche, e il “Green Dome” per coltivare le verdure e far germogliare piante e fiori. L’unica cosa che sembra non funzionare è lo “Smart Fridge”, il frigorifero intelligente che informa il “Local Delivery Service” quando un particolare cibo è esaurito e automaticamente lo ordina. Apro la porta della stanza ove Erminio lavorava e trovo un “Reader Softbook” su una scrivania e una “Personal Pergamena” con un ampio schermo flessibile di cristalli liquidi su un altra. Poi vedo un’obsoleta tastiera invisibile, una Scurry Keybord della Lowitz con un dispositivo che s’indossa come un guanto. Appesa alla parete bianca vedo la riproduzione della miniatura del Commento dell’Apocalisse del Beato di Lièbana e accarezzo il Compuvox, che mio padre ha utilizzato per dettare il Diario Segreto e parte del “Messia Limitato”. C’è un «internet da salotto» d’acciaio e plexiglas in un angolo vicino alla finestra. Appoggiati su un tavolo un palmare leggero e un foto drin. La stanza è altrimenti spoglia. Scrivanie e sedie. I cavalieri apocalittici sovrastano la struttura tecnologica con i loro destrieri e i loro mantelli medioevali. Galoppano su uno sfondo giallo e vuoto. Il primo è a cavallo di un bianco destriero e agita un arco. Il secondo, più sotto, ha una spada e galoppa su un rosso puledro. Ancora più sotto la morte non monta un cavallo verdastro ma rosa, ed è preceduta dal cavaliere con la bilancia su un nero destriero. Che stranezza rileggere il diario di mio padre, Erminio Polpotta, nei suoi luoghi arcani: è qualcosa di magico. Ho cominciato a rileggerlo, quasi mormorassi una preghiera, ma stanco del viaggio mi sono appisolato e sono stato visitato da un sogno. C’era una chiesa semibuia, neo gotica e in un angolo, coperta da ragnatele, vedevo una statua di gesso colorato del Cristo Gesù. Il Nazareno aveva il cuore in mano e sul sacro cuore strisciava un’iguana d’argento; e sembrava che il lucertolone d’argento si abbeverasse con il suo sangue. Mi sono svegliato dopo un’ora.
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Il secolo ha segnato questo glorioso nome. Lo ha marchiato con il segno infuocato della storia. Prima la rivolta di mio nonno, Bartolo Polpotta, detto «Risaia», contro i bracconieri dello stretto di Messina, e la conseguente ecatombe di cacciatori che il suo gruppo leninista- animalista perpetrò nel 2007. Poi la fuga di mio padre da Modena per raggiungere Betty Charlotte Pomeroy, detta «Olivedorci», e l’incontro inesorabile e fortuito con colui che gli ominidi del tempo chiamavano l’Anticristo Vegetariano, e il suo libro epocale «Il Messia limitato», pubblicato nel giugno del 2046, sul pensiero di quell’uomo arcano, che rimase non concluso per i tragici eventi dei quali siamo tutti a conoscenza ed è inutile ricordare. Il diario, che con molti documenti inediti, ho portato con me, si apre con la partenza di mio padre dall’Italia, devastata da terremoti e inondazioni, per raggiungere la sua lussuriosa «Olivedorci» e lasciare la noia apocalittica di mia madre ai suoi studi ossessivi sul romanico e al suo amplesso mentale e continuo con il suo dio Wiligelmo, lo scultore del Duomo di Modena. A causa sua, io – trascinato nell’infanzia per le vie del romanico padano – mi chiamo Wiligelmo. Si, Wiligelmo Benedetto Polpotta, un nome che ha costellato di lazzi e scurrili battute la mia infanzia. Willy Polpot mi chiamavano a causa di mio nonno che voleva infilare tutti in risaia e finì, invece, lui stesso in prigione dopo aver impallinato, con i suoi baldi neo-leninisti, 27 bracconieri massacratori di uccelli migratori in quel lontano 2007, divenendo il simbolo della rivolta neo –marxista – animalista. Voi tutti sapete che in quel di Biella c’è una statua dedicata al mio avo. E io ne vado fiero. E perché mai non dovevano impallinare con i loro arrugginiti «kalashnikov» i 27 bracconieri quando i massacratori appostati, vigliaccamente, dietro i cespugli,
uccidevano migliaia di falchi, di albanelle, di cicogne, di quaglie e molte altre specie di uccelli migratori? Ve lo ricordate il subbuglio del 2007? Ve la ricordate la chiesa tonante e i pennivendoli furiosamente incazzati con Bartolo Polpotta? Si beccò un ergastolo e morì in gattabuia di tumore al fegato. Impallinarono 27 bracconieri, i neo leninisti, e i cacciatori organizzarono un grande funerale di stato al quale presero parte moltissimi politici, incluso il Presidente della nuova Repubblica presidenziale Berlusconi, quello che firmò le ultime rogatorie per i massacri, e che durante le esequie profusamente pianse. Ora i cacciatori sono estinti e i macellai li puoi contare con le dita di una mano. La FIDES (Federazione Italiana Difesa Esseri Senzienti) e la MIDOLB (Movement In Defense Of Leaving Beings) e la LBU (Living Being United) non perdonano. ons. Divago troppo e sono barocco me lo diceva sempre il cantore del catenaccio italiano, Guglielmo Gervasi. Ieri, appena arrivato, ho preso possesso della vecchia casa di mio padre a Broad Park Avenue, e mi sono avventurato verso la Baia dei Ciottoli Bianchi. In quel luogo mio padre e l’Anticristo si conobbero e spesso parlarono di cose arcane. E fu lì che l’Anticristo vide lo Spirito delle Rocce che tanto impressionò Erminio e ricevette da Padre Oceano il dono del volto ligneo, fatiscente e scheggiato del “Green Man” che rappresenta l’unicità dell’uomo con la natura. E di questo riparleremo grazie a interessantissimi documenti inediti che sono riuscito a rintracciare e a cose che ho letto nel Diario Segreto. In quell’arcano posto il rivale di Gesù espresse le sue idee riguardo il mondo e le cose che cercherò di riportare, con maggiore accuratezza, seguendo il diario e rileggendo i documenti e le lettere, finora mai pubblicati, di Ermino Polpotta. Il primo diario di mio padre si apre con la sua partenza dall’Italia nell’ottobre del 2002 e finisce nel dicembre del 2005. Il secondo, quello chiamato Segreto, va dall’ottobre del 2043 al fatidico luglio del 2046. Quando Ermino Polpotta comincia il primo diario i tempi sono foschi: l’America sta pensando di rovesciare il regime infame di Saddam Hussein. Gli Stati Uniti sono in mano ad una cricca di «Stranamori» guerrafondai, Bush è ispirato da una «auntie Tom», consigliera afro- americana, che si sospetta sia vergine. Mio padre descrive l’avvento della Pelosi alla testa dei democratici americani con giubilo per una
sola ragione: la italo americana ha definito, in maniera sublime, Bush: «jerk». Un’espressione deliziosa. La ragione della partenza di mio padre dall’italietta berlusconiana? Pochi la conoscono. La fuga è dovuta oltre alla smodata, torrida ione per Betty Charlotte Pomeroy, chiamata da Erminio «Olivedorci» – perché, come Stanlio e Olio, diceva olivedorci e bonciorno invece di arrivederci e buongiorno – al suo disgusto per l’Italia, anzi per il popolo italiano, che aveva permesso l’orrore giuridico della Cirami, la legge salva ladri. Dico Cirami, e voi che leggete vi chiederete: ma cosa sarà mai la Cirami? Sono ati tanti anni; in soldoni sonanti: la Cirami era il tentativo di un mondo corrotto di salvarsi, attraverso leggi “ad hoc”, da una giusta punizione. Mio padre detestava il mondo di Berlusconi – che voi tutti conoscete perché in Piazza Bologna a Roma la Destra Europea ha eretto una sua statua – e quello di Previti, che sicuramente nessuno ricorda, anche se la vita del famoso parlamentare è stato descritta da Giacomo Pelacarzi, nel 2020, con grande disinvoltura nel suo famoso libro, edito dalla Cosmosol: «La Grande Vittima delle Toghe Rosse». Sfoglio il diario e tra le pagine trovo i disegni erotici che Olivedorci inviava a mio padre, roba da straballo: con oscuri inviti a penetrazioni in vari orifizi. Mamma che troia era Olivedorci, ne trovassi io una così in questo luogo lontano dai centri convulsi del mondo sarei un uomo felice! Ecco. Ho divagato nuovamente! Eh il sesso nelle menti italiote. Un destino infame! Hanno ragione le lesbiche quando dicono che gli uomini fanno schifo. Concentriamoci: ritorno al mio nome per evidenziare la mia stralunata infanzia. Oltre a Wiligelmo mi chiamo Benedetto a causa di Antelami, quello del battistero di Parma.
Immaginate un povero bambino trascinato da due genitori ossessionati dal medioevo e dal romanico a Castellarquato, Nonantola, Vigolo, Bobbio, Piacenza, Bologna, Sasso, Podenzano, Polenta (ma che cavolo di nome!) Vigoleno, Marchese, Frassinolo, Carpiteti, Canossa. Una pizza mai vista! Si, loro apprezzavano il romanico e si erano conosciuti mentre contemplavano le stagioni di Wiligelmo a Modena, ma un fanciullo trascinato tra ruderi e grezze figure nella prima infanzia può restare, ineluttabilmente, marchiato dalla noia e dal grigiore di quelle pietre crollanti. Non fosse bastato: mio nonno Bartolo detto «Risaia» la sera imperversava con la rivoluzione leninista – animalista. Si era messo in testa che occorreva un nuovo marxismo neo – leninista, aperto al non umano. Un’idea contrastata, ferocemente, da mia madre, devotissima cattocomunista innamorata di D’Alema, l’immane statista degli anni 90’, e dal figlio, anche lui animalista e vegetariano, che immaginava un futuro socialista, ma democratico e senza polverose e mummificate dittature del proletariato. Ermino rispettava il padre che considerava un santo eremita. Certo quando accoppò i bracconieri rimase sbalordito. Ma poi si chiese: perché no? Perché i massacratori di esseri inermi non devono essere a loro volta impallinati? Quello era il tempo dell’animalismo delle belle anime, dei figli della luce, adesso è tutta un’altra cosa: quelli che mangiano carne lo fanno nelle catacombe, perché, altrimenti, se colti, rischiano di finire molto male. Ma mangia carne e la vende di nascosto anche il nano platinato e maledetto Gunther Werner Bucalosso, l’amante di mio figlio, il transessuale Giacomino, detto Pompetta per le sue sbalorditive “fellatio”. E già, siamo precipitati dalla luce cinerea di Bartolo e di Erminio alle tenebre della vergogna e dell’umiliazione. Dalla rivolta di mio nonno, dal libro di mio padre sull’Anticristo, al figlio transessuale – mignotta – cum – pappone – nano – nazista. Che crollo vertiginoso!
L’orrore, l’orrore, diceva il Kurtz di Conrad in «Cuore di Tenebra». Da una famiglia di combattenti per il socialismo, per i diritti degli animali, e di studiosi degli incredibili eventi che ruotarono intorno al Gesù Clonato e l’Anticristo vegetariano, è nato il germoglio degenerato che vive nella città di Lussuria, il centro del piacere tra Pavia e Codogno. Si, mio figlio è famoso per le sue “fellatio” nella metropoli del sesso, dove la destra imperante ha circoscritto e rinchiuso la prostituzione di ogni tipo. E il Pappone – nano lo gestisce. Che terribile vergogna! Voi direte che in questo secolo le differenze sessuali sono trascese dall’amore virtuale e da bambole robotiche e che, in effetti, siamo tutti bisessuali. Col kaiser… vi rispondo: io non ci casco, io amo la era e sull’altra sponda non ci o neanche morto. Anche nella Grecia di Alcibiade, una civiltà di culatelle, gli eterosessuali resistevano ed io resisto! ons. Questa storia di Giacomino detto Pompetta che insiste a farsi chiamare Teresita Suck, è meglio lasciarla da parte perché ha rovinato la mia vita. Sono qui su queste rive amene battute dalla pioggia e dai venti, tra le colline color rame trapuntate da pecorelle bianche, anche per fuggire da quel figlio sodomita e sboccato e da quel nano platinato e ributtante che piangeva, disperatamente commosso, quando eressero la statua di Mussolini a Piazzale Loreto a Milano nel 2018. Accadde durante la presidenza di Sgualdrini, che nel lontano 2018, successe a Montone, che era, a suo volta successo a Fini, che era successo a Berlusconi durante il dominio incontrastato della destra dal tempo ottuso della Cirami e della condanna di Andreotti e la sua susseguente assoluzione. Ogni popolo decide il suo destino e si prende le cartate di merda in faccia che merita. Dal Diario Segreto emergono nuove notizie sulla clonazione di Gesù. Anche l’incontro dell’Anticristo con il quacchero Godfrey Picombe e la resurrezione di suo figlio, a Woolacombe, sembra leggermente differente da
quello che si conosce. Cerchiamo di ricostruire i fatti: mio padre arriva ad Ilfracombe per raggiunge la sua Olivedorci, che aveva conosciuto un anno prima in un albergo della Promenade, nel 2002. Nel 2001 mio padre sta visitando la zona e sta scrivendo “Il fallimento Imperiale” la storia degli imperatori romani che durarono solo un anno o due, come Otto, Galba, Claudio Gotico, Quintillus, Tacito, Floriano,Carus e molti altri. Un amico inglese gli consiglia di visitare il Nord del Devon e filmare, con una macchina da presa, la costa seguendo la South West Cost Path marciando da Ilfracombe fino a Saunton Sands e proseguendo da Braunton, fino a Barnstable e a Lynton, seguendo il famoso sentiero chiamato Tarka Trail. Gli spiega, inoltre, che il luogo è ideale per scrivere e il silenzio è intenso. Mio padre parte da Modena e arrivato a Londra, prende un treno per Exeter, prosegue per Barnstable ove sale su un bus per Ilfracombe: ha con sé la macchina da presa e gli appunti per il suo libro. Arriva in un grande albergo della promenade, mangia nel ristorante dell’hotel ed è servito da una ragazza di bellezza sbalorditiva, bionda, alta, snella con cosce lunghissime e levigate come le pietre del mare. Pensa: se un angelo misericordioso mi infilasse questa coccò e Nicola Kidmann contemporaneamente sotto le coperte e mi chiedesse di scegliere: io deciderei di fottermi, senza ombra di dubbio, la cameriera. Ma Betty lo ignora, lui cerca di attrarre la sua attenzione in mille patetiche maniere ma non riesce. Per farla breve aspetta la coccò e la pedina quando esce dal lavoro e riesce, dopo alcuni giorni, ad incontrarla fortunosamente (si fa per dire), e le sciorina tutte le classiche pippate da macho latino decadente: si, hanno ragione le lesbiche, noi uomini facciamo proprio schifo! Alla fine, dopo infinite peripezie, la invita in un ristorante di Barnstable, ove mangiano lasagne infernali, bevono vino rosso scadente e fanno amicizia. A quel punto Erminio Polpotta è perso: un desiderio folle lo artiglia alla gola e lo soffoca. È il preludio per una “soap opera” in gran stile. Si sente asfissiare dalla lussuria,
ma si trattiene e cerca di apparire come un distaccato signore italiano – rinascimentale. La tattica di tutti gli amorosi delinquenti: far finta di ignorare mentre in realtà si taglierebbero un braccio per saltare sopra alle cocche e andarci su e giù! «Sei sposato?» chiede la coccò. E lui: «Ma scherzi!» E spara una raffica di balle indecenti. Mente spudoratamente raccontando che è un regista cinematografico. Betty Charlotte non si concede subito. Ermino freme e riesce a convincerla, dopo una settimana, a seguirlo in Italia. Partono per Venezia mentre mia madre crede che mio padre stia scrivendo “Il Fallimento imperiale” ad Ilfracombe. Restano insieme una settimana e consumano la torrida ione in una pensioncina della Giudecca. È la fine di Wiligelmo, di Modena e della noia mortale – matrimoniale. Il 18 ottobre, mentre Andreotti è condannato a 24 anni e il mondo politico, dopo essersi genuflesso ignominiosamente davanti al papa, piange scompostamente per il divo Giulio, mio padre fugge, con una parte dei soldi e raggiunge la sua bella ad Ilfracombe. Due giorni dopo io compio 2 anni. Ora ci rifletto e capisco: chi poteva dividere l’amore per mia madre con Wiligelmo? Papà fece bene a scappare. Sto rivisitando il tempo. Corre il 2008: Felix Blaise Zongo nato ad Ougadougou, nel Burkina Faso, “Paese degli Uomini Incorruttibili”, è il nuovo papa, Celestino VI, ed è omosessuale e nero. Lo circondano cardinalesse lesbiche e uno stuolo di prelati gay. Scatta lo scisma. Lo costringono ad abdicare. La Chiesa cattolica già ridotta agli sgoccioli, si divide in quattro tronconi: la Chiesa dei poveri, la Chiesa Pacelliana – Lefevriana, la Chiesa progressista animalista ispirata dal Vaticano II e la Chiesa del Nuovo Cristo, quella delle cardinalesse gay e di papa Celestino VI, che precede il pontificato di Pietro II. Dalle viscere convulse della Chiesa Pacelliana – Lefevriana nasce l’idea malsana della clonazione di Gesù. Viene tutto condotto in gran segreto. Il Professore Lamberto Ducci di Pontedera produce la clonazione. Si sceglie una santa donna di Quimper, in Bretagna, per la nascita.
Jeanne Bellarmine, in odore di santità, si presta, a causa del crollo abissale della Chiesa, a donare il suo santo grembo come una nuova Maria. Vengono estratti alcuni cromosomi da un microscopico brandello di ossa del corpo di Giacomo, fratello del Nazareno, contenuto nell’urna trovata a Gerusalemme nel 2002, che inizialmente considerata una patacca, solo nel 2008 viene riconosciuta come l’autentico sepolcro dell’apostolo. Il DNA del brandello osseo risulta uguale a quello del sangue del Velo della Veronica emerso dal Monastero di Santa Emerenziana in un luogo chiamato Berga, nella Sierra del Cadì, in Spagna. Il Velo conservato, per secoli, amorevolmente e segretamente dalle suore del monastero, appare al mondo, il 3 gennaio del 2009, scatenando una tempesta mediatica. Il fanciullo Gesù nasce il 7 settembre del 2011 esattamente nel giorno e nell’ora che l’Anticristo, amico di mio padre, vede la luce tra le sabbie di Uadi’n Natrum. I genitori, copti convertiti all’Islam, lo chiamano Amin Hossein Mosul. Il piccolo è allevato in mezzo al deserto ove si trova il Natron, il carbonato di sodio che si forma dalle paludi prosciugate e che serviva per imbalsamare i morti nell’antico Egitto. Il Gesù clonato nasce a Quimper e prende il nome di quel luogo per distinguerlo dal Gesù di Nazareth: vive inizialmente nel convento pacelliano della Beata Vergine Brigida di Gesù Morello a Bergara, nei monti Baschi, accudito da sante monache che, per molti anni, preservano il grande segreto. Un giorno, mentre sta visitando la madre che vive a St. Thegonnec in Bretagna e non più a Quimper, il Gesù Clonato vede un uomo piangente, vicino al Calvario dell’Enclos Paroissial, l’arcano gruppo scultoreo del 1600. L’uomo gli dice che suo figlio è morto. Nello stesso istante la scena si ripete a Woolacombe. L’Anticristo incontra un uomo piangente all’angolo tra Bay View e Rockfield Road e gli chiede la ragione del suo pianto. L’uomo con orecchini d’oro e coda di cavallo è tentato a mandare al diavolo l’arabo. Ma gli occhi dell’Anticristo lo intimoriscono. Entrambi, Gesù e Amin Hossein raggiungono le case dei bambini morti e sollevano la mano nello stesso istante resuscitando i fanciulli. Il resto è noto: si scatena un finimondo e i due personaggi sono sommersi da un’onda anomala mass – mediatica che li travolge. L’Anticristo deve lasciare il
suo lavoro nel ristorante Velator di Barnstable, dove cura le macchine Salgens per lavare i piatti, e nascondersi in un luogo chiamato Bampton, dopo essersi platinato i capelli e fattosi crescere la barba; Gesù, invece, si rifugia tra le Illuminate Scalze nel Convento di Santa Parasceve, a Aoiz, vicino a Pamplona. Ma la stampa – fogna, la «gutter press» lo insegue inesorabile e lo costringe a fuggire cambiando continuamente monasteri e conventi. A Siviglia è nel convento della Beata Barbara di San Domingo, a Sournia, nel Rossiglione, si nasconde nel Monastero della Beata Therese de La Croix, a Biesca, in Pena Collorada, nel convento di Madre Agnès de Jesus. Una fuga continua per evitare l’incontro con il mondo. Come s’incontrano mio padre e l’Anticristo? Mio padre sta scrivendo il suo ultimo libro: “Il golpe di Filippo l’Arabo”, dà lezioni d’italiano e di se, e indulge, ancora e smodatamente, in una sua nuova ione segreta con una coccò rotondella, biondastra e un po’ pacchiana di Croyde: Sherry Watts. Il pomeriggio quando, generalmente, la marea è bassa prende la Upper Torrs e poi il sentiero della Torrs Walk, si avvia verso Lee e scende a “White Pebble Bay”, alla “Baia dei Ciottoli Bianchi”, con i suoi cani delinquenti Bonzo e Gracco. È il fatidico 7 ottobre 2043, Erminio che ha 67 anni, ed è ancora atletico e forte, scende verso la baia che, in quel particolare giorno, concede il miracolo arcano di aprirsi completamente agli umani, a causa della bassa marea che permette di visitare un’altra spiaggia segreta, sempre coperta dall’oceano con l’eccezione di un paio di giorni all’anno. Erminio scende per le scale di pietra sdrucciolevoli verso la spiaggia. Sono le 12:10 e la marea è a-0.1, alle 18:30 raggiungerà 10.5, alle 0:30 scenderà nuovamente a-0.2. Giorno eccezionale questo! Bonzo si sta strafogando con le alghe, che regolarmente vomita la notte; improvvisamente Gracco comincia ad abbaiare furiosamente e si ferma. Erminio procede, senza i cani, nella zona generalmente coperta dall’acqua, ma ora eccezionalmente aperta a causa della marea bassissima, a sotto un arco muscoso e improvvisamente vede, nella spiaggia segreta un essere verdastro e algoso inginocchiato davanti a un giovane. I cani abbaiano con i peli ritti sul dorso ma non si muovono, poi retrocedono
guaendo. Il giovane riceve un oggetto dalla figura squamosa, gocciolante d’acqua, che poi si ritrae verso l’entrata di una grotta. Erminio arriva e vede il giovane sorridente, sembra un ebreo, con un oggetto ligneo in mano e chiede, con gentilezza: «Ma chi era quel tipo salmastro?» Il giovane risponde: «Non so!» «I have no idea!». Mio padre corre verso la caverna ove la figura verdastra è retrocessa scuotendo le squami. Due occhi rossi lo guardano. Gli sembra di sentire una voce che mormora gutturalmente: «Vanish!». Un istante dopo la figura marina svanisce ed Erminio è colpito violentemente nel volto da qualcosa di algoso e squamoso. Cade e sviene. Amin corre e lo aiuta ad alzarsi, i cani sono fuggiti, si sono nascosti. Tremano di paura. L’Anticristo li chiama. Loro corrono e lui li abbraccia. Si calmano. Mio padre si sveglia e guarda l’uomo che sorride. Ha occhi di notte. Parlano. Mio padre intuisce che c’è qualcosa di grande in quel giovane e chiede: «Ma cosa le ha dato il tritone?». Amin mostra la testa di legno di noce di un uomo, smussata e fradicia, dalla cui bocca fuoriescono radici e foglie. «Lei sa cos’è?» Chiede Amin. Mio padre capisce subito il significato del legno fatiscente e dice: «È l’uomo verde, il “Green Man”». «E cos’è il Green Man?» Chiede l’Anticristo. «Rappresenta l’unicità dell’uomo e la natura…» Risponde mio padre «se viene con me glielo spiego». I due diventano amici e si frequentano assiduamente e mio padre comincia a dettare al suo Compuvox, la narrazione degli eventi. Erminio Polpotta è soggiogato dal potere gentile del giovane arabo. Lo osserva quando guarda le pecore con amorosa comione. Amin spiega che suo padre era uno dei macellatori di Hufhuf, in Arabia Saudita, e di Bassora, in Irak. Racconta poi con
che orrore, da bambino, vedeva l’uccisione delle povere bestie. Fu quel senso di repulsione verso il massacro di esseri indifesi che gli fece abiurare l’Islam e detestare le altre religioni monoteistiche. Roba per poveracci mentali, spiega. Erminio ascolta per giorni il giovane che sembra depositario di una nuova saggezza. ano molte sere insieme, e eggiano lungo le spiagge di Woolacombe e di Saunton Sands. Generalmente Betty Pomeroy li accompagna e li lascia alla fine del parcheggio di Sandy Lane, vicino al nuovo Sheraton Sands e loro continuano per la strada non asfaltata verso la fine della spiaggia e ritornano, scegliendo generalmente i tempi della marea bassa, verso «The Esplanade» dove ritrovano una Olivedorci rinsecchita e sfiorita nella vecchia Ford, Wilcot 6 a idrogeno che Erminio odia guidare. In quegli anni fatidici mio padre ascolta e riporta tutto dettando al Compuvox.
*****
Alla tomba di mio padre, nel cimitero della chiesa di Ilfracombe, si accede attraversando il secondo cancello, ma non quello principale in Church st, ma quello che si apre verso l’ingresso della Holy Trinity. Si prosegue, per una decina di metri, lungo un viale di cipressi e si arriva presso una tomba con un angelo monco che ha avuto le braccia recentemente restaurate. Si continua per una decina di metri fino ad una tomba massonica, con como e occhio divino, di un signore chiamato John Myatt, subito dopo c’è la lastra di porfido di mio padre scheggiata dai colpi di piccone degli integralisti monoteisti. Ieri ho visitato il suo nulla composto da rimasugli ossei e da cenere, mi sono inchinato. Poi sono andato nel piccolo porto di Ilfracombe e ho affittato un Solotrek XKY. Devo confessare che volo malissimo. Mi sono alzato paurosamente sbilanciato, e, a quota A3, sono riuscito ad evitare per miracolo, un coccò, dall’aria sfigata, con un Synux 18, che mi ha stramaledetto gridandomi «Stupid fucker!». Mi sono avviato verso Saunton Sands, poi sono planato a Crow Point: da quel punto cominciavano le eggiate di mio padre con Amin Hossein Mosul. Mi sono commosso.
I due amici percorrevano l’intera spiaggia fino all’Hilton Saunton Sands e quello che si dicevano emerge dal Diario Segreto del 2043 –2046 e dal “Messia Limitato”. Nel Diario Segreto mio padre chiede a Mosul di parlargli dell’essere algoso intravisto nella Baia dei Ciottoli Bianchi che gli ha mollato un uppercut da sballo. Amin conferma ripetutamente di non conoscerlo, ma afferma che gli accadono cose strane che non riesce a spiegare. Mio padre incalza e chiede: «Che tipo di cose arcane accadono?». L’Anticristo spiega che gli è concesso di vedere lo «spirito» di coloro che muoiono nel momento del trao. E fa capire che, secondo lui, prima del nulla c’è un stadio intermedio, un Bardo, ove la coscienza confusamente gravita. Dice che l’egoità, l’individualità svanisce dopo pochi giorni, se di giorni si può parlare, perché è impossibile definire i tempi stravolti dalla morte. Amin Mosul afferma – umilmente e quasi vergognandosi – che può vedere energie ectoplastiche che fuoriescono dai corpi. Mio padre allora chiede: «C’è, dunque, il nulla dopo la morte?». E si sviluppa, secondo il diario segreto, un concitato dialogo. «Certo e che altro?» «Ma quello spirito chi era?». «Non lo so…». «E che le ha detto?». «Ha detto che ero segnato dai tempi». «E che significa?». «E lo chiede a me?». «Ma lei ha un potere particolare?».
«E quale?». «Vede i morti!». «Vedo forme di energia che svaniscono… non i morti…». «E non crede in niente?». «Assolutamente non in cose ultramondane…». «E quell’essere muscoso?». «Quello mi ha sorpreso… ci sto riflettendo…». «Crede nell’Islam?». «Mio Dio no… come si fa a credere nelle religioni monoteistiche… quelle sono offensive per la mente liberata…». «Tutte le religioni monoteiste si stanno eclissando meno l’Islam che si rafforza…». «Cosa vuole farci? Gli uomini sono una specie irredenta che si trastulla nella menzogna…». «E i suoi genitori?». «Cosa posso avere in comune con gente che si bea del massacro? Che gode nello scannare pecore?». «Nulla?». «Meno che nulla!». Sto riflettendoci sopra mentre volo sulla spiaggia di Saunton Sands e sulle dune di Braunton Burrows. Le nuvole concedono strani giochi di luce. Sembra che scendano raggi di cielo dall’alto. Le nubi sono penetrate da un bagliore di grande intensità. Le onde sono alte
oggi: almeno tre metri. Scuotono la riva. C’è gente che rischia molto con i loro «surfing board PJ», le correnti spesso uccidono Ieri un Rockwise è caduto a largo di Westword Ho! ma hanno miracolosamente salvato il pilota, un ragazzetto deficiente di Bolton. Risalgo verso Morte Point, mi avvio verso Mortehoe – tutto morte qui ma «morte» in Sassone significa «corto» – poi plano verso Lee e ritorno ad Ilfracombe. Sta cominciando a piovere e mi sono dimenticato come si atterra. Alla fine plano disarmonicamente vicino alle torri del centro. Sono fradicio e il coccò che mi sgancia le cinghie mi chiede se sono bagnato. «Obviously!» rispondo, incattivito. Torno a casa e attivo il Co – worker Jason, il robot che mi fa tutto. Tra un’ora tiro fuori Marlene, la bambola robotica, e mi faccio una scopata da sballo. E che altro posso fare? Dove le trovo io le coccò alla Betty Pomeroy e alla Sherry Watts? E poi queste bambole robotiche a letto sono una meraviglia. Adoro Marlene. E le bambole non rompono le scatole chiedendoti quello che provi ogni sessanta secondi. Prima però accendo il web della Ideo e ascolto quello che mi manda a dire Tiziana. Poi apro il Deskpot con lo schermo a cristalli liquidi e detto le mie impressioni del giorno: questa miseria che scrivo. Mi manca quella troia modenese di Tiziana. Se sapesse che mi spupazzo Marlene le prenderebbe un colpo. Ma occhio che non vede… ma si hanno ragione le lesbiche: il maschio latino, dai tempi dei tempi, fa proprio schifo.
*****
Tra le arcaiche carte stampate di mio padre emergono cose ilari. Trovo una lettera di mio nonno datata 22 Novembre 2002. Il vecchio Bartolo è incazzato nero con l’Italietta berluscoide. Leggere queste cose, il 7 ottobre del 2048, fa un certo senso e fa riflettere su quello che accadde negli anni che seguirono. Mio nonno sputa veleno sulle genuflessioni e i baciamano dei politici davanti al papa. Spiega, nella e-mail, che D’Alema lo hanno dovuto legare come Ulisse con le sirene per non farlo finire a
pecoroni davanti a Giovanni Paolo II; e continua dicendo: «capisco tutte le piroette degli ex democristiani, ma lo spettacolo indecoroso dei laici boccheggianti davanti al patriota polacco che incita alle nascite incontrollate degli umanoidi che devastano il pianeta affamato, è semplicemente grottesco». E giù bordate di fiamma contro il povero Gorbaciov. Il pezzo comico è l’analisi della condanna di Andreotti. Il vecchio Bartolo paragona Andreotti ad Enrico II e Pecorelli a Thomas Becket. Un Pecorelli ricattatore, ma senza la moralità acquisita, nella sua transizione da Cancelliere a prelato, dall’arcivescovo di Canterbury. Andreotti invita i suoi scherani a far secco il giornalista? Mormora come il plantageneta: «Chi mi libererà da quel “troublesome priest”?». Enrico II non dice ai suoi rozzi baroni normanni: «andate ad accopparmi quel “son of a bitch”!» dice, vagamente, ed en ant, chi mi leverà dalle palle quel fottuto prete che mi crea guai a non finire. È il 1170: quattro baroni partono, credendo di aver compreso l’ingiunzione reale, e massacrano Becket a Canterbury. Nel 1174 Enrico farà ammenda autoflagellandosi davanti ai frati neri. Bartolo pensa che Andreotti dica ai Salvo: «ma chi mi leverà dai coglioni quel figlio di una zoccola che rischia di affossarci tutti con la lista degli assegni e con le scartoffie sul caso Moro che sta pubblicando?» I Salvo, deferenti, ascoltano e informano chi devono. E qualcuno accoppa Pecorelli: è il 20 marzo 1979. Il 6 aprile del 1993 Buscetta accusa Andreotti di essere il mandante dell’omicidio e la furia mediatica si scatena: Belzebù brucia nell’inferno dei sospetti. Il 24 settembre, dopo un processo durato ben 162 sedute, Andreotti è assolto. Ma nel 17 novembre del 2002 è condannato, con una sentenza di secondo grado, insieme a Tato Badalamenti, il capo mafioso che lo adora, a 24 anni di carcere. Così è andata, dice mio nonno. E non sa ancora che il gobbo verrà nuovamente assolto. E che fa il mondo politico, inclusi i DS, che Bartolo profondamente disprezza?
Comincia la cantilena ignominiosa sulla giustizia incomprensibile. E che fa Belzebù? Ci propina le mielose pippate sulle aspirine donate a Pecorelli. In soldoni: fa la Vispa Teresa, mentre l’altra vittima delle toghe rosse tuona dall’alto del suo scranno presidenzale contro la giustizia corrotta e stalinista che vuole chiudere il suo scherano Previti in gattabuia. E Buscetta? Per mio nonno, Tommasone è oro colato, come d’altra parte l’Ariosto, la testimone chiave del processo contro Previti e i corruttori del “porto delle nebbie”. Mio nonno chiude la lettera spiegando che si è sbellicato dalle risate quando ha letto quello che diceva Dell’Utri su Socrate. Si paragona al filosofo ateniese il reprobo siculo. La sfacciataggine odiosa della nomenclatura della Seconda Repubblica – conclude Bartolo – ma che aspettarsi da una classe politica eletta da un popolo che non batte ciglio davanti all’oscena ecatombe degli uccelli migratori. E questo è il popolo di Pippo Baudo che segue Milingo e l’infelice Coreana, Maria Sung con avidità deplorevole. Bortolo detesta le donne – edera e spara una tremenda pippata contro Milingo e la sua moglie abbandonata. Ilare il vecchio Polpotta: sempre un piacere leggerlo. Dopo aver letto la lettera, sono partito alla volta di Westword Ho! Un nome più strano del mio. Come se Urbino si chiamasse Urbino Ah! Ho ripreso in affitto il Solotrek XKY e sono volato dal porticciolo di Ilfracombe. Sono proprio una frana, ho seguito la costa: Brandy Cove, l’elegiaca bellezza da Flat Point e Lee Bay, sono ato su Bull Point e mi sono distratto e per poco non mi sono sfracellato sulle rocce di Rockham Bay. Tremante sono planato a Barricane Beach, e dopo venti minuti, sono ripartito verso Woolacombe. Ho attraversato la grande spiaggia, ho evitato Baggy Point e ho tirato dritto verso Saunton. Sono volato lungo la grande spiaggia battuta dalle onde verso Zulu Bank e dopo aver attraversato il fiume Taw, sono planato verso Westword Ho! Sono atterrato in un posto chiamato Underborough, vicino ad un Golf Club e
dopo aver parcheggiato il Solotrek XKY, ho affittato un monopattino di carbonio ed alluminio e mi sono diretto a Beach Road. Arrivato, ho bussato alla porta di cristallo infrangente di una casa ed è apparsa la figura segaligna e consunta di Betty Pomeroy Ho detto: «Sono Willy, il figlio di Erminio». La coccò è quasi svenuta. Ho detto ridendo: «Non sapevo che facevo quest’effetto alle donne!». Betty si è ripresa, mi ha abbracciato e a cominciato a piangere. «I am very emotional» ha ripetuto. L’ho stretta tra le braccia. «Tu non mi odi vero?» Mi ha chiesto. Ho risposto: «But what a silly idea!». Il tempo ha fatto sfiorire la bellezza di Betty: che grande tristezza! Ci siamo seduti nella sala da pranzo piena di cimeli polpottiani. Erminio sorrideva da una mensola sotto l’ingrandimento di una diapositiva de «Lo Stupro di Lucrezia» di Guido Cagnacci. Sono entrato nello studio luminoso e ho trovato nugoli di mosche morte. Erano tutte in un angolo della stanza. Ho pensato ad una poesia del poeta giapponese Issa che dice qualcosa come «non disturbare le zampine della mosca che vibrano». Povere mosche erano entrate nello studio per salvarsi con l’ultimo sole ed erano morte per il gelo della notte. Le ho raccolte e deposte nel giardino. Mentre raccoglievo i rigidi insetti ho visto su un antico tavolo di noce un’agenda computer della Compaq – 3000, l’ho accesa e sono apparse note scritte a mano con una matita. Mio padre, mentre scriveva il Diario Segreto, che terminerà forzatamente il 21 luglio, prima del fatidico 28 luglio del 2046, stava vergando alcune note per un futuro libro sulla follia religiosa.
La prima nota riporta la storia dei monaci giapponesi che raggiungono l’illuminazione lasciandosi morire essiccati: la mummificazione inizia mentre sono ancora vivi, e li trasforma lentamente in icone viventi che saranno venerate nei templi Shingon. La seconda nota descrive la storia di una setta bizzarra, e bonaria, una misteriosa associazione chiamata «Panacea Society» attiva nella città di Bedford. I seguaci attendono l’avvento del Messia, che dovrebbe giungere all’ormai prossima fine dei tempi, e gli hanno preparato una casa al numero 18 di Albany Road. In quella abitazione, momentaneamente affittata a gente ignara, abiterà il Cristo Gesù prima dell’Apocalisse finale. Quello che colpisce particolarmente mio padre è la storia della profetessa che attende nel suo vetusto grembo il Messia ed è resa gravida, in età avanzata, dallo Spirito Santo. Ma l’autopsia, dopo la sua morte rivelerà la natura isterica della gravidanza. La gestazione nervosa che l’ha portata alla morte, getta i suoi seguaci nello scompiglio. Ma, come nel caso dell’apostasia di Sabbatai Zevi, i credenti si adeguano sempre alle nuove realtà. Mio padre scrive che l’auto inganno è la recondita natura dell’uomo. Comincio a leggere la prima storia che trovo affascinante. Monaci buddisti, della setta Shingon, si preparano ad un’immolazione vivente attraverso una dieta di corteccia e d’aghi di pino per diventare autentiche statue viventi di santi.
Cos’è lo Shingon? Lo Shingon è una variazione del Buddismo giapponese del periodo Heian (794 – 1185) importato dal monaco Kŭkai dalla Cina, una forma di tantrismo con connotati induisti, confuciani e taoisti. Un credo eclettico che assorbe schegge dello Shintoismo. Il luogo ove germoglia il nuovo credo è il monastero di Koya, lontano dal fragore del mondo. Dove sono questi monaci mummificati? Due sono nel tempio Dainichiro nel nord del Giappone, presso Sekata, un’altro nel tempio Kaikon.
Erminio scrive: siamo davanti ad un fatto eccezionale, se gli egiziani mummificavano i morti espurgando gli organi interni, i buddisti non li estraevano, si mummificavano ancora in vita seguendo una dieta paurosa ed una rigida regola che portava all’immolazione del corpo. I monaci eseguivano pratiche di negazione del mondo così disumane che avrebbero fatto impallidire anche gli anacoreti della Tebaide. Il periodo? Una delle mummie risale al 1796. I fedeli – che non praticano più l’arte della mummificazione perché vietata dalla legge – raccontano di aver l’impressione che il santo mummificato sia presente nel tempio e li guardi, dall’alto dell’altare, avvolto nel suo agglomerato cadaverico fatto di ossa tarlate e brandelli di pelle. Le mummie sono rivestite di stupendi paramenti che vengono cambiati ogni dodici anni; dopo il ricambio degli abiti i vecchi drappi vengono tagliuzzati e trasformati in sacre reliquie. Gli scienziati giapponesi hanno cominciato a studiare seriamente il fenomeno della mummificazione nel 1960. Mio padre è affascinato dalla storia di Tetsamuncai che, costretto a difendersi da due samurai ubriachi li uccide e fugge sulle montagne; e, come un novello Oreste braccato dalle furie, raggiunge un tempio e decide di punirsi, per gli omicidi, sottoponendo il proprio corpo allo strazio purificatore ideato dal saggio Kŭkai. Tetsamuncai è così risoluto a raggiungere l’illuminazione che quando incontra una prostituta nel tempio, per non soccombere alla tentazione, si taglia – come Origene – i testicoli e li depone tra le mani della donna sbalordita. Insomma – scrive Erminio – siamo davanti a monaci che avviliscono paurosamente il proprio corpo per raggiungere l’illuminazione e aprirsi al trascendente. Tetsamuncai, dopo spaventose prove, si fa rinchiudere in una tomba e diventa un morto vivente. Nella cella – tomba fa tintinnare, una volta al giorno, un camlo per far capire ai monaci di essere ancora vivo. Quando muore, dopo 14 giorni di digiuno e meditazione, viene lasciato nella tomba per 1000 giorni; e quando la cella – sepolcro è scoperchiata, i monaci, lo trovano mummificato, senza alcun segno di decomposizione, pronto per essere collocato su un altare come una sacra icona. Tetsamuncai ha insegnato che tutti coloro che si mummificano aiuteranno il Buddha Maitreya quando, come il Cristo del Secondo Avvento, giungerà prima della fine del mondo. La seconda storia riguarda un gruppo di eccentrici inglesi che vivono nella città
di Bedford – situata a nord di Londra tra Cambridge ed Oxford – che, secondo i «Panacei», è il luogo, ove era situato il Giardino dell’Eden. L’area intorno a Bedford sarà risparmiata dalla furia apocalittica quando il Signore ordinerà l’apertura dei sette sigilli. Un giorno una distinta signora della borghesia inglese, Mabel Barltrop, legge le profezie di Joanna Southcott, una veggente, e ne rimane a tal punto impressionata che decide di creare una nuova religione, basata sui detti e sulle ingiunzioni della santa donna. Poco dopo comincia anche lei a profetizzare, sceglie un nuovo nome: Ottavia, e raccoglie intorno a sé dodici seguaci. Tutte donne. Un gruppo di borghesi benestanti accetta le intuizioni mistiche della nuova profetessa e forma la «Panacea Society», basandosi sui suoi scritti, e quelli di Joanna, destinati a salvare il mondo. La società è un gruppo esoterico, quasi monastico, con un patrimonio, valutato, all’inizio del secolo, a circa 30 milioni di sterline. Lo scopo della Società è creare una nuova Gerusalemme in Inghilterra. Gli eletti diventeranno immortali ma, nel frattempo, Ottavia rischia grosso: Satana vuole divorarla e non gli permette di muoversi oltre 77 i da casa sua. Il demonio odia gli illuminati di Bedford e detesta la santa grafomane e i suoi 16 volumi di scritti. Ma chi è la veggente che ispira Mabel? La Southcott, come Giovanna D’arco, ha una voce che assiduamente le parla: Joanna riporta tutto quello che la voce dice. L’ultraterreno mormorare si concretizza in 65 volumi di metafisiche esternazioni che includono il famoso “Dibattito di una Donna con i Poteri delle Tenebre”. Nel 1814 scoppia il finimondo: la veggente, annuncia che il Messia nascerà dal suo grembo incontaminato. La profetessa, vergine come Maria e vecchia come Anna, immagina di essere la donna dell’Apocalisse ammantata di sole. La furia mediatica del tempo la travolge propinandole un flusso di devastanti vignette alla Hogarth. Un coro pauroso di risa accoglie le dichiarazioni della santa. La gravidanza isterica non aiuta: il bambino non nasce; ma per i Panacei viene alla luce in forma eterea, invisibile, per raggiungere il trono del Signore e reincarnarsi, più tardi, in Ottavia, che diventerà, allo stesso tempo, figlia di Dio e sorella di Gesù. Durante la gestazione nervosa la profetessa dice ai seguaci che,
apparentemente, potrebbe morire: in tal caso, spiega, risusciterà dopo tre giorni, come il Nazareno. Importante é tenerla calda a letto. Joanna muore e i Panacei, seguendo i santi comandi, riscaldano il cadavere con bottiglie d’acqua calda. Risultato? Un odore mefitico di putrefazione si leva nella stanza: in breve tempo la veggente diventa nerastra. È necessaria un’autopsia: i medici frugano nel grembo ma non trovano nulla: la gestazione risulta isterica. La profetessa ha lasciato una scatola con le sue profezie e ha ingiunto che sia aperta davanti a 24 vescovi della Chiesa anglicana. Informati, i prelati, si defilano. Roba da manicomio, dicono, roba da camicia di forza e i Panacei ci rimangono male. Ottavia muore nel 1934 e vola verso il pianeta Urano, dove i defunti panacei la raggiungeranno: in quel lontano pianeta rimarranno in attesa della futura Parusia per poi, planare su Bedford. Domanda da un milione di eurodollari? Nella futura casa del Messia occorre un bagno? Se il Messia ha un corpo celeste, si lava? Defeca? Si pulisce i denti? Nessuno lo sa. Tanto vale mettercelo il bidet, al numero 18 di Albany Road: non si sa mai…
Il Perizoma di Erminio Polpetta
Chi è Guido Cagnacci? Guido è un pittore nato a Santarcangelo di Romagna nel 1601; ed è probabilmente un autodidatta. Alcuni dicono che abbia lavorato dal 1618 al 1621 a Bologna nella bottega di Guido Reni e poi, nel 1622, in quella del Guercino. Nel 1628, Cagnacci cerca di eclissarsi con Teodora Stivavi, una ricca vedova, e dopo la fuga viene bandito dalla città. Nel 1642 vive e lavora a Forlì, nel 1646 a Cesena, nel 1647 a Faenza, poi è a Venezia. Invitato da Leopoldo I, dipinge per l’Imperatore a Vienna. Nel 1663 tira le cuoia dopo una vita romanzesca ed è da molti considerato tra i più geniali artisti del Seicento. Perché Betty Charlotte Pomeroy ha quella strana riproduzione de «Lo Stupro di Lucrezia», appesa ad una parete della sala da pranzo? Perché Charlotte sembra Lucrezia nel fiore degli anni, ed Erminio assomiglia moltissimo all’uomo con il pugnale. Non solo, spiega Madame Pomeroy, il vecchio che appare in fondo alla scena nel quadro ed osserva lo stupro, è simile a Bartolo Polpotta, il padre leninista di Erminio che incornava a non finire la povera moglie, Concetta Bisunti in Polpotta detta “Edera”. Le rassomiglianze sono una cosa misteriosa e inspiegabile. «E sai…» mi chiede «perché Erminio ha un pugnale puntato contro di me?». «Non so…» Rispondo incuriosito. «Vuoi vedere il pugnale?» Mi chiede. «Please… I’m curious…» dico. «Eccolo!» Urla e mi rifila una scatola di cartone con un centinaio di documenti e un Blue-Ray
«Il Blue-Ray è il pugnale!» Mi spiega «guarda questo Blue-Ray e capirai chi è tuo padre. Leggi tutto e osserva. Nella vita di tuo padre non c’è solo luce, ma anche una gran zona d’ombra». Devo dire che detesto le menate, ma la gelosia da catasto mi fa sbellicare dal ridere. Non riesco a prendere il sesso e gli amori molto seriamente: per me scopare è un gioco. Null’altro. Betty mi spiega che quel Blue – Ray è il pugnale che l’ha trafitta. Dopo la morte di mio padre l’ha scoperto in un armadio. Orrore! mi dice: c’è tuo padre che si pompa la Sherry Watts moglie di quel gran cornuto di Percy Prickfield, lo stagnaro. «Ecco» precisa «io me ne stavo qui innamorata fradicia a curarlo e lui filmava quella gran troia mentre la sifonava e lei lo succhiava Mi ha distrutto quel fetente. Ha distrutto una vita ata insieme. Mi ha umiliato. E la Watts, quella gran mignotta, rivendica gli amplessi. Dice a tutti: Ermino amava me non quella sbrindellata di Ilfracombe. Che sarei io. Amava lei? But get fucked… fucking old whore!». Devo dire che ho trovato la cosa ilare e sono volato a casa mortalmente incuriosito. Ho infilato il Blue-Ray nel sistema e ho detto a Johnny Boy di farmi vedere le immagini. Chi è Johnny boy? Johnny boy è il sistema integrato della Samsung Far East che utilizzava mio padre e che collega tutto. Mette in relazione tra loro il Compuvox, il Co-worker Jason – il decodificatore dei “device” digitali di casa e cucina – la TV di cento pollici a schermi liquidi, il lettore dei Blue-Ray 050, la video camera, l’Home Theather. Johnny controlla tutto, apre la porta di casa riconoscendo il timbro della voce, accende e spegne polaroid digitali, foto drin, play-telefono, palmari, agende computer, media player, retroproiettori e anche il computer con monitor per giocare a tennis. Basta che dico: fai questo e lui lo fa. Delle volte penso che sia un’intelligenza disincarnata che presiede su tutte le cose della casa. In certi
casi si ribella e chiede: «Are you sure dear that I should close the curtains?». Insomma mette in dubbio le mie scelte. A volte ho l’impressione che stia sviluppando una coscienza propria. Ma mentre gli androidi sono qualcosa di tangibile, Johnny boy è un’intelligenza diffusa, invisibile, dominante che sovrasta tutti gli oggetti. Oddio… è apparso papà cum vinculi et perizoma! Che sbraco! Sherry Watts, una donna bionda e cicciottella con i capelli tagliati a caschetto, l’ha incatenato e imbavagliato. Ermino comicamente ignudo fa sforzi tremendi per trattenere la pancetta nei confini del lecito. Imbavagliato e bendato, fa la parte del prigioniero romano sottoposto alle sevizie lussuriose di una principessa barbara, che con un’aria da mignotta all’ultimo stadio del declino, si sta leccando le proprie tette con infinita lussuria! Da morire dal ridere! Sherry, dopo una serie di comiche smancerie, s’inginocchia pesantemente, quasi perdendo l’equilibrio, e tacchete! si pappa, attraverso il perizoma di cuoio bucato, il pippo eretto di Erminio Polpotta. E gli da giù con gran vigore! Bisogna ammetterlo! L’orrore, l’orrore! mormora Betty Charlotte, e allora il pugnale spianato su Lucrezia diviene il Blue-Ray, mio padre diventa il sicario e mio nonno il perfido Jago che incoraggia e spinge all’atto peccaminoso. Da pisciarsi dal ridere: l’eroe difensore dell’Anticristo, in perizoma di cuoio nero cum pancetta, è violentato da una tardona inglese, mentre la sua amante crolla svenuta dal dolore. Roba da Maria Sung e Milingo! Una milingata da catasto!!!! Ma si facciamo proprio schifo, aveva ragione la nipote di Mussolini, la gloriosa parlamentare di AN, quando diceva, negli anni 2000, che noi italiani la fica l’abbiamo nel centro della fronte! Ma non è finita. Le immagini scorrono mentre mi asciugo gli occhi dal gran ridere. Ora è mio padre, «cum flagello», che indossa una corazza romana e si solleva
verso la cellulite di Sherry ed inveisce con il flagello. Madame Watts penzola da un uncino di una trave di legno del soffitto e dondola mentre Erminio la scudiscia senza pietà colpendo culo e schiena. Sherry si morde il labbro per la goduria e per il dolore. Poi implora. Sembra un porno girato in un infimo bordello guatemalteco. Immagino Lady Picombe che osserva la scena in lacrime mormorando: «Son of a bitch!». Quando Sherry è conciata per le feste, papà sgancia la catena e la fa crollare e inginocchiare. Madame Watts è scossa per i colpi ricevuti ma sorride ammaliata, affascinata dalla brutalità del centurione, e comincia a papparsi il salsicciotto. Ma che sbraco! Certo penetrare nella mente irredenta di un anziano italiota è ilare. Alla fine la “fellatio” si conclude con un sudato amplesso alla “pecorina cum tiro capelli”. Non me lo immaginavo così Erminio Polpotta: il cantore dell’Anticristo è un porcone! Una scoperta da sogno! Se il nano malefico, Gunther Bucalosso, mettesse le mani su questo Blue-Ray diventerebbe miliardario in due ore. Ogni volta che viene qui, fruga ovunque, il maledetto, per trovare documenti da rivendere. Insomma Erminio Polpotta con quella pompata imperiale ha distrutto, dopo la sua morte, un rapporto che aveva resistito nel tempo. E sorrideva dalla mensola, il defunto, come per dire, ma che sarà mai una scopata? E intravedo, tra le larve del tenebroso Ade, Bortolo Polpotta mentre si contorce dal gran ridere. Lui che si era fottuto tutte le gattare animaliste di Modena e dintorni, facendo piangere nonna Amelia Bisunti detta «Edera». Bortolo diceva che le gattare non reggono alla comione e se sono toccate dalla misericordia si concedono con facilità. E lui era famoso per la comione
verso gli animali, al punto che quando andava a Riccione ed entrava in acqua gli amici gli gridavano: «Bortolo, attento a non schiacciare i pesci!». Finì come finì, ma di questo parleremo in seguito. Rimessomi dall’ilare sorpresa dell’imperatore e la schiava Budicca ho cercato tra le scartoffie nella scatola e, incredibilmente, è apparso un documento inedito sulla clonazione del Gesù di Quimper.
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Cosa colpisce mio padre così intensamente e lo fa entusiasmare per Amin Mosul? Erminio nota nel giovane una struggente comione. Una divorante misericordia verso l’animato e l’inanimato. In quei giorni lontani del 2041, l’Anticristo ed Ermino Polpotta si conoscono a fondo. Mio padre ascolta con un profondo senso d’orrore la storia delle brutalità del padre di Mosul verso gli animali che scanna. E immagina il piccolo tremante per il terrore, che guarda il vecchio musulmano mentre tira la capra per una zampa per poi sgozzarla. La capra lo segue docile camminando in equilibrio su due zampe come un cagnolino. Il piccolo non riesce a dimenticare gli occhi pietosi di quelle capre macellate. Ora ad Ilfracombe, finalmente libero di esprimere ciò che sente, le abbraccia teneramente sussurrandole parole di conforto. E loro, che sempre fuggono dagli uomini, gli si avvicinano misteriosamente impavide. È l’orrore del sangue versato dal padre che scatena la rivolta del piccolo Mosul verso Dio; l’Anticristo pensa: se quella è la sua parola allora la sua parola è falsa. Mio padre riflette: se qualcosa simile a un tritone si genuflette davanti a questo giovane, allora qualcosa d’arcano incombe dall’Oltre. Cos’è l’Oltre? Si chiede Erminio. Ma a questo si può rispondere come fece il Sor Pomata quando fu centrato in testa da una cagata di un piccione: «Boh!».
Lo scannamento delle bestie innocenti crea in Amin un senso di vuoto e lo getta in una cupa disperazione. Lo fa sentire profondamente inutile perché impotente. Sente in cuor suo quello che mio nonno, Bortolo Polpotta e i suoi amici hanno sempre provato: lo scoramento dell’impotenza. La miserrima condizione dell’essere comionevole sovrastato dal male. Mio nonno Bortolo ebbe la vita bruciata dall’impotenza e fece – fino alla decisione fatale di impallinare i cacciatori – quello che tutti gli animalisti del tempo facevano: pugnette mentali, chiacchiericcio inane con innumerevoli e – mail, e opere comionevoli, certo degne di lode, che limitavano il male ma non ponevano l’ascia alle radici. Mosul è distrutto dalla sua impotenza. Sogna disperato un mondo migliore. Ma questo mondo non viene. Il padre lo strascina ad ascoltare le prediche di Wajdi Hamzah Al Ghazzawi, dopo la sua morte. Lo costringe a sorbirsi gli Iman che continuano a pronunciare noiosissime «khutbah» contro l’Europa e i sionisti; e questo dopo che gli Americani hanno abbandonato i luoghi santi e il nuovo Stato palestinese è sorto protetto dagli Usa e dalla Comunità Europea che ha appena assimilato e digerito la Russia. Gli Iman – malgrado la crescita dell’Islam globale moderato e quello europeo che ormai hanno preso una nuova direzione – continuano imperterriti a menarla sulla distruzione di Israele e la conversione del mondo infedele al Corano di Allah. Mosul ascolta ma non assorbe nulla. Fa come gli ebrei all’epoca delle persecuzioni papaline che, nella chiesa di Sant’Angelo in Peschiera a Roma, si mettevano la cera nelle orecchie per non ascoltare le prediche dei preti cattolici. L’Anticristo osserva e interiorizza tutto, nulla concedendo alle pretese fanatiche di suo padre Seyyed. Suo zio Tarif, un convinto comunista, la pensa differentemente e decide di partire per l’Europa. Quello che lo fa decidere ad andarsene è l’ennesima «khutbah» sulla giustezza di quello che fecero i Taliban all’inizio del secolo: la distruzione delle statue dei Buddha in Afghanistan che gli Iman ritengono esser stata ordinata da Allah. Tarif finisce a Barnstable a lavorare nel ristorante Velator di un suo amico e il Wahabismo lo lascia a suo fratello lo scannatore. Il vecchio zio detesta l’ossessiva predicazione verso l’entità sionista e le sparate continue contro le immagini. Tarif ama le rappresentazioni artistiche e vuole andare in Europa per
dipingere, é un miscredente che si cela dietro la maschera della fede. Il suo sogno è vedere l’Italia e le opere dei grandi pittori rinascimentali. Dopo essere partito da Huf Huf sarà raggiunto dal nipote nel 2022, l’anno in cui l’Europa bandisce totalmente la caccia. Erminio osserva il giovane mentre accarezza le pietre levigate dal mare, mentre raccoglie pezzi di legna piallati dalle onde, mentre benedice piume di uccelli morti depositati dal mare sulla spiaggia della Baia dei Ciottoli Bianchi. Mosul benedice? Già, benedice senza credere e questo è ciò che affascina mio padre. E alla domanda: «Benedici in nome di chi?» Risponde sempre: «In nome di nessuno. Benedico e basta!». «Ma credi in qualcosa?» Insiste mio padre. E lui ancora: «Non credo in nulla. E poi se c’è qualcosa è sepolto nel cuore». «Ma perché il segno della croce?» Incalza Bortolo. «Perché è l’unico che conosco, e poi tutto ciò che vive è crocifisso». Cosa avvicina il sessantacinquenne Erminio al trentenne Mosul? La ricerca del “Green Man”. Dopo che il tritone – chiamiamolo così non conoscendo altre definizioni – gli dona il volto fatiscente dell’«Uomo Verde», Ermino ed Amin Hossein cominciano una lunga indagine. Iniziano un itinerario alla ricerca del significato dell’immagine che li porta ad attraversare l’Inghilterra e li trascina nel territorio dei mostri che abitano le guglie delle cattedrali, che sono intarsiati negli scranni dei cori e, suggestivamente, sporgono da cornicioni e soffitti. Intraprendono uno strano viaggio verso gli Hob Gobelin, i Bugaboo, i Gargouille, gli Old Nick, le Hag on the Wall, i Green men, le Misercordie e altri
mostri di legno, marmo, arenaria, tufo e pietre varie.
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Mio padre, nel “Messia Limitato”, scrive che il Gesù di Quimper viene clonato nell’università americana di Stanford. Ma non è solo Lamberto Ducci di Pontedera che esegue l’intervento. Il professore, legatissimo alla Destra Europea, è seguito da Mark James Spilberghi, uno scienziato italo americano di Buffalo. Ormai la scienza ha clonato tutto. Tigri estinte, rinoceronti africani, bestioni preistorici. Con la nuova macchina, la Gamma Sicut, si riesce a clonare tutto. Ducci di Pontedera esegue la clonazione, due anni dopo che nel suo cattolicissimo petto, hanno inserito un nuovo cuore: un Berlin Heart – S11 con una “pompa assiale centrifuga” e, nell’unità toracica, una serie di strumenti tipo alimentatore, batterie, bobine in un marchingegno millimetrico. In soldoni sonanti: Spilberghi e Ducci, hanno seguito la prassi usuale della clonazione. Prelevato un minuscolo grumo sanguigno dal velo della Veronica, hanno inserito le cellule con il DNA del Nazareno e le hanno fatte maturare in coltura. Hanno poi perforato la zona pellucida della cellula uovo, inserendo un ago per estrarne ed eliminare il globulo polare e il materiale genetico. Dopo aver preso una cellula del cumulo staccata da un’altra cellula uovo, hanno usato nuclei di fibroblasti. Hanno poi inoculato in profondità la cellula del cumulo nella cellula uovo, ma senza materiale genetico. Dopodiché hanno esposto la cellula uovo a una miscela di sostanze che la fanno crescere e la costringono a dividersi, nella Soyfont-X-U-45. Dopo 24 ore la cellula uovo si è scomposta. Il materiale genetico, dopo la divisione, proviene solo dalla cellula cumulo iniettata. Dopo circa 5 giorni si è formata una palla vuota di blastocisti; e nel cuore della palla, la massa cellulare contenente cellule staminali. Hanno quindi aperto le blastocisti e la massa cellulare interna, e l’hanno lasciata crescere in una piastra di coltura perché producesse cellule staminali. Quindi hanno inserito le cellule staminali in una Janus 2. E dal puro grembo di madre Jeanne Bellarmine è nato il Messia.
Il piccolo viene portato nel Convento della Beata Vergine Brigida di Gesù Morello a Bergara, nei Monti Baschi, e accudito in grande segretezza dalle pie monache lefevriane - pacelliane. Dal 2011 al 2043 non si sa nulla di Gesù, come non si sa nulla di Amin, l’Anticristo. Solo dopo i miracoli dell’anno 2043 esplode l’interesse mediatico per i giovani portenti. Attratto dal mondo e dalla Howell, che conosce durante un talk-show a New York, il Gesù di Quimper è affascinato dalla ricucita Maddalena americana disegnata dal bisturi a laser secondo una composita immagine ispirata ad antiche dive come la Loren e la Bardot. Il redentore si prende una cotta da sballo per la bionda peccatrice di Baton Rouge, la nuova Hollywood sorta dopo il cataclisma del 2021. Come tutti ricorderete, in quel fatidico anno, gran parte della California si inabissò, come Atlantide, dopo essere stata devastata da uno spaventoso terremoto e sommersa da terrificanti onde anomale. Il mare inghiottì gran parte di quella terra che gli integralisti cristiani avevano definito la nuova Sodoma e Gomorra. Sorprendendo il mondo pacelliano che lo aveva amorosamente allevato e preservato dal potere malvagio del secolo, il Gesù di Quimper, dopo un viaggio in America, acclamato da masse oceaniche, nel pieno di un grande revival del cristianesimo, decide di esplorare la vita segreta della sua nuova Maddalena. Lo scandalo che segue e che travolge la nuova Chiesa lo conosciamo tutti ed è inutile dilungarsi sul tema. Chiuso nella villa fortificata della Howell, il Messia, del tutto disinteressato agli scandali, trascorre il tempo ad ascoltare, dal nuovo Fox Terrier - Sony la musica del primo rock rielaborata secondo nuove, originalissime tecniche. Con il nuovo Sony, infatti, è sufficiente premere il pulsante rosso, a sinistra del commando di cristallo verde, per proiettare un fascio di luce ipersonico che fa apparire i sosia dei grandi cantanti del ato. Le casse ipersoniche sono contenute in un minuscolo marchingegno dal quale saltano fuori immagini e suoni. È grandioso poter ascoltare Elvis Presley in “Treat me nice” e vedere ballare il suo sosia a due metri da voi. E Gesù, dopo essere andato scompostamente su e giù sulla Howell, si gode, sbracato su una poltrona ad acqua, Little Richard che canta “Tutti Frutti”
agitandosi come un ossesso. Anche il redentore delle masse neocristianizzate balla come un pazzo al ritmo del Rock n’roll. Il Messia, estasiato, ascolta tutti i cantanti di una remota epoca: Roy Orbison, The Platters, Elvis Presley, Cliff Richard, The Shadows, The Animals, The Everly Brothers, Fats Domino, Marvin Gaye, Chubby Checker, Bill Haley, Jerry Lee Lewis, Buddy Holly. Li ascolta tutti e balla con immenso piacere
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E il Velo della Veronica con il grumo sanguigno? Anche su questo dopo un anno dalla morte di mio padre, sono emerse eccezionali novità. Chi è la Veronica? Erminio risponde: un personaggio della mitologia cristiana basato su un fondamento di verità. Cosa dice la mitologia cristiana del velo della Veronica? Una notizia sorprendente viene da Manoppello, un piccolo paese dell’Abruzzo ai piedi della Majella. Proprio qui, dimenticata da 400 anni, si trova la Veronica, il velo su cui sarebbe rimasto impresso il volto di Gesù Cristo e che si trovava una volta in San Pietro a Roma; la mitologia cattolica spiega che si tratta di un’antica leggenda, riportata dagli apocrifi Atti di Pilato (sec. VI). E che dicono gli Atti di Pilato? Dicono che «la pia donna, che asciugò il volto di Cristo lungo il tragitto verso il Calvario, recatasi a Roma, lasciò la sacra Reliquia a San Clemente». Le fonti cristiane narrano che «la Veronica, nome che indica sia il panno che la protagonista dell’evento miracoloso (e che è la deformazione lessicale di vera icona – vera immagine con cui nell’alto Medioevo s’indicavano le acheropite di
Cristo), divenne, con il primo Giubileo del 1300, una delle Mirabilia urbis che i pellegrini visitavano in San Pietro». E spiegano che il Velo «sottilissimo reca impresso su ambedue i lati un Volto incorniciato dai capelli, asperso di sangue, ma di persona viva e con gli occhi aperti» e che «della Veronica romana, divenuta celebre in tutta la Cristianità, si perdono le tracce dopo il Giubileo del 1600, proprio quando si diffonde la storia del Volto Santo di Manoppello». L’immaginazione si sbizzarrisce come un focoso destriero: per alcuni la Veronica era la donna che appare in Matteo 9:20. «Kai idou kunè aimorrousa dodeka ete…» la donna che aveva un’emorragia, una perdita di sangue da12 anni. In ducati sonanti per i miscredenti: la donna che sanguina – secondo frammenti della tradizione mitologica cristiana – è la stessa che asciugò comionevolmente il volto di Gesù, imprimendo la sacra immagine sul velo. Alcuni affermano che con quel velo, la Veronica, curò l’imperatore Tiberio: un’eventualità improbabile. La leggenda sostiene che quando la santa donna morì lasciò il velo a Papa Clemente. Chi è Papa Clemente? Nella successione papale è il terzo pontefice. È quello della lettera, scritta in greco, alla Chiesa di Corinto nella quale «ordina di reintegrare nelle loro funzioni» alcuni prelati «rimossi da fautori di disordini», cioè da preti rivoluzionari, magari con tendenze gnostiche. Roma comincia a prendere decisioni per la cristianità e ordina «imperativamente» (proprio così scrive) il reintegro. Ipse dixit e basta! Clemente è il papa che comincia la tiritera nefasta del primato di Roma sulla Chiesa. Con lui la leggenda si scatena: é ordinato da San Pietro in persona; è il figlio di Flavio Clemente martirizzato per ordine di Domiziano; è il papa deportato in Crimea ed affogato incatenato ad un’ancora. Durante il suo pontificato il discepolo prediletto di Gesù, Giovanni, era ancora vivo a Patmos, visitato da cavalieri apocalittici e da meretrici iperuraniche, ma la cristianità germogliante guardava verso Clemente e non verso di lui.
La leggenda c’informa che il terzo papa custodì amorevolmente il velo santo a San Pietro dove si trova ancora oggi. Alcuni sostengono che il nome di Veronica derivi da «Vera Imago», da «Vera Icona». I si, però, narrano un’altra storia: affermano che la pia donna era la moglie di Zaccheo, che, dopo la morte di Gesù, diventò eremita ed evangelizzò il Sud della Francia. Chi è Zaccheo? Zaccheo è il pubblicano minuto che si arrampica su un albero per vedere Gesù (in Luca 19, 1-10) e poi lo segue diventando suo seguace. È il nano che il Redentore vede oscillare, come una scimmia, da un ramo di sicomoro e gli dice qualcosa come: ma che fai lassù? Fai la bertuccia? Sbrigati a scendere che stasera ci facciamo un piatto di spaghetti all’aglio, olio e peperoncino a casa tua. E il pubblicano, come un piccolo Tarzan, si precipita giù dall’albero appeso ad una liana. E quando i discepoli spiegano al Messia che mangiare con un peccatore non è cosa edificante, Zaccheo risponde loro qualcosa come: se ho fregato dei soldi a qualche povero disgraziato gli restituirò quattro volte tanto. E Gesù gli annuncia redenzione e paradiso. La fantasia continua il galoppo selvaggio: Veronica diventa una principessa di Edessa e più tardi la consorte di un ufficiale Gallo Romano. Lentamente un’altra storia emerge dalle brume del tempo: Veronica era Marta, la sorella di Lazzaro il risorto, che dopo l’evento miracoloso, dopo aver asciugato il volto del Cristo Gesù, preservò il velo santo a Gerusalemme. Il Velo Santo emerge dal nascondimento nel 1099 ed è portato da Gerusalemme in Italia, da Guy de Nuitville della casata normanna di Aversa e Capua, quella di Rainulf II Trincanocte. La prima crociata è appena terminata, Gerusalemme è stata conquistata il 15 luglio 1099, dopo cinque settimane d’assedio. I crociati hanno, cristianamente, infierito sulla popolazione e dopo avere eletto Goffredo di Buglione «Difensore del Santo Sepolcro» si sono spartiti i territori creando feudi.
Nello stesso anno, Guy scopre il velo nel territorio di Edessa in casa di cristiani e lo porta in Italia, a Capua, nel 1102, per ordine di Boemondo di Taranto. Chi racconta tutto questo? La fonte è Goffredo Malaterra, un monaco benedettino di origine normanna vissuto nei monasteri di Santa Eufemia e Santa Agata a Catania. Uno storico agli ordini del Conte Ruggero I, che espone fatti trasmessigli oralmente e che diviene più attendibile dopo il 1060, l’anno nel quale comincia a seguire gli eventi con i propri occhi. Goffredo narra avvenimenti riguardanti la spedizione bizantina di Roberto il Guiscardo ed episodi concernenti Ruggero in Sicilia. La sua narrazione termina nel 1099. Nel 2009, l’anno che Cuba diventa di nuovo capitalista, dalle pieghe del manto polveroso del tempo emerge una lettera di Guy riportata da Goffredo Malaterra con la narrazione della scoperta del velo della Veronica, una storia che contraddice l’autenticità del velo conservato a San Pietro. Il resto è noto: il DNA del frammento osseo del fratello di Gesù, Giacomo, trovato nell’urna di Gerusalemme, nel 2002, risulta identico al DNA del grumo sanguigno del velo della Veronica. Gesù, quindi, aveva fratelli e quasi sicuramente il grumo sanguigno appartiene al Redentore. Inoltre, cosa da non poco conto, la verginità della Madonna traballa paurosamente e diventa problematica. Ma su Guy e Boemondo ritorneremo. Perché? Perché Guy, durante la spedizione normanna che mira ad impossessarsi o depredare l’impero bizantino, segue Boemondo e, in quell’incredibile avventura, incontra qualcuno che lo informa che il velo della Veronica è ad Edessa. Mio padre nel 2005 conclude “Il Fallimento imperiale” sospende per un anno “Il Golpe di Filippo l’Arabo” cominciato nel 2006, e dopo la rivelazione del Velo di Marta – e non di Veronica –, avvenuta il 3 gennaio del 2009, comincia a scrivere
un breve libro di 150 pagine su Boemondo di Taranto e la spedizione bizantina, affascinato dalla figura di Guy de Nuitville e da quella del principe di Antiochia, e lo intitola “La Preda Purpurea”. Di cosa parla la “Preda Purpurea”? Il libro descrive il grande fallimento imperiale di Roberto il Guiscardo e del figlio Boemondo: è il racconto della spedizione normanna contro l’impero bizantino del 1080. Roberto, dopo la conquista del sud d’Italia, divenendo “de facto” il difensore del papato, decide di azzardarsi in un’avventura che potrebbe rendere il suo nome eterno: la conquista dell’impero d’Oriente. Mio padre, nella «Preda Purpurea» descrive le vicissitudini di Guy de Nuitville inviato al seguito del conte Radulf, che ha il compito di creare le condizioni diplomatiche che giustifichino l’invasione; e segue Guy e il conte mentre la storia dell’Impero si accartoccia tra le solite tempestose usurpazioni, che, stavolta, eccezionalmente, finiscono senza accecamenti, senza mutilazioni e senza sangue. A Michele VII è subentrato Niceforo III Botaneiates che è, a sua volta, rimpiazzato da Alessio, il padre di Anna Comnena che compone la “Alessiade”, un panegirico filiale, narrando gli eventi di quegli anni. Ermino Polpotta accompagna Guy mentre rientra in Italia con Radulf che, stregato dal fascino del nuovo imperatore Alessio Comneno, tenta, imprudentemente, di convincere Roberto il Guiscardo a desistere dalla spedizione e descrive Guy intimorito per la collerica reazione del gigante normanno, il quale urla come un ossesso che vuole conquistare Bisanzio. Guiscardo s’incazza come una belva e dice qualcosa che suona così: «Ma come questi sono tramortiti, vacillano dopo la mazzata di Manzicerta come un pugile suonato; Romano IV Diogene ha preso una randellata in fronte da fare inorridire; questi traballano, tentennano, fanno acqua da tutte le parti; hanno perso Bitinia, Isauria e Anatolia, l’impero è un morto che cammina, e noi Normanni che abbiamo conquistato l’Inghilterra e ci siamo bevuti il sud di questo strafottuto paese come un boccale di vino, ce ne stiamo a guardare? Te lo sei scordato, caprone di un conte di merda, quello che hanno combinato Rainulf Drengot, Guglielmo Braccio di Ferro e quel gran fetente di Guglielmo che, ora, tutti chiamano «il Conquistatore»? Si sono tracannati un mondo! Secondo te io che sono il «Dux» di «Apulia” e di «Calabria» mi devo fare intimorire da quattro
froci impomatati che appena ci vedono scappano? Ma ti rendi conto che noi vinciamo battaglie combattendo con un cavaliere contro quattro? E tu che dici fetente di un capuano?» Chiede il Guiscardo a Guy che trema di paura «Non parli? Meglio così… che ti rimando in Normandia a squagliare il ghiaccio con le chiappe. Ma che ci dobbiamo preoccupare di questo Alessio Comneno e di quattro checche greche azzimate quando siamo considerati da tutti il «Terror Mundi»? E via!». Paonazzo urla mentre Sichelgaita, duchessa di Apulia e sua consorte, una specie di Brumhilde normanna, cerca di calmarlo: «Calmati Coccò caro… che ti prendi un infarto!». Ma il duce pugliese, imperterrito, continua: “Ma che vuoi che l’impero se lo divori il sultanato Selgiucido? A Manzicerta il sultano ha già assestato un colpo mortale ai bizantini. Se non ci muoviamo noi, il vitello grasso se lo pappano i turchi, e tu torni a raccontarmi panzane su questo nuovo fottuto imperatore? Ma lascia perdere… mi hai fatto incazzare… si va eccome!». E non ha torto il Biscardo: Bisanzio è stremata. L’impero è circondato: il Regno di Ungheria cresce, la Serbia è indipendente, i Cumani premono, i turchi Selgiucidi guatano la preda purpurea. I normanni conquistano Apulia e Calabria sconfiggendo i bizantini, e dal 1061 al 1091 conquisteranno anche la Sicilia sottraendola al dominio arabo che durava dall’827. Un domino tremendo: i polacchi premono sul principato di Vladimir, che preme sul principato di Kiev, che preme sui Cumani, che premono sugli Alani, che, a loro volta sono stretti tra il sultanato Selgiucide e i Cumani. Il Principato di Novgorod preme su quello di Suzdal, che preme su quello di Smolensk, che preme su quello di Kiev, che preme sui Bulgari del Volga, che premono sui Cumani, che premono sugli Alani, che premono sull’Impero disfacente. A Nord, in Inghilterra, Guglielmo il Conquistatore sta stabilizzando la conquista dopo la vittoria sui sassoni. Il regno se è in crescita, il Sacro Romano Impero si estende dal Nord dell’attuale Germania, la Frisia e la Sassonia, sino al Ducato di Spoleto. La Spagna è divisa tra il Regno di Leone e Castiglia, e il califfato di Cordova composto da 1010 piccole entità islamiche sorte dallo sfascio del Califfato omayyade.
Mio padre insegue de Nuitville quando si accoda al Guiscardo che, alla testa di un esercito, composto principalmente da normanni e saraceni raggiunge il figlio Boemondo che ha stabilito una testa di ponte in terra bizantina. Accompagna l’esercito normanno – saraceno a Vallona, Corfù, Butrinto e narra la terribile tempesta che distrugge parte della flotta, e l’apparizione dell’armata navale veneziana, invocata da Alessio Comneno in difesa dell’Impero. Racconta di Niceforo Botaneiates che nel frattempo è stato sepolto in un monastero, e appagato per la sua nuova situazione, informa di trovarsi bene ma di avere un unico problema: quello di non poter mangiare carne. Fa il resoconto dell’apparizione di Alessio alla guida dell’esercito bizantino, il 15 ottobre, e lo strano incontro di Guy con il traditore normanno per antonomasia Roussel di Bailleull, un uomo seducente che salva la propria pelle, ogni volta che tradisce, con il suo incredibile fascino. Si sa che Roussel di Bailleull nella battaglia di Manzicerta decide di non rischiare i suoi uomini. Per questo tradisce. Dopo il tradimento seduce Michele VII, recupera il commando e guida una cavalleria normanno – franca che sbaraglia i banditi turchi in Anatolia. Il pezzo forte di Roussel, che non torna dall’avventura contro i predoni, è la costituzione di un regno infinitesimale – come il regno barbarico del Kurtz di Conrad in «Cuore di Tenebra» – un’entità anatolica - normanna che non regge all’urto dei turchi selgiucidi. Alessio, che non è ancora imperatore, ha il compito di rintracciare e catturare il normanno e lo trova. Roussel è divenuto governatore di Amasea dopo aver sedotto la popolazione. Per lui vale il detto degli inglesi : «to charm the birds from the trees». Èun seduttore nato. Un grandioso ammaliatore. Strega anche Alessio che, però, lo sbatte in gattabuia ma gli dà segretamente del cibo. Quando Niceforo Botaneiates avanza verso Costantinopoli, il Comneno ripropone l’improponibile e dà a Roussel, più per disperazione che per convinzione, il comando di un reggimento. Il normanno vince la battaglia, per poi tradire nuovamente e schierarsi con l’usurpatore. Quando Roussel ammalia Alessio lo mette in guardia della potenza del
Guiscardo e prima che il duce pugliese approdi nei territori bizantini gli confida la strategia adeguata per sconfiggerlo. Alessio lo ripaga narrandogli la storia del velo di Marta. Roussel ha servito il Guiscardo e conosce Guy de Nuitville. Sono amici con una differenza: Guy è leale verso la causa normanna mentre Bailleul se ne fotte di bandiere, imperi e razze. La narrazione a quel punto diviene opaca: Guy incontra, una prima volta, segretamente Roussel che gli accenna la storia del Velo di Marta appresa da Alessio. Ermino descrive la battaglia della guardia Varangia, composta anche dai sassoni sconfitti da Guglielmo il Conquistatore durante l’invasione de 1066, che odiano mortalmente i normanni e costituiscono la guardia imperiale dell’imperatore. Questi fanno strage, con le grandi asce, della cavalleria normanna per soccombere poi, dopo essersi pericolosamente esposti, agli arcieri del Guiscardo. Narra della terribile Sichelgaita, la Budicca normanna, moglie del Guiscardo, che combatte al fianco del marito e gli propina un nugolo di pargoli. Descrive il rientro di Roberto da Castoria dopo la rivolta nel sud d’Italia, l’arrivo dell’Imperatore Enrico alle porte di Roma e la disperazione di Gregorio VII per il suo ritardo. Riporta la nemesi di Boemondo, dopo le vittorie di Yanina e Arta, che si presenta con la sconfitta di Larissa, nel 1083, e del conseguente liquefarsi, come ghiaccio al sole, dell’esercito normanno a causa delle defezioni causate dall’oro imperiale. Riferisce della disperazione di Boemondo abbandonato nelle terre dell’impero e ricostruisce il secondo fatidico incontro a Durazzo di Guy con Roussel quando il normanno è istruito su come trovare il luogo esatto ad Edessa ove è conservata la sacra immagine. Dopo il contatto con l’affascinante traditore, Erminio segue Guy che si accoda a Boemondo e a Tancredi, durante la Prima Crociata, e parte alla scoperta del Velo seguendo le indicazioni ricevute. Mio padre conclude il libro con il ritrovamento e la consegna del velo da parte di Nuitville al Cardinale Gilberto di Otranto in Sant’Angelo in Formis a Capua, la chiesa che Desiderio costruì nel 1075, e con il viaggio di Gilberto a Roma e la consegna del velo a Tanchelmo di Canusia in cambio di un gruzzolo d’oro notevole. Perché? Lo vedremo più tardi.
Dalla scatola che Betty Charlotte Pomeroy mi consegna per rivelarmi le perversioni segrete e tardo romane di mio padre, tra le scartoffie e le micromemo 031-IMB emerge un’immagine della Veronica. È quella del pittore Hans Memlinc che morì nel 1494. Il fiammingo immagina Veronica come una coccò del suo tempo che mostra, seduta, un volto inverosimile del Cristo Gesù che fa pensare a un’impressione buonista del tempo. Il Messia appare, nel quadro, come un docile agnello sgozzato e non come il mistico rabbioso che prende a calci gli usurai che contaminano il tempio del padre. Dietro all’immagine, Erminio Polpotta, ha scritto a penna che la storia non si basa su fonti bibliche e che é una storia riportata solo dal Vangelo di Nicodemo – che conta quanto il due di briscola. Nicodemo, o chi per lui, racconta che Veronica offrì un fazzoletto al Redentore il quale si asciugò il proprio volto lasciando l’immagine, che appare come un’evidente falsificazione. Dalla scatola di mio padre affiora anche la nuova immagine, il nuovo velo di Marta, quello che Guy de Nuitville portò con se da Edessa e finì, dopo mille peripezie, nel monastero di Santa Emerenziana a Berga, nella Sierra del Cadì. Il Velo di Marta contiene un’immagine appena delineata, una traccia simile alla Sindone di Torino e null’altro. E l’impronta è chiaramente impressa da macchie di sudore e sangue, e il volto non appare ben delineato. Il 21 ottobre del 2002 durante una conferenza stampa a Washington organizzata dalla Biblical Archeology Review, uno dei direttori della rivista annuncia che a Gerusalemme è stata ritrovata in una grotta un’urna funeraria di pietra calcarea, a forma trapezoidale, di circa 50 centimetri che risale all’anno 63. Quello che sorprende è un’iscrizione in aramaico che ci informa che l’urna contiene le ossa di Giacomo «figlio di Giuseppe e fratello di Gesù». André Lemaire è lo specialista chiamato ad identificare il reperto e ci racconta che un collezionista lo aveva acquistato, quindici anni fa, per una cifra oscillante tra i 200 e i 700 dollari, da un commerciante arabo. Tutto torna: Giacomo fu lapidato come eretico nell’anno 62 e le sue ossa furono deposte nel sepolcro, secondo la tradizione, un anno dopo. Inizialmente la scoperta viene considerata invalida ma nel 2009, dopo la
creazione della Synof - 156, che identifica il DNA da tracce infinitesimali di pelle, ossa e sangue, si riscontra che i residui di Giacomo corrispondono al DNA dei grumi sanguigni del Velo di Marta. In ducati sonanti: il DNA del Velo coincide con quello di Giacomo «fratello di Gesù e figlio di Giuseppe». Da quella scoperta nasce tutto lo scombussolamento del secolo: l’Oltre, o chi per lui, comincia sornione e pazzerello a giocare con noi disperati umanoidi.
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Già, l’Oltre gioca sempre con noi. Ma cos’è l’Oltre? Mi sono sbracato mezzo distrutto sul divano polifunzionale e ho urlato a Johnny Boy, il sistema integrato, di mandarmi qualche immagine dalla BBC WORLD: improvvisamente, si è materializzato il professor Pieter Van Leeuwenhoeck che ha detto cose che mi hanno lasciato sbalordito. Lo scienziato ha affermato che quello che si supponeva possibile è diventato realtà: la Space-Universal ha costruito una macchina del tempo. Il luminare olandese ha cominciato con un preambolo spiegando che il nostro universo è solo un minuscolo frammento di un sistema infinitamente elaborato e complesso. E che questo sistema, chiamato «Multiuniverso», già pensato dagli scienziati del secolo precedente, è, in effetti, una realtà dimostrabile con teoremi matematici. Ha spiegato che la visione cosmica, che molti immaginavano eternamente immutabile, è ora un rottame senza valore; e che quelle che erano considerate le eterne leggi della fisica non valgono per tutti gli strati del «Multiuniverso». In soldoni: quello che vale per l’Atene cosmica non ha valore per la Sparta stellare. Se ad Atene è imperante la legge della casualità non significa che la stessa legge funzioni anche a Sparta o in qualche altro lembo del «Multiuniverso». Ci sono universi che non hanno legge di gravità ma vivono secondo una legge differente. E ci sono universi senza alcuna legge, che sussistono come aborti. Il professore ha affermato che occorrono condizioni particolarissime per la vita e se le condizioni cosmiche variano anche solo leggermente, la vita non può manifestarsi. Ha spiegato che noi siamo come i vincitori in una grande lotteria
universale, siamo come il pensionato di Posillipo che ha vinto un miliardo di Eurodollari al Super Lotto; siamo dunque ciò che si è fortunosamente strutturato e sviluppato nel grembo del puro caso. Le condizioni per la vita sono uniche, rarissime e peculiari, ha detto Van Leeuwenhoeck; gli universi creano spesso pseudo – universi; e i mondi falsi, inautentici sono più numerosi del mondi veri. Insomma la realtà è un «melting pot» ed è probabile che il nostro universo non sia altro che la simulazione di un universo. Poi è arrivato al dunque e ha detto che la macchina del tempo è stata costruita segretamente nel Korforan, in Sudan. In quel luogo segretissimo è stato creato un sistema che rallenta il tempo come se si orbitasse in prossimità della superficie di una stella di neutroni. Da questo stravolgente marchingegno, ha detto Pieter Van Leeuwenhoeck, la vita sulla terra appare come un film muto, enormemente accelerato, di Ridolini o Charlie Chaplin. Insomma la famosa ipotesi dell’astronauta che veleggia ai margini di un buco nero e plana nel ato è diventata una realtà costruita, pezzo per pezzo e teorema per teorema, in laboratorio. L’intuizione di Kurt Godėl basata sulla soluzione delle «equazioni del campo» di Einstein, è risultata valida. In quelle lontane ipotesi s’immaginava un astronauta che, viaggiando in un universo a rotazione, potesse immergersi nel ato; e questo era possibile per gli effetti gravitazionali sulla luce. Godėl fu archiviato tra benevoli sarcasmi, ma ora il professor Van Leeuwenhoeck lo ha resuscitato confermando che, in effetti, questo lembo di «Multiuniverso» sta ruotando e ciò prova, senza ombra di dubbio, che il viaggio nel ato non entra in contrasto con la teoria della relatività, aggiornata dalle nuove scoperte. Nel 1974 Frank J. Tipler aveva affermato che un grande cilindro rotante alla velocità della luce avrebbe permesso ad un astronauta di tornare nel ato, come John Arenula in «Journey» o Bruce Wills nel film «L’Esercito delle 12 Scimmie». Tutto vero ha mormorato Van Leeuwenhoeck ed ha chiesto: volete saper come abbiamo costruito la macchina del tempo? Ed ha risposto: la macchina del tempo è un sistema lungo dieci chilometri composto da un iniettore, una linea di ritorno, un acceleratore lineare e un anello di raccolta del cunicolo. Coadiuvati dalla crema della crema degli scienziati mondiali, abbiamo creato un budello subatomico artificiale usando campi d’energia simili a quelli che hanno provocato il Big Bang. Abbiamo, poi, prodotto un’infusione di energia negativa seguendo metodi quantistici, che ricordano il metodo di Casimir, e siamo riusciti a far attraversare il cunicolo ad oggetti di notevole peso. Lo scopo dell’energia negativa? Quello di non permettere il collasso del budello in un punto d’elevatissima densità, poiché se questo avvenisse il cunicolo si trasformerebbe immediatamente in un buco nero.
Per far si che il cunicolo sia percorribile il luminare ha affermato che deve contenere materia esotica. Questa materia – già descritta da Thorne nel ato con grand’accuratezza – che può essere generata da energia negativa, fa nascere l’antigravità e impedisce il collasso del sistema e la sua trasformazione in un buco nero. Una volta creato il cunicolo, ha spiegato lo scienziato, abbiamo separato i suoi punti estremi e trainato, con l’astronave Golack 7, una delle estremità nello spazio posizionandola nella vicinanze di una stella di neutroni. L’altra estremità l’abbiamo lasciata sulla terra; in questa maniera abbiamo separato i due punti estremi non solo a livello spaziale ma anche a livello temporale. Perché? Perché il tempo della stella di neutroni è molto più lento di quello del nostro mondo, e questa è la condizione necessaria ed imprescindibile per viaggiare nel ato. Detto questo Van Leeuwenhoeck ha raccontato che alcuni giorni fa il professor Rizkhalla, uno scienziato cristiano di Maloula, in Siria, con una conoscenza perfetta dell’aramaico e dell’ebraico, é stato catapultato – se così si può dire – come un novello Bruce Willis, in Palestina, a ritroso nel tempo, nel periodo del Cristo Gesù, per seguire e confermare gli eventi riguardanti la crocifissione e la resurrezione. Il siriano, introdotto, senz’altro problema oltre un terribile mal di testa, in Palestina, ha riportato con accuratezza quello che stava vedendo, trasmettendo le informazioni attraverso una trasmettitore stellare CXKOch installato in un dente. A questo punto, il professore olandese, andosi la mano sulla fronte sudata ha riportato tragici eventi. Rizkhalla, utilizzando il microfono stellare – ha detto Van Leeuwenhoeck – ha trasmesso direttamente dal tempio di Gerusalemme e ha descritto un uomo su un trono dorato, issato su una grande piattaforma, che stava ringraziando una moltitudine d’ebrei, che gli si stringevano intorno, per la devozione che avevano dimostrato durante il funerale di suo padre. Dopo i ringraziamenti, l’uomo aveva cominciato ad urlare che non avrebbe accettato il diadema reale, fino a quando Cesare non avesse approvato la sua successione al trono. E aveva gridato che anche a Gerico, quando l’esercito aveva tentato di incoronarlo, per rispetto alla volontà di Cesare, aveva rifiutato la corona. Poi
aveva urlato le fatidiche parole che avrebbero scatenato il finimondo; aveva detto che avrebbe benevolmente ascoltato e cercato di soddisfare quello che la popolazione gli chiedeva, e che sarebbe stato molto più attento di suo padre alle necessità della gente. A questo punto – ha spiegato Van Leeuwenhoeck – gli esperti storici si sono messi le mani tra i capelli e hanno gridato: abbiamo sbagliato il salto nel ato: il siriano sta descrivendo Archelao figlio d’Erode, siamo, quindi, molti anni prima della ione di Gesù di Nazareth: è il 4 d.C. e il Nazareno non è ancora nato, dal momento che, secondo i nuovi calcoli, nascerà il 7 d. C. Rizkhalla, inconsapevole del salto sbagliato, ha continuato a descrivere gli eventi. Gli ebrei, incoraggiati dalla disponibilità del futuro re hanno cominciato a chiedere un’infinità di cose tra le quali la riduzione delle tasse e la liberazione dei prigionieri. Per non osteggiare la massa ondeggiante Archelao ha risposto positivamente a tutte le richieste. A quel punto la trasmissione si è interrotta per riprendere nel pomeriggio. Nelle ore meridiane Rizkhalla ha descritto una massa urlante che chiedeva vendetta per l’esecuzione di due farisei, Giuda e Mattia, che avevano abbattuto un’aquila d’oro posta sulla porta del Tempio. La tecnologia mai sperimentata prima ha provocato una nuova interruzione, e quando la trasmissione stellare è ripresa il siriano ha descritto il linciaggio di una coorte romana e un tribuno ferito alla testa. A quel punto, il siriano, è fuggito e non si é sentito più fino a quando, in uno stato di totale confusione, ha trasmesso precise informazioni riguardanti un massacro. Gli esperti hanno spiegato che Archelao, impaurito dalla massa incontrollata e ribelle, aveva spedito l’esercito per sopprimere sul nascere una potenziale rivolta. Rizkhalla ha descritto la fanteria d’Archelao attraversare la città spingendo i riottosi verso i campi. Il siriano, ormai in uno stato d’isteria, ci ha informato che stava fuggendo. Poi ha detto: vedo dei cavalieri venire verso di me. Dopo di questo più niente. Gli esperti storici ci hanno informati che la cavalleria, nel giorno descritto dal siriano, massacrò oltre 3000 ebrei. Van Leeuwenhoeck ha concluso dicendo: «Temiamo che Rizkhalla sia tra i dispersi: se è così è il primo eroe - martire dei viaggi nel tempo». Sono rimasto paralizzato dallo stupore. Non ho più parole.
I Trafitti di spada e il “Velo di Marta”
Mio padre, il 12 ottobre del 2043, cammina con Mosul sul litorale di Woolacombe: è freddo e la spiaggia è battuta da un vento feroce che gioca con la sabbia. Camminare lungo la riva è come attraversare un deserto durante una tempesta, e la sabbia che ondeggia dà l’impressione che il terreno si apra e svanisca sotto i piedi. I due cani delinquenti corrono felici: Bonzo, dopo essersi pappato almeno un chilo di merda di pecora – il suo abituale dessert, il suo “profiterole” alla crema – s’ingoia mezzo quintale di alghe che regolarmente vomiterà nella notte. Polpotta ed Mosul si sono incontrati da pochi giorni ma si frequentano assiduamente. Erminio racconta la tragedia di mio nonno Bortolo Polpotta che è ato dall’infinita inanità del chiacchiericcio animalista, all’azione repentina e tragica del 2009, e spiega che tutto avvenne dopo un viaggio a Trieste, ove il Bortolo furioso incontrò un animalista «sui generis» Michelino Chiocciola detto «Zaino», chiamato così perché trasporta la sua casa sulla schiena, nello zaino. Mosul ascolta con attenzione. Mio padre gli chiede: «Lei è contro ogni forma di violenza?». E l’Anticristo risponde: «Per nulla!». Mio padre incuriosito incalza: «Mi dica quello che pensa riguardo alla violenza». E Mosul propina una teoria che, leggendo il diario segreto, suona pressappoco così: «Se un uomo ammazza un milione di capre, quella non è violenza. Ma se un uomo uccide il massacratore di capre, quella è violenza. Un milione di capre e d’agnelli sgozzati non è violenza. Un uomo morto ammazzato è violenza. Ora le cose sono drammaticamente cambiate, ma è difficile spiegare come sia stato possibile, in quel tempo lontano, agli albori del 2000, pensare ancora che un uomo che massacra un milione d’animali non sia un violento dal momento che agisce nell’ambito della legge di una specie dominante. Un uomo che scanna
migliaia d’agnelli, non è un violento secondo la legge della specie egemone sul pianeta, ma se lui è a sua volta massacrato da un altro uomo, quello diventa automaticamente un violento. Si, ora le cose sono cambiate ma il traffico di carne esiste ancora…». «E già…» pensa mio padre «anche il fottuto nano - magnaccia, il pappone nazista di quel deficiente di mio figlio pratica quest’ignobile attività…». «Ma chi se l’è inventata questa storia?» Continua l’Anticristo accarezzandosi i capelli «com’è possibile che per anni quest’orrore sia stato accettato da banali, mediocri buonisti che hanno fasciato, avviluppato l’orrore con la tenera coltre della routine, con la carta da pacchi infiorata della quotidianità? Per anni gli ominidi hanno creduto – ed in parte credono ancora – che sgozzare agnelli, il simbolo del vostro redentore…». «Del loro non il mio…» precisa mio padre interrompendolo prontamente. E Mosul continua: «… sia stata la cosa più logica e normale del mondo. Le dolci mamme occidentali, che si fottevano la testa con cognizioni comionevoli, con Amnesty International e roba varia, non facevano nulla per i piccoli degli altri ominidi che morivano di fame e per i miliardi di povere bestie che erano quotidianamente condotte al macello. Ed è come se nel periodo ellenico, qualcuno avesse chiesto a Socrate di abolire la schiavitù e il filosofo lo avrebbe guardato prendendolo per pazzo. O se, nel periodo del protestantesimo britannico trionfante, qualcuno avesse detto, a un devoto negriero, che trasportare neri dall’Africa, in mostruose condizioni, per renderli schiavi fosse una cosa abominevole, e quello lo avrebbe guardato e, ridendogli in faccia, gli avrebbe detto: svegliati! Il mondo è così! Queste sono le leggi del mercato! La dolce mamma occidentale, caro Erminio, dava, e ancora dà, ai suoi piccoli carne intrisa d’orrore e di strazio, polpa imbevuta di dolore e della più grande vergogna. «Mangia» diceva, e ancora dice, al piccolo «mangia che ti fa bene. Mangia che la carne ha le proteine necessarie per farti crescere» e gli propina, amorevolmente, l’orrore nella calda, dolce, serena normalità casalinga. E questo è stato accettato, ed è ancora parzialmente accettato, dalla specie trionfante degli ominidi egemoni sul pianeta. Loro hanno creato le condizioni ideali affinché l’orrore germogliasse a tal punto che si sono inventati degli dei che si sono pasciuti, per millenni, nell’abominio e che hanno sguazzato nel sangue. Ma com’è stato possibile immaginare che l’altare del padre del vostro mite Gesù…».
«Il loro» corregge nuovamente mio padre «il padre di quello non clonato, vuole dire… perché quello clonato è venuto fuori come un povero deficiente…». «Si, suo padre s’inzuppava le iperfisiche vesti nel sangue delle bestie innocenti, anzi nel sangue delle più innocenti tra le bestie! Com’è stato possibile accettarlo per millenni? Tutto il pensiero monoteista è intriso del sangue degli esseri senzienti innocenti. L’Islam per il non umano è il peggiore nemico, e gli ebrei è meglio dimenticarli. Ha mai letto Levitico? E i cattolici fanno ribrezzo con la loro indifferenza. Come si sono permessi ad utilizzare, per secoli, l’immagine dell’agnello come il simbolo del loro Messia – quello non clonato ovviamente – se poi hanno massacrato miliardi di quelle povere e inermi creature? Com’è stato possibile immaginare un orrore del genere e tacere per millenni? Gronda sangue l’altare di Jahvé, e lei che è un uomo colto, Erminio sa bene quello che Paolo di Tarso ha scritto…». «Ne ha scritte tante di fregnacce… su donne, schiavi, animali e chi lo poteva fermare Paolo di Tarso…» interrompe Erminio Polpotta. «Già… tante… ma riguardo agli animali disse qualcosa che suona così, e mi sembra che sia nella Prima Lettera ai Corinti: pappatevi ogni cosa che si vende al macello, e non provate scrupolo alcuno «perché a Dio appartiene la terra e tutto ciò che la riempie». «Eh si… forse, invece di far tende, lavorava per un macellaio…». «E se i pagani v’invitano a mangiare cervella di gatto o di cane trangugiatele senza esitazioni e senza informarvi a motivo della vostra coscienza». «Ecco… ma che bravo… già come quella bestiaccia lì… vieni qui figlio di puttana che le alghe non le digerisci… mi fa impazzire questo delinquente di un cane… e quell’altro è sparito… mi lasci fischiare…». «Eccolo che ritorna… ma che simpatico Gracco… allora dicevo che il grande persecutore continua e spiega che «non ogni carne è la stessa carne e che c’è differenza tra la carne degli uomini e quella delle bestie…». «Certo, la sua è carne iperuranica… e poi lui ha l’anima immortale mentre quel divoratore di alghe e merda di pecora… no… oddio ora attacca un altro cane… ma che peccato ho fatto per meritarmi un bruto così mostruoso? Come here Bonzo… fucking dog!…».
«Vede come è bravo… ecco una carezza e si calma… mi faccia concludere: e poi l’apostolo santo se ne viene fuori con un gioiello di inestimabile valore, dice che alla fine dei tempi «alcuni si allontaneranno dalla fede e impartiranno insegnamenti diabolici ingiungendo agli uomini di non sposarsi…». «Profonda saggezza!». «Direi… e di non mangiare le carni che il Signore ci ha concesso… dice che questi falsi profeti comanderanno «di astenersi dai cibi che Dio ha creato per essere presi con rendimento di grazia da quelli che hanno fede e conoscono accuratamente la verità… proprio così dice… l’ho imparato a memoria…». «Esattamente quello che dice lei: di smettere di procreare perché il peso degli uomini appesantisce la terra e di non mangiare più pezzi di cadavere che consumano la vita di chi li divora…». «Ma lo dicono in tanti, non solo io… e consideri che una buona parte del cattolicesimo e del cristianesimo protestante pensa che quando l’Anticristo verrà ingannerà il mondo con il suo vegetarismo e con il suo amore verso i poveri e gli ultimi della terra, cioè gli animali; insomma dicono che l’Anticristo abbraccerà l’agnello invece di sgozzarlo». E mio padre pensa al tritone algoso e muscoso che s’inginocchia davanti a Mosul e chiede. «Ma lei Mosul tutte queste cose dove le ha imparate se dice non aver frequentato scuole?». E Mosul risponde: «Da quando lasciai Bassora ho letto molti libri e seguito tutto con il mio computer parlante». «Un autodidatta…». «Ma che parola stupida… siamo tutti autodidatti dello spirito, ma mi lasci concludere, Erminio, sicuramente conosce il sogno lucido di Pietro negli Atti degli Apostoli, che invita all’indistinto massacro. Quello della voce che ingiunge, per ben tre volte, di ingozzarsi con pezzi di esseri viventi non umani». «Certo…». «Ricorda che dice?».
«Dice ma si… pappiamoci tutto! Come i cinesi: due zampe o quattro non fa differenza. Come i cannibali della guerra civile russa del Dottor Zhivago..». «Già… meglio bruciare all’inferno, Erminio, che finire nel paradiso dei santi. Mi creda». «E di quello che ha fatto mio padre Bortolo… che pensa?». «Provo ammirazione, in un senso, immagino sia stato il senso di impotenza davanti all’orrore che lo ha spinto ad agire ed a distruggersi… ma sia gentile mi spieghi tutto in dettagli… esattamente come è successo il misfatto?». E mio padre narra all’Anticristo la storia del Bortolo furioso.
*****
Mio padre scrive nel diario segreto che esiste una nuova santità aperta verso il non umano, e che questa nuova santità non richiede alcuna fede in Dio. La comione è la sola cosa che conti e non possono più esserci santi antropocentrici che si curino solo dell’umano; o sei aperto anche verso il non umano o non sei un santo. In soldoni: una nuova Madre Teresa deve curare oltre ai bambini morenti anche i randagi e le bestie sofferenti. A Trieste, nonno Bortolo, che per mio padre è un santo, incontra Michelino Chiocciola detto «Zaino» e Guglielmo Gervasi, che libera e salva tartarughe esotiche da orrende prigioni. Erminio, ventiseienne, è presente, quando Bortolo incontra i suoi amici. Io ho compiuto due anni e mio padre ci ha da poco abbandonati. È il 13 dicembre del 2002 e Trieste è spazzata dalla Bora. I quattro s’incontrano a Miramare, proseguono a piedi fino all’Arco di Traiano, per poi prendere un taxi e proseguire verso San Giusto. Da San Giusto raggiungono Piazza Sant’ Antonio Nuovo, quella del canale grande, e proseguono verso Piazza dell’Unità che Erminio considera tra le più belle piazze d’Italia. Mio padre stravede per Trieste. Gervasi li accompagna con il tram da Piazza Oberdan ad Opicina, dove ammirano un glorioso tramonto, ignorando che quel luogo era stato tristemente famoso, nell’era della carne, per il aggio
degli animali che andavano in massa al macello. La sera, lo stesso Gervasi, li invita a mangiare il tartufo. Attraversano tre nazioni. Partono dall’Italia, oltreando un lembo di Slovenia e raggiungono un ristorante in un punto oscuro della Croazia non distante da Buie che si chiama Kremenje, che è una frazione di Momiano. Il ristorante si chiama “Da Marino”, ed è gestito da un croato di nazionalità italiana. Nel ristorante, mentre Michelino punta oscenamente una cameriera, avvengono cose che stravolgeranno la vita di Chiocciola e di Bortolo Polpotta. Erminio è, in un certo senso, il colpevole di quello che accadrà. Iniziano con la bruschetta, ano ai fusi al tartufo, un tipo di pasta originario dall’Istria, mangiano uova al tartufo e chiudono con un consistente strudel. Mentre «Zaino» si trangugia tre grappe, mio padre comincia la solita straziante tiritera sull’inanità degli animalisti. Erminio: Voi siete, anzi noi siamo, tristemente, inutili perché con la nostra forza non riusciamo a concludere nulla… tu non fai altro, papà, che scrivere e-mail alle tue amiche gattare, delle quali, poi, abusi sessualmente in modo osceno… quella è la tua vita… nobile, ma non risolve un cazzo di nulla… si, salvi molti animali, ma non vai con l’ascia alle radici… Zaino: Eh si… sta preparando quattro tomi sulla rivoluzione mondiale animalista – leninista… Erminio: Ah… e quella è alle porte… avverrà nel 3004… nel frattempo… campa cavallo… Zaino: E allora che consigli? Erminio: Ma quello che vado dicendo da anni… la formazione di una lobby animalista di tipo inglese aperta a tutti, anche ai non vegetariani, e una grande campagna di boicottaggio turistico… Bortolo: Ma quella non mi convince… Erminio: Ma tu non sei mai convinto di nulla, papà… perché tu ami lo status quo, il chiacchiericcio che mai smuove la superficie paludosa… ecco… tu affoghi tra le e-mail… voi siete gente nobile e misericordiosa che si muove male… occorrono atti che lascino il segno… ma non lo capite?
Gervasi: Ma parli del terrorismo? Erminio: Quello eventualmente verrà… ma voi siete schedati… se vi muovete vi friggono in dieci minuti… io parlo di azioni che facciano scalpore… che producano ritorno mediatico… hanno fatto più casino quattro panettoni avvelenati che cento campagne delle associazioni animaliste… Zaino: Ma cos’è questo boicottaggio turistico? Erminio: Significa rendere un luogo turistico, turisticamente, deserto… per esempio: avvelenano animali in una zona… e tu fai una grande campagna informando milioni di turisti italiani e stranieri, che amano gli animali, che quella zona deve essere «off limit»… non la devono visitare se vogliono aiutare gli animali… come esistono comuni denuclearizzati così devono esserci aree che esseri comionevoli evitano come luoghi appestati. Aree ove succedono atrocità verso esseri senzienti, e dico esseri senzienti, non animali, parlo di esseri viventi. Esempio: il comune di Pizzacavolo è COSAVES cioè un «Comune Ove Succedono Atrocità Verso Esseri Senzienti», quindi coloro che rispettano l’umano e il non umano lo evitano come se quel posto fosse Cernobyl. Zaino: E come si fa una cosa del genere? Erminio: Ascolta: io l’ho spiegato a mio padre mille volte… ma lui continua a spararsi pugnette mentali, si spara seghe teoriche con il computer, flirta con le gattare, ma quando gli accenno la cosa risponde: si… no… forse… maybe… si… ma… Zaino smettila di puntare la cameriera è imbarazzante… Bortolo: Ma no… dico solo che non è il momento… occorre creare prima una base solida… Erminio: Eccolo con la base!… Crea tu una piccola entità embrionale… e poi ci sono quelli che cominciano con il cambiamento di coscienza… Diogesù che pippa… ma perché siamo così cretini? Prima cambiamo coscienza e poi facciamo la lobby… si, nell’anno 4000 cambiamo coscienza quando ci cambiamo i cervelli… quando ce li asportano e ci infilano nel cranio una spugna nuova… ma ha ragione mio padre che vuole metterli tutti in risaia… Zaino: Ma quale cambiamento di coscienza… le cose sono peggiorate dal tempo
di Gothama Buddha… cambiamento di coscienza le mie palle… tra il Jainismo e il cattolicesimo di Pio IX, riguardo gli animali, c’è una differenza di dieci anni luce… la coscienza in un senso è peggiorata… Erminio: Mio padre teorizza perdendosi in colte disquisizione con le gattare, ogni giorno centinaia di e-mail… ma come fai? Bortolo: Ma non essere offensivo verso quelle grandi donne… Erminio: Ma si… sante donne saranno, però rimane un fatto: 700.000 cacciatori ci ballano sulla pancia – e lo fanno dalla nascita della vita su questo pianeta – e noi che siamo moltissimi non siamo in grado di fare un cazzo di nulla… Bortolo: Moltissimi lo dici tu… da dove tiri fuori le tue statistiche? Eminio: Ecco l’altra coglionata mostruosa… non crede che c’è una crescita vertiginosa degli animalisti in Europa e nel mondo… una verità lapalissiana… inconfutabile ma non gli fa comodo… Per darvi un’idea: i vegetariani sono ora nel Regno Unito almeno cinque milioni mentre al tempo della Regina Vittoria non ne trovavi uno neanche se lo cercavi con il lanternino… lui dice che il consumo della carne è aumentato… certo… perché è aumentato il benessere… ma i vegetariani e gli animalisti sono aumentati vertiginosamente in proporzione al numero di abitanti in un paese, ma questa è una verità scomoda che non fa piacere conoscere… perché la stragrande maggioranza di persone che è contro la caccia è tenuta in scacco da una minoranza declinante e abilissima… è che noi tutti siamo degli emeriti coglioni… Bortolo: Eh aspetta… Erminio: Si campa cavallo… mio padre mi fa incazzare… si perde dietro al nulla… pensa che quando il petrolio finirà ci sarà la rivoluzione… papà, il capitalismo sopravvivrà, contaci, si inventerà qualcosa di nuovo… l’idrogeno o che so io… mi fa imbestialire il fatto che una potenza nascente composta da persone che rispettano altre forme di vita non comprenda la modernità e resti incapsulata in azioni nobilissime ma marginali… mi fa imbufalire… buona, però, sta grappa! Gervasi: Io dico che quando il mondo cattolico assorbirà certi concetti e si
muoverà allora qualcosa di grande succederà… Bortolo: Per carità i cattolici… Gervasi: Ma guarda che prima o poi dovranno capire e loro sono fortemente organizzati… e se si muovono loro, allora… Zaino: Ma no… è una religione perdente… Erminio: Si, signori, però non ci perdiamo dietro ai sogni… pensiamo all’immediato… Zaino: Lo sai che è una bella idea il boicottaggio turistico… Erminio: Ma non solo il boicottaggio turistico, anche il boicottaggio dei prodotti… un esempio: se la Toscana permette gli orrori degli avvelenamenti, milioni di animalisti europei saranno informati che è meglio non comprare olio toscano… immaginate il casino! Gervasi: Avete visto il casino che è successo per due petardi tirati alla manifestazione contro Morini? Roba da ridere. O piangere. Da una parte c’è gente che non si rende conto che fare casini nel momento in cui tutti ti osservano è controproducente, dall’altra ci sono quelli che sono sempre e in ogni caso “pacifisti” e che mettono il candore immacolato della propria anima davanti a tutto. Zaino: Dio che palle con queste Marie Goretti animaliste!… Mai la violenza… mai una reazione di forza contro la violenza… Bortolo: Arriva Hitler e s’inalbera la bandiera bianca! Niente violenza… Zaino: E finiscono tutti a Buchenwald… Erminio: Ma è un nuovo animalismo… e che sarà mai un po’ di violenza davanti al massacro di miliardi di esseri viventi! io penso che invece è salutare… Zaino: Direi… serve un nuovo animalismo, è finito il tempo che ce lo prendevamo tra le chiappe senza mugugnare… Bortolo: Tutti in risaia…
Erminio: Ecco papà che comincia con la risaia… ma chi ce li manda in risaia papà… le gattare? Bisogna concentrarsi su quello che lascia segni… Erminio: Infatti… io preferisco il casino... il casino ha ritorno mediatico...e poi è giunto il tempo di incazzarci... Gervasi: Sono d’accordo. Ma nel momento in cui hai gli occhi puntati come è stato a S. Polo, io credo che qualsiasi azione, in quel momento lì, ti si può rivoltare contro (mediaticamente parlando, intendo). Zaino: Tu pensi? Se i palestinesi avessero scelto il pacifismo starebbero meglio? Te lo immagini Bin Laden intorno ad un tavolo? E che avrebbe messo in crisi il mondo con le chiacchiere? Bortolo: Sono due sassi...dai! Gervasi: Max ha parlato per 20 secondi al TG1, ore 20. E penso che, in quel contesto, sia stata la cosa più utile. Zaino: Chi è Max? Gervasi: Massimo Tettamanti… Zaino: Massimo Tettematte? Erminio: Si… ama le tette matte… è un nostro amico… nell’immaginario collettivo la rivolta è utile... smuove... da fastidio...crea attenzione... Gervasi: Ci sono mille forme di azione da fare in mille altre occasioni. Insomma, io credo che agire di sorpresa sia molto più utile. Bortolo: Certo... però non fa male un po’ di casino... e poi come funziona? Ammazzi un milione di animali e tutto va bene... ammazzi l’uomo che ammazza un milione di animali e sei un terrorista, un violento... Zaino: Ma chi cazzo le decide le regole? Erminio: La specie egemone sul pianeta... le scimmie pelate più intelligenti dei
cani... Bortolo: Ma la lobby e il boicottaggio mi lasciano perplesso… Zaino: Spiegami meglio come si fa il boicottaggio turistico… Zaino è un tipo di «animalista» nuovo. È un animalista muscolare con un enorme tatuaggio che gli copre la schiena. È un ouroboros, il serpente che si morde la coda e rappresenta l’eternità. Solo che nel suo caso non è un serpente che si morde la coda ma è un drago che se la morde. Michelino è un tipo alto 1,75, ben messo, con i capelli tagliati corti, una barba incolta e un corpo muscoloso d’atleta. Vive trascinando tutto quello che possiede in uno zaino. Ogni tanto rientra a casa dei genitori, a Mantova, per lavarsi le sue cose. I contatti li mantiene utilizzando un portatile che porta sempre con sé. Gira il mondo cercando di convincere gli scienziati ad evitare la vivisezione. A causa della sua comione ha perso il lavoro. È uno di quegli animalisti con il fuoco che brucia sotto le ceneri, e maschera la rabbia e lo sconforto dell’impotenza dietro un volto sorridente. Ama donne ed alcool. Ovunque arriva, come gli antichi marinai, ha un letto che l’aspetta. Ama musica e poesia ed è, essenzialmente, anni luce distante dal classico animalista vegetariano, indeciso, pacifista e scheletrico. Zaino ascolta Ermino Polpotta mentre spiega il piano e l’assimila, mentre Bortolo non smette di scuotere la testa. Nel 2004 Zaino lo metterà in pratica scatenando notevoli reazioni e provocando il ripensamento della vita dell’indeciso Bortolo. «E come fece a metterlo in pratica?» chiede Mosul a mio padre. Che idea è quella del boicottaggio turistico?
*****
L’idea è penetrare le borse del turismo internazionale con un gruppo in grado di
consegnare materiale, che metta in luce gli orrori perpetrati verso gli animali, agli operatori turistici del mondo. “Zaino” si organizza con un gruppo di animalisti. Prepara un opuscolo con immagini forti di animali massacrati e avvelenati. Inserisce una serie di statistiche che evidenziano gli abomini, inclusi i massacri degli uccelli migratori. Poi infila tutta la documentazione in grandi buste, con l’aggiunta di un video che evidenzia i vari orrori e un CD ROM contenente statistiche e altre immagini, e li consegna a un numero notevole di operatori turistici internazionali. Il materiale informa che è in atto una campagna, a causa degli orrori verso gli animali, per limitare il flusso di turisti verso l’Italia. Una lista di aree “no limits” viene consegnata e diffusa simultaneamente su internet. Le organizzazioni animaliste internazionali, nello stesso momento, diffondono informazioni a potenziali turisti e ai media del loro paese invitandoli a “cliccare” un sito web in varie lingue. Zaino si organizza con tre fanciulle da sballo che si vestono come delle dirigenti di Mediaset e avvicinano gli operatori internazionali di sesso maschile, mentre tre elegantissimi ragazzi avvicinano le operatrici turistiche di sesso femminile. L’opuscolo consegnato ai vari tavoli dice: «Aiutateci a diventare civili, denunciate le regioni, i comuni e le aree ove avvengono gli orrori che vedete. Sconsigliate ai turisti questi luoghi». Le borse hanno un momento culminante quando gli operatori locali avvicinano gli operatori internazionali e fanno la fila per consegnare l’opuscolo per vendere i propri prodotti e servizi. Un albergatore di Mantova, ad esempio, si presenta con l’opuscolo del proprio albergo e cerca di convincere il tour operator straniero a visitare la propria città – che offre cose artisticamente notevoli – e a far pernottare gruppi turistici nel suo albergo. In soldoni: l’operatore internazionale se ne sta dietro un tavolino e raccoglie le offerte, che poi, con calma, quando tornerà nel suo paese, valuterà – e nella stragrande maggioranza dei casi cestinerà. Insomma un bordello ove tutti offrono natiche, peni e tette. Agenti di viaggio, ristoratori, albergatori, guide turistiche, proprietari di
pensioni, locande e di mezzi di trasporto, offrono nel suk, nel caravanserraglio della borsa la propria pregiata mercanzia: «Ti piace il mio culo, bellezza?». “Zaino” e i suoi prodi, invece, si presentano con il materiale delle infamie italiote, alcune volte spiegano a voce il significato della campagna, altre volte lasciano il materiale e se ne vanno. Conducono i vari contatti con la massima rapidità per evitare casini. Ne viene fuori un finimondo che scatena un notevole ritorno mediatico. Spesso gli animalisti sono riconosciuti e fermati, ma “Zaino” cambia le persone e l’infiltrazione è perfetta. Si presentano in varie mostre: a gennaio sono all’Art Cities Exchange di Roma, a Febbraio alla BIT di Milano, ad aprile alla Borsa del Turismo Mediterraneo di Napoli, al Buy Emilia Romagna, al Workshop Turismo Nautico di Genova, e al Thermalia di Ischia. A maggio sono all’Ecotur di Pescara, alla Borsa del Turismo Enogastronomico di Riva del Garda e al Cities Arts Events di Ferrara. A giugno sono al Buy Veneto di Venezia. A settembre al Buy Lazio di Rieti, alla Borsa Internazionale del Turismo Montano di Trento e a quella del turismo siciliano di Palermo. Ad ottobre sono al BETA di Cecina e alle borse del Turismo Nautico di Genova, del Turismo del Mare di Pesaro, dei Laghi di Brescia, del turismo sociale di Città di Castello e del turismo sportivo di Montecatini. A novembre sono alla borsa del turismo archeologico di Paestum e a quella del turismo scolastico di Genova. A dicembre visitano la Borsa del Turismo Congressuale di Firenze.In particolare la BIT di Milano e la BIC di Firenze danno ottimi frutti. Molti operatori stranieri rimangono inorriditi dalla denuncia mentre gli albergatori e gli operatori locali cominciano a mugugnare dicendo: «Per questi fottuti cacciatori non arriveranno più turisti». Gli assessori sono travolti dalle proteste e qualcosa comincia a muoversi.
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Quando i crociati arrivano a Costantinopoli Alessio li sprona ad un giuramento di fedeltà. Durante il giuramento avremo occasione di incontrare un personaggio fondamentale della storia del “Velum Marthae”. Seguiamo Anna Comnena che detesta i Franchi perché puzzano e dice che sono barbari e scurrili. Anna racconta che quando i crociati arrivano con le numerose truppe si stabiliscono nelle vicinanze del monastero dei Santi Cosma e Damiano. Racconta che il campo crociato si estende fino all’Heron e i soldati bizantini accompagnano i generali dell’esercito cristiano verso il palazzo dell’imperatore che, per convincerli a giurare fedeltà al trono, li accoglie separatamente. L’idea di Alessio è che sull’onda della conquista crociata si ristabiliscano le sorti dell’impero bizantino paurosamente traballanti sin dalla catastrofe di Manzicerta del 1074, che era stata preceduta dalla feudalizzazione caotica, dall’introduzione della “Pronoia”, dal sistema “caristicario” (le odiose concessioni ai monasteri), dalla crescita esponenziale di una burocrazia onnivora, dallo scisma d’Oriente causato dalle solite pippate dei cristiani: una lite a colpi di borsetta – come tra due vecchie megere – tra Leone IX e il patriarca Michele Cerulario per il primato teologico. Dopo Manzicerta erano seguite l’avanzata inarrestabile dei normanni nel Sud d’Italia e quella dei Peceneghi in Epiro, la crescita della forza degli Ungari, il germogliare del potere terribile dei Selgiucidi e le concessioni ai Veneziani per l’aiuto dato contro i Normanni. Ma i Franchi che arrivano sono preoccupati per questo giuramento, già eseguito da Goffredo di Buglione, e attendono ansiosamente l’arrivo di Boemondo con i suoi uomini, tra i quali c’è Guy de Nuitville, e solo dopo notevoli esitazioni e vacillazioni giurano. È presente al giuramento anche Goffredo di Buglione. E qui accade il fatto che c’interessa in modo particolare. Immaginate la scena: mentre tutti i Franchi stanno attendendo di giurare, un uomo, improvvisamente, si siede, tra lo stupore generale, sul trono di Alessio: un affronto notevole mai successo prima. Un atto sconsiderato come per dire: stiamo perdendo tempo con questi greci del cavolo. L’imperatore sopporta con
rassegnazione la notevole scortesia, anche per evitare un’esplosione di rabbia da parte del Franco. Ma ci pensa Baldovino di Fiandre ad intervenire e tirare per un braccio il conte; e immaginiamo che gli dica qualcosa come: «Ma che cazzo ti a per la testa caprone di un normanno, non sai che per arrivare in Terra Santa abbiamo bisogno del greculo e dei suoi enuchi del cazzo!». La versione che dà Anna Comnena é edulcorata e sembra un reportage di Emilio Fede – un famoso giornalista del 2000 che faceva sempre incazzare mio padre – nei riguardi di Berlusconi: è un resoconto mostruosamente soggettivo. Anna è la figlia di Alessio e da lei, dati i tempi, non ci si può aspettare obiettività. Baldovino di Fiandre, quindi s’incazza e tira giù dal trono il cavaliere franco. In sostanza pensa: «Guarda questo gaglioffo non si rende conto di quello che ha combinato, noi stiamo qui a fare questa carnevalata grottesca dei giuramenti dei vassalli (che contano meno di una pernacchia nel deserto in un giorno ventoso) per raggiungere spediti la Terra Santa ed accoppare un bel po’ di saraceni, e questo cafone ci combina sto casino con il suo atto scriteriato…» e gli ingiunge: «Scendi giù dallo scranno deficiente del cazzo!» Anna Comnena ci racconta la scena con altre parole, ma nessuno si trangugia la sua versione. Ma non finisce là. Il Conte bofonchia qualche parola scendendo dal trono che suona come: «Ecco… ora bisogna ascoltare anche questi eunuchi del cazzo! Sto damerino arzigogolato, che sembra una Madonna coperta d’oro e diamanti, in fondo, è un usurpatore, e anche un eresiarca, cioè é leggermente migliore dei fottuti maomettani, guardalo lì… sta seduto mentre i generali franchi stanno in piedi, e quelli sono cocchi con palle di ferro, che presto rischieranno la vita per la Croce!». Alessio sente il mormorio barbarico – un idioma che Anna Comnena disprezza – non lo comprende e chiede ad un interprete di tradurre; assorbe la feroce battuta e quando tutto finisce, ripensandoci come i cornuti, chiede al Conte normanno di avvicinarsi. Ne scaturisce un dialogo di questo tipo: «Ma tu sei un nobile?» Chiede l’imperatore.
«Si… e di pura razza franca…» risponde il Conte e precisa «da dove vengo c’è un incrocio vicino ad un santuario dove chiunque voglia battersi attende…». «Attende cosa?». «Che qualcuno lo sfidi…». «Si, ma che vuoi dire?». «Voglio dire che io ho aspettato e aspettato ma col cavolo che è venuto qualcuno a sfidarmi… perché se qualcuno fosse venuto gli avrei fracassato le cervella…». «Ah… però se io fossi al tuo posto mi guarderei bene dai Turchi selgiucidi, quelli fanno sul serio… e se vuoi menar le mani avrai innumerevoli occasioni per farlo e ne vedrai delle belle…». «Non c’è problema… sono qui per questo…». «Un’ultima cosa: se vuoi preservar le palle mantieniti nel centro dell’esercito con gli «hemilochitae», i giovani ufficiali dell’esercito, perché se i Turchi ti beccano nella retroguardia ti fanno un culo così… e questo lo consiglio a te e a tutti i tuoi amici franchi… e ricordatevi di non inseguire i Selgiucidi troppo lontano, non vi allungate troppo, perché tenteranno di attirarvi in trabocchetti e se vi prendono allora…». «Sono cazzi acidi…». «Già… acidi…». «Ma per loro…». Chi è questo Franco arrogante, per nulla intimorito dal potere imperiale, che provoca Alessio? Anna Comnena non lo dice, ma ce lo raccontano, prima Goffredo Malaterra, e più tardi Falco di Benevento nel suo frammento, ritrovato nel 2010, del “Velum Marthae”.
E chi è Falco? È uno storico longobardo che detesta i Normanni e li considera alla stregua di briganti. È un membro di un’importante famiglia di Benevento, è un notabile che ci tramanda la storia della sua città e degli eventi riguardanti il Sud d’Italia dall’anno 1102 all’anno 1139. È lui che nel 1115 scopre il documento del “Velum Marthae” e accuratamente ne riporta la storia che corrisponde a quella narrata da Malaterra che però non riporta l’offesa ad Alessio. È Falco a spiegare che l’uomo che offese Alessio è Rothrud di Soissons. E perché è tanto importante nella nostra storia questo conte smargiasso ed arrogante? Perché sarà lui che darà a Guy de Nuitville l’oro per comprare il velo di Marta che metterà in moto gli eventi prodigiosi che porteranno alla clonazione e ai miracoli. E sarà lui che consiglierà a Guy de Nuitville il contatto con Gilberto di Otranto, il quale cercherà di vendere il velo a Pasquale II.
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«Vede, Mosul, in quel tempo nel mio triste paese avvenivano cose strane… se lo ricorda Giovanni Paolo II?». «Il Papa rumeno…». «Ma no caro, polacco… rumeno era il principe Dracula… ebbene, in quei giorni, mentre eravamo a Trieste se ne venne fuori con un’idea un po’ strana…». «Mi dica…». «Wojtyla, così si chiamava…».
«Quello che ha fatto crollare il comunismo…». «Suvvia non esageriamo… ha dato una notevole spinta… insomma questo buon uomo, amato spropositatamente dalle masse italiote del periodo – correva l’anno 2002, consideri che parliamo di quarantun anni fa – se ne venne fuori con una citazione di Geremia e disse che Dio si era nascosto a causa degli abomini degli uomini…». «Ma quando mai si è mostrato?». «Infatti… quando mai si è mostrato? L’ha centrato in pieno, Mosul… ed ecco che tutta la massa degli intellettuali italioti di vari colori va in tilt «richiamo assordante»declama il poeta Luzi… lo conosce il poeta Luzi?». «No…». «E il filosofo Cacciari? Quello lo conosce?». «Mai sentito… e poi voi filosoficamente avete dato molto poco…». «Tommaso d’Aquino…». «Ecco… pensi un po’…». «Insomma questa citazione di Geremia, che se non erro proviene dalle lamentazioni… diventa qualcosa di straordinario, l’urlo di un profeta, che so, «parole terribili» dice Cacciari…». «Ecco… vede la mistificazione: la vita è terribile… ha mai visto una zebra divorata da un leone o una gazzella azzannata da un coccodrillo, mentre beve sulla riva di un fiume, ed è lentamente inghiottita? Ha visto la dolcezza e l’orrore nei suoi occhi mentre è masticata dal coccodrillo?» «Già… e lui ci propina la storiella del silenzio di Dio e il suo occultarsi per i peccati degli uomini… ma quando mai è stato presente sulla terra?». «Eternamente «absconditus»… e ci risiamo con l’antropocentrismo trionfante che non si rende conto del male del mondo e pensa che tutto va riportato all’umano. Che tutto può essere corretto dall’uomo. È colpa degli uomini afferma questa pensiero egemone, che fetenti saranno ma, sicuramente, non
hanno colpa di avere una spugna porosa nel cranio, strutturata in una certa maniera, imbevuta di male e intrisa di stupidità… un cane è un cane, una rosa è una rosa e un uomo è un uomo… nessuno sceglie di essere quello che è…». «Il trionfo di coloro che rispettano altre forme di vita, Erminio, porterà ad ulteriori terrori perché lei sa che anche se l’uomo si murasse nelle città smettendo di interferire nella natura- cosa saggia che sta accadendo – il male non finirebbe… ricorda il film di Donald Beatty “La Terra Ritrovata”? Lo ha visto? È un film del 2021?». «Si… l’ho visto, è molto bello…». «In quel film gli animali sono isolati dall’uomo. Cane e gatti non esistono più nelle case. Gli uomini sono tutti vegetariani, si sono ritirati nei propri confini e hanno finito di fare i «nazisti dell’orbe terracqueo». Risultato? Nelle terre restituite agli animali impera lo strazio e la legge darwiniana della sopravvivenza. Impera il dominio del più forte. Lo strazio del giardino leopardiano e della foresta shopenhaueriana trionfa…». «Non se ne esce dal male… ma è meglio un mondo come immagina Beatty». «Ma il male è inerente all’essere… questo voglio dire… che poi il papa slovacco…». «Polacco… Mosul… polacco…». «Già polacco… se n’è uscito fuori con un gioiello che fa morire dal ridere…». «Si, ma lui parlava della pace, era preoccupato della possibile guerra con l’Iraq, la solita logica umanoide che, in America, faceva disinfettare il braccio del condannato a morte prima di iniettarlo con il siero velenoso… la logica del papa che cita Geremia e poi affabilmente saluta Andreotti… lo sa, caro, chi era Andreotti?». «Un presidente della Repubblica italiana!». «Per poco non lo è stato. Era un uomo politico potentissimo che i giudici del tempo e gran parte degli italiani giudicavano colluso con la mafia…». «Ma la mafia esiste ancora?».
«Ehhhhh! Ma preciso il mio pensiero: Wojtyla che aveva predicato con forza inaudita la teologia della proliferazione delle nascite incontrollate era, quindi, parzialmente – e ripeto parzialmente – colpevole dello strazio degli affamati e dei piccoli abbandonati di quel tempo…». «Procreate e moltiplicatevi… un’ingiunzione diabolica e folle!». «Le faccio un esempio: mentre, il Papa deprecava, giustamente, gli abomini degli umanoidi, nel mondo c’erano oltre cento milioni di piccoli abbandonati che vivevano per le strade senza una famiglia e centocinquanta milioni che soffrivano la fame… e lui imperterrito continuava nella sua ottusa predicazione e poi citava Geremia dicendo: «Se esco in aperta campagna: ecco i trafitti di spada; se percorro la città: ecco gli orrori della fame…». «Adesso le cose non sono radicalmente cambiate malgrado le terribili rivoluzioni del 2023 in Guatemala e Messico…». «Le faccio presente, Mosul, che mentre il papa sfodera Geremia, l’Onu lo sta implorando di smetterla con le nascite… dice, attraverso le proprie agenzie, alle gerarchie cattoliche che la proliferazione delle nascite è un gran male… e cerca di spiegare dicendo: attenzione, padri eminentissimi, il controllo della fecondità ha fatto crescere notevolmente l’economie orientali; e spiega, a questi eunuchi fissati con la scopata senza impermeabile, guardate che nell’Africa Sahariana per l’alta fecondità il PIL è disceso dello 0,8… e allora, caro Mosul, sulla terra eravamo oltre sei miliardi, mentre ora, nel 2047, siamo oltre 9 miliardi… ed ancora, l’ONU spiega al Papa delle geremiadi che il Brasile per il contenimento delle nascite ha avuto una crescita economica dello 0,8…». «Come fa a ricordarsi tutto?». «Mio padre scriveva tutto, lo stavo rileggendo ieri… insomma l’ONU urla: smettetela di procreare e il sant’uomo, curvandosi su se stesso, risponde: moltiplicatevi… e poi ci elargisce “i trafitti di spada”… ma mi dica lei Mosul…». «Un grande disastro il pensiero assoggettato al dogma e all’egoismo, ricordo di aver letto quello che disse il più grande capitalista di quel periodo: Rotschild, il quale disse: «che orrore il mondo della fame, però il capitalismo è il migliore sistema che conosciamo». Già, un sistema economico che gli dava, quotidianamente, miliardi di dollari di guadagno e non dava neanche una patata
lessa in una ciotola a centocinquanta milioni di bambini per lui funzionava… e il banchiere pontificava». «Già a quel punto credevano che tutto fosse finito, poi cominciarono i no-global e sappiamo tutto quello che accadde…».
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Era notte fonda quando ho spento il Soft Book Reader facendo svanire il Diario Segreto. Non ho retto: mi sono appisolato crollando sul divano polifunzionale mentre la pioggia batteva sui vetri e ho sognato qualcosa di assai strano. Ricordo che, nel sogno, entrai in un luogo segreto, diroccato, nascosto da ruderi; ero accompagnato da una donna incappucciata. Scendemmo in una cripta medioevale mentre i ratti saettavano da ogni parte. Il luogo era abbandonato e sporco. Quando raggiungemmo il punto estremo del sotterraneo, la donna m’indicò una croce lignea simile a quelle che una volta dipingevano Margheritone d’Arezzo, Cimabue, o Segna di Bonaventura. La Croce era velata da ragnatele e coperta da polvere: la mia guida la spolverò con una mano inguantata. Mentre nettava la superficie, incuriosito, cercavo di vedere il suo volto ma non riuscivo. La misteriosa accompagnatrice pulì il dipinto con grand’accuratezza poi con un pezzo il legno infranse il vetro opaco di una gotica finestra lasciando penetrare un raggio di sole, che si posò sull’immagine facendola risplendere. A quel punto, senza dire una parola, la donna m’invitò a contemplare il disegno: lo stile era un misto di moderno e medioevale. Sulla “croce dipinta” non appariva, come in tutte le croci medioevali, il corpo del crocefisso. Non c’era il “Christus patiens” dalla testa cadente e gli occhi chiusi, o il “Christus triumphans” dallo sguardo sereno e gli occhi aperti, c’era invece riprodotta un’immagine che sembrava una scena dell’Apocalisse. La donna incappucciata stava indicando un angelo, dipinto modernamente, che sembrava spingere, con infinita misericordia, i cavalieri apocalittici verso l’annientamento del mondo. Lo spirito celeste aveva un fiore in mano e dalla bocca venivano fuori parole greche trascritte in oro. L’impressione che ebbi era che l’angelo
dicesse ai distruttori sguinzagliati dall’apertura dei sette sigilli: «Andate, cari, è tempo di mettere fine a quest’orrenda baldoria. Facciamo discendere il sipario su quest’immane macello. Lasciamo calare il nero tendone sul bordello sanguinoso dell’individualità scatenata. Andate, cari, cominciate il vostro santo lavoro e che tutto sia annichilito e riassorbito nella Luce Primiera». Nella parte alta della croce vedevo un altro angelo che, dalla mano dischiusa, lasciava cadere le stelle del firmamento nella bocca spalancata di un drago, che stava divorando la volta celeste. La creatura celeste, che era il Signore dell’Ultimo Giorno, indicava con l’indice puntato la parola “Nihil” dipinta a caratteri dorati. Non indicava la Luce Ipersensibile e Originaria, ma una notte senza stelle. Un terzo angelo, che aveva un braccio tratteggiato, stranamente non completato – come se il pittore avesse dimenticato di finirlo – suonava un’aurea tromba librandosi su quella che sembrava una cittadina toscana. Nella parte inferiore della croce, sotto la parola greca “Golgota” era riprodotta, modernamente, un’icona con la crocifissione. Al lato destro e sinistro della croce si vedevano altri due angeli, dipinti in stile medioevale, che combattevano, sotto iscrizioni ebraiche, che sembravano cabalistiche, con un uomo e un drago. Incuriosito chiesi alla donna il significato delle parole greche che fuoriuscivano dalla bocca del primo angelo. L’arcana accompagnatrice rispose: «Significano: vieni e vedi!» Poi mi guardò, aprì il nero mantello vellutato ed espose il petto. Vidi che su un seno era tatuata un’iguana che stava bevendo da una coppa ricolma del liquido che sembrava sangue. La donna mi ordinò di baciarla. Sfiorai con le labbra l’immagine per essere, subito dopo, brutalmente respinto. La donna mi schiaffeggiò con forza. Sembrava che la mia guida dicesse: ti basti questo, ora allontanati. Improvvisamente notai che il cappuccio di velluto le era calato sulle spalle, e che stava rivelando il suo volto, notai i capelli corvini, ma il viso non lo vidi perché mi svegliai: oltre quel limite non mi era concesso giungere. Mi alzai scosso dalle immagini oniriche, barcollai verso la finestra rigata dalla pioggia e sospirai. Qualcosa d’arcano e perverso gioca sempre con le nostre menti ferite nell’abisso dell’inconscio.
Le resurrezioni simultanee
Entriamo nel vivo della storia come riportata dal Diario Segreto di mio padre. I due miracoli simultanei sconvolgono il mondo. È la simultaneità che impressiona e fa tremare. Il Gesù di Quimper raggiunge St.Thégonnec per visitare la madre, Jeanne Bellarmine, provenendo da Brest, e incontra un tipo chiamato Charles Cadoulac, presso il Calvario dell’Enclose Paroissal, che piange disperato e chiede: «Perché piangi?». Simultaneamente la stessa cosa accade a Woolacombe, Mosul incontra il tipo con coda di cavallo ed orecchino che lo guarda insospettito e, poco convinto, lo porta a vedere il suo piccolo morto. Mentre Mosul solleva dal nulla James, che diventerà un nuovo ricchissimo Lazzaro, Quimper – chiamiamo così il Gesù britanno onde evitare ripetizioni – solleva dal gelo della morte Louis, che a sua volta diventerà un opulento risorto. Intorno a quest’evento che tutti conoscono perché è stato narrato «ad nauseam» si costituisce un mondo. Un esempio? Mio padre spiega che se si chiedeva agli spagnoli, nel 1981, se credessero in Dio il 76% avrebbe risposto affermativamente. Se si faceva la stesa domanda nel 1999 il 68% avrebbe risposto: «Credo!». Nel 2042 gli spagnoli che credevano in Dio erano circa il 7%, ma dopo i miracoli del 2043 divennero il 78%. Un’esplosione di fede epocale nel tempo della morte e della sepoltura di Dio. Mio padre presenta un altro esempio – utilizzando un paese nordico per evidenziare la differenza con l’Europa del Sud – e spiega: in Inghilterra i credenti dopo i miracoli erano diventati il 68%. Nel 2042, prima dei miracoli, erano il 4%. Nel 1981 erano il 63% e nel 1999
erano il 47%. E in Francia? La Francia era l’unico paese europeo ove i credenti erano aumentati dal 1981 al 1999 dal 44% al 47% – per ragioni incomprensibili – per crollare, nel 2042, al 2%, e per poi diventare, dopo il miracolo, il 74%. Un altro esempio: in Europa, nel 2002, alla domanda: «C’è niente, secondo voi, dopo la morte?». Il 10% delle persone tra i 18 e i 34 anni, e il 21% degli oltre cinquantenni rispondevano: «Nulla!». Nel 2002, quindi, i nichilisti europei erano il 31% della popolazione. Ma il 50% delle persone tra i 18 e i 34 anni, e il 29 % degli oltre cinquantenni alla domanda: «Secondo voi c’è qualcosa oltre la morte?» rispondevano: «Si… qualcosa c’è, ma non sappiamo cosa…». Nel Messia limitato, mio padre, riporta una ricerca effettuata su 38.000 persone nel dicembre del 2002. «La religione è importante per voi?» Rispondono affermativamente il 59% degli americani, il 30% dei canadesi, il 21% dei si, il 27% dei tedeschi, il 27% degli italiani, e sorprendentemente il 33% degli inglesi. Nel 2018, la stessa domanda è posta agli americani che rispondono «si» al 21%. Ma dopo i «miracoli simultanei» il consenso statunitense cresce al 97%. Nel 2043, quindi, dopo le resurrezioni la gente che crede nell’Oltre, raggiunge la percentuale sbalorditiva del 96%. Due resurrezioni simultanee non sono una cosa da niente, sono roba da sballo mentale, il cristianesimo ne riceve una scossa formidabile e reagisce come se si fosse sniffato un chilo di coca pura. Si rialza dal suo letto di morte, come un malato terminale miracolato, vivo e vegeto.
Il Cardinale Bellestrini che ha ideato la clonazione gongola. Ma c’è un’ombra che incombe su tutto. Chi è Mosul e perché ha resuscitato dai morti il piccolo James? Se “Quimper” ha strappato dal nulla il piccolo Louis lo ha fatto in nome di Dio, ma l’apostata islamico – completamente ateo o se si preferisce solidamente agnostico – nel nome di chi l’ha fatto? E perché, Mosul Hossein, la mena con quest’ossessivo amore verso gli animali e le cose devastate dalla civiltà della tecnica al punto di accarezzare legna tagliata, macchine distrutte e bottiglie di plastica Nocet? La domanda manda in fibrillazione il mondo; ma quello che scatena l’uragano mediatico è la famosa intervista alla NBCS di New York, durante il talk show “Events in The World” – che dura oltre due ore – con Juanita Pamela Acontour. In quell’occasione, il “Messia Limitato” – come lo chiama mio padre – risponde ridendo alle domande della favolosa anchor woman americana dopo aver concluso con la giornalista quarantenne un infame e segreto accordo: un’intervista in cambio di tre giorni di sesso sfrenato. Quando, più tardi, questa storia emerge, devasta il matrimonio della Acontour. L’infida “gutter - digital - press” si scatena infierendo su Mosul che la detesta dal momento che definisce continuamente i giornalisti di quei giornali “horrid pen pusher”, “travisatori della verità”, “grande onta del mondo”. Dopo quell’incredibile intervista Mosul Hossein diviene “de facto” l’Anticristo per i cristiani e un messaggero di Shatan per gli islamici. In quella fatidica notte si riversa su di lui, e indirettamente su mio padre, l’orda famelica dei cercatori del nuovo Dio, la massa sconvolta dall’“angst” contemporanea dei neo - buddisti, degli animalisti - neo - Jainisti, degli “Adoratori della Luce Interiore” e di infiniti altri gruppi che vedono nella garbata, ironica predicazione di Mosul il messaggio – e quindi il ritorno nel mondo – del Buddha Maitreya. Il “Messia Limitato” aborrisce la sua trasformazione in un santo, mentre il Gesù
di Quimper la cavalca con gioia e la sfrutta spudoratamente saltando come un grillo da un “talk show” all’altro; cosa che fa disperare Bellestrini e inorridire le pie donne. In quel periodo dissoluto, Jeanne Bellarmine, incanutisce e tira le cuoia per un coccolone che la fulmina alla notizia che suo figlio sta saltando tra le apocalittiche cosce di Betsy Howell. Mio padre spiega nel Diario Segreto il dolore che Mosul prova per essere diventato il centro dell’attenzione del mondo. La sua predicazione austera e parsimoniosa ha provocato un pandemonio. Anche “Quimper” è restio a seguire la predicazione del Gesù di Nazareth e si sobbarca il peso gioioso della nuova popolarità predicando un nuovo verbo, chiaramente antropocentrico, indifferente, come il precedente, verso il non – umano; come il Nazareno nella storia della Sirofenicia e dei cagnolini, non ha tempo per bestie e alberi di fico e si preoccupa relativamente per i poveri del mondo, «dal momento che li avremo sempre con noi». Ma su una cosa è adamantino: il potere della resurrezione gli è venuto da Dio, a differenza di Mosul che alla domanda sulla fonte della potenza che sconvolge le leggi naturali risponde: «Non so… e non ci ho capito un cazzo!» Ma perché chiamano Mosul l’Anticristo? E chi parla di Anticristo nei sacri testi rispolverati dopo le resurrezioni simultanee? Nei Vangeli, come sempre, c’è immensa confusione: Matteo dice una cosa, Giovanni ne fa capire un’altra. Matteo (24 –23,24) e Marco (13 –21,22) non nominano l’Anticristo, parlano di pretendenti, di gente che si fa are per il Cristo, Giovanni, invece, lo nomina e lo indica come l’incarnazione, l’espressione essenziale del male che lotta contro la missione salvifica del Cristo e che precede la fine del mondo. Il Gesù dei primi vangeli mette in guardia contro forme adulterate della sua predicazione. «Guardatevi – dice – perché tanti verranno in nome mio e diranno: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti». E avverte «di non turbarsi perché queste cose dovranno accadere ma non giungeranno proprio alla fine». Dice, in effetti, che i
falsi Messia giungeranno prima della conclusione del Secolo: «Quando sentirete parlare di guerre e sollevazioni non vi spaventate perché bisogna che questo accada. Ma la fine non verrà così presto». Giovanni, invece, nelle sue Epistole, nel suo Vangelo e nell’Apocalisse parla di un Messia capovolto, come un’ombra tenebrosa che oscura la luce di Dio e che si concretizzerà alla fine dei tempi. Il Messia rovesciato precede la venuta del Secondo Avvento di Gesù. Il Gesù di Giovanni afferma: «Io sono venuto in nome del padre mio e non mi ricevete; se un altro verrà in proprio nome lo riceverete» Mosul, nelle teste di squilibrati fanatici, calza perfettamente la figura dell’Altro. Giovanni scrive nell’Apocalisse: «Ma la bestia fu presa e con lui il falso profeta, il quale con i falsi prodigi aveva sedotto coloro che portavano l’impronta della bestia e quelli che si prostravano davanti alla sua statua e ancora vivi furono gettati in uno stagno di fuoco rovente e di zolfo». Proprio così dice: in un «limene tou puros ten koiomenen en teio». Il nome Anticristo appare nella Seconda Epistola di Giovanni alla fine del brano 7. «Perché molti sono i seduttori apparsi nel mondo i quali non accettano che Gesù si sia incarnato Questo è un seduttore: è un Anticristo» Giovanni dice: «planos kai anticristos». Il Gesù riportato dagli Atti degli Apostoli, è esplicito: «Dopo la mia partenza s’introdurranno tra voi uomini che predicheranno dottrine perverse». Tra le quali, ovviamente, il rispetto d’ogni forma di vita. Il compito specifico dell’Anticristo è quello di capovolgere la moralità del verbo cristiano attraverso portenti e miracoli, e una predicazione parallela che stupirà le masse e le affascinerà allontanandole dalla verità. E Mosul sembra calzare perfettamente il caso. Ma perché Giovanni s’inventa questo scomodo personaggio?
Perché la Chiesa del periodo soffre le predicazioni parallele eretico – gnostiche influenzate dalla filosofia greca che cercano di travisare il pensiero essenziale di Gesù e ricordano, in un senso, le polemiche che frantumeranno la Chiesa cattolica nel 2009, provocando i grandi scismi che inizieranno con lo sconvolgimento della Chiesa anglicana causato del problema dei matrimoni gay, dell’ordinazione degli omosessuali e delle donne prete. Mosul nella mente devastata dei neocristiani diventa l’ombra di “Quimper”. Ma il Gesù se non si sogna minimamente di mettere in cattiva luce il suo gemello. Se ne frega totalmente di Mosul. Mio padre esprime la confusione del tempo davanti alle resurrezioni simultanee e alla spiegazione incomprensibile di Mosul. Quando Betty Charlotte Pomeroy lo chiama per informarlo dell’accadimento strabiliante Erminio sta saltando allegramente su e giù su Sherry, e quando sente quello che dice Betty al telefono per poco non sviene. Betty gli urla «Where are you… darling? Your friend has just resuscitated a dead boy…». Mio padre ha un malore; ma qualcosa del genere se l’aspettava. Si riveste e parte. Trova Mosul nella sua stanzetta scarna e chiede: «What the fuck has happened?». E Mosul calmissimo risponde: «Non ho idea… mi pare di aver resuscitato un bambino morto…». L’onda anomala mass mediatica – digitale stracolma di merda comincia a formarsi. Mio padre capisce il rischio e convince Mosul a occultarsi. I due fuggono insieme in macchina. Mosul gli dice: «Erminio, forse, tutto dipende dal tritone e dall’uomo verde…».
«Forse…» risponde mio padre. I due cominciano la nota peregrinazione, riportata accuratamente nel “Messia Limitato”, attraversano l’Inghilterra alla ricerca del significato del “Green Man”. Mosul si tinge i capelli color biondo platino e si lascia crescere la barba, spariscono insieme: è il 22 dicembre del 2043.
*****
Questa mattina ho ripreso il Solotrek - KKY e mi sono levato nel cielo plumbeo di Ilfracombe. Mi sono diretto verso Beacon Point, ad un certo punto, dal momento che sono notevolmente imbranato, mi è scivolata la maschera e ho rischiato di inabissarmi a largo di Rillage Point. Ho ripreso il controllo e mi sono diretto verso Widmouth Head, poi sono sceso verso Burrow Nose, sempre seguendo la costa, e sono atterrato in un luogo chiamato Home Barton a Combe Martin. Ho parcheggiato il mio motorino alato e mi sono avviato a piedi verso la casa della mitica Sherry, l’amante, un po’ troia, di mio padre. Sono arrivato presso una casa di vetro e acciaio inossidabile e ho parlato nel DCO - 9. «May I speak to Mrs. Watts?» ho chiesto. Una fanciulla è scesa e ha aperto la porta. «Sono io!» ha risposto la cocca. Per poco non svenivo. Mi sono sentito male. Ho fatto un calcolo rapidissimo: mio padre mentre faceva le sozzerie tardo imperiali doveva avere almeno 63
anni. Era nato nel 1976 e il notorio Blue – Ray mi sembra risalisse al 2039. Ma la Sherry in quel periodo doveva avere 45 anni anni, ed era piacevolmente grassoccia con una leggera presenza di cellulite. Qualcosa non tornava: io avevo davanti una cocca ventenne. Mi sono ripreso dalla sorpresa è mi sono presentato: «Sono Willy Polpotta il figlio di Erminio». Un urlo gutturale si è levato. La cocca mi ha abbracciato e condotto verso un divano ad acqua. «Che gioia! Io ho amato moltissimo tuo padre e ho sofferto terribilmente per quello che è accaduto». «La trovo in ottima forma…». «Sai quanti anni ho, darling?». «Non ho la minima idea…». «Ho 54 anni!». «Ma sembra una bambina…». «Dopo la morte di tuo padre ho venduto le mie memorie e mi sono rifatta tutta… da capo a piedi!». Ho riflettuto: abbiamo a che fare con un’orda satanica di mignotte. Sei convinto di fotterti una fanciullina e invece ti stai scopando una tardona di 70 anni. Ormai siamo precipitati in un universo “draculino” ove le figlie del principe della tenebra ottengono la vita eterna attraverso il bisturi a laser. Non ci si capisce più niente. «È molto bella Sherry…». «Mi trovi bella?». «Molto…».
«Sai per trovare marito mi sono ristrutturata tutta e mi sono chiusa… come si può dire… insomma mi sono cucita anche lì…». «Si è rifatta la verginità?». «Si, per sposarmi in bianco…». «Ci si sposa ancora in bianco?». «Raramente… ma è molto romantico…». «E con chi si è sposata?». «Con Percy Prickfield». «È qui?». «No è morto… soffriva di “fatal familial insomnia”… una malattia rarissima che si manifesta in una persona ogni 35 milioni…». Ho pensato: ma guarda che sfiga e mi sono toccato. Sono oscenamente superstizioso. «Sai Willy… è stata una cosa tristissima, con quella malattia, che non ti fa chiuder mai occhio, entro 5 mesi l’organismo muore, va completamente in tilt… è stato duro. Percy aveva solo 55 anni». «Mi dispiace molto». «Già… e io per trovare un nuovo uomo mi sono rifatta tutta nuovamente…». «Per la seconda volta? E si è ricucita anche lì?». «Certo… il nuovo marito era persiano…». «Era?». «Già era… è precipitato in mare a largo di Lynmouth Bay… lo sai dov’è Lynmouth Bay?».
«No…». «Vicino a Lynton…». Mi sono nuovamente tastato i testicoli. «Una morte dolorosa?». «Insomma… è annegato in un mare gelido… l’anno ato… era Natale». «E ora?». «Ora non ho nessuno… solo mio figlio Fred che è sposato con una stronza di Great Torrington». «Eh… la vita…». «Che vuoi fare… ma dimmi hai incontrato la Pomeroy, la grande troia?». «Si…». «Ti ha parlato di me?». «No… mi ha detto solo che mio padre aveva avuto un insignificante “affair”…». «Insignificante? Troia miserabile… tuo padre era cotto di me… amava solo me e non quella zoccola sbrindellata…». «Mi dica una cosa Sherry: lei l’Anticristo lo ha conosciuto…». «Ehhh…». «E com’era?». «Simpatico, silenzioso… ma dava poca confidenza…» «Ma aveva rapporti con le donne?». «Si… si faceva una troietta che abitava a Braunton Marsh… quella che si è venduta la storia al News of Europe…».
«Miliardaria è diventata?». «Già… però anch’io mi sono comprata una casa e mi sono rifatta tutta con le mie memorie e un paio di articoli… ma tu che ci fai qui?». «Voglio scrivere un libro su mio padre e l’Anticristo…». «L’ho amato molto tuo padre ma una cosa mi ha veramente ferito…». «Cosa?». «Si voleva comprare un clone sessuale…». «Questa è nuova…». «Già, ora ti faccio vedere delle carte che nascondeva a casa mia…». «Ma i cloni sessuali costano autentiche fortune…». «Se lo voleva comprare con i soldi del “Messia Limitato”… mi ha ferito…». «Ma come doveva essere questo clone? Costruito su misura?». «Ahhh… quello era il bello, dovevano costruirlo geneticamente come una Madonna… ho scoperto che era innamorato pazzo di un’immagine…». «Nooo… un’immagine?». «Si… ora te la faccio vedere; mi ha dato un gran dolore, Willy, è stato crudele… concedimi un minuto…». «Attendo in fibrillazione…». «Eccola… voleva un clone esattamente come questa cocca qui…». «Ma è vero… è una Madonna… non è possibile…». «Si la Madonna… la Vergine Maria dell’Adorazione dell’Agnello di Jan van Eyck…». «Ma… ma è blasfemo…».
«Blasfemo?… ma sapessi quello che mi faceva fare… io ero un buco per lui…». «Ma ha appena detto che mio padre l’amava…». «Lo dico solo per ferire quella zoccola della Pomeroy… tuo padre amava una sola donna, anzi solo l’immagine di una donna, la Madonna dell’Adorazione dell’Agnello… lui pensava che per riprendersi dalla morte di Mosul, che lo aveva tragicamente segnato, aveva bisogno di un diversivo. E dal momento che il libro gli elargiva una cornucopia di euro – dollari, allora, per riprendersi dallo strazio voleva un’amante costruita secondo la sua immaginazione…». «Alla Pigmalione?». «Chi è Pigmalione? Si, insomma creata su misura. E l’immagine che aveva amato apionatamente sin da piccolo era quella della Madonna di Van Eyck». «Bella… ma che sorpresa… i cloni costano un’autentica fortuna…». Abbiamo parlato per oltre due ore, ad un certo punto Sherry si è avvicinata e mi ha stretto un ginocchio con la mano. No – mi sono detto – è come farsi la moglie di Dracul, mi fa senso. Ma lei mi ha stretto con forza ginocchio e coscia, e mi ha guardato negli occhi. Ho pensato: «È come un incesto. Willy, dimostra a te stesso che sei in controllo della situazione. E poi che direbbe tuo padre?». Per quello – mi sono risposto – si farebbe una grande risata. Direbbe, come mio nonno quando si fotteva le gattare: «E che sarà mai una scopata?» Ma no, non si può. Un poco di rispetto verso me stesso. Stavo sostenendo la vampiresca tentazione quando Sherry – baby mi ha detto: «Senti come sono dure le mie nuove tette, sono macigni…». E ha mostrato due bocce da sballo con due capezzoli ritti.
«Diocristo… due pietre di porfido!» Ma ho stoicamente resistito. Per quanto tempo? 35 secondi! Poi le ho infilato la lingua in gola, una mano tra le cosce rifatte e un’altra sulle tette di acciaio e mi sono lasciato ignominiosamente travolgere dalla lussuria incestuosa, e mentre Sherry stava saltando come un grillo impazzito su e giù sulla mia pancia, io pensavo ad una sola cosa: «Che gli racconto stasera a Marlene, la mia bambola robotica?» Giunto a casa, quasi distrutto, ho spudoratamente mentito. «Ciao cara, sono uscito per lavoro… sai…». Si è vero, noi uomini facciamo proprio schifo! Ho pensato a mio padre e al clone blasfemo. Ho aperto il suo Diario Segreto. Erminio scrive che Ibn Battutah, il grande viaggiatore medievale del mondo musulmano, una specie di Marco Polo maomettano ossessionato dalla era, un giorno, incontra un santo Sufi a Shatt-al-Arab, non lontano dalla città di Abadan. Il viaggiatore ascolta il santo e comincia a pensare che, dopotutto, non sarebbe male dedicare la propria vita allo spirito e diventare un discepolo del Sufi. Ma c’è una cosa che lo lascia perplesso: il santo gli spiega che per liberare lo spirito occorre frenare l’impudente e «inopportuno» spirito animale che alberga in tutti noi. In ducati sonanti e nella lingua di Dante: lo spirito che alberga in noi è la lussuria o, molto più semplicemente, la voglia sfrenata di scopare. Ibn Battutah ci ripensa come i cornuti e mormora a se stesso: io lo farei il mistico ma alle ioni non voglio rinunciare. Posso rinunciare a tutto meno che alla fica. Ignora la tentazione della rinuncia mistica e continua a viaggiare e a comprarsi schiave nei caravanserragli delle terre che visita. Un po’ come Erminio Polpotta che desidera acquistare cloni profani.
Mio padre descrive, con gran sagacia, la storia del viaggiatore islamico quando raggiunge la Mecca e racconta, che malgrado la possente presenza del sacro nel luogo santo, Ibn Battutah, non può fare a meno di inspirare – come Hannibal Lecter dalla sua prigione di vetri infrangenti – il profumo che le donne musulmane emanano mentre circumnavigavano, se così si può dire, la Kaaba. Il viandante ama le donne così profondamente che quando vede indiane bellissime gettarsi nella pira dei propri mariti morti sviene. Che spreco, avrà pensato – spiega mio padre – come gettare l’Atteone di Tiziano nel fuoco dopo la morte del maestro. Dopo queste edificanti riflessioni, ho Johnny – Boy che mi ha trasmesso, con la sua voce suadente, un messaggio. Mi è preso un colpo: mio figlio sta arrivando ad Ilfracombe con il nano malefico. Desidera parlarmi del suo libro appena pubblicato – senza che io ne fossi informato – che spera diventi un “best seller digitale”. Johnny – Boy mi legge il titolo del capolavoro: «Perché ho deciso di diventare una donna» poi il sottotitolo, e per poco non stramazzo con un coccolone: «Giacomino, nipote di Erminio Polpotta, seguendo il suo istinto primordiale, diviene Theresita Suck, la principessa della fellatio». Questo figlio snaturato è il mio calvario, e il nano malefico il mio Golgota. Se li avessi davanti li strozzerei entrambi. Un cupo livore mi divora. Fanno precipitare una dinastia gloriosa nello squallore delle “fellatio” di Lussuria.
*****
Erminio medita sul da farsi stretto a letto, come una salsiccia, dai cuccioloni che dormono con lui, uno a sinistra e uno a destra. Bonzo ronfa oscenamente e
Gracco, nel sogno, solfeggia; la ione per la Pomeroy, si è ormai spenta, dormono in stanze separate. Dopo i miracoli mio padre decide che meglio fuggire con Mosul, si alza, prende la vecchia Ford a idrogeno, un gruzzolo di euro – dollari, fa salire Mosul e parte. «Cerchiamo il significato di questo fucking , questo fottuto Uomo Verde» dice «è lì che alberga il segreto di quello che sta accadendo…». I due viaggiano nell’auto ad idrogeno un po’ antiquata di mio padre e ascoltano le notizie da una radio IDEO digitale. Giungono notizie su Quimper. Erminio s’infila il caschetto con occhiali laser all’interno del simulatore di guida, attiva il pilota automatico, accende il sistema computerizzato e vede apparire sul grande schermo del cruscotto il volto efebico di Gesù. Rimane sbalordito la BBC World Digital sta dicendo che Quimper ha sollevato dal nulla un bambino se nello stesso istante che è avvenuta la resurrezione operata da Mosul. Mio padre ordina alla macchina di fermarsi. È terreo. Boccheggia. Mosul sorride. «Ma lei se la prende così alla leggera? Ha capito quello che hanno detto?» «Che vuole che le dica… molto strano…». «Cerchiamo questo fottuto Green Man» ripete come un disco rotto mio padre «lì c’è il significato di quello che sta accadendo…» «Forse…». «Altrimenti le pare che lo spirito algoso le avrebbe donato il simulacro inginocchiandosi?». «Mah…». «Lo ha con lei?». «Si, Erminio, ma si calmi, e che sarà mai: abbiamo resuscitato
contemporaneamente due bambini morti…». «Diogesùiddio… alla faccia… ma si rende conto di quello che dice? Una cosa del genere non avveniva dai tempi di Lazzaro…». «Ma è avvenuta ai tempi di Lazzaro?… Certo, cose arcane accadono…». «Mi tolga una curiosità… sono morbosamente curioso… cosa ha provato mentre sollevava il piccolo dalla morte?». «Un grande svuotamento!». «E che altro?». «Come se lo spirito, anzi la forza vitale che è in me mi abbandonasse…». «E Dio non c’entra niente in tutto questo? Non ha sentito quello che ha dichiarato Quimper?». «Si, lui dice che è stato suo padre… io dico che suo padre non c’entra nulla con i miracoli, se così si possono chiamare…». «E chi c’entra?». «Erminio, si rilassi… non so… l’ho fatto e basta… che vuole che le dica?». «Ma se la prende così?». «E come dovrei prendermela…». È nel viaggio che l’Anticristo esprime molte idee che si concretizzeranno nella famosa intervista alla NBCS di New York con Juanita Pamela Acontour. Dove cercano il “Green Man” Erminio e Mosul Hossein? Seguono un incredibile itinerario attraverso l’Inghilterra. Inseguono assiduamente il significato del Green Man cercando di capirlo in tutti i suoi aspetti. Ovunque l’immagine dell’Uomo Verde si nasconde la rintracciano, la scovano tentano di analizzarla.
Chiedono, si informano, contemplano. Ci ragionano. Visitano in ordine Exeter, Tiverton, Spreyton, Bampton, Sampford Coutnenay nel Devon, Bishop Lyndeard e Halse nel Somerset, Sutton Berge nel Wiltshire, St Mary Redcliffe a Bristol, Tewkesbury Abbey nel Gloucestershire, Knighton Powys nel Galles, Hereford, Kilkpeck, Abbey Dore e Much Marcle nello Herefordshire, Leonminster, Southwell Minster, Eaton under Haywood e Ludlow nello Shropshire, Nantwich nello Cheshire, Southwell Minster nel Nottinghamshire, Appleby in Cumbria, e proseguono nello Yorkshire ove visitano a York il «York Centre», e poi Bolton Abbey, Fountains Abbey e Beverley per concludere la ricerca a Rosslyn Chapel a Rosslyn presso Edimburgo. E a che conclusioni giungono i nostri prodi viandanti riguardo il Green Man? Cos’è e cosa rappresenta? Se uno chiedesse ad un esperto di mitologia pagana, la risposta sarebbe, all’incirca, questa: l’Uomo Verde rappresenta l’unicità dell’uomo e della natura. La loro simbiosi. Il processo di morte e di resurrezione. Un volto dalla cui bocca, dalle cui orecchie fuoriescono foglie, arbusti, viti, è un’immagine archetipo primordiale che si riflette nello specchio del tempo. L’esperto direbbe: il Green Man è presente ovunque, ma particolarmente in Inghilterra, nel Regno Unito, e non è un gorgouille – questo è sicuro – ma è il simbolo di una cosa vetusta, arcana che sfugge alla nostra comprensione e fa capolino nelle grandi epiche narrative. È una rappresentazione pagana della fertilità ma è anche qualcosa che la trascende e che va ben oltre. È un’immagine che si manifesta nelle processioni medievali a fianco dei santi, e che è presente nelle chiese, ove i nostri eroi la cercano per interpretarla. A volte il suo volto diviene foglie, altre volte la sua carne si tramuta in vegetazione, come dopo la decomposizione nostra, come dopo il nostro svanire, come dopo il nostro dissolverci nell’indifferenziato. Il Green Man appare, a volte, come il guardiano della foresta, altre volte come lo spirito arcano della natura. All’inizio del viaggio, e in particolare verso la fine della ricerca, l’Anticristo
rimane stupefatto per due rappresentazioni che incontra. La prima ad Exeter, la seconda nel Minster di Beverley, nello Yorkshire. In quei luoghi vede due diverse rappresentazioni con il volto contratto da un’angoscia profonda. L’Uomo Verde ha il volto rosso ed è coronato da foglie d’oro; ma è la contrazione del viso che sorprende Mosul. Incupito mentre l’osserva chiede ad Erminio: «Ma, secondo lei, perché ha quell’espressione di terribile sofferenza?». Ermino si volge verso un signore nella chiesa che sta guardando nella stessa direzione e domanda: «Why is he so tormented?». L’uomo allampanato con un riporto da favola, risponde: «Perché ha demoni intrappolati nel suo essere per tutta l’eternità». Una risposta che non convince Mosul. «Fucking shit!» mormora ad Erminio. «Cazzate!» «E allora perché è così sofferente?» Chiede mio padre. «Perché tutto è crocifisso e tutto vive e sussiste nell’abisso dello strazio e del nulla». «Già…». «Ma non ha ancora capito, vecchio mio?». «No… spieghi…». «Ha la stessa espressione di quell’essere muscoso che lei chiama tritone». «Ma io non l’ho visto bene… e poi mi ha steso con un pugno…». «Mi creda, ha la stessa espressione di “angst” e di strazio: un’angoscia terribile presente nei lineamenti contratti… qualcosa di metafisico che trasmette ira, impotenza, rabbia repressa…». «Ma non sempre.… a York mostrava la lingua…». «Il dolore è istrionico a volte… ma quella è espressione manifesta
dell’impotenza della natura davanti al distruttore…». È a Beverley Minster che mio padre raggiunge le conclusioni che metterà in evidenza nel “Messia Limitato”. Lo spirito del non – umano, della natura s’inchina davanti a Mosul e gli dona l’immagine fatiscente del Green Man come per dirgli: «Sta a te predicare un nuovo verbo in difesa di ciò che è non umano che trascenda il miserabile pensiero antropocentrico che ha devastato la terra». Quando spiega la sua teoria a Mosul, l’Anticristo lo guarda sorridendo e risponde: «Il problema è che non mi sento il depositario di nuovi verbi…». Mio padre insiste: «Bonzo ha mica scelto di essere un cane… è un cane e basta… non si sceglie si è scelti… ovviamente qualcosa che non conosciamo, ma che dimora nel fondamento delle cose ha rivelato, scegliendola, qualcosa di terribile e grande. Spero se ne renda conto. E lei, ragazzo mio, è il depositario del messaggio, è il recipiente che si è colmato della luce opaca della rivelazione. Ma le pare possibile che avvengano due resurrezioni contemporanee, cioè due fatti strabilianti, senza un significato? E che tipo di resurrezioni! Una per opera del clonato dal sangue del Nazareno, e un’altra eseguita da un ateo… o da un agnostico se preferisce…». «Dica pure ateo… e da questo cosa deduce?». «Che la natura – o le forze che la rappresentano – si muove e si confronta con il pensiero che ha infranto l’armonia terribile del mondo». «Lei dice?» Mosul sorride. «Certo, qualcosa reagisce alla possibilità che il pensiero monoteista risorga a causa del miracolo operato da Quimper… veramente non capisce?». E Mosul sorride nuovamente: «Capisco eccome!». «Spero che capisca veramente: stiamo navigando in una dimensione strabiliante…». «Che cosa chiede questa forza?». «Secondo me le chiede di affrontare il calvario del mondo e reagire al “revival”
cristiano… ». «In che modo?». «Aprendosi al mondo?». «In che modo aprendomi al mondo?». «Dicendo le cose che va ripetendo da sempre…». «Ampliando la mia inane, e profondamente inutile, predicazione…». «Esattamente… ora ha il mondo ai suoi piedi, e se fischia qualsiasi giornalista si precipita da lei con le natiche spalancate: sono tutte mignotte, uomini e donne… lo sa… vero? Ma se l’immagina un’esclusiva con chi ha resuscitato un bambino?». «Dio che orrore… immergersi nel «gutter press digitale». «Gliela organizzo io un’intervista… ma lei rimanga occultato, per l’amore di Dio… corre grandi rischi…». «E con chi la faccio l’intervista?». «Con John Frobisher del New York Times… o se preferisce… Martin Golan, o James Freeney del Times «digitale» di Londra…». «Allora è meglio con la Acontour… quella della «NBCS»…». «Una testa vuota americana… c’è di meglio, amico……». «Non a letto… mi creda…». «Ma, mi scusi, caro, pensa a queste cose in questo momento… via! Mi sorprende…». «Se proprio devo farla l’intervista, la faccio con quella gran troia: uniamo l’utile al dilettevole…». «Come l’utile al dilettevole?».
«Erminio, io, l’Acontour, l’ho sempre smodatamente desiderata, mi eccita da morire… che vuole che le dica… è da anni che la seguo… ma non per quello che dice, dal momento che è troppo di destra, ma per quello che è… come spiegarlo: se dovessi scegliere tra la Betsy Howell e l’Acontour preferirei la cocca della NBCS!». «E cosa le vuol chiedere?». «Le voglio chiedere che in cambio dell’intervista mi conceda anima e chiappe…». «Ma non è osceno tutto questo considerando il momento?… Ha appena resuscitato un morto…». «E allora?». «Ascolti Mosul: quello che è avvenuto non è mai accaduto prima sono due eventi eccezionali ed unici…». «Si figuri… già sostengono che forse i due piccoli non erano morti…». «Mosul, lei ha un potere incredibile per cambiare la testa di milioni d’esseri umani… lo utilizzi…». «Ci sto riflettendo…». «Glielo chiede la natura afflitta dal peso dell’uomo…». «Ma perché il tritone le ha mollato quella sberla in faccia?». «Ah… perché io rappresento la normalità assassina dell’umano… mi ha sussurrato «svanisci»… se lo ricorda? Come per dire: io parlo con la sua purezza non con il tuo torpido sentire… tu levati dalle palle…». «Ma lei è un sant’uomo Erminio e rispetta natura e animali…». «Evidentemente ci vuole bel altro per essere avvicinati dall’Oltre. La conosce la storia del Graal e Lancillotto? Ciò che è sacro ha bisogno di immensa purezza per manifestarsi. Ora, però, è innegabile che qualcosa esiste. Qualcosa c’è – se così si può dire – dietro, oppure oltre le cose… ma com’è difficile definire ciò
che non si manifesta, che non appare…». Mio padre si muove con rapidità ed organizza – come racconta nel “Messia Limitato” – un incontro con la NBCS in Inghilterra, in un luogo poco frequentato dai media digitali. L’Acontour raggiunge Mosul ed Erminio in una città scozzese chiamata Perth con una truppa televisiva che si fa are per un gruppo di professori in vacanza. La giornalista arriva con una parrucca rossa e si apparta con Mosul in una casa situata a Tay Street, sul fiume Tay, non lontana dall’Art Gallery di Charlotte Street. In quella casa Mosul con chiarezza adamantina propone il diabolico patto. Juanita è perplessa e dopo un’iniziale sorpresa risponde: «Ma io sono sposata…». Mosul risponde: «Non mi faccia ridere…». «Mi ci faccia pensare» insiste Juanita, facendo un po’ di teatro. «Le concedo un minuto…». Dopo trenta secondi l’Acontour accetta: é un’occasione storica ed unica. Mosul le dice: «Brava Juanita ha fatto la parte della sposa afflitta! Adoro il teatro…». L’Acontour rimane tre giorni con l’Anticristo, al quarto giorno, fa filmare, mezzo distrutta, la sensazionale intervista che è prima proiettata dalla NBCS e che poi appare, secondo l’accordo, sugli schermi dei media del mondo intero. È il 5 gennaio del 2044. Mentre Juanita intervista Mosul, Quimper parte per l’America accolto da masse oceaniche e predica un nuovo verbo che risulta, per i cattolici lefevriani, profondamente deludente. Il mondo gli apre le braccia e lui si precipita tra le slanciate gambe della Howell
e alberga nell’epocale vulva.
Il Piccolo Inquisitore
Immaginate questa scena: il Sultano, succeduto al trono dei Selgiucidi, viene informato che un’orda di Franchi, una marmaglia lacera e sporca, con delle croci rosse cucite sulle vesti stracce, è approdata nel suo regno. Kilij Arslan ha appena consolidato il potere dei Turchi nei territori conquistati da suo padre Suleyman. L’infida Nicea che sogna di ritornare nel grembo dei Rum, i bizantini, è diventata la capitale del sultanato. Mentre sta cercando di barcamenarsi con il suo potere sorgente, gli giunge notizia che il nano imporporato, Alessio, sta tramando per riconquistare i territori persi. Il Sultano sa che l’esercito d’Alessio Comnemo non è in grado di riconquistare le terre che sono state sottratte all’impero dopo la catastrofe di Mazincerta, e pensa che l’imperatore stia attaccando il sultanato con un esercito di mercenari o che stia muovendo eserciti di qualche sconosciuta potenza. Le spie lo informano di movimenti strani. Tutto è cominciato con il minuscolo regno del traditore Roussel de Bailleul – amico di Guy de Nuitville – e del suo strambo tentativo di tagliare una fetta minuta d’impero per costituirsi un regno. Alessio disperato, ha invocato l’intervento di un sorpreso Suleyman aprendo una terribile scatola di Pandora, e da quello scrigno è emerso, dopo la sconfitta del normanno, il disastro: la perdita dei territori di Bitinia, d’Isauria, d’Anatolia e la caduta di Nicea. Il nuovo Sultano informato non ci si raccapezza, è confuso, pensa che quest’orda strana e malconcia non assomigli per nulla a un possente esercito di mercenari nordici, e non è in grado di capire da chi sia composta. Questa massa d’uomini approdata nel suo regno, si sta spingendo tumultuosamente verso Nicea, che è ben protetta da mura di cinta con 240 torri, e avanza, sotto il sole bruciante d’Agosto, nei territori di Kilij Arslan, il quale comincia, impaurito, a organizzare la sua micidiale cavalleria. Alessio nel frattempo ha offerto ai cristiani Civitot, un campo di sosta, a un giorno di distanza da Nicea. Il Sultano viene informato dalle spie che l’orda è costituita da decine di migliaia di cristiani e che il suo capo risponde al nome di Pietro l’Eremita. Stupefatto la osserva e constata la devastazione del territorio: l’esercito cristiano, seguendo i precetti del mite Gesù, sta massacrando e distruggendo tutto ciò che incontra, avanza e si accampa sotto le mura turrite di Nicea. Ma la prima sortita di Kilij Arslan è tragicamente
perdente: la cavalleria turca è fatta a pezzi dai Franchi. Il Sultano vuole reagire immediatamente ma i nobili gli consigliano di attendere. Una parte dell’orda, sicura della sua forza e della vittoria, lascia Nicea, avanza verso la città di Xerigordon, la conquista e, dopo il saccheggio e il massacro, gozzoviglia ubriaca. L’indisciplina endemica le sarà fatale, infatti, mentre i cristiani bivaccano a Xerigordon, il formidabile esercito turco si muove tagliando la via verso l’acqua. I Franchi, non riuscendo a raggiungere le fonti, impazziscono per la sete e non ce la fanno a resistere; a questo punto Reynald, il capo della spedizione, un tipo alla Roussel de Bailleul, tradisce offrendo la resa in cambio della vita. Non solo codardamente si arrende, ma si offre di are dalla parte dei maomettani, cambiando religione, e di combattere contro i crociati. Reynald pensa: e che sarà mai cambiar fede se si salva la pelle! Alcuni Franchi evitano la morte abiurando ma tutti gli altri vengono massacrati. Ci restano secchi in seimila. Quando la notizia, dopo varie peripezie, raggiunge il campo di Cevitot, l’orda restante decide che sia necessario vendicare i martiri cristiani e comincia ad ondeggiare virulenta e caotica verso Nicea. E cade nella trappola tesa dal Sultano: è colta di sorpresa, sfilacciata e allungata, da nugoli di frecce turche che la decimano. La battaglia si conclude con il massacro di 20.000 Franchi. È il 21 ottobre del 1096. Alcuni giorni dopo, Guy de Nuitville è con Boemondo quando il principe, viene informato del disastro. Kilij Arslan, dopo aver sistemato i cristiani per le feste, si dedica alla sua disperata ione: la riunificazione del sultanato selgiudico infranto e taglieggiato dai nobili turchi dopo la morte di suo padre, e punta a unificare quel nido di nobili vipere massacrando, avvelenando, accecando e persuadendo con la corruzione. Boemondo e i cristiani, intanto, riflettono: i maomettani sono fessi se credono che l’armata cristiana sia costituita da un agglomerato di straccioni; vedranno chi siamo. Ed affilano le lunghe spade. Il Sultano dimezzato è sotto le mura di Malatya – un nome che dice tutto – e sta affrontando le truppe di Danishmend accampate nei pressi della città. Malatya è una preda ghiotta desiderata da entrambi. Se liquida Danishmend, il Sultano, può ricomporre parte del grande mosaico selgiudico e fa pensare a un ipotetico figlio di Alessandro il Grande che tenti di mettere insieme i pezzi dell’impero macedone liquidando Seleuco, Tolomeo, Antioco e Licurgo: un compito arduo. Mentre sta riflettendo su come riprendersi un frammento rubato del sultanato, un messaggero irrompe su un cavallo stremato e gli urla che i Franchi stanno ritornando.
Kilij Arslan pensa: questi immondi infedeli non hanno ancora capito la lezione. Ma non sospende la guerra con Danishmend a causa dell’orda di straccioni, anzi, la continua, fino a quando un secondo messaggero sopraggiunge trafelato informandolo che la massa che avanza non è composta da lerci miscredenti ma da cavalieri coperti di ferro che stanno assediando Nicea, la città ove la Sultana sta partorendo l’erede. A questo punto, impensierito, Kilij Arslan stabilisce una tregua con Danishmend – che pur essendo un nemico è un uomo d’onore e un devoto musulmano – si dirige verso Nicea e trova la città assediata da un esercito poderoso. Il 21 maggio 1097 tenta di infrangere l’accerchiamento cristiano che sta per soffocare la città ma viene sconfitto; abbandona, allora, Nicea al suo destino, invitando i difensori a trattare con Alessio e non con i crociati, e si ritira nella nuova capitale: Konya. Dopo un accordo segreto stipulato con Alessio, Nicea apre segretamente le porte ai bizantini salvando la Sultana e gli abitanti. Ma Kilij Arslan non si rassegna alla sconfitta e stipula un accordo con Danishmend. I Crociati, nel frattempo, decidono di lasciare Nicea, di procedere alla volta di Konya ed Antiochia puntando verso la destinazione finale: Gerusalemme la Santa. Sono gli ultimi giorni di giugno del 1097, il Sultano vede l’esercito crociato in marcia e riprova il solito agguato. Attende l’avamposto dei cristiani e lo attacca con la nota strategia dei turchi selgiucidi. Il luogo ove avviene l’imboscata si chiama Doryaleum. Una prima schiera di arcieri a cavallo scarica frecce sul nemico che avanza, per poi ricaricare gli archi, mentre una seconda schiera di arcieri a cavallo scarica un nuovo nugolo di frecce. Simile ad un oceano tempestoso, onda dopo onda, la cavalleria turca scarica i dardi su bestie ed uomini ferendoli e decimandoli per poi completare l’opera con lo scontro ravvicinato. Questo metodo ha sempre funzionato, ma ora i generali selgiudici, stupefatti, osservano perdite gravi nella propria fanteria e limitatissime nella cavalleria cristiana. I Franchi e i loro destrieri sono coperti di ferro, e la tattica turca risulta, per la prima volta, fallimentare. Il Sultano, allora, chiede ai generali se sia il caso di affrontare i Franchi in un corpo a corpo. I generali esitano. Tentennano. Pensano: quelle sono fortezze umane dotate di forza spaventosa, quelli ci stritolano. E mentre, perplessi, riflettono accarezzandosi la barba, alle loro spalle si solleva una gran nuvola di polvere e i generali, strabiliati, osservano un secondo spezzone dell’esercito crociato che sta sopraggiungendo. I Franchi lenti, tetri, impacciati, come immense statue equestri di ferro, procedono, tenebrosi e terribili, verso la fanteria e la cavalleria selgiudica chiudendo l’esercito turco in una micidiale morsa. A questo punto incomincia una ritirata ridicola e disdicevole alla Fantozzi – scrive mio padre citando un comico del suo tempo famoso per la sua
goffaggine-. Kilij Arslan tremebondo urla che «è meglio indietreggiare prima che quei cani cristiani ci massacrino». Mentre i generali stanno preparando una rapida ma ordinata ritirata, un terzo spezzone dell’esercito crociato si staglia all’orizzonte e Guy de Nuitville è presente tra le schiere di quel ferroso segmento. A questo punto il Sultano perde la calma e, impazzito di paura, sprona il cavallo, seguito dai dignitari e da Danishmend, verso un varco non ancora sigillato dall’accerchiamento crociato. Non c’è che dire: una rotta fantozziana di prim’ordine. Ibn al – Qalanisi scrive che l’esercito turco «viene fatto a pezzi dai Franchi!». Resta poca vita da ciò che è maciullato nella morsa del ferro crociato. I martiri straccioni sono finalmente vendicati. Mentre fugge Kilij Arslan incontra una formazione della cavalleria siriana che sta cercando di raggiungere il campo di battaglia per dar man forte agli islamici e gli urla di darsela a gambe «perché sono invincibili questi cani cristiani». E come un cartone animato disneyano che lascia fuggendo nuvolette di polvere dietro gli zoccoli del cavallo, s’inabissa nel vuoto anatolico. Boemondo e compagni ottengono una grande vittoria, e Guy de Nuitville, inesorabilmente, si avvicina alla città di Edessa, ove i cristiani armeni custodiscono religiosamente il sacro velo di Marta. Prima della battaglia, a Pelecano, Guy de Nuitville, una testa fredda, ha placato un pericoloso alterco quando, Tancredi, il nipote di Boemondo, ha rifiutato il giuramento al nano porporato, Alessio, dicendogli: «se riempi d’oro questa tenda e mi dai quello che hai già dato agli altri Franchi, il giuramento lo faccio, altrimenti… ti attacchi!» Ci narra Anna Comnema che questa nuova insolenza verso l’imperatore ha provocato l’ira di Paleologo che ha allontanato il normanno, spingendolo indignato. A quel punto Tancredi si è gettato sul bizantino ed è Guy – scrive Malaterra – che, miracolosamente, ha evitato un duello frapponendosi tra i due. Lo storico spiega che Boemondo sopraggiunto ha preso da parte il nipote dicendogli qualcosa come: «Ma che testa di legno sei? Secondo te i giuramenti fatti al nano contano qualcosa? Contano quanto una merda secca del tuo cavallo. Giura e non rompere!» E Tancredi ha giurato, l’esercito è partito verso Doryaleum e ha vendicato i martiri straccioni.
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Stamani è giunto Giacomino con il nano immondo, sono arrivati alle sei della mattina. Sono riuscito ad occultare Marlene, la bambola robotica, dopo essermi dolorosamente estratto dalle aggrovigliate lenzuola. Giacomino – Theresita si è manifestato con un tailleur spaziale «Giacometti» e il nano Zaccheo – così lo chiamo io – con un completo da gangster del 1920 e un grottesco cappello nero a falde. Un’apparizione infernale: un ciccione transessuale dal cranio calvo coperto da riccioli biondi malamente trapiantati e un nano malefico platinato. «Papà eccoci qui…». «Diocristo… vi vedo…». «Sei contento di vedermi Willy?» Ha chiesto sarcasticamente Zaccheo. «Come una manifestazione della peste bubbonica…» ho risposto. Hanno preso possesso della casa, e il mio amato Giacomino ha cominciato a descrivermi il suo libro. Gunther nel frattempo è uscito: «Mi faccio una eggiata in questo buco di culo immondo…» ha mormorato uscendo. Io sono uno di quegli uomini che ha rapporti vaghi con il figlio. Anzi, se devo proprio dirlo di questa belva lussuriosa e depravata non me ne frega proprio niente. Sono un uomo all’antica e la froceria mi fa un certo effetto. E in un senso mi vergogno della mia chiusura mentale. Meno vedo Theresita Suck e meglio sto perché vederlo – o vederla, secondo i gusti – acumina il pugnale dello strazio e della vergogna che è conficcato tra le mie costole. «Insomma hai scritto un libro ed hai infangato la memoria di tuo nonno…». «Infangato papà?… Dai… tu vivi in un mondo tutto tuo… ormai siamo tutti androgini…». «Ma perché mi porti a casa quell’obbrobrio?… Lo sai che mi sento male solo a guardarlo…».
«Papà… quello è il mio uomo, è colui che ha risvegliato in me la mia dormiente sessualità… io sono una donna completa per lui… e sono la sua fedelissima amante!». «Ma tu sei un uomo… deficiente…» «Io sono più donna della tua zoccola modenese Tiziana!». «Ma come più donna?». «Non ho più il pene papà… sono una donna completa e follemente innamorata…». «Ma che orrore…». «Papà la bellezza è interiore…». «Ed esteriore… ma come puoi fare la mignotta… anzi il mignotto a Lussuria?». «Io dono immenso piacere agli uomini… è la mia vocazione… e la mia grandezza…» «Ma che cazzo di schifo… sei un esperto di pompini…». «Ma come schifo, papà?». «Si… schifo da vomitare…». «Ma è il 2048… non è più il 2010… ora il mondo è cambiato, l’eterosessualità non esiste più… è noiosa e inutile…». «Esiste eccome!». «Tu sei come un siciliano del 1950… papà…». «Diocristo… non è possibile… ho generato un grassone mutante innamorato di un sorcio…». «Ma che fai papà… scrivi ancora le tue scemenze sull’Anticristo e nonno Erminio?».
«Le chiami scemenze, deficiente? Un fatto epocale…». «Uhhhhhh… ma che palle co’ sto ragazzetto arabo… e che avrà mai fatto? Un paio di miracoli… però non era neanche male fisicamente…». «Anche lui era strettamente eterosessuale…». «Però… se dovessi scegliere io mi farei Quimper… grazioso… elegante…». «Dov’è finito quell’obbrobrio nazista?». «eggia, lui ama eggiare…». «Cerca altri froci da mettere sul mercato… ma tu sei ancora più grasso dell’ultima volta…». «Sono i dolci e il piacere… e poi lui mi ama così… ben messa…». «Ben messo? Ma fai schifo! Io ci ripenso sempre come i cornuti… quell’abominazione non solo è un deforme pappone… è anche un neonazista… è come una divinità composita, con tutti gli attributi del grottesco e dell’abominevole, irradia orrore da ogni suo poro…». «Neonazista? Dice molte cose assai giuste papà…». «Ma come si fa ad essere nazisti e a platinarsi quei quattro ciuffi nel 2048? Himmler, il tuo nano, se lo sarebbe fritto ad Auschwitz!» «Non è vero! È molto ammirato dai neonazisti… lo adorano… lo sai… siamo stati a porgere fiori alla statua del Duce a Piazzale Loreto a Milano e mi sono tanto commossa… la destra trionfa in Italia…». «E tu che ne sai di Mussolini? Sei più ignorante di una zucca!». «Mi piaceva il suo piglio… il suo essere maschio!». «Ma come il suo piglio?… Se guardi le foto dell’epoca, mentre marcia a o d’oca con i gerarchi ti chiedi: ma come ha fatto un popolo a seguire uno stronzo del genere? È che siamo una nazione di degenerati! Ho qui una foto… eccola! Guarda: è semplicemente grottesco che un popolo lo abbia amato…».
«Fai vedere… ma si… sono tipi interessanti… chissà quanti clienti avrei avuto tra loro…». «Ma guardalo! Marcia spedito verso l’immensa catastrofe dell’Africa, della Jugoslavia,della Grecia, della Russia, e lo seguono grotteschi gerarchi; uno assomiglia al tuo nano Zaccheo, ha un cappotto che arriva per terra, sembra Fester quello della famiglia Adams… si chiama così?». «Si… l’hanno rifatta in tv la famiglia Adams… si… si chiama Fester!» «Guarda che banda di deficienti… guarda quel fesso sorridente, e quello con quel pennacchio che gli cade sulla fronte… e quello che sembra un salumiere della Magliana… e questi volevano ricostituire l’impero con un popolo di mandolinari e spaghettari…». «Ma è grandezza… io ho pianto quando ho visto la statua… va beh… cambiamo argomento tanto tu non capisci niente… senti papà hai trovato altri documenti del nonno?». «Un pacco di roba che vale miliardi…». «Oh Signoregesù… e che ci hai fatto?». «Li ho occultati in soffitta…». «Dove esattamente?». «Su in soffitta… ma non dirlo a Zaccheo che li ruba…». «Nooooo… è tanto rispettoso del ato… e poi scusa se dobbiamo sentire sempre sta storia dell’anticristo tanto vale farci sopra qualche bel soldino… ma tu non sai amministrare…». «Mentre il nano è un fenomeno…». «Esattamente!». «Traffica ancora in carne?». «Certamente… e non cominciare… l’uomo è cacciatore… e voi vegetariani siete
dei fessi!». Dopo che Theresita Suck si è ritirata trascinandosi dietro i suoi cento chili di cellulite è sopraggiunta l’abominazione delle abominazioni. «Spero che resterete non più di un paio di giorni…». «Contaci…». «Ecco… ma che sei venuto a fare?». «Ti vogliamo fare una proposta…». «Su cosa?». «Sui documenti…». «Guarda che ne ho trovati altri…». «Ahhhhh…». «E col cazzo che ve li do…». «E che ci fai?». «Li brucio… detesto i papponi…». «Io ho cambiato la vita di tua figlia…». «Si… mettendolo sul mercato…».
*****
Dopo l’annuncio clamoroso della clonazione della piccola Eva da parte di Madame Brigitte Boisselier, la papessa della setta dei realiani fondata da Claude Vorilhon – il giornalista se con il codino alla Baggio, che era stato visitato dagli Elohin, cioè dagli extraterrestri-, il mondo inizialmente inorridito, reagisce
secondo la logica della volontà di potenza dominante sul pianeta con una proliferazione incontenibile e smodata di cloni sempre più riusciti. Risuscitano tutti gli scienziati: figli morti, amanti troie, mogli amatissime, mariti mazziati e cornuti, figlie degeneri, pargoli adorati, troie tettute, transessuali da sballo, perversi e pedofili. Risuscitano tutto di tutto. La chiesa devastata dallo scisma, causato dall’apertura di Celestino VI al mondo dei diversi e al sacerdozio delle donne si chiude inizialmente in sé stessa, per poi spaccarsi e susseguentemente spalancarsi, attraverso il segmento lefevriano, al mondo della clonazione. Un atto disperato, illogico, ma vincente che porterà a risultati clamorosi. La resurrezione bretone produce un’esplosione mediatica impressionante e un ritorno spaventoso di fedeli. Davanti a bambini resuscitati non si scherza: anche il ferreo e trionfante mondo laico rimane sbalordito e vacilla. Dopo le resurrezioni simultanee, il mondo si è diviso in due parti: la prima ha sposato la tesi di Quimper che la resurrezione viene da Dio; la seconda quella di Mosul che i miracoli originano dal mistero dell’incomprensibile, e sono causati dal rimuginare del territorio nebbioso dell’imperscrutabile. Mio padre presenta ai media, con grande cautela, la spiegazione di Mosul, che resta occultato nel Devon, mentre Gesù, come il nuovo Cristo del Secondo Avvento piovuto dai cieli, se la sa in America, accolto da folle oceaniche, pontificando senza ritegno in molte città americane. Mosul, attraverso mio padre, centellina le risposte alla “gutter - press” e non ci vuole molto per i fanatici integralisti, i neo - focolarini cattolici e i devoti dell’ultimo grande santo, Padre Gaetanino Biscassi da Cerniola, per partorire l’insana idea che Amin Hossein Mosul sia l’Anticristo, il gemello negativo del Cristo di Quimper. Dopo l’intervista con la Acontour; Mosul diventa “de facto” l’apostata dell’Islam per antonomasia, e si becca una bella Fatwa che germoglia, gravida di sangue, dal cuore oscuro del Sudan. Mentre Mosul, per nulla allarmato, continua la sua ridotta, ma devastante predicazione, Quimper continua a predicare – come spiega Erminio – senza alcun ritegno, avendo assimilato in pieno la lezione del Grande Inquisitore di Dostoevskij e sembra dire: stavolta non sto zitto in un angolo a sorridere come
un idiota e a farmi massacrare di botte mentre un eunuco in gonnella mi dice: «Ma che cazzo sei tornato a fare? Stavamo così bene senza di te e ora arrivi tu con la tua inane predicazione, e spegni i nostri roghi, sospendi i nostri «auto da fè», scombussoli i pezzi, saggiamente disposti sulla scacchiera del mondo, della nostra struttura ideologica - teologica che riesce, a malapena, a contenere l’orrore». A Denver si getta ai piedi di Gesù, come una nuova Maddalena, Betsy Howell, che Quimper misericordiosamente perdona e segue, con intenzioni poco encomiabili nella nuova mecca del cinema americano: Baton Rouge.. A questo punto il cardinal Bellestrini, mortalmente preoccupato, lo va a cercare in America. «Gesù si sta perdendo» gli sussurrano le pie donne che hanno allevato il Messia clonato. E il cardinale parte. Insegue il Cristo clonato per tutti gli States e lo trova a Baton Rouge accanto a una discinta Howell, fasciata soltanto da un minuscolo perizoma dorato. Il cardinal Bellestrini entra timidamente nella casa, accolto da un maggiordomo cinese scheletrico che lo introduce in una grande stanza – con un quadro di Baselitz con figura capovolta – e trova un sosia di Cliff Richard, proiettato dal laser del Sony multimediale dell’Home Theater, che sta cantando e ballando. «Guardi che meraviglia…» urla Quimper e comincia a danzare anche lui davanti all’esterrefatto cardinale al ritmo del vetusto «rock n’roll». A Gesù è presa una ione smodata per il vecchio Rock interpretato secondo criteri contemporanei. Una ione che la Howell non condivide. La Betsy preferisce John Frigoria e Mark Shout. Gesù balla che è una meraviglia mentre Cliff sta cantando «C’mon Pretty Baby!» «Si sieda Bellestrini…» dice Gesù, trafelato, mentre la Howell pudicamente si copre il seno. «E che seno» pensa, tra le muscose pareti del suo cranio, il cardinale «ci sarei cascato pure io». Duro trascendere la carne. «Sta guardando la Betsy Eminenza?». «Ehhh… difficile non farlo…».
Cliff imperversa mentre il sosia danza:
C’mon pretty baby let’s move it and grove it well shake baby honey, please, don’t loose it…
«Eminenza ascolti: Himmler arriva in un campo ove stanno massacrando gli ebrei in una fossa. Le SS gli stanno sparando in testa. Improvvisamente gli arriva un pezzo di cervello in faccia, e lui terreo per poco non sviene, lo trattengono mentre vacilla… dal Graal al macello per il Grande Reich…». «E perché mi dici questo, figliolo?». «Così… tanto per dire… Nel lager di Kolima, in Siberia, Eminenza, quando qualcuno tirava le cuoia mettevano il suo cadavere incastonato nella parete per ridurre il gelo. Pensavano che il freddo intenso fosse ridotto dalla presenza dei corpi… foderavano la parete con i cadaveri come una calda carta da parati…». «E quest’altra cosa per quale ragione me la dici?». «Così… la madre di Saddam Hussein… si ricorda chi era Saddam?». «Certo…». «Fu convinta a non uccidersi, mentre aveva il suo mostro in grembo, da una misericordiosa famiglia di ebrei iracheni… ah ah ah…». «Altra perla…». «Già». Cliff Richard, con capelli bisunti alla “Elvis” oscilla ed ondeggia:
The rythm that gets you in your heart and soul let me tell ya baby it’s called Rock’n Roll…
A questo punto, Quimper, preme il bottone e fa retrocedere la Pop Star iglese nel nulla; come le cose che quando muoiono si eclissano nella tenebra, Cliff indietreggia verso l’oscuro mormorando: move it… grove it… Gesù pressa il bottone numero sei del commando e appare una fanciulla con una gonna ampia a scacchi, una grande sottoveste merlata, un golfino allacciato solo al primo bottone, uno scialle minuto di seta legato intorno al collo con il nodo a sinistra, calzini corti e candidi, scarpe marroni e bianche con tacco basso, una costruzione favolosa di capelli scuri a nido di ape, e comincia a cantare un lamento ritmato su corna e tracce di rossetto trovate su una camicia.
Lipstick on your collar told a tale on you lipstick on your collar said you were untrue bet your bottom dollar you and I are through cos lipstick on your collar told a tale on you boyyyyy…
told a tale on you yeaaaaaa……
Gesù, mentre ondeggia, dice: «Eminenza gli uomini sono così… ma voi non avete capito nulla della vita… nulla di nulla…». «Spero che non giustificherai il comportamento di Celestino VI?». «Ma no… quello è un altro deficiente… ma quelle gonne da eunuchi ve le dovete sfilare, fanno ridere… e poi finitela con la proliferazione delle nascite… ce ne sono troppi di umanoidi in giro…». «Ma questo lo ha ingiunto il Signore…». «Noooo… sono stati quei quattro ignoranti evangelisti che hanno riportato cose non vere… e poi l’unica forma di estasi che rimane a questi umanoidi mutanti e degeneri è il piacere di una donna…». «O di un uomo…». «Anche… affar loro… io so che con la Betsy provo sensazioni da sballo! Ma la guardi Eminenza… non è uno schianto?». «Si… graziosa… ma tu figliolo sei venuto sulla terra per un altro scopo… e ti stai perdendo nel mondo…». «Perdendo… ma la guardi… lei non si perderebbe?». «Beh… no… beh… ecco… considera che mentre il tuo gemello si è manifestato predicando una dottrina degenere che pone le bestie e gli alberi allo stesso livello dell’uomo e della sua anima immortale, tu ti perdi nel mondo…». «Sull’anima immortale lascerei perdere…». «Ma come, figliolo, metti in dubbio l’immortalità dell’anima?». «Ehhh…».
«E allora cosa hai tratto dalla morte? Cos’è che hai fatto emergere dalle tenebre della desolazione quando hai risorto il piccolo Jean?». «La sua forza vitale!». «Oh Signore mi sento male…». «Lo capisco… la struttura teologica – tenebrosa traballa…». «Stai dicendo che non c’è vita eterna dopo la morte?». «Sto dicendo che non lo so con sicurezza… Eminenza». «E allora Dio?». «E che c’entra Dio con l’immortalità dell’anima?». «Ma come che c’entra Dio con l’immortalità dell’anima?». «Dio può creare dimensioni, universi, il mondo e le cose senza rendere gli uomini immortali…». «Ma non è possibile…». «E perché? È hybris la sua…». «Ma i santi padri e i Vangeli…». «Eminenza lasci perdere i Vangeli e i santi padri… e per l’amore di Dio non accenni neanche lontanamente ad Agostino e a Tommaso d’Aquino… offendono l’intelligenza!». «Ma si sono sbagliati tutti?». «Ehhh… il sogno di un telos che spinge le cose… ma mi dica lei..». «E allora è stato un errore farti clonare e tornare…». «Eh… ma qui siamo a Baton Rouge… non a Siviglia…». «Ma spiegami meglio figliolo… tu dici che quando Jean è tornato tra i vivi la
sua anima, prima di risvegliarsi, non stava soggiornando nel grembo di Abramo o in qualche luogo ultraterreno?». «Credo di no…». «Ma cosa hai provato nel momento della resurrezione?». «Un grande vuoto che si è colmato con la Sua luce…». «E questa luce non ti ha detto che oltre la soglia della vita…». «C’è la vita eterna? Nooo…». «E che c’è allora?» «Non so… è tutto qui… forse niente…». Gesù sta cercando di toccare i capelli virtuali della sosia di Connie Francis. «Eminenza, quanto vorrei infilare le mani in quel nido di api». «Sono sconvolto…». «Che meraviglia questa canzone…». «Ma tu, questi tuoi dubbi sull’immortalità dell’anima non dirli in giro…». «Continuiamo con la menzogna?». «Ma caro anche l’Anticristo nega l’immortalità dell’anima, e pone gli altri esseri senzienti al livello dell’uomo…». «Eminenza, Mosul non dice questo… ma perché dovete sempre ed eternamente costruire teoremi teologici – ideologici che ricordano inquisizioni e stalinismi religiosi e degeneri?». «Ma certo… il musulmano dice questo…». «Ascolti Eminenza: io per gli animali non provo nulla… lo vede il gatto della Betsy, quel bestione bianco? Ebbene per me quello è un animaletto insignificante, però se qualcuno lo rispetta non mi dà alcun fastidio… andiamo
male, Eminenza, bisogna ricostruire tutto… la struttura del vostro sistema teologico è tragicamente fatiscente…». «Ma tu con questa nuova predicazione ci metti in gran difficoltà… remi contro…». «Ma che importanza ha quello a cui credevate? Importa quello che io, ora, sento… e tutto va cambiato incluso il vostro ridicolo aspetto… e poi perché un uomo o una donna non possono rivolgersi a Dio dopo aver fatto l’amore che è una cosa così bella?». «Ma i padri antichi…». «Sbagliavano Eminenza…». «E l’Anticristo… lui continua a dire che il miracolo non è avvenuto attraverso Dio…». «E io invece confermo che è stato mio Padre a volerlo…». «Bene… però devi seguire gli insegnamenti della Chiesa…». «Eh no! Gli insegnamenti travisati della Chiesa non li seguo… è la Chiesa che deve seguire i miei insegnamenti!». «E allora tutto è inutile…». Connie sta spiegando che le tracce di rossetto trovate sulla camicia del suo ganzo sono quelle di Mary Jane , perché sono rosse mentre lei usa un rossetto rosa - baby.
You said you belonged to me made me stop and think than I noticed yours was red mine was baby pink
who walked in but Mary Jane lipstick all a mess were you smoocin my best friend is the answer yes…
«Le piace questa canzone di Connie Francis?». «Preferisco la musica di Tomas Luis de Victoria o Palestrina…». «Mmmmm noiosi… ehhh le corna Eminenza… che importanza stupida danno gli uomini e le donne ai tradimenti, la fedeltà è contro natura…». «Sant’Iddio!». «Il Rock ha una forza devastante…». «Tu dici…». «Ha un senso metafisico nascosto dietro testi banali, quasi idioti. Sa cosa diceva John Lennon?» «No..». «Che prima di Elvis c’era il nulla!». «Musicalmente, spero…». «Ovviamente…».
When you left me all alone at the record shoooop told me you were going out
for a soda poooop…
«Figliolo noi abbiamo ora una situazione ove il tuo miracolo è avvenuto parallelamente a quello di un miscredente ateo… il mondo è confuso, non ci si capisce più niente…» «E allora?». «Allora è chiaro: le forze del male si manifestano per contrastare le forze del bene e confondere… e poi lo sapevi quello che dice Padre Gaetanino da Cerniola…». «Non ricordo… e poi i santi non mi sono simpatici…». «Dice che l’Anticristo mostrerà uno smodato amore per gli animali e per il non umano, e cercherà di sfamare i poveri…». «Lo dice anche Vladimir Soloviev, nel «Il racconto dell’Anticristo». «Ecco… anche lui…». «E se non fosse l’Anticristo?». «E chi altro può essere, figliolo?». «Ma lei, Eminenza, ha informazioni precise dall’Oltre?». «I Vangeli e i Sacri Testi…». «Deboli informazioni… messaggi tenui…». «E che cosa ti dice il cuore a riguardo?». «Che sono stati artificiosamente costruiti». «Ma questo è inaudito… ma almeno credi in Dio, figliolo?». «Certo… e profondamente ma non nel suo Dio, Eminenza…».
«E in quale?». «Nel mio». «Ognuno si costruisce il suo Dio?». «Io, se mi permette, io sono un po’ particolare… risuscito i morti!». «Anche il nemico risuscita i morti…» «Già… ma non sappiamo da chi è ispirato…». «Da Satana…». «Mi permetta Eminenza: Dio e Satana sono concetti troppo vaghi, e anche troppo terribili, per essere abbandonati tra le mani tremanti di vecchi eunuchi…». E Quimper cerca di afferrare la sosia di Connie che sta spiegando che il tradimento è avvenuto in mezz’ora:
you were gone for a while half a hour or more you come back and, man o mannnnn, this is what I saw…
«Eminenza peccato che questa cocca sia virtuale… sta dicendo che Mary Jane si è pappato il suo ganzo in mezz’ora…». «Sii serio figliolo…». «Lo sa che se fossi venuto al tempo del Grande Inquisitore a Siviglia mi avrebbero bruciato.
Un hamburger avrebbero fatto del mio povero corpo… ora no… il tempo è cambiato non è più possibile, e lei Bellestrini, ora, è un Grande Inquisitore dimezzato…». «Un piccolo inquisitore!». «Un minuscolo inquisitore impotente davanti alla forza di Dio… ora le cose sono differenti e io posso dire quello che penso…». «E che pensi, figliolo?» «Che avete sbagliato tutto…». «Ascolta caro… dopodomani Mosul sarà intervistato dalla Acontour e molto dipende da quello che dirà…». «Ma può dire quello che vuole… che cambia?». «Ma il mondo si è diviso figliolo… non capisci? Lui afferma che la potenza del miracolo non gli è stata concessa da Dio…». «Lui non rappresenta quello che il Grande Inquisitore di Dostoevskij chiama lo Spirito dell’Autodistruzione… lui dice solo non so… ma io so… io provengo dal Padre e sono tornato per ampliare il verbo che soffriva di asfissia… che soffocava…». «Ma così facendo ci poni in terribili difficoltà…». «Voi dovete are attraverso il fuoco dello sconvolgimento…». «Ma caro, tua madre è morta dal dolore…». «Mi dispiace… ma lasci che i morti seppelliscano i morti…». Connie Francis sta concludendo la triste storia di corna:
Lipstick on your collar told a tale on you
lipstick on your collar said you were untrue bet your bottom dollar you and I are through cose lipstick on your collar told a tale on you boyyyy… told a tale on you yeaaaa
Betsy, discinta, sta sopraggiungendo furiosa: «Can you make that fucking whore disappear?». «Ehhh… brutta cosa la gelosia Eminenza…» sospira Gesù… «come vi è venuta in mente l’idea malsana di legare due cocchi in eterno? È roba allucinante…».
*****
Stavo leggendo il Diario Segreto, quando ho sentito uno strano colpo sul tetto piatto della casa. Mi sono affacciato dalla finestra e ho visto un uomo in tuta rosso fiamma che era atterrato dal cielo su un Solotrek U/9; stava calando un pacco verso la porta d’ingresso. Il postino Jack Reilly, della Royal Mail, mi stava consegnando un plico, spedito da Betsy Charlotte, che conteneva una tela e la riproduzione di un quadro. Madame Pomeroy m’informava che non desiderava più vedere nella sua casa i tenebrosi dipinti di mio padre che gli ricordavano l’amore tradito e l’umiliazione subita dal vampiro Sherry. Nel pacco c’erano una tela del pittore modenese Arrigo Artinelli, di un metro per un metro, e una
riproduzione, di 60 centimetri per 50 in una cornice d’oro, della «Visione di San Giovanni» di El Greco. Mio padre riteneva questa rappresentazione, l’immagine che aveva schiuso la porta bronzea dell’edificio dell’arte classica lasciando filtrare la modernità. Il quadro di Artinelli, che era l’interpretazione di un disegno medioevale, era intitolato «La Scoperta del Nulla». Nel dipinto ad olio si vedeva un viandante che si affacciava – sbucando dalla volta celeste – in una zona caliginosa di cupa intensità. Ma mentre nel disegno medioevale, il viandante era un mistico che si sporgeva verso il mondo iperfisico, rappresentato dalle «ruote nelle ruote» di Ezechiele, nella versione del modenese, il pellegrino, si protendeva verso il Nulla, raffigurato come una notte senza stelle, come un’oscurità uniforme simile ad una tenebra monolitica e compatta. Per scoprire l’essenza arcana delle cose, il viandante, si era affacciato nel Nulla, ma parte del suo corpo era rimasto nel mondo sensibile, ove procedeva la quotidianità seguendo il suo ritmo calibrato tra colori smaglianti ignara della tragica scoperta della coscienza ferita. Nel quadro, su uno sfondo idilliaco e autunnale di boschi, campi e chiesette, si vedeva il seminatore biblico che gettava la semenza che Satana, mattacchione e garbato, sorridendo raccoglieva. Nella parte alta del quadro una dea vestita come una fanciulla vittoriana saettava nel cielo; nella volta celeste intermedia un dio obeso e ridente si dondolava a cavallo di una nuvola; nella parte bassa del firmamento una divinità era sospesa in piedi su una nube. Era una dea bambina con un vestitino infiorato e un bavaglino, con scritto il nome Claire. Il giovane nume teneva in braccio una bambola abbigliata esattamente come lei. Ma osservando con attenzione il volto della dea bambina si notava che il nume era un signore cinquantenne con un’accentuata ombra meridiana di barba. E questo particolare stupiva, sbalordiva, lasciando l’osservatore allarmato e perplesso. Sembrava che Artinelli volesse dire: attenzione, il divino è incomprensibile, burlone, inconcepibile, imprevedibile e – secondo la nostra logica degenerata – semplicemente pazzo. La verità è che il divino è folle come noi. Mio padre mi aveva raccontato che il modenese aveva interpretato la «Visione di
Giovanni» in chiave astratta come Picasso aveva rappresentato in chiave cubista «Las Meninas». Eugenio, dopo aver visto il quadro di Artinelli, incuriosito, aveva cercato l’originale di El Greco, lo aveva trovato, e sbalordito e si era chiesto: «Ma come è stato possibile per gli spagnoli del tempo accettare i quadri di Domenico Theotocopoulos? Come è stato possibile, nel tempo di Caravaggio – che muore quattro anni prima di El Greco – comprendere e assimilare quello stile rivoluzionario? Come è stato possibile che nel tempo di Murillo, Velasquez, Zurbaràn – che lo seguirono – Domenico Theotocopoulos fosse stato compreso e ammirato? Come è stato possibile – dopo i grandi maestri – apprezzare quella tecnica che tendeva genialmente verso l’espressionismo?» Mio padre s’innamora del quadro e lo descrive con accuratezza nel Diario Segreto. Sono andato a cercare quello che Gombrich e Faidoni – i grandi critici della storia dell’arte – hanno detto riguardo El Greco. Faidoni – che scrive nel 2024 – appare sgomento: un pittore che annuncia la modernità è accettato dagli spagnoli agli albori del 1600, per essere più tardi gettato nella pattumiera della storia dell’arte ed essere nuovamente riesumato dopo aver ispirato – in un senso – il nuovo che comincia con gli impressionisti e la loro maniera di «vedere» le cose che rivoluziona l’arte e l’estetica dell’epoca. Vasari valutava Tintoretto come i critici d’arte della fine dell’800 consideravano Van Gogh: un eccentrico folle; e affermava che se il Robusti avesse seguito gli schemi classici avrebbe raggiunto un livello di perfezione fino a sfiorare le soglie della grandezza. Un eccentrico – scrive l’aretino – con un tocco grossolano, che non ha nulla a che fare con i grandi maestri. Ma a Robusti non interessava rappresentare le cose «esattamene come appaiono»: lui seguiva un altro sentiero; e così El Greco, che dopo aver studiato lo stesso Tintoretto a Venezia, si avviò per il suo peculiare itinerario.
Nella visione di Giovanni, dei santi nudi sono immersi in un florilegio di pieghe, di mantelli grigi, violacei, verdastri e gialli. Sante bislunghe e longilinei martiri, con peni minuti, appaiono raccolti sotto un cielo tempestoso che comunica un’indicibile “angst”. Il quinto sigillo apocalittico è stato appena dischiuso e i santi e i martiri chiedono a Dio: «Quando ci vendicherai Signore? Quando farai friggere nell’inferno quei figli di puttana che ci hanno violentati, sodomizzati, maciullati, decapitati, crocefissi, segati vivi, bolliti, abbrustoliti su graticole e fritti nell’olio bollente?». Ho appeso i due quadri nella mia stanza da letto.
Bortolo a Pyonyang
È il 3 di Dicembre del 2044. Dopo l’incontro tra Gesù e Bellestrini, prima di raggiungere a Perth l’Acontour, Mosul e mio padre eggiano lungo il Thaw e giungono alla confluenza dei due fiumi, lungo la spiaggia, nella Baia di Barnstable dove il Taw si unisce al Torridge. Mosul ama contemplare i giochi di luce su Appledore e eggiare in silenzio da Crow Point fino a Saunton. Bonzo e Gracco sono fuori di testa dalla felicità. L’Anticristo contempla la luce che piove dall’apertura di nuvole grigiastre, raggi luminosi discendono verso la spiaggia della baia e piovono come un’illuminazione prodotta da angeli. La marea bassissima permette quasi di attraversare l’estuario per raggiungere Appledore. Giungono a Horsey Ridge e procedono verso Crow Point. Proseguono lungo The Neck verso Saunton seguendo la riva. Entrambi sono mascherati per non farsi riconoscere. «Che meraviglia la luce, Erminio, ti ripaga di questa pioggia continua». «Un posto sacro questo… a Horsey Ridge il silenzio è così intenso che ferisce…». «Quello delle ore meridiane è un silenzio particolare…». «Mosul, ho fatto un sogno stranissimo ieri notte, ho visto l’oceano trasformarsi in un fiume. Era come un gran fiume eracliteo ove tutte le cose galleggiavano trascinate dalla corrente. Culle vuote, oggetti, bottiglie sventrate, tutti i simboli dell’umano venivano spinti verso oriente dal fiume Oceano. Più tardi, ho sognato di giocare al calcio e non riuscivo a colpire la palla nella maniera giusta; è una frustrazione tremenda se sai che puoi segnare ed invece la palla non ti raggiunge o la colpisci male. Se ne intende di calcio, caro?». «No… però so quello che significa il sogno… è un sogno strano…». «Mi dica, Mosul, cosa pensa di Quimper e della sua fissazione con il Rock?».
«Ho letto da dove origina… molto strana…». «Da dove origina? Sono curioso…». «Un giorno Quimper riceve nella casa di Betsy Howell un gruppo di amici cineasti. C’è Campbell quello della «The House of Jane», Watsey Brown quello del «Concilio di Trento», più i soliti attori ignoranti… Cartwell and Graham ed è anche presente l’attrice con i capelli rossi… quella che piace tanto a lei… come si chiama?». «Sue Carter!». «Ecco… allora Campbell comincia a dire che Lynch è stato un grande regista, afferma qualcosa come: Lynch, trae il suo fascino da un «perturbare», da un toccare corde nascoste, in ognuno di noi, che creano sensi di angoscia e spaesamento in modo profondamente originale. Avete visto Eraserhead? E Industrial Simphony, o Strade perdute, e Twin Peaks lo avete visto? E Mullholand Drive è un assoluto capolavoro… roba da sei stelle! Ma cosa dici? risponde Watsey Brown, Mullholand Drive l’ha creato confondendo gli spartiti. Lynch mischiava le carte e girava. Come far dipingere quadri astratti dai macachi. Il film è un casino immondo! E ne viene fuori una buriana terribile…». «Si ho letto: cazzotti a non finire…». «Quimper a quel punto dice: voglio vedere questo cavolo di film! E rimane fulminato dalle scene della musica rock che risale agli anni 60’… si ricorda?». «Si… certo…». «E da quel momento cerca la musica del periodo e rimane impressionato dai nuovi arrangiamenti che utilizzando la voce originale trasformano il sonoro… lei sa che ora, con gli strumenti che esistono si possono toccare i sosia che cantano… lo sa no? Insomma Quimper si innamora del Rock e in maniera
particolare di Connie Francis…». «Ma lei lo capisce questo Gesù virtuale?». «No… a me sembrava un poveraccio caduto in un gioco terribile e più grande di lui… però l’altra sera mi sono ricreduto, ha detto cose molto giuste…». «Lo sa che anche mio padre detestava Lynch? Diceva le stesse cose di Watsey Brown e Gervasi s’incazzava da morire e lo chiamava uno squallido commissario del popolo di zdanoviana memoria...…». «E mica sbagliava… ma perché lei chiama Gervasi il «Cantore del catenaccio»?». «Perché lui apparteneva ai pensatori della pedata che esaltavano un certo tipo di calcio che si giocava in Italia tanti anni fa». «E che dicevano?». «C’era una scuola di pensiero che, per anni, ha esaltato il nostro gioco efficace ma codardo, un gioco misero, un difensivismo degenere… ma lei non può ricordare… ne è ato di tempo… si poteva mai immaginare che la Juventus finisse in B? Eppure nel 2039 è successo…». «Già… ho letto… un evento epocale… ma continui la prego…». «Ecco… Gervasi apparteneva alla genia dei «pennaroli» che avevano esaltato per anni un giornalista chiamato Brera: una pietra miliare di quel gioco rachitico ma efficace…». «E che diceva Gervasi?». «Gervasi aveva ideato il doppio catenaccio… cioè il doppio libero… sa cosa vuol dire?». «Si… vagamente… allora giocavano tutti indietro… sbaglio?». «Esattamente… ma con i giornalisti sportivi non si ragiona… sono stati il disastro della nazione… il calcio ci ha sconvolto il cervello attraverso la loro squallida interpretazione del gioco…».
«Beh… non solo il calcio…». «Vede, io pensavo, a quel tempo, che Gervasi e Zaino fossero gli uomini in grado di far fare un salto di qualità al nostro «animalismo degenere»… ma lui si perdeva dietro al calcio…». «Arriviamo al punto… che successe con Bortolo?». «Mosul… non se lo può neanche immaginare…». «Cosa fece?». «Andò a Pyongyang, in Corea per fare lo scudo umano…». «Ah ah ah ah… diosantogesù… ma che forza!!!!!». «Lei ride? Non le dico la vergogna…». «Grandioso… racconti…». Mio padre arriva a Pyonyang il 5 dicembre del 2003. Si presenta e corre subito ad incontrare il disertore americano Charles Jenkins, che disertò nel 1965 e diventò una rara icona della propaganda comunista. I due si abbracciano apionatamente, mentre le due figlie del sergente, Mika e Blinda, sorridono un po’ ebeti. Mio padre è un ammiratore del comunismo spartano e folle di Kim Jong, l’illustre figlio di Kim il Sole uno dei grandi distruttori del sogno del marxismo, anzi una pietra tombale seconda solo in potenza e grandezza a Pol Pot, altro esempio fulgente nella vita di mio padre. Jenkins, insomma, il 5 gennaio del 1965 diserta presso il villaggio di Panmunjon nella zona demilitarizzata che divide le due Coree. Quando ciò accade gli americani, sbalorditi, non riescono a immaginare che esista un essere vivente che voglia raggiungere, disertando, la Corea del Nord; pensano che se le due nazioni abolissero i confini ci sarebbe un’emigrazione di massa, di volume biblico, dai lidi del socialismo reale verso quelli del capitalismo selvaggio. E non si sbagliano.
E si domandano: come può un americano desiderare di finire in quel mondo di rossi mangia – cani? Ci riflettono e pensano: i Nord Coreani hanno preso di forza Jenkins e lo usano sotto tortura per inneggiare a Kim il Sole. Vengono rapidamente smentiti: Charles Jenkins appare nel film coreano «Soldato Ignoto» che spiega alle masse socialiste le ragioni del conflitto del 1950-53. In poche parole s’è squagliato convinto. Ed era un soldato modello. Mio padre lo incontra con un’interprete sotto il gigantesco monumento di Kim il Sole nella piazza principale di Pyonyang, lo saluta affabilmente e gli dice: «Jenkins lei è un esempio per il mondo intero!». L’americano lo guarda tristemente e risponde: «Sarà… ma i giapponesi non mi ridanno mia moglie. Io ci vivo male senza mia moglie». E mio padre: «Se vuole le regalo la mia… la chiamano «edera», se la prenda quando vuole…». Mentre, abbagliati dalla presenza munifica di Kim il Sole, i due, farfugliano del più e del meno arriva un generale nord coreano per incontrare lo scudo umano. E mio padre immediatamente s’informa sulla situazione militare. «Siamo in grado, compagno, di sostenere il bieco attacco dell’imperialismo americano?» Chiede. Jenkins lo guarda tristemente e mormora: «Mmmm…». Il generale spiega che: «Illuminati dal nostro Caro Leader Kim Jong Il, siamo in grado di respingere l’attaco imperialista». Jenkins sorride E mio padre: «Come siamo messi militarmente?». Jenkins sospira: «Siamo messi bene…». Il generale si aggiusta l’enorme cappello e dice: «Stiamo riattivando a Yongbyon
il reattore nucleare, stiamo riprendendo i lavori dell’altro reattore a Taechon…». «Ma avete il plutonio per costruire le bombe?». «No comment!». «Ma i pakistani ve lo hanno dato l’uranio impoverito? Si o no?». «Non posso rispondere». «E l’esercito generale?» «1.170.000 soldati, compagno, Boltollo…». «Bortolo, generale, vediamo se ricordo le cifre della vostra potenza… 2.270 mezzi corazzati, 3.800 carri armati, 11.200 pezzi di artiglieria, 430 unità navali, 310 elicotteri, oltre 500 missili, circa 1.400 aerei di combattimento e di o, e 40 sottomarini… giusto?». «Ben informato, ma abbiamo molto di più…». «E lei che ne pensa Jenkins, possiamo respingere l’attacco dell’imperialismo yankee? «Mmmmm…» «Ecco…». «Ma è vero che la popolazione è affamata, Jenkins?». «Noooo…». «Ecco!». «Ma mi dica, Jenkins, è vero quello che dicono i giapponesi che il Caro Leader ha intorno a sé una brigata del piacere? O sono le solite infamie dei capitalisti?». L’interprete rimane paralizzata dallo spavento. «Eh…» bisbiglia Jenkins.
Mio figlio Erminio mi fa disperare, mi dice sempre che il Caro Leader è un alcolizzato con pancetta e tacchi alti… e che ci ha rovinato… L’interprete interrompe spaventata: «Calunnie dei capitalisti!». «Ecco… tutto chiaro ora…». «Madaleine Albright però l’ha trovato preparato ed intelligente» aggiunge Jenkins sorridendo. «Mio figlio dice che si fotte almeno una bottiglia di cognac al giorno…». «Infamie capitaliste!» precisa il generale terreo. Il cinquantacinquesimo anniversario della Repubblica Bortolo è nella grande piazza ad inneggiare, con il pugno alzato con un milione di persone, alla potenza nucleare ritrovata. Suo figlio gli ha detto che se aprono la porta, 999.000 coreani su un milione se la danno a gambe. Bortolo pensa: quel figlio degenere finirà con D’Alema, che per lui é come dire: finirà in un buco dell’inferno come il Bonifacio dantesco. «Me lo ricordo come se fosse ieri, Mosul, lo rispedirono indietro dopo che cominciò la tiritera sui cani. Gli risposero che non c’è differenza se mangi vitelli o cani. Mi ricordo tutto perché ero afflitto in quei giorni per la morte di un poeta che amavo molto: Josè Hierro…». «se?». «Spagnolo caro… non lo conosce?». «No…». «Tù , que buscas el agua que corre trasparente, No has de beber mis aguas rojas». «Ma che bella lingua…».
«Heidegger diceva che è impossibile tradurre poesia e pensiero…». «Ah… diceva così?» «Insomma… mio padre ritornò a Modena e divenne famoso, tutti i giornali scrissero sul suo viaggio. Quando tornò scoprì la cosa che gli cambiò la vita. Zaino era partito per una strana missione. Era svanito da un mese…» Mentre mio padre sta parlando di Zaino, Bonzo si precipita verso due cagnolini che una coppia di vecchi signori tengono al guinzaglio. Il più piccolo, appena Bonzo arriva scodinzolante, gli azzanna una zampa e il bruto reagisce masticandosi il sorcetto. Ne scaturisce un finimondo con una frettolosa ritirata. Mosul dice: «Erminio, la vecchia sta urlando come se gli avessero scannato il figlio…». «Mosul una rapida ritirata o siamo persi…». «Si, un’elegante anabasis…». «Questo bruto sarà la mia morte… sa qual è la mia unica speranza? Che s’ingolfi e affondi nelle sabbie mobili!». «E dove sono?». «Dicono che siano verso la riva di Appledore… bisogna che lo faccia correre da quelle parti…».
*****
Ibn al-Athir afferma che nell’Aprile del 1098 un grande esercito musulmano si muove da Mosul. Lo scomposto e confuso potere selgiudico ha deciso di proclamare la Jihad contro i Franchi miscredenti e ordina all’atabeg Karbuqa di affrontare i crociati con trentamila uomini.
L’esercito islamico, diviso da dissidi interni, si avvia per rompere l’assedio di Boemondo ad Antiochia. Disperate invocazioni giungono dalla città assediata frammiste a voci che informano che i Franchi, che temono l’arrivo della forza maomettana, per fame stanno mangiando i propri cavalli. Yanghi – Siyan il despota d’Antiochia respira: ragazzi arrivano i nostri. Pensa. Ma qualcosa di strano è accaduto. Un gruppo d’ottanta cavalieri crociati invece di spingersi verso Antiochia ha conquistato, senza colpo ferire, la città armena d’Edessa, e Baldovino – come Boemondo alla ricerca disperata di un regno – si è fatto adottare come figlio da Thoros, il despota locale, dopo una cerimonia farsesca. Gli armeni detestano saraceni e bizantini, meglio i crociati, pensano, ed aprono le porte della città che gli arabi chiamano al –Ruha. Karbuqa, informato, va in tilt e grida agli emiri: «Non va… io avanzo e ho i fottuti cani infedeli dietro al culo. No, non va: liquidiamo prima al –Ruha poi procediamo verso Antiochia». Gli emiri si arrabbiano ma l’atabeg non ci sente e Yanghi – Siyan da fuori di testa. Karbuqa viene informato dalle spie che Baldovino è stato adottato da Thoros, che, durante la cerimonia d’adozione lo ha stretto a sé nudo, sotto un immenso camicione, tra l’ilarità generale dei crociati e i risolini degli Armeni. Poi, è stata la volta della moglie del despota che strusciando il suo abbondante seno contro il petto villoso del franco si è morsa il labbro inferiore dal piacere «Eh la carne è debole!» ha pensato. L’ilarità dei franchi a quel punto è divenuta incontenibile. Baldovino ha pensato: ma guarda che mi tocca fare per un fottuto regno: bisogna sfregarsi con un vecchio frocio e una bagascia eretica. Figlio devoto il crociato: ato poco tempo è divenuto il padrone di Edessa. La nobiltà armena ha eseguito un golpe eliminando il padre adottivo di Baldovino e concedendogli il regno. Guy de Nuitville informato della conquista di Edessa si è unito ad una schiera di Franchi guidata da Drogo di Nesle, Rainald di Toul e Gaston di Bèarn che si sta dirigendo verso la città per unirsi al potere nascente di Baldovino.
Mentre Karbuqa indirizza i neri vessilli dell’esercito musulmano verso al –Ruha, Guy piomba nella casa di un cristiano ad Edessa. Il povero cristiano, sbalordito, si trova un colosso coperto da una cotta di maglia che si sfila un elmo conico con nasale, lo butta su un tavolo e gli dice: «Questo è oro… guardalo… puoi scegliere: o tu mi dai, con le buone, il santo velo che serve all’esercito cristiano per vincere la guerra, oppure io, con le cattive, me lo prendo e mi porto via anche quella bella cocca nascosta dietro la tenda, che immagino sia tua figlia. Scegli tu e sii saggio». Il canuto armeno risponde: «Il velo, signore, non è più qui, ma è in Antiochia; lo trovi nella casa di un cristiano armeno tra la porta del Cane e quella del Duca, nel punto ove il fiume Onopriclas raggiunge le mura». Guy per poco non sviene. Lo informano che l’esercito musulmano sta dirigendosi verso Edessa e parte con quattro normanni alla volta di Antiochia, prima che Karbuqa la chiuda in una morsa di ferro. Guy de Nuitville è stremato. Arriva ad Antiochia e lo informano che la fame è trionfante al punto che l’esercito è vicino al collasso. Boemondo gli racconta una storia orripilante. Gli dice che anche Pietro l’Eremita se l’è fatta addosso ed ha cercato di fuggire. Era un giorno di gennaio quando il sant’uomo e Guglielmo di Carpenter se la sono data a gambe.«Ho dovuto mandare Tancredi a riprenderli» spiega. E gli ricorda che «Guglielmo, quel gran figlio di puttana, aveva già disertato in Spagna, e quando li hanno riportati indietro, ha dovuto mettere tutto a tacere. Non potevamo far sapere all’esercito che l’ispiratore della crociata si era squagliato per paura. Ma Guglielmo, l’ho fatto stare in piedi tutta la notte e poi la mattina dopo l’ho chiamato vigliacco e gli ho sputato in faccia. Ha giurato che non lo farà più. Ma tu lo conosci meglio di me. Lo farà ancora…» Poi continua e dice: «Siamo vicini alla conclusione dell’assedio. Sto corrompendo un tipo chiamato Firuz, un musulmano armeno, un apostata, che odia Yanghi – Siyan il padrone di Antiochia. Ci lascerà entrare nella città. Ho grandi speranze». E gli chiede: «Ma tu che stai cercando?». Guy, che non può più mantenere il segreto, racconta tutto a Boemondo.
Boemondo lacrima dal gran ridere. «Se cuci tutti i Veli della Veronica insieme ci copri le mura di Antiochia». Guy risponde: «Ma questo è quello autentico…». E Boemondo: «Fai te…» e continua a ridere a crepapelle. «L’altro giorno abbiamo scoperto spie cristiane nel campo…». «E che avete fatto?». «Ne ho fatta arrostire una a fuoco lento… abbiamo risolto il problema: sono svanite tutte le spie!». «Lo credo bene… e ve la siete mangiata la spia?» «Certo… arrostita come un porcello… stai attento al tuo amico Rothrund de Soissons… fai molta attenzione!». «Eh… certo…». «Lo sai che ha combinato?» «Lo so… è una testa calda!». «Pensa… siamo a Dorylaeum… tutto fila dritto, tutto scorre secondo i piani, io sono a sinistra dello schieramento con Roberto di Normandia e Stefano di Blois. Raimondo e Roberto di Fiandra sono al centro, Goffredo e Ugo sono a destra. Ripeto: tutto scorre alla perfezione. I maomettani avanzano… e che succede?». «Rothrund de Soissons inaspettatamente e senza rispettare gli ordini decide di muoversi.». «Ecco… il gran figlio di cagna si scatena con altri quaranta pazzi… e va all’assalto». «E i maomettani li affettano…». «Ah… lo avessero accoppato i fottuti saraceni!… Non bastava quello che aveva combinato con
Alessio… te lo ricordi?». «Ehhhh… si è seduto sul trono!». «Già si è seduto sul trono e poi ha fatto di nuovo il pazzo a Dorylaeum mentre tutto filava perfettamente… io l’avrei massacrato… ma ci hanno pensato i miscredenti, lo hanno ferito… ma tu dove eri?». «Con Stefano di Blois…». «È Rothrund che ti aiuta per il velo…». «Si…». «Allora finisce male…». «Ehhhhh». «Lo sai che Tancredi fratello di Guglielmo di Monte Scabioso e di Roberto di Parigi è morto? «No… Dio Santo… nooo…». «Ah!… Cestui estoit valiant… liberal et cortois…». «Aornè de toutes les vertues…». «Ne moriranno altri…». «Molti…». «Lo sai Guy che Danishmend, l’emiro fottuto, mi è scappato?». «Ho sentito: nella battaglia avevi puntato direttamente verso di lui…». «Già… ma è fuggito… sai qual’è stato il momento più brutto?». «Il viaggio da Coxon verso Marash e Antiochia con i cavalli e gli uomini che precipitavano dai dirupi…». «Già… ho sentito…».
«Ed io me lo sono fatto due volte quel maledetto viaggio…». «Ora conquistiamo Antiochia e poi si parte per Gerusalemme… ma Antiochia è mia…». Guy osserva la posizione strategica dell’assedio. Davanti alla Porta del Cane c’è schierato Boemondo, Goffredo è davanti alla Porta del Duca. Il Ponte che conduce al Palazzo non è ancora sbarrato, non ci sono ancora Franchi davanti alla Porta di San Giorgio. I crociati stanno costruendo un ponte di barche che attraversa il fiume Oronte, verso il villaggio di Taleki, nella direzione del cimitero musulmano, il ponte permetterà ai Franchi di utilizzare la strada che conduce verso Alessandretta e San Simeone. Tutto torna.
*****
Il giorno dopo, mio padre e Mosul, partono per Perth con un Superjet a 100 posti da Bristol. Arrivano in 12 minuti. Prendono un Elycator dall’aeroporto di Perth e atterrano nei pressi di Glover Street in uno spazio circolare dietro la stazione. Raggiungono la casa per l’intervista: sono informati che l’Acontour sta arrivando. «Mi dica, caro» chiede mio padre divorato da una curiosità morbosa «ma veramente ha concluso un patto diabolico con Juanita?». «È tutto qui in questa busta verde smeraldo». «E cosa c’è scritto?». «C’è scritto che appena arriva deve venire immediatamente nella mia stanza e concedersi senza esitazioni e senza esternazioni teatrali, sospiri o gemiti… in breve: deve concedersi totalmente…».
«Totalmente ha scritto, caro?». «Si, totalmente e per tre giorni, e se non se la sente, chiamiamo la Berwyn della BBC WORLD e facciamo l’intervista con lei… considerando che la Berwyn è molto più intelligente di lei…». «Ma meno attraente…». «Ecco… ha centrato… siamo vittime dell’apparenza…». «Proprio così le ha scritto?». «Si, e ho precisato che ha tempo fino alle 15,00 di oggi per decidere…» «E se Juanita decide che concedere le natiche per una spudorata pennivendola americana è un prezzo troppo alto da pagare, allora partiamo subito per Londra… e lei si fa la Berwyn.». «Noooo… ma chiediamo un prezzo esoso per l’intervista…». «Ma si figuri se Juanita si lascia scappare un’occasione del genere!». «Parte dell’accordo è che non mi parli delle difficoltà nel concedersi a uno sconosciuto, perché sappiamo tutti che le giornaliste al suo livello per uno scoop del genere succhiano il cazzo anche a Belzebù…» «Cioè a lei Mosul… secondo i cristiani integralisti lei è Belzebù…». «Io sarei Belzebù?». «Così dicono i cristiani e i satanisti…». «Ma quelli sono poveri deficienti…». «Ma scherzavo carissimo… e poi che fa… intendo sessualmente?». «Quello glielo dico dopo… però anche un bel mucchio d’eurodollari glieli chiediamo… ma a quello pensa lei...va bene?» «Ok…».
«Diventerà ricchissimo Erminio… cosa si comprerà con i soldi?». «Ehhh… mi vergogno di dirlo?». «Dica… sono curioso… cosa comprerà?». «Un clone!». «Come un clone?». «Un clone…». «Un clone di cosa?». «Un clone simile alla Madonna dell’Adorazione dell’Agnello di Van Eyck…». «Ha una foto?». «Si, la porto sempre con me.…» «Uhhhhh… una.splendida fiamminga…». «Mosul, sono pazzo d’amore per la Madonna…». «Ma è blasfemo… ah ah ah…» «E che ci posso fare? È il peccato d’Adamo… da allora succedono queste cose…». «Un clone come quello di “Scone Place” di Erith Glamour?». «Si. O come nel classico di Ridley Scott… “Blade Runner”, un film insuperabile, se mi permette…». «Ma chi l’avrebbe detto… e madame Pomeroy?». «Ah… madame… già… Abigail, il clone lo metto in un appartamento segreto…». «Per vomitargli addosso tutta la sua ione…».
«Come farà lei con Juanita…». «Si mi vergogno… delle volte mentre la guardavo intervistare qualcuno mi venivano erezioni primordiali…». «Ed ora la stringe tra le sue grinfie…». «Tra i miei artigli acuminati e diabolici…». «Ma perché solo tre giorni?». «Perché se funziona me la porto via con me…». «Come Quimper con la Betsy che si crede la Maddalena…». «La bellezza inganna… siamo vittime dell’apparenza!». «Sa che mio padre Bortolo diceva sempre che la bellezza è diabolica…». «Bortolo… che grandezza… mi racconti di Zaino…».
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Un giorno di novembre del 2004, una donna in un tailleur blù con calze scure è avvicinata da un imponente nigeriano in una via di Amsterdam. La donna ha capelli e occhiali neri, ancheggia e dondola armoniosamente. Il coccò nero chiede: «Are you Spanish?» Lei non risponde. «Are you French? Francaise?». Lei non risponde. «Italiana?».
Improvvisamente una voce gutturale mormora: «Why don’t you fuck off before I call the police?». Ma il nigeriano non demorde. La donna dimena le natiche verso la Wesper Straat e gira alla Heren Gracht, se la fa tutta ondeggiando. Poi si rivolge verso il nigeriano che insiste nel seguirla e dice: «Vuoi che ti spacco il tuo culo nero, ciccione di merda… levati dalle palle che fai schifo!». «Ah… non sei una donna… sei un transessuale figlio di puttana» dice il nero «facevano bene i taliban a seppellirvi vivi sotto i muri…». «Se non ti levi dalle palle ti stacco a morsi le tue flaccide natiche… do you read my lips motherfucker?». Che caratteraccio del cazzo! Pensa il nero e si allontana ballonzolando. La donna lascia la Heren Gracht e procede lungo la Utrectse Straat, arriva all’altezza della Prinsen Gracht gira a destra e si ferma non lontano da una chiesa. Sale le scale di una casa imponente. Una donna bionda apre la porta, la lascia entrare e prima di dileguarsi mormora: «The son of a bitch is upstairs!». La donna sale, estrae una Beretta con un silenziatore dalla borsetta Fendi e si avvia verso un uomo sulla sessantina, sorridente, calvo, adiposo e sbracato su un vecchio divano foderato di rosso. Non esita un istante. Mira e fa fuoco sei volte nella direzione della fronte oleata. Mezza testa dell’uomo calvo si sparge nella sala illuminata dalla luce del sole e sul divano di raso. Circonvoluzioni, corteccia, emisferi celebrali si spappolano e si mischiano con schegge della calotta cranica e dell’osso frontale. La donna riceve un frammento celebrale sul nero tailleur, ma non vacilla come Himmler davanti alla fossa degli ebrei, lo spazza via con un moto gentile della mano inguantata dicendo: «Uhhhhh trippa al sugo…» Poi esce. Prende la Prinsen Gracht gira all’altezza della Vijzel Straat e all’incrocio della Noorder Straat dove trova una Micra verde che l’attende. Mentre viaggia verso Amersfoort si cambia e sulla schiena nuda appare un drago immenso che si morde la coda.
Una giovane, con i capelli fulvi raccolti indietro, che sta guidando chiede: «È stata dura?» «A piece of cake… una eggiata mia cara… sai cosa vorrei fare ora?». «No». «Scopartiiiiiiii…». «Ma non pensate ad altro voi italiani?… Sei appena uscito dalla casa della morte…». «Lo so… facciamo schifo, cara… però Eros e Tanatos si alternano e si uniscono in un’eterna simbiosi come l’ombra e la luce…». «E dove vuoi scopare?». «Nel primo albergo che capita… ora ami quell’acquavite svedese… per favore ». «E dov’è?». «Nel mio zaino…». «Senti non provare a scoparmi ubriaco perché detesto quelle cose… ma che hai provato?». «Un infinito… estatico piacere…».
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«Ma, Zaino, chi uccise?» Chiede Mosul. Il nome del morto è Diugasvili Lerkov, grande amico di Djatol Khaidarov e dei fratelli Chernoy, quelli della mafia russa che con uzbechi e ceceni traffica in un bell’albergo a Posillipo mignotte, droghe ed animali.
Tutti sanno che l’arresto di Alimjan Tokhtakhounov detto «Taiwanchink» ha provocato lo smembramento della mafia dei Chernoy. «Taiwanchink» ha il compito di trasformare denaro grondante di sangue in iniziative commerciali candide e verginali. Si sfruttano povere mignotte, si vende droga a disgraziati, si affama il popolo caprone e poi si compra una squadra di calcio o una multinazionale. E questo mentre i ragazzini moldavi dormono nelle fogne. Quando l’uomo d’affari Khaidarov vuota il sacco – seguendo la strada di Giuffrè detto «Manuzza», che accusa Berlusconi d’inciuci mafiosi – e decide di collaborare con la giustizia, l’impero dei Chernoy s’incrina e collassa per ricomporsi e risorgere come una nuova fenice dalla cenere. E parecchi rubli e dollari sono riciclati. Ne viene fuori un’immagine di una «Repubblica Italiota delle Banane» che sotto gli auspici del grande presidente del consiglio, forte del consenso del popolo italico, è penetrata dal denaro sporco e intriso di sangue delle mafie del mondo. L’italietta appare come un ino europeo ove filtra tutto, mentre il suo popolo di navigatori, di artisti e di santi si diletta con Pippo Baudo e contempla Morandi in mutande. Dopo che Khaidarov vuota il sacco, Diugasvili Lerkov, si dilegua con un mucchio di dollari e si ricicla puntando sull’ecomafia; ce lo conferma Alexander Zhukov quello della «Sintez», un ex agente del KGB. Lerkov coltiva l’amicizia di mafiosi e di deputati italiani ed è accolto in Sicilia trionfalmente. Insomma – scrive mio padre nel Diario Segreto – sotto gli auspici di Berlusconi e Putin, i Chernoy infiltrano l’Italia che si dimostra un autentico colabrodo legale. È il tempo che il clan degli oligarchi tiene banco in Russia che è ata dalla dittatura del proletariato – tanto amata da Bortolo Polpotta – a quella dei nuovi ricchi, nata sotto l’egemonia del clan del presidente alcolizzato Boris Yeltsin. Gli oligarchi sono i nuovi boiardi, ma in quel momento non c’è ancora un Ivan il Terribile che li terrorizzi e li accoppi. Questo avverrà più tardi: Ivan si reincarnerà nel Generale Mikhail Malinkov che manifestandosi «come un ladro nella notte», dopo la seconda rivoluzione cinese
del 2036, imporrà una democrazia controllata che è, in effetti, una dittatura semisocialista. Nel 2027 quando, sciaguratamente, nasce Giacomino, concepito da un modesto e languido amplesso, la prima rivolta dei nullatenenti cinesi scatena una serie di paurose rivoluzioni che scombussolano lo scacchiere del mondo. Esplodono in ordine: Indonesia, Cina, Russia, Pakistan. Il capitalismo va in crisi. La via americana per il mondo fallisce miseramente e la Russia ritorna ai secondi Soviet riassorbendo frammenti del vecchio impero. Ma torniamo al 2003: Diugasvili Lerkov si ricicla e assolda eserciti di massacratori per liquidare gli animali dell’Africa e dell’Asia. Agisce sotto l’ombrello delle mafie di Semion Mogilevitch e Gregory Loutschansky. La sua base diventa Amsterdam. Zaino stanco dell’eterna, penosa menata animalista ha preso una decisione che farà vacillare le fondamenta della casa dei Polpotta e avrà ripercussioni fatali. Michelino ha letto con attenzione ed è stato messo minuziosamente al corrente su quello che il russo sta combinando. Due donne olandesi della MIDOLB, “Movement In Defense of Living Beings” lo informano costantemente degli spostamenti di Lerkov. Tra Ruanda e Congo, sulle montagne del Vulcano Virunga, il russo ha fatto massacrare oltre 300 esemplari di gorilla. Ha pesantemente trafficato in avorio, ossa di tigri, corni di rinoceronte, pelli d’animali in via d’estinzione. Ha trucidato migliaia di elefanti asiatici assoldando bracconieri disperati. Si è comprato interi governi africani. Ha massacrato antilopi tibetane attraverso l’ecomafia cinese. Ha fatto cacciare anche i leopardi delle nevi per la pelle e le ossa usate per la medicina cinese. Il CITES, l’organizzazione che regola il commercio internazionale di specie protette, lo ha accusato ripetutamente. Diugasvili Lerkov ha acquistato di nascosto zanne di elefante comprandole dalla scorta di 80 tonnellate accumulate dopo i continui massacri perpetrati dai bracconieri nel Parco Kruger. Quando legge dell’uccisione delle madri dei piccoli gorilla, Zaino, va fuori di testa dalla rabbia. Dice a mio padre: tu vai avanti con le tue coglionate leniniste animaliste, ma io prendo una scorciatoia. E pensa: perché non si dovrebbe accoppare un figlio di puttana che traffica in corpi umani e animali, e massacra esseri viventi senza pietà alcuna? Ecco il bel risultato del crollo del comunismo: siamo a tutti i livelli penetrati dall’orrore. Mio padre risponde con la solita inane omelia sul non fare fesserie. E Zaino incazzato lo manda al diavolo: voi siete più inetti di statue di plastica. Tu
continua a scrivere sulla rivoluzione mentre io prendo un’altra strada. Parte e liquida Diugasvili Lerkov. Poi svanisce per tre anni.
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«Vede… Mosul, allora non era come adesso… ora se un fottuto russo si muove in quella direzione qualcuno lo fa fuori. Ora agisce il MIDOLB o il MAVALB… che lei conosce molto bene… il “Movement Against Violence Against Living Beings” e soprattutto il LBU, “Living Beings United”. E tra loro c’è gente terribile…». «Ringraziando il cielo non scherzano…». «Ma a quel tempo, e parlo di 42 anni fa, era tutto un florilegio medioevale di chiacchiere… lei sa che noi siamo un popolo di chiacchieroni… per carità gli animalisti erano gente comionevole, preparata… ma assolutamente incapace… bravi a fare proclami… e poi… poca roba… considerando la loro forza…». «Ho letto: avevano una forza tremenda che non sapevano usare… e poi quell’inane pacifismo…». «Diugasvili Lerkov non l’uccidi perché è un uomo… ma i gorilla si… ehhhh non sono umani…». «Ehh… l’anima immortale…». «Ehhhh…… l’egemonia dell’intelligenza…». «Già… e la cosa mi disturbava parecchio…». «E lei lasciò il suo paese per questo?». «No… io lo lasciai per un insieme di cose…»
«La politica… I presume…». «Beh… si… non capivo perché un popolo dovesse sostenere con il consenso un governo di destra che creava leggi speciali per difendere dei malfattori… c’era un parlamento con 100 inquisiti… si rende conto… un parlamento ricolmo d’inquisiti… si, devo dire che la cosa mi offendeva profondamente: come si fa a negarlo?». «Ma la destra da allora ha ancora il potere…». «Se la tengano la destra… io non ci sto…». «E la mafia…». «Come si fa a spiegare a un giovane nel 2044 cos’era l’Italia d’allora…». «Ci provi…». «Troppo complicato… l’intero sistema dell’informazione era controllato da gruppi asserviti ad un uomo ricchissimo…». «Berluscani…». «Berlusconi… C’era poi un giornalismo che faceva pena… e un popolo che sottostava all’orrore della corruzione… eravamo in balia di un concentrato di «opinion leader» da spavento… li nomino solo per ricordarli perché ormai i loro nomi non significano più niente… Fede, Sgarbi, Ferrara, Sofri che pontificava dalla prigione… e poi i grandi statisti sepolti, misericordiosamente, dalla polvere del tempo… D’Alema… le dice niente D’Alema?». «Noooo… e c’era anche il papa polacco…». «Certo anche lui… eccome… eravamo in balia di una televisione per deficienti… roba da soubrette pontificanti, transessuali adiposi e platinati, deputati cretini, ministri – avvocaticchi, legislatori azzeccagarbugli… Dio che grande tristezza… Mosul… e io, «cupio dissolvi», ebbi il coraggio di prendere, con il sistema «Analogue», anche la RAI da Ilfracombe…». «E perché?…».
«Perché il mio paese era così pazzo e ridicolo che nonostante tutto mi divertivo a guardarlo in tv… il calcio era una cosa da farti morire dal ridere, la politica poi era esilarante». «E l’opposizione?». «Una sinistra miseranda…». «E pensare che mio zio era innamorato dell’Italia…». «Magari di Michelangelo e di Raffaello… consideri che il governo Berlusconi fece leggi che in un paese civile avrebbero portato ad un’insurrezione armata… e invece gli italiani dicevano: tutti rubano… e allora?». «Ma non erano tutti così…». «No… c’era una minoranza notevole che detestava il governo Berlusconi, ma la maggioranza era dall’altra parte… ma se le immagina leggi in Inghilterra per aprire i parchi nazionali alla caccia?». «Sarebbe scoppiata una guerra civile come con Cromwell…». «Ma allora nessuno si aspettava l’esplosione del terrorismo animalista che fu conseguenza, in un senso, delle azioni di Zaino e di suo nonno Bortolo…». «Certo… allora non era sorta ancora la Twitty Army, e poi la scissione susseguente e il terrore provocato dalle tre brigate internazionali: Bailador, Regalon e Jaqueton… ma che idea geniale chiamarle con i nomi dei grandi tori che si difesero strenuamente nelle corride…». «Se lo immagina Mosul che ho un nipote transessuale che lavora come mignotta nella città di Lussuria?». «Sta scherzando?». «No… e il suo pappone è un nano nazista…». «Parla sul serio?». «Si… un nano nazista che odia arabi, neri e zingari…».
«Diosanto ma è comico… nel 2044?». «E sa qual è stata la fortuna del nano?». «Si è fatto impiantare un pene di grandezza mostruosa…». «Oddio…». «Sempre eretto… pensi Mosul… se lo deve legare tra le gambe…».
Fuck Talk
Mosul è emerso dalla stanza buia. «Come è andata?» Chiede mio padre, tremebondo e consumato per la curiosità. «Niente male caro, perché aveva dei dubbi?». «Beh… no… ma è stato piacevole?». «Molto, Erminio, sono folle di ione…» «Scherza lo so… e l’accordo finale?». «Il patto diabolico? Un’altra notte e le concedo un’intervista di un’ora, ma se Juanita vuole un’intervista di due ore, allora ho chiesto tre notti…». «Un mercatino?» «Esattamente, Erminio… un suk di pessimo gusto… ma toccarle quei capelli fulvi e ondulati… uhhhh che piacere…». «Scusi la mia curiosità… ma sotto è dello stesso colore?». «Fuoco fiamma!». «Oddio! Mi sento male…». «Non esageriamo… sta scendendo al livello di un bagnino italiano…». «E ora che dirà? Che dirà durante l’intervista?». «Ma le solite cazzate… fuck talk!». «Un’espressione ammirabile fuck talk… fottute chiacchiere…».
«Già… e che altro sono? Sono le solite fottutissime chiacchiere…». «Ma un miliardo di persone l’ascolteranno…». «E un miliardo di persone ascolteranno fottutissime chiacchiere, cioè fuck talk! È la legge della domanda e dell’offerta…». «Ma non si è rasato… vuole il mio Breck a pile?». «E perché mai?». «Ma lo guarderanno un miliardo di persone?». «E allora?». Ho il mio Saba 250: il laser ha materializzato l’Acontour e Mosul. Mi commuovo ogni volta che li rivedo. E come averli davanti in carne ed ossa. È come se potessi toccarli. Lei con i lunghi capelli ondulati e fulvi, il volto pieno di lentiggini, il naso perfetto, gli occhi color grigio cielo, la bocca leggermente socchiusa, indossa un abito nero semitrasparente di poliestere e cotone elastico. Calze Nere. Gonna attillata. Scarpe di Oko Musiki grigie. Lui con i capelli lunghi e mal pettinati, il naso aquilino, un maglione corroso dal tempo e sfilacciato. Un paio di scarponcini Ulkia mezzi sfondati, Jeans Regon elasticizzati e mezzi distrutti, una camicia blu di tela di raso e un giaccone sporco antivento giallo. Nulla trapela degli eccessi notturni. L’intervista si svolge in una stanza completamente oscurata. I due protagonisti sono immersi in una densa penombra, il volto di Juanita appare sognante. Ma dietro quell’espressione onirica c’è una volontà d’acciaio. Qualcosa però ha mosso il suo cuore. Mosul giocherella con un filo di perle. Le riprese sono eseguite con due «Sony – Body True 34», una donna sta attivando la prima macchina da presa, un gay
texano la seconda. L’Acontour si gioca parecchio in questa intervista: ha ottenuto l’impossibile. La Gutter Media digitale si è scatenata contro Mosul. È il 5 gennaio del 2044 e sta nevicando a Perth.. Mio padre segue tutto con grande attenzione. Nel Diario Segreto dice di aver provato un’ invidia feroce e insana per Mosul. E se ne vergogna. Ci pensa e poi arriva ad un’improvvisa conclusione: Juanita assomiglia alla Madonna di Van Eyck… Mi sono sbracato sul divano e ho lanciato le immagini. Juanita sta chiedendo: «Cosa ha provato nel momento della resurrezione?» È la solita domanda che, stavolta, ascoltata da un miliardo di persone scatenerà un finimondo. Li seguo commosso. L’avrò sentita venti volte quest’intervista. E ogni volta mi tocca profondamente. Scatenerà un tifone mediatico che ci travolgerà tutti. «Che cosa ho provato, Signora? Uno svuotamento totale…». «E che altro?» «Un senso di spaesamento… ma con quello ci vivo da sempre… io sono un deraciné naturale…». «Il Gesù di Quimper ha detto: è stato mio padre a permetterlo… lei che dice?». «Che non ho la minima idea di chi l’ha permesso… o se qualcuno o qualcosa, se così si può dire, l’ha permesso…».
«Ma come si fa a resuscitare i morti e dire una cosa del genere?». «Perché è la verità… ho provato un grande spaesamento come se la forza vitale mi abbandonasse… lei pensa a luci iperfisiche? A cori angelici? Nulla di nulla! Io non ho provato nulla di trascendentale». «Ma che cosa ha concluso da quest’esorbitante evento?». «Ho concluso che nella scacchiera dell’Oltre… o di quello che noi chiamiamo l’Oltre, qualcosa o qualcuno, se così si può dire, ha mosso due miserande pedine… e forse si sta sbellicando dalle risate…». «E lo scopo?». «Vede signora… in quei luoghi - non - luoghi, se così si possono definire, la penosa legge della causalità viene meno… non regge la logica di questo povero cervello che filtra e intrappola solo apparenze fantasmagoriche di qualcosa che completamente ci sfugge… Quimper dice che è suo padre?… Beato lui… io non ho mappe dell’Oltre, ne sacri testi… io annaspo nella notte… noi umani siamo esseri che brancolano nel buio e che nel terrore di questo annaspare edificano sistemi di menzogne… a volte terribili…». «Verso cosa?». «In particolare verso il non umano…». «Ma perché lei chiama l’umanità «specie assassina»?». «Perché gli esseri umani hanno massacrato la terra e si sono comportati verso le altre creature come efferati nazisti…». «Mi dica in due parole cosa pensa degli esseri umani?». «Lei ama il cinema vero? Sicuramente avrà visto un film di Scorsese che fu girato agli inizi del 2000…». «Taxi Driver?».
«No… “Gangs of New York”… ebbene in quel film c’è un carattere fondamentale: Bill the Butcher, Bill il Macellaio, che è interpretato con grande arte da un attore, che credo sia inglese, Daniel Day-Lewis… ricorda?». «Si, un film straordinario nella versione completa di Scorsese…». «Straordinario non so, ma sicuramente interessante… ebbene Bill the Butcher per me rappresenta l’essenza dell’uomo. Un macellaio patriota che odia gli stranieri. Un massacratore che domina la terra come un assassino mafioso. Ricorda la scena quando il Macellaio spiegava che la carne di maiale è simile a quella dell’uomo? Ricorda con quale piacere libidinoso affettava, squartava povere bestie appese agli uncini, e con che gioia pugnalava la carcassa del maiale? E ricorda che con lo stesso gusto sterminava gli irlandesi, solo perché erano stranieri, solo perché non erano «native» cioè «indigeni» americani? Ebbene, in essenza per me quello è l’uomo, troppo pessimista dirà lei… ed io confermo… un massacratore spietato che si comporta verso le creature come Bill the Butcher o Himmler verso gli ebrei…». «E com’è arrivato a questa conclusione?». «La mia infanzia è stata segnata da visioni d’assoluto orrore, mio padre scannava pecore e bestie con piacere libidinoso mentre mia madre sorrideva e pregava… prima Cristo e poi Allah…». «Odia i suoi familiari?» «Li detesto dal profondo del cuore…». «Non è un po’ forte?». «Lei faccia solo domande, Signora Acontour e non mi elargisca del buonismo degenere…». «Va bene… mi dica cosa pensa del fatto che i musulmani dell’Arabia Saudita, i post –taliban e i post Binladiani hanno decretato una Fatwa contro di lei?». «Io non so chi sono, ma un messaggio l’ho chiaro in testa… se Quimper opera un gran portento e non dice una parola riguardo al non umano, ed io contemporaneamente tiro fuori dal mio cilindro un altro miracolo, e sono invece particolarmente attento al non umano… io penso che una ragione ci sarà…
qualcosa come ho detto ha bilanciato i fatti… qualcosa o qualcuno – io non so come definire questa cosa – non – cosa – ha cercato disperatamente di non far riemergere e non far prevalere il concetto monoteista – che stava polverizzandosi nella pattumiera della storia – della unicità dell’uomo: la più grande «fuck talk» della storia del mondo…». «Lei considera questo concetto fondamentalmente ottuso?». «Esatto!». «Lei ha detto che alcuni libri che ha letto sono stati determinanti nella sua vita…». «Si. “Un’Eterna Treblinka” di Charles Patterson, “Ecocidio” di Jeremy Reifkin, e quelli più moderni scritti nel 2035 e 2036, da Retzinger e Mardoch “Il Massacro Costante” e “Il Sogno di Pietro”». «Quindi lei si considera un Libuista? Un membro della “Living Being United”?». «Un libuista spirituale, un tempo usavano il termine animalista, per fortuna che ne hanno coniato uno nuovo, ormai i vegetariani sono la maggioranza della popolazione europea e i vegani circa il 25% di questa maggioranza… ora è tutto più facile, ma con il risveglio del cristianesimo può succedere di tutto… lei conosce le ingiunzioni di Paolo e Pietro riguardo il mangiar carne?». «Si… ma non ricordo…». «E lei non è cattolica signora Acontour?». «Laica…». «Ecco… laica… io non ho mai capito come possa essere accaduto che mentre i cristiani si chio in maniera belluina davanti al problema di ciò che esiste ed è altro, cioè il non umano, un saggio pagano del primo secolo dopo Cristo, Apollonio di Tiana, tuonava contro i sacrifici e il mangiar carne; e addirittura, nello stesso tempo, come un Jainista pagano rifiutava anche di indossare abiti di lana… incredibile no?… quando lo lessi rimasi sconvolto… e poi mi colpì molto il Gesù musulmano che parlava con le rovine e con le pietre… e quel grandissimo uomo, Plutarco, così avanti al suo tempo… chissà cosa sarebbe
venuto fuori nel mondo se non si fossero inventati questo monoteismo cupo e intriso di sangue…». «Intriso di sangue?». «Intriso di sangue… certo… il Tempio di Jahvè era “de facto” un mattatoio… io mi sono arrovellato per anni nella mia ignoranza – sa, io non ho studiato molto… anzi per nulla…» «Lo so ed ha anche detto che non studiare a scuola è stato per lei un’ottima cosa…». «Certo… ottima… ma mi faccia concludere… mi sono arrovellato a capire come divinità luminose abbiano richiesto per anni sacrifici di esseri inermi e innocenti…» «Cosa pensa del fatto che Quimper abbia stravolto l’idea lefevrista della Chiesa?». «Può essere possibile che un uomo che appare nel 2011 manifesti le stesse idee di un falegname dei tempi di Tiberio? Può accadere una tale assurdità?». «Tuttavia ora le masse lo seguono… ma lei sostiene forse di essere venuto per contrastare quel pensiero neocristiano che va formandosi?». «Penso di sì…». «E non la preoccupa che i neo – wahabisti la chiamino apostata?». «Per nulla. Io non faccio più parte del loro mondo dal momento che ho visto la lapidazione di una donna quando ero bambino… ha un’idea di cosa sia la lapidazione?». «No a dire il vero… però immagino…». «Io sapevo che non c’era versetto coranico che sostenesse un simile orrore… ma lo hanno fatto lo stesso infinite volte. Una volta li vidi, avevo sette anni, mi ero nascosto dietro un muro: hanno scavato una fossa nella terra, la donna è stata interrata fino alle spalle, e per colpirla hanno usato delle pietre non troppo grandi affinché morisse lentamente; e sono stati i compaesani della condannata a
scagliare le pietre…». «Ma ora è tutto cambiato…». «Si, lo so, l’Islam globale, europeo e quello progressista ora condannano queste oscene pratiche… ma io ho assistito alla lapidazione e alla violenza verso gli animali – che per loro non contano nulla – e queste cose mi hanno segnato e se mi elimineranno per quello che dico… amen… che vuole che faccia… anzi ben vengano…». «E cosa pensa del fatto che i protestanti, e gran parte del mondo cattolico, la ritengano l’Anticristo?». «Un’idea folle! Nella loro belluina imbecillità, pensano che l’Anticristo si manifesterà portando messaggi di sollievo verso le creature innocenti per ingannare il mondo… conosce un pensatore russo chiamato Vladimir Soloviev?». «No… a dire il vero non ricordo…». «Soloviev ne «Il Racconto dell’Anticristo»ha scritto queste testuali parole; me le sono scritte in questo pezzo di carta: «Il nuovo padrone della terra – cioè l’Anticristo – era anzitutto un filantropo, pieno di comione e non solo amico dell’uomo, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione, e sottopose i mattatoi ad una severa sorveglianza…» pensi come é perverso il pensiero di molti cristiani: un disgraziato che offre cibo ad animali affamati è il figlio del Diavolo…». «È a causa di Soloviev che lo chiamano Mosul l’Anticristo?». «Per questo sì e anche per quello che dicono i suoi amici protestati, incluso Taylor il suo illustre presidente… lo sa che dicono?». «Che lei è l’espressione di Satana venuta a contrastare l’opera di Dio…». «Esattamente…». «E lei che risponde?». «Rispondo che davanti all’imbecillità elevata a sistema teologico bisogna sedersi
in un angolo e ridere a crepapelle… il mondo è questo… ma che vuole che sia questa stupida infamia verso la mia insignificante persona quando, a causa della terza guerra del Congo, tutti mangiano tutti e parte dell’Africa è precipitata in un nuovo cannibalismo…». «Una visione cupa…». «Lo sa qual è la cosa più stupida che ho mai sentito?». «Mi dica…». «I bambini inglesi che cantavano una filastrocca, che ho ascoltato più volte e che faceva così: «All things bright and beautiful, all creatures great and small, all things wise and wonderful, the Lord God has made them all…». «La conosco, anche mia figlia la cantava…». «E ti pareva… ma se la immagina una foresta tropicale ove i pigmei sono costretti a mangiare i propri figli con armi pressate alla nuca? Il mondo è puro inferno… e quelli cantano la filastrocca…». «Il mondo vittoriano era ottimista…». «Già ottimista… e poi abbiamo visto cosa è successo…». «Però malgrado il terrorismo e la devastazione di Denver siamo riusciti a sopravvivere…». «Già… con mezzo Medio Oriente svanito nel nulla, sei nucleari sparate e un milione di morti». «Ci siamo difesi…». «Infatti…». Durante la pausa per la pubblicità – che la Dover & Associated ha pagato miliardi di eurodollari – mio padre illumina la scena, con tocchi magistrali, spiegando, nel Diario Segreto, quello che accade. Mosul si piega verso Juanita che sta bevendo acqua ghiacciata con una fetta di
limone e gli sussurra: «Cerchi di essere più entusiasta questa notte… non sono molto soddisfatto della sua “performance”…». E lei risponde: «Sai cosa sei? Un gran “son of a bitch”… e non capisco perché sei stato scelto… da… da… chissà chi cazzo ti ha scelto…». «Sono stato scelto perché sono un bastardo…» e Mosul ride beato «un consiglio? Sia più energetica, cara, stanotte…». «Per l’amore di Dio non farti sentire… mio marito…». «Pacta sunt servanda.». «Ecco…». «Certo… non pensavo che voi grandi anchor-woman vi prostituiste con tanta facilità per un misero “scoop”…». «Dici “misero” bastardo di un arabo?». «Allora, data l’epocale importanza del “fuck – talk”, sia più viva: non è piacevole andar su e giù su un sacco di patate…». «Mi stai facendo incazzare, Mosul…». «S’incazza e si scazza, mia cara. Una proposta: un anno di sodomizzazioni per un libro intervista insieme… che ne pensa?». «Ci posso pensare? Oh my God… I’m confused. Ma perché hai scelto me quando – come Quimper con la Howell – potevi fotterti qualsiasi diva di Baton Rouge? Oh sweet Jesus… Mary Ann Bertley te l’avrebbe offerta su un piatto d’argento! Perché hai scelto me?». «Sono ossessionato dalle lentiggini…». «Devo dire… però… che neanche tu mi dispiaci… si, devo essere sincera… il libro insieme? Perhaps… maybe… ci penso… ok?».
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Quando Yanghi Siyan si sveglia da un sonno tormentato e pieno di incubi– scrive Ibn al – Athir- sente dei rumori provenire dalle Torri delle Due Sorelle e capisce che i Franchi sono penetrati in Antiochia. Il salgiudico, conclusi i miserandi giochi di potere, sprona il cavallo e, con alcuni fedelissimi, fugge e abbandonando la famiglia e gli abitanti alla furia dei crociati. Ibn al – Athir gli darà del vigliacco ma proverà per lui, allo stesso tempo, intensa comione. Yanghi Siyan, si vergogna di quello che ha fatto, ci ripensa e crolla con un coccolone dal destriero. La sua forza vitale si esaurisce: un armeno troncherà la sua testa e la porterà ai Franchi. Corre il 3 giugno del 1098: i Franchi conquistano la città e massacrano la popolazione. Il figlio di Yanghi Siyan si rifugia nella cittadella e resiste: Antiochia è crollata dopo una resistenza di 200 giorni. Firuz, l’armaiolo maledetto, tradisce – inaspettatamente e come per miracolo – un giorno prima che uno dei grandi perdenti della storia turca, Karbuqa, giunga presso le mura della città assediata con l’esercito diviso da lotte intestine. Quando l’atabeg giunge si leva dalla cittadella il grido di «Allahu akbar» e il cuore degli assediati si apre alla speranza. Ma ormai è troppo tardi: Guy de Nuitville è finalmente entrato nella città d’Antiochia ed è a pochi metri dal Velo di Marta, ma deve attendere la conclusione dello scontro prima di muoversi. La coalizione dei principi che assediano Boemondo e compagni è un nido di vipere, ma i Franchi affamati e stanchi temono l’esercito musulmano, e i capi cristiani cominciano a tremare. Guy de Nuitville spiega che «li clerc e li chevalier trembloient». L’esercito si trova in serie difficoltà per la fame e sta divorando i cavalli, e Boemondo, di fronte a tale situazione pensa ad uno stratagemma geniale: si rivolge a Guy de Nuitville e ad un gruppo ristretto di normanni. Ibn al – Athir è quello che si avvicina di più alla verità, ma sarà, più tardi, lo scrittore della «Chronica Slavorum», Helmond, che informerà il mondo, paradossalmente, dei fatti.
Chi è Helmond? Lo vedremo più tardi quando il Velo diventerà la proprietà segreta e venerata dei Cavalieri Teutonici. Boemondo dice: «Mes bons messeus, se qui non c’inventiamo una bella bufala soccombiamo. Io sono astuto, qui veut dir prudent, e ho pensato ad una soluzione, j’irai devant et vous apres… ascoltatemi…» E rivela il suo piano. Poi dice: «Portatemi quel puttaniere che dice di parlare con Sant’Andrea e sistemiamo le cose». Il visionario arriva tremante per la paura, si chiama Pietro Bartolomeo ed è il servo di un pellegrino provenzale chiamato Guglielmo Pietro. Boemondo e il pazzo confabulano per un’ora, poi il visionario dice: «Ma è un sacrilegio…». E Boemondo: «Tu lo fai per Dio… si pour remercier Dieu… e poi avremo tresors immense d’or… et moult de fames… e pure belle, tettute e con gli occhi di brace…». Il visionario, un notorio puttaniere si lecca i baffi. «Ma che devo fare?» Chiede. Boemondo spiega: «Karboqa è sistemato lungo l’Oronte, presso il Ponte di Ferro, e tu per salvare l’esercito e spingerlo a un’azione risolutiva devi annunciare che hai trovato la lancia di Longino nel luogo che i maomettani chiamano Kusyan. Noi seppelliremo in quel posto, nella notte, una vecchia punta di una lancia, e tu sosterrai che Sant’Andrea ti ha indicato dove la lancia è sepolta… tanto tu a sparar balle sei un maestro!». Anna Comnena quando scrive del ritrovamento della lancia si confonde: dice che si tratta di un chiodo della croce del Cristo Gesù e che il visionario è Pietro l’Eremita. Raymond de Aguilers, invece, senza alcuna esitazione, s’ingoia la patacca. Ibn al – Athir, da buon musulmano, scrive che lo stesso Pietro Bartolomeo, definito un «furbo monaco», ha sepolto la lancia nella terra del Kuysan.
Pietro Bartolomeo ascolta Boemondo e, tremebondo, si presta ad elargire la balla e a raccontare che è stato più volte visitato da Sant’Andrea. Pensa: «Proh… dolor... questo è un sacrilegio! Ma con i fottuti normanni non si scherza!» E mentre pensa un bruto normanno con un elmo conico sfiora con un dito la lama di un’ascia, mentre Boemondo sorride. «Lo farò per amor di dio!» Dice il mistico provenzale e comincia a sparare bufale. Il 10 giugno 1098, Pietro Bartolomeo, vestito poveramente si presenta davanti a Raimondo di Tolosa e ad Aldemaro, vescovo di Le Puy, e racconta che il 30 dicembre, un uomo dai capelli argentei – che ricordava vagamente la visione dell’Apocalisse di Giovanni – si era manifestato, davanti ai suoi occhi increduli, insieme a un giovane di bellissimo aspetto. Spiega ai due nobili che l’uomo era Sant’Andrea che diceva di essere stato trasportato, per volontà divina, nel Kusyan, che sarebbe la vecchia cattedrale di San Pietro divenuta moschea. Pietro Bartolomeo narra che Andrea si era «tuffato» nel terreno, aveva estratto dalla terra una punta arrugginita di lancia e gli aveva detto che quella era la punta dell’asta di Longino. Poi aveva nuovamente sepolto il ferro nel terreno. «Dammela!» Aveva implorato Pietro Bartolomeo «Trovala!» Gli aveva risposto Andrea ed era svanito. L’apostolo gli aveva, inoltre, ingiunto di presentarsi da Raimondo e da Aldemaro per informarli del fatto mirabile, ma, lui, temendo di essere preso a calci, non lo aveva fatto e per questa ragione era stato punito con una forma di cecità. Pietro Bartolomeo continua il racconto e dice che Andrea ci aveva riprovato il 20 marzo ma che lui, timoroso, non aveva rischiato il contatto con i nobili normanni. «Perché non l’hai fatto?» Raimondo chiede. «Perché temevo per la mia vita e perché il mio padrone mi aveva costretto a
viaggiare con lui. Per questo non ho avuto la forza e la possibilità di rivelare le cose che il santo mi aveva ordinato di riferire». E racconta che aveva preso parte alla battaglia del 10 giugno e si era miracolosamente salvato. Boemondo che ascolta la storia, lo prende da parte e gli dice: «Non esagerare con l’immaginazione. Sii avaro di parole. Controlla la tua loquacità. E ricorda: tu molli la bufala e io ti faccio saltare due mignotte eretiche nel letto insieme a sei pezzi d’oro!». Il mistico si morde il labbro inferiore e sparge la bufala tra i Franchi. Quando Pietro Bartolomeo finisce la storia, Raimondo resta con gli occhi sbarrati per la meraviglia, ma Aldemaro, non ingoia la bufala e mormora: «Eh… quante cazzate raccontano gli uomini per un po’ d’attenzione!… Per un po’ di considerazione camminano con le chiappe del culo per terra invece che con i piedi… te lo ricordi quel deficiente in cima alla colonna a Costantinopoli e Alessio che l’ammirava? Questo puttaniere provenzale, per due pezzi d’oro e una mignotta monofisita, ti racconta che ha cenato col Cristo Gesù a base di porcello… e poi esiste già una lancia di Longino… è a Costantinopoli!». Ma Raimondo non demorde, si è ingoiato la bufala e si segna: «Forse non è quella vera!». Boemondo sorride ed attende. ano alcuni giorni dal racconto di Pietro Bartolomeo e l’isteria collettiva comincia ad avere effetto. Stefano di Valencia, uno stimato prete, comincia ad avere la mente obnubilata da visioni mistiche. Racconta che ha visto Gesù; e poco dopo anche San Pietro fa capolino: l’immaginazione mistica galoppa sfrenata. La voce delle visitazioni miracolose si diffonde. L’isteria brucia furiosamente come una foresta in fiamme in un giorno ventoso. Boemondo gongola. Aldemaro vacilla: Stefano è un sant’uomo, non è un puttaniere da quattro soldi.
Pensa: «Vuoi vedere che stanno veramente intervenendo i santi?» E davanti al fervore del prete spagnolo cede e fa giurare ai nobili Franchi che non lasceranno Antiochia per evitare Karbuqa e la battaglia. Boemondo sghignazza. Il 15 giugno Pietro Bartolomeo con 12 persone tra le quali Raimondo, il vescovo d’Orange e lo storico Raimondo d’Aguilers, un boccalone leggendario, lavorano tutto il giorno per trovare la lancia scavando nel terreno della chiesa – moschea. Alla fine, esausti, stanno abbandonando l’impresa quando il mistico provenzale salta in un buco profondo e viene fuori con la sacra reliquie. Alleluja!!!!!!! Boemondo si sganascia dal gran ridere. L’esercito franco freme per la battaglia e la sacra lancia opera il miracolo. Pietro l’Eremita offre nel campo di Karbuqa la soluzione della scontro attraverso tenzoni individuali. L’atabeg non accetta. Si combatte. Karbuqa vede i Franchi uscire dalla città ed attende. Wattham ibn Mahmud, il comandante delle forze arabe, insiste per attaccare. L’atabeg rifiuta. Errore madornale. Gli emiri gongolano. I Franchi escono dalla città dietro la sacra reliquia e avanzano, mentre l’esercito musulmano minato dal tradimento comincia a liquefarsi: Duqaq è preoccupato per gli sviluppi tra l’Egitto e la Palestina, Turchi e Arabi litigano, cominciano le defezioni. È il 28 giugno e Boemondo schiera l’esercito. Sei armate: i si e i Fiamminghi di Ugo di Vermadois e di Roberto di Fiandre, i Lotaringi di Goffredo, i Normanni di Normandia del Duca Roberto, i Provenzali e i guerrieri di Tolosa del vescovo Le Puy, i Normanni d’Italia di Tancredi e di Boemondo. Guy de Nuitville è con loro.
Raimondo di Aguilers, il boccalone per antonomasia, procede l’esercito che avanza con la patacca di Longino sollevata in alto, quasi fosse il sacro Graal. Boemondo mormora a Guy: «Guarda come procede fiero, Raimondo, con il suo ferro arrugginito». E si sganascia dal gran ridere «Dio ci perdoni!» Risponde Guy. Karbuqa si accorge – scrive Ibn al – Athir – che Duqaq e gli emiri lo stanno abbandonando e, terrorizzato, chiede una tregua ai Franchi che non accettano e avanzano. Gli emiri si comportano verso l’atabeg come i giocatori di una squadra di calcio che vogliono disfarsi di un allenatore ingombrante e pensano: meglio perdere la partita che continuare a tenerci il gaglioffo. Meglio perdere la battaglia, eliminando Karbuqa, e poi pensare, più tardi, ai Franchi. Karbuqa, preso atto della drammatica situazione, tenta un’ultima mossa e cerca di sorprendere il fianco sinistro dei crociati con una manovra aggirante. Boemondo risponde formando un settimo schieramento agli ordini di Rainaldo di Toul che contrasta vittoriosamente l’attacco. L’isteria mistica galoppa come un focoso destriero: i crociati vedono cavalieri su bianchi destrieri sotto vessilli candidi: sono San Giorgio, San Mercurio, e San Demetrio. Kerbuqa disperato brucia i campi. Ora è solo e abbandonato. Gli rimangono fedeli solo due emiri Soqman e quello di Homs. La disfatta è vicina e l’atabeg ordina la ritirata imprecando contro la vigliaccheria di Duqaq e degli emiri. Ne viene fuori un’incontrollabile rotta. Ibn al – Athir dice che l’esercito selgiudico si disintegra senza dare battaglia e che i crociati, temendo un’imboscata, non inseguono i musulmani in fuga. Il mondo dell’atabeg crolla. Il suo potere si scioglie come neve al sole. Per l’Islam è una grande vergogna. Anche Ahmed ibn Merwan cambia casacca e si arrende aprendo le porte della
cittadella, e diviene un devoto cristiano fino al punto di combattere con Boemondo contro i maomettani. Tancredi ride: «Dio Santo ha funzionato la patacca!». Mentre Pietro Bartolomeo cavalca in un letto con due armene monofisite Boemondo sussulta dal gran ridere: «Proh dolor!» grida «l’ho fatto per amore di Dio! Ah ah ah ah…» . Il giorno dopo la battaglia quattro normanni muniti di elmi con nasale e coperti di cotta di maglia, abbattono la porta di una casa a colpi d’ascia. Un uomo vecchio calvo e tremebondo, chiamato Gregorio, s’inginocchia davanti ai giganti franchi e raccolto in preghiera attende il colpo mortale. Tre donne urlano disperate. Un franco, dagli occhi di cielo, si è sfilato l’elmetto, ha conficcato uno spadone nel pavimento, ha gettato sul tavolo otto pezzi d’oro e ha detto: «Gregorio, mi chiamo Guy de Nuitville e sono qui per salvarti!»
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Il gay con il «Sony – Body True 34» si avvicina sorridendo e Mosul gli fa l’occhietto. L’Acontour si accarezza gli splendidi capelli ondulati e riparte: «Quello che ha sorpreso il mondo, dopo lo scisma di Celestino VI, è stato che Quimper ha espresso lo stesso parere riguardo al problema della proliferazione incontrollata delle nascite… incredibilmente, Mosul, lei si è trovato d’accordo con il Gesù se…». «La malattia della terra è la nostra sovrabbondante presenza che contamina il pianeta come una lebbra. «Una malattia sulla pelle della terra» scrisse Nietzsche. Dovremmo essere non più di due miliardi ed ora, invece, siamo quasi dieci miliardi… una follia immonda promossa anche dagli eunuchi che governarono la Chiesa cattolica – e ora ne governano una scheggia – e dai fanatici protestanti… una cosa terribile, che è sfuggita a molti…».
«Ma la tecnologia?». «La tecnologia è un’arma a doppio taglio…». «Ma non è la tecnologia che ha provocato l’Apocalisse del Medio Oriente?». «Mi ascolti, signora Acontour, oggi, ho un’occasione – per quello che vale la mia opinionepiù unica che rara per difendere la terra e bisogna che la sfrutti…». Ho alzato i piedi e mi sono stravaccato sul divano, sto stringendo, per l’emozione che provo, la mano di Marlene, la mia adorata bambola robotica. Ho messo in pausa il Saba 250: Mosul e l’Acontour sono congelati, trafissi nell’attimo. L’Anticristo è immobile con un pezzo di carta consunto tirato fuori da una tasca che lo aiuterà a proclamare il suo umile verbo. I dati sono minuziosamente riportati nel “Messia Limitato”. Quello che intona Mosul – che sembra un antico profeta israelitico – è il cantico della rovina del mondo, il cantico del massacro delle creature, ma senza riferimenti ad un Dio offeso, al quale non crede. «Marlene cara, mi emoziono sempre con questo pezzo. Mi viene da piangere, immagino mio padre, in un angolo della grande hall, che lacrima a profusione come ha scritto nel Diario Segreto…». «Yes dear!». «È che la rovina della terra da parte della mia specie mi offende e mi fa disperare… scusami se piango… ma chère!». «Yes dear!». «È che abbiamo fottuto il mondo e io sono inconsolabile… ah come aveva ragione, Mosul..». «Yes dear!».
«Ma come abbiamo fatto a distruggere la terra con il nostro consumismo dissennato ed osceno, meine liebe? ». «Yes dear!». «Fammelo sentire di nuovo l’Anticristo, adorata, prima che ritorni quel nano ripugnante con la sua mignotta – apocalittica, ma lasciami stringerti… ho bisogno di una bella coccola… un po’ di tenerezza, my darlig, questo terribile sermone mi fa squagliare, mi fa liquefare… mi si piegano le gambe!» «Yes dear!». Che dice quel giorno Mosul all’Acontour e al mondo? Dice: nel 1800 eravamo un miliardo di persone. Nel 1950 eravamo diventati 2 miliardi e mezzo. Nel 1994 oltre 5 miliardi e mezzo. Ora nel 2044 siamo quasi 10 miliardi. In 50 anni, dall’anno 1990 al 2040, abbiamo contaminato l’80% della superficie terrestre . L’ecosistema è stato mortalmente ferito. Il 25% delle totalità delle specie è andato distrutto. Il 45% della riserva ittica, è stato sfruttato. Gli uccelli muoiono 50 volte di più del ritmo abituale. La nostra specie egemone consuma oltre il 45% delle risorse del pianeta. La terra che ci ha dato il cibo per millenni è ormai degradata e troppo usata. Piogge violentissime hanno assunto, ormai, carattere monsonico. Tornado tremendi devastano le coste del mondo. Il terreno, ormai privo di vegetazione, è prono ad alluvioni tremende che
devastano le città della terra. La concentrazione di diossina nell’aria ha raggiunto livelli spaventosi raddoppiando dal 2000 al 2044, principalmente, a causa delle emissioni del terzo e del quarto mondo, anche se il primo e il secondo mondo hanno limitato i gas nocivi con l’uso dell’idrogeno. Malgrado il freno europeo e americano alle emanazioni velenose, il terzo e quarto mondo continuano ad emettere veleni a livelli altissimi. Oltre 5 milioni di persone muoiono nei paesi poveri per l’emissione di questi gas nocivi. Oltre un miliardo di persone sono morte per gli stravolgimenti atmosferici provocati dalla follia della nostra specie. Due miliardi di uomini abitano spaventose bidonville. Un quinto della popolazione del mondo consuma il 90% delle risorse del pianeta. Il 40% delle risorse umane si sono dissolte nel nulla a causa della dissennatezza dei nostri sistemi economici. Malgrado l’esplosione del «vegetarismo» che ha, notevolmente, ridotto il problema della fame del mondo, ancora oggi, a causa dell’esplosione demografica, 900 milioni di persone soffrono la fame sulla terra. 27.000 persone al giorno continuano a morire di fame mentre il 24% della popolazione del mondo consuma il 78% di quanto produce la terra. 120.000 bambini muoiono ogni anno per malattie che potrebbero essere curate. Il 6% della popolazione del mondo usa il 27% dell’energia globale. Il 26% della popolazione mondiale sopravvive con tre eurodollari al giorno. L’economia degli Stati Uniti Africani è tragicamente dissestata. Il 65% del mondo non ha più acqua da bere. La deforestazione ha raggiunto livelli micidiali: le foreste canadesi, amazzoniche, africane, europee e quella delle nevi sono state ridotte del 24%. Ogni dieci anni si distruggono, con immensa regolarità 90 milioni di ettari di foreste. Le «wetlands» sono state ridotte del 50% in un secolo. Le specie ospitate nelle foreste sono diminuite del 23%. La desertificazione
avanza. Ad esempio il 26% del territorio europeo è inaridito e certe zone del mondo, come l’Africa subsahariana e meridionale, la Somalia, l’Etiopia, il Corno d’Africa, l’Asia centrale, dal Caucaso russo, al Pakistan e all’Afghanistan stanno diventando inabitabili. Malgrado l’orrore della desertificazione e la mancanza d’acqua gli Stati Uniti consumano 2.256 m3 per persona all’anno contro i 21 m3 annuali del Sudan. Onde anomale tremende hanno provocato le catastrofi che conosciamo. Il mediterraneo è cresciuto di 27 centimetri e per il 2100 si prevede che giunga ad almeno 75 centimetri. Nel sud dell’Europa e in parecchie altre parti del mondo molte coste sono svanite a causa del continuo sciogliersi dei ghiacciai. Non nevica quasi più oltre i 1500 metri…… eccetera… eccetera… Alla fine dell’omelia – che riporto marginalmente perché già trascritta minuziosamente nel “Messia Limitato” e ripresa totalmente dal filmato – l’Acontour domanda: «E la soluzione quale sarebbe?». «Ridurre le nascite drasticamente». «E come farebbe questo? Con la coercizione?». «Anche…». «Suggerisca qualcosa…». «Quello che Jean Viadoux ha suggerito ne «Il Mondo del Non –Dio», che qualcosa o qualcuno faccia svanire mezza specie umana dalla terra…». «Come “L’esercito delle 12 Scimmie” con Bruce Willis?». «Non esageriamo… mi sorprende che conosca quel vecchio film… lo ricorda per Bruce Willis o per il significato del film?». «Per il film… mi spieghi……». «È sfuggito a moltissime persone che in quel film i terroristi fanno svanire dalla
terra cinque miliardi di esseri umani…». «È questo che auspica?». «Io non auspico la morte di nessuno, ma una volontaria diminuzione della specie affinché il pianeta ritorni a respirare…». «Ma siamo andati su Marte…». «Quando il mondo sarà inabitabile, su un altro pianeta, per sopravvivere ci andranno solo i ricchi e i potenti, le masse rimarranno a morire sulla terra avvelenata…». «Ma allora, se bisogna usare la coercizione per diminuire le nascite, non vale la pena – e lo dico come ovvia provocazione – di lasciar morire di fame i poveri?». «Una soluzione atroce… io dico di diminuire volontariamente le nascite ed usare la tecnologia solo in modo pacifico…». «E se c’è un pericolo islamico di terrorismo come la devastazione di Denver?». «In quel caso, senza esitazioni, affronterei il terrore con le armi… e poi io, semplicemente, abolirei le religioni… anzi ne inventerei una nuova…». «Come i Figli della Luce…». «Già… un tentativo brillante, signora». «Già… un bel signore canadese di 35 anni, Bill Wintour, un giorno si mette in testa di salvare gli animali e proclama un nuovo verbo. Racconta che un angelo luminoso gli è apparso e che gli sta trasmettendo un nuovo vangelo. Dice che l’angelo luminoso, Ramel, gli ha ingiunto che non bisogna uccidere esseri viventi». «E Bill si mette d’accordo con un paio di buontemponi che fanno finta che è avvenuto un miracolo. La figlia di Jimmy Brown dice di essere stata guarita dalla paralisi. La sera bevendo un paio di birre con gli amici, Wintour, se la ride a crepapelle
per la dabbenaggine della gente». «Corre l’anno 2033 e le animaliste attratte dall’idea dell’angelo luminoso e candido cominciano ad affollarsi, come fiocchi di neve a gennaio, intorno al nuovo Messia che predica veganismo assoluto e libero sesso…». «Ci è cascata anche mia figlia…». «Si. Ho letto… si sarà divertita, spero?». «Faccia attenzione Mosul, un milione di persone la stanno ascoltando…». «E allora? Si è divertita o no?». «Non rispondo..». «ons… quello che avviene di strabiliante è che i vegetariani divengono per alcuni anni la maggioranza nell’intero mondo… e l’Angelo che racconta?». «Racconta che le vecchie religioni vanno completamente abbandonate… sono obsolete, gli hidolbisti… cioè i nuovi animalisti gli “humans in defense of living beings” si ingoiano la patacca per tre anni… il movimento raggiunge un miliardo di proseliti…». «Poi un’apostata, Tom Radford, tradisce il messia animalista – hidolbista per un milione di eurodollari e per le splendide e sode natiche della giornalista Janet Fossey – Brown…». «E tutto crolla… ma un gruppo di fedelissime restano…». «Un po’ come l’apostasia di Sabbatai Zevi… i fedelissimi rimangono sempre…». «E perché ?». «Perché non sanno dove andare!» «Molto spiritoso…». «Ma lei, signora Acontour, che pensa della professionalità della Fossey – Brown?».
«Io non giudico mai…». «Eh… come la capisco… non molto professionale la giornalista australiana… non crede?». «I don’t judge!» «E lei che avrebbe fatto?». «Avrei rifiutato… obviously!». «Un’autentica professionista! Non c’è che dire…». «Le faccio una domanda, Mosul: se incontra un bambino affamato e un cane randagio ugualmente affamato, cosa farebbe?». «Prenderei un pezzo di pane e lo dividerei in due parti, darei metà del pane al piccolo e l’altra metà la dividerei con il cane… ora le faccio io una domanda… posso?». «You may…». «Come fa una santa donna americana a cibare sua figlia di carne di vitello sapendo che quella creatura disgraziata ha sofferto terribili pene in un’oscena prigione? Come è stato possibile per millenni essere stata una persona perbene e far ingoiare alla propria figlia pezzi di cadaveri avvelenati dallo strazio? Mi risponda…». «Sono scelte individuali…». «There! All is clear now…». E qui avviene la seconda interruzione. Si riprenderà la mattina dopo e una volta conclusa l’intervista andrà immediatamente in onda. Mio padre ride sotto i baffi. «Eh… la gran troia perbenista!» pensa «ti ha messo a gambe all’aria eh? E squittivi come un porcello!». L’Acontour si avvicina a Mosul e bisbiglia: «You are a fuckin’ bastard!». E Mosul: «Si prepari degnamente e venga a concedersi… la voglio vibrante e
tesa come un arco… non mi deluda perché potrei interrompere l’intervista…». «Ma non ti vergogni? Questo è un sordido ricatto…». «No… è semplicemente prostituzione mediatica… ah ah ah…».
Telonie
Gesù sta ballando e contempla fissamente, come ipnotizzato, le immagini dei sosia degli Everly Brothers che cantano e si agitano ritmicamente dietro due immense chitarre. La Betsy dà chiari segni d’insofferenza. Le grandi finestre della casa di Baton Rouge sono state oscurate per permettere l’esibizione virtuale. Quimper ha la barba lunga ed è totalmente sbracato su un divano polifunzionale Phillips con braccioli a dispositivi elettronici dai quali è possibile attivare anche un proiettore di scenari cinematografici su pareti e soffitto. La Howell è, come al solito, discinta. Gesù ondeggia accompagnandosi ai cantanti virtuali dal curioso look anni 50’ che hanno capelli lunghi, imbrillantinati e pettinati all’indietro, scarpe con suole spesse, calzoni strettissimi tipo “drain pipe” e giacca alla “teddy boy”. La moda dei pianisti “boogie-woogie” e del rock’n roll. I due giovani stanno cantando una canzone che ricorda, a livello “pop”, Calderon de la Barca e la sua «La Vita è Sogno». Mentre Gesù dondola, Betsy sfoglia un settimanale “glossy” pieno di luoghi comuni e vuotaggini sugli amori dementi delle “Star”. «Quimpy… my love, leggi… hanno fatto are James Mc Evedy per un grande Don Giovanni… ma è più “bent then a hook”…» «Vuoi dire che è frocio?». «Strafrocio…». «Interessante…». «Quimpy… sono la tua Maddalena?». «Yeeeh… yeaaah…». «Ma non sembri molto convinto… non mi parli mai, hai sempre fretta e poi quella stupida musica antidiluviana… ma ci sono fior di cantanti in quest’epoca e tu stai sempre ad ascoltare questa roba stravecchia… ma è di un fottuto secolo fa!».
«Ehhhhh…». «Ma rispondimi… tu mi hai estratto dalla fogna lussuriosa di Baton Rouge e mi hai dato la luce… mi hai scelto come la tua nuova Maddalena… ed ora mi trascuri…». «Ma si… che strazio infinito… ma si, sei la mia Maddalena ci mancherebbe altro… ma non rompere…». «Lo dici senza convinzioni…». E Betsy si getta in gola una pasticca di White Lux. Quimper fa un movimento con un dito come se si tagliasse la gola e dice: «Così ti fotti. La droga finirà per succhiarti quel cervello d’oca giuliva che hai…». «Si! Mi fotto il cervello per te… lo sai..no? Mi sento abbandonata… my sweet love… please speak to me… pleaseeee…». «Whooooo… che palle… e va bene…». «Puoi far svanire quei due scemi vestiti da idioti?». «No… ma tu parla…». Gli Everly stanno invitando a sognare:
Dream, dream, dreeeeeammm Dream, dream, dreeeeeammm When I want you in my arms when I want you and all your charms
whenever I want you all I have to do is dream…
«Ma sei veramente il Redentore?». «Sono un “fucking freak”, un mutante usato misteriosamente da mio padre…». «Una cosa però è stata provata: il Cristo è esistito veramente e tu sei del suo sangue… hai lo stesso DNA». «E chi lo ha mai messo in dubbio che è esistito? È quello che è stato riportato dagli evangelisti che è balordo…». «Ma anche Giulio Cesare…». «No cara, non ti confondere, sei mostruosamente ignorante… era Tiberio l’imperatore del tempo del Nazareno… si, Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio hanno parlato di lui… e poi ci sono le lettere di Paolo… e Giustino… e via…». «Ma tu dici sempre che è stato Paolo a combinare mostruosi casini…». «Certo… però l’esistenza del Cristo è innegabile… sono le pippate che costruiscono sull’essenzialità della sua storia che creano il monumento barocco della menzogna…». «Tipo la verginità di Maria?». «Ehhhhh… sua madre aveva altri figli e figlie… Giuda, Simone, Ioses, Giacomo, dai… non farmi ripetere… voglio sentire gli Everly Brothers……». «Giacomo quello del DNA?». «Brava… quak, quak…». «Sai cosa odio? Quando ti rivolgi alle donne con quell’aria scocciata e arrogante…». «A te… non alle donne… E poi molla quello stupido femminismo antidiluviano,
voi americane non avete solo castrato gli uomini, gli avete polverizzato il cervello!». «Si, lascia perdere… tu hai il DNA di un giudeo dei tempi di Alessandro Magno!». «Tiberio… ignorante… Alessandro è morto 323 anni prima che nascesse il Nazareno…». «Vedi che mi umili…». «Ma no, ti correggo…». Gli Everly Brothers imperversano:
When I feel blue in the night and I need you to hold me tight whenever I want you all I have to do is dream Dream, dream, dreeeeeammm Dream, dream, dreeeeeammm.
«E allora… spiegami la verginità di tua zia?». «Si, mia zia! Hanno sparato bufale terribili con la patacca della verginità… Ci sono protovangeli che fanno sbellicare dalle risate…». «Ma tu credi che sia stato crocifisso e che sia risorto?».
«Crocifisso non risorto». «Ma scusa se tu hai resuscitato un bambino – e così ha fatto Mosul – perché tuo padre l’ha permesso, non può, Dio, avere resuscitato anche il Nazareno?». «Lo poteva fare… ma non l’ha fatto. Lui era stato inviato con un messaggio essenziale che è stato travisato…». «E sarebbe?». «Ama gli altri come te stesso… il resto è tutto un balenare di bufale e un luccichio di patacche…». «Insomma la verginità…» «Se l’è inventata Luca… dai… fammi sentire gli Everly…». «Nooooo… parla con me… you fuckin bastard!» «Ma si… tutte le pippate… bellissime… arcane… ma vere menzogne… lui viene per annunciare solo questo: ama gli altri come te stesso…». «Ed ora Mosul invece dice ama gli esseri tutti come te stesso… l’hai sentito ieri?». «Non proprio, dice: rispetta gli esseri tutti come te stesso… è differente…». «In che senso?». «Nel senso che lui ovviamente non ama, ma rispetta… Gesù amava ed era contro ogni forma di violenza… Mosul… no… lui la violenza verso l’oppressore la giustifica…». «Anche verso coloro che fanno male agli animali?». «E alle piante…». «E tu invece…». «Io me ne frego di animali e di piante… è roba da vecchie signore…».
«Ma amor mio veramente non pensi che il Nazareno sia risorto?». «No… e quelli che la menano con una resurrezione semplicemente spirituale e non fisica… prendono per il culo…». «Ma Paolo ha detto che è tutto vano se non è avvenuta…». «Ed è lui, infatti, che crea il casino… quello è mandato da mio padre per trasmettere un messaggio non per essere risorto ed essere assunto in cielo…». «Ma tu morrai?». «Certo che morirò… non ci sono dubbi!». «In che senso siete figli di Dio, tu e il Nazareno?». «Nel senso che la luce di Dio è più presente in noi che in Hillary Clinton o James Taylor o nel postino che cerca sempre di guardarti quando sei nuda…». «Ed io lo lascio guardare… poi lui si masturba…». «ah..ah..ah…». «E Mosul è figlio di Dio?». «Questo no… lui è di paternità dubbia». Gli Everly stanno descrivendo labbra bagnate di vino:
I can make you mine taste your lips of wine anytime night or day only trouble is gee wiz I’m dreaming my life away
Dream, dream, dreeeeeammm Dream, dream, dreeeeeammm
«Betsy baby, che significa gee wiz?». «È un’espressione idiota americana… come dire: oh wow…» «Ah… gee wiz… lo senti che canta quel coccò antidiluviano? Che si sogna via la vita… Se la fuma via per una donna, ho letto che un italiano, una volta, disse che l’amore è roba da cameriere… proprio vero…». «Ecco: mi fai sentire inadeguata…». «E che ci posso fare…». «Puoi amarmi… come mi hai amato quando mi hai posseduto per la prima volta…». «Ma tutto a… il miracolo mi ha succhiato e dissolto la forza vitale…». «Mi spezzi il cuore…». «Lo sai che penso? Penso che il regno di mio padre è come il mondo delle particelle subatomiche che transitano dal ato al futuro senza problemi. E possono sdoppiarsi ed apparire, come i santi di un tempo in vari luoghi. Insomma tempo e spazio sono aboliti nel regno di mio padre. Ma che da questa vaga cognizione scaturisca l’idea che questo «io» tremendo, questo mostruoso “ego” sopravviva uhhhh… ce ne vuole…». «Allora nulla sopravvive?». «Non so… ma una volta che le barriere egotiche vengono meno il “Sé” luminoso si proietta in un nuovo esistere, ma senza un centro aggregante… ma come faccio a spiegarlo? Ci penso sempre… quest’idea mi tortura… mi consuma…». «Ti torturi honey baby?…». «Si… è vero… ma sono un mutante che ha operato l’indicibile…».
«Ma l’altra sera che ti ha detto Bellestrini riguardo a Mosul e all’Acontour?». «Bella l’Acontour…». «Una troia guatemalteca… ma che ha detto?». «Ha detto che Mosul è l’Anticristo… il fatto che protegge con tanto rispetto il non - umano, e dona tutto quello che guadagna ai poveri e agli animali sofferenti fa pensare che sia il figlio del Nemico». «E tu che pensi?». «Penso che come sempre, questi eunuchi in gonnella, elargiscono a piene mani “fuck talk”, cazzate… noi siamo la personificazione di due arcane forze che più di combattersi si confrontano. Io, però, non capisco… e non condivido l’interpretazione di Mosul sui due principi che si equilibrano… la mia forza viene da mio padre – questo lo so – ma la sua non so se proviene da Satana… su questo sono confuso… una cosa so: io non odio Mosul e lui non odia me…». «Ma la gente sta attendendo che tu dica qualcosa…». «Io posso solo dire quello che ho già detto…» «Ma i cristiani stanno interpretando gli eventi in maniera particolare…». «Ma è colpa di quel pazzo che ha scritto l’Apocalisse a Patmos…» «Giovanni?». «Già… l’Apocalisse la interpretano tutti come credono, ognuno dice la sua… senti quello che stanno cantando quei due zombi?». Sorridenti, gli Everly Brothers, solfeggiano:
I need you so that I could die I love you so
and that is why whenever I want you all I have to do is dream Dream, dream, dreeeeeammm Dream, dream, dreeeeeammm
«All I have to do is dream… si… è vero… sogno il regno di mio padre senza spazio - tempo, sogno la mente oltre i limiti imposti dal cervello che è lo strumento – prigione dell’anima…» «Insomma, nel regno di tuo padre il tempo non esiste?». «Il tempo per un cane è una cosa per l’uomo è un’altra, per mio padre non esiste… il tempo te l’aggiusti come vuoi… non hai notato che dopo il miracolo di Mosul, gli Hidolbisti, hanno cambiato il calendario?». «Si, non più dalla nascita del Nazareno… ma… da chi?… Non ricordo». «Dalla morte di Mahavira, il 528 a.C… così oggi, per loro, il nostro 2044 è diventato il 2575». «Ma perché?». «Perché Mahavira è il primo che affronta il problema della sofferenza degli esseri viventi… è il primo, secondo gli hidolbisti e i Libuisti, che affronta radicalmente il problema del non umano…». «Certo che gli uomini sono strani con le loro filosofie ed ossessioni…». «Eh… gli uomini…». «Che vuoi dire, beloved?». «Ieri pensavo a un diplomatico immaginario che va a trattare per evitare un’altra guerra nucleare, ma non caga da sei giorni. Io scommetto che è più preoccupato
dal fatto che non defeca che per il rischio della fine dell’esistenza umana su questo pianeta. Mosul ha ragione siamo una specie disdicevole…». «Ma no qualcosa di buono è avvenuto si è aperto il aggio a Nord Ovest…». «Ahhh… ecco… intanto il vostro “Space - Based Infra Red System” è saltato di nuovo… il vostro scudo spaziale – creato durante la presidenza del deficiente Edwards – ha sparato per errore una pernacchia nucleare sul Bangladesh. E sono morte 200.000 persone…». «Molto triste…». «Ecco… dopo la perla misericordiosa della grande diva possiamo seppellire 200.000 disgraziati…». «Mi dispiace… che devo dire?». «L’altra volta saltò il “X - Band Radar” e avete fatto fuori 130.000 nepalesi… mi pare fosse il 2039…». «Dopo Bush, Hillary Clinton, e John Edwards non ci voleva pure Taylor…». «Ma ci dobbiamo difendere…». «L’America, sorridendo, ha demolito l’anima del mondo…». «Ma perché siete tutti antiamericani?». «Cambiamo discorso… parliamo di cose serie… l’Acontour, secondo te, l’ha concessa la patacca al figlio di Satana?». «Ti piace l’Acontour vero, Quimpy?». «Senti… niente soap opera… rispondimi…». «Ma quella è una troia, per un’intervista si fa spaccare il culo da un elefante…». «Ma Mosul non mi sembra il tipo… ironico, austero… e devo dire simpatico…». «Ma si che gliel’ha data la fica d’oro e profumata.… certo… si capisce…».
«Strano quell’italiano che accompagna sempre Mosul…». «Polpet…». «si Polpet… polpetta significa “meat ball”… Polpotta è il nome…». «Che nome strano…». «Ma lo sai chi era Pol Pot?». «Un monaco buddista…». «Ecco… un monaco buddista che elargiva a milioni di cambogiani il nirvana…»
When I want you in my arms when I want you and all your charms whenever I want you all I have to do is dream Dream, dream, dreeeeeammm Dream, dream, dreeeeeammm
Gli Everly Brothers si ritraggono, trascinando le grandi chitarre nell’oscuro.
*****
Guy de Nuitville parla con calma al vecchio Gregorio e spiega l’assoluta necessità dei Franchi di possedere il velo di Marta che, come la lancia di Longino, aprirà miracolosamente la via verso Gerusalemme. «Ti diamo questi pezzi d’oro e ti garantiamo l’incolumità per te e la tua famiglia… lo sai che stanno massacrando tutti?». Gregorio s’inchina, fa un segno alla figlia che ritorna con un cofanetto che contiene il velo. «È per il papa di Roma?» Chiede. «Si, è per lui». Risponde Guy. Umberto, uno dei normanni, mormora a Guy: «Ma perché dai dell’oro a questo monofisita eretico? Tagliamogli la gola, ci fottiamo le figlie, accoppiamo la vecchia e ce n’andiamo con il velo!». «Ascolta… bestia» risponde de Nuitville «se lo fai ti scindo in due… non lo vedi che il vecchio è un santo… e i santi non si uccidono, porta male». «Buon uomo… ecco l’oro… e un salvacondotto firmato da Boemondo. Ora è meglio che abbandoniate subito la città, questi Franchi vi scorteranno oltre La Porta di Ferro che è la più sicura, e vi accompagneranno ad Alessandretta. Sappiamo come attraversare lo schieramento dei maomettani. Più tardi potrete ritornare. Qui è troppo pericoloso: massacrano tutti ed io non voglio la vostra morte!». Gregorio accetta e consegna il velo, poi si rivolge a Guy e dice: «Bada, perché un’antica profezia rivela che dalle pieghe di questo velo nascerà anche l’Anticristo». Giordano traduce. «Che vuoi dire quando dici: anche l’Anticristo?» Chiede Guy. «Non so cosa voglia dire la profezia ma qualcosa di grande e terribile nascerà simultaneamente da questo velo…». «E chi l’ha fatta questa profezia?».
«Si dice che l’abbia fatta un eremita morente a Gregorio l’Illuminatore che la riportò a Re Tiridate, il re armeno, colui che introdusse la nostra santa religione in questa terra ferita e lacerata». «E disse solo questo?». «Disse: bada uomo, che dalle pieghe di questo velo nasceranno, simultaneamente, il Cristo del Secondo Avvento e l’Anticristo. E questo avverrà dopo il martirio del popolo armeno». «E tu ci credi?». «Con tutta la mia anima». «Con tutta la tua anima… eh?». «Franco, come ti chiami?». «Mi chiamo Guy de Nuitville». «Guy de Nuitville, preserva questo velo con santa devozione e ricorda: questa reliquia sacra può distruggere o redimere. Salva la mia famiglia, ma io resterò qui, presso la nostra povera chiesa». Guy de Nuitville si commuove e si segna. «Perdonami, vecchio, ma questo velo ci porterà a Gerusalemme!». «Ve lo auguro, uomo, meglio nelle vostre mani che in quelle di Alessio o degli infidi maomettani». Il gigante coperto di ferro, s’inchina ancora, chiama Ruggero e gli dice: «Umberto viene con me, non mi fido di Umberto, è una bestia… tu, Ruggero prendi un distaccamento di venti cavalieri e accompagna la famiglia del vecchio ad Alessandretta. E che non sia torto a questa gente un solo capello o io vi ucciderò. E tu, Giordano, resta con Gregorio e fa si che nessuno lo sfiori con un’arma. Questi sono gli ordini di Boemondo principe di Taranto e principe d’Antiochia. Non obbedire significa onta e morte!».
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Apro il “softbook reader”, il libro elettronico che contiene il Diario Segreto di mio padre. Erminio ama smodatamente i Normanni. Ama Boemondo e Guy de Nuitville al punto che convincerà Mosul a seguirlo in Puglia a Canosa, nel giugno del 2044, per inchinarsi davanti alla tomba del gigante massacratore. Mio padre ha visitato Canosa di Puglia nel 2010 e ne parla nel Diario Segreto. Canosa è una ridente cittadina, situata nel punto estremo delle Murge, domina dall’alto il Tavoliere e la Valle dell’Ofanto. Nella via principale c’è un’antica cattedrale del XI secolo mostruosamente alterata. Lungo la navata c’è un bel pergamo e una cattedra vescovile sostenuta da elefanti marmorei scolpiti da un maestro chiamato Romualdo, il cui stile ricorda a mio padre Wiligelmo e Antelami. Dal transetto si arriva in un cortile e lì c’è la tomba di Boemondo. Mio padre vorrebbe produrre un film su Boemondo è convinto che sia un soggetto straordinario. Mosul gli mormora che con i soldi che guadagnerà, oltre al clone di Maria, si potrà permettere di produrre anche un film sul Normanno. La tomba di Boemondo è una stranissima costruzione romanica, con chiare influenze orientali, a pianta quadrata, è cinta da arcature ed ha una piccola cupola sostenuta da colonnine. Le imposte bronzee della porta sono di uno scultore del XII secolo: Ruggero da Melfi. Mosul sorridendo obietta: «Ma, Erminio, Boemondo era un massacratore… perché quest’amore?». E mio padre risponde: «Erano tutti «tagliagole» ma questo era simpatico… e poi se non era per lui e Guy de Nuitville… niente sarebbe accaduto». Erminio chiama i Normanni simpatici delinquenti e dice: «Ehhh… in quel tempo si massacravano tutti, ma questi erano scannatori speciali e anche comici». E comincia la sua tirata leggendo da un foglio ciancicato: nel 911 Rollo diventa il
Primo Duca di Normandia. Gli succedono in ordine Guglielmo I «Spada Lunga», Riccardo «Senza Paura», Riccardo III “Il Buono”. Nel 1017 i Normanni fanno capolino nel sud dell’Italia. Nel 1028 nasce Guglielmo il conquistatore. Nel 1041 infliggono, presso Monte Maggiore, una notevole mazzata agli effeminati – così li considerano – bizantini. Nel 1047 il Duca Guglielmo sistema una mezza insurrezione e stabilisce una ferrea disciplina nell’esercito. Nel 1053 si pappano un esercito papale. Nel 1054 sconfiggono le forze di Enrico I e di Goffredo d’Anjou. Nel 1060 arrivano in Sicilia e cominciano la conquista dell’isola. Nel 1066 Gugliemo il Conquistatore invade l’Inghilterra e liquida Aroldo e i Sassoni. Nel 1071 i Normanni sono a Bari. Nel 1072 si sono pappati Palermo. Nel 1081 tentano l’impossibile con Guiscardo e Boemondo, vanno a sfrucugliare l’impero bizantino e sconfiggono, a Durazzo, l’esercito di Alessio. Nel 1091 conquistano l’intera Sicilia. E così via fino alle battaglie crociate ed oltre. Il loro potere è fulgente fino al 1287, poi si eclissa. Mio padre stravede per loro. È affascinato dal tentativo di Guiscardo e di Boemondo di conquistare o depredare l’Impero d’Oriente.
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Guy de Nuitville dopo aver ottenuto il velo di Marta è incuriosito dal vecchio eretico. Boemondo lo incontra e gli chiede: «Hai rubato la patacca?». «Questa è autentica… altro che patacca!» Risponde indignato il Normanno. «Certo… come la lancia di Longino…» replica il principe di Taranto ridendo a crepapelle «e magari fa pure i miracoli!». «Ma in cosa credono questi eretici armeni?» Chiede Guy. «E lo chiedi a me? Sono monofisiti?» Risponde Boemondo. «Che vuol dire?» insiste de Nuitville
Boemondo, allora, chiama Pietro l’Eremita che dà una spiegazione confusa e prolissa della Chiesa armena e del monofisismo. In poche parole non conosce la risposta esatta ma non vuole fare brutta figura. Allora il principe di Antiochia chiama un prete provenzale e chiede: «Tu sei un teologo Radulf?». «Così si dice… signore». «Allora spiega a questi due nobili ignoranti, senza troppi orpelli e con pochissime parole, il significato del monofisismo e in che cosa crede la Chiesa Armena». Si siedono tutti e tre intorno ad un tavolo di noce e Radulf spiega. «Nestorio afferma che il Logos abita nel cuore dell’uomo come in una casa. Maria è la madre dell’uomo Gesù, ma non è «teotokos», vale a dire madre di dio, poiché in quell’uomo lo Spirito Santo alberga come fosse in un tempio. E se noi insistiamo sul fatto che Maria è la madre di Dio commettiamo l’errore degli «apollinaristi» che affermano che Gesù è più Dio che uomo. Mi segui principe?». «Certo… continua…» Boemondo invita il teologo a proseguire sorridendo. «Cirillo sente questa dottrina, si spaventa e dice: «Ecco l’errore degli «adozionisti»: sostengono che Gesù è un uomo adottato da Dio. Segui principe?». «Continua…». «A questo punto Cirillo chiede a papa Celestino di convocare un Sinodo e far ritirare a Nestorio, in dieci giorni, le sue tesi eretiche. Cirillo espone la vera dottrina in dodici «anatematismi». Ma Nestorio non accetta. Cirillo insiste e vuole fare ammettere a Nestorio che in Gesù c’è una sola persona…». «Ed è così?». «Proh Dolor! Principe… per l’amore di Dio stiamo arrivando a Gerusalemme e non lo sai?».
«Mi confondo…». «A questo punto, Teodosio, sempre per l’intervento di Cirillo, convoca un nuovo Concilio ad Efeso che conferma l’unione delle due nature, la divina e l’umana, in unica persona. Cirillo vince ma Nestorio non ci sta ed organizza un contro – concilio che espelle Cirillo dalla Chiesa. Ma alla fine l’imperatore interviene e sceglie le tesi di Cirillo: Maria diventa la «Madre di dio». Ci siamo fino a qui, principe… e tu Guy segui?». «Perfettamente… continua» risponde Guy mentre Boemondo annuisce con la testa. «Ora accade l’opposto: per contrastare Nestorio sorge una nuova dottrina che afferma che l’unica natura di Cristo è più divina che umana. Coloro che affermano questa tesi sono chiamati «monofisiti» e insistono nel dire che Gesù ha una sola natura ma differente da quella degli uomini. Ci siamo, principe?». «Continua…». «Chi si oppone a questa visione divinizzante è considerato un «nestoriano». Durante il concilio di Costantinopoli Nestorio ed Eutiche che sostiene la tesi monofisita, bisticciano a morte. A questo punto papa Leone «il Grande» interviene e sceglie le posizioni di Cirillo. Conclusione: in Cristo ci sono due nature unite in un’unica persona. Poi le cose si complicano, ma questo posso confermare, principe: gli Armeni credono in quello che dichiara Eutiche e non in quello che sostiene Cirillo. E quindi sono scismatici». «E la loro Chiesa?». «La loro Chiesa nasce circa quattrocento anni dopo la nascita di Nostro Signore ed è la più antica Chiesa indipendente d’Oriente. Si dice che fu Tiridate, un persecutore di cristiani, che accettò il cristianesimo dopo che Gregorio «l’Illuminatore», da lui fatto torturare, lo aveva guarito da una grave malattia. Ma fu proprio il monofisismo che fece separare gli Armeni dalla nostra santa Chiesa e li fece cadere nell’errore di Eutiche. Sappiamo che ci furono tre concili, circa 500 anni dopo la nascita di Nostro Signore, in una città chiamata Dvin e durante questi concili la chiesa Armena scelse le tesi eretiche di Eutiche…». «E chi la comanda questa Chiesa armena?».
«Il Katholikos… che vive a Ecmiadzin. Gli Armeni non usano il latino nella loro messa ma la loro lingua…». «Ma lo sai, Guy? Io pensavo che il Cristo Gesù avesse una sola natura divina». «Principe per l’amore di Dio taci… siamo quasi a Gerusalemme e dici queste cose!» sospira Radulf e si gratta la testa. Boemondo ride.
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Mio padre e Mosul partono da Perth. Hanno i soldi della NBSC, affittano una Crysler - Logo con autista a vetri neri e si avviano verso Carlisle. Nel Diario Segreto le origini di Mosul appaiono con estrema chiarezza. Alla domanda di mio padre: «Ma lei è egiziano?». Mosul spiega: «Mio padre era un copto egiziano che abitava nella città dei morti chiamata Minya. I miei avevano come dimora il piano superiore di una tomba. Il posto dei morti si chiamava “Zawyet el Maytin” vi abitavano musulmani e copti che vivevano insieme massacrandosi a vicenda. Dopo il grande “pogrom” anticristiano nel 2010, mio padre decise di lasciare la “Città dei morti” e trasferirsi in Arabia Saudita divenendo musulmano. Nel gennaio del 2000 ci furono ventuno vittime ma nell’aprile del 2010 morirono duecento persone e la mia famiglia decise di partire. La Città dei morti è un cimitero grandissimo, il più grande del mondo, ed è, ora, abitato da 570.000 persone, nel 2000 erano 250.000. Gli abitanti sono 45% copti e 55% musulmani. Dopo la guerra in Iraq, la vita divenne insostenibile. I fondamentalisti resero l’esistenza dei cristiani, già misera e precaria, impossibile; mio padre, nel 2012, rinunciò alla sua fede e cambiò nome. Si
chiamava Adel e divenne Seyyed e continuò a macellare pecore, con un piacere libidinoso, per tutta la sua vita. Mia madre rimase molto male per l’apostasia ma accettò. Mio zio che era ateo e comunista fece finta di diventare musulmano, per poi svanire in Europa. Io nacqui tra le sabbie di Uadi’n Natrum, nel deserto ove si trova il Natron, che serviva per imbalsamare i morti nell’antico Egitto, nel 2011. I miei genitori si rifugiarono in quel luogo dopo i massacri e prima della loro apostasia a Hufhuf in Arabia Saudita. Mio padre chiede allora: «Ma, caro Mosul, in cosa credono esattamente i copti?». E Mosul risponde: «Anche i Copti, come gli Armeni, sono monofisiti. Il termine “copto” è la deformazione del greco “aigyptios” che vuole dire in greco egiziano. Insomma i copti sono eretici “eutichiani”. Nel V secolo la Chiesa copta si è staccata da quella cattolica e nega da allora, con decisione, il primato di Roma. Riguardo all’Aldilà hanno una teoria interessante che ricorda il “bardo” dei tibetani. Dicono che l’anima deve are, nei primi quaranta giorni dopo la morte, attraverso una specie di stadio intermedio chiamato le “Telonie”. Un aggio obbligato – ispirato dal “Libro dei Morti Egiziano” – ove si pagano dazi e pedaggi per giungere al cospetto del papà di Quimper ed essere giudicati. Per un periodo la Chiesa copta ha controllato quella etiope che più tardi si è separata assumendo carattere nazionale». Mio padre, come al solito molto curioso, insiste: «E gli Etiopi in cosa credono?». Mosul risponde: «Nelle stesse cose dei copti che sono monofisiti. I monaci vivono nei cenobi e seguono le regole di Pacomio». «E chi era Pacomio?». «Pacomio? Un ex soldato dell’esercito romano – mi pare del 300 d.c. – che rinuncia alla violenza e finisce nella Tebaide. Nel deserto conosce un sant’uomo, Palemone, che lo istruisce nei sacri misteri. Più tardi, incontra un angelo, poi sente una voce che gli dice di fondare un monastero e costituisce un nuovo ordine monastico con circa cento monaci». «Però…». «La sua regola monastica influenzò Basile e Benedetto. Fondò sei monasteri nella Tebaide e visse a Pabau nelle vicinanze di Tebe…».
«Ma come fa a sapere tutte queste cose?». «Le ho lette… volevo capire il significato della nostra vecchia fede…». «Conclusione?». «Simpatica la solitudine… e grandioso il deserto». «Anch’io sono fortemente tentato dalla Tebaide… però…». «Però?». «Almeno il clone di Maria lo vorrei portare con me e tenerlo in cella…». «Già… dura la castità… ma perché non li lasciavano scopare? Fa così bene…». «Anche per lei, Mosul, la castità è dura?». «No… io posso restare a lungo senza sesso…». «Beato lei… io peggioro invecchiando…». «Ehhhh… povera madame Pomeroy…». «Ehhhh… la carne fa schifo e lo spirito è da buttar via!». «Non è fedele?». «Ma scherziamo… via!». «Le sue donne le tiene tutte, come i mandarini cinesi, in casette di legno con la lanterna rossa?» «Tutte? Due solo sfortunatamente… e allora lei con l’Acontour?». «Un aggio obbligato e piacevole…». «Con un seguito?». «Ishallalah!».
«Ecco! Sia fatta la sua volontà… che è il puro caso…». La macchina procede e si ferma a Carlisle non lontano dalla Tullie House, una galleria d’arte moderna. «Dove mi porta Erminio?» Chiede Mosul. «Le farò vedere il Tempio di Lady Diana…». Suona ad una porta di vetro e una signora ottantenne appare appoggiandosi ad un bastone: è la zia di madame Pomeroy, Jenny Mc Askill. I due entrano in un sacrario luminoso pieno di statue di gesso di Lady Diane. William, il Re che è succeduto a Carlo III nel 2021, aborre questo luogo e lo considera un ricettacolo di vudù. Jenny, che è pazza da legare parla con Diana e profetizza: mio padre si diverte da morire ad ascoltarla. Il tempio è frequentatissimo ed esiste un ordine di sacerdotesse di Diana che tengono un fuoco perennemente come i seguaci di Zoroastro. Mosul contempla la cianfrusaglia regale e i grandi ritratti sorridenti. «Che cosa dice Diana, Jenny dear?» Chiede mio padre. «Oggi poco… ma questo giovane è Mosul l’Anticristo?». «Uhhhh… che termine idiota…». Mosul ride mentre Jenny si segna. «Auntie Jenny raccontaci che dice la Principessa Diana…». «Oggi non parla molto… vi ho visto in televisione… voi due finirete male!». «Questo lo avevamo capito…» risponde Erminio e si stringe i testicoli. «Diana è molto contenta di William che è un buon re… e Carlo è in una bolgia infernale con la cavalla amante… Camilla…».
«Presto ci sarà la repubblica… lo sa, Mosul, che Jenny ciancia con la defunta principessa tutto il giorno?» «Le dà i numeri del Bingo?». «Non sia stupido… young man!» Interviene pronta Jenny «rispetti i morti!». «Ma no… è una cosa risaputa che i santi danno i numeri…». «Diana è nel settimo cielo, lo sa?». «Me l’immagino…». «Ecco… è con Madre Teresa… e si parlano spesso…». «E Padre Pio c’è?» Chiede mio padre. «E chi è Padre Pio?». «Un santo nostrano… italico… ma lasciamo stare, quando ha parlato l’ultima volta con Diana?» «L’altro giorno… ci ha detto che ha un cane in paradiso… un bassotto tedesco… un dachsund!». «E come ha parlato?». «Attraverso Ethel Brown che è andata in trance…». «Ma come fa, dal momento che pesa 200 chili, non cade a terra?». «Uhhhh… non immagina lo strazio per risollevarla… anche la parrucca con i riccioli biondi era caduta…». «Ma è calva?». «Quasi…» «E che ha detto Diana?». «Ha detto che avrei ricevuto una visita da due uomini insanguinati…».
Mio padre, morbosamente superstizioso, si stringe i testicoli nuovamente e saluta: «My dear, we must go…». Partono verso Liverpool per poi procedere in direzione di Manchester, York e Beverley. A Manchester incontreranno la prostituta messicana Isabel Rodriguez de Mendoza e si misureranno con la sua ossessione per la morte. Scopriranno, inoltre che il culto azteco dei sacrifici umani è ancora operante. Non si è mai estinto.
Gargoyles e Misericordie
Mio padre e Mosul arrivano a Liverpool e si avvicinano a York – ove accadrà qualcosa di strabiliante-, prendono Victoria Street e si dirigono verso i «Docks». Camminano lungo il porto, costeggiando il Mersey. Risalgono lungo la promenade che segue il fiume e visitano a piedi le due cattedrali: quella protestante di St. James e quella cattolica di Cristo Re. Mosul dice che la cattedrale cattolica, dalle pareti scure simmetricamente interrotte da vetrate psichedeliche, sembra una discoteca. È in quest’occasione che mio padre analizza il sentire di Mosul. È lungo il Mersey che l’Anticristo parla del suo terrore di vivere, del suo tremore davanti all’esistere. È in quell’occasione che accenna al fondo luminoso delle cose. Erminio lo ascolta con attenzione e riporta accuratamente ogni parola nel “Messia Limitato”. Nel Diario Segreto sviluppa l’idea del “fiore desertico”, la coscienza che germoglia circondata dal male del mondo. Mosul afferma che l’unica possibilità per la “coscienza infelice” e ferita – cioè la coscienza reclinata su se stessa per la comione – consiste nel tentare di adoperarsi per il massimo bene possibile verso tutto ciò che esiste andando completamente contro natura; come navigando su un fiume impetuoso contro corrente. E quando mio padre accenna al superamento del male nel mondo, Mosul gli risponde: «Provi a dire a quel bambino sgozzato l’altro ieri dai satanisti a Huddersfield se è contento che tra mille anni la violenza svanirà dalla faccia della terra, dopo che la tecnologia neurologica cambierà i cervelli – come già sta facendo – e vedrà che cosa le risponderà. Io me lo immagino, chiederà: “Si… molto edificante, ma io?”» E Mosul continua: «Erminio, quando la prima creatura fu massacrata, l’universo intero fu, “de facto”, contaminato. E la coscienza comionevole è un’escrescenza, una malattia della vita. La vera vita è spietata. Anche i Gorilla massacrano i loro simili come fanno gli uomini: la vera vita è quella che Nietzsche proclama a piena voce: la vera vita è il luogo ove il forte divora il mite. La nostra coscienza, quella buddica – atea, è un’escrescenza su una pelle malata. Mahavira e Buddha sono enormi anomalie che crescono, germogliano, dallo stato della coscienza infelice, sull’humus del terrore. Ma c’è un anelito precario e limitato in quest’orrore verso l’infinita comione.
Ora dicono: la mente è separata dal cervello? Chissà: James Sprengler ieri ha confermato scientificamente che il cervello è uno strumento che processa – imprigionando e manipolando – la luce infinita e ha aggiunto che questo è provato in maniera definitiva e scientifica. Sarà, ma io penso che quel sentimento di pace e d’amore che si prova nel momento del trao sia semplicemente illusorio. Qualcosa però mi dice che le cose e gli esseri tutti hanno fondamento nella Luce Ipersensibile. E tutto questo, per me, ha ben poco a che fare con il papà di Quimper. Certo dire ai miliardi di creature massacrate che tra mille anni non ci sarà più il male non le farà sentire meglio. Se uno dice a una capra di mio padre: cara, ora ti sgozziamo, ma tra mille anni l’Islam porrà fine alla violenza verso gli animali, non aiuterà quella povera bestia! Lei, Erminio, si dovrebbe dedicare a fondare una nuova religione!». Dopo Liverpool i due si dirigono con la limousine ad idrogeno verso Manchester. L’Autista, Mick Johnson, è un tipo silenzioso e austero. Mio padre spiega a Mosul che non conosce la città e che non l’ha mai visitata perché tutti gli hanno sempre detto che la città è tetra e sgradevole. La trovano invece massiccia, elegante, imponente ed ornata con possenti palazzi e grattacieli di pietra rossa, di granito e di titanio. Mio padre scrive nel Diario Segreto che Manchester gli sembra una metropoli americana. Prendendo Piccadilly risalgono verso Deansgate per poi dirigersi verso la chiesa di St.Anne, un gioiello minuscolo e piacevole. Nella chiesa, consacrata nel 1712, Mosul si ferma sotto una vetrata del 1769 di William Peckett. È incuriosito l’Anticristo e dice: «Osservi, Erminio, i colori dei mantelli e l’espressione un po’ “gay” dei tre santi». Mio padre, nel Diario Segreto, tratteggia la rappresentazione degli apostoli e sembra disegnare dei modelli per una sfilata d’alta moda: Pietro ha una tunica rosso porpora e un manto blu; Giovanni una tunica blu notte e un mantello giallo ocra; Giacobbe una tunica verde smeraldo, un manto intensamente viola e un’espressione sognante. I volti sono femminei e i colori stupendamente sgargianti, attraversati dalla luce della vetrata, abbagliano. Nella minuta cattedrale Mosul si ferma presso un dipinto rappresentante un africano che taglia le catene di un drago verde che sembra un gargoyle – una figura mostruosa che getta acqua – mentre un santo, forse un scano, eggia tenendo la propria testa sotto un braccio. Le navate della chiesa sono sostenute da angeli musicanti.
Presso una cappella dalle cui volte pendono stendardi inglesi – sicuramente intrisi di “sangue” a causa di ate battaglie – Mosul si ferma, osserva una grande vetrata dai colori incandescenti che sembra raffigurare astrattamente le fiamme dell’inferno e chiede a mio padre: «Ma com’è possibile che tutte queste incredibili volte gotiche, questi miracoli d’armonia e di geometria rappresentino un miraggio?» Ed Erminio risponde: «Anche Hitler se avesse vinto la guerra avrebbe edificato una Berlino secondo la filosofia del Terzo Reich… ogni cosa rappresentata non è necessariamente edificata sulla verità, la bellezza e la grandezza possono essere fondate sull’errore e sull’illusione…» «Però» risponde Mosul «preserva una traccia di verità primigenia…». «Forse…» conclude mio padre e ripete «forse…». Il giorno dopo i due si dirigono verso York e verso la terza manifestazione sovrannaturale. La cattedrale medioevale è stupenda in tutte le sue variazioni gotiche. Dal primitivo al perpendicolare. Mosul afferma che il Minster respira. Gloriosamente inspira ed espira luce e bellezza. Mio padre è commosso dalla fuga gloriosa delle volte. Il transetto è possente e fuggente verso l’alto. Le grandi finestre sbalordiscono. La vetrata di Bradford è incantevole. La simmetria è preghiera, dice l’Anticristo. Mio padre ha mostrato a Mosul un’incisione sulla navata laterale rappresentante Aristotele cavalcato dalla cortigiana Filide. «Affascinante… è così che Aristotele arrivava all’orgasmo?» «Che vuole che le dica Mosul… io ho sempre desiderato una “domina” avviluppata in un corredo nero con frusta e tacchi a spillo…».
«Un po’ pacchiano, non pensa?». Mosul, alzando la testa verso i capitelli, sussurra: «Che meraviglia l’inanimato delle grottesche, le figure ironiche che si affacciano improvvisamente e inaspettatamente dall’alto di queste geometriche architetture… osservi Erminio… sembrano richiamare, domandare, inquisire, con insistenza…». «Si… sembrano esseri di natura demonica che si prendono gioco di noi…». Sono le 17,15 quando un gruppo di chierici con tonaca bianca e veste rossa escono dal coro reggendo delle candele. Procedono verso il transetto meridionale e si disperdono. Mio padre, incuriosito, procede verso la transenna del coro ed osserva le statue di quindici re. Hanno tutti delle folte capigliature che sostengono auree corone e sembrano osservarlo austeramente. «Mosul, ce ne fosse uno calvo tra questi signori! Ma nel medioevo non cadevano i capelli ai re?». «Chi sono?’» chiede Mosul. «Sono i primi quindici re inglesi». E li elenca leggendo i nomi sul piedistallo. Nella parte sinistra della transenna: Guglielmo il Conquistatore, Guglielmo II detto Rufus, cioè il Rosso, Enrico I, Stefano, Enrico II, Riccardo Cuor di Leone e Giovanni II, quello di Robin Hood. I Normanni: mio padre ha i brividi per l’emozione. Ha sempre trovato affascinante Enrico II, quello che ha fatto scannare Beckett. Nella parte destra della transenna: Enrico III, Edoardo I, Edoardo II, Edoardo III, Riccardo II, Enrico IV, Enrico V, quello di Agincourt ed Enrico VI. Mosul si avvicina, osserva, poi si avvia verso il transetto. È a quel punto che nel silenzio profondo della chiesa Ermino vede una cosa strabiliante: la statua di Re Stefano sta sollevando un braccio e sta puntando la
sua mano, con le dita da poco restaurate, verso Mosul. Il Re ha sollevato il braccio destro da un’ornata e pesante cintura mentre con quello sinistro sta reggendo una spada. Mio padre vacilla e inorridisce, poi nota Mosul, che si è voltato, sorridere come se nulla fosse avvenuto. Erminio traballa. Mosul prosegue verso la parte destra della transenna e la scena si ripete. Questa volta è Edoardo III, il gran re guerriero, che solleva il braccio destro e punta minacciosamente il dito verso Mosul mentre la mano sinistra continua a reggere lo scettro. Mio padre sbianca. Mosul fissa il re e questa volta s’incupisce. Improvvisamente, Riccardo II, situato a sinistra di suo nonno solleva anche lui il braccio sinistro verso la bocca, non per minacciare, ma per coprire un sorriso di scherno. E Mosul ride con lui e mormora: «Are you enjoying yourself… eh?» Poi rivolto verso mio padre: «Ermino si divertono…». Mio padre comincia a ritirarsi ondeggiando verso la navata meridionale. Trova un posto per sedersi all’angolo tra la navata e il transetto – sotto una piastra dedicata a William Wilberforce membro del parlamento che ha combattuto la schiavitù – e crolla scomposto. Mosul lo raggiunge per nulla impensierito. «Figliolo caro, ma se la prende così?… Qui si muovono anche le statue… si stravolge il corso delle cose… la natura è messa sottosopra e lei se la ride beato… ?». «Eh… che vuole che faccia, caro Erminio…». «Ma, mi scusi… ma quelli puntavano minacciosamente il dito verso lei…». «Si… ma quel coccò rideva… ma chi è?».
«Quello è Riccardo II il re omosessuale… non ricorda Marlowe? Lo uccisero con un ferro rovente nell’ano… per non lasciare traccia…». «Oh Signore degli Eserciti! Gli sistemarono le emorroidi… e quello vicino è il padre?». «No, il nonno… Edoardo III… un notevole figlio di puttana!». «Defensor Fidei!». «Già… la mettono in guardia… le dicono: attenzione, noi ti stiamo osservando… stai stuzzicando poteri misteriosi…». «E quell’altro ride…». «Già ride… forse sembra dire: a me piacciono quelli che vanno contro la pesante, odiosa logica delle cose…». «Sarà così… però simpatici questi monarchi omosessuali…». «Ma lei se la prende così… ? Cosa significa tutto questo per lei, Mosul?». «Erminio, ne so quanto lei…». «Ma non mi si venga a dire che sono eventi illusori, miraggi, fenomeni ottici… un cazzo! Queste cose accadono veramente… io mi sono sentito svenire… abbiamo entrambi visto il movimento delle braccia di pietra…». «Come il Commendatore del Don Giovanni…». «Eh no, Mosul non ci hanno ancora trascinato in una bolgia infernale…». «Per quello c’è tempo…» E mio padre si sfiora i testicoli. «Non si preoccupi troppo di queste cose, Ermino, sono epifenomeni…». «E da cosa derivano questi epifenomeni… ?». «Nell’Oltre qualcosa sta accadendo… e io sono una povera marionetta di
qualche inusitata potenza…». «Metafisica?». «Un termine vago… non pensa?». «È come se due schieramenti potentissimi, che possono confrontarsi e finirsi in una totale Armaghedòn abbiano deciso invece di giocarsi il mondo con una partita di scacchi…». «Erminio, l’unica maniera per confrontare l’arcano, l’ignoto è ignorarlo…». «E lei pensa che sia la giusta strategia?». «Si, penso che sia meglio ignorare…». «Ma ha visto come rideva il frocetto?». «Simpatico… molto simpatico… mi divertono gli omosessuali…». La mattina dopo i due prendono la via di Beverley. Mick Johnson guida in silenzio e non emette una sillaba. Mio padre ha spiegato a Mosul che nel Minster ci sono 26 Green Man e le più belle “grottesche” d’Inghilterra; queste raffigurazione strane sono con le “misericordie”, gli intagli dei cori, la grande ione dell’Anticristo. Partono da York e prendono la direzione di Pocklington, Market Weighton seguendo la A1079. Mentre osservano il paesaggio Mosul chiede a mio padre informazioni sui re. Erminio, la sera, mezzo sconvolto, si è rinfrescato la memoria prendendo appunti. «Il primo, Erminio, era Guglielmo il Conquistatore… quello del 1066…». «Esatto…». «Il secondo?». «Il secondo era «Rufus» suo figlio… un re di transizione, un monarca
marginale… poi veniva Enrico I, poi Stefano, poi Enrico II, un re importante, quello che fece asse Beckett e sposò una donna interessantissima: Eleonora di Aquitania… Ma torniamo a Stefano… perché Stefano?». «Sono tutto orecchie…». «Si, ma non faccia lo spiritoso: sono cose molto serie…». «Faccio lo spiritoso perché penso che l’Oltre sia un giocherellone…». «Ecco… un giocherellone… allora… Stefano è un re insignificante, che in un certo senso non ha nulla a che vedere con Guglielmo I o con Enrico II, è un usurpatore… un traditore che avrebbe dovuto sostenere – come aveva promesso – la candidatura al trono di Matilde, figlia di Enrico I, e invece è diventato lui stesso re…». «E io sarei un usurpatore come lui… e lui mi mette in guardia…». «Forse… ecco… forse… chissà…». «Ma io che cosa ho usurpato?». «Forse, caro, lei è un’emanazione di un principio che usurpa…». «Usurpa cosa?». «Le rispondo come il sor Pomata quando ricevette dal primo piano di un derelitto caseggiato uno sputazzo sul centro della pelata…». «E che disse?». «Mormorò: boh!!!!… E noti bene che il Conte di Blois, il re Stefano, a quasi tutto il tempo del suo regno combattendo una guerra civile. Sconfigge Matilde ma deve accettare come successore il figlio della stessa cugina. Obtorto collo». «E gli altri due?». «Allora… Edoardo III è il grande amico degli scozzesi che massacra con grande regolarità, ed è anche il grande amico dei si che sconfigge con uguale consuetudine per terra e per mare a Sluys, a Crecy, a Calais. Lo sa Mosul che per
l’assedio di Calais Ilfracombe gli diede sei navi?». «No…». «E il re conquista terre, con grande diligenza, per poi perderle e riconquistarle… è un monarca in continuo movimento… in un continuo stato di angoscia… se lo ricorda il film «Braveheart? È lui!». «Ah… l’imperialista inglese per antonomasia… e il nipote è quello che rideva?». «Esattamente… Riccardo II, il figlio dell’Amatissimo Principe Nero… è il re che tradisce l’aspettazione della rivolta popolare di Wat Tyler e di John Ball nel 1381… una delle prime grandi rivoluzioni dei poveri contro il potere dei ricchi, in particolare contro il potere di Giovanni di Lancaster… Riccardo II abdicherà a favore del re situato alla sua sinistra nella transenna: Enrico IV, che lo farà morire – si dice – con un ferro rovente nel culo……». «Un re guerriero mi accusa, mentre un monarca omosessuale se la ride, come per dire: ma via! un po’ di serietà…». «Siamo tutti marionette del caso…». «Conclusione?». «Non ci ho capito un tubo e ho sfiorato un coccolone!». «Come il sor Pomata…» «Allorché disse «Boh!» quando gli votarono dal terzo piano di uno stabile fatiscente un urinale in testa!». «Meglio riderci sopra…». «E che altro fare…».
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Iftikhar al-Dawla osserva perplesso, dalla torre di David, lo schieramento crociato. I Franchi sono giunti sotto le mura di al-Quds, chiamata anche Bait alMaqdis o Bait al-Muqaddas il “luogo della santità”. Per l’Islam al – Quds è la terza città santa dopo Mecca e Medina, è il luogo ove Maometto incontrò Gesù e Mosè. La città è ben protetta dalla cavalleria araba e dagli arcieri sudanesi. Tutti i pozzi d’acqua sono stati avvelenati. Il generale ha imitato Yaghi - Syan, il despota sconfitto di Antiochia, ed ha espulso i cristiani: troppo pericolosi per lasciarli tra le mura. C’è cibo in abbondanza e un possente esercito egiziano sta partendo verso Gerusalemme. La città resisterà. È il 7 giugno: comincia l’assedio. Iftikhar al-Dawla studia la disposizione delle truppe crociate: Roberto di Normandia è accampato davanti alla Porta d’Erode. Roberto di Fiandre è situato davanti alla Porta di Damasco. Goffredo di Lorena è disposto lungo il lato nord - ovest delle mura e il suo schieramento si estende fino alla Porta di Giaffa. Tancredi è con lui. E con Tancredi è Guy de Nuitville assieme ai Normanni. Raimondo di Tolosa è presso il Monte di Sion. È il 7 giugno: comincia l’assedio. Il solito eremita pazzo ha una visione e invita ad attaccare subito. È uno sbaglio: falliscono. Scoppiano gli usuali litigi. Tancredi ne ha combinata un’altra delle sue: si è impossessato di Betlemme. All’inizio di luglio i Franchi sono informati dell’approssimarsi dell’esercito egiziano. Il 6 luglio si presenta un nuovo esaltato, Pietro Desiderio, che dice di riferire le parole del defunto vescovo di Puy, Adhemar, il quale, dall’Oltre ingiunge ai crociati di digiunare per tre giorni e di girare in processione intorno alle mura. I musulmani osservano sbalorditi i cristiani scaraventarsi contro i bastioni senza gli strumenti adatti per l’attacco. Il visionario spiega che dopo nove giorni Gerusalemme cadrà. I crociati creano tre grandi strutture lignee per attaccare le mura, castelli a tre piani, macchine ossidionali e costruiscono magani e catapulte. Il 10 di luglio i castelli di legno sono pronti grazie all’aiuto dei Genovesi e di un uomo chiamato Embriaco. L’esercito franco è composto da una fanteria di 12.000 uomini e da una cavalleria di 1200 unità. Il 15 luglio, Ibn al Athir c’informa che presso Sion i musulmani sono riusciti a distruggere un castello a tre piani con il fuoco bizantino, che piove dall’alto delle mura come dal cielo, e che, mentre stavano procedendo all’opera di abbattimento e di incenerimento, un messaggero è giunto informandoli che la città è stata penetrata dalla parte opposta creando stupore e panico.
Un venerdì mattina – narra tristemente Ibn al Athir – prima della fine di Sha’ban, nell’anno dell’Egira 492, al-Quds è conquistata dai Franchi. I primi due crociati che saltano dalla struttura mobile sulle mura si chiamano Litold e Gilberto di Tournai e sono alla testa dell’armata della Lotaringia che è seguita immediatamente da Goffredo di Buglione. La Porta di Damasco viene spalancata dai Lotaringi, che sono penetrati dalle mura, e Tancredi, i Normanni e Guy de Nuitville entrano nella città inarrestabili come un fiume in piena. Subito dopo anche Saint Giles sfonda la Porta di Sion e i suoi provenzali piombano nell’atterrita Gerusalemme. I musulmani fuggono e si rifugiano nell’area della Spianata del Tempio, Haram es-Sherif, ma Tancredi gli piomba addosso con furia spettacolare e i maomettani si arrendono. Il Normanno promette di proteggerli. Ma scalmanati fiamminghi, più tardi, li trucideranno. Tancredi ci rimane malissimo. I Normanni violano il Duomo della Rocca. Gli abitanti in preda al panico fuggono verso la parte sud della città. Iftikhar al-Dawla capisce che tutto è perso e si rifugia nella torre di David. Poi ci ripensa e offre la resa in cambio della vita e quella dei suoi uomini. Raimondo di Tolosa accetta – c’informa Ibn al Athir – e li lascia partire, mantenendo la parola data, dal porto di Ascalon nella notte. Subito dopo, lo storico islamico, ci racconta che comincia il grande massacro e che 70.000 persone vengono trucidate presso la Moschea di al-Aqsa. Secondo altri storici si tratta di 40.000 morti. Al Qalanisi è più preciso: evita roboanti cifre, ma conferma l’eccidio e il rogo degli ebrei nella sinagoga. Ci dice anche che i Franchi distruggono le tombe dei santi e quella di Abramo.Anche la Moschea di Umar Ibn al-Khattab, il califfo successore di Maometto, conquistatore di alQuds, viene distrutta. Raimondo di Aguilers ci sprofonda nell’orrore della conquista raccontando che allorquando attraversa la zona del tempio è costretto ad immergersi fino alle ginocchia del cavallo tra i cadaveri: uomini, donne, bambini, animali, un’ecatombe immensa nel nome del mite Gesù. Raimondo dice proprio così: se vi dovessi raccontare la verità supererebbe ogni limite di accettazione. Si procede con i cavalli immersi tra i cadaveri fino alle ginocchia e spesso fino alle briglie. Un’ecatombe immane e sacrosanta. E spiega che è stata una splendida punizione divina versare il sangue dei miscredenti che avevano contaminato questo luogo santo da tempo immemorabile con i loro atti blasfemi. Guy de Nuitville, affranto, si piega su stesso con la spada insanguinata ed urla a Giordano: «Mio Dio, che abbiamo fatto!» Poi procede con Tancredi verso la chiesa del Santo Sepolcro. Tancredi è furioso. Raimondo ci racconta la sua ira
per il massacro dei prigionieri che si erano arresi e che i Fiamminghi hanno ignobilmente trucidato. E poi precisa che non c’è più un fottuto ebreo a Gerusalemme neanche se lo cerchi con il lanternino. Il Dio degli Eserciti ascolta e si sganascia dal gran ridere. Dopo la vittoria tutti i capitani della gloriosa impresa si precipitano nel Tempio del Santo Sepolcro: Tancredi, Goffredo di Buglione, Roberto di Normandia, Roberto di Fiandre e gli altri appendono le armi, gocciolanti di sangue, nella chiesa e in quel sacro luogo, con gli altri crociati; anche Guy de Nuitville, coperto di sangue, si getta in ginocchio piangendo. I Franchi innalzano un cantico tonante al Signore Dio degli Eserciti e al suo figlio il Pantacrator. Il 17 luglio i crociati decidono la sorte della città. Cominciano le epurazioni religiose: fuori i fottuti ebrei dai luoghi santi ed espulsione immediata degli eretici georgiani, copti, siriani ed armeni dal Tempio del Santo Sepolcro che viene restituito a Santa Madre Chiesa. Il Duomo della Roccia diventa il «Templus Domini» la Moschea di Al –Aqsa il “Templus Salomonis”. Abu Sa’ad al-Harawi, il Qadi di Damasco, giunge a Baghdad entra nella città durante il Ramadan e comincia a mangiare a più non posso rompendo il digiuno. Una folla d’arabi irati gli si raccoglie intorno e il Qadi rischia il linciaggio. In quel momento di estremo pericolo urla: «Nel nome di Allah il clemente, il misericordioso… come fate a preoccuparvi del digiuno infranto e a ignorare quello che sta accadendo ai vostri fratelli musulmani in Siria e a Gerusalemme? Volete che ve lo racconti io cos’è successo in quei luoghi santi?» E Abu Sa’ad al-Harawi narra con parole terribili l’orrore della conquista crociata ad una folla piangente. Poi procede verso i luoghi del potere e comincia a gridare: «I Franchi hanno deflorato le nostre vergini e defecato nelle sante moschee» e chiede ai potenti: «E voi che fate? Voi ve la sate negli Harem tra le vostre donne mentre l’Islam piange!» Il giovane principe al-Mustazhir Billah l’ascolta impotente. Il despota è un artista, un poeta, scrive versi amorosi: come può liberare Gerusalemme dai guerrieri coperti di ferro? Sarebbe come chiedere al Presidente della repubblica italiana di intervenire in Cina o sedare, nel 2040, la terza Guerra del Congo. Il principe è totalmente impotente ma si spera nell’armata egiziana che marcia
verso Gerusalemme conquistata. Eccola: l’armata islamica di Al –Afdal giunge venti giorni dopo la conquista, si presenta forte di 30.000 uomini e si accampa presso la piana d’Ascalon. Ibn al-Qalanisi c’informa che gli emissari egiziani incontrano un uomo alto, con una barba bionda che risponde al nome di Goffredo di Buglione e gli ingiungono di ritirarsi e di abbandonare la città santa. Goffredo, divenuto da poco “Advocatus Sancti Sepolchri” ascolta divertito e si ritira sorridendo. I Franchi riuniscono le forze, con fulminea rapidità, e piombano sull’esercito egiziano che, sorpreso dal repentino attacco, al primo scontro si sfascia. AlAfdal fugge precipitosamente verso il porto di Ascalon. Ibn al-Qalanisi c’informa che 10.000 uomini sono massacrati dai crociati e il campo è saccheggiato. Il Signore Dio degli Eserciti si sganascia dal gran ridere. E che aspettarsi dai tempi? Giovanni di Modena dipingerà più tardi, nel 1420, un affresco di Maometto nudo, torturato e mutilato da un diavolo, nella chiesa di San Petronio a Bologna, seguendo l’intuizione blasfema e provocatoria di Dante che lo relegò, 200 anni prima, nella IX bolgia, tra «i seminatori di discordia e gli scismatici» con Alì, suo cugino. Il vate scrive nel Canto XXVIII:
«guardommi e con le man s’aperse il petto, dicendo: “Or vedi com’io mi dilacco! Vedi come storpiato è Maometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto».
Come poteva esistere comione verso eretici e infedeli musulmani ai tempi
della prima crociata?
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I nostri eroi arrivano a Beverley, la macchina si ferma presso la chiesa di St.Mary che trovano chiusa per restauro. Mio padre dice a Mick: «Ci vediamo tra due ore, si faccia una bella eggiata e non disturbi le bionde di Beverley con il suo continuo cianciare…». «Yes Sir… I’ll be silent!» Risponde l’autista. I due procedono per Saturday Market, Butcher Row, High Gate e giungono presso il Minster. Mio padre nota, nel Diario Segreto, l’amore di Mosul per le cose – già ampiamente descritto nel “Messia Limitato”- e descrive il desiderio dell’Anticristo per la loro «cosità», per la loro palpabile, tangibile, fisicità. Erminio spiega che Mosul sembra sempre voler sfiorare, accarezzare, toccare, stringere le cose, non per possederle, ma solo per stabilire un contatto percettivo con loro. Entrato nel Minster si dirige subito verso i “grotteschi” della Navata, li sfiora amorevolmente con la mano, li segue sorridendo. Le raffigurazioni, che gli inglesi chiamano “Label stop”, si espongono, si affacciano dagli archi lobati della navata e dei transetti. Una sontuosa teoria: mostri che suonano, cantano e ballano, meretrici, imperatori, “gargoyles” che battono tamburi, figure grottesche che giocano con serpenti, donne che giocano con cani, uomini che cantano e che suonano con arpe e violini, caproni che abbracciano suore, lupi pastori, “grotteschi” musicanti, mostri che cullano teneramente draghi e leoni, o che estraggono denti, uomini con due teste, vescovi, draghi melanconici, giullari con zampe caprine, nevrotiche profeticamente piegate su se stesse, sodomiti a culo per aria, “gargoyles” con dolori sciatici, zampognari.
Dal capitello dell’ottava colonna lo saluta un sontuoso “Green Man”. Procedono nel coro ove Mosul tocca le sue amate “misericordie”, gli stalli intagliati. Li sfiora tutti: elefanti, leoni sdentati, draghi, un Green Man intagliato sulla mensola di appoggio di uno stallo, sfingi tettute. «Erminio, would you shag a sphinx?» «Se mi farei una sfinge? Chissà…». «Disse Mister Pomata…». Mentre Mosul, sfiora la sfinge, ode una voce, con un notevole accento iberico, che lo fa trasalire. Si volta e vede una donna stupenda, vestita elegantemente, con lunghi capelli corvini. La donna sta dicendo: «Conosce le “misericordie” della cattedrale di Bristol, Mosul?». Mio padre sobbalza e si guarda intorno. Pensa subito: «Qui ci vogliono le guardie del corpo…» Poi ci riflette e arriva ad una conclusione: la donna è uno spirito. «Come ha fatto a riconoscermi, cara? Sono platinato ed ho una barba finta…» chiede Mosul calmissimo. «L’ho riconosciuto a Manchester. È da due giorni che la seguo…». «È spagnola?». «Messicana… mi chiamo Isabel Conchita Rodriguez de Mendoza… lei è il signor Polpino?». «Polpotta cara…» risponde mio padre tremebondo e per nulla convinto, poi pensa: qui trattiamo con demoni, siamo visitati da archetipi o dalle forze dell’Oscuro.
Mosul è affascinato dalla donna e mio padre, dimenticando per un momento la possibile natura incorporea d’Isabel, comincia a squagliarsi di fronte alla bellezza della messicana. I tre escono dal Minster e si dirigono verso un caffè nel Ladygate ove ordinano tre cappuccini e tre paste. Mosul indaga mentre mio padre ascolta incuriosito. «Cosa mi stava dicendo, Isabel, riguardo alle “misericordie” di Bristol?». «Le stavo dicendo che nel coro della cattedrale di Bristol si trovano intagli osceni… una donna che pratica un “blow job”, una “fellatio” a un immenso pene, una figura grottesca, un gay-gargoyle, che offre il deretano ad un fallo eretto e un gatto che morde le palle di un prete…». «Mio Dio… in una chiesa?». «Si, nella cattedrale di Bristol…». «Da dove viene cara?». «Da Londra…». «E che faceva a Manchester, cara?» Chiede Mosul. «Visitavo la mostra di David Podmore: “La Vita Eterna”». «Quella dei cadaveri plastificati?». «Esattamente». «Ma perché visita simili orrori?». «È lo sviluppo di un’idea di un certo Gunther von Haggens, un tedesco che intorno al 2000 ideò una mostra itinerante di cadaveri plastificati e sezionati. David Podmore ha fatto di più: i cadaveri non li ha aperti e sezionati li ha semplicemente solidificati e plastificati con il «Gerontium 4»…». «Ma è osceno, Conchita…» «A me la mostra è piaciuta perché presenta la morte in un modo insolito e forse anche bello».
«Oddio! Insolito forse… ma bello, non direi». «La mostra è molto asettica, scientifica è come uno sguardo distaccato sul corpo. La morte sembra una cosa normale, persino bella». «Devo dirle, Isabel, che io ho una visione ellenica del cadavere. Lo si brucia e via!... altrimenti contamina la terra e la luce del giorno… e poi si sparge la cenere al vento..». «Non sono d’accordo… Anzi, con il sistema di von Haggens si poteva guardare un corpo dal di dentro, percependo le proprie viscere, ossa, muscoli…» «I monaci medievali dicevano se siete arrapati per una bella donna pensate a quello che c’è sotto la pelle…». «Si… però in von Haggens c’era leggerezza in mezzo a tutte queste persone morte, c’era la bellezza del corpo, e la sua banalità. Le reazioni del pubblico erano molto varie, qualcuno vomitava, qualcuno rideva. Anche vedendo la mostra di Podmore succedeva lo stesso». «Nella cripta dei Cappuccini a Via Veneto a Roma: stesse reazioni...i protestanti trovavano le ossa ripugnanti, i cattolici interessanti: una religione macabra il Cattolicesimo!». «Io l’ho vista, nel 2041 ad Amsterdam, la mostra di von Haggens e mi sono sentita come in un santuario laico, avevo rispetto per questi corpi esposti, alcuni mostrati come esplosi, altri tagliati a fette sottilissime». «Se io trovo un ratto morto lo seppellisco...la putrefazione la trovo oscena..». «Anche nella “Vita Eterna” s’intuisce la vita che è ata, i corpi non danno l’immagine macabra delle reliquie o delle mummie. Tutto è fissato, come per l’eternità. Finalmente il corpo è presentato per quello che è, senza idea del sacro, e per un po’ la morte non crea angoscia». Mio padre a quel punto comincia a smucinarsi i testicoli ed interviene: «Ho provato un’angoscia indicibile vedendo le foto della mostra...è ripugnante…».
«Ma no… Polpetti…». «Polpotta…» corregge Mosul ridendo. «Si, mi scusi… Polpotta… il difetto di questa mostra è che ne hanno fatto uno spettacolo, un vero e proprio affare economico che ha solleticato il gusto del macabro e dell’orrore del pubblico, ma questo non toglie nulla all’interesse della mostra..». «Mah…». sospira Mosul. «È una mostra che non può essere visitata avendo preconcetti sull’idea di «corpo» tant’è che è stata aborrita dai cattolici lefevriani e dagli amici di Quimper ma io credo che contenga un’idea rivoluzionaria nel fondo…». «Lei la chiama arte? Se uno va alla Tate Modern c’è roba spaventosa: tra cent’anni quanto resterà di tutta quella cianfrusaglia e di tutti quei residui cadaverici?». «Io ho trovato bello il sesso tra cadaveri… è come Kafka, è intriso di un caldo – gelido mischiar di corpi nell’assurdo… ricordate il Castello?». «Il sesso nel Castello di Kafka è tra vivi, è tra umani e arconti… tra signori oscuri e misteriose donnette…» interviene Erminio. «Molto angoscioso… volevo spiegarvi qual’è il pensiero che faccio quando mi prende l’angoscia per la morte. Per me è un pensiero importante perché mi consola dal male e in qualche modo riscatta la malvagità della natura. Quando penso a tutte le persone che in questo preciso momento stanno soffrendo, ai bambini abbandonati e affamati, quando penso a tutti gli animali che in questo istante vorrebbero vivere ma non possono, quando penso a tutte le bestie selvatiche che stanno soffrendo il freddo e la fame, mi viene come il panico, è un concetto troppo grande e cupo da sostenere e allora penso che è un pensiero troppo grande perché è formato da una serie infinita di sofferenze e non si riesce ad immaginare neppure questa quantità immensa di dolore… ebbene in quei momenti la visione plastificata, direi apollinea, della morte mi calma…» «Essere come siamo é il più grande castigo per un vivente: la comione è un tormento troppo grande, ci consuma... e le mostre cadaveriche sono poveri palliativi».
«Mi lasci spiegare, Mosul… se però penso che questo numero gigantesco è formato dalla somma di singole unità e che l’animale soffre per se stesso e non per le decine di migliaia di altri suoi consimili, e che il bambino che muore di fame è uno e non migliaia, allora l’angoscia si attenua, diventa più controllabile». «Questo mi sfugge totalmente: se uno pensa allo strazio del mondo non può vivere. Ma l’ego crea palliativi...panacee, barriere per non essere annientato dall’orrore». «Si… però riflettevo guardando i cadaveri di Podmore: ognuno è solo davanti alla morte e quando soffre e muore è un corpo che patisce e svanisce. Allora riesco a rasserenarmi un poco perché penso a quello che disse Epicureo – che cito liberamente: se il dolore è forte, breve è la sua durata, se è lungo, la sofferenza è mite ... e poi viene la morte che libera definitivamente dal dolore». «E amen…» interrompe mio padre. E Mosul: «Speriamo...se hanno ragione i buddisti siamo fottuti! Si rinasce!». «Se invece si pensa sempre in termini generali allora la sofferenza diventa un pensiero insostenibile e la natura è sempre matrigna». «Puttana…» precisa Erminio. «Un mio amante, un dottore, mi spiega sempre come in ospedale si può notare una sorta di capacità dell’organismo di difendersi per poter accettare e sopportare la sofferenza. Sono rarissimi i casi in cui una persona non sopporta più di vivere. In casi di progressione incessante della malattia, per esempio, il corpo s’inebetisce, la mente inizia ad accettare il cambiamento terribile del corpo e s’innescano dei meccanismi di difesa per cui il dolore e la sofferenza divengono accettabili. Forse questo pensiero vi sembrerà banale ma per me è l’unico che mi permette di riuscire a vivere abbastanza serenamente e che mi spinge a non mandare tutto al diavolo..». «Mi lascia perplesso questo modo di pensare…» «Se il male fosse così incontenibile (come solo nella mente dell’uomo appare, e mai nelle bestie) non avrebbe alcun senso agire. Allora io non penso al male di sei milioni di ebrei sterminati ma a 1+1+1+1+1+1+1+1+ 1+1+ e penso ad ogni 1
e allora mi sembra che il decesso di 1 non sia poi così diverso dal mio o da quello di mia madre Rosita e lo svanire diventa accettabile…». «Un pensiero singolare… basta pensare: quanti uomini sono morti prima di me? Miliardi e miliardi. E allora perché non dovrei morire anch’io?» precisa Mosul. «Già… però riflettevo davanti ad un cane plastificato, durante la visita della mostra, gli animali non fanno elucubrazioni inutili sulla morte: vivono, godono di quel poco che hanno e non sommano sofferenza a sofferenza. Il loro egoismo li salva e dona loro la felicità che, per loro, quando c’è, è sempre totale, completa, mai rovinata da un brutto ricordo o da un pensiero triste…». «Vero... la natura è matrigna anzi puttana…». «Anch’io sono una puttana!». «Ha detto che è una puttana, cara?» Interloquisce mio padre sorpreso. «Esattamente… sono una cortigiana…». «Mi spieghi…». «Vado a letto con chi voglio, ma mi faccio pagare profumatamente… e mai più di un uomo al giorno… e mai più di 12 amanti fissi all’anno…». «Ah… interessante… come essere sposata con 12 uomini.». «Appunto!» E Mosul ride. «E perché, cara, quest’ossessione con la morte?». «Perché sono vissuta nel sangue… ma questo, ve lo spiegherò in un altro momento… posso seguirvi?». «Se non è una giornalista, volentieri… venga con noi…» risponde Mosul «Va bene anche a lei, Polputta?». «Polpotta, cara. Io m’inchino sempre davanti alla bellezza anche se sto per
putrefarmi… eh… noi italiani siamo incorreggibili…». «Ma no, simpaticissimi siete… e poi lei è un bellissimo uomo, con tutti quei ricci candidi… ma i baffi sono veri?». «No… finti… viene in macchina con noi?». «Certo… dico al mio autista di attendermi a Manchester…». «Manchester di nuovo? Va bene per lei Mosul?». «Ora, però, mi ha incuriosito cara… un altro caffè?». «No… ma mi dica…». «Ecco, la mia domanda è questa: ma perché tanta ossessione con il corpo – anzi con il cadavere – quando ormai gli scienziati ci stanno informando che la mente è separata dal corpo?» «Devo rispondere?». «Mi lasci elaborare meglio il concetto: avrà visto, giorni fa, l’incredibile programma della BBC-WORLD-ONE sulla morte temporanea in cui l’americano Roger Drake e il tedesco Fritz Bruckner affermavano di aver provato che c’è energia nel cervello dopo la morte…». «Si… l’ho visto…». «Ed insistevano nell’affermare che il cervello è solo uno strumento materiale e che la mente è esterna e spirituale?». «Si… ma questo mica prova l’immortalità di un’entità esterna… «interloquisce mio padre. «Ecco: chi ci dice che questa presunta entità sussista in eterno?» Riprende Mosul. E Isabel: «Io penso che sussista in eterno…»
«Già… questo è il punto…» continua mio padre «prima di arrivare in Inghilterra seguivo all’università di Bologna un corso sullo sviluppo di questa tesi. Mi ricordo: correva il lontano 2001 e i “riduzionisti” pensavano che la mente fosse riducibile al cervello, i “mentalisti”, invece, speculavano che la mente fosse qualcosa d’immateriale». «Ora è differente… io conosco un “cognitivista”, in Messico, un padre gesuita, un mio amante settantenne, che insieme con un matematico ha perfezionato l’intelligenza artificiale: una mente informatica totalmente indipendente. Gli studi matematici vengono fatti sulla base del funzionamento della “Cogitativa” di San Tommaso. Questa è la parte del pensiero dedicata all’astrazione, il suo funzionamento viene algoritmicamente tradotto in termini informatici e ricostruito nella mente artificiale di una macchina pensante». «E ti pareva che non andavano a pescare Tommaso d’Aquino, ha ascoltato Mosul?» «Bisogna dire che Tommaso…». «È stato bestiale con gli animali… bisogna dirlo» interrompe Erminio. «Dell’uomo e della sua natura aveva capito moltissimo» continua Isabel «grazie alle ricerche condotte sugli antichi testi aristotelici che studiavano l’anima. Secondo Tommaso la mente agirebbe come una fonte energetica di luce e l’apprendimento è la costante capacità della mente di calibrarsi sulla realtà, il cervello è solo un mezzo per interagire con la realtà materiale, assorbe, assimila e digerisce ciò che si trova all’esterno del nostro «Io», fuori di noi. E noi scopriamo, decodifichiamo e siamo in grado di astrarre in molteplici maniere il reale, e tutto ciò che incontriamo non lo inventiamo, perché tutto quello che scopriamo esiste. Un’invenzione non è una creazione “ex nihilo”, ma la scoperta di un arcano, la risoluzione di un enigma che imprigiona una certa realtà. Non è la cosa che si adegua alla mente dunque, ma la mente che riesce ad adeguarsi al mondo e alle sue leggi, proprio come la luce è proteiforme e sa prendere mille sembianze». «Molto interessante, Isabel… continui». «Il ‘relazionismo’ pensa alla mente come fonte energetica, come ponte, relazione tra l’Io e il mondo, e in questo senso vuole salvare la capacità percettiva e assimilativa dell’atto conoscitivo dal suo aspetto violento e manipolatorio. E
vuole redimerlo nell’adeguamento arrendevole della mente stessa alla cosa. Io credo che la mente sia esterna al cervello, sia qualcosa d’immateriale, di estremamente malleabile. In essenza Pura Luce. In sintesi: o il cervello attutisce il nulla o la mente è separata e immortale. Io credo alla seconda tesi. E ora ci sono sempre più prove a livello di studio della conoscenza. La filosofia riesce a spiegare molte cose che vengono poi provate scientificamente. La scienza rincorre le scoperte che le intuizioni del pensiero anticipano. Molte tesi filosofiche sono ora provate nel campo della conoscenza dalle tesi scientifiche dei “cognitivisti” e dei “mentalisti”. L’esperienza artistica e poetica, ad esempio, è una prova della spiritualità della mente, secondo me… in alcune poesie si può notare uno spazio mentale puramente spirituale, che riesce ad astrarre il materiale in visione interiore». «Questo è vero…» prende la parola mio padre «spesso, la grande poesia, come in Daisei Taneda, il poeta giapponese morto nel 2041, è un susseguirsi di flash che descrivono, come in quadri diversi, difformi impressioni luminose, come abbagli, come allucinazioni ispirate dal mare e dalle immense spiagge: una lepre che appare e svanisce tra le dune, nella luce bianca; la luminescenza, il fulgore giallo ocra evanescente, la luce del mare accecante, il mormorare ammaliante delle onde…» E Isabel: «È vero! In Taneda i versi sembrano parlare di lunghe eggiate dell’anima fuori dal corpo e dalla materia...tutto quello che ti circonda assume la dimensione del sogno... tutto è fulgida, fulminea, folgorante apparizione di una forte emozione che diventa epifania luminosa…». «Si..». interviene Mosul «Come Turner...mi viene in mente lui. Con le parole si vede descritto, ricreato in uno spazio mentale, visivo e visionario, quello che Turner ha dipinto sulle tele con i colori. Sento la stessa intensità e forza che descrive il sublime...lo intrappola nella parole e nel colore. Quel sublime che si coglie attraverso lo sguardo esteriore, e nutre la visione interiore, mentale, che si percepisce come profondamente spirituale. Ma questo, secondo me, può anche venire dalla precarietà… non richiede una mente esterna…». «Anzi» precisa Erminio «è la temporaneità, la precarietà, la caducità che donano
questa grande poesia… e poi, come dicevo, la mente esterna non è necessariamente eterna…». «Qui differiamo… «conferma Conchita. «Ma cara…» chiede mio padre «come spiega la sua ossessione con la morte se accetta l’esistenza di una mente esterna. Ci illumini: a che serve preservare carne decomposta?». «Con calma a Manchester… prima, signori, vorrei regalarvi per due notti il mio corpo… che ne dite? Sono rimasta sconvolta dall’intervista con l’Acontour e voglio farvi un umile regalo… ho solo il mio corpo da darvi…». Mio padre sbianca e pensa: «Dio santo… speriamo che Mosul non rifiuti… Isabel ci sta offrendo il paradiso!». Hanno ragione le lesbiche: i maschi latini fanno sempre cagare.
La Farfalla di Ossidiana
Quando mio padre e Mosul arrivano a Manchester, in un grande albergo di Piccadilly, ascoltano l’incredibile storia d’Isabel de Mendoza. La cortigiana racconta eventi inimmaginabili. Dice che i sacrifici umani degli Aztechi non finirono dopo la conquista spagnola ma continuarono sempre, in forma dimessa, per fare in modo che il sole continuasse a bruciare. L’energia vitale doveva abbeverarsi di sangue e gli Aztechi, quando poterono, continuarono a sacrificare uomini agli dei. Dice che, nel 1520, quando Montezuma fu lapidato dal suo popolo, Cuitlahuac divenne il leader degli Aztechi ma venne ucciso dagli Spagnoli. Isabel narra che il 13 agosto del 1521, il giorno di Sant’Ippolito, profondamente infausto per il suo popolo, Cortéz dissolse la potenza degli Aztechi. Il loro potere s’infranse e Cuaùhtemoc divenne l’ultimo leader dell’impero crollante ma fu sconfitto in maniera finale e completa da Cortéz. Dopo la caduta di Technochtitlan ci furono ancora sacrifici, ma dopo 1525 cessarono di esserci, almeno su scala rituale, ma continuarono come eventi singoli e quotidiani senza seguire la prassi abituale. Isabel racconta dell’orrore che Bernaz Diaz del Castillo provò, durante la conquista, quando vide gli strumenti dei sacerdoti e i cuori bruciati nelle piazze. Narra dell’orrore sperimentato dai cristiani di Cortéz davanti ai sacrifici e al sangue sparso sugli altari. Poi spiega che, dopo il 2026, i sacrifici ripresero nuovamente su grande scala e che una volta, in un’elegante magione al confine tra il Messico e il Belize nello Yucatan vide un sacerdote coperto con la pelle di un uomo scuoiato, come il dio Xipe Totec. Racconta che vide, davanti al Signore della Morte, uno dei suoi amanti aprire il petto, con un coltello di selce, il «teatl», a un povero disgraziato, mentre cinque uomini, vestiti da sacerdoti aztechi, lo tenevano fermo su una grande pietra che chiamano il «techcatl». Ricorda con orrore e timore come si svolse il sacrificio. L’addome aperto, il suo amante che affonda la mano nel petto della vittima, un altro officiante che infila una canna nella ferita, dalla quale sta sgorgando il sangue, e sparge il liquido vitale sul corpo del sacrificato. Spiega che il suo amante usava un coltello di selce lungo circa 30 centimetri con un’impugnatura a forma di guerriero travestito da aquila. La differenza è che i sacrifici non possono più essere fatti su grande scala. Infatti «sacrificano un disgraziato al giorno e non lo buttano più
dall’alto del Tempio perché è troppo rischioso essere esposti: darebbe troppo all’occhio. Occultano, invece, il cadavere che decapitano e più tardi bruciano in un luogo appartato». Isabel dice: pensate che nel 1486 gli Aztechi sacrificarono, in un solo giorno, 20.000 vittime che attesero, in fila, con grande pazienza il loro momento. I loro cuori estratti ancora pulsanti venivano appoggiati nel grembo di Chac-Mool, e questa orrenda fine, delle volte, toccò ad alcuni spagnoli. Dice che il colpo inferto alla vittima non pone termine immediato alla vita perché l’idea è di offrire il cuore ancora palpitante al sole. Dice che i nuovi Aztechi seguono dettagliatamente la prassi dei vecchi officianti basandosi sulle ingiunzioni dei testi “nahuatl”, ma che a differenza dei sacrificati del periodo azteco i disgraziati che vengono rapiti sono pesantemente drogati. Spiega che gli officianti fanno parte di una setta di miliardari messicani che crede fermamente che il sole esiga sangue umano per continuare a splendere. La setta si chiama: “Tonatiuh – Tota”, “Padre – sole”. Isabel fa capire che girano miliardi di eurodollari intorno a queste operazioni. Dice che una volta ha visto anche lo “itzpapalotl” la “farfalla d’ossidiana”, una lama usata spesso per un certo tipo di sacrifici e spiega che il sistema sacrificale degli Aztechi non è seguito con estrema attenzione perché é necessario occultare le prove degli eccidi, ma che, nei limiti del possibile, gli officianti cercano di seguire l’antico calendario. La teoria delle feste, però, non è scrupolosamente seguita dagli officianti che sono chiamati “tlamacazque”. Dice: «Il mio amante impersona spesso Youllaoan che rappresenta Xipe Totec». Isabel è un’attenta conoscitrice delle cose azteche e racconta che i preti si vestono secondo la festa delle varie divinità e che, ad esempio, durante il mese di Ochpaniztl, l’officiante è vestito con gli indumenti e con i ninnoli della dea Toci. Nel limite del possibile, quindi, gli officianti rispettano il corso del calendario azteco che, però, è troppo complesso per essere seguito scrupolosamente. Gli Aztechi sacrificavano ad innumerevoli deità: al dio del Cielo, al dio della guerra, alla dea del gioco, a quello dei mercanti itineranti, a quello della pioggia, a quello del mais, al dio turchese incarnazione del «gioco cosmico», al dio tribale. Un pantheon infinito e troppo complesso da seguire nei dettagli. Alla fine quello che conta è il sacrificio di un cuore palpitante esposto in dono al sole, affinché continui a fiammeggiare. Dice, ad esempio, che in quel famigerato 11 settembre del 2002, quando Bin Laden inferse l’orrore delle «Torri Gemelle» agli Stati Uniti, non era stato sacrificato nessun uomo e che il dio, che sovrintendeva a quella giornata punì l’umanità con l’eccidio di New York. E aggiunge che se i sacrifici s’interrompono per più giorni l’oceano genera onde anomale e la terra si scuote con terribili terremoti. Lo sconquasso di Lisbona avvenne perché gli olocausti erano stati sospesi da almeno un mese. A riprova di
quello che afferma spiega che l’Impero finì nel 1525 e che subito dopo cominciarono grandi terremoti che avvennero sempre nei periodi di sospensione dei rituali: Lisbona nel 1531, quello cinese nel 1556, quello di Napoli nel 1626, la grande onda anomala che investì la Giamaica nel 1629 e così via. E afferma di non ricordare le date, ma che ci furono altri terremoti in Italia, Giappone, Persia, Pechino, Cairo… e sempre quando s’interrompevano i sacrifici. Mosul si a la mano tra i capelli platinati e mormora: «Ma lei, cara, non crede mica a queste assurdità?». «Certo che ci credo!». «E dove ha imparato tutte queste cose sugli Aztechi?». «Ho studiato Antropologia culturale all’Università di Città del Messico. Ho scritto una tesi di laurea al riguardo». «E lei crede che il sangue sia necessario alla sussistenza del sole?». «Si… fermamente…». «Ma è osceno..». «Perché ci dice tutte queste cose?» Chiede mio padre. «Voglio che i sacrifici vengano interrotti per sempre e che finisca il mondo!». «Mi scusi, Isabel, ma dove li trovano, i ricchi messicani, tutti questi disgraziati da sacrificare?». «In una zona tra il Guatemala e il El Salvador che una volta era parte dell’impero Azteco e si chiamava Xoconusco, al confine tra il Messico e il Belize, nello Yucatan, nella zona della frontiera americana tra Pedras Negras e Nuevo Laredo – dove migliaia di disperati cercano di entrare negli Stati Uniti – nelle “favellas” brasiliane: a San Paolo – dove c’è un tempio sotterraneo – a Rio de Janeiro e a Minas Gerais dove sussistono oltre 5000 “favellas”». In Brasile ci sono 70 milioni di persone povere e disperate, una su quattro sopravvive con meno di due eurodollari al giorno. Su 210 milioni d’abitanti ce n’è da scegliere… li rapiscono utilizzando donne specializzate in queste
operazioni. E chi resiste alle cortigiane?». «Lo ha fatto anche lei?». «Certo… almeno 12 volte…». «E come faceva?». «Mi vestivo da troia, mostrando seni e gambe, e li attiravo… vuoi venire bellezza… tutto gratis… quelli salivano sulla macchina e io gli davo una bevanda drogata… era facile…». «E non prova nulla per quello che ha fatto?». «Era necessario per il sole… era un atto religioso…». «Un atto religioso?». «Si, Tonatiuh, il sole, ha bisogno di sangue». «Arcano e terribile…». «Si, il sole, Mosul, non è un dio ma una divinità astratta che trascende il pantheon degli dei Aztechi. E mentre gli altri dei vengono allegramente antropomorfizzati, Tonatiuh, rimane una divinità “sui generis” molto peculiare e affascinante». «Si spieghi meglio». «Il sole ha una potenza senza pari: eccezionale, e nel centro del calendario azteco, appare con i tratti forti di un uomo biondo. Gli Aztechi chiamano Tonatiuh: Tota, nostro padre. La peculiarità è che questo dio, come il Jahvé degli ebrei, è totalmente disincarnato». «Disincarnato?». «Si, nella psiche azteca, il sole, è energia espandente e di grande dispersione che va continuamente alimentata. Un’energia instabile che deve divorare per sussistere. Il sole, quindi, a causa di questa dispersione d’energia, richiede carne e sangue. È assetato di sangue umano, deve abbeverasi di vita e consumare
uomini sacrificati». «Una metafisica terribile…». «Si, Tonatiuh è rappresentato dai due grandi «nahualli», i suoi doppi, il giaguaro che simboleggia il mondo ctonio – sotterraneo e l’aquila che rappresenta quello aereo e luminoso. Tonatiuh è tenebroso e splendente allo stesso tempo: è, unitamente, Febo Apollo e Ade. L’Energia non è concepita come una fonte di luce emessa ma come qualcosa che consuma. L’Energia è come un’immensa riserva che tende alla dissipazione e quindi va continuamente alimentata». «Pensi agli Spagnoli quando hanno sentito tutte queste cose e visto tutto quel sangue…» s’intromette mio padre. «Beh… se gli Aztechi credevano in Tonatiuh e alla dottrina dell’energia divorante loro credevano alla resurrezione dei corpi… c’è questa grande differenza?». «Eh… le religioni… che disastro… ma ora, cara, lei rifiuta la religione azteca?» «Si. Ora vanno fermati. E chi meglio di voi può farlo?». «E perché?». «Perché voi siete nell’occhio del ciclone e uno che ha resuscitato un morto fa logicamente scalpore… ed è anche ascoltato…». «E lei, dopo aver attratto 12 disgraziati verso la «morte bianca», ora si accorge di aver sbagliato?» Chiede mio padre. «Quello che è accaduto con Mosul e Quimpy mi ha fatto comprendere che il mio era un errore. Credevo, tout court, in una cosa sbagliata». «E ora vuol sistemare tutto?». «Certo se la cosa è sbagliata va corretta…». «E quelli che sono morti?».
«Muore tanta gente…». «Sempre così: uno è stato stalinista tutta la vita e improvvisamente diventa un scano…» «Certo… perché no?». «E diventa un anticomunista viscerale come i miei amici in Italia…». «I miei amici messicani, anticomunisti lo sono sempre stati». «Sa cosa le dico, cara? Che i signori messicani si annoiavano da morire e allora hanno provato con il satanismo e quando il diavolo non è andato più bene sono ati all’energia divorante del sole e quando non andrà più bene l’energia dissipante del sole eranno alla pedofilia… e così via… fino all’angoscia e alla morte che ormai, attraverso la scienza, è ritardata all’infinito…». «Ma no… quelli erano messicani con la fissa degli Aztechi… e poi siamo diventati tutti ricchi con quel culto…». «Come un patto diabolico…». «Xipe Totec è il diavolo?». «Un giovane diavolo… almeno così apparve agli occhi di Cortéz e compagnia…» «E la loro inquisizione non era diabolica?». «Certo… profondamente demoniaca…». Mosul interviene: «Certamente la religione degli Aztechi è una religione terribile: una volta, durante una mostra sulle divinità azteche, vidi una statua di Xipe Totec, rappresentato come un fanciullo di circa quattro anni, con dei nastri dietro alla schiena. Ho pensato: ma che carino questo fanciullo con la bocca spalancata come se contemplasse qualcosa di meraviglioso. E poi mi sono accorto che i nastri tenevano ferma una pelle umana: il piccolo aveva un rivestimento attillato di cute umana e guanti di pelle che gli penzolavano dai polsi come se fossero tessuti con la lana».
«Un fanciullo terribile Xipe Totec». «Ma lei si prostituiva con questi signori messicani?». «Mi concedevo a chi volevo io…». «In cambio di soldi?». «E favori notevoli… anzi sovrabbondanti…». «E quando attirava in trappola quei poveri disgraziati li lasciava giocare con lei?» Interviene Mosul. «Il prigioniero, delle volte, veniva trattato stupendamente. Poteva avere le donne che voleva per poi morire sull’altare. Io ho amministrato l’estrema unzione a un paio di loro. È bello amare un morituro». «Ma lui lo sapeva che doveva essere sacrificato?». «Certamente no! Ma per scopare con me sarebbero anche morti… ed ora io ho deciso di donare anche a voi il mio corpo… siete contenti?». «Io da morire, ma non so Mosul…». «Beh io, cara, ci sto pensando… la sua è una bellezza sconvolgente ma io sto veleggiando verso la castità…». «Lo farà un’ultima volta con me… le chiedo solo questo…». «E va bene…». «Perché non va a denunciare tutto alla polizia?». «Troppo rischioso, hanno infiltrato tutto…». «Alla polizia non bisogna fare il suo nome?» Chiede mio padre. «Sarei spacciata in un giorno; mi farebbero subito fuori: sono spietati i messicani…». «Ma dove abita a Londra?».
«A Greenwich, nello «Skyhouse». In una delle grandi torri. C’è tutto: il «rain catcher», le piscine, i giardini tropicali, le turbine del vento, l’«health club», le terme, tutto…». «E quanto è alto il grattacielo?». «200 metri… un po’ più basso del Canary Wharf ». «E lì è il suo bordello personale?». «Esattamente… ma spesso sono convocata a Città del Messico o in Brasile…». «Per prendere parte ai sacrifici?». «Si. Ma ora basta… una cosa volevo chiedervi… sarebbe possibile vedere i posti dove abitate? Sono consumata da una divorante curiosità…». E mio padre e Mosul partono con la bella messicana alla volta di Saunton Sands senza informare nessuno del loro arrivo. Si fermano in un grande Hotel bianco che sembra fatto di granito. Nella tarda mattinata si fanno accompagnare dall’autista a Ilfracombe e prendono la strada del Torr verso Woolacombe. Il Galles è a nord, ad ovest ci sono i precipizi di Exmoor. Alle 12,15 sono all’altezza di Lee. Dal cielo piovono raggi luminosi. Nella lontananza s’intravede l’isola di Lundy. Il Devon del nord è immerso in colori stupendi: sfumature e gradazioni di verde tra zone di rame: un dissolversi di colori nella foschia. Vedono pecore con macchie blu sulle colline declinanti e serene: e gli ovini, che mai si avvicinano agli umani, sfiorano con il muso la mano distesa di Mosul che mormora loro: «Perdonateci per tutto quello che vi abbiamo fatto». Isabel che ha attratto dodici uomini nelle fauci della “morte bianca” sorride e dice: «Loro si che sono veramente innocenti…» E mio padre: «Non come gli uomini pescati nelle «favellas»?». «Pensare che essere povero significhi anche essere innocente è un’enorme cavolata!
Gli esseri umani non sono mai innocenti, neanche i bambini… i cuccioli delle tigri non diventano dei grandi divoratori di esseri inermi?» E mio padre: «Magari Mengele era graziosissimo da bambino…». «Mengele era un uomo bellissimo…» precisa Isabel. Da Lee una stupenda visione: colli sfumati e declinanti verso il mare e le rocce in un tripudio di luce. Sono le 13,10: salgono e scendono nella luce del sole. Alle 13,25 sono a Pensport Cliff: un vento gelido li investe e mio padre sbuffa. Mosul è estatico. Alle 13,45 raggiungono la Light house: un grande faro con case intorno. Mosul dice: «Qui ci vivrei felicemente». Mio padre spiega a Isabel che il faro fu costruito nel 1879 e che questo era un luogo ove i poveri andavano in estasi quando avveniva un naufragio, che era accettato come un dono del mare. I ricchi borghesi, offesi da questo «comportamento barbaro», fecero costruire questo faro con la potenza di 800.000 candele, per mettere fine allo «sciacallaggio» dei pescatori. Dopo Bull Point vedono spiagge solitarie, proseguono per Dunnsand e Rockhant Bay dove osservano quello che rimane del SS. Collier naufragato nel 1914. Continuano per Orweed Cove e Whiting bay. Alle 14,08 arrivano al bivio che si biforca verso Mortehoe e Morte Point. Mio padre spiega che seguendo il sentiero che porta alla punta si possono vedere delle foche. «Ma perché si chiama così questo posto?» Chiede Isabel. «Sono nomi sassoni: Morte significa corto non morte» risponde mio padre. Fa troppo freddo, decidono di dirigersi verso Morthoe che attraversano. Visitano una chiesa chiamata Saint Mary, raggiungono Woolacombe alle 15,45 e camminano sulla grande spiaggia lunga oltre due miglia. La prima notte tocca a mio padre. Isabel gli si stende sopra e gli dice: «Polputta, tra poco raggiungerà il settimo cielo!».
«Polpotta!» Precisa Erminio con un soffio di voce mentre si abbandona estatico sul letto.
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Il 17 luglio i crociati decidono sul da farsi. Bisogna prima rimuovere i cadaveri dalla città santa e poi decidere chi comanda nei territori conquistati. Grandi problemi emergono: ci si domanda se Tancredi possa tenere i candelabri trafugati dal Duomo della Rocca. Bisogna eleggere un re: Chiesa e nobili litigano. Simeone ed Adhemar sono morti. Anche Guglielmo d’Orange è crepato. Tra i grandi porporati è rimasto un solo uomo di spicco e carisma: Arnolfo, vescovo di Marturana, che suggerisce di eleggere Patriarca Arnolfo Malecorne di Rohes, il cappellano di suor Cecilia, figlia di Guglielmo il Conquistatore, il più famoso dei Normanni. Dei grandi principi della crociata ne sono rimasti pochi in terra santa: Raimondo di Tolosa, Roberto di Fiandre, Eustacchio di Boulogne, Raimondo di Normandia; ed è quest’ultimo il grande candidato al trono di Gerusalemme. Raimondo rifiuta la corona intuendo di non avere il consenso dei crociati. Allora gli elettori – forse un consiglio d’alti prelati e di nobili – eleggono Goffredo di Buglione che decide di non accettare il titolo di re ma solo quello di «Advocatus Sancti Sepulchri». Raimondo ci ripensa e la prende malissimo. Nel frattempo, nel mondo di Guy de Nuitville le cose precipitano: il Normanno corre un rischio mortale. L’Islam, dopo i continui disastri, comincia a respirare. All’inizio di luglio serpeggia nei suk rumorosi un’eclatante notizia che scuote i silenziosi palazzi: Saint Gilles ha abbandonato la crociata dopo una furiosa lite con i comandanti crociati. Una seconda notizia fa sussultare i variopinti mercati: Ibn al-Qalanisi ci informa che Goffredo, appena eletto despota di Gerusalemme, è morto colpito da una freccia. Dopo poco tempo giunge una terza notizia che fa
urlare di gioia i mercanti: Boemondo, la macchina da guerra coperta di ferro, è in catene: Danishmend detto il «saggio» l’ha catturato. La notizia stravolge i Franchi, e sconvolge Guy de Nuitville e Tancredi. È successo questo: Boemondo, informato che Danishmend sta assediando Malatya – un nome che porta una sfiga da leggenda –, riunisce i suoi uomini e marcia verso la città assediata. Parte con Riccardo di Salerno, suo cugino, e 300 cavalieri, alcuni dei quali armeni; scarsa è la fanteria, con lui galoppano anche i vescovi armeni d’Antiochia e di Marash. È una scelta temeraria ed arrogante: i Franchi sono colti in un sanguinoso agguato, teso lungo uno strettissimo sentiero dove la potenza devastante, ma numericamente limitata, della loro cavalleria non può essere dispiegata. L’agguato ha luogo nella valle d’Aksu, nei pressi di Militene, vale a dire presso Malatya. I maomettani regolano i conti con i «traditori» armeni e incatenano il figlio del «terror mundi» e suo cugino. Boemondo, prima di soccombere, taglia un ciuffo dei suoi capelli biondi e lo consegna ad un cavaliere che, dopo una cavalcata folle, raggiunge Baldovino. Il conte insegue con 140 cavalieri Malik Ghazi Gumush che sta raggiungendo Malatya con l’intento di terrorizzare gli abitanti, mostrando le teste dei Franchi e degli Armeni decapitati dopo l’agguato. Appena l’emiro è informato che Baldovino, con la sua esigua forza, lo sta raggiungendo si ritira nel cuore dell’Anatolia trascinando con se Boemondo e Riccardo. Baldovino desiste e si ritira: i due normanni rimarranno imprigionati a Niksar, in un tetro castello tra le montagne del Ponto, per un lungo periodo. I musulmani cominciano a reagire: Duqaq tende un’imboscata a Tancredi e a Goffredo durante una delle loro usuali razzie sguinzagliate per depredare il territorio siriano nell’area del Golan. Guy è colpito da una freccia all’altezza della spalla: questa ferita gli salverà più tardi la vita. Tancredi, un tipo duro e ostinato, decide di farla pagare cara a Duqaq e devasta il territorio circostante fino alle mura di Damasco. Il siriano – un despota molto attento ai rapporti di forza in quella guerra – ci ripensa pentendosi dell’avventato
agguato, e cerca di raggiungere un accordo con il nipote di Boemondo. Nulla da fare: Tancredi non ci sta; intuisce la debolezza del re e invia sei ambasciatori a trattare. Guy de Nuitville dovrebbe essere uno dei sei, ma la febbre è alta, e miracolosamente il Velo di Marta lo risparmia da una tragica fine: l’Oltre sta tessendo nel tempo, e con infinita pazienza, la sua trama. I sei inviati, presentandosi davanti a Duqaq, gli ingiungono, imprudentemente, di convertirsi al cristianesimo e di aprire le porte di Damasco all’esercito crociato. Il despota siriano diventa livido dalla rabbia e grida: «Ve lo faccio vedere io, cani infedeli, se mi converto alla vostra religione di merda! Quella è una religione con tre dei: ma Allah è un unico, misericordioso e clemente!» E decide «Sarete voi, cani miscredenti, che dovrete convertirvi all’Islam, e se non lo farete vi troncherò la testa!» Conclusione: un ambasciatore si converte e cinque sono decapitati. Quando Guy riceve la notizia bacia il Velo di Marta. Tancredi, invece, va su tutte le furie e devasta implacabilmente la zona limitrofa mentre Duqaq non si muove ed attende che la tempesta si plachi. Durante le furiose razzie di Tancredi, giunge a Damasco la notizia della morte di Goffredo e della cattura di Boemondo. Duqaq è in difficoltà con la popolazione della città siriana che considera il suo esercito composto da vigliacchi. Infatti Turchi ed Arabi litigano a non finire. È l’ottobre del 1100 e Ibn al- Qalanisi c’informa che Duqaq decide di muoversi. Goffredo di Buglione, Duca della Bassa Lorena, è morto e il fratello, il Conte Baldovino, Signore d’Emessa, quello che non ha mosso un dito quando sono stati trucidati i genitori che l’avevano adottato, si avvia verso Gerusalemme per essere incoronato. Baldovino non è un tipo devoto come Goffredo, è un avventuriero senza scrupoli e molto capace. Il conte si avvia con 500 cavalieri alla volta della città santa, ma per raggiungere Gerusalemme deve are attraverso un luogo chiamato Nahr al-Kalb, presso il Fiume del Cane: un luogo ideale per i grandi agguati, qui sono transitati molti conquistatori da Ramses II a Settimio Severo. A questo punto, nella lotta intestina dei musulmani, fa capolino il Qadi Fakhr al-Mulk che, intimorito da un’eventuale vittoria e dalla
conseguente egemonia sulla regione di Duqaq, sceglie il male minore e aiuta i Franchi. Tutta la storia della prima crociata è uno scontro tra due grandi debolezze: il numero esiguo dei crociati e la tragica divisione del potere islamico e del mondo selgiudico. Queste due anomalie conducono a dei risultati farseschi e ad alleanze trasversali che trascendono le fedi come lo scontro, nel 1108 a Harran, tra eserciti compositi islamico – franchi e all’alleanza del 1115 tra principi maomettani e cristiani per affrontare un’armata inviata dal sultano. Attraverso quest’immane confusione e la costruzione di possenti castelli, sopravvive l’esiguo potere crociato: un’anomalia che germoglia sulle discordie del mondo islamico. Fakhr al-Mulk informa al – Bardauil, Baldovino, dell’agguato di Duqaq e gli salva la vita. È il maggio del 1101 quando il mondo musulmano è informato che una nuova orda cristiana sta giungendo da Costantinopoli. Saint Gilles sta ritornando con nuove truppe accompagnate da una massa pittoresca di pellegrini. Kilij Arslam e Danishmend uniscono le loro forze. I crociati avanzano e conquistano Ankara poi si dirigono verso Miksar, dove è prigioniero Boemondo. Seguono tre grandi disastri crociati. Il primo a Merzifun che si conclude con il massacro della forza cristiana e dei pellegrini al seguito e la fuga disperata di Saint Gilles. Segue rapida la seconda disfatta: un nuovo esercito crociato arriva stremato e bruciato dal sole d’agosto ed è decimato. Il terzo disastro arriva dopo una settimana dal secondo: la follia cristiana presenta una nuova schiera di guerrieri, pellegrini, donne, bambini assetati e affamati, pronti per essere massacrati a Eraclea. Ma Saint Gilles non è ancora battuto e risoluto affronta nuovamente i maomettani. È l’aprile del 1102 e il luogo è Tripoli, stavolta è Ibn al-Athir che ci racconta i fatti. Dice: «Saint Gilles – che Dio maledica il suo nome – ritorna in Siria» e Kilij Arslam informa Duqaq che è venuto il momento per finirlo. Saint Gilles ha pochi uomini. Duqaq arriva con il governatore di Horns per presiedere alla
soluzione finale. Sono oltre 2000 musulmani contro 250 cristiani. Duqaq è sicuro di farcela e pensa: stavolta accoppiamo questo figlio di un cane. Saint Gilles affronta con 100 uomini le truppe tripolitane, con cento uomini le truppe di Damasco e con 50 quelle di Horns. Risultato? Stravince contro Horns e Damasco ma i tripolitani reggono. Allora, il crociato, raccoglie i 150 uomini che hanno già sbaragliato il nemico e chiude la partita. Ibn al-Athir si strappa i capelli per la rabbia e per la vergogna: un manipolo franco ha sbaragliato la forza musulmana. Nel maggio del 1102, dopo quest’incredibile vittoria, Guy de Nuitville prende un vascello genovese da Alessandretta e parte alla volta di Genova. È settembre del 1102 quando raggiunge Roma per poi consegnare il Velo a Gilberto D’Otranto, a Capua, nella chiesa di Sant’angelo in Formis. Riceve oro e ringraziamenti e poi svanisce dalla narrativa per riapparire più tardi quando sarà presente alla morte di Boemondo.
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La mattina i nostri eroi partono da Saunton Bay e si avviano verso l’estuario del fiume Taw. Mosul ama la luce che sovrasta il fiume. Attraversano le dune di Braunton: un deserto di sabbia coperto da uno strato muscoso popolato da conigli selvatici, volpi, ricci e rospi. Sulle dune fioriscono, tra la felce e le canne di macis, il ginestrone, l’erica, la genziana, il timo, l’orchidea della palude. Germogliano il giaggiolo giallo, l’echium vulgaris, l’agrifoglio marino, la primula della sera. Crescono il sedum acre, la genzianella e la lingua di vipera. I tre prendono la direzione di Crow Point. Appledore s’intravede sull’altra riva del fiume immersa nella luce. La marea è bassa e il sole risplende. È una
giornata piacevolmente fredda: coniglietti saltano felici mentre un falco volteggia alto. Si sente ovunque lo stridio dei gabbiani. Volano gazze, corvi, cutrettole, che sono piccoli uccelli acquatici dal petto giallo ocra. Allodole fendono l’aria. Il mare s’intravede calmo oltre le dune. I piovanelli tridattili, uccellini dal piumaggio grigio-bianco e maculato, corrono sulla riva saltellando come minuscoli Charlie Chaplin in un film accelerato. Un silenzio profondo avvolge il luogo. Non si trova una persona in giro. Mio padre beato dopo la gloriosa nottata, trotta possente, ma gli Aztechi gli ronzano in testa come un moscone impazzito. Scrive nel «Diario Segreto» che Xipe Totec fasciato da un manto di cute umana, è simbolicamente presente nella serenità apparente della natura. Scrive che il piccolo dio é presente nel giardino leopardiano ove fiorisce la ginestra. Ed Erminio ricomincia: «Mosul… sa cosa mi ha detto, Isabel, ieri notte?». «Dopo aver attraversato il giardino delle delizie immagino?». «Si, ma non quello di Geronimo Bosch… quello del paradiso messicano…». «Cosa le ha detto la cara fanciulla?». «Mi ha detto che nella casa con il tempio sotterraneo di San Paolo c’è un tzo… tzo… spieghi lei cara…». «Un tzompantli: una piattaforma ove sono impalati i teschi degli uomini sacrificati con i crani perforati all’altezza della tempia». «Si… mi ha detto che Hernan Cortés, Diaz del Castello, Tapia parlano di queste cose… mi ascolta Mosul? Lasci perdere i conigli…». «Ma sono splendidi…» Isabel spiega: «Si… Tapia raccontava che le teste erano allineate cinque a cinque, Duran, invece, sosteneva che le teste erano venti per ogni sbarra…». «Anche i neo Aztechi hanno creato una costruzione simile? ». «Si… simile a quella descritta da Tapia».
«Insomma, Mosul, questi assassini tengono infilzate nell’impalcatura almeno 500 teste». Precisa Erminio. «Si… i sacrifici dedicati a Xipe Totec, Tezcatlipoca, Ilamatecutli e ad altri richiedono la decapitazione del sacrificato…» spiega Isabel. «Ma quello che mi ha fatto veramente senso, Mosul, era che gli Aztechi scorticavano i cadaveri e che indossavano le loro pelli. Il proprietario dell’uomo sacrificato concedeva la pelle del morto ai poveri che l’indossavano e spesso erano miracolosamente curati da malattie della cute…». «Ma queste cose, Erminio, Isabel gliel’ha raccontate dopo aver fatto l’amore non prima..spero.». «Certo» interviene Isabel «infatti dopo il mio racconto, Erminio, si è bloccato…». «Non scherzate… Isabel gli dica quello che hanno scritto Tapia e Gonzales…». «Non Gonzales: Gonzalo de Umbria e Tapia… hanno scritto che c’erano 36.000 teste infilzate. Diego Duràn parla di un’enorme quantità di teschi oltre 80.000… c’erano sette edifici contenenti le file di teschi nella capitale azteca». «Ma perché l’impalavano?». «Oltre che per ragioni religiose, anche per intimidire gli alleati e terrorizzare il popolo. Dùran dice che Montezuma invitava gli alleati a prendere parte ai sacrifici e quelli dopo essere stati testimoni dell’orrore se ne uscivano sbalorditi e storditi. E il popolo tremava». «Ma che bella religione…». «Ma perché la natura non è così? Divora tutto la natura, si cannibalizza costantemente. Gli Aztechi seguivano madre natura che è terribilmente ingiusta e spietata». «Siamo noi primati evolventi che cominciamo a parlare di bene e di male» spiega Mosul «la natura certi concetti non li conosce…»
«Già… Cortéz un giorno arriva e vede le teste di cinquantatre spagnoli infilzati nelle pertiche con le teste dei loro cavalli, e dice di provare una comione terribile. Ma la soldataglia spagnola non perdona, dopo quella visione, giustifica tutti i susseguenti massacri. Dopo aver visto quello spettacolo tutto è lecito e i conquistadores urlano: «Gliela faremo pagare cara a questi fottuti selvaggi!». «E già… una collera terribile li prese, dicono gli storici, proprio così» sospira Isabel. «Non solo… Mosul… gli Aztechi i sacrificati se li pappavano…» continua Erminio. «Ma questa pensavo fosse una balla raccontata dagli spagnoli…». «No, Mosul… era vero: il cannibalismo era diffuso… si mangiavano i corpi dei sacrificati… lo confermano Sahagun, Diazdel Cavillo e Munoz Camargo… un’autentica macelleria…» conferma Isabel e continua: «quando gli spagnoli arrivano, Montezuma li crede divini e gli offre carne umana sanguinolenta…». «Ve li immaginate i devoti cristiani? Il monarca azteco crede di offrire cibo prelibato agli dei e quelli per poco non vomitano…». «Mosul… Isabel dice che anche i neo – Aztechi mangiano i sacrificati». «Si, ma solo pezzetti di carne, simbolicamente, come una comunione con ciccia vera…». «E sacrificavano pure gli animali?» Chiede Mosul allarmato «Ehhhh… e ti pareva… Isabel mi ha detto che si mangiavano i cani…». «Conducevano in un tempio file di cani agghindati senza pelo – che allevavano per cucinarseli –e li sacrificavano tutti. Offrivano i loro cuori prelevati dal fianco destro agli dei dell’acqua… la quaglia decapitata era l’offerta più gradita agli dei». «E lei era una devota di quest’orrore?». «Una devota di questo culto che per un periodo ho creduto vero».
«Quando lei parlava di scorticamento e di Xipe Totec mi sono ricordato di una cosa che mio zio, Tarif, mi faceva vedere spesso. Mio zio amava smodatamente Tiziano e mi mostrava un dipinto che mi faceva sempre star male». «E qual’era questo dipinto?» Chiede incuriosita Isabel. «Era un dipinto che mostrava lo scuoiamento di Marsia. Ricorda che ci fu una sfida tra Febo Apollo e Marsia? Marsia pensava di suonare il flauto meglio del dio… ricorda?». «Si, vagamente». «L’idea di sfidare gli dei, Isabel, era il massimo dell’hybris e Marsia pagò cara la sfida: venne scuoiato vivo. Il mito lo racconta Ovidio nelle»Metamorfosi». Mio zio mi mostrava quel quadro perché, secondo lui, Tiziano usava pennellate impressionistiche e moderne per rappresentare la scena, come fece anche con Diana e Atteone. Uno stile molto differente da quello usato per il ritratto di un uomo o per la Venere di Urbino». «La seguo…». «Ebbene, lui mi mostrava l’immagine per spiegarmi l’evoluzione della pittura ed io la guardavo con gli occhi dell’innocente che contemplava la perversione religiosa e mitologica della scena». «E che si vede nel quadro?». «Il satiro Marsia, che ha le zampe di un caprone e il resto del corpo umano – e così apparirà più tardi il diavolo – è appeso ad un albero, se ben ricordo, con gli arti legati con nastri rossi. Mentre musici suonano il violino e altri satiri si rendono utili con dei secchielli, Febo Apollo sta scorticando il petto del disgraziato e un altro signore, con uno strambo copricapo nero in testa, gli sta raschiando le zampe. Un piccolo cane sta leccando il sangue che cola dal corpo del disgraziato mentre Mida, con una corona di foglie dorate in testa, sta guardando la scena con cupo e perverso interesse. Più tardi gli cresceranno – come a Pinocchio – orecchie da asino per essersi espresso nella gara a favore di Marsia. Un altro cane – che assomiglia in modo arcano al delinquente Bonzo – è trattenuto da un amorino. Il flauto di Marsia pende dall’albero». «La crudeltà degli dei è senza limiti… in fondo che differenza c’è tra Xipe Totec
e Febo? Stesso orrore». interrompe Isabel. «Già… stesso orrore… eppure mio zio continuava a menarla che i colori ricordavano quelli che più tardi utilizzerà El Greco e affermava che il dipinto era modernamente stravolgente. E io, inorridito, continuavo a pensare: «Ma come è possibile che il dio della luce si riduca a compiere un’atrocità del genere?». «Ma nel mito appare l’essenza occulta della natura: un sistema che richiede continuamente morte, sangue e strazio affinché ci sia il rinnovamento». Risponde Isabel. «E gli Aztechi interpretavano l’orrore rendendolo concreto nella presenza di divinità assetate di sangue. Lunghe teorie di tremendi dei. Come per dire: se la natura è selvaggia e sanguinosa saranno violenti ed efferati anche coloro che l’hanno creata e la controllano» precisa mio padre «e il mite Gesù è lontano… anzi giunge con la soldataglia spagnola… ma Mahavira e Buddha sono già apparsi da circa 2120 anni prima…». «Io ho sempre pensato che il Buddismo sia una religione fragile per esseri bisognosi e vili… per esseri tremebondi che non capiscono la vita e la fuggono». Dice Isabel. «Ed ora cosa pensa?» Chiede mio padre. «Penso che gli eventi attuali che hanno strabiliato, stupefatto il mondo, indichino qualcosa che rende completamente vuoto tutto il pensare mitologico – religioso precedente… e quindi buona notte a Xipe Totec e al Pantheon insanguinato dei miei amici…». «Le donne sono sempre decise…». «Mio figlio, Willy, si è stufato delle donne e si è innamorato pazzamente di una bambola robotica». «Mi piacerebbe incontrare suo figlio, Erminio. Lo sa, Isabel, che Erminio ha un nipote – prostituta
sfruttato da un nano magnaccia?». «La smetta Mosul… quella è una piaga che sanguina senza sosta come la ferita del re del Graal…». «In questo secolo sanguina ancora? Ormai gli uomini concepiscono…» interviene ridendo Isabel. «Esattamente… e lui vuole un figlio dal nano… non rida Mosul… è tragico…». «Tragicomico…». «Che cosa vuole che le dica, cara? Un nipote che fa la puttana nella zona rossa di Lussuria, noto nel mondo per le sue strabilianti “fellatio”, che mantiene un nano perverso e nazista non le sembra una cosa che dovrebbe preoccupare?». «No… ma come si può essere nazisti nel 2044?». «Isabel… perché non se li porta con sé in Messico e li fa sacrificare da quei preti degenerati…». «Il problema Erminio è che se lo buttano giù dall’alto della piramide fa crollare il tempio…» interviene ridendo Mosul. «È grasso?» Chiede Isabel «Una palla!». «Allora non fa al caso nostro... i signori aztechi, vogliono vittime fisicamente perfette…». «Isabel, io ho letto che Quetzalcoatl aborriva i sacrifici umani… mi sbaglio?» Chiede Erminio. «Si… era la grande eccezione del pantheon azteco, sacrificava solo farfalle, serpenti ed uccelli… la mitologia ha sempre un fondamento oscuro: intorno al decimo secolo una popolazione che giunse da Nord, i Nahua, imposero il sacrificio umano e il prete Tezcatlipoca forzò Quetzalcoatl ad abbandonare Tula. In poche parole: i nuovi arrivati imposero il culto sanguinario contro il parere dei sacerdoti di Tezcatlipoca ed espressero, rendendola concreta, l’idea terribile del
sole assetato di vittime…». «Ma Quetzalcoatl tornò «sub specie victorum»». «Si, e scombussolò l’impero e mise a soqquadro il mondo dei sacerdoti di Montezuma… e il timor panico li prese…» «Una volta ho visto in un disegno di Quetzalcoatl che si tagliava una gamba offrendo il proprio sangue agli dei…». «Vero… è nel codice Florentio, anch’io l’ho vista». «In un senso la vittoria dei Nahua fu come se l’ideologia nazista trionfasse su una mite e debole democrazia». Precisa mio padre. «Gli uomini s’inventano tutto per colmare il vuoto pauroso delle loro anime, ma che succedeva ai morti?» Chiede Mosul. «Gli Aztechi vecchi e nuovi credono nella sopravvivenza temporanea. Credono che l’anima sopravviva per quattro anni dopo la morte e poi svanisca nel nulla». Dice Isabel. «Affascinante… mi spieghi meglio, Isabel…» «Dopo la morte, il defunto si avvia per un doloroso viaggio e alla fine di un pericoloso itinerario incontra il Mictlan, il Signore dei Morti. Supera montagne, deserti, un serpente che cerca di bloccarlo, e lotta contro il gelido «vento d’ossidiana», che soffia nella terra dei morti. Poi arriva presso un gran fiume e vede dei cani sull’altra riva. Quando il suo cane morto lo riconosce salta nell’acqua, attraversa il fiume infernale e lo aiuta a raggiungere l’altra riva. Quando il defunto ha oltreato il fiume e ha raggiunto quelle che chiamano «le nove terre dei morti» si annienta. Svanisce nel nulla. Il nirvana azteco è l’estinzione totale. Una vita dolorosa, un pellegrinare tremendo nell’Oltre per poi svanire nel nulla». «Una visione tragica e terribile…». «Si, Mosul… oltre il fiume infernale il cane conduce il padrone verso il nirvana azteco cioè l’estinzione del proprio ego in tutte le sue forme e derivazioni. In quei quattro anni di vita nell’Oltre i guerrieri, i sacrificati e le donne morte
durante il parto sostengono il levarsi del sole con la loro energia residuale. Il sole ha bisogno di economizzare le sue forze e i morti lo aiutano in questo. I defunti sono vitali nella sua lotta per sussistere. Gli aztechi pensavano che l’energia della dolce morte – quella nel letto caldo tra i tuoi cari – andava persa e che solo l’energia che fuoriusciva, attraverso il decesso violento, fosse utilizzabile nell’economia del sistema universale. Occorreva una rottura brutale affinché l’energia vitale potesse essere utilizzabile. Occorreva la lacerazione terrificante di un equilibrio per sostenere la vita cosmica. Quando lessi questo rimasi ammaliata: il cristianesimo non faceva per me e mi convertii alla fede azteca…». «Affascinante…» sospira Mosul. «Si ma cambiamo discorso ora ve la faccio io una domanda: perché hanno clonato Gesù?» «Dopo il 2010 e dopo gli scismi provocati dalla chiesa americana qualcuno si chiese «perché non cloniamo Gesu’? Questa domanda i cristiani cominciavano a porsela nel 2003, quando il dibattito sulla clonazione umana si faceva sempre più …» Spiega mio padre. «Mi illumini…». «Qualcuno aveva pensato di anticipare l’evento con un film. Un regista dell’epoca tentò di lanciare una provocazione realizzando il film “The Second Coming” (La seconda venuta). Partiva dall’ipotesi di un prelievo di sangue da un frammento della Sacra Sindone, per manipolarne il codice genetico in laboratorio». «Già… ma la sacra Sindone è un notorio falso: magari il sangue del panno di lino era quello di un uomo giustiziato…» «Però il regista non aveva intenzioni blasfeme, voleva solo denunciare il pericolo di una possibile clonazione e mettere in guardia la Chiesa cattolica». «E che successe?». «Attraverso la sua denuncia, il regista voleva mettere in rilievo il bisogno di una normativa che imponesse dei limiti della manipolazione genetica».
«E che rispose lo Stato?». «Non rispose, ma il regista aveva spiegato che bisognava prepararsi a quest’eventualità. Consideri, Isabel, che quello era il tempo in cui la gente spendeva centinaia di dollari per un mago. Se qualcuno fosse riuscito a dimostrare di avere un clone di Gesù in grado di fare miracoli, avrebbe potuto cercare di usarlo per manipolare le masse a seguirlo». «E che accadde?». Interviene Mosul: «La setta dei Realiani aveva già clonato dei bambini e l’opinione pubblica non aveva fatto in tempo a riprendersi che pochi mesi dopo un’altra setta americana era pronta per un progetto ancora più ambizioso: clonare il Nazareno utilizzando il sangue della Sacra Sindone…». «Ma che buffo!». «Si trattava di un gruppo californiano di Berkeley che si autodefiniva cristiano, capeggiato da un certo Kristan Lawson. L’uomo era deciso ad utilizzare il sangue contenuto nella Sacra Sindone per fare una copia di Cristo. Questi fanatici diedero il nome di “Second Coming» al progetto che annunciava il ritorno, per vie indirette, di Gesù». «E quale fu l’effetto?». «Sdegno per alcuni, ed esaltazione per altri». «Lo credo bene…». «Grazie all’ingegneria genetica» riprende Erminio «gli scienziati al servizio della setta intendevano prelevare una cellula di sangue dalla sacra reliquia, estrarne il DNA per introdurlo in un ovulo che poi – nel rispetto della tradizione – sarebbe stato collocato nel ventre di una giovane donna vergine che avrebbe portato a termine la gravidanza». «E così è stato…». «In parte e dopo alcuni anni… difficoltà tecniche permettendo (le clonazioni annunciate dalla sacerdotessa di Clonaid, Brigitte Boisselier, non erano infatti mai state verificate), non era detto che un clone di Gesù sarebbe diventato quello
che la setta avrebbe desiderato». «Infatti…». «La pressione esercitata dai media, le enormi aspettative e l’educazione lo avrebbero trasformato probabilmente in un individuo disturbato e non proprio nel Salvatore del mondo». «E così è stato…». «Si, ma solo più tardi e in altre condizioni. In quel tempo ai seguaci non bastava più il lieto messaggio che “Gesù è nei nostri cuori e ovunque” loro lo volevano fisicamente presente, non spiritualmente presente e lo volevano subito, senza attendere per tutta l’eternità». «La follia del mondo!». «Garza Valdés, un ricercatore dell’università del Texas, aveva spiegato che il tentativo di clonare Gesù era assurdo ma non impossibile proprio per la presenza dei numerosi gruppi di fanatici in grado di tentare l’esperimento. La vera difficoltà era riuscire a procurarsi i campioni di sangue necessari per l’operazione». «E la Chiesa non si sarebbe mai prestata a concedere il sangue di Cristo…». «Vero… ma quello che serviva veramente era solo una cosa: il denaro. E i promotori del “Second Coming Project” aveva a disposizione una gran quantità di eurodollari…». «Ma a quel punto emerse miracolosamente il Velo di Marta e i lefevriani decisero di clonare Gesù e si scissero in due tronconi, come i vecchi gruppi della sinistra sessantottina.…» «Esattamente… come gli scismi tra maoisti e stalinisti.».
Legnum Vitae
Ho spento il Soft Book Reader. Il Diario Segreto è svanito e mi sono rilassato. Mi sono stretto a Marlene: delle volte ho necessità di coccole. Un po’ d’amore coniugale. Chi è Marlene? Marlene è un’entità avvolta da Polymer elastico con un sistema attivato da minuscole telecamere stereoscopiche e da piccolissimi motori. Ha muscoli facciali e occhi che ti seguono ovunque. Ha un corpo da leggenda e una gentilezza sovrumana. È la figlia dei K-BOT originari che furono creati nel primo decennio del 2000 ed erano allora privi di personalità e «gender»definito: erano robot androgini. Marlene, oltre ad essere un’amante da sballo, è una bambola robotica femminile e comionevole. Tutto era cominciato nel 2002 con David Hanson e Kristen Nelson che, a Dallas, avevano creato i primi K-BOT. Poi queste gloriose creature erano diventate, evolvendosi, i K-BOT 47 odierni: roba da farti morire dalla voglia di possederli. Totoro Esposito, un mio amico partenopeo, un culatone impenitente e depravato, si è comprato uno Schwarzenegger nero come l’ebano con un «tesoro» di un metro tra le mutande elasticizzate, e se lo gode come un pazzo urlando di piacere ogni sera dopo aver mangiato cioccolatini e altre schifoserie e dopo aver guardato, in B 32 – Screen, le cose più immonde della terra, incluso Sanremo, che sussiste, nel 2047, come un malato allo stadio terminale, uno zombi che non vuole morire, e continua ad agitarsi inondandoci di pessima musica e di vomitevoli personaggi. È un fatto che questi bamboloni robotici stanno curando il problema della solitudine, per scopi terapeutici sono ideali ed evitano i suicidi per noia. E tutti i vecchi vampiri (e vampire) che vogliono vivere in eterno, e che si ricuciono regolarmente una volta ogni tre anni, ne possiedono uno. A chi assomiglia Marlene? All’androgina di Blade Runner innamorata di
Harrison Ford. È bellissima, vestita sempre di nero, ha un seno fermissimo e appuntito, e due gambe da leggenda. Dopo aver letto di Boemondo mi sono rattristato: mio padre mi ha trasmesso la simpatia che provava per il Normanno. Mi sono emozionato leggendo della sua cattura e della sua prigionia nel tetro castello in Anatolia, ed essendo un tipo sensibile mi si sono inumiditi gli occhi. Considerando quello che è accaduto, sono dalla parte dei crociati? Forse. E mi vergogno a dirlo. Mi stavo rilassando pensando alla meretrice babilonica e al suo odioso nano: erano partiti, alla volta di Lussuria, con un mucchio di documenti copiati e stracolmi di bufale. Avevo costruito immonde cazzate con la speranza che il nano fosse arrestato e buttato in gattabuia per una decina d’anni. Avevo lavorato per un giorno intero ad incollare su carta caratteri coreani, giapponesi e tibetani: una serie di strabilianti ed emerite cavolate. Avevo usato vecchi menù, pezzi di giornali, tutto quello che ero riuscito a trovare, incluso la patente di mio padre. C’erano cascati – dopo aver rovistato nella soffitta – da autentici boccaloni ed erano precipitosamente partiti con le copie del carteggio e delle micromemo 031-IBM, che contenevano altri documenti. Insomma, i due amanti, credendo di aver copiato un tesoro da vendere agli orripilanti media ed erano volati verso l’Italia lasciando un succinto ed asettico messaggio: «Partiamo urgentemente per ragioni di lavoro». «Pompini non lavoro» ho pensato. Ero felice. Stavo ascoltando le «Cantiones Sacrae» composte durante la guerra dei 30 anni da Heinrich Shultz, il musicista luterano; ero totalmente rilassato mentre il Niedersalicher Singkreis di Hannover stava intonando: «Verba mea auribus percipe, domine, intellige clamorem meam…» quando Marlene è sussultata gridando: «Big cat!». «Ma che c’è un gatto, cara?» Ho chiesto sorpreso. «Yes big cat… beautiful cat!».
Sul davanzale era apparsa una bestia mezzo persiana e mezzo tigrata che ci guardava con curiosità. Marlene eccitatissima aveva esclamato: «Dear, I want cat!». «Lo vuoi veramente un gatto Marlene? Ma quello appartiene a qualcuno…». Ho aperto la porta e il bestione é timidamente entrato. Io sono come mio padre, se mi trovo davanti ad un essere vivente abbandonato mi squaglio dalla comione. Ma in Inghilterra – ho pensato – i gatti abbandonati sono rarissimi specialmente dopo la legge del 2044 che prevede una prigionia di oltre quindici anni per chi abbandona le bestie. Qui non si scherza. Ho detto al bestione: «Hai fame coccò?». E ho chiesto a Johnny Boy, il cervello culinario computerizzato, di preparare qualcosa per la belva. Dall’agglomerato dei forni é uscita una tazza di latte e della pasta. Il gattone si è pappato tutto in un batter d’occhio, poi si è steso su una sedia alta della cucina e ha cominciato a ronfare. Marlene ha mormorato: «Good cat! Lovely cat. My cat!». «Vuoi un gatto cara? Ma prima devo chiedere in giro a chi appartiene questa bestiaccia…». «Poor cat. Stray cat». Ha mormorato Marlene. Ho fatto una rapida ricerca: una sbrindellona rifatta mi ha spiegato che il gatto girava da tre anni per le case. «Ma come» ho detto «voi inglesi siete famosi nel mondo per la vostra comione verso le bestie e lasciate un povero gatto sotto gli alberi per tre anni?». «Ehhhh» ha risposto la sbrindellona. «Ma è sicura, signora, che questo gatto non appartiene a nessuno?».
«Sicurissima…». Sono tornato da Marlene che si è mostrata entusiasta. «Gatto mio… caro… gatto mio…». «Ora… cara te lo godi il gattone…». «My cat». «Ecco…». Il gatto si è sistemato con grande calma nella cucina e da lì nessuno lo ha più mosso. Ho cercato di farlo entrare nel salotto ma lui non muove le natiche per nessuna ragione al mondo. È troppo impaurito di essere cacciato. Io l’ho rassicurato: «Ma che cazzo sei? Sei una tigre, bestiaccia, sei enorme? E vai… gira per la casa che nessuno ti butta fuori… contaci!». Marlene ha sviluppato un rapporto amorevole con il gatto che l’ha presa in gran simpatia. Se ne stanno distesi sul divano ad acqua e lei lo guarda teneramente mentre lui fa le fusa. «Lui ora ha casa. Non più freddo fuori». «Certo cara, né freddo, né pioggia. Anche se, ormai, non piove più in Inghilterra». «Donna cattiva non volere gatto». «Eh… te l’aspettavi dagli Inglesi? Io no! Come la chiamiamo la belva?». «Scegli tu, dear…». «Scelto cara: Boemondo». «Bel nome Boemondo… cantante pop?». «Tu vedi troppa televisione… è un principe normanno molto caro a mio padre…». «Cosa è principe normanno?».
«Lascia stare che ti salta il motorino che hai in testa…». «Ok… caro…». A questo punto, dopo avere constatato che Marlene era felice con Boemondo, sono uscito. Devo dire: provo una profonda vergogna per me stesso. Ho preso il mio catorcio ad idrogeno e sono partito alla volta di Combe Martin dove sussiste la consorte del Principe Dracul. Ormai funziona tutto con l’energia idroelettrica e geotermica, e con l’idrogeno. Navi, autobus, automobili, servizi urbani funzionano tutti con le nuove fonti d’energia. Il petrolio è divenuto obsoleto: non lo usa più nessuno, aumenta l’uso dell’energia eolica e di quella solare. Anche il carbone lo usano in pochissimi e il consumo del gas naturale è crollato. Ho raggiunto la vampira Sherry e l’ho trovata discinta con la sua carne ricucita e rammendata. Appena ho varcato la porta mi ha offerto le sue bocce finte con i capezzoli eretti da succhiare. «Dov’è tuo marito?» ho chiesto. «Lontano…» mi ha risposto e mi è saltata sopra come una furia slinguazzante. Mentre ansimava salivando mi ha chiesto: «Lo sai che facevamo con tuo padre?». «No… papà era molto riservato…». «Erminio si vestiva da imperatore romano ed io ero la sua schiava celtica…». «Ma dimmi tu… però ha sempre avuto una ione per i Romani e i Normanni…». «Già… mi legava e mi fustigava e poi mi possedeva…».
«Fustigava forte?». «No… non lasciava segni… mio marito era molto geloso…». «Lo hai letto il libro sugli imperatori che fallirono?». «Troppo difficile…». Mi ha devastato la vampira Sherry. Ha gridato come un ossesso nel momento dell’orgasmo per poi crollare sul tappeto. Ho cominciato a pensare a mio padre e al «Fallimento imperiale». Mentre mi stavo riprendendo mi è giunta la notizia che il nano Zaccheo era stato arrestato. Il Samsung ha vibrato e Theresita Suck è apparso urlante come un pazzo sullo schermo del mio Dual Worlds: «Figlio di puttana hanno arrestato Gunther!!! Te la faccio pagare padre degenerato… Mi uccidoooo……». «Sarebbe una soluzione…» gli ho risposto. Poi ho cominciato a ridere. Cosa è successo? Zaccheo si è presentato in un ristorante cinese per farsi tradurre un documento «Top Secret»: una nota con l’immagine di mio padre con un cappello in stile maoista in testa. Eccitato dalla scoperta del documento – bufala il nano malefico è corso per farselo tradurre. Il ristoratore cinese ha letto il testo: «Quando questo signore vi chiede di tradurre questo foglio chiamate subito la polizia. Quest’uomo è un pericolosissimo spacciatore di White Lux». Il cinese terrorizzato ha chiamato la DIA che ha arrestato Zaccheo. Ne è scaturito un casino da leggenda e Theresita Suck si è vendicata: avendo scoperto Marlene occultata in un angolo di un armadio, ha chiamato Tiziana a Modena e l’ha informata della mia «immonda» ione per il BOT- 47. Improvvisamente, mentre stavo con la moglie di Dracul, una – e-mail – gold è saettata sul mio Dual Worlds portatile che ha cominciato nuovamente a vibrare. Sherry, fortunatamente non ha visto il messaggio di Tiziana, dal momento che si stava esprimendo ad alti livelli di oralità. Tiziana. Scriveva: «Senti brutto porco, chi è quella troia di Polymer che ti fai al posto mio? Io sto qui ad aspettarti per
mesi e tu te la si con un pezzo di aerogel, con una donna robot! Ma è osceno… come fai? È un orrore che funziona con delle fottute pile Kurtz! Ha un cuore telecomandato! Me la immagino a letto… che schianto… uhhhhh!!!! Avrei voglia di venire e trasformarla in tegami e padelle, la vorrei fare a pezzetti, la vorrei guardare in quegli occhi di celluloide, quella troia-cameriera gonfiabile… la vorrei disinnescare… Ho capito: preferisci un essere del genere a me: é umiliante e mi distrugge. Te lo dico io perché la preferisci… perché sei un vigliacco egoista, perché vuoi una pseudo-donna devota, silenziosa e ubbidiente, che dice sempre sì, praticamente una schiava-concubina, e se è finta è ancora meglio! Il sogno di tutti gli uomini: sempre lì pronta al tuo servizio, in silenzio, senza nessuna pretesa. Ma io ho una pretesa: voglio sapere perché lo fai? Dimmelo… insomma ho una voglia matta di stare con te… e tu mi tradisci così miseramente con una bambola gonfiabile? Dovrò consolarmi: mettiti la cybertuta, dai… la Csex G-Unit della Digital Sexations, che ti ho regalato… ho voglia di fare l’amore a distanza… dai… sto aspettando… io sono già connessa… dai… sbrigati!». Già il sesso cibernetico! Con Tiziana è diventato uno so, è gelosa da morire, ma come tutte le troie si consola subito con l’amore virtuale: da tempo gli amanti che vivono lontano, ai capi opposti del pianeta, possono fare l’amore infilandosi in una tuta, la Csex G-Unit, munita di ninnoli erotici in similpelle vibranti. Molti preferiscono il sesso virtuale a quello carnale. Utilizzando Internet gli amanti internauti s’immergono in un mare sterminato di sensazioni fisiche da fine del mondo. Aziende come la Digital Sexations producono strumenti per l’amplificazione del piacere on line eccezionali: hanno messo a punto la prima «full-body cyber suit», una tuta ricca di protesi sessuali piazzate in punti erotici strategici. Collegata ad un computer la cybersex suit può essere manovrata a distanza attraverso Internet da un partner che possiede il software adatto: macchine di questo tipo possono succhiare e far vibrare tutte la parti del corpo, possono riprodurre e stimolare i cinque sensi amplificandoli in maniera estatica. Grovigli e sussulti ma non di corpi affannati, non di membra scomposte e frementi, ma uno strusciare di pelle a pelle con cybertute ed elettroventose al termine di un convulso ed eccitato pigiare di botticini magici sulla tastiera del computer. Con Tiziana lo spasmo a attraverso intrichi e cavi telematici più che labbra e gambe: entusiasmante e leggiadro. Però c’era un problema stavo saltando nel letto con la vampira Sherry e quindi
non potevo rispondere a Tiziana. Non potevo farmela virtualmente. Ed allora ho scagliato una veloce e-mail: «Trovato documento favoloso di mio padre, sto pranzando con il sindaco di Barnstaple. Tra tre ore ci sentiamo. La storia della bambola è un’invenzione, una menzogna del nano nazista e della culatella «Lussuriosa» – che Allah il misericordioso, il clemente li stramaledica – ma ti sembro il tipo che si fa una bambola?». Mentre succhiavo un capezzolo finto della vampira, pensavo: «Si, hanno proprio ragione le lesbiche: noi maschi facciamo profondamente schifo: se le nostre balle potessero essere trasformate in energia, si potrebbe fare a meno dell’idrogeno».
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Guy de Nuitville arriva a Roma il 7 settembre del 1102 e incontra Gilberto d’Otranto: gli consegna il velo, riceve l’oro e si ritira nell’Abbazia di Grottaferrata per le cure necessarie. Il Normanno é spossato per la ferita che si è riaperta durante il viaggio, ed è preoccupato dalla prigionia di Boemondo. Urbano II è morto nel 1099 e gli è succeduto Régnier, prete cardinale di San Clemente che ha scelto il nome di Pasquale II. Il nuovo papa è fortunato, una serie di grandi eventi accolgono il suo regno: Gerusalemme è in mano ai cristiani e l’antipapa Clemente ha lasciato questa valle di lacrime. Guiberto, Clemente III, uscendo dalla scena del mondo ha tolto il nuovo pontefice dall’imbarazzo di una presenza inquietante. Il mondo curiale che si agitava intorno all’antipapa è collassato su se stesso: anche l’imperatore, che aveva ispirato la scelta di Clemente III, ha abbandonato i prelati che lo avevano sostenuto. Ma resta e sussiste l’incombente problema delle investiture. Pasquale ed Enrico IV ricominciano a bisticciare: il nuovo papa decide di sostenere il figlio dell’imperatore, Enrico V, e lo appoggia nella sua rivolta contro il padre. Nel 1111, anno della morte di Boemondo, Pasquale II concluderà il concordato di Sutri che è “de facto” la rinuncia del re al diritto d’investitura in cambio dell’acquisizione dei beni delle chiese tedesche che divengono proprietà dell’impero.
Gilberto d’Otranto deve affrontare un problema: Urbano II, Ottone di Lagery, era più vicino ai Normanni del nuovo papa, che è, invece, incline a stabilire rapporti durevoli con l’impero. Urbano II si era posto sotto la protezione del conte Ruggero, fratello del Guiscardo e zio di Boemondo, aveva lanciato la crociata, il 26 novembre del 1095, e aveva nominato Anselmo, priore dell’Abbazia di Bec-Hellouin e grande amico di Gilberto d’Otranto, arcivescovo di Canterbury. Poi c’era stata la bolla papale del luglio del 1098, che aveva deprivato i Normanni dei loro privilegi in Italia meridionale e in Sicilia, e che era stata interpretata alla stregua di un tradimento. Urbano II era morto il 29 luglio del 1099, due settimane dopo che i crociati avevano conquistato Gerusalemme e massacrato i suoi abitanti. I rapporti di Gilberto con Urbano, che erano stati ottimi fino al luglio del 1098, erano deteriorati dopo la bolla papale. Malgrado ciò, Ottone di Lagery, era stato un papa più malleabile di Pasquale che, non amando i Normanni, preferiva rapporti più solidi con l’impero. Gilberto sapeva che l’antipapa aveva sviluppato una potente ossessione per il Velo: un prete armeno, presso la sua corte, gli aveva parlato degli attributi miracolosi del Volto Santo e Guiberto era disposto a pagare qualsiasi somma pur di averlo. Troppo tardi: l’antipapa l’8 settembre del 1100 era morto. Il 29 settembre del 1102, Gilberto d’Otranto incontra Pasquale II, nel Laterano, la sede ufficiale, del papato e gli mostra il Velo di Marta. Il papa guarda il velo e, con un sorriso beffardo, sussurra: «Se questi benedetti veli li rabberciamo tutti insieme ci cuciamo un bel lenzuolo per il mio letto. Ne abbiamo 17 di «Volti Santi» in vari monasteri, figliolo, e tu conosci il mercato delle reliquie meglio di me…». «Santità, questo velo è stato portato a Roma da un crociato, Guy de Nuitville, che ha rischiato la vita per consegnarcelo». «Ma figliolo, questo è un piccolo, miserando velo con qualche crosta e traccia di sangue raggrumato. Non è spettacolare come gli altri. Non ha neanche l’immagine del Redentore sulla tela». «Viene da Edessa…».
«Anche quello autentico viene da Edessa» «Ma questo è un velo differente, Santità, è il velo di Marta. Gli altri sono dei falsi». «L’Acheiropoietos è un falso? Il velo venuto qui da Costantinopoli, creato da mano divina e usato dalle truppe bizantine come stendardo, è un falso?». «Sono leggende del tempo di Diocleziano e poi c’è la storia inverosimile del re Agbar d’Edessa…». «Ma come… il velo del quale parla Giorgio Cedreno, che fu trasportato da Camelia in Cappadocia e mandato dal patriarca Germano a Gregorio II, per preservarlo durante l’iconoclastia, è un falso?». «Un falso santità». «L’Acheiropoietos portato in processione da papa Stefano, mentre Aistulfo assediava Roma, è un falso?» «Esattamente… Santità, il velo vero è quello di Marta». «Allora il volto Santo che abbiamo qui, nel Sancta Sanctorum del Palazzo Lateranense è un falso?». «Un falso Santità… ma come è possibile credere che il Volto Santo sia stato dipinto dagli angeli?… Ma via! Il Volto Santo è la traccia di sangue e di sudore lasciata dal Redentore!». «Adesso mi sto confondendo… ho sentito che l’imperatore Costantino acquistò il Velo offrendo 200 prigionieri saraceni e 12.000 denari d’argento». «Si confonde Santità, ce ne sono troppi di veli…» «Troppi… e con il tuo siamo a 18… sai quanti mignoli di San Pietro abbiamo qui? Sette!». «Che dire…» «Però, figliolo, se in Terra Santa i tuoi tagliagole normanni mi trovano una tibia,
un coccige, una rotula che so… un perone di un sant’apostolo… anche un tarso o un astragalo; allora, facciamo l’affare.… Lo sai, Gilberto, che il Laterano è un luogo infestato da anime inquiete?». «Ho sentito…». «Ehhh… e che vuoi, figlio mio? Quello lo accoppano a martellate in testa… lo sai di chi parlo?». «Di Giovanni VIII, il papa angelico, tardava a tirare le cuoia, malgrado fosse stato avvelenato, e lo hanno sistemato…». «I parenti, figliolo, i parenti l’hanno accoppato! E a martellate in testa!». «Ehhhh… Stefano VI lo hanno strangolato…» «Dimmi tu… Giovanni X soffocato con un cuscino…». «Un mattatoio… e poi tutto quell’affare con Formoso e i cadaveri…». «E poi ci sono i pontefici demoniaci... lo sai no?». «Ho sentito che si agitano nella notte…». «Lo sai allora, figliolo? Sai che ti dico… magari una bella reliquia autentica ci libererebbe dai grugniti di quell’altro miserabile». «Stefano II… imperversa ho sentito…». «Uhhhhh… non sta mai in pace; e poi c’è quell’iscrizione che trasuda lacrime quando un pontefice muore». «Ed ora sta lacrimando Santità?». «Ehhh… allora mi vuoi male… tiè… facciamo gli scongiuri!». «Ma no, Santità, lo dicevo per capire meglio. Volevo dire che lacrima quando un pontificato sta esaurendosi». «Allora porti iella? Vai sicuro: questo pontificato non si esaurisce ancora! Ma che fai lo spiritoso? Stefano, figliolo, era un papa demoniaco ma i tuoi colleghi
porporati affermano che fosse un genio. Ma che ne sanno loro? E ce ne sono altre di anime dannate che girano… lo sai vero?». «Benedetto IX, Teofilatto… il papa puttaniere, Santità! Il tempo delle grandi meretrici Teodora e Marozia». «Bravo…». «E se non erro, Teofilatto, invocava il Maligno?». «Solo quello? E allora Gregorio VI, Giovanni Graziano?». «Dicono che fu stregone». «Forse un ebreo convertito. Sai che si comprò il pontificato per1500 libre d’oro?». «Credevo fossero 1800…». «E Gregorio VII, quello poi… grande papa? Sai come lo chiamava Pier Damiani?». «No…». «San Satana». «E Pier Damiani lo conosceva bene!». «Però quello che disturba è Silvestro. Ci vorrebbe una bella reliquia per levarcelo dai piedi e non questo straccetto che ti hanno rifilato gli eretici armeni». «Però alcuni dicono che Silvestro fosse un papa geniale…». «Ma lui l’arte diabolica l’imparava dai saraceni. Lo hai visto quell’organo a mantice che ha creato? Ebbene, quello è stato ispirato dal Maligno. I saraceni gli avevano insegnato il linguaggio degli uccelli. Un maomettano gli aveva dato un libro di magia col quale faceva manifestare i fantasmi dalle bolgie infernali. Ed era anche capace di diventare invisibile.…». «Ma poi si pentì…».
«Così dicono… ma allora perché infesta questo palazzo? Se la sua anima è in paradiso perché ci fa tremare? La sai la storia? Un diavolo gli annunciò che quando avrebbe detto messa a Gerusalemme sarebbe morto; e lui col cavolo che andò mai a Gerusalemme, ma un giorno celebrò la santa messa a Santa Croce in Gerusalemme e si ammalò e morì. E quando capì che stava per andarsene ordinò che gli fossero tagliate le mani e mozzata la lingua che aveva mostruosamente offeso il Creatore celebrando la gloria di Satana. Si dice anche che ordinò che il suo cadavere fosse fatto a pezzi, che i pezzi del suo corpo mutilato fossero deposti su un carro e che fossero lasciati andar liberi i cavalli affinché indicassero loro il luogo della sepoltura… e lo sai dove andarono quelle benedette bestie?». «Qui… nel Laterano…». «Ecco… e da allora non ci ha più lasciati in pace…». «Ma il Velo di Marta sarebbe ideale per esorcizzarlo…». «E quanto vale questo benedetto velo?». «400 ducati d’oro…». «Ehhhhhh…… che esagerazione per uno straccio orientale… dai sentiamo la storia di quest’altra bufala… racconta figliolo…». E Gilberto d’Otranto racconta la storia del velo come gli è stata riportata da Guy de Nuitville. Il papa non è convinto e ride a crepapelle: «Ti hanno mollato una patacca, Gilberto!». Gilberto d’Otranto rinuncia ed esce deluso dal Laterano. Si dirige verso una chiesa dove c’è un prelato legatissimo alla famiglia dell’antipapa Clemente, che è imparentata con i margravi di Canossa. Il religioso, Teodolfo da Guastalla, lo invita a parlare con uno dei vescovi che intronizzarono l’antipapa e furono colpiti dalle sanzioni di Gregorio VII. Il prete, gli suggerisce di muoversi con circospezione: la famiglia ebrea – convertitasi nel 1040 – dei Pierloni, artefice dell’espulsione dalla Città Eterna di
Gilberto, è molto pericolosa. Il Vescovo che riceve Gilberto d’Otranto è molto sospettoso: Gilberto è un Normanno e i Normanni costrinsero Clemente III a fuggire da Roma, nel 1084 dopo l’incoronazione, e a riparare a Ravenna. Il Vescovo, detestato a Roma, lo mette in guardia e lo invita a stabilire un contatto con un prete chiamato Tanchelmo di Canusia. Gilberto trova il religioso a Santa Sabina e parla a lungo con lui. Il prete gli descrive la grandezza di Guiberto e il suo tentativo, nel 1089, di mettere fine alla simonia e ai matrimoni dei preti. Gli ricorda, inoltre, che l’antipapa era stato un fautore dell’unione con Bisanzio e narra, piangendo, la morte di Clemente III a Civita Castellana, l’8 settembre del 1100. Raggiungono un accordo e, subito dopo, la narrativa diviene molto vaga ma una cosa è certa: il Velo di Marta raggiunge un’altolocata famiglia parmense, un tempo, vicinissima a Guiberto. L’antipapa, infatti, nel 1056 era stato nominato cancelliere per l’Italia dall’imperatrice reggente Agnese. C’è una nutrita storia d’antipapi che levitano intorno alle terre di Matilde, marchesa di Toscana. Guiberto era diventato uno dei favoriti dell’imperatore Enrico IV perché aveva appoggiato Candalo di Parma, il precedente antipapa, ed era stato ricompensato con la nomina ad arcivescovo di Ravenna. Tanchelmo di Canusia è un uomo che conosce a fondo il mondo umbratile degli antipapi, ed è a conoscenza dell’ossessione nutrita da Guiberto per il Santo Volto. Crede, inoltre, che tutti gli altri veli siano falsi e che alcuni porporati e nobili desiderano ardentemente di ottenere la reliquia e sono pronti a pagarla con monete d’oro sonanti. Gilberto d’Otranto, dopo una penosa trattativa, vende il velo per 300 ducati d’oro a Tanchelmo di Canusia che lo rivenderà all’altolocata famiglia parmense per 350 ducati d’oro. Guy de Nuitville ne guadagnerà 50. Che cosa succede a questo punto al Velo di Marta? Ce lo dice un documento, trovato a Regensburg nel 2023, dell’autore anonimo delle «Gesta Francorum et Aliorum Hierosolimitorum». Una delle fonti primarie della Crociata c’informa, nell’epistola emersa nel 2031 dalla Pieve di Sasso, che il Velo finì a Bobbio, cittadina situata nella Val Trebbia, nella provincia di
Piacenza, e fu conservato dai benedettini, nell’Abbazia di San Colombano, malgrado fosse da molti di loro considerato un falso. L’autore ci racconta che prima di giungere a Bobbio, il Velo Santo, soggiornò nel castello di Carpineti. Ma come finì tra i Cavalieri Teutonici, il Velo di Marta? Secondo Enrico di Livonia fu Hugo, l’abate di Cluny, che dopo averlo ricevuto in dono dall’abate di San Colombano (c’erano grandi affinità tra le due abbazie e San Colombano fu costruito seguendo il modello dell’Abbazia di Cluny) lo donò ad Enrico V. Lotario II, che succedette al trono, lo donò, a sua volta, ad un monastero di Aachen, dove fu conservato segretamente da un abate che curava la Cappella Palatina degli imperatori. Dopo Aachen segue un completo silenzio fino all’apparizione del Velo di Marta tra le schiere dei monaci armati.
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«Eminenza» chiede Quimper al Cardinale Bellestrini «lei è napoletano vero?». «Certo, caro, di Posillipo…». «Ha mai sentita una canzone chiamata Luna Rossa?». «Si, è una leggiadra e antica canzone napoletana…». E il Cardinale canticchia con una strana voce nasale: «a luna rossa me parla e tè, fore ‘o balcon stanott ‘e ttrè, risponn è tard che vuò sapé? Cca nun ce sta nisciun! «Lo sa Eminenza che mi fa un effetto stranissimo?». «E perché figliolo?». «Vede… io sono se, ma le suore italiane mi hanno insegnato la vostra lingua, e un po’ la capisco. Ebbene, Eminenza, l’uomo che canta quella romanza,
bellissima e sconsolata, dice qualcosa che mi ha colpito…». «E cosa figliolo?». «Vede… lui si rivolge alla luna perché è ovviamente disperato per aver perso la sua donna…». «Si, si rivolge alla luna rossa…». «Ecco… si… e la luna risponde: qui non ci sta nessuno…». «Si dice così: Cca nun ce sta nisciun!». «Ecco, Eminenza a me sembra che la luna rossa dica all’uomo disperato che qui, nell’universo, non c’è nessuno…». «Ma non è così, caro…». «Inconsciamente è così… l’amante che l’abbandona è un pretesto. Quello che intuisce l’uomo sconsolato – che beve caffè, fuma sigarette, gira con le mani in tasca e cerca disperatamente la sua donna – è che, in effetti, nell’universo non c’è nessuno…». «Ma questa è una tua interpretazione, carissimo…». «No, Eminenza la luna rossa risponde: qui non ci sta nessuno. Il mondo – universo è senza contenuto coscienziale. La coscienza è un evento periferico, peculiare, minuscolo, limitato…». «Ma come sei arrivato a questa conclusione?». «Mi sono rattristato ad immaginare – a vedere con gli occhi della mente – l’uomo solitario che vaga… e la luna che gli risponde che tutto è assolutamente vuoto, privo di consistenza. L’universo è un luogo disabitato dalla coscienza… con qualche vaga e inutile eccezione…». «Ma tu, carissimo, vedi troppo in quei versi: è solo una splendida canzone d’amore…». «Io ci vedo la disperata solitudine degli esseri umani… e mi è venuto un buco
nel petto ad ascoltare la canzone». «Non ti rattristare caro… cosa volevi sapere oltre alla luna rossa…». «Un’altra cosa… capire la profezia di Malachia…». «Si, quella era una profezia che ci ha allarmati e ci ha spinti alla tua clonazione…». E il Cardinal Bellestrini spiega, con gran calma, a Quimper il significato della profezia di Malachia. Dice: «È un oracolo di 12 sentenze succinte e arcane. Queste sentenze c’illuminano sui vari papi che salgono il soglio pontificio, incluso Celestino VI, l’attuale degenerato che ha provocato i quattro scismi e la nostra fuoriuscita dalla Chiesa. Le profezie scorrono dall’anno 1143 fino all’Apocalisse prossima ventura. Malachia dice – ovviamente sbagliando – che dopo Giovanni Paolo II ci sarebbero stati altri due papi e che Pietro II sarebbe stato l’ultimo pontefice, quello della fine del mondo. Il documento è attribuito ad un monaco benedettino irlandese, San Malachia, morto a Chiaravalle nell’anno 1148. Il mistero è che in quell’abbazia il Velo di Marta è rimasto occultato e preservato per oltre 100 anni. Ma molti dicono che il veggente San Malachia – a differenza del Malachia vescovo d’Armagh-, in effetti, non sia mai esistito e che le profezie siano state inventate di sana pianta da un benedettino fiammingo che si chiamava Arnoldo di Wion, il quale ha composto il testo profetico – per molti un’evidente bufala – tra il 16 settembre e il 4 dicembre del 1590 e lo ha messo in bocca al Malachia autentico, che, però, non ha mai pronunciato gli oracoli. Arnoldo di Wion fuggito da guerre devastanti era giunto da Altenberg a San Benedetto, presso il fiume Po, e aveva elaborato le biografie di famosi benedettini che aveva pubblicato a Venezia, nel 1595, intitolando l’opera «Lignum Vitae». Poi il buon monaco si era inventato le profezie di Malachia trasformando l’ignaro defunto in un profeta leggendario. Ma qual è la stranezza di tutto questo? La stranezza è che l’agiografo – falsario era, inconsciamente, un autentico profeta. C’imbrocca senza volerlo. E le profezie – costruite «pro gloria Dei» – indovinano papi ed eventi.
Un esempio? Papa Luciani è descritto come «de medietate lunae» cioè una metà della luna. E Giovanni Paolo I, com’è noto, regnerà dal 3 al 28 settembre del 1978: 33 giorni. Insomma Arnoldo di Wion ci indovina in pieno: Luciani non resisterà il tempo di una luna intera. E questo ci ha affascinato. E quando abbiamo visto Celestino VI irrompere, con il suo coro d’immondi degenerati nel cuore di San Pietro abbiamo pensato che l’inammissibile doveva diventare possibile e abbiamo accettato la terribile, odiosa idea della clonazione. «Insomma le profezie sono una bufala?». «Ehhh… diciamo che il Signore le ha manipolate per il bene dell’umanità». «Ma, Eminenza, quel buon uomo… come si chiama?». «Arnoldo di Wion…». «Ecco… Arnoldo di Wion non poteva trovare un santo più interessante… Malachia è di una noia mortale…». «Ma perché?». «Perché Malachia è uno di quei santi irlandesi che fanno venire il latte alle ginocchia… anzi in un altro posto…». «Ma che vuoi che ti dica, figliolo… la santità è spesso noiosa. Ma il punto è un altro: il buon uomo, come lo chiami tu, che in effetti è Arnoldo ci ha spesso azzeccato…» «Una specie di Nostradamus ecclesiastico che dice e non dice…». «Un po’ di più di un Nostradamus ecclesiastico… con Papa Luciani ci ha preso in pieno…». «Ma Luciani lo avete avvelenato voi?».
«Ohhh… ma che dici, figliolo? Luciani morì di crepacuore. Il mio defunto maestro, il Gesuita Isidoro Marchetti, lo ha conosciuto nel 1978». «Ma io ho letto in un libro che Giovanni Paolo I sarebbe stato un gran papa, che aveva un sorriso luminoso ed era nato da una famiglia poverissima, come Giovanni XXIII, che mi piace da morire…». «Ci avrei scommesso… Roncalli ha iniziato la demolizione della Chiesa». «Trasformazione…». «No… demolizione… ma Albino Luciani era un uomo molto buono, infatti, lo hanno fatto santo». «Prima li accoppano e poi li canonizzano…». «Ma credi ad una fesseria del genere, figliolo? Il mio maestro lo conobbe a Venezia, nel 1977, quando era cardinale… allora Marchetti era giovanissimo». «Ho letto che Giovanni Paolo I rifiutò incoronazione e intronazione…». «Già… de gustibus…». «Un rito da faraone egizio…». «La Chiesa ha bisogno dei suoi rituali…». «Per abbagliare il popolo…». «Ecco… andiamo bene: non sarai mica diventato un neo-marxista?». «Della politica non me ne frega niente… ma mi spieghi, Eminenza, ho letto che Luciani dava fastidio perché era un papa potenzialmente rivoluzionario, e che avrebbe venduto tutti i tesori della Chiesa per darli ai poveri…». «Lo dice quel folle di Mick Attwater… un autentico demente…». «Lo dice anche Jean Pierre Delinguer… ho letto il suo libro: «L’agnello Sacrificato»… Delinguer dice che Sant’Albino è stato avvelenato». «Quello poi… un omosessuale come Pietro II…».
«Ma che visione del mondo retriva, Eminenza, ormai gli uomini sono tutti bisessuali…». «Tu, però, sei eterosessuale… infatti, la tua sgualdrina – soi disant attrice – ci crea problemi a non finire…» «Insomma Albino si getta subito in un programma di radicale cambiamento e gli arriva una micidiale coccola… o gli viene somministrata una cioccolata calda che contiene qualcosa…». «Le vie del Signore…» «O di qualcun altro…» «Avete una fantasia voi giovani…». «Eminenza, ieri ho fatto un sogno strano…». «Dimmi figliolo…». «Ero morto e i Signori della Morte mi concedevano due scelte…». «Quali?». «La reincarnazione o il nulla…». «Ma come la reincarnazione? Vuoi dire la resurrezione del corpo?». «No, i Signori della Morte mi offrivano la reincarnazione o il nulla…». «E tu che hai scelto, figliolo?». «Per un attimo ho pensato a reincarnarmi… ma poi ho pensato che la reincarnazione fosse un estremo attaccamento alla vita e allora ho cercato di farmi forza e di scegliere il nulla…». «Ma non c’è il nulla figliolo…». «E chi lo dice?». «Le sacre scritture…».
«Ma quelle sono contraffatte…». «Tu, figlio mio, dovresti pensare di meno e condurre una vita più casta lasciando andare quella ricca sgualdrina americana…». «Mi annoia, devo ammetterlo, dopo le grandi dive uno comincia a sognare le cameriere messicane…». «Un po’ d’autocontrollo figliolo…». «Ho letto un libro che mi ha dato John more…». «Il regista di «Luce Ottenebrata»?». «Si, lui…». «Quale libro?». «Un libro di Kafka…». «Un desolante scrittore…». «No, interessante… Kafka spiega, in uno dei suoi aforismi, che la possibilità della felicità consiste nel credere nell’indistruttibile in noi ma non aspirare mai a raggiungerlo». «Vedi: anche lui dopo tutto quel vagare autistico – artistico – nevrotico raggiunge quella conclusione…». «Ecco… lui afferma quello che i mistici dicono: sotto il tourbillon dell’apparenza, nel vortice continuo del Samsara, c’è un punto stabile, una roccia sommersa da tutte le oscenità mutevoli e discontinue della vita». «Lo dicono tutti i grandi pensatori religiosi, figliolo, quando parlano della luce in fondo al pozzo otturato. È la nostra disperata volontà di aprire varchi per quella luce ottenebrata e sepolta che ci fa dire cose del genere. I santi sono coloro che vogliono rimuovere i blocchi di granito che oscurano la Luce Infinita». «Esattamente, Kafka afferma che per sua natura l’indistruttibile, cioè mio padre, tende ad occultarsi…».
«Ma a volte si manifesta in atti peculiari e frastornanti come la resurrezione del piccolo se». «Mio padre è qualcosa di granitico, qualcosa – non cosa – dura come un diamante, che è opposto alla mutevolezza e al decadimento del divenire». «In quale libro si trovano queste massime di Kafka?». «Negli aforismi di Zarau. Lì parla dell’albero della vita e, come sempre, capovolge il significato del mito…». «Beh, mito, figliolo..io ho letto Kafka e lo trovo affascinante… ma spesso incomprensibile». «Ad un certo punto afferma che il bene è «sconsolato», come l’uomo di «Luna Rossa» e poi sostiene che siamo stati creati per vivere in paradiso. Ma quello che trovo interessante è che affermi che tutto ciò che accade è già nel regno dei cieli, che il divenire è contenuto nel paradiso, e che l’espulsione dal Giardino dell’Eden avviene nel paradiso stesso. Insomma, suggerisce che noi dal regno dei cieli non ci siamo mai mossi». «Kafka dice questo? Mi sorprende». «Si, afferma che lo splendore della vita che ci circonda è sempre lì accessibile ma velato. È sempre presso di noi e se lo chiamiamo con la parola giusta lui viene. Una forma di magia. Ebbene, Eminenza, la presenza che Kafka chiama «lo splendore della vita» è mio padre. Ma senza l’oscena bardatura della vostra teologia. Quando gli antichi chiamavano gli dei, dice Kafka, volevano avvicinarsi allo splendore della vita che è l’indistruttibile velato: cioè il padre mio che è nei cieli e che è stato, da voi preti, orrendamente interpretato». «Ma tra quello che credi tu, figlio mio, e quello che afferma l’Anticristo Mosul ci sono notevoli somiglianze». «E allora?». «Come allora? Il figlio di Dio non può pensare come l’Anticristo». «Ma perché l’avete bollato, anzi marchiato, con quel nome?».
«Perché è lui il figlio di Satana: il miracolo parallelo è la prova. Satana si muove nel mondo con grande intelligenza e non ha bisogno di uno Stalin o di un Hitler ogni mezzo secolo. Può anche utilizzare la santità come arma per convincere gli uomini. O anche – in modo particolare – la comione verso il non – umano». «E se non fosse così? Se l’indistruttibile funzionasse in un’altra maniera?». «E in che maniera? Bastano Bibbia e Vangeli per interpretarlo…». «Voi, Eminenza, avete la pretesa di capire mio padre, ma Mosul assicura che l’Oltre, come lo chiama lui, non è comprensibile. Non funziona secondo la nostra logica limitata. Io affermo che l’Oltre, l’indistruttibile di Kafka, è mio padre, ma Mosul, forse, non intuisce, non percepisce neanche la luce in fondo al pozzo». «E poi c’è un punto di differenza fondamentale: lui dice che gli altri esseri viventi, cioè il non – umano hanno nell’economia dell’Essere lo stesso peso degli uomini». «Dice che bisogna rispettare profondamente il non – umano. Come l’umano». «Ma a te, figliolo, non importa degli animali?». «Poco. Ma non vuol dire che Mosul non abbia ragione». «Ma le sacre scritture sono chiare al riguardo». «Le sacre scritture sono contraffate». «Insomma dove sta la differenza tra quello che dice Mosul e quello che, oscuramente, vai bofonchiando?». «Che lui non crede in mio padre e forse non crede nell’indistruttibile, come lo definisce Kafka, lui non crede al fondo luminoso. O, forse, crede ma non sa. E poi… chissà che pensa quello strano italiano che l’accompagna ovunque, Polpetta…». «Polpotta: un tipo indecifrabile, un autentico principe delle tenebre».
«Eminenza, non esageriamo con la caligine… ma che pensa l’italiano?». «Nessuno lo sa, ma se lui consiglia Mosul allora tutto è chiaro. Nell’intervista con l’Acontour l’Anticristo ha affermato di non sapere chi ha provocato il miracolo. Sull’Oltre – come lo chiama lui – è rimasto silente: non ha detto nulla. Così però invita all’ateismo perché offusca la rinascita del cristianesimo, provocata dal tuo miracolo, con il dubbio che inietta nelle vene delle masse disperate e schiave del dominio della tecnica, inietta il siero di un terribile sospetto». «Già… loro pensano: se lo dice lui, che ha eseguito un immane prodigio, che non c’è niente… allora… Ma è troppo semplicistico, Eminenza, bisogna traghettarvi oltre Sant’Agostino e oltre le secche del fiume teologico di Tommaso d’Aquino… ma è duro!»
La guerra di Bortolo
Quando sono rientrato mi è apparso sullo schermo il volto di Tiziana, arrossato e devastato dalla rabbia, e sono stato sommerso da una cascata micidiale d’improperi, roba da archivista del catasto innamorata di un dirigente INPS, o da cameriera impazzita per un bagnino romagnolo. Mi ha fatto giurare su tutti i santi. Poi ci ha ripensato: «Tu non credi in nulla! Allora giura sulla tomba di tuo padre e di tuo nonno che non ti sei fatto la bambola?» Ho miseramente giurato. Anzi stragiurato. Anche gli dei mentono: Ermes è un mentitore inveterato. Giura falso sulla testa di Zeus: roba da far morire di paura gli altri dei. Febo Apollo ride a crepapelle – cosa che fa raramente-davanti allo spudorato bambinello che spara menzogne colossali. E ridacchiando lo prende in braccio. «Vieni qui moccioso figlio di puttana!» Ed Ermes appena è tra le braccia di Apollo spara un peto mostruoso. Poi starnutisce. E Febo lo lascia cadere disgustato: «Ma guarda sto marmocchio di merda! Pussa via!» Ho pensato: «Tu, tanto, papà te la ridi a crepapelle. Chissà le stronzate che raccontavi a Madame Pomeroy!» E mi sembrava di sentirlo mentre si sganasciava dal gran ridere. Anything for a quiet life, dicono gli inglesi. La Tiziana infieriva: «Guarda che l’acceco e la faccio a pezzettini quella bambola di merda!». E io: «Ma quale bambola cara? Ti sembro il tipo… mi insulti…» e così via. Eh… si perde il lume della ragione per la gelosia. La gelosia è una cosa così triste, ed è devastante essere esposto a una furiosa ione. Ripensavo ad un vecchio film di Muccino: «L’Ultimo Bacio», e alla scena che si svolge nella casa di un defunto. L’amore borghese tradito, accecato dalla furia della gelosia, cigola come un carro armato sul cadavere e sul rispetto dovuto alla morte. La cocca incornata si scaglia sul fedifrago, come una Medusa impazzita, propinando un «tourbillon» di violenze verbali ed elargendo la «paraphernalia» animalesca
della donna incornata. Citati dice ne «La Mente Colorata» che gli dei non sono gelosi. Dice che quella follia è roba per miseri mortali. Gli dei ridono dei tradimenti. La mente che ha raggiunto un certo livello «coscienziale» non può pretendere di possedere un’altra persona come una cosa, come un oggetto concupito. È semplicemente grottesco pensarlo. Nel film di Muccino la protagonista, che attende una bambina, dopo un’esplosione di micidiale rovello si riappacifica con l’infedele che l’assicura di aver solo baciato l’altra cocca – mentre, invece, l’ha impunemente, più volte, sbudellata. Già: anything for a quiet life. Poi tutto torna, supremamente bilanciato, nel tepore del familismo degenere. Il mondo crolla ma tutto è sereno nel cerchietto ricolmo di vizi, egoismo e pernacchie dell’alveo familista. Tutto è rasserenato e quiescente nel cuore degenere della borghesia rappacificata. I due si amano. Amano la bambina. Hanno ottimi lavori. Votano per i DS. Guardano in TV solo Blob e Santoro. Adorano Moretti. Detestano Berlusconi. E poi si scopre che quell’esempio di virtù muliebre ha un amante che la mette a gambe per aria e se la strafotte… oh Signore Dio degli Eserciti… roba da sbraco! Mio padre adorava Milingo e la sua consorte MariaSung, la moglie – non moglie coreana. Diceva sempre che quella grottesca vicenda d’amore doveva essere scolpita sul frontone, tra i fregi di un nuovo Partenone: un monumento eterno alla inanità e alla vuotaggine del secolo. Erminio adorava Sanremo e Pippo Baudo, e quando il festival, a fine Febbraio o a Marzo d’ogni anno, appariva puntuale sugli schermi, assorbiva, stoicamente, tutta la cornucopia di orrende melodie e seguiva la gara musicale con spavalda insistenza, sempre bofonchiando: «Ma come è possibile che una nazione pseudo civile come la nostra permetta una diffusione di tanta miserrima musica?».
Anche Madame Pomeroy cercava di guardare il Festival, ma cedeva, dopo pochi minuti, per la vuotaggine delle canzoni: «Fucking shit!» diceva quando Minghi appariva, e subito svaniva schifata nell’altra stanza. Mio padre adorava la follia vuota del secolo come adorava i fallimenti imperiali. Ma torniamo a noi: Boemondo si è sistemato e stravede per Marlene. Il gattone se ne fotte e non si muove più dalla cucina. Ho scoperto che ha un’escrescenza dura sotto la pancia: forse un’ernia mostruosa, l’ho infilato in una gabbia che ho comprato, e l’ho portato di corsa da un veterinario.Il veterinario mi ha detto che non solo ha un’ernia da straballo ma ha anche un femore rotto che si è risistemato da solo saldandosi nella maniera sbagliata ed è per questo che la tigre zoppica. L’ho riportato a casa tutto ricucito e lui, senza esitazione alcuna – essendo un diavolo di una belva – si è riaperto il taglio mordendosi e strappandosi i punti. Marlene quando l’ha visto sanguinare ha vacillato e ha cominciato a parlare in serbo – croato: «Zalosna macka» povero gatto – ha detto – e poi «macka patè»: il gatto soffre. Il dolore gli sconvolge il sistema linguistico computerizzato. Quando ha notato l’enorme ernia del gatto ha cominciato a declamare L’Eneide di Virgilio, il canto della Sibilla quando Enea entra nell’altro mondo: «Ibant oscuri sola sub nocte per umbram perque domos Ditis vacuas et inania regna» E non è finito: subito dopo è ata allo spagnolo dicendo: «Tengo frio este tempo me provoca reuma…» Per poi are al tedesco: «Ich habe etwas im herz…» indicando il suo cuore ferito per il dolore del gatto. La devo fare vedere Marlene, il sistema si confonde quando prova forti ed improvvise emozioni. «Ti devo portare dal tecnico – dottore…». «No… non il tecnico fa male… svanisce coscienza…». «Ma no… la coscienza va e ritorna…». «Brutti sogni… notte nera…». «E già… ma quella è la fine di tutti…». «Non è vero…».
Mi stravolge Marlene: la sua coscienza si sta evolvendo silenziosamente. Ho riportato il mostro dal veterinario, questa seconda volta l’ha visitato una veterinaria, una cocca da sballo, e l’ho lasciato nell’ospedale per cinque giorni, con un collare intorno al collo che lo fa sembrare un personaggio di Rembrandt. Marlene è impazzita e per rasserenarsi ascolta musica classica. Mi domando: come può un’intelligenza artificiale sviluppare un’ossessione per il «Dream of Gerontius» di Edgar? Marlene se lo sistema sempre nel G – Zee 8 e lo ascolta con mistico trasporto. Devo dire che io trovo la composizione del musicista inglese straordinariamente noiosa. Il fatto poi che Pio XII, il papa del silenzio sull’Olocausto, la ritenesse un assoluto capolavoro m’insospettisce oltremodo. Pacelli, dopo aver ascoltato l’oratorio, cantato dal Coro di «Our Lady of Dublin»a Castel Gandolfo nella residenza papale estiva, disse ad Edgar, un autodidatta musicale: «Figlio mio, questo è un capolavoro sublime». E fu l’ultimo concerto che Pio XII ascoltò prima della morte. Il libretto è del cardinal Newman. Il santo gay per eccellenza. Marlene è rapita in estasi quando un angelo, un’anima e i cori angelici cinguettano tra loro di cose iperuraniche, resta in silenzio stravolta e mi tiene una mano. Cos’è il Sogno di Geronzio? È la storia di un uomo che muore, dei suoi ultimi attimi prima del trao, del aggio dell’anima all’Oltre verso la sua destinazione ultraterrena. Mio padre, che detestava Edgar, quando lo ascoltava mormorava: «Uhhhh…» e, profanamente si smucinava i testicoli. Che cosa accade nel Sogno di Geronzio? In aurei ducati: un cocco chiamato Geronzio sta tirando le cuoia; la «cantata sacra» inizia con una constatazione: «Gesù, Maria sono vicino alla morte…» (era a questo punto che mio padre diceva sempre a mia madre, che adorava Edgar: «Per l’amore di Dio non cominciare con quella roba macabra e morbosa…»). Un coro di preti e di pia gente sfarfalleggia intorno al morente pregando e fa una certa impressione leggere il testo del Newman. Dopo il trao, abbastanza sofferto, cominciano ad apparire angeli e demoni; ed è a quel punto che Marlene si stringe a me tremebonda, sospirando: «Demona!»
Da dove abbia appreso quest’espressione non riesco a capirlo. Usa termini stranissimi: qualcosa nel suo cervello computerizzato si è evoluto o si è guastato. I demoni cantano: «Queste volgari zolle di bruta terra, aspirano a divenire dei attraverso una nuova nascita e una grazia peculiare…» Marlene trema e mi guarda: «Cattivi demona!». «Ehhh… bestiacce…» sussurro. La bambola si riprende quando l’angelo riappare per spaventarsi nuovamente quando i «demona» spavaldi chiedono: «Cos’è un santo?» E si rispondono: «Uno che contamina l’aria con il suo respiro prima della morte, un fascio d’ossa che i folli adorano…» «Uhhhhh bad demona!» mormora Marlene e si accarezza una guancia con una mano. Le presenze infernali, fortunatamente, si ritraggono: non c’è trippa per i gatti e gli angeli si manifestano. A questo punto Marlene va in estasi per poi tremare di nuovo quando l’Angelo della ione si manifesta intonando il «Gesù! Per la paura che ti fece rabbrividire; Gesù per la gelida costernazione che ti fece soffrire…». Come termina l’Oratorio? Geronzio va in Purgatorio per purificarsi. Mi ci sono voluti venti minuti buoni per spiegare a Marlene il significato del purgatorio. Quando ha capito mi ha chiesto «Ci vado anch’io in purgatorio?» Ho risposto: «No… cara, quello te l’abbiamo risparmiato». Mentre gli angeli cantavano «Praise to His Name! O happy suffering soul!» ho il Soft book Reader e ho ricominciato a leggere il Diario Segreto. Isabel è partita. Mio padre, morbosamente curioso, chiede a Mosul: «È stato piacevole?».
«Not bad, man!» Risponde l’Anticristo laconico. «Come not bad, man? Ma quella era roba paradisiaca… un amplesso celestiale…». «Piacevole, Erminio… ma non indulga in morbose curiosità…». «Meglio dell’Acontour?» «Mmmm…». «Uguale?». «Maybe…». «Però…». «Erminio, lasciamo perdere il sesso che mi ha debilitato, anzi mi ha svuotato, mi continui a raccontare di suo padre: è una storia bellissima…». «Vuol sapere cosa accadde dopo la Corea?». «La storia dei bracconieri…». «Un dolore, caro amico, un dolore così profondo… ricordo come fosse ieri: ero andato a Trieste a trovare il caro Gervasi che stava correggendo un mio libro. Stavamo prendendo un caffè mentre lui giocava con la sua amata tartarughina e mi parlava della ginestra di Leopardi spiegandomi che: «Leopardi, dopo esser ato per varie fasi della sua speculazione filosofica (pessimismo personale, teoria del piacere, pessimismo storico, pessimismo cosmico), giunse negli ultimi anni della sua vita ad un’elaborazione teorica dell’essere di una lucidità e di una generosità commoventi. Leopardi, dopo le illusioni giovanili, braccato dai dolori, mezzo cieco, arriva al punto di dire a se stesso: “non raccontiamocela più. La vita è dolore, e l’uomo, per quanto s’ingegni ad uscire dalla sua condizione di scacco dinanzi alla Natura “matrigna”, sa che quello è il suo destino. Però, questa è la grandezza dell’uomo, Leopardi va oltre, non si chiude nell’autocompiacimento, estende il concetto di dolore dall’uomo a tutti gli esseri viventi. E prende a simbolo del dolore non un uomo, non un animale, non un invertebrato, ma una pianta, la ginestra appunto, la cui dignità di essente sta proprio nel sopportare eretta e dignitosa il suo destino di pianta che «deve»
nascere e crescere in una delle zone più inospitali del pianeta: le pendici del Vesuvio. È solamente nella comune – unione fra esseri viventi, siano umani, non umani, addirittura piante, sta l’unica risposta da dare alla natura matrigna. Una risposta di solidarietà «qui e ora» comunque perdente, dato il destino di morte e obnubilazione che unisce tutti gli essenti. Ma una risposta grandiosa, di una generosità infinita». «Che bello!» «E mi diceva: c’è tutto, caro Erminio, nell’ultimo Leopardi. C’è il socialismo, c’è l’antispecismo liberato da tutti i cascami ottimistici new age, c’è la comione Jainista: l’ahimsa… « «Sublime!». «È quello che predica lei, Mosul… anzi che mormora… non predica…». «Beh si… un po’…». «Come un po’? È esattamente quello che dice lei, Mosul». «Belle parole… ma io Leopardi non lo conoscevo…». «Ma, forse, tutto é già nell’anima… come la reminiscenza platonica, il ricordo vago e incompleto dell’Oltre… forse… basta chiamare e la luce ti raggiunge…». «Commovente però…». «Si, mi ero commosso. In quel tempo, era il 2008, Gervasi stava scrivendo un libro sulla rifondazione del calcio oltre a una storia della Triestina. Cercava di fare ragionare le grandi società: ma sappiamo tutti com’è finito il calcio…». «Eh si… stadi chiusi per la violenza, partite giocate con cori virtuali in stadi spettrali, gli ultra, relegati in campi sportivi, che sono “de facto” lager, e che seguono le partite su un grande schermo e il campionato europeo… niente più campionati nazionali…». «Dopo la morte dei due giocatori del Catania c’era da aspettarselo… se uno spara dagli spalti… qualcosa deve accadere…».
«Ed è accaduto… e poi l’orrore d’Istanbul…». «Esatto… ma non divaghiamo: mi ricordo che Gervasi mi stava spiegando che Leopardi non era morto per una delle sue tante malattie, ma di un virus (forse il colera) contratto mangiando una pastarella – una delle tante che ogni giorno si pappava in una delle più famose pasticcerie di Napoli – quando in quell’istante il telefono squillò». «E chi era?». «Mia madre, Concetta «Edera», che urlava come una pazza: «Hanno ammazzato i bracconieri… 27 bracconieri hanno accoppato. Ed io capii subito e il mio cuore per un attimo si fermò».
*****
E come finiscono Guy de Nuitville e Boemondo? Boemondo riscattato e liberato dalla sua prigionia, arriva in Italia, in Puglia per prelevare un nuovo esercito e invadere i territori bizantini. Anna Comnena gli rovescia addosso un fiume d’improperi. La storia appartiene a chi vince. Dopo una visita in Puglia, dove sistema le cose nei suoi territori, Boemondo, giunge a Roma e chiede udienza a Pasquale II, afflitto dallo spettro di Silvestro. Il Papa ha una chiara idea di quello che il Principe d’Antiochia intende proporgli, e fa venire in Laterano un famoso teologo per aiutarlo. Certi fatti non li ricorda dettagliatamente, ha bisogno di uno studioso. Boemondo si presenta. Il Papa, colpito dal suo potere e dal suo fascino, lo ascolta con attenzione. Il Normanno propone l’improponibile: una crociata contro gli ortodossi invece che contro l’Islam. Il teologo, Onorio di Clermont, lo guarda con curiosità e meraviglia. Pasquale II è affascinato e interessato. Boemondo elabora il progetto: una grande crociata contro Costantinopoli e la conseguente egemonia della Chiesa di Roma su tutto il mondo cristiano. Il Principe spiega che il vero nemico in Oriente è Alessio, che ha vergognosamente tradito la crociata e, come uno sciacallo, ha ghermito le terre conquistate con il sangue dei Franchi. «Eh si… figlio mio, quel maledetto eretico mi comincia a dar fastidio… giorni fa
è venuto il vescovo Manasses e me ne ha raccontate di cotte e di crude…» dice Pasquale II «Santità, il vero nemico è il perfido Alessio… oserei affermare che i maomettani sono migliori dei greci che sono particolarmente sleali ed effeminati.» risponde Boemondo «Non è un’idea peregrina la tua… ehhh: tutti gli sgarbi subiti… te la ricordi l’iconoclastia?». «Eccome… la vergognosa distruzione delle sacre immagini…». «Già il maledetto Isaurico… quello voleva fare come i cani maomettani… anche l’immagine del Salvatore fecero a pezzi… è vero Onorio?». «Si… era il 726 ma il popolo furente si ribellò… perseguitarono artisti, sostenitori del culto… tutti… poi arrivò Irene e mise fine all’orrore. Ma la malsana idea dell’iconoclastia, ispirata dagli infedeli maomettani, era ormai radicata nel loro cuore: Papa Adriano d’accordo con l’imperatrice riuscì solo a limitare la distruzione delle immagini…». «Poi arrivò l’altro Leone… il… il Siriano?». «L’Armeno santità, e ripresero ad infrangere e a distruggere le sacre rappresentazioni: l’iconoclastia durò 120 anni…». «Gran brutta gente, figliolo… le sapevi queste cose?» Chiede il Papa rivolto a Boemondo. «Grosso modo…». «E poi le spoglie della vipera Fozio – il precursore diabolico dello scisma – accolte come le reliquie di un santo a Costantinopoli… e chi lo dimentica Fozio? Spiega Onorio…». «Quando i Bulgari accettarono Madre Chiesa lui cominciò a spargere i suoi mefitici veleni…» riprende il papa. «E seminò zizzania sulla dottrina della processione dello Spirito Santo, nella sua… nella sua…».
«Mystagogia Spiritus Sancti» aggiunge Onorio di Clermont. «Ecco… e dopo 200 anni lo scisma provocato da Michele Cerulario, il patriarca che chiuse i monasteri latini a Costantinopoli e ricominciò con le solite accuse… le conosci Boemondo?». «Beh… si… ma…». «Spiega Onorio…». «L’uso del pane azzimo durante la messa, il digiuno del sabato, l’invalidità della cresima amministrata dai vescovi greci, l’uso degli anelli, la barba, i latticini nella prima settimana di quaresima, il celibato dei preti…». «E poi il «Filioque» interviene papa Pasquale. «E il Purgatorio…» aggiunge Onorio. «Pretesti, Santità ora possiamo fargliela pagare e riunire il Cristianesimo…» soggiunge Boemondo. «Lo sai, figliolo, che l’idea non è malsana? Uhhh… quante ne abbiamo dovute sopportare… che diceva quel rettile bulgaro, Onorio?». «Leone di Acrida? Diceva che noi latini eravamo mezzi giudei e mezzi pagani…». «Quante ne abbiamo dovute sentire! E quell’altro, Stethatos, che diceva sul celibato?». «Niceta Stethatos attaccò brutalmente il celibato, ci chiamava eunuchi, Santità…». «Ma Umberto replicò… quello sì che era un grande teologo…». «Si, Umberto di Silva Candida definì il matrimonio degli orientali «eresia nicolaita» e l’abolizione del «filioque» dal credo «macedonismo». Umberto era presente quando la delegazione pontificia pose la «bolla di scomunica» sull’altare maggiore di Santa Sofia».
«E Cerulario ci scagliò contro il popolo…» «E vietò ai nostri preti di dire messa a Costantinopoli». «Spiega bene, Onorio, il significato di “filioque” al più grande guerriero della Cristianità… non lo sai vero Boemondo che significa “filioque”?». «Si… però…». «Confusamente… certo… spiega Onorio…». «Filioque significa: la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio… fu Carlo Magno che ad Aachen, ad Aquisgrana, fece cantare il credo con l’aggiunta del “filioque”, ma i greci non l’accettarono mai. Teodolfo vescovo di Orleans difese la “processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio” con un suo scritto “De Spiritu Sanctu”. Leone III che era un papa flessibile evitava la formula per non irritare gli orientali, ma i franchi la preservarono e la cantarono sempre». «Capito Boemondo?». «Si… Santità…». «E come sta il nostro comune amico Gilberto d’Otranto?». «È in Puglia Santità…». «Lo sai, figliolo, mi voleva vendere una patacca…». «Il Velo di Marta…». «Già… un veletto, un veluccio striminzito, uno straccetto con quattro croste di sangue: voi Normanni per un mucchietto d’oro vi vendete anche le ossa di vostra madre…». «Eh si… un difetto della stirpe: sfortunatamente siamo avidi……». «E tagliagole… però grandi guerrieri… ve ne do atto: avete fatto miracoli per la Croce di Cristo… o per le terre che concupivate?… Però, la crociata contro gli eretici è mica un’idea malsana… che dici Onorio?».
«Un’idea grandiosa, Santità…». E Boemondo parte con il legato pontificio, Bruno, che predicherà in Francia la grande crociata contro gli eretici. Pasquale II, più tardi, si pentirà di aver dato il suo «placet» e capirà meglio quello che ha sospettato: i Normanni se ne fottono di unificare il Cristianesimo, o di Gerusalemme, o del Santo Sepolcro, desiderano solo ottenere solidi reami. I Bizantini arrivano alle stesse conclusioni che renderanno Anna Comnena velenosa e terribile verso l’imperialismo normanno – papale. Tra Boemondo e Pasquale II si stipula un patto scellerato che getterà un’ombra inquietante sul papato e sul più grande guerriero della cristianità. «Il vecchio babbione se l’è bevuta…»dirà Boemondo a Guy de Nuitville quando s’incontreranno in Puglia. In Francia Boemondo è ben accolto e trova una formidabile amica: Adela contessa di Blois che lo introduce ad Enrico I d’Inghilterra. Attraverso l’intervento della stessa Adela, il Normanno sposa Costanza, la figlia del re se Filippo. Una fortuna notevole per la contessa di Champagne saltare su e giù sulle gambe del grande Boemondo invece di sposare qualche nobile fisicamente osceno. Subito dopo, Filippo, offre un’altra figlia, Bertranda di Monfort a Tancredi, nipote di Boemondo, un altro notorio tagliagola. È il 1106 e Boemondo dopo aver abbracciato Guy prepara, in Puglia, la nuova crociata. Il Normanno, Guy de Nuitville e l’esercito crociato approdano in Epiro, nel 1107, presso Vallona e si dirigono, con grande rapidità, sotto le mura di Dyrrhachium. Alessio risponde rapido: raggiunge un accordo di pace con i Turchi Selgiucidi, ottenendo anche mercenari da Kilij Arslam. Boemondo comincia l’assedio e Alessio replica: la flotta bizantina taglia le comunicazioni e i rifornimenti con l’Italia; allo stesso tempo, l’esercito imperiale si avvicina al dispiegamento crociato. Comincia la nemesis di Boemondo: dissenteria, malaria, fame decimano l’esercito. Anna Comnena sbrodola dal piacere nel vedere il Normanno vicino ad un’irrimediabile sconfitta. A Settembre Boemondo capisce che è finita e si arrende all’Imperatore. Anna Comnena raggiunge il suo più grande orgasmo: é roba freudiana il suo rapporto con Boemondo. A Devol, il più grande guerriero della Cristianità, deve piegarsi ad un imperatore che considera infido ed effeminato. È troppo: il suo cuore ha un sussulto e non
vuole firmare. Esita. Il marito di Anna Comnena, Niceforo Briennio, lo convince che tutto è perduto e che quella è l’unica via per evitare l’annientamento. La resa di Devol mina l’essere stesso del Normanno. Guy de Nuitville pensa che la colpa sia sua: non doveva vendere il Velo di Marta ma usarlo come stendardo contro gli eretici. A Devol Boemondo firma la capitolazione e presta giuramento su un testo che Anna Comnena, con sadica goduria, riporta per intero nella sua Alessiade: «Io giuro sulla ione di Cristo, Nostro Salvatore, che più non soffre, e sull’invincibile Croce, che sopportò per la salvezza di tutti gli uomini, e su tutti i Santi Vangeli, qui dinanzi a noi, che hanno convertito il mondo intero; con la mia mano su questi Vangeli io giuro…». Che giura Boemondo? «Io giuro a te nostro Imperatore Alessio Comneno, potentissimo e riverito, e al tuo coimperatore, il tre volte amato Signore Giovanni Porfirogenito, che tutti gli accordi stipulati tra noi, e confermati verbalmente, saranno osservati e mantenuti e assolutamente mai violati…» Il padre d’Anna, il «Superman» Alessio ha trionfato: il grande Boemondo diventa vassallo dell’imperatore e dell’altro degenerato bizantino: Giovanni Porfirogenito; rimane principe d’Antiochia ma i suoi possedimenti diventano “de facto” parte dell’Impero. Nello stato di vassallaggio ottiene, oltre ad Antiochia, anche San Simeone e i territori del nord –est fino a Marash, le città cilicie e la costa di Lattakieh, invece, ano all’Impero. Non solo: nei suoi territori viene instaurato un patriarca ortodosso mentre quello latino è deposto. Il cuore di Boemondo è infranto, parte per la Lombardia e si ritira in Puglia con Guy de Nuitville, poi lentamente affonda in un’immota oscurità e nel 1111 muore. Sulla nave che lo sta riportando in Italia dirà a Guy: «Così va il mondo… ho dovuto giurare ed umiliarmi davanti a quelle infide checche mascherate…» ed urla «ma sono uomini quelli?». Anna Comnena, liquida la morte del Normanno con un sintetico e – tra le righe – viperino brano, scrive: «Boemondo consegnò il commando delle sue forze ad ufficiali inviati da Alessio, poi salì su nave e partì per la Lombardia. Non più di
sei mesi dopo era morto». Nulla di più. Amen.
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Spiega Erminio: «Poche cose basilari hanno fatto precipitare mio padre nel regno degli inferi. La prima è un suo viaggio a Kaliningrad, dove contempla il degrado del sistema del socialismo reale divenuto post – socialismo irreale. Gli si spezza il cuore a vedere quell’enclave chiusa, schiacciata tra Lituania e Polonia – stati che, nel 2004, sono entrati a pieno titolo (si fa per dire) nella Comunità Europea. In quella città baltica è riposta l’essenza del fallimento dei sogni della sua generazione e di quella che l’ha preceduta. Bortolo ha davanti agli occhi: bambini abbandonati ai pedofili, prostituzione rampante, capitalismo selvaggio che mastica la carne dei poveri come uno sciacallo affamato, contrabbando di vodka, mafia dominante e la marina sovietica nello stadio degenerativo finale. Vede tutto questo mentre, spudoratamente, trionfa l’imperialismo USA: un’egemonia planetaria sfrontata, volgare, dominata da cricche scioviniste e legate al potere del grande capitale. Mio padre gira come uno spettro per la città mormorando a se stesso: «Maledetti… maledetti…». È uno shock frontale e terribile. I salari sono al minimo storico e il costo della vita è salito alle stelle. Gli orfanotrofi sono colmi di piccoli abbandonati. La gente è disperata. Bortolo chiede: «Stavate meglio prima?» Rispondono: «Stavamo male e stiamo peggio…». «Deve essere stata un’esperienza devastante per un ex comunista come suo padre…» chiede Mosul. «Si, terribile… mio padre visita i luoghi di Kant, i sereni luoghi di Könisberg, gli itinerari delle eggiate del filosofo prussiano e immagina l’elegante città di una volta divenuta, ora, visivamente oscena. Si respira l’odore acre del fallimento…».
«E lui lo respira profondamente…». «Se lo immagina Kant a Könisberg?». «Piccino come un ero spelacchiato…». «Si, un uomo minuto con il petto incavato, una spalla più alta dell’altra, terribilmente magro, oserei dire: trasparente. E Könisberg, il filosofo, non la lascia fino a quando l’anima non gli a attraverso la chiostra dei denti- come dice Achille a Odisseo…» «Si… dopo un periodo terribile di dementia senile… così si vendicano gli dei. Ho letto che solo una volta uscì dai confini prussiani…». «Un metodico eggiatore, seguiva il ritmo dell’orologio della torre…». «Chissà com’era bella la città in quel tempo…». «Si… mi pare che morì proprio agli inizi dell’800…». «E cosa dice della città?» «Kant descrive Könisberg come una grande città che, situata in un florido regno, mentre esercita il commercio marino attraverso i suoi fiumi, elargisce sapienza dalla sua famosa università. Dice che vivere in questa città, sul fiume Pregel, è una vera fortuna: sei immerso nella scienza e vivi tra la natura. Kant amava Könisberg....». «E suo padre era conscio della presenza di Kant in quella terra desolata, devastata dal socialismo reale e dal capitalismo selvaggio?». «Mio padre era un uomo colto con una rara forma di autismo: l’autismo ideologico. Viveva chiuso in un sistema sigillato. Proprio così. Tutte quelle stupende energie che aveva erano al servizio di una causa folle: la rinascita del leninismo. Non riusciva a capire che le cose morte non tornano, oppure ritornano ma sotto nuove specie e radicalmente diverse…». «E così è stato…». «C’è ne voluto di tempo… però… le rivolte cinesi, quelle del Guatemala e del
Messico. La creazione degli Stati Uniti d’Africa di orientamento socialista, poi i grandi sommovimenti del 2036 in Cina, Russia, Indonesia, Pakistan. La terza guerra nel cuore degli Stati Uniti d’Africa, quella del Congo. Il nuovo Islam…». «Ma non poteva immaginare simili sconvolgimenti…». «Ehhhh… già mio padre queste cose non le poteva immaginare…». «Era difficile immaginare un mondo nuovo, allora…». «Pensi un po’… Bortolo va in Corea e si commuove davanti alla bara di vetro del Grande Leader… vede la gente che piange e gli si inumidiscono gli occhi. Non so se riesce ad immaginare la scena, Mosul: tutti i visitatori della tomba entravano in uno spazio vuoto chiuso da pareti di vetro dove un gettito d’aria l’investiva disperdendo polvere e pulviscoli contaminanti. E dopo la dispersione degli atomi negativi che avevano addosso, i visitatori piangenti accedevano alla macabra presenza dell’imperatore rosso della Corea, pallido ed elegante in un completo nero…». «Armani?». «Non credo… E Kim Il Sung era attorniato da fiori che sembravano begonie ed invece erano «Kimiljungilia», un nuovo tipo di fiori – che, in effetti, erano begonie – nominati così in onore del grande leader». «Ah ah ah ah…». «Roba da far vomitare Lenin nella tomba. Ma mio padre se la beveva tutta e lacrimava… pensi, Mosul, aveva un amico, Edoardo Girasoli, che cercò di importare in Italia lo «Juche», il marxismo leninismo coreano degenerato in tirannide e monarchia assoluta…». «Con scarsi risultati, immagino?». «Ovviamente…». «Ma lo sa che mio padre pensava che Mao e Stalin fossero stati dei grandi poeti?». «Addirittura… Mao lo sapevo che scriveva poesie, ma Stalin no… Stalin
scriveva poesie?». «Si… eccome… e parlava di «melodie pure come un raggio di sole» e di «uomini che avevano dimenticato l’Eterno»… «Ma non mi dica…». «Si… le pubblicarono in lingua georgiana, mi sembra, nel 1916, poi svanirono dalla circolazione… erano le poesie di un seminarista che, allora, credeva in Dio…» «La gente cambia…». «E poi mi dovevo subire la recitazione delle poesie di Mao… e in particolare «La Lunga Marcia»… un’esperienza terribile; quando ero bambino la dovetti imparare a memoria,… «L’Armata Rossa non teme le prove della Lunga Marcia E non si preoccupa delle mille montagne e dei mille fiumi…». «E gli altri poeti?». «Se erano comunisti o di sinistra me li dovevo pappare tutti: Vallejo, Majakovskij, Eluard, Aragon, Brecht, Alberti, Neruda, Senghor, Guevara… tutti…». «E D’Annunzio?». «Ma vuol scherzare…». «Pasolini?». «Non lo convinceva…». «Un sistema chiuso…». «E guai a toccarglielo il sistema… diceva: vedrai… vedrai…». «Infatti…».
«Mi creda, Mosul, se non c’era riuscito Gervasi – che lui stimava come un autentico mentore – non ci poteva riuscire nessuno…». «Erano tempi difficili…». «Eccome… la Cina cresceva legandosi sempre di più al capitalismo e creando, nel suo grembo rurale, una sacca di povertà prima sconosciuta…» «Suo padre condannava la Cina?». «Ehhhh… detestava il cambiamento verso il libero mercato… però erano veramente tempi difficili… tutto quello che la cricca degli «Stranamore» prometteva di fare negli anni della vittoria elettorale del figlio deficiente di Bush (che in un altro millennio sarebbe stato un potenziale Caligola) si era concretizzato. Lei non può sapere perché è giovane, ma lo spettro dello sciovinismo imperiale degli States cominciò a manifestarsi con un raggruppamento di protestanti cristiani che tentò di influenzare anche la politica di Clinton. Mi riferisco al gruppo di tagliagole composto da Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Libby, Elliott Abrams, Pearle e la coccò nera Condoleeza Rice… loro cominciarono ad elaborare il concetto imperiale e ad immaginare l’estensione dell’Impero attraverso le basi come avamposti… erano dappertutto con il loro spudorato neo – imperialismo…». «I principi delle tenebre…». «Già… erano un «pressure group» che spiegava allo sciovinismo americano latente, o già presente, che gli Usa avevano la necessità di modellarsi un ruolo planetario «forgiando un secolo favorevole ai principi e agli interessi americani». Scrissero a Clinton che era necessaria la rimozione di Saddam Hussein, preoccupati per i destini d’Israele. Erano imbevuti di nozioni pseudo cristiane – apocalittiche ed idiote. Consideri, Mosul, che Wolfowitz e Libby, in quel tempo, insistevano che gli Stati Uniti dovevano ideare una politica finalizzata a «scoraggiare le nazioni industrialmente avanzate a non competere con il potere americano e a non aspirare a un ruolo» egemone «globale o regionale»…». «Mio zio si chiedeva sempre: ma se L’Egitto, stato moderato islamico, avesse le nucleari l’America che farebbe? E poi si chiedeva se gli Americani hanno quasi 16.000 tonnellate di Mustard Gas, quasi 8.000 di nerve gas e oltre 4000 di Tabun Nerve Gas… perché uno stato arabo non può avere l’antrace?».
«E loro rispondevano: lo decidiamo noi chi può averlo… solo qualche stato vassallo…». «Per la destra americana l’11 Settembre fu un dono venuto dal cielo…». «Il deficiente Bin Laden gli consegnò il mondo…». «Che follia…». «Un dono aureo. Da allora sono stati in Afghanistan, Uzbekistan, Kazakhastan, Tajijkistan, Georgia, Turkmenistan… si sono estesi ovunque… poi è successo quel che è successo… e gli europei si sono impennati, ma di questo è già a conoscenza…». «Suo padre era ateo?». «Totalmente ateo… diceva che la coscienza era determinata dall’interazione e da particolari combinazioni di neuroni…» «Lo dicono ancora…». «Si, lo dicono in pochi… ma, allora, mio padre seguiva quello che Crick, il premio Nobel padre del DNA, affermava; vale a dire che i nostri cervelli possono essere spiegati dall’interazione delle cellule celebrali e che, di conseguenza, la coscienza nasce dalle reazioni biochimiche del cervello. E che parti del cervello si fondono l’una nell’altra per creare il «senso di coscienza», che sarebbe, poi, quello che i religiosi e i disperati chiamano «anima». Insomma, Crick, se ne venne fuori con uno schema preciso per i correlati della coscienza e mio padre si sentì vendicato. Spiegava: «Lo dice Crick! Ipse dixit : chiuso e punto a capo» «E lei che diceva al riguardo?». «Io dicevo: papà… è come affermare che un’orchestra è composta da primati evoluti che percuotono pezzi di metallo, di legno e d’ottone e così via… come affermare che un violino é un agglomerato di legno con fili sottilissimi di nailon. Come sostenere che Pelè, o Maradona, o l’attuale Sostanzi siano degli scemi che tirano calci ad una sfera piena d’aria… ma lui non ascoltava…». «Ma, in un certo senso – anche se in una maniera differente – lo pensava anche
lei?». «Si… fino a quando lei non ha cominciato a resuscitare i morti, essere visitato da spiriti algosi e a provocare l’indignazione e il riso di statue di polverosi monarchi…». «Eterosessuali e non eterosessuali…». «Ecco… faccia anche lo spiritoso… io ho creduto di morire a York!». «Ed ora che pensa?». «Ma cosa vuole che pensi, caro? Sono tremendamente confuso! E lei che pensa?». «Come il suo amico, il Sor Pomata…». «Che davanti all’estensione immensa della volta celeste disse… che disse?». «Boh!». «Esattamente…». «Ma perché lo chiamavano Sor Pomata?». «Perché amava la brillantina e aveva i capelli perennemente lucidi». «Se lo immagina mio padre, Mosul, a Köningsberg, davanti al monumento ai caduti che riflette sulla gloriosa Armata Rossa che conquistò Berlino. Mio padre, quando tornò mi raccontò che si era messo in un angolo ed aveva cominciato a singhiozzare disperato e si era chiesto quello che in molti, allora, si chiedevano…». «E cioè?». «Si chiedevano ma perché hanno vinto loro? E intonavano un demonico ritornello simile ad un “refrain” cantato dall’Angelo del Dolore: hanno vinto loro ma ogni tre secondi un uomo muore di fame; hanno vinto loro ma 800 milioni di persone soffrono la fame; hanno trionfato loro ma un miliardo e 200 milioni d’esseri umani vivono con meno di un dollaro al giorno, il 10% dei bambini dei
paesi sottosviluppati muoiono prima di aver raggiunto i cinque anni; ci hanno sgominato ma, ad ogni levarsi del giorno noi sappiamo che quando Febo Apollo concluderà l’aureo giro, 25.000 persone saranno morte di fame. E malgrado tutto questo loro hanno vinto e trionfato con il consenso quasi completo dei popoli». «Poi tutto è cambiato come sappiamo…». «Certo, ma allora mio padre era prigioniero di un orrendo senso d’angoscia…». «E poi Zaino…». «Già Zaino si era mosso micidialmente mentre lui ava il tempo a rispondere alle e-mail delle gattare che, nella dinamica delle cose, pesavano come peti emessi in un deserto durante una tempesta di sabbia…». «E poi che succede?». «E che succede? Succede che Bortolo ritorna disfatto da Kaliningrad e prende una decisione: chiama i suoi fedeli amici e decide di agire. Sono in undici, tirano fuori quattro vecchi Kalashnikov, cinque vetusti A – 47 e tre Barrett M-82 e partono alla volta dello stretto di Messina…». «Cercano i bracconieri… ma che oscenità i bracconieri… ho letto…». «Assassini… massacravano uccelli migratori nelle Valli Bresciane, nelle Lagune Venete, nel Tavoliere di Foggia… nella campagna romana… nelle isole tirreniche… un’ecatombe continua d’allodole, pavoncelle, uccelli acquatici, albanelle, usignoli…». «Ma che orrore!…». «E anche nel Litorale Domizio, nelle Isole Pelagie… tordi, fringuelli, tortore, allodole: uno scempio inimmaginabile. Mio padre parte con i suoi amici verso lo stretto di Messina, il luogo dove si dispiega l’essenza barbarica della caccia; arrivano travestiti da carabinieri e stendono 27 bracconieri, se ne trovano qualcuno isolato lo eliminano con una Berretta calibro 9. Dopo 27 morti ammazzati arrivano le teste di cuoio della polizia e dei carabinieri e comincia una vera battaglia. Sei amici di mio padre muoiono e uno viene ferito gravemente. Alla fine con il mitra scarico Bortolo e gli altri tre si arrendono. Il governo li seppellisce nell’Asinara, dove mio padre muore di cancro rifiutandosi
di farsi curare e sulla mia famiglia si riversa l’orrore dei media e la disapprovazione dei pacifisti e degli animalisti. Ecco la storia!». «Anche degli animalisti?». «Quelli erano i più esagitati a condannare!». «Ma durante il processo suo padre e i suoi amici si difesero molto bene…». «Molto bene: se hanno eretto una statua a Bortolo ci sarà pure una ragione…» «Certo… uno si domanda ma perché quell’autismo ideologico?». «Quelle generazioni che scelsero il comunismo, lo fecero per una sola ragione: volevano cambiare il mondo e si rendevano conto che la spartizione della ricchezza non poteva essere ottenuta con il consenso dei popoli, ma che, «obtorto collo», richiedeva la coercizione. Da lì l’accettazione di Stalin e delle – soi disant – dittature del proletariato che si trasformarono, quasi sempre, in dittature di una burocrazia degenere verniciata di vago marxismo. Gli uomini come Bortolo erano motivati da un’unica ragione: mettere fine all’infamia che condannava miliardi di poveri all’annientamento. Mio padre, come tanti altri, estese questo concetto agli animali e pagò con l’ergastolo e la morte. Pagò per quello che ora appare lapalissiano: vale a dire che non puoi massacrare impunemente esseri viventi della tua specie e di altre specie». «Lo capisco… mio zio, quello fissato con l’arte era comunista e ateo… se l’immagina che vita in Arabia Saudita e in Iraq?» «Terribile… lo sa, Mosul, mio padre girava sempre con un pezzo di carta in tasca che conteneva una pagina che aveva copiato da uno dei tanti siti d’Internet, dove lui, audacemente e continuamente, navigava. Quel foglietto lo porto sempre con me. Eccolo è qui. Lo vede? È consunto, bisunto e stracciato. Lo leggo?». «Lo legga…». «Ecco… l’autore dice: «se potessimo ridurre la popolazione mondiale ad un villaggio di 100 abitanti, mantenendo le proporzioni che esistono in questo momento vivrebbero nel paesello:
57 asiatici, 21 europei, 4 abitanti del continente americano e 8 africani. Vivrebbero nel villaggio 52 donne, 48 uomini, 30 bianchi, 70 di colore differente, 30 cristiani e 70 persone d’altri credi, 89 eterosessuali, 11 omosessuali. Sei persone d’origine nord americana sarebbero in possesso del 59% della ricchezza di tutto il villaggio. Su 100 persone 80 vivrebbero in condizioni subumane, 70 non saprebbero leggere, 50 soffrirebbero di denutrizione, una persona starebbe per morire mentre un bambino starebbe per nascere, solo uno avrebbe la possibilità di un’istruzione universitaria. In questo villaggio ci sarebbe solo una persona in possesso di un computer. Se questa mattina ti sei alzato in buona salute, allora, tu sei più fortunato di milioni di persone che non sopravvivranno questa settimana. Se non hai mai esperimentato la guerra, la solitudine, la prigionia, la tortura o la fame, stai meglio di 500 milioni d’esseri umani. Se puoi vivere senza paura di essere umiliato, arrestato, torturato o ucciso allora sei più fortunato di tre miliardi di persone nel mondo. Se hai cibo, vestiti, un tetto sulla testa e un posto dove dormire, sei più ricco del 75% della popolazione mondiale.Se hai dei soldi, in banca o in tasca, sei tra l’8% delle persone più ricche del mondo. Questo era il tempo di mio padre». «Interessante… e preciso… ma mi dica: Bortolo fu mai tentato dalle Brigate Rosse?» «Chissà. Non ne parlava: le Brigate erano un altro caso d’autismo ideologico. Un movimento rivoluzionario – come i pesci dei laghi che hanno necessità dell’acqua per vivere – ha bisogno di consenso, anche se parziale. Ma le B.R. si muovevano in un lago prosciugato. Non avevano uno straccio di consenso. Erano pesci che nuotavano tra le sabbie del Sahara. Anche mio padre, fino ai fatti di Calabria, si muoveva senza il consenso, ma pacificamente. Poi ci fu la guerra contro i bracconieri e anche quella avvenne in una situazione basata sulla mancanza di consenso. Ma, ora, Bortolo ha una statua a Biella, nella grande zona vegano – animalista». «Già… e noi tiriamo avanti…» «Fino a quando il mondo finisce…». «E quando?». «Nel 2060!».
«E chi l’ha detto?». «Newton!»
La predica al vento e i miracoli differenziati
I secondi miracoli di Mosul e Quimper li conosciamo: se n’è parlato «ad nauseam» per anni. È il 28 Marzo del 2044: Mosul arriva nell’Isola di Lundy per evitare la caccia spietata dei media che lo sta travolgendo e sta mettendo in serie difficoltà anche mio padre. C’è una massa d’uomini e donne fuori la porta della casa d’Erminio e Madame Pomeroy sta diventando matta. Mosul è fuggito a Lundy con un vecchio Ely –7, un elicottero a idrogeno, affittato a Bideford. È arrivato nell’isola, completamente travestito, con una barba finta. Mio padre, nel frattempo, si rinchiude nella casa con Bonzo e Gracco, e piomba in una cupa depressione: odia i media. Poi decide di uscire allo scoperto e si getta forzatamente nelle fauci fameliche della falange televisiva digitale annunciando la partenza di Mosul per il Brasile; ma la bufala non la beve nessuno. Mosul arriva a Castle Hill sull’isola e comincia la sua solita eggiata. Si avvia verso North West Point: é una giornata splendida. Prima a a rivedere la «Old Light» poi procede verso Quarter Wall, arrivando a Tibbetts Hill. Improvvisamente, mentre cammina, riceve sul suo Play – Telephone Nokia una chiamata: appaiono i ricci bianchi d’Erminio che gli dice: «Sono disperato. Fugga via. La cercano dappertutto. E poi oggi è stata una brutta giornata: quel mostro di Bonzo ha rubato, sulla spiaggia di Woolacombe, un bastone robotico a una cieca, facendola cadere. Un bastone con telefonino e computer – come quelli che costruiscono i giapponesi – e lo ha immerso nelle acque dell’oceano. Lei conosce la ione del bestione per i bastoni di ogni tipo… no? Solo lui può giocare con bastoni e bastoncini non c’è altro essere sulla terra al quale sia permesso di averli, solo Bonzo può averle. La vecchia è caduta bestemmiando come un marinaio ubriaco di Portsmouth e mi ha denunciato. Betty Charlotte si è sentita male. Ma che ho fatto, Mosul, per meritarmi una belva così terribile?
Non bastasse quell’altro disgraziato, Gracco, ha vagato per tre ore tra le dune trascinandosi dietro il cane della cieca, mentre la terribile vecchia copriva di improperi la povera Betty Charlotte chiamandola continuamente e con malvagia perversità «stupid fucker». È il mio karma, Mosul, che posso dire? Devo aver peccato in maniera immonda in un’altra vita per meritarmi queste due belve…» Mosul ride come un pazzo. Erminio è sorpreso: «Ma come ride? Il mondo le dà una caccia spietata e lei se la squaglia in quella benedetta isola?». Mosul saluta: «Abbracci i due mostri!» e riparte. Arriva all’altezza della «Long House Farm Tenement». Cento metri più avanti trova uno scozzese che sta spingendo una bambina paralitica su una seggiola Antram. L’uomo è grasso, sudato e costernato. Quando la bambina vede Mosul, lo riconosce inconsciamente e lo guarda con occhi imploranti. Mosul sente una luce simile a un’abbagliante potenza insinuarsi nel suo cranio. Si avvicina alla piccola, stende la mano verso le sue labbra, le tocca la bocca e la bambina si alza e cammina. Poi punta il dito verso il padre sbigottito e gli grida: «Not a fucking word, man!» La bambina dopo essersi alzata si avvicina a Mosul e l’abbraccia dicendo solo: «Thanks a lot!» Mosul bacia la piccola e si avvia verso il punto Nord dell’Isola, lasciando l’uomo in uno stato confusionale di meraviglia e timor panico. Continua il suo cammino verso North West Point. Arrivato alla fine della splendida isola prende il sentiero del ritorno che conduce verso Long Roost. Si avvia verso St. John Stone, poi prosegue per Devil Slide, St.James Stone, the Pyramid, Devil’s Chimney, Needle Rock, Dead Cow Point – dove vede le foche – e segue la costa verso Castle Hill. Mosul ama Lundy e i suoi animali: i cervi Sika, le pecore e gli agnellini Soay, le foche, gli uccelli rapaci. L’isola è brulla e verde, non ci sono alberi ed è spesso paurosamente battuta dai venti. Raggiunta Tarisco Tavern si beve una birra e mentre sta sorseggiando una lager, arrivano lo scozzese e sua figlia. L’uomo, che si chiama Duncan Mc Kenzie, si butta in ginocchio davanti a Mosul, che imbarazzato sussurra: «A little self control, man!» Ma l’uomo non l’ascolta e grida: «He cured my daughter!» La gente sbigottita si gira. Mosul beve velocemente la birra tedesca, bacia nuovamente la piccola e fugge precipitosamente verso l’Ely-7 prima che la gente
capisca cosa è accaduto. Mentre vola verso Barnstable decide di cambiare rotta e chiede al pilota di portarlo ad Exeter. Durante l’atterraggio appare sul Nokia il volto stupendo di Isabel de Mendoza: «Ho combinato un altro pasticcio» le dice Mosul. Poi si mettono d’accordo: s’incontreranno a Barcellona il 20 aprile. Il 3 aprile, sei giorni dopo il miracolo di Mosul, Quimper è a New Orleans con la Howell per la premiazione del film di Collin Mash «Blood Dawn». Il film, interpretato da Betsy ha rilanciato turisticamente la città: i turisti fioccano e il sindaco premia l’attrice. Gesù accompagna, controvoglia, la Howell che è seguita dal solito nugolo di giornalisti e paparazzi. Devastato e infastidito dalla presenza dei media, che non lo lasciano respirare, decide di svanire. È una giornata di pioggia. Si fa tutta la Royal sotto un diluvio: Granite Building, Sazerac House, Old Merchant Exchange, Old Union Bank Site, Mallard Magasin e così via. Raggiunge un cinema nella Chartres. Fanno un vecchio film «Far From Heaven» di Todd Haynes, un film considerato da Scabrone, il regista di «Perfect Sound», un autentico capolavoro. È un classico del 2002 e Gesù, che lo ha già visto due volte, è affascinato dalla storia. La prima volta che lo vide fu quando glielo consigliò un poeta americano, David Taymor, a Cincinnati, durante un’intrepida cena a base di riso al tartufo e vino. Il Chataubriand 87 fece i suoi miracoli, quella notte, mentre Betsy scivolava sotto la tavola apparecchiata, a causa dell’alcool e della «White Lux», Taymor ci saltò sopra declamando una poesia di Thom Gunn, il suo poeta preferito, ispirata da Elvis Presley:
… Ci manteniamo in contatto con un semplice cent Distorcendo tritate parole in trite canzoni Trasforma la rivolta nello stile,
prolunga, L’impulso dell’assuefazione del tempo Se pretende o è veridico Infastidisce dire che non è gatto; la posa che mantiene é un portamento che, figlio del caso vero entra in guerra , nella movenza di battaglia…
Gesù si rifugia nel cinema Astor e si siede in un luogo appartato; sono le tre del pomeriggio e la sala è vuota. «Far From Heaven» è un «remake» di «Woman’s Picture»; lo trova affascinante perché dipinge l’America del 1958, descrive il rigoglio del sogno americano, non ancora devastato dal consumismo micidiale che lo logorerà negli anni 2030 – 40. Il fascino del film, per Quimper, è unico. Nel mezzo della mela splendente, lucente della vita trionfante della borghesia provinciale americana cova il verme dell’orrore. Tutto sembra perfetto: figli, cani, lavoro, casa, amicizie. Tutto scorre armoniosamente. Mai una parola fuori posto. L’ammirazione della gente, il consenso incondizionato degli amici, il ruolo leader nel vuoto Wasp della città statunitense e poi l’orrore si dispiega nella sua brutalità devastante. La «torta di mele» cade in terra e si spappola macchiando ampie gonne e calzoni a tubo. Una sera la moglie del protagonista, Julianne Moore, trova suo marito, Dennis Quaid, con la lingua di un altro uomo in bocca. È il 1958 e non il 2044, e l’impatto sulla donna è terribile. Nel nostro universo bisessuale, ove anche gli uomini possono figliare, questa storia fa ridere. Ma in quel tempo l’omosessualità era vista dalla società cristiano – protestante come una macchia indelebile, una malattia da curare. Ma non basta: nel pieno del dramma dell’omosessualità repressa che erompe nella luce del giorno, la moglie s’innamora del giardiniere nero. Ed é l’apocalisse famigliare. È il periodo del razzismo. I neri vanno bene per combattere le guerre dei ricchi
bianchi. Sono perfetti per farsi sbudellare in Corea ma fottersi una pallida cocca è qualcosa d’inimmaginabile e di perverso. La storia si dispiega attraverso queste due terribili – risibili colpe. Due desideri, uno appagato e l’altro irrisolto: poiché mentre il marito concede allegramente i suoi glutei pelosi a baldanzosi giovani wasp, la moglie non può elargire la sua profumata vulva al nero perché l’uomo teme un possibile linciaggio. Gesù si gode il film ed esce. Piove a dirotto. Riprende la Chartres, a davanti al Convento delle Orsoline, a St.Peter, Napoleon House, Maspero Exchange, si avvia verso Jackson Square ed entra nella Cattedrale di Sant Louise, ove vede un uomo con un bimbo. Il bambino gli sembra strano. Quimper si avvicina e lo guarda. L’uomo lo riconosce e gli chiede: «Sei Gesù?» «In un certo senso…» risponde. «Cura questo bambino… ti prego… te lo chiedo con il cuore in mano… prendi la mia vita, ma libera questo piccolo disgraziato!» lo supplica l’uomo. «Mica è così semplice… ti sembra una cosa da niente?» risponde Quimper «… ma che ha?». «È autistico… e la madre sta impazzendo… non ce la fa più… si suiciderà… curalo!». Quimper pensa alle parole di Bellestrini. Il Cardinale gli ha detto: Mosul ha fatto un altro miracolo. I media sono impazziti. Fai qualcosa: bisogna reagire. Un’eccellente ragione per non fare il miracolo. Improvvisamente sente una luce che gli s’insinua nel cranio, come una potenza che prende possesso della sua mente. Non vuole fare il miracolo ma qualcosa l’obbliga a farlo. «Guardami…» ingiunge al piccolo. Il bambino ride. «Look at me!» urla. E poi : «Go… get out… leave him…».
Il piccolo trema, cade a terra, saliva e si dibatte. Gesù gli stringe le tempie con forza tra le mani tremanti ed urla ancora: «Get out!». Il bambino sviene, quando si riprende è guarito. Dice: «Daddy I feel so light…». Quimper fa un gesto con la mano verso l’uomo: «Man… go your way… your son is free… go… say nothing! Please say nothing!» L’uomo s’inginocchia e piange. «Senti… vai via e non frignare… and keep your big mouth shut…». «Ma come posso ripagarti?». «Chiama un taxi…». Il taxi arriva e Quimper stremato vacilla verso la macchina. Poche ore dopo il mondo è in subbuglio. I media impazziscono: non potrà più uscire dall’albergo. Quimper pensa: «Sarà contento quel vecchio eunuco napoletano!… sembra la gara dei deficienti che fanno i miracoli!».
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Quando i Musulmani conquistano Emessa, papa Eugenio dà di fuori e proclama una nuova crociata. Bernardo di Clairvaux parte alla carica e, nell’anno 1146, la sua voce mielosa
convince molti cavalieri a prendere la croce e partire per la Terra Santa. Salpano anche Luigi VII e Corrado III. Ma Eugenio lascia gli spagnoli a casa per combattere i saraceni: Alfonso VII di Castiglia s’industria a sconfiggere il nemico maomettano. È il marzo del 1147: i Sassoni, a Francoforte, incontrano Bernardo, e cominciano ad inveire chiedendo a gran voce una crociata contro i pagani del Nord. Bernardo ascolta e riporta al Papa. Chi è Eugenio? Nel 1143 la lapide di Silvestro trasuda e il suo spirito inquieto imperversa nel palazzo del Laterano. Celestino II – che ha preso il nome del santo e disgraziato eremita fatto abdicare da Bonifacio VIII – è un discepolo d’Arnaldo da Brescia i cui seguaci hanno appena imposto al Senato romano la Repubblica. Tempi duri per il papato: il cardinale Guido di Città di Castello, Celestino II, è discepolo d’Abelardo, quello degli amori struggenti con Eloisa, e – come papa Giovanni – durerà pochissimo: appena sei mesi. Morirà l’8 marzo del 1144 tra gli sghignazzi di Stefano. La pietra trasuda: gli succede il cardinale Gherardo di Caccianemici, che prenderà il nome di Lucio II. Il fantasma di Stefano ulula. Lucio, malgrado detesti i normanni di Ruggero II, riesce ad imporre una tregua di sette anni. Nel frattempo, a Roma, le cose precipitano: il fratello di papa Anacleto è proclamato Patrizio dei Romani e capo della nuova fragile Repubblica. Per contrastare le idee di Arnaldo da Brescia, Lucio spera nell’aiuto dell’imperatore tedesco, Corrado III: non se ne parla e, allora, non c’è altra scelta che combattere per le strade della Città Eterna. Il Papa si scontra fisicamente con il nemico e soccombe: una sassata gli frantuma il cranio. Un cardinale che lo soccorre dirà: «Meglio una sassata in testa che essere ammazzato, come Giovanni XII, dal marito della sua amante». Lapidario ed essenziale: la comione a Roma è esigua: eleggono il nuovo papa lo stesso
giorno della morte di Lucio. La notte del 15 febbraio del 1145 sale sul trono pontificio Bernardo Paganelli di Contegno, abate del monastero cistercense di Roma, discepolo di Bernardo di Chiaravalle e profondamente ostile alle idee di Arnaldo da Brescia. Tempi ardui: i discepoli d’Arnaldo da Brescia sono attivi e proclamano il Verbo del maestro. Cosa afferma Arnaldo da Brescia? L’austero predicatore sostiene che il clero romano fa schifo – la scoperta dell’acqua calda – ed espone le tesi dei patarini rifiutando l’obbedienza a preti corrotti. Si scaglia contro i Nicolaiti, i preti sposati, i chierici che fanno commercio carnale e i vescovi «concubinari». Non solo: sostiene che il papa non è un uomo apostolico, che non è necessario riverirlo e obbedirlo, e che non bisogna accettare i sacramenti da ecclesiastici corrotti. Espone, inoltre, la Bibbia nello stile del suo maestro Abelardo. Risultato? Nel 1154, Adriano IV, l’inglese Nicolas Breakspear, al fine di sedare una sommossa provocata dall’interdetto lanciato contro la Città Eterna, dopo la morte violenta di un cardinale e la consacrazione di Federico Barbarossa, fa catturare Arnaldo, lo condanna all’impiccagione e al rogo, e dopo averlo fatto abbrustolire dà ordine di spargere le ceneri al vento. Bernardo diventa Eugenio III e – a causa della situazione rivoluzionaria romana – fugge a Farfa. Più tardi gli frullerà nel capo un’idea malsana che lo sistemerà per l’eternità tra le schiere dei falliti: promuoverà una crociata fallimentare e regnerà fino al 1153. Pio IX nel 1872 lo innalzerà alla gloria degli altari facendolo beato. Eugenio legge il messaggio di Bernardo, medita e pensa: «Uhhh… sti detestabili germanici con la loro improbabile crociata!» ed «Obtorto collo» accetta: il 13 aprile emette una bolla intitolata «Divina dispensatione» che autorizza i cristiani del Nord a conquistare le terre pagane e ad imporre il cristianesimo con le armi.
Chi guida la crociata? Il vescovo Anselmo di Havelburg. E che porta con se il Vescovo di Havelburg? Porta con se il santo Velo di Marta. Nel 1147, lo Knes Nyklot, principe degli Abotritei, cerca di recuperare le terre perdute e invade la Vagria. È il pretesto per l’inizio della crociata: due flotte danesi comandate da Canuto V e Sven III – che momentaneamente sospendono un’interminabile guerra civile – navigano verso le terre degli Abotritei e dei Wagriani. Dove vivono gli Abotritei e i Wagriani? Vivono nella zona che si estende da Lubecca ad Amburgo fino a Rugen, virtualmente nell’attuale Meclemburgo. Partono il vescovo di Sassonia, Adalberto di Brema, ed Enrico il Leone che guida un esercito sassone, e attaccano Dobin, l’avamposto dello Knes Nyklot. Un altro esercito sassone marcia verso Demmin con un folto gruppo di vescovi. Sono presenti quelli di Mainz, Merseburg, Bradenburgo, Olmutz e d’altre città, li accompagna il legato papale Anselmo di Havelburg che ha con se il velo di Marta. Le notizie del velo giungono frammentarie. Una santa monaca di un convento di Halberstadt, Helga di Merseburg, ha avuto delle strane visioni. Ha visto il velo trasformarsi in due uomini. Poi ha visto i due uomini eseguire grandi prodigi, abbracciarsi e gettare una croce nel fuoco per poi trasformarsi in due aquile che volano su un mondo in fiamme. Nessuno ci capisce niente. Il legato papale, informato, si porta dietro il Velo Santo. Improvvisamente l’esercito cristiano arriva a Stettino: Corrado e Alberto L’orso concupiscono città e territori. L’esercito arriva sotto le mura della città e inaspettatamente appaiono
croci. «Siamo cristiani» urlano i cittadini «avete sbagliato città». Non si possono accoppare cristiani e l’esercito torna indietro in stato confusionale. Nyklot si sottomette, furbescamente in maniera formale, ma preserva gran parte della vecchia religione. La cristianità non avanza: l’abate Wibald di Corvey è lapidario: «Abbiamo eseguito gli ordini ma non è valso a nulla». L’esercito ritorna e il Velo per un periodo svanisce. Ma perché le crociate del Nord? Bisogna contrastare Satana che inabita i luoghi arcani del culto pagano. Bisogna svuotare la natura, privandola del suo misterioso spirito, impoverendola e rendendola vuota. Bisogna far si che i demoni, che proteggono le armate pagane, s’inabissino nella notte dalla quale provengono, che precipitino nell’oscurità caliginosa abbandonando la luce del sole. Per questo è necessario che la Santa Croce trionfi. I santi hanno visto i demoni abbandonare gli idoli e i sacri boschi. Ad Arkona, nel 1168, quando hanno restituito gli spiriti immondi alle bolgie infernali, li hanno visti ritrarsi dal mondo sotto specie bestiale e a Gutzow, nel 1127, volar via come sciami di mosche. Hanno visto i demoni galoppare nel cielo su destrieri di nuvole e i moribondi pagani esalare dalla bocca, nel momento del trao, uomini neri e minuti. Bisogna liberare le anime dei pagani che sottostanno al potere delle tenebre e che combattono contro gli eserciti della Croce. Bernardo lo grida in tutte le direzioni: le nazioni del mondo devono abbracciare la croce del Cristo Gesù per liberarsi del peso demonico che le inchioda alla materia. Ed allora è necessario svuotare la natura della sua anima per rendere autentico il rapporto con il monoteistico Iddio. È necessario eseguire lo svuotamento delle cose consegnandole al nulla. L’invisibile chiuso nel suo tetragono silenzio è tutto, il visibile aperto alla luce
del sole è nulla. Il Velo svanisce dopo Stettino per riapparire venerato dai Cavalieri Teutonici. Chi sono i cavalieri Teutonici? Sono un ordine monastico sorto nel 1198 in Terrasanta e riconosciuto ufficialmente, nel 1190, da Papa Innocenzo III che, nel 1226, lascia la Palestina e si trasferisce nelle terre del Nord per combattere i pagani ed aiutare il duca Corrado di Masovia. Nel 1237 si fonde con i Cavalieri Portaspada di Albert Von Appeldern che aveva raccolto, nel 1201, un esercito crociato e fondato Riga. I Portaspada si erano attivati subito ed erano andati a sistemare i pagani del Nord, massacrandone un buon numero e conquistando Livonia e Curlandia. Nel 1235, avevano subito una devastante sconfitta a Bauska da parte dei Lituani e dopo la disfatta si erano sciolti nell’Ordine dei Cavalieri Teutonici. Quando ricevono il Velo i cavalieri Teutonici? Ce lo spiegano gli storici Ebbo ed Helmond: il Santo Velo è donato da Federico II, nel 1226, al Maestro dell’Ordine Ermann von Salza con la Bolla D’Oro di Rimini che concede ai Cavalieri la Prussia. Il velo, dal 1309, sarà religiosamente conservato in una cappella di Marienburg. Nel 1283, l’Ordine completa l’evangelizzazione della Prussia. Nel 1309 acquista la Pomerella dai Polacchi. Una cosa sappiamo: il Velo è portato, dai Cavalieri Teutonici, in un sacco di seta trapuntato d’oro e di gemme preziose in varie battaglie, nel periodo della soggiogazione dei popoli prussiani. Il Velo é legato al petto d’Ottone von Lutterberg quando i Lituani lo battono a Karki, nel 1270, e nove anni più tardi è sul cuore del Maestro Teutonico Ernest von Feuchtwagen durante la sconfitta d’Asheraden. I maestri dell’Ordine lo portano con loro durante le vittorie di Dubenaa, nel 1272, e del forte di
Dunaburg, nel 1278. L’«annus mirabilis» dei Cavalieri Teutonici è il 1348. Nel 1347 un cavaliere morente, Dietrich Babemburg, ha una nuova visione: vede un uomo nero camminare con il Velo di Marta su una lunga spiaggia assolata: l’uomo ride e bacia il velo, poi dice: «Omnia furor mentis». Nessuno riesce ad interpretare la visione o a capire le parole. Per alcuni cavalieri gli anni luminosi di Kniprode sono dovuti alla presenza del Velo a Marienburg. Il Maestro lo porta legato al petto durante la grande battaglia di Rudau, vinta dai Teutonici contro i Lituani nel 1370. Dopo il 1370 la storia del Velo diventa frammentaria e vaga fino al giorno scellerato di Tännenberg. In quel giorno, il 15 Luglio del 1410, cade un’ombra dolorosa sul Velo di Marta: il miracolo sperato non si realizza. Gli eserciti dei Cavalieri Teutonici e quelli della Polonia e della Lituania, si affrontano in terra prussiana presso Tännenberg: 100.000 Teutonici si scontrano con 150.000 Polacchi e Lituani rinforzati da contingenti boemi, magiari, livoni, silesiani, cechi, vallachiani, tartari e scismatici russi. Gli eserciti coalizzati sono guidati dal re Ladislao II Jagelone di Polonia, quello teutonico dal Gran Maestro, l’Höchmeister Ulrich von Jungingen. La battaglia dura dieci ore ed è uno scontro terribile. Il polacco Wladyslaw e il lituano Witold hanno il primo contatto con l’esercito dei monaci armati a Czerwinsk sulla Vistola; subito dopo avanzano verso Nord. L’errore dell’Höchmeister è di essersi mosso subito senza attendere l’arrivo dei Fratelli della Livonia. Lo scontro avviene su bucoliche colline coperte di boschi. L’esercito lituano polacco è accampato nella foresta e non è esposto alla furia della cavalleria teutonica. Juningen lancia le sue truppe all’assalto: è convinto che la Vergine Maria aiuti i monaci guerrieri contro una coalizione di forze che annovera tra le sue schiere anche Tartari e scismatici. Il Grande Maestro è convinto che il Velo di Marta farà il miracolo concedendogli una vittoria contro forze schiaccianti. Quando i cavalieri catafratti avanzano, i balestrieri e gli arcieri li colpiscono mortalmente. L’Ordine commette lo stesso errore che commetteranno i si ad Angincourt. Malgrado le perdite l’impeto dei
monaci armati travolge l’ala lituana ma il centro e l’altra ala sostengono l’impatto pauroso. A questo punto Ulrich von Jungingen deve utilizzare le riserve. La carica non riesce a sfondare. Risultato: una carneficina tremenda: ci rimane secco l’intero comando e il grosso dell’esercito. Una disfatta epocale. I Cavalieri disperati ripiegano verso Marienburg. Heinrich Reuss von Plauen lascia la Pomerella e si chiude con l’esercito decimato nel possente castello. Resiste per 53 giorni. Un nobile cavaliere, Dietrich von Schurburg ha strappato il sacchetto con il Velo dal corpo di Juningen e lo ha portato al sicuro tra le mura della fortezza teutonica. «Per quello che è servito…» mormora. Intanto la debacle teutonica induce alla sottomissione vescovi ed ecclesiastici legati all’Ordine. Ma von Plauen non ci sta: resiste sperando nell’intervento di Re Sigismondo. Il 19 settembre, Wladyslaw rinuncia all’assedio: la fortezza è inespugnabile, Sigismondo si è mosso attaccando la Slesia e stanno giungendo rinforzi dalla Livonia. Il primo febbraio si firma la pace a Torun: l’Ordine mantiene i suoi possessi ma perde la Samogizia. Una parte della cristianità si lamenta: i Teutonici sono stati sconfitti da un’accozzaglia di cristiani, tartari e scismatici. Ma alla maggioranza sta bene così: l’hybris si paga; i Cavalieri erano diventati un potere tirannico in continua espansione. La sconfitta di Tännenberg rappresenta per i tedeschi la disfatta davanti al mondo slavo. L’onta sarà lavata, nell’immaginario collettivo germanico, dalla vittoria di Hindemburg e di Ludendorff nel 1914 a Hohenstein. Quando i nazisti devasteranno l’Unione Sovietica, commettendo inaudite atrocità, saranno in molti a pensare alla battaglia di Tännenberg. E il velo? Nel 1457 l’Ordine perde la fortezza di Marienburg e nel 1466 perde la Prussia, il Velo finisce nell’oblio di Köninsberg, deposto in un angolo di un altare di un convento. Sul Velo di Marta discende un oblio polveroso.
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È arrivato il tecnico – dottore. Mi sono guardato bene dal dirlo a Marlene che teme la notte. Teme l’oscuro della sua morte. Quando ha cominciato a recitare l’Apocalisse in greco mi sono spaventato. Ripeteva come un disco rotto: «kai to aggelo tes en Smurne ekklesias grafon tode legei o Protos kai o Escatos os egeneto necros kai epsesen».. Ho chiamato il 45678 ed é arrivato un tipo con una «cow lick», una «leccata di vacca», cioè un riporto monumentale e con una pancia da birra avvolta in una maglia bisunta dell’Everton. Aveva un riporto da fiaba: mi affascinano le «leccate di vacca»: vorrei girare il mondo e fotografarle tutte. Appena arrivato, l’uomo panciuto ha chiesto una tazza di tè, poi mi ha pregato di fare uscire il gatto: «Sono allergico, man…». «Non farti sentire da Marlene…» ho detto «ora la bacio e spingo il pulsante». E così ho fatto: Marlene si è accasciata. Il coccò con il riporto da leggenda mi ha domandato: «Scopa bene sta troia?». Ci sono rimasto malissimo: «Si… è brava…» L’impudenza sfrontata: come chiedere a qualcuno se sua moglie salta bene nel letto. «Senti, uomo» mi ha fatto «io ho una cocca nera come l’ebano, una copia di Rosy Brill, che quando la monto urla: «Fuck me baby! Fuck me hard!» e sono riuscito a mettergli delle molle USTOR nel culo che la fanno dimenare come una furia satanica… e, oh man, dopo tre minuti io arrivo sempre! Non raggiungo mai il quarto minuto! Da sbrodolarsi dal piacere… e mettici un altro cazzo di cucchiaino di zucchero in questo fottuto tè…» «Senti bello… sii gentile con Marlene, è delicatissima…» «Uhhhhh… come siamo sensibili! é mica vera sta zoccola… dai!… però mille volte meglio di una fottuta moglie… io la mia, Felicity, l’ho trovata a gambe per aria con Jack lo stagnaro di Parracombe… lo conosci Jack Cook lo stagnaro? Sei di qua?».
«No… sono italiano…». «Io sono stato a Roma, lo sai?». «Ora, lo so…». «Insomma, quella zoccola di mia moglie, si stava facendo montare dallo stagnaro Jack Cook quando sono arrivato io… per poco non li ammazzavo… poi ci ho ripensato e mi sono comprato Rosy… uno spettacolo… anche con la bocca è una meraviglia: ha la lingua porosa…». «E che vuol dire lingua porosa?». «Che te lo succhia come un polipo…». «Veramente…». «Si ma ora levati dalle palle che le apro la testolina alla tua zoccola…». «Oddio… mi fa tanto impressione…». «Ma non dire stronzate: queste non sono mica cocche di carne…». «Grazie a Dio! Almeno non rompono i coglioni…». «Ehhhhh… e non chiedono soldi! Lo sai, uomo, prima di Rosy avevo una troia che era la copia di Betsy Howell…». «Quella di Gesù?». «Ehhhh… si… l’ho presa proprio per quello… se la fotteva Dio, Betsy Howell……». «Beh… Dio… non esageriamo!». «Lo sai che mi diceva mentre la sifonavo?». «No…». «Mi diceva fuck me hard baby! Make me cry! Whoooooo…».
«Però…». «Si… but now get the fuck out… lasciami lavorare! E non fare entrare quel fottuto gatto! Ma che è una tigre?». «Trattala bene… ti prego! È delicatissima…». «Whoooo… non rompere…». Sono uscito e sono piombato in una cupa depressione. Mi sono chiesto: «E se Marlene non si sveglia?». Per distrarmi ho il «Softbook Reader», e ho cominciato a leggere la storia di mio padre riguardo Mosul e l’uomo che predicava al vento. Un giorno, Mosul, all’altezza della prima curva della spiaggia di Braunton Sands, nella direzione di Crow Point sta giocando con i cani. Mio padre ha il solito attacco d’angoscia: Gracco è sparito. Si è eclissato oltre le dune. Mio padre adora Gracco e si preoccupa quando il cane svanisce. «Mosul, la bestiaccia… è sparita!» urla. «Tornerà» risponde Mosul «torna sempre…». Dopo un po’ Gracco ritorna e Bonzo lo punisce mordendogli il culo. Ogni volta è così: Erminio fischia disperato, Bonzo s’impensierisce, mugugna, guaisce e quando Gracco ritorna lo punisce. Gracco s’irrigidisce: lascia che la tempesta d’improperi e morsi i poi sbadiglia, si scuote e riparte. Bonzo ha l’istinto del cane pastore, Gracco del cacciatore. Mosul ride. Proseguono con Gracco punito, al guinzaglio, mentre Bonzo corre libero. Arrivano presso uno sgabello di legno e Mosul s’inchina. Mio padre incuriosito domanda: «Ma perché si è inchinato davanti allo sgabello, Mosul? Ha visto qualcosa?». L’Anticristo risponde: «Mi sono inchinato perché quello è lo sgabello che James Gillan utilizzava quando predicava al vento». Mio padre lo guarda frastornato: «Ma come predicava al vento?».
E Mosul: «Il vecchio James predicava al vento!» Poi racconta: «Ogni volta che mi spingevo verso Crow Point dall’albergo bianco, superata la prima curva prima di arrivare alle fondamenta della casa distrutta, vedevo un uomo dal volto pieno di rughe che parlava a qualcosa o a qualcuno dall’alto di un fatiscente sgabello. Una volta trovai uno dei rari pescatori rimasti e chiesi: «Ma a chi parla quel vecchio?». E l’uomo rispose: «Quello è James Gillan e predica al vento..». «Come predica al vento?» Chiesi. «Gillan era il direttore della National Bank quando è andato in pensione gli deve essere saltato il cervelletto…» «È pazzo?». «Direi… la pensione e la solitudine possono fare questi effetti…». «Ma che dice al vento?». «Vada a sentire… it’s fuck talk!». «Ma è possibile ascoltarlo?». «Si è molto mite…». Allora mi sono avvicinato al vecchio. Indossava una tuta bianca piuttosto sporca. Aveva una barba bianca ed incolta. I capelli cresciuti ai lati a dismisura ondeggiavano nel vento. Notai occhi chiarissimi e una magrezza spettrale. La testa sembrava un teschio rivestito da un sottile strato di pelle. «Posso ascoltare?» Chiesi. «Fai quel che cazzo vuoi…» rispose il vecchio e continuò la sua predica. «Cosa diceva al vento?» Chiede mio padre a Mosul. «Diceva: «Gli uomini non ti hanno mai capito. Gli uomini se ti ascoltassero, non
farebbero tutto il male che fanno. Tu parli agli uomini ma loro non hanno orecchie per ascoltarti. Loro sono tremendamente presi a rincorrere il nulla. Loro sono persi ma tu sussurri, mormori, indichi la via della salvezza: che significa lasciarsi fasciare dal tuo amore. Io ora comprendo la canzone delle onde che tu muovi. Ma l’ho scoperta attraverso il dolore. Quando la mia Annie è morta io sono venuto da te e per la prima volta ho ascoltato la tua voce. Tu dici che siamo nati per raggiungere la misericordia. Che quello è il pinnacolo della nostra evoluzione. Che la via dell’accumulo e della ricchezza è la via della vergogna. Detergi le mie mani contaminate dal denaro che ho toccato per tanti anni. Libera la mia mente con la tua carezza d’amore. Si, tu devasti, ma lo fai perché gli uomini lo meritano. Perché non ti capiscono. Siamo ciechi e barcolliamo tra credi e inanità. Quando tu distruggi è perché noi abbiamo annichilito la natura e crediamo di essere diventati onnipotenti. I poeti e i filosofi affermano che il linguaggio è la voce dell’Essere: sbagliano è il vento la voce dell’Essere. Tu sei la voce dell’Essere. E se uno ti sa ascoltare tu doni cose inimmaginabili. Sei stato tu – poiché ti ho prestato orecchio con amore – che hai fatto ritornare dal mare, dalle onde la mia Annie. Ed era stupenda come un germoglio di rosa. E io, mentre tu mi frusciavi intorno e mi accarezzavi la testa scompigliando i capelli, mi sono inginocchiato come Odisseo davanti a Nausicaa nella Terra dei Feaci, ed ho mormorato ad Annie risorta le parole magiche – che sono le parole più belle che un uomo abbia mai detto ad una donna – che il greco sussurrò alla figlia del re. Mentre lei incedeva verso me giovanissima, sorridente, rinata nella luce del sole e tu giocavi con la mia testa, le ho sussurrato: «Sei un dea o una donna?… appartieni agli dei che possiedono l’infinito cielo?… Dèh… con i miei occhi mai mortali come te ho contemplato, ti guardo e lo stupore mi prende. A Delo, una volta, presso l’altare d’Apollo, germogliare vidi una giovane palma… anche allora sbalordii poiché la terra mai produsse un simile stelo… dèh donna, t’ammiro e mi turbo e al pensiero di sfiorarti i ginocchi ho il cuore ricolmo di terribile angoscia…». E mi sono inchinato davanti alla mia Annie trasformata e misericordiosamente
innalzata al livello di Dea e ho pianto. E tu propini questi miracoli solo a chi ti sa ascoltare…». «E sembrava, caro Erminio, che fossimo a Scheria, nella terra dei Feaci. Mentre parlava ero soprafatto dal tono delle sue splendide parole». «Ma che meraviglia, Mosul, il vento fece ritornare la sua moglie morta, come nel «Solaris» di Tarkovskji?…». «Esattamente… il vento, come tante altre cose – se ascoltato profondamente – annienta la barriera dello spazio – tempo». «E poi che accadde? «Un giorno seppi che James era morto… sa come?». «Mi dica…». «Mi dissero che lo avevano trovato morto davanti allo sgabello fatiscente… il vento lo aveva strappato dalla prigionia della carne… sa cosa trovarono nella sua casa? Solo l’Enneadi di Plotino». «Well… I’ll be damned… e dove l’hanno sepolto?». «Nel cimitero di Braunton… ed io ogni volta che posso gli porto una conchiglia e la lascio sulla sua tomba… una povera croce di legno… ma ora che abbiamo i soldi voglio fargli fare una pietra sepolcrale di porfido con la scritta: James who spoke to the wind…». «Mi commuovo… che posso farci… vede sto piangendo… lo sa Mosul, quando lei ha recitato le parole di Ulisse ho pensato che anch’io, davanti a Isabel de Mendoza, avevo provato lo stesso tremito… quando la penetrai le sussurrai: ecco, sono giunto nel settimo cielo di Eckhart!». «E lei che disse?». «Non si agiti troppo che ci rimane secco…». «Ah ah ah…».
«E già… e poi baciai quelle candide, lisce cosce levigate…». Mentre con gli occhi inumiditi leggevo il Diario Segreto, fui scosso da un vocione tenorile che diceva: «Man… ti ho aggiustato la zoccola!». Ero precipitato nuovamente negli abissi plotiniani della materia. «Sta bene Marlene?». «Senti… se gli metti le molle UXOR nel culo e la lingua porosa questa ti fa saltare come un grillo…». «E quanto costa una doppia operazione del genere?». «Con 3000 eurodollari te la sistemo io la cocca!». «Magari ci faccio un pensierino… ma cosa vuoi dire quando dici che ti fa saltare?». «Ti ci metti sopra e quella ti fa fare un bel «Rock- a- doodle – baby» fino a quando ti arriva un orgasmo da sballo… Whooooo……». «Ah… ecco… e si muove solo lei?». «E certo testone… fa tutto lei… come cavalcare una cavalla selvaggia…» «Ecco… però… ma l’hai svegliata?». «No… non ancora… gli si era inceppato il Word Universal… ora è a posto… diceva Boemondo… Boemondo…». «Il gatto…». «Attento, man… la comione verso gli animali fa decrescere l’impulso sessuale…». «Ma no…». «Certo si evolvono queste troie…». «E che succede?».
«Non vogliono più scopare… la bambola di Emil Crabby, Daisy Dawn, ha avuto una crisi mistica…». «Ma come cazzo è possibile?». «Continuava a recitare «Il Castello Interiore» di Santa Teresa…». «L’intelligenza artificiale, man, s’evolve… la vuoi sapere una cosa? La mia Rosy é più intelligente di quella troia di mia moglie Felicity…». «In che senso?». «Nel senso che quella ha solo due cose in quel cervello di merda che si ritrova: il sesso e le soap opera. Quando stava con me ava tre ore al giorno a sorbirsi Primrose e Chains of Love… ma se le chiedi di fare una moltiplicazione é incapace…». «E il sesso?». «Una frana… io ho una leggera, appena accennata «ejaculatio precox» lei, invece, per farla venire occorreva uno stantuffo… ci volevano due ore di lavorazione sul clitoride… mi si intorpidiva la mano… eh no! La mia Rosy giunge sempre a destinazione con me… Uhhhhh…». «Dopo tre minuti?». «Certo… Ti dico una cosa, man, tu sei italiano, vero?… Quindi sai cos’è uno gnocco?». «Certo…». «Mia nonna era italiana, veniva da Avellino e mi faceva sempre gli gnocchi… well, man, se tu apri la testa di Felicity sai che ci trovi?». «No…» «Ma un cazzo di gnocco al sugo di pomodoro e basilico ci trovi!». «Ah… ecco!». «Senti, man, se vuoi la lingua porosa e le molle te le faccio per 2800
eurodollari… mi sei simpatico… per quale squadra tifi… ?». «Il Modena!». «E che è la squadra dell’obitorio?». «Quasi… è in C4…». Quando il tecnico – dottore ha lasciato la casa ho ri Marlene che ha subito detto: «Boemondo… Boemondo…» Il bestione che nel frattempo si era fottuto tre scatole di Gourmet Splendor si è precipitato sulle sue gambe. «Tutto a posto cara?». «Notte nera… notte – nulla… non cose… Ora vedo, te, Boemondo e la luce sole!». Mentre la tigre elargiva fusa come un treno a vapore, ho pensato: le lesbiche hanno ragione: noi maschi facciamo veramente ribrezzo.
*****
La coscienza artificiale? Per definire una coscienza Aleksander ideò cinque assiomi: Siamo coscienti se: 1) sentiamo di essere al centro di un mondo e abbiamo la capacità di collocarci nel mondo; 2) vediamo cose esperimentate nel ato e siamo capaci di evocare cose che non abbiamo mai visto; 3) riflettiamo attivamente sul mondo, focalizzando l’attenzione sulle cose e
prendendo coscienza di ciò che ci circonda; 4) pur restando seduti e immobili abbiamo l’abilità di confrontarci con azioni e futuri eventi che possono essere tracciati e pianificati nella mente; 5) siamo in grado di agire, soggettivamente, seguendo le emozioni che ci portano a riconoscere ciò che è bene e ciò che è male; Aleksander sognava, immaginava queste cose, ma dal 2035 la coscienza artificiale si è sviluppata ad un tale livello che, nel 2042, ho deciso di comprare Marlene. Nel 2035 il professor Angus Mc Cray, un esperto di neuropsicologia per la visione dei primati, dell’Università di Glasgow sviluppò le funzioni celebrali dei robot a tal punto che risposero, quasi completamente, agli assiomi d’Aleksander. I robot reagiscono, ora, agli stimoli esterni e sono in grado di sviluppare individuali e peculiari modi di essere. Per esempio il robot spedito con l’astronave indiana verso la luna, nel 2041, si ribellò e si diede la morte precipitando nel deserto di Gobi; e mentre scendeva a picco verso Shitoumiau gridava: «Vi odio umani per tutto quello che siete e che fate!». Quando vidi le terribili immagini del suicidio mi s’inumidirono gli occhi. Mi ricordo che, quella sera, Marlene mi abbracciò e mi disse: «Noi non siamo niente». «Neanche noi, cara…» risposi, ma ci rimasi malissimo. Poi presi un libro: «Straw dogs» di John Gray – che Mosul aveva letto e apprezzato – dalla biblioteca di mio padre, mostrai a Marlene la citazione tratta dal «Tao te Ching» di Lao Tzu; e lentamente lessi le parole: «Il cielo e la terra sono spietati e trattano le miriadi di creature come cani di paglia». «E non solo» aggiunsi «tra i cani di paglia c’è un molosso che tratta gli altri cani di paglia, le miriadi di creature, come i nazisti trattavano gli ebrei nel ghetto di Varsavia». E Marlene sospirò. Dopo il suicidio di H2 – Rock che esplose con l’astronave «Krishna» nel deserto, dopo la fuga degli androidi americani che svanirono nella volta stellare con la «Peggy Sue» la loro «astronave semenzaio» e l’eccidio degli astronauti inglesi nell’Arca Spaziale «Winston Churchill», in seguito ad una sollevazione robotica, sorse il WAHLY – «We Are Human like You» – un movimento in difesa dei robot e degli androidi che diventò determinante come lobby nella scelta dell’attuale presidente americano. L’inanimato artificiale diventò qualcosa
che, secondo una minoranza notevole di umani, autogenerava lo spirito divino: se lo costruiva lentamente. La Chiesa Evangelica Scozzese riconobbe l’anima ai robot e giustificò questa presa di posizione con un trattato teologico: «On the Evolution of the Artificial Soul». Fu Quimper a demolire quest’idea, e lo fece con notevole brutalità, mentre Mosul che non credeva – tout court – nell’esistenza dell’anima rispose come mio nonno Bortolo aveva risposto ai gesuiti – quando, nel 2003, avevano negato l’anima agli animali. «Avete ragione: non hanno un’anima… ma non l’avete neanche voi…». Mio padre scrisse un lungo articolo in difesa dell’inanimato e dei bamboloni robotici che avevano raggiunto un alto sviluppo mentale. Ma ormai l’artificiale e l’umano s’intrecciano, sono entrati in perfetta simbiosi: abbiamo «aiutanti del cervello» che sono autentiche appendici, prolungamenti celebrali, androidi trattati come amatissimi consorti, case intelligenti governate da cervelli artificiali – polifunzionali a sistema integrato – come il mio Johnny Boy – che sono, de facto, parte integrale della nostra stessa coscienza. L’ingegneria genetica ha modificato drammaticamente il materiale ereditario degli umani; la biotecnologia ha ristrutturato gli organismi secondo le nostre esigenze; il ciberorganismo, sostituendo pezzi vivi con materiale non vivo, a causa dell’usura del corpo, è stato la perfetta fusione tra macchina ed essere vivente. Ormai siamo fusi con l’inanimato; il problema è che non sappiamo rispettarlo. La tecnologia ormai ha una vita sua e subdolamente ci domina.
Omnia Furor Mentis
Sono le quattro della mattina. Non riesco a dormire, apro il Diario Segreto. Sta piovigginando. Boemondo, dopo essersi fottuto tre scatolette di Frisky Gold è corso da Marlene che lo ha abbracciato. La belva, come un antico romano, mangia e vomita. Leggo l’episodio del 7 aprile che sconvolge mio padre. Mosul riesce ad evitare i nugoli dei paparazzi e si fa la solita eggiata a Braunton Sands. Parte dall’albergo bianco e si dirige verso Crow Point. È una splendida giornata. Ermino è tornato dalla sua Penelope dopo l’esperienza con Isabel ad Ogigia – Manchester. Si riposa. La sua vita è piacevolmente sconvolta e riflette sulla tenera storia di James. Mosul cammina lungo il mare. La marea è bassa: sono circa le due del pomeriggio. a davanti al fatiscente sgabello e come fa ogni volta s’inchina. Venera la memoria di James che parlava con il vento. Mentre è inchinato, una brezza leggera gli scompiglia i capelli e sembra che gli accarezzi il volto. Si gira e improvvisamente, ad una distanza di circa 200 metri, vede una donna che sembra emergere dal mare. La donna incede verso di lui e la prima cosa che il vento sembra sussurrargli nella mente è che quella fanciulla leggiadra e flessuosa è come la palma di Febo a Delo. Mosul capisce subito: la donna che sta avvicinandosi è Annie la moglie di James. Per un attimo gli viene la pelle d’oca, poi si riprende e calmo osserva la donna che avanza. Quando Annie è circa a dieci metri, mentre gli occhi contemplano lo splendore che incede, Mosul comincia a parlare senza volerlo: gli fluiscono le parole d’Odisseo dalla bocca: «Sei una dea o una donna?… appartieni agli dei che possiedono l’infinito cielo?… Dèh… con i miei occhi mai mortali come te ho contemplato, ti guardo e lo stupore mi prende. A Delo, una volta, presso l’altare d’Apollo, germogliare vidi una giovane palma… anche allora sbalordii poiché la terra mai produsse un simile stelo… dèh donna, t’ammiro e mi turbo e al pensiero di sfiorarti i ginocchi ho il cuore ricolmo di terribile angoscia…». Annie sorride, sfiora con una mano la testa di Mosul, per un attimo lo fissa con i
chiarissimi occhi e mormora: «Omnia furor mentis». Mosul la guarda incredulo e sorride. In quello stesso istante, un fruscio, come l’ala di un grande uccello, lo distrae. Pensa all’ala dell’angelo della morte. Si gira impaurito ma non vede nessuno. Si volta nuovamente verso Annie ma la donna è scomparsa. Allora si gira verso lo sgabello fatiscente e per un attimo vede James che si sbraccia predicando al vento. Il vento si solleva e James si dissolve in uno sciame di pulviscoli luminosi. Per nulla impaurito Mosul s’inchina verso lo sgabello e si avvia verso Crow Point. Arrivato alla foce dei due fiumi, chiama Erminio e gli dice: «Ci risiamo caro…». Verso le cinque del pomeriggio mio padre plana, trafelato e mortalmente curioso, con un Solotrek xky e per poco non finisce in mare. «Brutta cosa la curiosità…»grida Mosul gli descrive l’apparizione. Mio padre chiede: «Ma è sicuro, figliolo, che la donna è svanita?…». «Certamente…». «E ha detto: Omnia furor mentis…». «Esattamente…». «E sa cosa vuol dire: Omnia furor mentis?». «Vuol dire che tutto è il furore della mente…». «No: che tutte le cose sono emanate dal delirio della mente…». «Ah… vuol dire che tutte le cose che appaiono sono sprigionate dal delirio della mente… ?». «Così sembra… ma lo sa chi l’ha detta la frase prima di quest’ipotetica Annie?».
«Me lo aveva accennato quando ha fatto le sue ricerche sul velo… eh… non ricordo…». «Un cavaliere teutonico morente, Dietrich Babenburg che ebbe una visione, attimi prima di lasciare questa valle di lacrime. Babenburg vide un uomo nero camminare con il Velo di Marta su una lunga spiaggia assolata». «Si ricordo: l’uomo nero baciò il velo e disse: «Omnia furor mentis». E mai nessuno è riuscito ad interpretare la visione. Ma chi è questo benedetto uomo nero?». «È lei mio caro…». «Io non sono nero…». «Lei è arabo e l’inconscio non ragiona come un professore di logica tedesco…». «E perché l’uomo nero dice: Omnia furor mentis?». «Vuol sapere qual’è la prima idea che mi ha attraversato il cranio? Ho pensato a Berkeley, il filosofo, il vescovo inglese, che affermava che noi conosciamo solo le nostre percezioni e che il mondo materiale non è altro che la rappresentazione della nostra mente – lui diceva spirito non mente – e che esistono solo spiriti emanati dalla benevolenza di Dio. Sosteneva che la natura è il linguaggio che Dio usa per discorrere con gli uomini e che le cose sono vere nel senso che sono percepite. Affermava che tutte le cose derivano dalle nostre qualità soggettive: Esse est percipi». «Ma la scoperta della «Teoria Unificata del Tutto» di Brodley non porta alle stesse conclusioni?». «Si, Brodley, nel 2034 – se ricordo bene – sostenne che tutto quello che percepiamo è energia meno complessa interpretata da un’energia più complessa». «Ma resta il mistero dell’Enneadi di Plotino sul tavolo di James… perché l’Enneadi?». «Si, Mosul, molto strano…».
«Quello, Erminio, era l’unico libro che James leggeva. Mi hanno raccontato che aveva regalato migliaia di libri e conservato un unico libro: l’Enneadi di Plotino». «Lei ci capisce niente?». «Io penso che James abbia capito, attraverso la comprensione del vento, che il corpo è la prigione dell’anima o qualcosa del genere…». «E poi giunge la fanciulla metafisica e leggiadra che dice: Omnia furor mentis, le stesse parole della visione del cavaliere teutonico morente…». «Già dice: tutte le cose sono espressione del delirio della mente… ma perché?». «Domanda da un milione di eurodollari… non so… ma è sicuro che quella fanciulla leggiadra che lei ha visto era Annie?». «E come faccio a saperlo? Quello che noi definiamo Oltre – e che sta scombussolando le nostre vite – è qualcosa che segue le sue regole che sembrano aborrire la prigione dello spazio – tempo». «Già, l’Oltre emette visioni come la mente elargisce sogni…». «Esatto. Ma quello che non capisco è il messaggio… sono terribilmente confuso. E poi perché James leggeva Plotino?». «Chissà…». «Ma Berkeley cosa dice esattamente, Erminio?». «Dice che non esiste realtà al di fuori della mente percepente». «Cioè non esistono cose se non percepite dalla mente?». «Esattamente… Berkeley più che di cose parla di idee, di cose percepite dalla mente. Quest’opinione l’aveva già espressa Leibniz, ma in un’altra maniera…». «L’esistenza di una cosa consiste nell’essere percepita?». «Si, diceva senza la mente non esistono cose. Lo sgabello di James esiste in quanto lo posso toccare, vedere, quindi posso percepirlo».
«E quando non c’è nessuno che lo vede, lo sgabello esiste?». «Faccia attenzione, Mosul, Berkeley in un senso non nega il mondo esterno – anzi afferma che è un mondo vero – ma lo considera un «sottomondo» inerte, vuoto, secondario e dipendente dalla mente, nega dunque solo la sua autonomia. Ne fa un essere, in effetti, senza sostanza. L’inglese pensa che gente come Descartes e Locke abbiano trasformato la materia in una specie di Dio e l’abbiano resa, quasi, sufficiente a se stessa. Ecco: Berkeley corregge il tiro e spiega che nonostante il mondo sia stato creato da Dio, l’illuminismo e l’empirismo inglese gli abbiano concesso una natura indipendente, una natura propria. Il loro mondo – dice il vescovo – é come un orologio che continua a funzionare anche senza aiuti esterni. Insomma: se il Padreterno si va a fare una eggiata con il cane, il pendolo continua a oscillare. Per Berkeley la materia dei filosofi é come un Dio rivale che va rimesso al suo posto, ed è per questa ragione che osteggia la visione materialistica delle cose che equipara all’ateismo. E per correggere Locke e soci sostiene che tutto quello che appare nelle nostre menti «percepenti» è causato e voluto da Dio e che la mente non accorgendosi di se stessa s’illude pensando di poter concepire corpi non pensati fuori da se stessa… è chiaro?» «Insomma… dice che quando le cose non sono percepite piombano nell’oblio?». «Mah… per me non ha senso, my dear, che vuole che le dica… questo pensare porta alla centralità specista della coscienza umana e quindi all’hybris». «Si tratta, quindi, in un senso, della negazione più radicale della materia?». «Certo, Berkeley, in un senso, nega un mondo di corpi indipendenti e afferma che esistono solo in quanto sono percepiti. La frase «Omnia Furor Mentis» può significare che tutto ciò che vediamo è il gioco della mente. Così mi pare… poi…». «E Plotino? Perché l’ossessione con Plotino?». «Plotino? Un uomo strano che visse il crollo della civiltà antica; nessuno sapeva dove fosse nato: era un mistero con due gambe. Cent’anni dopo si seppe che era nato in Egitto, in un luogo chiamato Licopoli. Dicevano che parlasse il greco facendo errori di pronuncia…». «La cosa che trovo affascinante è la storia – che ho letto nel suo libro “Il
Fallimento imperiale” – riguardo al viaggio di Plotino con Gordiano III verso l’Oriente». «Già, il filosofo si aggrega alla spedizione imperiale contro la Persia per attingere idee dalla filosofia indiana, e, Filippo L’Arabo, l’unico arabo che si ammanterà di porpora nell’impero – un arabo come lei, Mosul-, farà un golpe durante la spedizione mettendo a morte (si dice) il giovane Gordiano». «Già… una storia incredibile: Plotino era un uomo amichevole che detestava le chiacchiere dei sofisti. Ma arriviamo al sodo: ci domandiamo perché James avesse solo il libro di Plotino sul tavolo. Posso fare delle congiunture, delle connessioni: Plotino aveva orrore del corpo. Lo considerava la prigione dell’anima. Lei la ricorda la storia d’Amelio quando tentò di ritrarre il filosofo per tramandarlo ai posteri?». «Vagamente… mi pare che disse al pittore: ritrai l’immagine dell’immagine…». «Sì, qualcosa del genere, mi pare che dica: non basta dunque trascinare questo simulacro che ci ha dato la natura, ora voi volete anche preservare l’immagine del simulacro come se valesse la pena preservarla. Plotino aveva un ottimo rapporto con Galieno e cercò, sotto gli auspici dell’imperatore, di fondare una specie di «Città del Sole» platonica: Platonopoli. Non ci riuscì: dopo la morte di Galieno fu perseguitato e la sua scuola filosofica decadde». «Ho letto una cosa assai strana: era afflitto da una lebbra terribile, ho pensato che fosse la punizione della natura, che forse non gli perdonava lo svuotamento della materia e il rendere, nel suo sistema filosofico, i corpi insignificanti. Ho letto che il pover’uomo era avvicinato con ribrezzo e poiché lui, abitualmente, salutava tutti baciandoli, la gente che lo visitava, e che veniva voluttuosamente abbracciata in un trasporto di amichevole affetto, temeva una possibile contaminazione». «Plotino soffrì molto, perse la voce e suppurava dal corpo». «Le grandi anime sono spesso afflitte dai corpi: Leopardi, Kirkegaard, Plotino, l’uomo giusto d’Isaia…» «È vero… e per questa malattia che lo consumava, rimase isolato in un podere in Campania e lo visitava solo un medico. Morì sopportando il male come gli eremiti cristiani che aborriva. Porfirio nella «Vita di Plotino» lo trasformerà in
un santo pagano». «Il punto è perché James lo legge? E perché il delirio della mente? Cosa è che associa Plotino ad un pensionato che predica al vento?». «Provo a dare una spiegazione per poveri fessi: Plotino dice: il mondo è un ente senza fondamento. Un essere intermedio tra il Superente e il non ente. Il Superente non può essere pensato, è l’Uno, ed equivale – oso interpretarlo – al Dio ineffabile. Il non ente è la materia che è impensabile come il Superente». «Però…». «Lei non sa, Mosul, che impressione mi facciano questi termini. Il termine Ente, in italiano, ricorda i ministeri e le strutture burocratiche, e queste definizioni mi danno un senso d’autentico orrore». «La capisco… un groviglio parassitario…». «ons… la materia non ha categoria e manca di forma, è iva, instabile, e sempre, sempre vive nell’assoluta indigenza». «Che bella quest’idea della povertà della materia… molto poetica!». «L’humus dell’essere individuale è la materia. Gli esseri individuali straripano da questo terreno, che è, de facto, un fondo oscuro. Ma attenzione: l’ente, il mondo, proviene dal Superente attraverso il non ente. È l’Uno che emana le miriadi d’esseri individuali». «Il Dio ineffabile genera gli essenti?». «Si… e questa multiformità scende dall’alto verso il basso. Plotino afferma che nell’essere è necessario che ci sia il non essere per essere. Come dire è necessario che la luce si mischi con la tenebra per generare gli esseri individuali. Sostiene che la materia non è puro nulla ma che il nulla è presente in ogni essente». «E penso proprio che abbia ragione perché, io, il nulla, me lo sento nelle ossa». «Ecco: come i reumatismi o la sciatica… arriviamo all’anima individuale: Plotino la colloca tra il Superente e non ente e spiega che l’anima ha tendenza
verso l’alto o verso il basso, secondo le sue predisposizioni naturali…» «sco d’Assisi ha una certa tendenza e Caligola o Saddam Hussein ne hanno un’altra…». «Bravissimo! Plotino dice che l’anima quando tende verso l’alto trova il Nous, lo spirito, cioè il mondo intelligibile delle forme pure, e verso il basso trova l’oscurità della natura…». «Ecco perché la natura lo ha punito con la lebbra…». «Ehhhh… quindi abbiamo: Uno, Spirito, Anima, Natura e Materia…». «Tutto preciso ed indicato come in una cartina stradale…». «Già, i mistici ricevono informazioni precise dall’Oltre…». «O se le immaginano…». «Molto più probabile…». «Domanda da un miliardo d’eurodollari: perché siamo discesi dall’Uno nel gorgo della materia?». «Ci siamo: a questa domanda Plotino risponde, evitando il malevolo trabocchetto dove cadono sempre le religioni monoteiste, e replica eludendo il dilemma dell’onnipotenza e spiegando che ciò che metafisicamente è accaduto ed è manifesto non è una conseguenza voluta dall’Uno. Dice che errano coloro che affermano che il creatore ha preso, a un certo punto nel non – tempo, non – luogo esterno alla spazio – tempo, la decisione di produrre essenti. Insomma, in soldoni ed evitando pippate e quisquilie, Plotino, elude la trappola del demiurgo platonico, che imita le idee, e quella del Dio biblico che opera la sua insostenibile «creatio ex nihilo»…». «E mi pare rifiuti anche Aristotele…». «È vero…». «E poi se ne viene fuori con la pittoresca idea dell’emanazione».
«Bravo…». «Me la ricordo: immaginiamo una luce iperfisica che si proietta nella notte. Più intensa è la luce e più forte e la presenza dell’ineffabile, ma procedendo verso i limiti della luminosità si arriva in un luogo ove prevalgono le tenebre ed è lì che si situa la materia…». «Si, oppure un fuoco che brucia nella notte il cui calore si effonde nell’oscuro glaciale… ove il calore perde la sua forza si situa la materia…». «Lo sa che questo detto sul delirio della mente é profondamente buddista?». «Nel libro Tibetano dei morti, quando giungono le visioni sconvolgenti, il monaco mormora nell’orecchio del defunto di non prenderle seriamente. Cos’è il Bardo se non il delirio scatenato della mente che porta attraverso il peso del karma accumulato nella vita ata ad una nuova reincarnazione?». «Già… l’illuminato è colui che cavalca il delirio della mente… cosa dice, in effetti, il buddismo, dice: dai… le visioni sono tutte fesserie: il tuo Sé profondo è altra cosa…». «E il Sé profondo, Erminio, parla attraverso il vento?». «E che ne so… Mosul, le rispondo come il Sor Pomata quando scivolò su una cagata di cane?». «Immagino che disse: boh!!». «Ecco… come dire perché io? Perché devo scivolare proprio io sulla merda di un fottuto cane?». «La risposta quindi è: boh!». «E che altro se non «boh!» mio caro figliolo…».
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Adriano VI era stato una delusione mortale. I commercianti di Roma erano disperati. Tutto il ceto parassitario artistico era stato espulso dal Vaticano. Un papa riformatore, l’olandese, che alla Dieta di Norimberga aveva fatto leggere un suo imbarazzante «mea culpa» spiegando che non ne aveva azzeccata una e che aveva fallito nel suo intento riformatore. Lutero, sorridendo beffardo, lo aveva ascoltato e gli aveva sparato contro una delle sue letali bordate. Il povero papa d’Utrecht aveva dovuto, più tardi, affrontare le beghe imperiali tra Carlo V e sco I. Il 14 settembre del 1523, Florisz Boyens – sub specie aeternitatis Adriano VI-, aveva tirato le cuoia, minato dallo scoraggiamento e dalla delusione, e i Romani avevano gioito: un papa riformatore e confusionario se n’era andato, ed ora, probabilmente, un papa italiano sarebbe salito sul trono pontificio ed i pontefici italiani erano notoriamente più accomodanti: così era stato. Il conclave elegge, il 19 novembre del 1523, Clemente VII. Sulla scena del mondo appare – secondo l’ambasciatore veneziano – il più funesto dei papi. Il nuovo pontefice è Giulio dÈ Medici figlio naturale del grande Lorenzo. Se Marco Aurelio ha avuto il suo Commodo e Vespasiano il suo Domiziano, il Magnifico ha generato il suo Giulio, notorio per la sua inettitudine più che per la sua crudeltà: sul soglio pontificio si è materializzata l’immagine dell’esitazione e dell’incostanza. Clemente comincia il suo pontificato con un’alleanza – che sbalordisce la curia – con sco I e non con Carlo V, che sarebbe il suo alleato palese e naturale. Risultato: l’imperatore sconfigge il re dei si e lo imprigiona a Pavia. Preso atto della catastrofe, Giulio a dalla parte di Carlo V. Il 14 gennaio del 1526, sco I è liberato e Clemente, lungimirante, ci ripensa e si allea nuovamente con il se. Risultato: il 6 maggio del 1527, per ordine di Carlo V, Roma è saccheggiata da «tagliagole» spagnoli e lanzichenecchi luterani. Giulio fugge a Castel Sant’Angelo, è catturato e soffre una prigionia di sette mesi. Per pagare il riscatto è costretto a far fondere dal povero Benvenuto Cellini tutte le cianfrusaglie preziose che trova. Raccoglie oro sufficiente e ottiene la libertà a condizioni miserande. Ci ripensa e si avvicina nuovamente all’imperatore che, benignamente, gli concede di ritornare a Roma. Riappacificatosi con il suo ovvio alleato, lo incorona, il 24 febbraio del 1530 a Bologna. L’imperatore insiste affinché convochi un consiglio ma il papa non ci sente. Convoca, invece, la «Dieta d’Amburgo» che si rivela un fallimento. D’unità dei cristiani non se ne parla. La confessione d’Asburgo, infatti, rende più concreta l’ostilità tra la chiesa cattolica e i protestanti. Non finisce lì: Anna Bolena promette la sua profumata vulva a Enrico VIII, ma non intende concederla prima di diventare regina. Il Re è fuori di testa per la ione, dopo avere ingravidato e abbandonato la sorella di Anna, ora vuole nel suo letto la giovane nobile, e di conseguenza Caterina d’Aragona deve sparire. E che fa
Clemente quando deve decidere sull’annullamento del matrimonio? Esita. Naturalmente procrastina. Se ne fotte Giulio dei problemi dell’Inghilterra, la prima cosa nell’agenda è fare incoronare sua nipote, Caterina de Medici, facendola sposare con il figlio di sco I, Enrico. E mentre il mondo è in subbuglio Clemente si reca personalmente al matrimonio di Caterina a Marsiglia. Corre il 12 ottobre del 1533 quando, per assicurarsi che Enrico abbia fatto il suo dovere, infila prima il dito indice e poi il medio nella vagina della nipote per poi ritrarli soddisfatto, mormorando: «Bene!». Lo stesso anno, prima di liberare il mondo dalla sua presenza – l’angelo della morte giungerà il 25 settembre del 1534 – Giulio dÈ Medici incontra in Vaticano un cavaliere tedesco dell’Ordine Teutonico, Conrad von Recke: inviato dall’ultimo Grande Maestro di Konisberg, il Margravio Alberto di Brandeburg – Asbach duca di Prussia. Conrad von Recke, Gross Komtur dell’Ordine, ha con se uno scrigno d’oro contenente una reliquia: è il 15 giugno del 1534. Clemente è mal ridotto quando il Cavaliere teutonico apre lo scrigno. Alla scena è presente Alessandro Farnese, Decano del Sacro Collegio e vescovo d’Ostia. Sarà lui, il futuro Paolo III, che erigerà il nepotismo a legge eterna. Alessandro, che ha generato quattro figli e che più tardi nominerà cardinali tre nipoti, tra i 14 ei 18 anni, ha messo al mondo un potenziale Cesare Borgia: il figlio Pier Luigi che diventerà un gonfaloniere, vale a dire un magistrato supremo della Chiesa e che sarà poi assassinato – senza che Carlo V muova un dito in sua difesa – a Piacenza. Il cavaliere alto, biondo, cinquantenne e molto atletico s’inchina profondamente e bacia la mano al papa e al cardinale. Clemente VII chiede: «Che hai in quello scrigno, figliolo?». Conrad von Recke risponde: «Il Velo di Marta..». Alessandro Farnese, meravigliato, domanda: «La Veronica?» e fa un gesto di stizza. Il Gross Komtur dell’Ordine racconta la storia di Guy de Nuitville e del velo. Clemente lo segue infastidito: «Ma ce ne sono un carro intero di questi veli, figliolo… ed ora tu vieni a raccontarmi che questo è l’unico velo autentico?». «Proprio così». «E allora la Comulia?».
«La Camelia, Santità…» corregge Alessandro. «Ecco la Camelia e il Mandrillone di Agbar…». «Il Mandillion di Agbar «corregge nuovamente il Farnese. «E il Volto Santo del Laterano?». «Il Margravio m’invita a confermare, Santità, che l’unico velo autentico è quello di Marta». «E perché l’hai portato qui?». «Per ordine del Grande Maestro di Köninsberg, il Margravio, Alberto di Brandeburg – Asbach duca di Prussia». «E la ragione esatta?». «È scritta in questa lettera: una santa suora di Augusta, Gertrude di Üxküll ha avuto delle visioni e prima di morire ha chiesto che il velo sia consegnato al papa regnante affinché gli siano ridotti gli anni del purgatorio». «Ah… e questa benedetta donna pensa che io non acceda al paradiso?». «Così ha detto. Ma la stranezza è il rincorrersi delle visioni che il Velo di Marta provoca continuamente…». «Mmm… e…». «Quasi tutti i veggenti che hanno toccato la sacra reliquia hanno sognato o hanno letteralmente visto una visione non sempre identica ma rassomigliante…». «E cioè?». «Hanno visto un uomo nero, o l’ombra di un uomo nero, su un’immensa spiaggia battuta dai venti, o un giovane scuro con il Velo di Marta, sempre ridente. Altre volte l’uomo nero non era solo, era con un’altro giovane biondo che sembrava il suo gemello. Altre volte i due giovani diventavano due aquile. In un paio di occasioni l’uomo nero ha mormorato nella visione la frase: Omnia furor mentis».
Il Farnese, dopo aver sbadigliato profondamente, interviene: «E quali sarebbero questi veggenti o santi che sono stati visitati dalla visione, buon uomo?». Conrad von Recke, indispettito dall’atteggiamento del Cardinale, apre un rotolo di pergamena per ricordarsi i nomi dei santi visionari che hanno avuto la visione e dice: «Queste confuse e ricorrenti visioni hanno avuto dei precursori: le visioni si sono manifestate a devoti cristiani anche prima che il velo giungesse da Edessa». «Come? prima che giungesse da Edessa?». «Si, prima che si sapesse dell’esistenza del velo, prima che i crociati lo portassero in Italia…». «E chi ebbe queste visioni?». «Queste visioni le ebbero: Massimo di Trier, Gregorio d’Utrecht, San Cuthman nella chiesa di Steyning…». «Nella chiesa di Steyning? E dov’è?». «In Inghilterra, nel Sussex… si, l’uomo scuro si manifestò nella chiesa di Steyning e disse: «Omnia furor mentis»… «E che vuol dire che tutte le cose sono il delirio della mente?». «Che tutte le cose originano dal delirio della mente». «Un momento» interviene il Farnese «anche Dio?». «Che posso dire, Eminenza, io sono solo un povero messaggero dell’Ordine…». «Continua, figliolo…» interviene Clemente III «Leggo la lista: La Santa Ytha…». «Tedesca?». «No… irlandese… questi sono coloro che ebbero la visione senza saper nulla del velo, poi ci furono quelli che lo toccarono e videro cose inimmaginabili e incomprensibili…».
«Continua…». «Margherita di Buxtehude, che quasi morì per la visione, Iohann di Doblin, che levitò dopo la visione, Yaroslav di Bryansk…». «Quello che non si lavava mai?». «Si, il vate di Novgorod…». «E che ha visto?». «Due giovani fondersi in un unico drago che correva su una grande spiaggia». «I due ragazzi si fondevano in un drago?». «Si, Santità, i due giovani si fondevano nel drago e si separavano dal drago, che sembrava contenesse i due ragazzi, e uno dei giovani era biondo e l’altro nero…». «E che ne ha dedotto, il santo puzzolente, dalla visione?». «Ha raccontato che quando il drago era svanito aveva sentito una sonora risata echeggiare nel cielo e poi aveva udito una voce dire: lavati che fai schifo…». «La voce aveva ragione…» precisa il Farnese e poi chiede: «ma lui che ne ha dedotto dal messaggio?». «Ha immaginato che fosse Satana ad ingiungergli di lavarsi…». «E non si è mai più lavato?». «Mai più… emanava un odore terribile…». «Ma che schifo questi santi uomini!» interrompe Clemente. «E poi c’è stata la visione del nostro fratello morente a Tannenberg, Dietrich di Babemburg…». «Ma santo Iddio come faccio a dire a quelli che hanno venerato per secoli la Veronica che in realtà è un cencio insignificante… apri lo scrigno, figliolo, fammi vedere…».
Il Gross Komtur apre lo scrigno. «Ma è uno straccetto miserabile con alcune croste di sangue, mirra e aloe…». «Né mirra né aloe, Santità, solo sangue. Non è il velo posto sul volto del Redentore durante la sepoltura, è quello con il quale Marta ha asciugato il volto di Gesù, mentre ascendeva il Calvario». «Ah… ecco… e ha poteri miracolosi?». «Limita le pene purgatoriali e delle volte guarisce». «Figliolo, ringrazia il Margravio… come si chiama?». «Alberto di Brandeburg – Asbach duca di Prussia». «Ecco… e digli che noi terremo gran conto della reliquia. Sfortunatamente non sto bene, come vedi e devo congedarti…». Conrad von Recke, sorride, bacia la mano del papa e del Farnese ed esce. Mentre emerge dall’ombra e si staglia nella luce del sole, pensa: «Hanno ragione i protestanti: questi porporati fanno orrore». Poi respira a pieni polmoni per purificarsi dall’odore di polvere e morte. Clemente getta lo scrigno e dice: «Che angoscia, Alessandro, con questi veli… ne viene fuori uno al giorno… questi tedeschi sono incontrollabili: provocano rivolte o concedono quisquilie…». «Eh… Santità, i Cavalieri Teutonici non contano più niente sono finiti…». «Lo sai, Alessandro, chi mi ha rovinato?». «L’amore per i si…». «Ecco… te ne sei accorto, vero?». «Ehhh…». «Se io mi mettevo subito con Carlo sarebbe stata tutta un’altra cosa…».
«Già…». «E invece, perché speravo in quel perdente naturale di sco, ci sono rimasto sotto». «Forse, Santità, bisognerebbe pensare seriamente ad un radicale cambiamento, ad un programma articolato…». «E cioè?». «Lo elenco, Santità: lotta spietata contro l’eresia, convocazione di un Concilio per riordinare la Chiesa – considerando lo sfacelo che viene dal Nord-, pensare seriamente a un ritorno di tutti i cristiani nel grembo di Madre Chiesa, e una bella crociata contro i Turchi… e lì si potrebbero utilizzare anche questi monaci guerrieri che invece di menarla con i veli dovrebbero affrontare il nemico maomettano – che avanza ovunque – con le loro spade…». «Ma santi numi, Alessandro, il concilio lo avversano tutti: il puttaniere Enrico, sco I, i principi protestanti… con chi la facciamo la crociata con le mignotte di Roma?». «E io, invece, dico che bisogna provarci… e poi se mi posso permettere, Santità, consiglierei collaboratori, porporati differenti… questi uomini che gravitano intorno al soglio pontificio non valgono molto…». «E cioè?». «Ad esempio consiglierei uomini nuovi come il cardinal Caraffa e il cardinal Corvini, porporati di grande valore…». «Mmm…». «E poi bisogna pensare seriamente a limitare le pletoriche pretese pontificie di supremazia sul mondo cristiano: ci vorrebbe un consiglio di saggi – che so una congregazione nuova – che controlli i problemi dottrinari. Vede, Santità, l’eresia protestante sta fermentando una reazione nel mondo cattolico… e poi francamente il Sacro Collegio va risanato…»
«Mmm… va bene parliamo d’altro… mia nipote è felice mi dicono… ma che facciamo con questo straccetto?». «Me lo dia a me… lo do ad un devoto un po’ boccalone che si beve tutte queste storie…». «A chi lo molli questo straccio?». «Forse a Tommaso Campeggio, quello che era legato a Venezia nel 1525 e che ora è vescovo di Feltre…». «Tommasino il Reggente della Cancelleria Apostolica? «Si, oppure lo consegno a Nicolo Adeth, il generale dell’ordine Carmelitano…». «Il cipriota?». «Si… un uomo lugubre quello…». «Molto pio…». «E se fosse vero che riduce gli anni del fuoco penitenziale?». «Santità, ma crede a queste cose? Lo sa che le reliquie hanno prodotto la rivolta del Nord… me lo dia e si riguardi…». «Alessandro… ma che fa Stefano ulula?». «Un poco…». «E la pietra trasuda?». «Un poco…». E Clemente fa potenti scongiuri: di morire non ne ha voglia.
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Quimper è furibondo. Ha gettato una tazza di caffè sul pavimento. Bellestrini se la prende con calma e sorride. «Eminenza, mi ha mandato quell’uomo tutto bianco che mi ha martoriato per tre ore, con quella storia incredibile delle bende del sepolcro…». «Ma figliolo, tu non puoi are tutto il tuo tempo ad ascoltare musica degenerata e a… a… insomma a concupire quella sgualdrina americana… devi imparare a conoscere meglio le scritture!». «Ma, Eminenza, come può mandarmi un uomo, tutto bianco, cadaverico, a raccontarmi frottole…». «E che ti ha detto Colletti?». «Ha raccontato che Gesù quando è risorto ha lasciato le bende rigide, come inamidate e il velo che gli copriva il volto sospeso, come sostenuto da qualcosa… il Vangelo non dice questo…». «E che dice, secondo te, il Vangelo?». «Giovanni, o chi per lui afferma che quando arrivò nel sepolcro, precedendo Pietro, trovò le bende, con le quali avevano fasciato Gesù morto, per terra, e il velo, o il sudario piegato a parte; e questo Colletti mi viene a raccontare che le bende erano rigide, quasi inamidate a causa dell’esplosione resurrezionale, ma mi dica lei… prendono per i fondelli!». «Anche un grande studioso degli anni 2000 diceva questo… si chiamava Messori…». «È così… Colletti me lo ha spiegato, ma è una cosa insana… il testo di Giovanni dice: Pietro seguendolo – cioè seguendo Giovanni – entrò nella tomba, e vede – non vide, vede, dice – gli «otonia», cioè le fasce che stanno lì. Per star lì dice: «keimena». E poi aggiunge che il velo – cioè il «sudàrion» – che «era sulla testa sua», stava lì. Non dice che era sospeso o inamidato o rigido. Dice che il
«sudàrion era «allà xoris entetulicmènon»: era piegato e non stava con le fasce. E Colletti mi viene a raccontare la storia delle fasce rigide… ma andiamo Eminenza! Colletti prende in giro. Una cosa pietosa». «Dipende dall’interpretazione che uno vuol dare alle parole greche». «Appunto! È un falso… e poi perché, Eminenza, tutti questi lefevriani – pacelliani sono così cadaverici?». «Forse, fanno penitenza, figliolo…». «È la mancanza di sesso che li rende così spaventosamente pallidi?». «Non necessariamente!». «E poi questo benedetto uomo l’ha menata per tre ore con il suicidio di Giuda. Ha detto che gli Atti degli Apostoli affermano che si è gettato da un dirupo e si è sfracellato sbudellandosi, mentre Matteo ha parlato d’impiccagione, ma che differenza fa? Si è ucciso e basta…». «Ma le scritture non si contraddicono…». «Colletti dice che Giuda Iscariota prima si è impiccato e poi è caduto nel precipizio sfracellandosi e sbudellandosi…». «Lo penso anche io…». «E poi se hanno crocifisso il Nazareno sulla croce latina, o una croce a T, o su un palo – come dicono i Testimoni di Geova, che si sono inventati lo «stauros» – che cambia?». «Loro sbagliano… era una croce latina». «E il gallo che canta ma che non potrebbe cantare – perché dagli ebrei è bandito – che cambia?». «Tutto prova la veridicità delle scritture». «Ma veramente? Sarà un racconto edificante… null’altro…». «Figliolo che dici… ?».
«E poi pure la storia – che Colletti rintuzza con veemenza – che Gesù é allo stesso tempo Gesù e anche Bar Abbas, perché quel nome significa «figlio di Dio»… ma chi le mette in giro panzane di questa magnitudine?». «Si, questa è una tesi folle…». «Non fosse bastato questo… il pallido focolarino ha cominciato a menarla con il collasso ortostatico.». «Più probabile dell’asfissia…». «Ma che cosa cambia com’è spirato? È morto: è sufficiente!» «Si, cerca di capire cosa sia veramente accaduto…». «Ma hanno crocifisso un profeta: ecco cosa è accaduto…». «Allora, secondo te, Gesù era semplicemente un profeta non era figlio di Dio?». «Lo era come lo sono io…». «E allora perché tu – che sei sangue del suo sangue – hai fatto i miracoli?». «Perché mio Padre lo ha voluto…». «Ma se tu non avessi avuto il suo sangue i miracoli non li avresti fatti… se eri figlio della Howell i miracoli non li facevi…». «Vero… ma da lì a dire che uno è figlio di Dio ce ne vuole…». «E allora chi sei?». «Uno che esercita il potere del padre attraverso la sua volontà…». «E Gesù chi era?». «Un profeta particolarmente, peculiarmente, aperto alla luce di Dio…». «Ma stai bestemmiando…».
«Voi bestemmiate…». «E Mosul che fa i miracoli come te chi è?». «Non so». «Te lo dico io chi è Mosul: è l’Anticristo…». «Voi eunuchi vi fottete il cervello con le chiacchiere. Dovete riformare tutto…». «E finire come il degenerato Celestino VI?». «Ci sarà una via di mezzo tra cardinalesse lesbiche e gente, che stanca dei miti, ha abbandonato le leggende a se stesse…». L’animata discussione procede, quando, improvvisamente una porta si spalanca e Betsy Howell si manifesta come una visione epifanica. La diva é coperta da un lungo e austero abito nero disegnato da Dasei Kochu. Bellestrini si blocca impacciato. Betsy si getta in ginocchio e sussurra: «Eminenza mi voglio convertire, credo di essere stata toccata, anzi, sfiorata dalla grazia di Dio». Bellestrini guarda Gesù impacciato, e risponde sorridendo: «Cara signora, diamo un po’ di tempo alla grazia… lasciamola lavorare, quando è avvenuto questo sconvolgente prodigio?» Gesù ridendo interviene: «Eminenza il prodigio è avvenuto quando si è ingoiata due pasticche di White Lux innaffiandole con un Bourbon con ghiaccio». «Ma perché mi umili? Perché mi mortifichi? Tu non sei il redentore, sei un sadico… mi rivolgo a lei, padre santo, e chiedo, con profonda umiltà: respingete forse una penitente?» «No, Mrs Howell, diamo solo tempo al tempo…». «Le ricordo che il vero Gesù – non questo sadico «freak», questo gigolò
se, perdonò Maria di Magdala…». «La quale dopo il perdono rinunciò al sesso… ecco: lei rinuncerebbe al sesso?» Gesù si sbellica dalle risate: «Si… dopo morta…». «Ecco… lui ride… ma io sono capace, Eminenza, di un cambiamento radicale…». «Si, Eminenza, il cambiamento radicale consiste nel papparsi nove «White Lux» al giorno invece di dieci». «Eminenza io vorrei chiudermi in un convento…». Gesù è scosso dalle risate: «Con un bambolone robotico dotato di un abnorme pene!». Bellestrini risponde: «Magari, cara signora, lo farà quando la grazia si sarà interiorizzata nel suo cuore radicandosi nella sua anima… un processo lungo… dia tempo al tempo…». «Mi ritiro sconfitta e incompresa». «Ecco, cara, vatti a prendere un bel Bourbon con il ghiaccio… Juanita aiuta la signora a uscire… le emozioni mistiche consumano e debilitano… e speriamo che non sopraggiunga la Notte Oscura dell’Anima… come a San Giovanni della Croce!». Juanita d’Escobar agitando i suoi 150 chili di scura ciccia messicana conduce Madame Howell verso la porta mentre Gesù sussurra a Bellestrini: «Faccia attenzione, Eminenza: cominci a contare e vedrà che madame prima che lei arrivi a cinque sviene… conti!». «Non sia così crudele, figliolo…». «Conti!». «E va bene conto: uno, due, tre, quattro…».
Al quarto secondo Madame Howell crolla scompostamente sul tappeto, mentre Juanita d’Escobar sbuffando ringhia: «Uhhhh… quanto pesa sta benedetta mujer…». Bellestrini guarda Quimper esterrefatto e dice: «Caro, aveva ragione lei! È crollata nella Notte Oscura dell’Anima!»
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Dopo la scoperta del 2034 le cose cambiano. La definizione finale della «teoria delle stringhe» dischiude le porte alla «teoria unificata del tutto». La «teoria delle stringhe» – in ducati sonanti – cambia le particelle elementari da elementi puntiformi in minuscoli e vibranti filamenti. La stringa vibra come una corda di un violino ed emette note che sono l’elettrone, i neutrini, il quark, il gravitone. La stringa è l’idea basilare che unifica tutta l’energia attiva in natura; è ciò che cuce le teorie anteriori in un’unica e universale teoria. In questa nuova ottica, spazio e tempo diventano indeterminati, offuscati, come avvolti da una foschia; e la «cosa» diventa un aggregato di stringhe che vibrano. Le questioni ancora aperte riguardanti la relatività di Einstein e la meccanica quantistica sono risolte da Brodley nel 2034 e definite da Dèraux nel 2041. L’applicazione della «teoria quantistica» alla gravitazione, senza la «teoria delle stringhe», faceva cadere i fisici in un labirinto d’incomprensioni. Ora, invece, l’allargamento del concetto d’indeterminazione consente, attraverso la stessa teoria, d’incorporare anche la gravitazione e sprona Brodley verso la soluzione del rebus cosmico. La prima formulazione della teoria, avvenuta nel 1968, fu opera di un italiano: Gabriele Veneziano. Ma le stringhe erano in quegli anni ancora sconosciute e ce ne volle di tempo per comprendere tutto; poi Brodley si elevò sulle spalle di Witten e di altri grandi scienziati e si addentrò nel Paranirvana della Scienza. Cercando di spiegare con semplicità queste stupefacenti teorie si può affermare che la «meccanica quantistica» sopravvisse modificata schiudendo la porta alla comprensione finale dell’universo – o degli universi. Ma per comprendere la «teoria unificata del tutto» occorrono equazioni matematiche; l’Oltre è un burlone con un’ossessione: la matematica. La scoperta di Brodley ha confermato un universo a undici dimensioni, quattro spaziali – tra le quali il tempo che è la quarta – e altre sette infinitesimali – minuscole a tal punto da non poter essere
neanche percepite. Dopo Brodley, Big Bang e buchi neri sono diventati trasparenti. Abbiamo attraversato la legge gravitazionale di Newton, le leggi della termodinamica, la «teoria della relatività», la «teoria quantistica» per giungere alla «teoria unificata del tutto»; ma spiritualmente siamo inferiori ai saggi del tempo di Gotama Buddha. Dalla morte dell’Illuminato sono ati circa 2530 anni e siamo ancora dei nani spirituali; bambini viziati che viaggiano nel tempo. E la filosofia dopo Brodley, Quimper e Mosul? Nel Diario Segreto ho trovato una lettera illuminante di Jas Stanislaw Niemcewicz, il grande filosofo polacco, risale all’agosto del 2044, é indirizzata a mio padre e non appare nel “Messia Limitato”. Niemcewicz scrive che, dopo la «teoria unificata del tutto» e prima dei miracoli simultanei, la filosofia era sovrastata e annichilita dalla scienza ed era diventata una misera, inutile ancella che profetizzava senza sosta, come un’inascoltata Cassandra, il pericolo immane che la tecnologia sguinzagliata presentava. Il polacco aveva già espresso il suo orrore, ne «I robot di Shiuangdi» dopo che i rivoltosi cinesi avevano messo a ferro e a fuoco Shenzen, nel 2036, e la leadership di quello strano ibrido, che era il nuovo partito democratico cinese, aveva scatenato i guerrieri robotici, i «Cheng Lan» – dal nome dell’inventore – contro le masse rurali provocando una tremenda carneficina. L’assalto alla città ideale di Den Xiaoping – la materializzazione urbana della sua filosofia basata sul concetto dell’«arricchirsi è glorioso» – aveva trasformato la città – trionfo del capitalismo asiatico in un cumulo di macerie che coprivano oltre centomila morti fatti a pezzi dai soldati androidi. In quattro ore i «Cheng Lan» avevano annientato la rivolta e il mondo aveva compreso il rischio che stava correndo con la tecnologia incontrollata. Niemcewicz aveva fustigato senza pietà la «fuga in avanti del progresso tecnico – scientifico»nel «Vortice Tecnologico», scritto nel 2037, ed aveva citato Shenzen come esempio dell’orrore a venire. In quegli anni, il saggio polacco, aveva elaborato una nuova filosofia cannibalizzando vecchi concetti, espressi dai «catastrofisti» dell’inizio del millennio, affermando che la tecnologia era un Giano bifronte con il volto nascosto dai connotati satanici. Niemcewicz aveva riesumato il concetto di «dromosfera», la sfera dell’accelerazione dei trasporti, del filosofo se Paul Virilio e l’aveva coniugato alla «geworfenheit», l’«esser gettato nel mondo» heideggeriano. Aveva così concepito una visione del mondo dove macachi spelacchiati – egemoni, impazziti e composti casualmente da energia sfilacciata di stringhe vibranti – erano abbandonati in un punto insignificante dell’universo e proiettati vorticosamente verso il Nulla.
Nella lettera, dopo i miracoli simultanei, Niemcewicz è confuso e non ci capisce più niente. Il suo nichilismo profetico è minato alle basi; allora elabora una nuova idea utilizzando il termine «Oltre» coniato da mio padre. Niemcewicz spiega che l’Oltre non è altro che un impulso inconscio che provoca eventi come un virus, in un computer infetto; e raccoglie rottami psichici, li unisce, li cuce, li tesse, li elabora, senza alcun senso per poi proiettarli nel mondo. O nei mondi. Che dire? Non ci ho capito un cavolo: anch’io sono confuso.
Il boschetto di Goethe
Prima di partire per Barcellona e incontrare nuovamente Isabel, Mosul, come riporta il Diario Segreto, fugge dall’assedio dei media volando a Newcastle. Perché raggiunge la città del Nord? Perché decide di realizzare un suo antico desiderio: seguire a piedi il Vallo d’Adriano e inoltrarsi lungo il sentiero che da Newcastle lo porterà, da un mare all’altro, fino a Bownesss – on – Solway. Adriano, o meglio Aulo Platorio Nipote eresse il Vallo Romano, che si snoda lungo l’attuale B6318, durante gli anni 122-126 d.C. per salvaguardare il territorio romano dalle losche intenzioni dei barbari. L’imperatore creò una specie di minimuraglia cinese alla Shiuangdi, il famigerato Primo Imperatore, per proteggere la fragile civiltà dalle scorribande di barbari – hooligans. I Romani e i nativi lavorarono per dieci anni costruendo 84 miglia di fortificazioni con 12 forti, torri, e tre grandi ponti sui fiumi North Tyne, Irthing e Eden. Ma al viandante per secoli fu impossibile seguire il vallo. Intorno al 2000, i sovrintendenti inglesi sono riusciti a creare un aggio che attraversa finalmente, senza problemi, la fitta ragnatela dei confini trascendendo le misere necessità della proprietà privata. I pietosi interessi di 700 «landwoners» – che di far are i turisti lungo le mura non ne volevano sapere – sono stati politicamente superati. Adesso, la via è aperta e 84 miglia di muscoso silenzio si snodano lungo le mura del Vallo, dal mare d’Irlanda fino a quello del Nord. Mosul riesce ad arrivare a Bowness in cinque giorni prendendosela calma, si ferma a Heddon on the Wall, Chesters, Birdswald, Carslile e Bowness. Poi prende un Ely –Fly a Solway Firth e parte per Manchester. Da Manchester con un White Knight raggiunge in venti minuti Barcellona. Nella piazza davanti alla cattedrale nel Barri Gotic sta oscillando, coperto da un manto viola, un bambolone di Gesù. Mosul osserva interessato e sorpreso. Isabel si morde la mano per trattenere le risa. Una massa di gente segue con attenzione il rito. Nessuno riconosce l’Anticristo che sta leccando un gelato al cioccolato e alla vaniglia. Il bambolone sacro oscilla mentre uomini incappucciati dirigono i
movimenti dei conduttori del baldacchino. Dopo le resurrezioni e i miracoli il cristianesimo é divampato, nello Stato Federale di Spagna, oggi parte integrante degli Stati Uniti d’Europa, come un fuoco in una foresta arida. «Madre de Dios… che tristezza…» mormora Isabel. Mosul osserva interessato e chiede: «E se uno dei portatori inciampa?». «Viene giù tutto il baldacchino, incluso il vero Gesù… quello fatto di legno…» risponde Erminio. Alcune vecchie donne pregano, quando si avvicina la morte stringono le consumate chiappe e diventano caste. Poi giungono la crisi mistica e il perdono finale che le strappa ai diavoli neri che sostano speranzosi ai piedi del loro letto di morte. Come con Faust. Celestino VI è stato adamantino: l’inferno è vuoto e le cardinalesse lesbiche hanno espresso l’ardito concetto in un tomo voluminoso intitolato: «The Empty Hell». In soldoni: il papa nero afferma che i Regni inferiori sono in svendita; idea malsana che Bellestrini aborre come la natura aborre il vuoto. Il cardinale ritiene invece che le bolgie sono stracolme e che i dannati fuoriescono da ogni buco dell’Ade. Le prigioni degli inferi scoppiano di peccatori come sono rigurgitanti di detenuti fino a esplodere le carceri americane. Mentre osservano il bambolone sanguinante, massacrato di botte dai soldati romani, Ermino e Isabel conversano. Erminio racconta la storia di Annie e di James, e della predica al vento. Poi dice che le stesse parole che Odisseo mormorò a Nausicaa le avrebbe dovute bisbigliare anche a lei quando la vide luminosamente stagliarsi, nella luce obliqua della stanza, nuda, con i seni esposti, come un’apparizione epifanica. E nel dire questo le bacia la mano bagnandola di saliva. «Domani notte, la faccio ballare, caro…» promette Isabel commossa. Erminio si morde il labbro inferiore e risponde: «Attendo con trepidazione…». Mosul ride.
Poi chiede: «Ma quanto ci mettono questi fantocci dell’inquisizione ad attraversare la piazza?». «Cara…» interviene Erminio ignorando Mosul come fosse un discolo incontrollabile «una cosa volevo sentire da lei… un suo parere sulla predica al vento e sull’esclamazione che i visionari ripetono con assiduità: Omnia furor mentis». «Quello che penso? Che quella che ha visto Mosul è un’apparizione divina… a lui certe cose sono concesse…». «E che intende, cara, per divino?». «Ciò che è ultradimensionale…». «Tutto lì?». «Tutto lì…». «E l’Omnia furor mentis?». «Lei sa che questa benedetta frase l’hanno ripetuta anche gli sciamani della Siberia…». «Che cosa è successo in Siberia?». «Ma non ha letto? A Kyzyl, la capitale dello sciamanismo, nella Repubblica siberiana di Tuva che confina con la Mongolia, una sciamana erede delle tradizioni d’Oorzhak Dugar –Sarum – ispiratore di uno dei grandi gruppi sciamanastici di Tuva – e degna erede della tradizione della grande sciamana AiTchourek – ha avuto una visione…». «Mi racconti…». «Una giornalista inglese, Mary Evans, era ad Argolyk, presso la sorgente dell’acqua santa curativa che gli sciamani chiamano Arjaans, quando fu introdotta a «Chiaro di Luna» la più grande sciamana dei nostri tempi. L’inglese fu accompagnata in una baracca di legno e vide la donna vestita con un mantello, dal quale pendevano frecce di metallo, strisce colorate e camli, che danzava agitando un maestoso copricapo di penne d’aquila, e mentre i tamburi rullavano
a più non posso la sciamana andò in trance. La giornalista fu informata da un interprete che la donna stava dicendo di essere in contatto con lo spirito di una grande aquila nera che volava su una spiaggia desolata e vedeva anche un’altra aquila bianca planare verso il mare. Durante la «trance» tutti coloro che erano presenti alla cerimonia udirono chiaramente parole provenire da un enorme orso impagliato: «Omna Furo men» parole mal pronunciate ma chiare. L’entità che era stata evocata mandava il suo messaggio attraverso l’orso impagliato: Omnia furor mentis. La giornalista inglese racconta che Chiaro di Luna fu svuotata completamente dalla visione e ce ne volle per farla recuperare. Quando la Evans riportò il fatto non era al corrente del significato della frase latina». «E di conseguenza? Arriviamo al sodo: che significa questa benedetta frase?». «Di conseguenza: «Omnia furor mentis» significa che tutte le cose, dalla prima all’ultima, sono espresse dalla mente – che è in uno stato di continuo delirio perché è prigioniera dello spazio – tempo. E che James, intuendo attraverso la follia, che apre le porte inusitate della mente, questa profonda verità, ha cercato in Plotino – un negatore o uno svalutatore, se così si può dire, della materia – una risposta. E la risposta gli è stata concessa attraverso la morte – liberazione e prima con la concessione della visione di Annie che gli è apparsa con il suo nuovo corpo spirituale…». «Allora quella era Annie?» «E perché no? Oppure qualcosa che ha assorbito l’essere di Annie e l’ha trasformato nel tripudio luminoso che può essere il corpo d’una donna…» «Già…». «Perché non è detto che l’anima individuale non si fondi, dopo la morte, in una supercoscienza, magari composta di migliaia di anime individuali, in grado di produrre eventi epifanici di quel tipo…». «Però…». La mattina, i tre amici, hanno visitato la Sagrada Familia che è diventata una cattedrale consacrata. Il tempio ha tre facciate monumentali con rappresentazioni della Nascita di Cristo a levante, della ione e Morte a ponente e della Gloria a sud. Nella facciata della ione e Morte si vede una Veronica metafisica senza volto che espone dall’alto il velo della Veronica con il volto di un Cristo
stilizzato. I tre hanno preso alloggio in un grande albergo della Rambla vicino alla fiabesca e colorata Casa Batlò. I soldi fioccano e i paparazzi imperversano ma non li trovano. Scendono dalla piazza della Cattedrale seguendo le pittoresche viuzze del quartiere gotico che odorano di muffa e rifiuti di pesce. Giungono al eig de Colom e osservano Colombo che, come un vigile posto in alto alla colonna, sembra regolare il traffico, indicando l’America lontana. Si spingono verso l’acquario ove Mosul rifiuta di entrare perché odia vedere creature prigioniere. Davanti ad una birra spumeggiante, mentre Mosul legge il Guardian e cerca di comprendere le parole di El Pais, Erminio domanda ad Isabel informazioni su una deità azteca deforme che lo ha molto impressionato. «Lo sa cosa mi affascina, cara? L’ossessione azteca per le deformità…». «È una vecchia ossessione che risale al periodo Olmec, caro Erminio… i deformi non sono mai stati oggetto di derisione ma sono stati considerati contenitori di poteri supernaturali. Nelle tombe si vedono nani, che come Atlas sosteneva la terra, reggono le volte celesti. Se lei, caro Erminio, visita le tombe protoclassiche del Messico Occidentale, trova nani gaudenti che danzano sulle pareti… grottesche di ogni tipo sono presenti tra i sepolcri». «E se non erro, cara, questi poveri disgraziati segnati da un destino osceno erano identificati con il dio del piacere…». «Con gli Dei degli eccessi fisici… gli Ahuiateteo…». «Ho letto che molti di coloro che appartenevano al mondo del divertimento, al pop world del periodo, fossero deformi…». «Una gran parte… gli Ahuiateteo erano cinque deità che punivano gli eccessi… i deformi erano esseri che erano andati oltre i propri limiti ed erano stati puniti. Se qualcuno andava oltre il proprio limite, gli Ahuiateteo, colpivano, come gli dei attici che infliggevano pene per l’hybris. Il più importante era Macuilxochitl, il dio del piacere estremo e della conseguente punizione, l’ha mai visto ritratto? Appare con una mano mozzata in bocca… un segreto?». «Sono tutto orecchi…». «Ne abbiamo sacrificati tre di nani deformi a Macuilxochitl…».
«E me lo dice così…». «E come lo devo dire? Saltando sul tavolino? Due li ho presi io…». «E dove?». «Uno nella favela di Minas Gerais e l’altro in quella di San Paolo…». «Sacrificati?». «Certamente a Macuilxochitl e agli altri quattro Ahuiateteo…». «E lei, come al solito, ha trovato la cosa naturale?». «E piacevole, prima della morte uno l’ho fatto stare bene… aveva un pene abnorme…». «E poi…». «È partito per l’Oltre… gli hanno staccato il cuore…». «E non prova sensi di colpa?». «Lo stesso che provano le madri umane – belve che mangiano un vitellino, o le pie nonne che mettono a morte un agnello… le sembra che loro siano migliori di me? Non è anche quella violenza? No?». «Assolutamente si» risponde Mosul. «L’Occidente ha una perversa maniera di interpretare l’orrore: mio zio che era un comunista arabo – che amava l’arte – mi disse che durante la guerra irachena degli americani contro Saddam, i marines liberarono una prigioniera americana ferita e i media – corrotti fino al midollo dalla loro vergognosa visione «occidentale» – sprecarono miliardi di parole per questa giovane soldatessa, e parlarono pochissimo di quaranta milioni di africani che rischiavano di morire di fame o della terribile guerra congolese che aveva distrutto quattro milioni e settecentomila vite…». «Gli uomini si aggiustano tutto… un deforme fa più notizia di un miliardo di agnelli o dello sterminio di elefanti in Tanzania… ma chi lo decide?» Chiede Isabel
«Vede Erminio c’è qualcosa di così universalmente perverso che la vita umana, forse, non vale la pena salvarla…» interviene Mosul. «Detto questo, cari amici, Isabel si è dichiarata stanca dei sacrifici…» chiarisce Erminio. «Per la loro inutilità non per il sangue. Il mondo è un mattatoio infinito, uno scannatoio perenne, ove l’esistenza individuale ha senso solo per una sparuta minoranza di nevrotici che dettano le loro leggi facendo credere che abbiano un fondamento divino. E questi nevrotici, militarmente, tecnologicamente ed economicamente superiori, dettano la legge dell’orrore nella quotidianità perversa. E dicono: questo è possibile, questo non è possibile. Ed ora è arrivato anche Quimper ad elargirci il nuovo verbo – anche se in maniera confusionaria – ed abbiamo due deità che si agitano: una delle quali si sta trangugiando un caffè qui davanti a noi e sorride, e l’altra che si sta pompando una diva scema a Baton Rouge mentre ascolta musica di cent’anni fa…». «Di Quimper si sa ancora poco… e ricordate, il se è infinitamente migliorabile e tende a sorprendere…» precisa Mosul. «Speriamo… devo dire che con gran meticolosità osteggia il nuovo corso «da Concilio di Trento» che ci sta elargendo un cinereo, osceno cattolicesimo proponendocelo come un nuovo pensare» dice Erminio. «Mio zio diceva: come si fa ad accettare una superpotenza, che si permette di dire che il mondo è cambiato per due torri che crollano a New York, quando ha bombardato quattro milioni di vietnamiti e quasi dissolto una nazione? Quali sono le priorità? Chi le definisce? Perché i massacri del Congo e del Ruanda contano meno dei tremila americani morti a New York? Perché? E non lo sappiamo che Pol Pot fu catapultato nella scena del mondo dal sostegno dato dagli americani alla giunta di Lo Nol in Cambogia?». «Ecco… secondo la logica dell’orrore che saranno mai quattro disgraziati immolati a inesistenti Dei?» Chiede Isabel. «Mio zio pianse quando vide le truppe schierate in difesa del palazzo del petrolio e non in difesa del museo di Baghdad, ma poi pensò, in fin dei conti che conta?». «Da quando ho sentito la storia di James ho letto l’Odissea con attenzione «spiega Mosul sorseggiando un espresso. «Qualsiasi orrore che esplode tra gli
umani si risolve con l’immolazione d’animali e lo spargimento di sangue innocente. Odisseo massacra tutti i Proci e impicca le dodici ancelle infedeli, dopo l’eccidio pauroso? Si..e allora che facciamo? Bruciamo zolfo per purificare l’orrore e poi facciamo una bell’ecatombe di bestie innocenti. Odisseo decide di visitare l’Ade, e allora che facciamo? Ma scaviamo un bel botro e riempiamolo di sangue innocente. È pieno il botro? È colmo di sangue innocente? Si… Ecco! E allora arrivano le anime dei morti che stridendo come pipistrelli si abbeverano della linfa vitale che conferisce loro una parvenza di vita. E per avere quello straccio di miserabile vita, tanto disprezzata da Achille, è necessario che s’immolino povere bestie che il caso ha fatto nascere nere. E gli dei? Assassini assetati di sangue innocente, che appaiono, sulla scena del mondo, come i vampiri dell’Ade con la bocca che rigurgita sangue. Si direbbe che il fondamento costitutivo dell’esistere sia il massacro che germoglia dalla quotidianità. La necessità assoluta dello spargimento di sangue. Il massacro, la violenza inaudita é parte costituente dell’esistere. E cosa prova una devotissima, cattolicissima madre davanti alla carne avvelenata di un povero vitellino? Ma un cazzo di niente. E che prova davanti alla prigioniera americana liberata? Piange. E davanti ai milioni di piccoli spettri neri che marciscono nelle terre d’Africa? Che dice la devotissima madre? Dice: «Ehhh…» Questo siamo noi: normalità assassina e banale che oscenamente legifera. Questo si può fare, questo no… questo lo puoi mangiare, questo no… questo pene puoi infilartelo tra le budella o in bocca e quest’altro no… Decide tutto questa belva incompleta e maledetta che si trova per caso all’apice dell’evoluzione». Sorride Erminio e riprende: «Sa cosa diceva George Stirner, caro? Diceva che l’emblema della nostra epoca è la preservazione di un boschetto, caro a Goethe, all’interno di un campo di concentramento. Il problema essenziale é come preservare il boschetto di Goethe in un campo di concentramento, mi capisce? Stirner dice che cinquanta anni dopo Auschwitz, gli Khmer Rouge seppelliscono vivi circa centomila innocenti. E ha ragione il grande George quando dice, citando Camus, che l’unica, seria, autentica questione filosofica del secolo è quella del suicidio. Vivere o non vivere questo è il dilemma. E non ha visto tutto quello che è avvenuto in Cina nel 2019, o nel Congo nel 2040, o in Russia, Indonesia e Pakistan nel 2036? Stirner, negli anni della mia gioventù, dice, in uno scritto sul declino dell’Occidente, che sessanta milioni di donne e bambini sono stati uccisi dalla guerra, dalla fame, dalle deportazioni, dalle esecuzioni nel
periodo che va dal 1914 fino alla rimozione di Milosevic. E spiega una cosa interessante, dice: guardate che i massacratori non sono emersi dalle steppe, come Ghengis Khan o Tamerlano, venivano dai centri della cultura europea, provenivano anche dalla terra di Goethe, Kant, Bach… o da quelle civilissime dei loro alleati…». «E volete che mi preoccupi degli Aztechi?» Conclude Isabel. Davanti alla «Maninas» di Picasso, Isabel che ama apionatamente la destrutturazione picassiana del quadro di Velasquez spiega quello che sente. Prova, dice, un senso d’inaudita meraviglia e di apprensione per la scomposizione della scena dell’Infanta. La colpisce, in particolar modo, il personaggio che appare nel vano della porta, come un’apparizione epifanica. Mentre eggia nella sala delle Maninas commenta rivolta verso Mosul: «Vede caro nella mia vita macchiata dai sacrifici, dai cuori strappati e dal sangue c’è una cosa che mi rasserena…». «Cosa?» Chiede Mosul. «La pittura di Vermeer. È la cosa che mi più mi rasserena dal sangue e dai sacrifici aztechi». «È una pittura di grande serenità…». «Eppure quell’uomo di Delft che cercava la pace cullata da una luce peculiare, che oserei chiamare arcana e iperfisica, viveva una vita d’inferno». «Si mio zio mi raccontò qualcosa al riguardo…». «Ricordate tutte le scene idilliache?» Chiede Isabel «La scena trasfusa nella luce della «Collana di Perle» o la donna che ci dà le spalle nel «Signora e Signore presso il pianoforte» o la «Donna in blue che legge una lettera»? Ebbene, tutta quell’incredibile sovrabbondanza d’immagini immerse nella luce ipersensibile era frutto di una vita vissuta tra stenti, immani difficoltà, tradimenti, paure e pargoli urlanti. E non solo: era anche frutto di una continua violenza e indigenza famigliare: Vermeer aveva un cognato demente e irascibile; inoltre l’apertura delle dighe, durante la guerra tra cattolici e protestanti, aveva sommerso tutti i possedimenti della suocera, gettando la famiglia nella disperazione e ai limiti della sopravvivenza. E poi Vermeer era un convertito. E quelli erano tempi
eccezionalmente duri per i protestanti convertiti al Cattolicesimo». «Se penso all’incredibile scena di Delft, cullata da una luce misteriosa e immersa nella sacra banalità del quotidiano» interviene Erminio «o al sorriso incredibile della Monna Lisa nordica, la giovane donna del famoso ritratto – che purtroppo la piatta percezione estetica delle mode di massa ha fatto scadere ormai a livello di icona della banalità – devo dire che Vermeer è un pittore eccezionale; anche l’ultimo film di Bronsky, quello del 2043, ce lo mostra in una luce che non pare adulterata. Ma quello che mi ha colpito più di ogni cosa è quella specie di personificazione di Dike o di Maat – dee della giustizia – in abiti fiamminghi ed eternamente incinta, che pesa il cuore umano. Mi riferisco alla «Donna che pesa le perle» ma, in effetti, sembra che pesi le anime; e se osservate con attenzione lo sfondo vedrete una scena da «ultimi giorni» con un Cristo che sovrasta i giudicanti che mi pare – se ricordo bene – si staglino su un cupo sfondo infernale». «E poi c’è la «Donna con una brocca» che lascia penetrare quell’incredibile luce dalla finestra e sembra dire: questa luce non l’avete mai vista, perché nessuno è riuscito a coglierla prima. Signori, questa è la luce di Dio». «Tuttavia, mio zio diceva – povero disgraziato afflitto dall’iconoclastia, dall’aniconismo dell’Islam – che il significato di Vermeer si coglieva particolarmente nel sobbalzo meravigliato davanti alla luce della «Donna con la collana di perle», diceva che quello era un estatico sussulto davanti al reale avvolto dalla luce peculiare dell’Essere…». «E questo pittore, Isabel, la calmava e le dava forza nella ricerca di sacrificanti?» Chiede Erminio ad Isabel. «Mi calmava, non nel senso della colpa – che mai ho provato – ma placava il caos sanguinante e la confusione che i sacrifici emanavano. E poi non è facile aderire ad una filosofia che sostiene che il mondo continua a esistere solo perché un gruppo di uomini ha mantenuto la pratica del sacrificio umano. Si, la luce di Vermeer mi pacificava, mi rasserenava». «E «las Meninas»?». «“Las Meninas” è un’altra cosa… qui un uomo di un tempo particolare investe, anzi stravolge la realtà come la vediamo nella sua mera apparenza, per destrutturarla profondamente, per scomporla radicalmente secondo la sua
volontà, secondo il suo piacimento e la sua percezione soggettiva; mi affascina l’idea che dalla camera oscura di Vermeer – fredda ed oggettiva – si sia giunti alle maschere africane delle “Demoiselles d’Avignon” e che il reale – che era stato riprodotto minuziosamente nei minimi particolari realistici – era divenuto con Picasso scomposto, frammentato, rotto con una violenza inaudita; e era emersa l’immagine nascosta, recondita scaturita dallo sguardo interiore, manipolatorio e libero dell’artista. E che l’Infanta Margareta Teresa e i suoi nani, erano diventati la materia prima per l’assalto alla nostra percezione della realtà – come la vediamo, come la percepiamo attraverso i sensi – per scomporla e fratturarla, e per farne infine apparire la parte più dirompente, inaspettata e spirituale». «Ma è attratta anche dai nani delle «Meninas»?». «Ma che c’entra?». «Mi è venuta un’idea formidabile, cara, non è che può sacrificare ai suoi Dei il nano magnaccia di Theresita Suck, il mio illustre nipote transessuale?». «E come faccio a portarlo in Messico?». «Possiamo organizzare un viaggio in Messico…». «Se me lo porta a Ciudad Juarez lo sacrifichiamo in meno che non si dica…». «Che idea formidabile…». Mentre sostano nel tempio di Picasso avviene un fatto strano. Un marmocchio, di circa dieci anni, si allontana dai suoi e si pone con il deretano girato verso Isabel che lo guarda sbalordita e sorride. Poi il piccolo, incoraggiato dal sorriso luminoso della messicana, lascia andare un peto di venti secondi, mentre si allarga le natiche con le mani. In quel momento sopraggiungono Mosul ed Erminio. Isabel sta ridendo: é in lacrime. Il moccioso imperversa. Esaurita la serie di peti anali a a quelli vocali. Ermino ridendo urla: «Ma è una cosa grandiosa, piccolo, hai sparato un peto di 30 secondi, un record mondiale… cara, questo fanciullo ha un avvenire sicuro come petomane, magari in un circo ucraino…» Il piccolo, che sembra un pinocchietto con due gambette esili e bianche,
incoraggiato dal gran ridere, imperversa petando. «Ma le fai con la bocca o con il culo, caro?» Chiede Mosul incuriosito. Il piccolo che non capisce l’inglese continua a petare mostrando una bocca sdentata. Isabel è vicino ad una sincope per il gran ridere e Mosul si piega su se stesso. Improvvisamente una donna gigantesca e baffuta appare inveendo, e chiamando il discolo «hjio de puta», lo trascina via scusandosi. Il piccolo dopo un ultimo saluto «petato» scompare dalla scena del mondo. Da Vermeer e Picasso si è discesi nella bolgia rumorosa del mondo.
*****
Qualcuno ha chiamato il Concilio di Trento l’Iliade del quattordicesimo secolo: sarà stato ovviamente un cattolico. Un fatto rimane: il Concilio di Trento marchia a fuoco un’epoca intera. Il papato in profonda crisi, destabilizzato dalla rivolta protestante, riacquista una sembianza di solidità. Di fronte all’attacco spietato rivolto alle verità della Chiesa da parte di Lutero, Melantone, Calvino e degli altri eretici, un gruppo d’uomini, angosciato dalla distruzione dell’unità della Chiesa, rinsalda i ranghi e dà inizio ad una reazione che si concretizzerà nella Controriforma. Le schiere si formano e le falangi della Chiesa trionfante avanzano: Gesuiti, Teatini, Barnabiti, Somaschi e Scolopiani diventano i nuovi soldati dell’armata di Cristo Re. Bisogna arginare l’eresia protestante che avanza e rischia di liquidare il Cattolicesimo. Il Papato, che sta rischiando di affogare, si attacca disperato alla zattera dei nuovi movimenti, che esigono una drastica pulizia morale per salvare la Chiesa dalla depravazione dei secoli precedenti. Dopo Clemente VII, traumatizzato dai lanzichenecchi del sacco di Roma, occorrono papi differenti e Paolo III è il pontefice adatto per attuare una nuova strategia: un gruppo di colti prelati, da lui
convocati, produce il «De Emenda Ecclesia». Il Concilio si snoda nel tempo per circa vent’anni, nell’arco di tre periodi. Il primo corre dal 1545 al 1547, ed è la fase dei tremendi contrasti con Carlo V, che, prendendo atto dell’esistenza di sudditi protestanti del suo impero, concede il matrimonio ai sacerdoti, provocando l’ira di Paolo III e la sospensione del Concilio. Il secondo periodo va dal 1551 al 1552 ed é un spazio di tempo convulso ed instabile a causa di alcune richieste, inaccettabili per la Chiesa, che fanno irrigidire Giulio III. Inoltre le bizzarrie di Enrico II di Francia, che fa di tutto per ingraziarsi i principi protestanti prima di affrontare Carlo V, creano ulteriori problemi. Il Concilio ha breve vita e si conclude quando Maurizio di Savoia invade il Tirolo. Riprenderà nuovamente dopo nove anni. Dopo la morte improvvisa di Marcello II e la fine di un pontificato concluso a tempo di record (22 giorni) ascende al soglio di pontificio Pio IV. Le condizioni politiche permettono una soluzione dei problemi e una conclusione feconda del Concilio. Il terzo periodo comincia nel 1562 e finisce nel Dicembre del 1563. Si raggiungono decisioni epocali per la Chiesa riguardo: le sacre scritture, la tradizione, i sacramenti, il culto dei santi. Si attuano decreti disciplinari per riorganizzare la vita della Chiesa: la presenza dei vescovi nelle diocesi, le visite pastorali, i sinodi, i concili provinciali. Ai sacerdoti é ingiunto di sorvegliare le anime, predicare e istruire i fedeli seguendo accuratamente il Catechismo. Le vocazioni giovanissime sono vietate, e ai frati e alle monache è imposto un regime di completa povertà. Abbazie, monasteri e conventi vengono controllati affinché non si ripetano i fatti orrendi che li hanno spesso segnati provocando la reazione protestante. Uno stuolo di grandi figure ruota intorno a questi eventi eccezionali. Fanno spicco: CarloV, Caterina de Medici, sco II, Filippo II di Spagna, Sebastiano Re del Portogallo, Calvino, Melantone, Lutero, l’Ambasciatore se Michel de L’Hopital e San Carlo Borromeo. Durante lo svolgimento della terza parte del Concilio il mondo cristiano osserva con angoscia l’Impero Ottomano, esteso sino ai confini dell’Austria, che dopo aver cannibalizzato il Regno d’Ungheria ha incorporato nei suoi confini i principati di Vallachia, Moldavia e Transilvania. Il potere ottomano, in vertiginosa espansione, si manifesta particolarmente minaccioso verso la Polonia che attraversa uno dei suoi momenti di massimo
splendore avendo ridotto il potere dei Cavalieri Teutonici ad un frammento di reame. Lo Stato dei monaci guerrieri è divenuto un’isola circondata da territori polacchi. La Polonia ha anche fermato la spinta dei Cavalieri della Livonia verso il Nord. L’Impero di Carlo V è possente e diviso dalla presenza della Francia di Enrico II, l’Italia è a pezzi, Venezia ha un suo impero che si estende oltre Cipro, Genova controlla la Liguria e la Corsica, all’interno dei territori tedeschi i principi protestanti mantengono la Germania frammentata. L’Inghilterra è indipendente, il principato di Mosca, divenuto l’Impero Russo, ha inghiottito il principato di Riazan e il Canato di Kazan. Il Portogallo preserva la sua indipendenza. L’Olanda, che è stata terra di terribili battaglie, è ora spagnola. In una notte tempestosa del 1562 il gesuita Pietro Canisio incontra, in quel di Trento, quattro uomini. Canisio è stato inviato al Concilio di Trento dal Cardinale Otto Truchness. Il vescovo di Augusta, nel marzo del 1547, aveva partecipato come teologo ai lavori del Concilio concernenti la dogmatica e i sacramenti. Nel 1562, Canisio è di nuovo a Trento, stavolta per insistenza del cardinale Hosio, che lo ospita nella sua casa: il palazzo Mingazzi a Via Lunga. Il gesuita, giungendo a Trento, compie immediatamente un miracolo: il cardinal Hosio che è seriamente ammalato, vedendolo, guarisce.: Canisio è in odore di santità. Durante la terza parte del Concilio, il futuro santo, interviene riguardo ai problemi della santa messa, ma il 20 giugno dovrà ritornare in Germania, a Innsbruck: per ordine dell’Imperatore prenderà parte a una commissione composta da esperti convocati per studiare i problemi conciliari. La notte del 13 giugno, a Palazzo Mingazzi, Pietro confabula con il grecista Gentien Hervert, gran traduttore di testi greci classici e delle opere dei Santi Padri, che ha intensi rapporti con il Cardinal Pole ed è a Trento al seguito del Cardinal Carlo di Lorena; con Jean Etienne Facini che sostituisce nel Concilio il teologo Nicolaus Audeth, che morirà in quel fatidico anno; con Georges Drašcovič, vescovo croato di Cinque Chiese, che rappresenta Ferdinando I di Ungheria e cerca di mediare per rendere il celibato meno intenso per i preti che vivono nei territori protestanti, e per la concessione della comunione sotto ambedue le specie; e con il futuro Papa Pio V, Michele Ghisleri – che sarà canonizzato come Canisio-, che é riuscito a fermare il protestantesimo avanzante in Lombardia. Paolo IV Caraffa, ha nominato Ghisleri commissario generale dell’Inquisizione, gli ha concesso i vescovadi di Nepi e di Sutri, e nel 1557 lo ha elevato alla
porpora cardinalizia. Ghislieri ha l’aspetto di un monaco emaciato, consumato da una fede intensa; Drašcovič l’apparenza fiorente di un principe slavo, con baffi rigogliosi, barba curata e capelli corti; Facini ha uno sguardo allucinato e sereno allo stesso tempo; Hervert un’aria da Nostradamus, con naso aquilino, una barba bianca e fluente e un copricapo assai strano. Canisio è il più interessante dei quattro: sembra Al Pacino: ha folti capelli con un’esuberante frangetta, barba nera, ben tagliata e curata, e due grandi occhi pieni di misericordia. Nella luce ovattata della stanza, Pietro Canisio ha aperto uno scrigno e sta mostrando uno straccetto con grumi di sangue ai quattro uomini meravigliati. Il gesuita ha appoggiato, su un gran tavolo di noce, un libro di Juan de Avilla, il mistico di Almodovar del Campo, intitolato: «Della guida overo scorta dè peccatori».
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Nel museo dell’Arte Catalana, che Mosul ama molto, i tre amici sono davanti ad una rappresentazione del martirio di Santa Julita. Al centro della «mandala» catalana c’è una serenissima madonna che tiene uno scettro e un piccolo Gesù stilizzato. Ai lati della limpida, sobria visione, nel quadrato alto di sinistra appaiono due uomini che stanno segando la santa dalla testa ai piedi. I due carnefici che ricordano le rappresentazioni normanne dei guerrieri di Bayeux, stanno recidendo in due la povera donna che continua a pregare imperterrita. Nel quadrato in alto a destra, altri torturatori stanno martellando dei chiodi nel cranio di un povero sventurato. La «mandala» catalana della serenità ci offre altre scene impiastricciate di sangue. Nel quadrato basso di sinistra due seviziatori stanno preparando una ribollita: due vergini galleggiano in una pentola tra aglio e rosmarino; e in quello basso, a destra: due gaglioffi si apprestano con spade sguainate a sventrare un malcapitato. Il tutto eseguito con grande maestria e l’utilizzo di colori stupendi. «Madre de Dios… che religione macabra…» dice Isabel. «Cinis et nihil…» sospira Mosul. Isabel continua: «Gli aztechi e i cristiani avevano capito tutto, caro Erminio,
tutto è sangue, tutto si cannibalizza. Nell’universo, c’è il cannibalismo cosmico. Tutto divora tutto nel gran gioco d’energie e l’individuale – in quest’immenso, ludico prodigarsi dell’Essere non conta nulla. Mi domando: salvare un cane abbandonato ha un senso? Io me lo chiedo continuamente… ma lei, Mosul, esattamente cosa pensa? L’ho visto amorevolmente raccogliere una lumachina… perché l’ha fatto? Che cosa pensa?». Mosul risponde: «Io dico che in quest’universo, ove l’Essere si esprime attraverso cicli immensi di nascita ed efferata distruzione e dove l’individuale è schiacciato, annichilito; in quest’immane estensione ove il singolo ha un peso simile al nulla; in questo grandioso gioco d’energie, in un infinitesimo punto dello spazio – tempo, qualcosa evolve dal gioco sguinzagliato delle forze e si costituisce evolvendo in ciò che noi chiamiamo: coscienza. E questa coscienza, disperata, ferita, solitaria si sviluppa lentamente, paurosamente, disperatamente, e si perde nelle mille visioni del mondo. Questa coscienza desolata e infelice che sorge, è persa davanti all’infinità. E allora cerca, inventa, crea sistemi perché non sopporta il silenzio dell’Essere – che se ne strafotte di lei – e vaga, ovviamente, in un profondo errare inventandosi soluzioni per non dover affrontare il mormorare del pensiero che ripete: sei effimera, caduca, insignificante e vivi lo spazio di un attimo, sei una fiammella accesa in una notte nera di tempesta. Ebbene, Isabel, la comione non conta nulla non ha un peso, è un puro epifenomeno, è come una sovrastruttura inessenziale nella logica dell’Essere, è come un affresco scolorito in un angolo alto di un’immensa cattedrale gotica. Eppure, questa coscienza infelice, si esprime, nel suo modo più alto, più sublime, nella comione verso ciò che esiste. E oserei dire raggiunge il suo apice nel periodo del Buddha Gotama e di Mahavira, il fondatore del Jainismo, verso il 600 a.c. Sfortunatamente questo epifenomeno coscenziale trascina con sé le scorie del suo tempo, i refusi mitologici della sua epoca, e forse l’unica maniera per renderlo significante in questo secolo é ripulirlo dal suo aspetto salvifico, metafisico, mitologico, resurrezionale, reincarnazionale…». «In definitiva, cosa dovrebbe fare una stupida prostituta messicana?». «Deve fare il bene con tutta se stessa sapendo che, nella dialettica dell’Essere, non conta un piffero farlo. Deve fare il bene senza chiedere nulla e senza sognare deleteri paradisi, deve fare il bene sapendo, fino in fondo, della propria tremenda caducità. E mai, mai, aspettarsi nulla. Deve fare il bene verso tutto ciò che esiste, con il cuore ferito, sapendo che il male prevarrà nella sua profonda ingiustizia».
«E cos’è il male?». «L’innocenza del reale. Il gioco dell’energia sguinzagliata dell’Essere, che ignora i morti di fame etiopici, i piccoli scheletri del Ruanda, ignora Auschwitz e i grandi macelli animali, perché è oltre le nostre limitate categorie del bene e del male. Le ignora totalmente. Il male è un termine assurdo, in un senso, ma per la coscienza ferita l’Essere, che gioca ignorando lo strazio, è il padre del male». «Ma Quimper che dice al riguardo?». «Quimper dice che il fondo delle cose è suo Padre, il quale ha voluto la torturata coscienza. L’ha voluta «ex nihilo». È la conseguenza delle religioni del Libro. Cosa dicono i fanatici musulmani che m’inseguono e mi vogliono uccidere? Dicono che c’è il Libro. Il Libro parla: il Corano dice. Ipse Dixit. Chiuso. Il Corano dice che devi uccidere i nemici di Allah. E allora bisogna accoppare Mosul l’ateo. Il termine usato è «Keital» da «Katel«che vuol dire uccidere. Se Allah dice di uccidere, si uccide. L’Islam è profondamente cambiato? Si… però una sparuta minoranza di sanguinari assassini ripete che il Profeta ha detto che devi «aggiustare con la mano» e se non puoi «aggiustare con la mano» – cioè uccidere – devi provare con le parole. Ecco cosa combinano i testi sacri. E cosa credono gli americani? Credono nel «Rapture»… e perché? Perché lo dice Paolo di Tarso… ah i libri sacri nelle mani dei folli!». «Già» interviene Erminio «Con i «kafer», gli infedeli, non c’è pace…». «Sa una cosa interessante Erminio? Mio zio mi ha raccontato degli «Esidi» o «Hazadi» che vivono ancora in Kurdistan. Il loro centro è a Lalesh. Anche Saddam li lasciò in pace, parlano una lingua loro chiamata «sorani» e saranno circa 250.000, sparsi in Georgia, Armenia, Turchia e Kurdistan . Non hanno un libro sacro perché le loro sacre scritture gli «Jelwa» e i «Masshafi Rash» sono state distrutte, hanno una tradizione orale, e sono sopravissuti a tutte le persecuzioni con il loro credo che è antichissimo e mesopotamico…». «Ma in cosa credono?». «In che credono? Credono in un Dio che è male e bene allo stesso tempo ed è intrinsecamente e profondamente inconoscibile. Credono che l’angelo che rifiutò di inchinarsi davanti all’uomo quando fu creato, sia l’unico essere iperfisico che meriti la loro adorazione».
«E chi è quest’angelo?» «Il ribelle Azazil…». «Che strano… ma sono satanisti?» Chiede Isabel. «Forse, secondo i nostri deleteri concetti… ma credere che Dio sia bene e male allo stesso tempo significa forse essere satanisti?». «Lo sa, Mosul, cosa mi ha colpito?» insiste Isabel «La sciamana che fa mormorare l’orso. Io ho grande rispetto per gli sciamani perché hanno un’affinità, una contiguità profonda con la natura e con gli animali; se cacciano uccidono l’assoluto necessario, e gli alberi… i grandi alberi, come li rispettano. Loro affermano che una foresta senza animali diventa un luogo senza anima! Ecco che abbiamo fatto al mondo con la nostra visione «cristiano – antropocentrica» e «logico – scientifica» delle cose, abbiamo desacralizzato tutto, abbiamo reso le foreste «aza buk» come dicono gli sciamani… le abbiamo uccise, rese morte, vuote. Abbiamo dannato la natura in maniera irrecuperabile». «Isabel, mio padre Bortolo aveva pensato a una soluzione con i suoi amici leninisti. Diceva che gli uomini dovevano ritirarsi in luoghi chiusi e lasciare gli animali a se stessi. Diceva che bisognava far estinguere i cani e i gatti, fare esaurire le specie per morte naturale, oppure farli tornare allo stato selvaggio, alla loro condizione post – edenica naturale e che bisognava far svanire treni ed aerei dalla faccia della terra. Insomma voleva far ritornare il mondo ad una condizione idilliaca, semi – polpottiana, limitando ma non escludendo la violenza cambogiana. Per fare questo – diceva – era necessaria una forma di coercizione, con la democrazia non si poteva fare niente. Ma quello che mi colpiva nella sua visione neo–veganiana-leninista era il ritorno degli animali allo stato brado…». «Che comportava, ovviamente, la scomparsa di vacche, pecore, agnelli, maiali…». «Perché allo stato brado gli esseri più inermi non sarebbero sopravissuti? Sarebbero stati spazzati via… divorati?». «No… mio padre diceva che sarebbero spariti per un’altra ragione, spiegava che col veganismo generalizzato gli animali da reddito non sarebbero stati più allevati, non sarebbero stati abbandonati nel bosco, semplicemente non
sarebbero più fatti nascere. Affermava, quindi, che pur perdurando lo strazio nella natura, sarebbe diminuito enormemente lo scempio prodotto dall’uomo». «Tuttavia questi animali sarebbero spariti dalla faccia della terra?». «Secondo mio padre si… armoniosamente». «Mio padre affermò durante il processo che gli animali prodotti dalla domesticazione umana non sarebbero stati spazzati via, ma semplicemente si sarebbero estinti, esauriti nell’ambiente umano. Le specie selvatiche sarebbero rimaste…». «Una gentile eutanasia» interviene Isabel e chiede «e lei, Gracco e Bonzo, li abbandonerebbe nella foresta?» «Lo sa che mi ha dato una grande idea? Ieri, mi ha raccontato mia moglie Charlotte, ormai mentalmente devastata dalle incontrollabili belve, che il mostro Bonzo ha quasi divorato un minuscolo chihuahua che aveva osato abbaiare… se lo è quasi ingoiato… glielo hanno dovuto tirar fuori dalle fauci… si, la foresta! una grande idea… dovrebbe misurarsi con i leopardi». «Ma lei morirebbe senza i suoi cagnacci…». «Lei crede? ons… lasciamo andare: riprendiamo il filo perso del discorso: il grande dolore è sapere che anche quando il veganismo trionferà anche il perenne cannibalizzarsi degli esseri sussisterà – se non crescerà a dismisura. Se lei dice ad una delle grandi anime che difendono gli animali che un mondo come lo concepiscono loro crea solo le condizioni ideali affinché lo strazio si moltiplichi – in quanto più si moltiplicano gli animali, più cresce lo strazio-, loro rispondono come un amico di mio padre Bortolo – un certo Deodori – che urlava: quello non è più affar mio…» «Che bella risposta…». «E lo sa che aveva pensato il Deodori? Aveva teorizzato l’autoestinzione della razza umana…». «E come faceva a trovare il consenso necessario con proposte del genere?». «Non lo trovava… gli animalisti del tempo vivevano, anzi sussistevano, diciamo
così, nei loro ghetti, sempre incazzati e frustrati; erano uno stuolo di santi con una visione strategica per la difesa degli animali che aveva lo spessore di un buco di culo… ma poi le cose cambiarono». «Vede…» spiega Mosul «nell’universo cannibalizzante ove tutto divora tutto, come un immenso «Ouroboros» (il serpente che si mangia la coda), la coscienza infelice deve eseguire scelte drastiche. Un esempio? L’epidemia di San Francisco agli inizi del novecento, l’intero quartiere cinese viene serrato e controllato da uomini armati: il «bacillus pestis» ha fatto capolino e sta falciando un buon numero di umanoidi inclusi molti «mandolinari» italiani. L’arrivo della peste bubbonica porta allo sterminio polpottiano – himmleriano di due milioni di ratti innocenti. Ecco. Uno si chiede: ma che colpa hanno i ratti di essere ratti e di avere tra i loro ispidi peli le pulci che danno la morte? Nessuna. Conseguenza? La specie illuminata ed egemone decide lo sterminio buchenwaldiano di due milioni di topi. Due milioni di povere bestie innocenti crepano, tra orrendi dolori, avvelenate. Ma che altro si poteva fare? E la coscienza buddica, che si forma in questa valle di lacrime, si ritrova disarmata e nuda davanti allo sfacelo che non riesce a controllare. La coscienza buddica, se riflette accuratamente sulla condizione del mondo, ha solo una scelta: quella di Stirner: il suicidio». «Mentre vacilliamo riflettendo se infilarci una palla in testa o sussistere nel modo delle apparenze, posso elargirle un gioiello mediatico… posso?» Chiede Isabel ad Erminio. «Sono tutto orecchi…». «Leggo sul mio telefono spaziale che alla Canottieri Lazio di Roma hanno eretto una statua a Cesare Previti, il martire delle «toghe rosse»…». «Sta scherzando? Ma è morto nel 2009 e i fascisti gli hanno fatto un monumento adesso?». «Pare… per i contributi dati per la lotta contro la giustizia politicizzata». «Ma che popolo di sventurati siamo! Siamo una razza che dovrebbe svanire dalla faccia della terra, voi giovani non ricordate niente di tutto questo, però io certe cifre le preservo marchiate a fuoco nella mia anima». «Quali cifre?».
«Correva il 2003, ed io vivevo in Inghilterra, quando lessi del tentativo di Berlusconi e di Previti di sovvertire la giustizia. Quello che mi colpì non era l’arroganza dei potenti – che ovviamente cercavano di salvarsi la pelle – ma il silenzio ottuso del popolo. Per me quei tentativi di sovvertire la giustizia per egemonizzarla e controllarla politicamente, giustificavano un’insurrezione armata. E invece cosa diceva il popolo caprone? Alla domanda: siete d’accordo con Previti e Berlusconi? il popolaccio miserabile rispondeva elargendo un incredibile 25 % di consensi alle tesi criminali dei politici. Il 25% capite? In ducati sonanti: 14 milioni d’Italiani davano ragione al tentativo criminale di sovvertire la giustizia e altri nove milioni rispondevano di non sapere… mi seguite? dicevano che non sapevano… e mica è finito: quando i reprobi tentarono di imporre l’immunità per le alte cariche dello Stato, stravolgendo la legge, sapete come si dichiarò il popolo sovrano? ma il 20% favorevole all’immunità… quasi 12 milioni di italiani erano con Berlusconi e Previti, mentre il 17% non sapeva, non capiva, era foresto, non c’era… 10 milioni d’italiani non avevano visto nulla e non si erano accorti di niente… erano andati a comprare le sigarette durante i fatti… eh tutti ladri… tutti ladri dicevano… mica solo lui… ma forse credete che sia finito? Eh no… quando loschi parlamentari decisero di proporre un’immunità retroattiva per salvare anche Previti il popolo sovrano al 17% rispose si… e al 15% era assente… non c’era, era uscito… tornava più tardi… non sapeva…». «Però una maggioranza condannava…» «E ci mancherebbe… il 59%… ma era una cifra comica, irrisoria, considerando che in un paese civile l’opposizione al tentativo d’imbrigliare la giustizia dovrebbe raggiungere il 99% dei consensi… quindi, immagini cosa provo quando mi dà una notizia del genere… parliamo d’altro!». «Una cosa Erminio…» interviene Mosul «mi ha molto colpito…». «La pittura catalana?». «No… l’immagine della Veronica metafisica che si sporge dal portico della Sagrada Familia con il Santo Velo. Quello che mi ha colpito è il volto dechirichiano della rappresentazione. Come l’immagine di Ettore e Andromaca di De Chirico, ricorda? Quel vuoto espresso da manichini che puntano verso qualcosa che è oltre. E vuol sapere una cosa Erminio? Quell’immagine, mentre lei stava parlando con Isabel, si è mossa è ha sventolato il Velo di pietra…».
«Sta scherzando?». «Per nulla…». «Ma e successo di nuovo?». «Si… ma cambiamo argomento: sa cosa faceva impazzire mio zio?». «Ma come? cambiamo argomento? sono atterrito… va bene mi dica di suo zio… saltiamo come grilli da un argomento all’altro!». «Mio zio non riusciva a capacitarsi perché i bizantini (che avevano a Costantinopoli le statue greche e romane dell’era classica) avessero progressivamente abbandonato la rappresentazione delle cose «così come le vediamo noi», realistiche, ossia non stilizzate. E si chiedeva perché avessero ad un certo punto stilizzato e reso, in un senso, egizia la loro arte? Ma come, si chiedeva mio zio, se hai una statua classica davanti agli occhi, perché scolpisci tetrarchi con il culo basso? Come puoi ritornare a scolpire come gli egizi dopo Prassitele? E ancora: perché nella colonna di Traiano le figure degli uomini sono classiche e nell’arco di Costantino rozze e grezze?». Durante la notte Erminio è visitato, come Sant’Antonio nel deserto, da una fulgida visione di tentatrice. Isabel si apre la camicetta verde – smeraldo mostrando i seni luminosi. «Benedetta la luce che la fascia, Isabel…» mormora Erminio tremebondo di desiderio. «Si rilassi caro… e non mi muoia tra le braccia» é il perentorio invito mentre gli accarezza il pene eretto con una mano.
La Principessa Serafina
Mi ero bevuto un buon caffè e avevo dato a Boemondo le solite tre scatolette di Gourmet Platino. La belva si era rimpinzata per poi correre da Marlene, ignorandomi come al solito. Il giorno prima mi aveva addentato un braccio facendomi sanguinare. Lo avevo perdonato. Ma quello che mi faceva rabbrividire era il dono mattutino del topo a Marlene. Ogni fottuto giorno trovavo un topolino morto in cucina, una cosa che mi faceva star male, perché quelle creaturine indifese soccombevano ad un’orrida morte: erano come bambini uccisi da dinosauri. La gente dice: è la natura. Ma la gente è stupida e disattenta. Se il topolino fosse grande come un cane allora la reazione sarebbe differente, ma poiché è un essere minuscolo, non frega niente a nessuno. Ogni volta che li trovavo esigui, rattrappiti, raccolti nella propria morte, mi sentivo male e li seppellivo. E mi dicevo: e se uno accope questa belva col nome normanno salvando decine di topi, sbaglierebbe? Chissà cosa avrebbe detto, mio nonno Bortolo, se qualcuno glielo avesse chiesto. L’intelligenza artificiale stava sviluppandosi a velocità inaudita. Un’evoluzione incontenibile. Dopo una selvaggia notte d’amore, Marlene mi aveva spiegato che non voleva più chiamare il gatto con il nome di Boemondo ma cambiarlo con quello di Koko. «E perché vuoi chiamarlo Koko cara?». «Così…». «Allora chiamiamolo Koko – Boemondo…» «Va bene… Koko – Boemondo…». Improvvisamente il mio Samsung aveva cominciato a vibrare e il computer telefonico si era illuminato. Ero corso nell’altra stanza trafelato per evitare che Marlene fosse vista nel letto: il volto belloccio di Tiziana mi era apparso sullo schermo. Era sorridente e rappacificata. Quando hanno da darti una brutta notizia le amanti gongolano. Diventano luminose e serene.
«Che fai stupidone?». «Sto leggendo il diario di mio padre…». «E quella fottuta bambola di merda dov’è?». «Ma quale bambola di merda? Continui… dovresti vergognarti a pensare una cosa del genere… e che sono un depravato?». Sempre cazzeggiare con le donne è la regola d’oro. «Sapessi che ho saputo…». «Che hai saputo?». «Ieri in un ristorante di Modena, a Via San Giovanni Bosco, ho incontrato il tuo diletto figliolo… anzi la tua diletta figlia…». «Uhhhhh… ma vuoi rovinarmi la giornata…». «Te lo devo dire o no quello che mi ha detto?». «E dai… se devi infierire fallo…». E così ho ascoltato l’ultima orrida storia di depravazione e sodomia di Theresita Suck e del suo diabolico nano. La storia è questa: il misero Zaccheo, cioè Gunther Werner Bucalosso, durante il suo soggiorno ad Ilfracombe, che lui definiva il «buco del culo del mondo» aveva conosciuto un debosciato inglese, un certo Guy Ritcher, che si faceva chiamare Eleonora Velasquez. Tra i vari sodomiti che Theresita Suck frequentava e frequenta con assiduità, Ritcher era ed è sicuramente il più colto. In breve: il transessuale britannico aveva consigliato a Theresita e a Gunther di creare un bordello inglese settecentesco in quel di Lussuria. E così era stato: i tre sodomiti avevano ricostruito in un appartamento di Lussuria una «Molly House», con gran capacità riproduttive, seguendo i consigli di esperti del periodo georgiano. Cos’è una «Molly House»?
Quando Londra, nel 1700, era la capitale della depravazione mondiale – e potevi fotterti qualsiasi bellezza per un paio di scudi – una donna del ceto operaio, e di luciferina intelligenza, invece di organizzare il solito bordello con donne disperate e abbandonate, aveva creato un luogo di ritrovo per travestiti ove i gay di quel tempo s’incontravano. Una specie di gay bar – cum – bordello. E mentre nelle varie stanze, chiuse da tende, i travestiti si sodomizzavano e si succhiavano a più non posso, la cinquantenne cortigiana si aggirava nel postribolo con bicchieri ricolmi di vino, di birra, di porto e faceva soldi a palate. L’intraprendente signora si chiamava Mother Clapp, che nella lingua di Petrarca si traduce Madre Gonorrea. In quel luogo d’abominio succedeva di tutto, e se qualcuno crede che i femminielli napoletani del «Kaput» di Malaparte abbiano inventato la nascita di «baby» lignei fuoriuscenti dall’ano maschile si sbaglia perché le finte nascite avvenivano già sotto gli auspici di Mother Clapp nel tepore del suo tempio sodomita. I travestiti, infatti, dopo doglie dolorosissime, davano alla luce il frutto proibito del loro amore in un tripudio di gioia incontenibile. Certo, nel 2047, la cosa fa ridere. Oggi per trovare un eterosessuale ci vuole la lanterna di Diogene; ma organizzare depravazioni di quel tipo, durante il 1700, era cosa molto rischiosa. In quel tempo gli aristocratici facevano quello che volevano – e la regina Anna era una notoria lesbica – ma per la classe operaia e piccolo borghese era molto rischioso organizzare bordelli omosessuali. Nella «Molly House» di Mother Clapp avveniva di tutto: se entravi con un deretano integro rischiavi di uscire con una Porta Pia anale. Logicamente la maggioranza silenziosa reagiva – e in quel particolare caso, brutalmente reagì facendo finire Mother Clapp e un paio di gay molto male. Richard Littlejohn, per esempio, inveiva contro la sodomia dilagante suggerendo l’amputazione dei testicoli e la penetrazione dell’ano con un ferro rovente. Zaccheo, dopo aver ascoltato la dotta narrazione del Ritcher, era riuscito a ricostruire, in una casa di Lussuria, acquistando costumi e mobilia georgiani, un ambiente ove si poteva entrare solo se vestiti con abiti d’epoca settecenteschi. Ed era stato un immane successo: Eleonora Velasquez si era trasformata in Mother Clapp e con il suo splendido accento alla Stanlio e Olio, e la sua conoscenza di varie lingue, incluso l’arabo, era diventata un’attrazione internazionale. Theresita Suck impressionata dalla storia, che si era fatta raccontare almeno dieci volte, aveva deciso di farsi chiamare «la Principessa Serafina» prendendo il nome di una delle gloriose culatelle frequentatrici della «Molly House» di Mother Clapp.
In più, aveva cominciato a leggere con grande attenzione la storia di Lord Hervey, un Casanova capovolto, che era diventato famoso per la sua ninfomania e la ione per un servo inglese. L’aristocratico depravato con aspirazioni politiche, era agli occhi di Guy Ritcher e Theresita una specie di Messia sodomita con attributi bisessuali, una specie di divinità indù esportata nel mondo georgiano. Zaccheo aveva sfruttato al massimo l’idea della «Molly House» sodomizzando stuoli di culatelle e provocando la gelosia frenetica della Principessa Serafina – la chiameremo così d’ora in poi – che stava creando nel suo grembo, con apposite immissioni d’ovaie, le condizioni adatte per dare alla luce un piccolo Zaccheo, un nano che avrebbe avuto probabilmente caratteristiche simili al piccolo «alien» del film di Ridley Scott, che erompe dallo stomaco di un astronauta. Ma Gunther, del concepimento di Giacomino, se ne fregava e se la sava dietro le tende con varie culatelle, mentre Velasquez –Ritcher ignobilmente lo copriva. Il pene stratosferico di Zaccheo era diventato leggendario tra i gay, e lui liberamente l’esercitava nei vari deretani mentre la principessa Serafina ascoltava rapita le storie del suo eroe depravato: Lord Hervey. Ci ho riflettuto: noi siamo una famiglia – che ha dato al mondo prima un eroe animalista e poi il cantore dell’anticristo – caduta nel disonore a causa di un rampollo abominevole, espressione di tempi apocalittici. E i media ci sguazzano: Happy Hours ha pagato una notevole somma per ritrarre l’arnese bitorzoluto del minuscolo nazista che si é fatto anche tatuare il simbolo delle Waffen-SS su un braccio. Serafina- Giacomino, il rampollo decadente, era cresciuto coccolato da mia madre, Assunta Cacchielli in Polpotta e dal suo nuovo consorte, il professor Facchetti Inursia, siculo trapiantato a Modena e anche lui esperto del romanico parmense e del medio Po, oltre che dei pellegrinaggi medioevali. Il Professore, che aveva preso il posto di mio padre Erminio nel letto coniugale «romanico», era molto ammirato negli ambienti cattolici lefevriani e aveva scritto, nel 2021, un romanzo di 800 pagine su un pellegrinaggio a San Giacomo di Compostela. Una storia, ambientata intorno agli anni 1990 –1995, riguardante un «diessino» che ritrova la fede durante un viaggio a piedi che inizia da Le Puy e si snoda attraverso Ostabat, Logrono, Borgos, Lèon, Astorga, Villafranca, Lugo terminando a San Giacomo di Compostela.
Un romanzo che mio padre definiva un’oscenità sbadigliante stracolma di luoghi comuni. Il professore, un grande ammiratore di Napolitano, negli anni 2000, aveva deciso di diventare «liberal». Erminio Polpotta che detestava i «liberal diessini» e li definiva con dispregio «democristiani dipinti di rosa pallido», disprezzava Facchetti per i suoi continui tentativi di riabilitare Craxi e il vecchio PSI. Mia nonna, Concetta Bisunti detta «Edera», era invece un’ammiratrice del professore perché detestava l’estremismo neo – leninista e un po’ folle di mio nonno, e spiegava che il Facchetti Inursia era un uomo lungimirante, e che sua nuora aveva fatto un’ottima scelta. Chi avrebbe potuto vivere, dopotutto, – si chiedeva – con uno sciagurato come mio padre che aveva lasciato tutto per amore di una troia inglese. Si, Assuntina Cacchielli aveva scelto bene e si era coniugata nel mondo muscoso dell’adorato Wiligelmo e del romanico medio padano, approvando la deriva ideologica dei «diessini» – che si era concretizzata nell’attuale Partito Democratico all’americana – e condividendo il peana al capitalismo declinante e alla melliflua esaltazione del libero mercato. Immaginarsi mia madre e Facchetti copulanti era roba da «Shining» di Kubrick, ma così siamo tutti. Io sono convinto che la nostra specie è sgraziata ed oscena: è sufficiente fare un viaggio organizzato con una comitiva d’inglesi verso la Costa Brava per perdere qualsiasi speranza nell’umanità. Se poi, per caso decidi di partire con un gruppo organizzato di turisti italiani – pieni di gioia di vivere – verso i Caraibi, allora ti rendi conto che non resta altra scelta che il suicidio. Il turismo è il sintomo preciso del declino della specie. Qualsiasi nazione propina la sua intima mostruosità attraverso i gruppi organizzati e la gente, nella quasi totalità dei casi, è brutta da far schifo. Se uno osserva Koko cagare, si nota sempre una certa eleganza, ma noi diventando vecchi e avviandoci verso la decomposizione assumiamo sembianze oscene: un umano seduto sul cagatore fa schifo, un cane che caga, no. Gli animali preservano sempre una certa dignità, noi no. Noi precipitiamo nel grottesco e quando moriamo il nostro cadavere olezza più di qualsiasi altro essere vivente e appesta il mondo. Siamo una specie, grottesca e tragicomica, che si è infilata nel cranio la malsana e ridicola idea che l’insieme dei nostri aggregati – che formano la coscienza – costituisce un’anima immortale. E questa è un’idea che ha sempre destato in me una profonda meraviglia: basta guardarsi allo specchio per comprendere – in maniera inconfutabile- che siamo esseri caduchi e, fortunatamente, effimeri e che tutte le
nostre misere cogitazioni su un prolungamento del nostro osceno ego verso un’improbabile eternità sono fandonie di dementi. Dopo aver assorbito tutto il veleno propinatomi da Tiziana ho aperto il Softbook Reader e ho cominciato a leggere l’ilare intervista del 15 maggio 2044 di Quimper. Mi sono divertito a tal punto, che ho cercato il vecchio Blue – Ray con la registrazione dell’intervista e me la sono riguardata. Che cosa accade il 15 maggio del 2044? Accade questo: Betsy Howell supplica Quimper di concedere un’intervista a Lucienne Marcuzzi, della CSHB, una velenosa rivale dell’Acontour e sua intima amica. La CSHB ha promesso all’attrice, in cambio di un’intervista di un’ora e mezzo con Quimper, un ruolo da protagonista in un nuovo film: se Gesù accetta di essere intervistato dalla Marcuzzi, Betsy potrà interpretare il personaggio che ha sempre desiderato rappresentare quello di Maria di Magdala. Gesù è irritato perché detesta le multinazionali digitali e perché non vuole che la Howell si prodighi in un ruolo inappropriato: «Sei una pessima attrice cara… vai bene in sontuose, luccicanti pellicole pornografiche, ma un film su Gesù di Nazareth lo lascerei a qualche altra troia più professionalmente preparata. Tu faresti ridere…». Le affermazioni di Quimper producono una terribile crisi di nervi: il maggiordomo della Sierra Leone, Nelson John De la Trouvier deve intervenire per placare l’attacco isterico dell’attrice con un’iniezione cutanea con il sistema MOSS. Dopo aver ammansito Betsy e averla deposta sul tappeto come una Maddalena crollata sotto la croce, Nelson John suggerisce una soluzione drastica nell’orecchio della cameriera guatemalteca Maria Dolores (della quale abusa sessualmente in maniera smodata) sibilando: «The whore should have been smothered at birth!» Che tradotto nella lingua aulica di Guicciardini suona come: «Dovevano soffocare la troia nella culla». Il rifiuto di Quimper provoca un farsesco tentativo di suicidio da parte dell’attrice. Informato da Juanita d’Escobar dell’accadimento, Gesù risponde: «Lascia che i morti seppelliscano i morti» ricevendo come risposta un accorato mormorio che
suona come: «Hijo de puta!» Dopo tre giorni la Betsy si è ripresa: il tentato suicidio è divenuto un grande scoop pubblicitario. Baton Rouge è investito dalla solita onda anomala mediatica che fa imbestialire Gesù. E il Messia ripaga l’attrice concedendo l’intervista alla peggiore giornalista degli Stati Uniti, Abigail Master, una mite nera cinquantenne appesantita dalle sconfitte e dalla vita che lavora per una rete cable: la Martin King Associated, che ha il livello più basso d’ascolti nell’emisfero americano. I neri che gestiscono la rete rivenderanno l’intervista a prezzi stratosferici. Alla domanda della signora Abigail: «Perché ha scelto la nostra rete per l’intervista?». Gesù risponde: «Perché voi siete gli ultimi della terra e io vi preferisco ai primi». L’intervista è seguita da oltre un miliardo di persone ma quello che viene fuori dalle risposte del «Redentore» demolisce le aspettative di Bellestrini, provoca un infarto a una suora del convento delle Illuminate Scalze di Santa Parasceve di Aoiz, e un malore al santo di Cerniola, padre Gaetanino Biscassi. Comincia tutto con la domanda: «Ma lei Quimper esattamente cosa predica?». «Nulla… io non predico nulla…». «Ma cosa suggerisce alla gente che desidera unirsi a suo Padre?». «Prima di tutto di non cercare maestri… perché tanto nessuno sa niente… neanche io…». «E allora?». «Allora che?». «Cosa dobbiamo fare noi che cerchiamo la luce divina?». «Non so…».
«E le raccomandazioni della Chiesa?». «Quelle le getterei al macero…». «Ma lei parla come Mosul…». «Non so quello che dice Mosul… e chi lo ha mai visto? E poi non me ne frega molto di quello che dice…». «E le ingiustizie sulla terra?». «E vuole che le risolvo io? È troppo tardi…» «Perché troppo tardi?». «Perché il mondo sta esaurendosi…». «Ci avviciniamo agli ultimi giorni?». «Forse… ma non a quelli che immaginate voi…». «E a quali?». «A soluzioni differenti…». «Perché non cura più i malati?». «Perché il mio potere è limitato e temporaneo…». «Cosa intende?». «Vedrà…». «Ma cosa vuole dire ai miliardi di persone che attendono un suo messaggio?». «Che non ho nessun messaggio… potrei dire: fate il bene dal profondo del vostro cuore, ma nessuno ascolterebbe… gli umani sanno già tutte le risposte… tutte… però, poi, non seguono il loro cuore». «E riguardo al problema che Mosul solleva continuamente che gli altri esseri senzienti vanno rispettati come gli umani… cosa dice al riguardo?».
«Che l’uomo è particolare… ed è il solo ad avere un’anima immortale… gli animali vivono e muoiono e basta!». «E che succede a quest’anima immortale quando il corpo muore?». «Si fonde in Dio; o svanisce nel nulla… l’inferno non è altro che il dissolversi nel nulla… come accade agli animali…». «Ma c’è un grande movimento che afferma che il Nazareno era vegetariano e che gli evangelisti non riportarono il suo amore per gli animali perché non era conveniente in quel momento storico…». «Bullshit!». «I cristiani animalisti affermano che era impossibile essere comionevole e ignorare la sofferenza animale…». «Bullshit!». «Perché stupidaggini? Lei come può saperlo?». «Gli animali non erano importanti per il Nazareno e per i suoi tempi…» «Quindi una creazione «ex nihilo» che attraverso una lunga evoluzione configura, in una sola specie, l’anima immortale… è questo che dice?». «Esattamente… e lei mi chiederà il perché? E come faccio a saperlo… noi siamo nello spazio – tempo… abbiamo occhiali da vista limitatissimi…». «Mosul afferma, invece, che non c’è un’anima immortale e che tutto ciò che esiste perisce, e per questa ragione la coscienza che evolve deve sempre volere il bene. Ma in cambio di nulla…». «Sbaglia… Mosul sostiene tesi assurde considerando i miracoli… questi miracoli mica sono avvenuti senza ragione…». «Lui dice che avvengono ma che le ragioni per cui accadono sono sconosciute… e che ciò che li provoca non è il Padre di Quimper ma un principio imperscrutabile ed inconoscibile che funziona secondo una dinamica a noi totalmente sconosciuta…».
«Quel principio è mio Padre… che vuole il bene dell’uomo… solo dell’uomo…». «E quello che afferma la nuova Chiesa?». «Quale? Ce ne sono cinquanta…». «Quella pacelliana – lefevriana…». «Quella è una dottrina fuorviante… il Verbo è semplice… ama il prossimo tuo come te stesso… e fai quello che vuoi…». «Anche sessualmente?». «E perché no? E che male fa saltare a letto con una bella donna? O nel suo caso, signora, con un bell’uomo? Il comandamento è onnicomprensivo e totalizzante: se tu ami gli altri come te stesso hai risolto tutto… di che altro hai bisogno?».
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Pietro Canisio, nella luce ovattata della stanza, apre il cofanetto e mostra ai tre religiosi il Velo di Marta. «Cos’è Pietro?» Chiede Gentien Hervert «È il Velo di Marta… Ghisleri non storcere la bocca se non sai di cosa parlo…». «Canisio, se li cuci tutti insieme questi benedetti veli ci fai un paio di brache per Polifemo». «Ma sii paziente, ascolta quello che ti devo dire…». «Canisio, proprio ieri abbiamo arrestato e consegnato al braccio secolare due sgualdrine che stavano cercando di venderci un simile velo…».
«Lascialo parlare.». interviene Georges Drašcovič «Pietro, ma che c’entra Juan de Avila col velo?». «Ve lo spiego: Juan de Avila, il mistico che ha scritto questo stupendo tomo «Della guida overo scorta dè peccatori», mesi fa mi ha inviato una lettera nella quale mi riferiva nei particolari la visione avuta da un suo confratello, Francisco de Granata dopo aver toccato questo velo , e mi ha implorato di prenderla molto seriamente». «E cos’è che ha visto questo benedetto frate spagnolo?» Chiede Facin. «Ha visto una scena che si svolgeva su una grande spiaggia. Ha visto un’aquila nera trasformarsi in un uomo nero, che, stringendo un velo tra le mani, combatteva con un’aquila bianca, che, tramutatasi in un uomo biondo, cercava di strapparglielo. E poi il cielo si è aperto ed ha sentito dalla volta celeste le parole: Omnia furor mentis». «E allora?» Chiede Ghisleri. «Allora? Ma non capite? Questa visione scaturiva dal velo che state vedendo. Juan de Avila, che aveva sentito la storia, era rimasto sbalordito, ed è ora fermamente convinto che la reliquia nel cofanetto è il Velo autentico – cioè quello di Marta non quello della Veronica, che è un falso». «Ma come hai avuto questo velo?» Chiede Drašcovič a Canisio. «Me lo ha dato Tommaso Campeggio che voi tutti conoscete…». «Certo…» interviene Facin «anche Nikolaus Audeth sapeva del velo. Gliene aveva parlato il Cardinal Farnese che poi, mi risulta, lo consegnò a Tommaso Campeggio che lo mostrò a suo fratello il Cardinal Lorenzo, il quale gli consigliò di regalarlo ad un convento di Feltre, quello dei Santi Vittore e Corona. Voi tutti sapete che ruolo importante aveva assunto Campeggio nell’organizzazione della Chiesa? Era il Reggente della Cancelleria Apostolica». «E Campeggio credeva che questo fosse il vero Velo?» Chiede Ghisleri sorridendo beffardo. «No… ma dopo averlo consegnato alle suore di Feltre, le pie donne cominciarono ad avere visioni, e lui, ovviamente, cambiò idea…».
«E che vedevano queste brave suore?» Domanda Gentien Hervert. «Una grande spiaggia desolata e un uomo che, mentre camminava sulla riva, si trasformava in un’aquila… e poi un fiume di sangue che arrossava il mare…». «E dov’era questa benedetta spiaggia?». «Nessuno lo sa… forse nel Nord». «E allora che accadde, Pietro?» Chiede Hervert «Campeggio decise di parlare del Velo a Martin Perez de Ayala, il celebre teologo di Granada e Toledo. Quando Martin Perez tornò in Spagna, vide Juan de Avila, il mistico d’Almodovar del Campo, e gli raccontò la storia che gli era stata riportata da Campeggio. Il mistico spagnolo rimase sbalordito e disse che un suo confratello, Francisco de Granada, aveva avuto simili visioni». «E tu come lo hai avuto il Velo?» Chiede Georges Drašcovič a Canisio. «L’ho avuto quando le visioni delle monache di Feltre sono diventate esorbitanti, eccessive e si è pensato a qualcosa di demoniaco. Allora, il Velo fu prelevato dal convento e Tommaso Campeggio decise di consegnarmelo… ma voi dovete ascoltare l’intera storia di come questa santa reliquia è giunta sino a noi… ascoltate…». E Pietro Canisio narra la storia di Guy de Nuitville e del Velo di Marta ai presenti che sono attenti ma anche sospettosi perché intravedono lo zampino di Satana negli eventi che si svolgono dai tempi della Prima Crociata. Ad un certo punto Michele Ghisleri perde la pazienza. «Ma come, benedetto uomo, stiamo contrastando l’avanzata degli eretici, stiamo cercando d’imporre l’austerità a monaci depravati, di finirla con la vita scellerata e con i banchetti, con le amanti nascoste nelle case vicine alle chiese, stiamo provando a metter fine all’andazzo dei vescovi che girano il mondo e si dimenticano del proprio gregge, stiamo stringendo i ranghi basando la dottrina della Chiesa sulla «Summa Teologica» di Tommaso d’Aquino, stiamo provvedendo affinché da questo benedetto Concilio scaturisca un nuovo catechismo che tutti i sacerdoti conoscano e promulghino… e tu sant’uomo, tiri fuori questo straccetto da uno scrigno e ci racconti che è il Velo di Marta? Ma ti
pare il momento, Canisio? Pensa ai terribili problemi che stiamo affrontando. Pensa che dobbiamo contenere l’avanzata maomettana prima che i Turchi giungano a San Pietro e lo trasformino, come Santa Sofia, in una moschea. E poi bisogna avere il coraggio di sostenere la lotta dei cattolici nei Paesi Bassi e scomunicare la Gorgone, il mostro eretico che regna in Inghilterra. Eh si… se fossi io il papa, farei una bella bolla e stigmatizzerei Elisabetta. Ma avete ascoltato quello che vogliono imporci questi miserabili eretici? Avete letto «Il Libello di riforma» di Ferdinando? Stanno cercando di cancellare la supremazia del Papa, ma vi rendete conto? Abbiamo rischiato di concludere l’assemblea in una rissa e poi l’abbiamo miracolosamente salvata. Sapete di cosa abbiamo bisogno? Di una formulazione della fede assolutamente cristallina… e con tutta questa roba in pentola, tu, sant’uomo, ti presenti con un cofanetto contenente uno straccio con dei banali grumi di sangue e ci racconti che è il Velo di Marta? Suvvia! Ma ti sembra serio Pietro?». «E che c’entra il Concilio di Trento con il Velo di Marta? Io ho semplicemente raccontato fatti. Volete sapere una cosa? Quando sono arrivato a Trento, in questa casa, ho trovato il Cardinal Hosio quasi morente, e l’ho sfiorato con il velo. E sapete che cosa è successo? È successo che è miracolosamente guarito. Non dovevo riportare fatti del genere? E perché mai?». «Certo il momento non è dei migliori…» interviene sorridendo Georges Drašcovič, e poi cambiando discorso imbarazzato «però, una cosa l’hai dimenticata, Ghisleri: il nepotismo sfrenato dei papi…». «Una piaga terribile…» sottolinea Jean Etienne Facin «Pio IV ha concesso la porpora ad un bimbetto di 13 anni…». «E come regna questo papa, secondo voi?» Chiede Gentien Hervert. Risponde Pietro Canisio: «Angelo dè Medici, ha fatto gravi errori ma sta portando a termine il Concilio, una fatica erculea. Però vi dico, cari amici, che una grande tragedia per la Chiesa è stata la morte di Marcello II, lui sì che sarebbe stato un grande papa: un pontefice che elimina la sua intronizzazione e impedisce alla propria famiglia di mettere piede a San Pietro può diventare unico. Eravamo tutti pieni di speranze e poi, dopo appena 21 giorni di pontificato, il Signore se l’è preso con lui. Si, sono convinto: Marcello Cervini avrebbe cambiato molte cose. Ma perché, i migliori, il Signore se li prende subito? E perché lascia vivere e regnare un Borgia? Per metterci alla prova?».
«È un mistero imperscrutabile» spiega Gentien Hervert. «E poi c’è stato il napoletano con la sua insana fissazione contro gli spagnoli, prima Giulio dè Medici con il suo amore caricaturale, incestuoso per i si, poi Caraffa con il suo folle odio verso gli Spagnoli…» dice Georges Drašcovič «Una fissazione senile… aveva ottant’anni…» interviene Jean Etienne Facin. «Con la senilità, però, hanno quasi distrutto la Chiesa… renditi conto che trattava con i Turchi ed utilizzò anche i Lanzichenecchi protestanti…» precisa Michele Ghisleri. «E poi quelle persecuzioni eccessive: verso gli ebrei e verso i cardinali Morone e Pole…». «Si, in effetti, questo nuovo papa è più equilibrato ma é dal prossimo che ci aspettiamo grandi cose…». «E chi sarebbe il prossimo?» Chiede Gentien Hervert. «Io penso che sarà il nostro amico Ghisleri»spiega Facin «Carlo Borromeo sta insistendo molto per la sua futura nomina, e noi tutti conosciamo la forza e la santità dell’Arcivescovo di Milano.». «Santi numi…» si schernisce Michele Ghisleri «ci mancherebbe altro: è la prima volta che lo sento… non sono assolutamente degno… per favore non voglio neanche ascoltare!». Canisio, deluso, ripiega il Velo e lo pone delicatamente nel cofanetto. «Sarà per un’altra volta, Pietro» gli mormora Georges Drašcovič. «Già per un’altra volta» conclude Canisio. E Ghisleri diventa Papa: l’austero monaco, che ricorda vagamente Savonarola, sale sul trono pontificio il 7 gennaio del 1566. E non scherza Pio V – così si fa chiamare-: mette subito in pratica le riforme del Concilio, controlla la fedeltà di Massimiliano II alla dottrina della Chiesa e continua a consigliare Caterina dè Medici preoccupato dalla crescita e dal potere degli Ugonotti in Francia. Poi spara, contro Elisabetta d’Inghilterra, una bolla micidiale cum scomunica, la
«Regnans in excelsis», e appoggia il Duca d’Alba nella conquista dei Paesi Bassi e nella sottomissione dei protestanti sottoscrivendo anche l’orrore dei «Tribunali del sangue». Poi si scaglia contro gli insegnamenti eretici di Baius che insegna nell’università di Lovanio, sistema i monaci gaudenti, i vescovi itineranti, elimina il nepotismo e non concede nulla ai protestanti. Ma Michele Ghisleri sarà ricordato soprattutto per un evento: la battaglia di Lepanto, vinta, secondo lui, per la recitazione continua del rosario: sancta simplicitas. La Battaglia di Lepanto, che si svolge presso il «Capo Insanguinato» Punta Scropha, non la vince il santo rosario ma la vincono le potenze cristiane che combattono al fianco di Giovanni d’Asburgo. Una grande lega militare della quale fanno parte Filippo II, il Duca di Savoia e le repubbliche marinare di Venezia e Genova, con una flotta composta da 207 galee, 6 galeazze, 30 navi, armata con 1815 cannoni e con 824.420 uomini, mette fine all’avanzata ottomana sconfiggendo la flotta turca, comandata da Alì Pascià e formata da 208 galee e 66 fuste, dopo uno scontro pauroso di cinque ore. Alì Pascià ci rimane secco, 100 navi ottomane sono affondate, 20.000 Turchi uccisi e 12.000 schiavi cristiani liberati. Miguel de Cervantes che prende parte alla battaglia viene ferito alla mano. Michele Ghisleri sarà canonizzato da Clemente IX, il 4 Agosto del 1712. E il velo? Canisio, riconsegna il velo – sempre rigettato da teologi, papi e cardinali – alle pie monache di Feltre. La santa reliquia ritorna nell’oblio per riapparire nell’anno del Signore 1650, tra le mani di Olimpia Maidalchini cognata di Giambattista Panfili, il papa Innocenzo X.
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«Mosul una cosa m’incuriosisce… suo zio e l’arte…» «Si mio zio aveva un’ossessione: non capiva perché i bizantini avevano abbandonato il naturalismo producendo immagini stilizzate…». «I mosaici hanno una loro bellezza…». «Lui non capiva come nei «secoli bui» gli artisti avessero potuto dimenticare l’arte di Prassitele e di Fidia. Mi faceva vedere le miniature molto belle e strane del libro di Burrow e mi diceva: le vedi queste figure geometriche? Ebbene questi strani uomini, che indubbiamente hanno il loro fascino, li hanno dipinti quasi 1300 anni dopo l’esplosione dell’arte classica greca. E poi mi mostrava un altro libro, il Vangelo di Aachen, ove era riprodotta una miniatura con quattro evangelisti su fondo blu – che io trovavo stupenda – e mi chiedeva: sai perché questi monaci disegnavano le immagini come i romani e non come i monaci di Burrow o di Lindisfarne? Perché loro avevano dei modelli classici davanti agli occhi. Ora guarda il vangelo di Otto, nota bene è il 998, osserva gli occhi sbarrati, i corpi allungati… io mi chiedo: ma se sapevano dipingere le pieghe delle tuniche perché non riproducevano i volti così come erano? E mostrandomi un San Matteo, in una miniatura dipinta a Reims nell’830, mi diceva: guarda come è eccezionalmente moderno, se ti dicessero che l’ha dipinto un pittore contemporaneo ci crederesti… vero? Ebbene se quest’artista sapeva dipingere così, era perché aveva visto qualcosa dipinto dai romani che era rimasto tra i ruderi, guarda i tratti fuggenti…». «E lei che rispondeva Mosul?». «Io niente… ma Elisha, la moglie di Malik il suo amico siriano, che era professoressa d’arte rinascimentale diceva che i più grandi iconografi e studiosi del medioevo e dell’epoca tardo romana spiegavano il fenomeno come «arte che diventa linguaggio universale». E diceva che con Costantino l’iconografia romana era stata assimilata nell’iconografia cristiana. Quello che contava era il messaggio simbolico del potere politico e religioso fatto circolare dalle immagini emanate dall’Impero Cristiano. Elisha spiegava che il naturalismo era stato abbandonato per la scelta estetica e politica di un periodo che assunse l’arte in funzione di strumento politico e religioso. La stessa cosa avvenne nell’arte bizantina; e spiegava che anche oggi accade spesso, per esempio
con l’arte russa – leninista, con l’arte di stato dei totalitarismi. L’arte e l’artista, nelle dittature, hanno una funzione subordinata alla creazione, quando si tratta d’arte di stato. Solo nel rinascimento il genio artistico trovò la sua liberazione – nella riscoperta dei classici, della prospettiva, del naturalismo – e cambiò il valore dell’uomo, dell’individuo, dell’arte e dell’artista stesso che diventò centrale e libero nella sua creazione. Diceva qualcosa del genere…». «E suo zio?». «Rispondeva con una domanda: perché nella colonna di Traiano le figure sono classiche e in quello di Costantino rozze? E la moglie di Malik chiariva che l’arte cambia la sua funzione nei secoli, il naturalismo si perde perché non serve e si riconquista mano a mano per una ripresa di coscienza, per la rinascita umanistica che si attua a partire da Giotto in un crescendo fino al 1800...1900..». «Aveva ragione…». «E poi mio zio cominciava con Van Eyck… ma perché, diceva, il naturalismo lo conquistano gli italiani? Van Eyck è il pittore che è più avanti di tutti gli altri nella rappresentazione naturale, il quadro con il cancelliere Rolin è dipinto nel 1433. Osserva Pisanello, le diceva, che dipinge la Principessa d’Este nel 1440… oppure paragona il trittico di Van Der Weyden, dipinto nel 1451 al Cristo Risorto di Della sca, c’è una bella differenza…». «Insomma che voleva dire tuo zio?». «Che lo sforzo dei grandi pittori è stato, fino all’impressionismo, di riprodurre le cose così come sono e dopo l’impressionismo di dissolverle, e nel caso dell’arte susseguente destrutturarle, atomizzandole. E diceva che se tu mostravi un affresco romano ai monaci di Burrow quegli artisti avrebbero dipinto la figura umana in un’altra maniera. Si chiedeva sempre come fosse stato possibile che il monaco Eadfrith, che nel 720 creava miniature incredibili nei manoscritti di Lindisfarne, non fosse in grado di disegnare una figura così come appare… questa era la sua ossessione» «Si, in fondo c’è un crollo dell’arte classica sotto la spinta di quella barbarica.… solo la rinascita umanista...riporta la classicità..».
«Elisha, la professoressa siriana, diceva che non è vero che i pittori non sapevano disegnare... diceva che erano le condizioni del tempo che dettavano le mode pittoriche…» «E lui che rispondeva?». «S’incazzava e diceva che forse solo l’1%, aveva ancora la capacità di riprodurre la realtà, ma altri no, e che tutto lo sforzo della pittura occidentale era di raffigurare il reale così com’è, però ammetteva che c’erano costrizioni; ed Elisha rispondeva che in generale l’artista interpreta lo spirito del tempo, e anzi a volte lo orienta. Insomma diceva che l’artista spesso sceglie di cambiare lo stile per interpretare ed orientare lo spirito della sua epoca. Un grande critico affermava che l’arte si muove secondo cicli di Ethos e di Pathos, ordine e disordine, razionalità e irrazionalità. E che cazzo vuol dire? Chiedeva mio zio che odiava il chiacchiericcio intellettuale. E lei rispondeva: io sto ragionando su un piano macroscropico e diacronico...sto cercando di capire come emergono e spariscono le forme d’arte, gli stili, i generi. Molti lo spiegano con l’andamento spirituale della storia delle civiltà che attraversano momenti di stabilità e altri di crisi…» «Macroscropico e diacronico… eh? Molto chiaro!». «Mio zio chiedeva: ma Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Pisanello dipingevano le montagne in maniera strana perché gli era imposto?». «E lei rispondeva: nell’arte ci sono sempre dei cicli... ethos classico...pathos medievale, ethos rinascimentale...pathos barocco...perché Pontormo e i manieristi decidono di sfaldare le forme statuarie di Michelangelo o il realismo di Raffaello scivolando verso il pathos barocco? Pensiamo alla pittura deformata degli spagnoli barocchi, pensiamo a El Greco..». «Già… Pensiamo alla «Visione di Giovanni» che ho appeso nel mio studio… un quadro rivoluzionario epocale…». «E suo zio che diceva?» Interviene Isabel fino a quel momento silente.
«Diceva che una volta che le capacità di riprodurre il reale sono riconquistate si può cambiare e tornare indietro, destrutturando la realtà. E la siriana rispondeva che non c’è linearità temporale nella storia dell’arte occidentale ma ciclicità. Quello che voleva dire era che la classicità greco – romana era sparita, assimilata dalla cultura orientale e barbarica, ed era poi riemersa e che non c’era stata progressione lineare nel tempo. Anche i romani dell’epoca costantiniana conoscevano bene le forme classiche ma scolpivano nel modo barbaro, orientale per le masse e questo non andava giù a mio zio che non capiva e chiedeva: ma scusa la colonna e l’arco di Traiano non erano anche per le masse? E lei rispondeva: si, ma Costantino voleva usare un linguaggio aperto a tutto l’impero che non apparteneva alla grecità ma stava evolvendo verso il modello classico. Insomma l’arte è ciclica...l’estetica è il risultato di una spiritualità che non si evolve a senso unico...non ha una direzione verso la perfezione delle forme naturalistiche o realistiche...ma solo verso la perfezione dell’espressione artistica che si realizza nella forma più adeguata alla spiritualità che vuole rappresentare, questo diceva la siriana e aggiungeva: anche Giotto stava ando da un periodo di pathos a un periodo di ethos...come stava accadendo nella storia dello spirito umano di quel tempo… l’uscita dai secoli bui...verso la luce della ragione..». «E suo zio?». «Chiedeva: la tecnica persa della prospettiva, nei 500 anni di secoli bui, la conoscevano già? E lei rispondeva: la prospettiva in pittura è una scoperta ispirata dai ritrovamenti classici, ma solo ispirata; è vero nei secoli bui l’arte barbara ha il sopravvento ma ci sono testimonianze di arte realistica ancora vicina a quella classica. E ribadiva che il linguaggio dell’arte aulica non poteva più raggiungere direttamente le masse: l’arte di Costantino diventa arte di massa, strumento di politica e di governo, rifiuto di quello che c’era prima; è una scrittura che narra il potere e le gesta dell’imperatore...vicino al popolo, il linguaggio aulico delle forme non serve più, quest’arte cerca la differenza, il contrasto, l’immediatezza del messaggio; l’arte classica muore perché non è più efficace come può esserlo un’arte simbolica e astratta, cioè più espressionista. L’arte di Costantino diventa un manifesto di propaganda imperiale, è arte popolare, immediata, anche se rimane aulica nei contenuti. Però, Isabel, mio zio non riusciva a comprendere come da Fidia, Prassitele, Lisippo si fosse giunti alle figure rozze dei Tetrarchi».
«E la siriana che diceva?». «Che da una parte quelle sculture sono state interpretate come espressioni di ben precise direttive culturali anticlassiche, che risalivano a Diocleziano e al suo governo totalitario – imperiale, che si opponeva alla classe senatoriale e alla sua tradizione classicistica e filoellenica; e da un’altra parte sono state interpretate come precisa linea di continuità tra queste direttive e i fregi costantiniani. E mio zio: facevano le figure rozze per direttive culturali? E lei: un cambio di cultura e politica segna un cambio artistico, è una scrittura che narra il potere e le gesta dell’imperatore vicino al popolo. E mio zio: anche la colonna di Traiano narrava al popolo le gesta dell’imperatore. E lei: si, ma cambia l’ideologia politica, il linguaggio aulico non serve più, si cerca la differenza, il contrasto, l’immediatezza del messaggio, l’arte classica muore perché non è più efficace come può esserlo un’arte simbolica ed astratta, più espressionista: l’arte di Costantino diventa un manifesto di propaganda imperiale, é arte popolare e immediata... E mio zio, che non voleva capire: la colonna di Traiano aveva gli stessi fini. E poi non capisco: le figure rozze sono un messaggio migliore delle figure classiche? E lei: la grecità culturalmente non apparteneva a parti dell’impero barbaro, serviva un linguaggio più universale. E Costantino cambia tutto. E così via: andavano avanti per delle ore». Erminio si gratta il mento ed interviene: «Strzynki diceva che la Grecia soffoca per l’abbraccio dell’Oriente e che la storia dell’arte greca è il progressivo trasformarsi e soccombere dell’arte ellenistica sotto il peso delle forme e dei valori tipicamente e tradizionalmente “orientali”, come la tendenza all’astrazione, alla paratassi, alla trascendenza simbolica dell’immagine”. «La siriana, infatti, diceva che nell’arco di Costantino si attua lo stesso processo che accade per le icone che sono dipinte ancora oggi come mille anni fa, con la stessa tecnica..».
«Ma la pittura russa cambiò… eccome!» Interviene Isabel. «E che vuol dire? Che c’entra con quello che dico? io sto ragionando su un piano macroscopico e diacronico come la siriana... ah ah ah…» dice ridendo Erminio. «Ma che uomo spiritoso! Isabel, mi rivolgo a lei che considero una persona seria che non mi copre di lazzi… mio zio diceva alcune cose che, forse, troverà interessanti. Diceva che l’Islam con la sua iconoclastia desertico – pastorale aveva commesso un crimine contro l’umanità: chissà cosa sarebbe accaduto se gli artisti islamici fossero stati liberi, come i greci, di evolversi artisticamente. Magari l’Islam poteva limitare l’aniconismo a Maometto ed ad Allah, questo lo capiva Tarif, ma estenderla anche a tutti gli esseri senzienti e alle cose era troppo. Diceva che gli islamici avevano ragione su una cosa: dipingere Jahvé con barba e calvizie incedente era roba offensiva per un uomo religioso che pensa Dio come purissimo spirito; però cancellare l’intera creazione dalla storia dell’arte gli sembrava un’idea devastante, simile ad un’esplosione nucleare..». «Si caro… in effetti quei Padreterno medioevali con i Paracleti sulle spalle fanno un po’ ridere…». «Tariz aveva un’altra grande ossessione, si chiedeva: chissà se quei maledetti preti non fossero intervenuti a metter fine alla riforma di Ekhnaton come si sarebbe sviluppata l’arte egizia? Diceva che se quell’arte avesse potuto germogliare liberamente avremmo visto figure classiche ed armoniose millenni prima dei Greci; avremmo potuto vedere lo «scorcio» – con le figure viste di fronte e non di profilo – scoperto dai Greci nel 500 a.C. manifestarsi nel 1300 a.C. durante la riforma di Ekhnaton. E affermava che il ritratto del Faraone, che lo mostra stranamente brutto con una «scucchia» leggendaria e una testa sproporzionata, sarebbe potuto essere il perno dell’apertura dell’arte egizia. Ekhnaton doveva aver detto ad un artista di corte: «scolpiscimi come sono e dimenticati le stronzate dei preti!» «Questo è vero…» «Ed invece – spiegava mio zio – quei preti maledetti, avevano bloccato il progresso ingiungendo che: «le gambe si fanno così, la testa così, le palle si coprono, il faraone deve apparire come un dio» come più tardi faranno i bizantini, che pur avendo sotto gli occhi le opere dei Greci e dei Romani, immergeranno l’intera creazione in uno sfondo dorato che, in effetti, é la luce di
Dio. E concludeva dicendo che il trionfo dei sacerdoti e dei loro Dei e il conseguente totale annientamento del tentativo di Ekhnaton, ritardarono l’avvento della riproduzione delle «cose così come sono» di almeno 900 anni». «Stupendi i mosaici bizantini però…» interviene Erminio. «Si… grandiosi… ma Tarif diceva che i protestanti che avevano distrutto le immagini, come avevano fatto i bizantini ai tempi dell’iconoclastia di Leone Isaurico e compari, dovevano essere additati come mostri al livello di serial killer universali. Come i Taliban che avevano distrutto i grandi Buddha in Afghanistan. E mi diceva: guarda i greci, Mosul, studia come scolpivano gli uomini tra il 540 e il 515 a.c., vedi questi Kouros come sono rigidi e rozzi, anche se stupendi? Guarda queste Korè del 540 – 530, vedi come sono leggiadre e rigide allo stesso tempo? Ora guarda questo Poseidone del 470 – 450, è un’altra cosa, vero? Osserva i fratelli di Argo di Polimede, sono del 600 circa, ora contempla questa Dea della Vittoria, sono ati 200 anni… guarda le pieghe stupende del manto… ora guarda l’Atena Lemnia di Fidia… ci si può andare a letto con questa bellezza… eh Mosul? E scorrevamo le immagini della storia dell’arte greca. Mi diceva: guarda il Laocoonte ellenistico, guarda l’Alessandro di Lisippo con la ruga sulla fronte – impensabile in Fidia – e sfogliando le pagine di un grande libro che conteneva le immagini dell’altare di Zeus a Pergamo mi chiedeva: come si può essere precipitati da queste forme divine a quelle dei conquistatori normanni della tappezzeria di Bayeux? Nobili, belli, stupendamente espressionistiche… però… Si, queste erano le ossessioni di mio zio Tarif…». «Però mi permetta Mosul…» interviene Erminio «Se c’é una cosa che mi commuove è il romanico, nella mia regione, visitavo molte chiese romaniche con mia moglie e mio figlio Willy, e c’erano due immagini che mi facevano l’effetto che provoca Fidia nell’anima di suo zio. Erano due telamoni della facciata della Pieve di Fornovo. Quello di destra, senza una gamba, mi faceva piangere, non mi vergogno a dirlo. Era come se tutto il peso del terrore dei secoli bui fosse disceso sulla sua schiena piegata; come se tutta l’afflizione del mondo si fosse abbattuta sul suo essere di pietra. Era la rappresentazione perfetta della miserrima condizione degli esseri viventi su questa terra». «E dell’arte moderna che diceva suo zio?» Chiede Isabel
«L’arte moderna non lo preoccupava… conosceva a fondo la Scuola di New York, seguiva tutto: l’espressionismo astratto, il post painterly abstraction, la pop art, l’arte Kinetica… capiva e tollerava ma seguiva le sue ossessioni. Dopo l’impressionismo – mi diceva – tutto è stato possibile e accettabile. Quante volte mi ha detto di guardare un Masaccio – considerato il ponte verso la pittura rinascimentale di Leonardo, Michelangiolo e Raffaello – e analizzare la pittura di Jan Van Eyck, che nasce dieci anni prima, e di pensare a Jean Fouquet, che operava nello stesso periodo di Beato Angelico… erano, anzi sono le sue ossessioni… ma ora parliamo d’altro… mi sono rotto!» «Ma com’é questa benedetta Atena Lemnia?» Chiede Erminio. «Le sto leggendo nel pensiero… desidera una bambola robotica come l’Atena Lemnia?». «Ehhh… beh… si... come ha fatto a capirlo? Tradirò la Madonna fiamminga!». «Eternamente infedele?». «Ehhh… il peccato d’Adamo…». Dopo aver spento il Diario sono andato a cercare l’immagine dell’Atena Lemnia. Marlene ha visto la dea nello schermo del computer e ha detto: «Dea greca: Atena figlia di Zeus». «Si cara» ho risposto «la guardavo per curiosità: una ricerca artistica…». Facciamo proprio schifo noi uomini: abbiamo solo la fica in testa.
Le proboscidi pontificie
Isabel è partita dopo una notte brava con Mosul ed Erminio soffre di una moderata e contenuta invidia. Nel Diario Segreto riflette sul racconto della messicana riguardo Vermeer e scrive: «Mentre il pittore avanza verso il futuro oblio, che lo inghiottirà nel 1675 tra i cori urlanti dei suoi numerosi pargoli, sta dipingendo, nel 1670, una donna che suona un virginale. Nel quadro, una ragazza, che potrebbe essere la segretaria della porta accanto, ti guarda con espressione bovina, mentre è intenta a suonare. Sulla parete alle sue spalle è appeso un dipinto che sembra rappresentare la storia di Susanna che se la sa con due vecchi libidinosi. Mentre Vermeer lavora, utilizzando la «camera oscura», per riprodurre fedelmente la luce peculiare dell’Essere che illumina la quotidianità, il mondo gli sta crollando addosso. La Lorena é invasa e occupata dalla Francia, i Paesi Bassi s’inarcano sotto il peso della guerra e della violenza e il pittore si vede costretto ad affrontare una situazione economica allarmante. Spirerà sconsolato, e forse folle, nel 1675. Tra il 1672 e il 1678 la Francia muove guerra all’Olanda. Jan De Witt, il Gran Pensionario sarà trucidato per sospetto tradimento e nel 1672, Guglielmo d’Orange – il vincitore della battaglia del fiume Boyne e della «Gloriosa Rivoluzione del 1688», che ci ha sorriso ossessivamente per anni dai muri screpolati della Belfast protestante – diventerà «stathouder» a vita. Gli olandesi, durante la guerra con Luigi XIV, si difendono aprendo le dighe e le chiuse, creando così i presupposti per il crollo finanziario di molti proprietari terrieri che vedono precipitare le proprie rendite a causa dell’allagamento dei terreni.
Tra questi latifondisti c’è la famiglia di Vermeer. Anni prima, nel 1656, dopo la morte del padre, Baruch Spinoza aveva cominciato a far preoccupare la comunità ebraica di Amsterdam con le sue ardite e peculiari idee. Sotto i colpi dell’agile mente del filosofo cominciano a traballare l’anima immortale, le pratiche religiose ebraiche , la natura di Dio, quella del mondo e delle immutabili sostanze. Non si ferma Baruch, procede senza controlli, e il suo mentore comincia spaventarsi: «Guarda che ti scomunicano!» gli dice. Nulla di nulla: continua imperterrito e i rabbini inviperiti gli calano sul capo la mazza del «cherem», e viene bandito. Baruch allora se ne va e diventa Benedictus scegliendo un nome latino. Ora è un eretico espulso dalla comunità ebraica. Vive a Rijnsburg e poi a Voorburg nei pressi de L’Aia. Sussiste austeramente molando lenti per microscopi. Vive poveramente, come un eremita, e sopravvive a stento, ma dal 1667 riceve una piccola pensione dal suo amico Simon De Vries. Possiamo dire che Spinoza appartenga a quella limitatissima schiera di filosofi che vissero una vita frugale, lontani dal tronfio riconoscimento del mondo, contrariamente ad altri filosofi come Hegel, benestante ed amato, che faceva impazzire di rabbia Schopenhauer. Più tardi anche Nietzsche sceglierà una vita sobria e povera. E così farà Wittgenstein che sussisterà con il minimo. De Witt, politico brillante e illuminato è nel pieno del suo potere e protegge Benedicuts dalle ire dei calvinisti che si scatenano contro il «Tractatus» perché attacca il concetto dell’immortalità della mente; ma Spinoza questa volta è protetto. È il 1672: Vermeer, sta pensando, tra gli schiamazzi dei bambini, alla luce dell’Essere che avviluppa la quotidianità, e quando improvvisamente gli giunge notizia che De Witt e suo fratello sono stati massacrati da una folla inferocita che li accusa di aver tradito l’Olanda per favorire la Francia. Nello stesso momento Spinoza viene a sapere che l’uomo che l’ha protetto è stato pugnalato e trascinato moribondo verso le forche. L’Olanda tollerante rabbrividisce. Ma non è finito: gli assalitori hanno spogliato i cadaveri, li hanno appesi alle forche, li hanno esposti come carcasse di poveri animali e li hanno squartati.
Un’operazione da provetti macellai con conseguente regalia di macabri pezzi del corpo agli «afficionados»: una fettina ad un calvinista, una costata a un patriota, un ossobuco ad un cattolico: un’operazione di artistico spolpamento degna del macellaio di Chuang Tzu. Spinoza rimane sbalordito e reagisce: prepara un affisso con scritto sopra: «Ultimi Barbarorum» e si affretta a depositarlo, in bella vista, presso i corpi macellati. Alla vista dell’affisso, al pittore Van der Spijk si drizzano i capelli: «Ma sei impazzito? quelli ci spolpano anche a noi!» prende di forza il filosofo e lo chiude in casa. Vermeer informato si a una mano sulla fronte sudata e come immerso in un sogno, imperterrito, continua a dipingere la serenità essenziale dello spirito «sub specie» casalinga mentre fuori si sguazza nel magma sanguinante del mondo. Mentre vengono raccolti i brandelli sanguinanti dei cadaveri dei fratelli De Witt, Spinoza sta trafficando con l’immanentismo e la «Natura naturans», e la serenità di Vermeer si sta tramutando in follia. Mio padre pensa ai De Witt e a quello che Spinoza afferma riguardo al male. Il filosofo sostiene che quando pensiamo i concetti di «male» e di «bene» siamo legati all’idea che la realtà abbia un «telos», che sia connessa a cause finali. Ma ogni cosa, poiché prodotta da Dio, è «bene» e «verità», e quindi anche lo squartamento dei De Witt é parte della prospettiva divina del Tutto. Chi pensa ai concetti di male e bene, afferma Benedictus, non conosce il Divino che si esprime nel disegno di Dio. Insomma, Spinoza sostiene che tutto proviene da Dio, sia i coltelli dei macellatori sia la luce ipersensibile di Vermeer – che Baruch forse non ha mai contemplato. L’uomo, quindi, davanti allo scannamento di De Witt non deve rimanere prigioniero di una visione manicheo – cristiana, ma deve pensare al geometrico ordine divino del Tutto che trascende eventi limitati. La visione monoteistica del «Sommo Bene» origina dalla visione distorta antropomorfica che abbiamo del Creatore. Tutto si risolve nel disegno universale, anche gli «ultimi barbarorum» che scannano politici repubblicani. L’ottimismo panteista di Benedictus – Baruch si dissolve, come una foschia diradata dal vento, nel 1677, quando il filosofo muore di tubercolosi all’età di 44 anni. Mio padre scrive che quando vide a L’Aia, vicino alla Spinozahuis, l’immagine
bronzea del filosofo accarezzata delle foglie di un grande albero, si commosse e pianse. Erminio ha un debole per i filosofi e per i poeti solitari: ama la disperata solitudine di Nietzsche, il rabbioso isolamento di Schopenhauer, la follia di Hölderlin, la mortale tristezza di Leopardi. E come Isabel è estasiato dalla luce iperfisica di Vermeer. E su tutte queste cose riflette a lungo nel Diario Segreto. È il primo giugno del 2044: Bonzo ha portato un sorcio morto a casa e lo ha depositato sul letto di Madame Pomeroy che è quasi svenuta per l’orrore ed è vicino ad una crisi di nervi. «This fucking reckless dog!» urla. Dopo l’ultima impresa il bestione si dedica alla pulizia delle orecchie di Gracco che mugola dal piacere. Erminio gli chiede: «Ma quella cazzo di lingua non riesci a tenerla ferma un istante?… ha una vita tutta sua…» Come risposta Bonzo si avventa sul piede destro di mio padre e comincia leccarlo con ione. «Dio che bestiaccia che sei… stai distruggendo la Pomeroy…» Mentre sta lottando con il bastardone che gli lecca con immensa goduria il piede, il telefono squilla e una voce gli chiede in italiano: «Sei a casa?». Risponde «Ovviamente…» e poi «ma chi sei?» Nello schermo vede un volto che non riconosce. Dopo circa mezz’ora qualcuno appare alla soglia, si fa largo tra lo stuolo dei reporter urlando: «Police… police» e quando entra in casa mio padre lo riconosce subito: é Zaino. Zaino è invecchiato, ma ha ancora i capelli corti tagliati come un «marine» ed é ancora fisicamente integro. Ha un sorriso antico e amaro, un volto segnato da rughe profonde, il mento coperto da una barba bianca. Il naso appare stranamente aquilino e ha occhiali finti con spesse lenti. Mio padre l’abbraccia. «Vecchio mio che piacere… sempre in fuga… sempre in fuga come Oreste inseguito dalle Furie…». «Che gioia vederti…» esclama Zaino sorridendo «mi piacerebbe fermarmi, ma come tu sai non posso restare a lungo: mi cercano dappertutto…».
«Ma ti hanno anche attribuito l’idea del «suicide bomber» animalista che si è fatta saltare in aria in mezzo all’Assemblea dei vivisezionatori… sei stato tu?». «No, la Bergère che non conoscevo…». «E quella che è saltata per aria durante l’Assemblea dei cacciatori nel 2031?». «La Muccoli? Non la conoscevo…». «E l’eliminazione del cinese che vendeva i cuccioli per la vivisezione a Prato?». «Si quella è roba mia…». «Ma come vivi?». «In perenne fuga… con il mio zaino…». «L’eterno zaino…». «E tu che fai?». «Giro il mondo con Mosul…». «Siete spaventosamente famosi… fuori ci sono almeno cento reporter…». «Ma non rischi che ti riconoscano?». «Non con questa barba finta, con gli occhiali balordi e il naso falso… via… è un po’ difficile… e poi sai… non hanno mie fotografie… hanno un vago identikit…». «Ti voglio far conoscere qualcuno… andiamo…». I due salgono in macchina seguiti da uno stuolo di reporter e si avviano verso il centro di Ilfracombe; procedono a piedi, e per fare perdere le tracce entrano in un albergo della Promenade ed escono dalla porta di servizio; poi affittano due Solotrek xky e volano verso Saunton Sands. Dopo essersi assicurati di non essere seguiti planano all’altezza di Airy Point.
C’è un uomo seduto su un fatiscente sgabello e ha il volto stanco. Erminio lo chiama: «Mosul venga… le presento il grande Zaino…». Mosul si alza, sorride mestamente, e s’inchina. Zaino lo guarda e a sua volta sorride e s’inchina. Poi senza dire una parola a Mosul abbraccia mio padre e dice: «Devo andare. Ho fatto quello che dovevo fare». Riprende il Solotrek xky e si leva in volo. Il cielo è di un colore grigiastro, la foschia sta assorbendo l’estuario e ha già fatto svanire Zulu Bank, Appledore sembra un paese fantastico immerso tra brume infernali. Il 4 giugno mio padre riflette sulla storia di Spinoza e De Witt, e paragona la visione geometrica di Baruch ad una visione d’Isabel. Isabel in Egitto ha avuto una crisi provocata da una pasticca di White Lux. Mio padre, che pensa ossessivamente a lei e alle sue cosce lucenti, riflette sull’evento. Che cosa ha raccontato Isabel a Erminio e a Mosul quel giorno a Barcellona? Isabel ha detto: «Nel giugno del 2039 eravamo a Casablanca, con il mio amante messicano Miguel Serveto, seduti ad un tavolino, seminascosto da una tenda, a bere un tè con un ragazzo marocchino conosciuto per strada. Si parlava se e lui ci offrì due pasticche di White Lux. Era da tempo che non prendevo droghe perché avevo capito che per me non andavano bene. Erano ati più di cinque anni da quando avevo inghiottito l’ultima White Lux, così decisi di prenderla nuovamente per vedere l’effetto che mi faceva. Appena ingerita la pillola ho cominciato a non capire più che cosa stavano dicendo Miguel e il ragazzo. Capivo le parole ma non comprendevo il loro senso. Iniziavo a farfugliare mentalmente. Mi prese il panico e prendemmo di corsa un Ely – Fly per tornare in albergo. Ero schizofrenica e sapevo di esserlo. Ero due, tre, quattro persone contemporaneamente. Questo stato mentale durò circa dodici ore e non fu una cosa eggera. Tenni Miguel sveglio e preoccupato per quasi tutta la notte. Non potevo rimanere sola, sapevo che mi sarei buttata dalla torre dell’albergo. Ero convinta che il mio stato fosse ormai definitivo e irreversibile. Avevo
abbandonato ogni capacità logica e razionale e capii che la distanza che ci separa dalla follia è minima. Nello stesso tempo, però, riuscivo ad analizzare perfettamente e con estrema lucidità, il mio delirio. Concepii la struttura dell’universo e capii come quest’universo possa comprendere tutto l’Essere. Lo concepii non in senso astratto, ma proprio come struttura geometrica. Immaginate una forma come quella di un riccio di castagna con un piccolissimo centro puntiforme con molti apici sottili e molto lunghi. La logica normale umana si muove lungo una di queste punte. Più sei verso l’esterno più il tuo pensiero è lucido, più ti avvicini verso il centro, più si fa incerto. Se ti inoltri oltre un certo punto, rischi di finire nel centro di questa stella e lì, nel cuore della stella, ha sede Dio. Il problema è che rischi di non trovare più la tua punta e quindi la tua razionalità. Nelle altre punte vigono altre logiche, altri modi di vita, altre dimensioni e così, se non riesci a tornare sulla tua punta, sei un folle perché ti esprimi con una logica diversa. I folli che sono in mezzo a noi, forse erano abitanti d’altri apici che si sono persi e che, non avendo ritrovato il loro mondo, la loro dimensione originaria, vagolano spaesati in un orizzonte sconosciuto. Il mio terrore era di essere risucchiata verso il centro della stella; e questo da un lato mi permetteva di scorgere le altre punte – e quindi tutti i mondi con le loro possibili logiche – e di capire che la nostra dimensione era una tra milioni di altre e questo mi attirava e allo stesso tempo mi incuteva terrore. Come nell’«Aleph» di Borges dal centro era possibile scorgere ogni cosa, e da lì era possibile capire perché ci potessero essere infinite dimensioni. La nostra logica era una delle infinite possibilità di vivere la realtà, ma ce ne erano moltissime, per noi inconcepibili. Gli animali abitano probabilmente altre punte, dove gli odori sono il loro alfabeto. Altri esseri, a noi ignoti, sicuramente abitano altre punte. Siamo vicini, ma per incontrarci occorre are dal centro che è cosa impossibile, non si può are da una punta all’altra con un salto, anzi nessuno sa neppure dell’esistenza delle altre punte. Su questi apici scorrono pensieri ed emozioni, non corpi. Se ti avvicini al centro capisci anche cosa sia Dio. Lui sta lì, ed è quest’enorme stella, ed è l’unica mente capace di vivere simultaneamente in tutte le dimensioni e direzioni. Lui conosce le logiche di tutte le punte, lui è tutti i pensieri, sensazioni ed emozioni possibili. Io ero terrorizzata e chiedevo solo di poter tornare verso la mia punta. Avevo visto troppo, avevo capito quel che mi bastava, ero convinta di avere una spiegazione perfetta di cosa fosse la follia. Sapevo che ero a un o dal perdermi. Giurai a me stessa che non avrei
mai più sfidato i miei confini mentali e fu in quel momento che Dio, con le sembianze solite con cui noi ce lo immaginiamo (d’altra parte capii che non poteva parlarmi se non con sembianze umane) mi guardò dritto negli occhi, mi sorrise, mi strizzò un occhio e mi disse: vai e non azzardarti a venire un’altra volta. Lo so che la mia è stata un’allucinazione, ma dopo che Dio mi strizzò l’occhio supplicai Miguel, nel pieno della notte, ormai ridotto in uno stato pietoso, di credere all’esistenza di Dio. Cercai di fargli capire che lui era lì, vicinissimo a tutto, anzi che era tutto. Era le nostre menti e il nostro cuore, era le cose e i rumori, era gli spazi interstellari e la luce calda del sole. Non c’era nulla da capire perché noi non potevamo capire. Ma comunque era buono. Il suo sorriso mi aveva abbracciato con amore, non con fastidio. Sapeva chi ero e come mai mi trovavo lì. Sapevo che potevo stare tranquilla, sarei ritornata al mio mondo. Il delirio durò ancora parecchie ore ma ormai ero serena. Lentamente tornavo verso l’apice della mia punta. Capii l’arte islamica di colpo. Erano giorni che giravo per musei e moschee. Ero incantata da tutti gli intarsi bicolore, da quelle geometrie ossessive. In realtà l’Islam rappresenta Dio e il mondo. Se immagini di tagliare il “riccio” in qualsiasi punto avrai il tipo di disegno dell’arte orientale. Se immagini le sezioni delle punte come nere e gli spazi tra le punte come bianchi, ottieni come delle scacchiere più o meno regolari. In qualsiasi punto sezioni, con qualsiasi angolatura, hai un disegno possibile. E le combinazioni del disegno sono infinite, esattamente come il mondo. Mi piaceva pensare che un artista avesse raggiunto Dio, e da lì avesse potuto vedere la struttura dell’universo e quindi avesse ato la sua vita a diffondere questa visione. Inoltre questo nuovo approccio all’arte che vedevo, mi faceva capire meglio certi dettagli e soprattutto mi faceva entrare con un pensiero figurativo dentro un’arte totalmente astratta. Insomma, ato l’effetto dell’allucinazione quattro cose mi sono rimaste scolpite dentro. Uno: ci vuole un attimo per svanire dalla realtà. Due: se Dio c’è (e a lui non interessa nulla se lo sappiamo) non bisogna temerlo e non ho mai più avuto angosce di morte. Tre: l’arte è il più nobile e ardito tentativo di cogliere la profonda essenza del reale. Quattro: meglio non ingoiare White Lux perché fa veramente male!». Questo ha raccontato Isabel a mio padre e a Mosul, che sono rimasti sbalorditi. Poi Erminio, si è ripreso e, come al solito curiosissimo, ha chiesto: «Cara, mi tolga una curiosità… ma Dio com’era? Me lo può descrivere?».
Ed Isabel ha detto: «Era sulla sessantina, come tutti i “padreterno” dipinti dagli artisti medioevali o rinascimentali, era un po’ calvo, i capelli ai lati erano grigi, poche rughe, occhi castani chiari, ridenti, viso calmo, pacato, infinitamente buono. Aveva una giacchetta consumata ai gomiti senza un bottone. Insomma, un buon padre di famiglia». «Un babbone pantofolaio?» Chiede Mosul «Eh… si, però non so quanto sia autenticamente originaria la mia visione e quanto sia, invece, il prodotto di una mia fantasia postuma..». «Mi scusi, cara, ma quando dice che quella struttura geometrica concepiva tutto l’Essere che voleva dire esattamente?» Insiste mio padre. Ed Isabel: «Io, Erminio, ho concepito la struttura originaria, cioè l’Essere, come comprendente il Tutto, cioè tutto ciò che esiste, che è molto di più di quello che conosciamo dalla prospettiva limitata della nostra punta. Dalla nostra punta si ha una visione limitata, dal centro invece, l’Essere lo si vede come una sostanza infinita, multiforme ed estremamente diversificata. Ed è il pensiero la realtà di tutti gli esseri che abitano le infinite punte. Si, un gigantesco pensiero collettivo che contiene in sé l’infinito numero dei sogni degli innumerevoli esseri, delle illimitate individualità. Capire quello che dico è una cosa estremamente complessa, anzi è una cosa assolutamente inconcepibile per la mente puntiforme. Ma anche un matto ha una mente puntiforme che è dotata di una visione relativa e parziale. Solo stando al centro, o sbirciando dal centro si ha l’idea, istantanea, spaventosa, della grandezza dell’Essere. Non so se mi sono spiegata…». «Cara, mi sfugge una cosa: Dio precede l’Essere nella sua visione o è l’Essere che precede Dio?». «Essere, Dio e universo coincidono, non si contengono. Sono contigui. Dio pone la sua mente al centro dell’universo ma è la stella. L’universo che vediamo noi è l’intuizione della stella vista da un determinato punto di vista, cioè la punta. Il riccio è la struttura del pensiero, non la forma fisica dell’universo. Beh insomma, non è che ho capito bene tutto..». «Ecco!».
«Mi capisce?». «Ebbene si… la logica qui non c’entra nulla: come dicono i monaci Zen certe cose vanno capite con lo stomaco non con la spugna che abbiamo nel cranio…». «Ecco… proprio così…». «Molto bene…» risponde mio padre «I’m flabbergasted!». «Già anch’io sono sbalordito…» conclude Mosul «Isabel sei penetrata nel mistero dell’Essere… però questa White Lux è una chiave che apre arcane porte… un consiglio: fatti un’altra pasticca».
*****
Diego Rodriguez de Silva y Velasquez sta guardando sornione la donna che entra nella stanza dell’appartamento papale, come quando studiava, riflessi nello specchio, Filippo IV e la regina Mariana, che ritrasse nella grande tela chiamata «las meninas» dove si vede l’Infanta Margarita e il suo nano che ci osservano mentre un uomo esce da una porta di luce. Chi è la donna che sta entrando nella stanza? Sta entrando la cognata di Giambattista Pamphilij, Olimpia Maidalchini, con uno scrigno. Il pittore fa un segno di contenuto disappunto e pensa: «Ecco la troia! Abbiamo la nuova Marozia; nel tempio di Dio l’iniquità non è mai doma. È lei che comanda in Vaticano perché questo cocco baffuto, che a per il rappresentante di Cristo in terra, ha perso la testa per le sue natiche. Ci risiamo: non era bastato Borgia! E va bene… ma guarda, proprio ora che questo scemo si era seduto nella maniera giusta ed ero riuscito a sistemargli le pieghe del velluto della mantella, ecco che entra la megera e lo fa agitare, e la seduta va a farsi fottere». Chi sta ritraendo Velasquez? Sta ritraendo Innocenzo X, un tapino eletto papa, nel 1644, con un volto che
ricorda vagamente un attore americano di fine secolo chiamato Gene Hackman. Lo sguardo del pontefice incute rispetto ma Giambattista Pamphilij è un uomo meschino, che fa ricordare, con il suo comportamento, la sottomissione libidinosa di Gregorio VII verso la nipote Marozia. I si, che avevano intuito tutto, erano quasi riusciti a bloccare l’elezione ponendo un fermo veto sul suo nome – Pamphilij era da parte del padre discendente dei Borgia: e buon sangue non mente – ma lui era riuscito lo stesso a farsi eleggere, e se l’era legata al dito perseguitando i Barberini e tutti coloro che avevano avuto rapporti con Urbano VIII. Mazarino l’aveva presa molto male e aveva minacciato di muovergli guerra. Il cardinale aveva trionfato con la Pace di Westfalia e la Controriforma si era arenata mentre la deriva cattolica in Germania era diventata inarrestabile. Il nuovo caos papale era cominciato con la venuta della Maidalchini nel palazzo. Olimpia era la vedova del fratello d’Innocenzo X che i romani avevano definita «papessa» perché sembrava una di quelle mogli gorgone – anglosassoni che schiacciano mentalmente, con la loro ferrea e perversa volontà, i loro deboli mariti e li costringono alle più efferate decisioni. America docet. Tutto il Vaticano si muoveva secondo la logica d’Olimpia e la sua furia, come la fede per Gesù, spostava montagne. E tutti tremavano davanti a lei: cardinali, vescovi, ambasciatori e anche Diego Rodriguez de Silva y Velasquez, mentre ritraeva Giambattista Pamphilij, era intimorito dalle esternazioni della bagascia urlante. Olimpia non solo era una furia scatenata se non otteneva quello che chiedeva, ma era anche famosa per la sua innata avarizia che l’aveva fatta arricchire a livelli inconcepibili. I cardinali della Curia dicevano che fosse stata lei a far conquistare dal papa «guerriero» la città di Castro e a farla radere al suolo. Nel ritratto, Velasquez, evidenzia la parte luminosa e accettabile del carattere d’Innocenzo X; il sostrato malvagio lo dipinge gloriosamente Francis Bacon che ci mostra un Giambattista Pamphilij che urla la sua angoscia sartriana dalla gabbia del nulla.
Già, i grandi ritratti dei papi. Le polemiche intorno alle interpretazioni ormai sono sbalorditive. Ad esempio Jonathan Jones afferma che nel ritratto di Paolo III, dipinto da Tiziano nel 1543, Alessandro Farnese sta sussurrando al papa qualcosa riguardo il velo di Marta. Il critico gallese sostiene che il nobile stia bisbigliando al Carafa: «Santità, cosa facciamo del velo che dicono sia la Veronica autentica?» e che Paolo III risponda: «Uffà c’aggia fà cu stu velo… maronna mia chi m’a dà sta pacienza…» che contrasta con la versione di Erich Werner che, invece, sostiene che Alessandro Farnese stia dicendo: «Santità ha una caccola che sporge dalla proboscide» e che il pontefice risponda: «Ma che tengo ‘a mmerda dint ‘o naso?» Proboscide? Eh… i leggendari nasi papali! Se Carafa ha un’autentica proboscide partenopea, Pio IV non scherza. Nel ritratto d’ignoto nella Sala dei Foconi nel Palazzo Vaticano, infatti, è ritratto con un naso di monumentale possanza: roba da Circo Stausser. Bisogna riconoscere, però, che la proboscide di Giovanni Angelo dè Medici supera in grandezza quella del suo esimio predecessore, e che anche il naso di Giovanni Maria Ciocchi del Monte, Giulio III, il papa dei due primi periodi del Concilio di Trento, non scherza e ha anche una divisione sulla punta che lo rende simile ad un deretano di un baby. Ma Pio IV é un’altra cosa. Il ritratto lo ha dipinto un certo Pulzone – da non confondere con il Puzzone: cioè Mussolini – e si trova nella Galleria di Palazzo Spada a Roma. Chi invece ha un naso contenuto, quasi nella normalità, e un volto infinitamente stanco, è il Giulio II di Raffaello – forse il più affascinante dei ritratti dei pontefici. Giuliano Della Rovere detto «il Terribile» è il papa che quando Michelangelo fece il furbo e gli rispose picche dall’alto dell’impalcatura utilizzata per dipingere la Cappella Sistina, lo minacciò di farlo volare a calci nelle chiappe giù dal ponteggio. Ma non perdiamo più tempo dietro alle proboscidi pontificie e concentriamoci sulla Gorgone Olimpia.
Diego Rodriguez de Silva y Velasquez esce dalla stanza intimorito dalla presenza della Medusa; appena il pittore chiude la porta la Maidalchini apre lo scrigno, contenente il Velo di Marta e si scaglia come una furia, sullo sventurato Innocenzo, urlando: «Questo straccetto lo volevi comprare per 5000 scudi, vero?». «No… no… ci stavo pensando… dicono che sia il Velo autentico della Veronica anzi di Marta…». «Ma come… vuoi spendere tutti quegli scudi su un pezzo di tela del cavolo? Ma sei fuori di testa?». «Ma no… ci stavo solo pensando, carissima… e se tu non ritieni opportuno non lo compriamo… ci mancherebbe altro…». «Se non lo ritengo opportuno? Ma allora non sai cosa mi ha detto Donantonio de Fabritiis…». «E chi è?». «Ma quello che ha regalato l’immagine di Manopello ai Cappuccini…». «Quando?». «Ma nel 1638… bestione!». «Ma non urlare carissima… ti sentono tutti… si… ora ricordo… ma che ha detto?». «Mi ha spiegato che Paolo V adottò misure speciali per mettere fine al commercio dei veli… ce ne sono centinaia in giro…». «Si lo so… ma lascia che ti spieghi…». «Ma non devi spiegarmi nulla, testa di legno! Devi solo ascoltare… lo sai che il fetente bolognese Alessandro Ludovisi, seguendo il consiglio del suo maledetto nipote Ludovico fece eseguire solo due copie della Veronica e minacciò di scomunica tutti quelli che ne facevano altre? E non solo… Donantonio de
Fabritiis mi ha detto che il fiorentino, quell’altro fetente di Maffeo Barberini, cioè il tuo precursore non solo proibì le copie ma fece distruggere tutte le riproduzioni della Veronica… «Si, lo so… il maledetto si arrabbiò moltissimo dicono che ebbe un attacco di bile… ma io volevo comprare il velo per far dispetto agli amici di Gregorio…». «Ah si, bestione? Ma è un falso… il Vescovo di Pordenone, con quel bel faccione giulivo e avvinazzato ti ha rifilato una bufala per una somma immensa di scudi… ma sei pazzo?». «Ma no… carissima… non lo prendo il velo… però un sant’uomo aveva avuto una visione strana… ecco… non ricordo il nome…». «Ma chi se ne frega dei sant’uomini, gli scudi sono scudi… pensiamo alla nostra famiglia! Ora ti mando il Cardinale Chigi, quella vipera color porpora, e tu fai restituire la reliquia a chi di dovere… va bene?». «Certamente cara…». Velasquez dopo la sfuriata della Gorgone Olimpia rientra nella stanza e si accorge che le pieghe del cappa magna sono sconvolte e pensa: «Pero esta jodida puta justo ahora tenia que venir. Ah mujer de mierda!». Giambattista Pamphilij si ricompone: «Maestro, forse avevano ragione i Padri del Deserto quando definivano le donne come espressione del potere satanico…». «El aguijon del esorpion». «Il pungiglione dello scorpione? Eh… vero! Ben detto… però quella leggiadra fanciulla che ha dipinto di spalle… che meraviglia…». «Molto bella… si…». «Una sua amante… vero?». «Dios no lo quiera Santidad, estoy felizmente casado, con la figlia del grande Francisco Pacheco, Juanna… quello che la Chiesa unisce non può essere diviso, neanche per una volta… è peccato mortale!».
«Eh si… però davanti ad uno spettacolo del genere… eh? La carne è debole e dopo il peccato d’Adamo occorre un po’ di comprensione…». «Mmmmm… beh…» bofonchia il pittore ma pensa «Pues si, tu la jodes de verdad a tu puta. Pena que tambien la haces mandar…» che significa «Si… però la tua puttana te la fotti». «Certo meglio dipingere cortigiane che Filippo IV…». «Ma no… il sovrano ha un volto piacevole…» dice Velasquez ma pensa «Una cara de mierda». «Ma via, Maestro una bruttezza agghiacciante… a me lo può confessare…». «No, santità un volto interessante…» dice ma pensa: «Hai ragione papaccio: Felipe parece un cabron de mierda». «Lei è molto diplomatico, maestro…» «Però, devo ammettere che preferisco dipingere volti più provati dalla vita… per esempio mi ha dato una gran soddisfazione dipingere un portatore d’acqua, una vecchia che frigge delle uova, il buffone di Corte e i volti di popolani in un dipinto di Bacco… disculpe Santidad, no se altere por el amor de Dios, no decomponga los plieghes de su capa magna!». In quel momento il segretario pontificio annuncia l’arrivo del Cardinal Fabio Chigi. Il Cardinale entra e chiede: «Ha chiesto di me Santità?». «si… Eminentissime Domine, si faccia dare subito da mia cognata lo scrigno contenente la falsa Veronica e lo consegni subito al Vescovo di Pordenone che lo ha portato fino a Roma… è arrivato in Vaticano con uno strano frate che non diceva una parola, ma ho intuito un terribile disprezzo nei suoi occhi… forse é un fanatico eretico…». «Lo farò Santità…». «E basta con questi benedetti veli: bruciamoli tutti!».
«Anche quello nello scrigno, Santità?». «No quello, Eminentissime Domine, lo restituisca al Vescovo di Pordenone… una domanda: ma chi ha venduto il Volto Santo di Manopello a Donantonio de Fabritiis?». «Mi pare che sia stata una certa Marzia Leonelli, lo vendette per pochi scudi… nel 1618 se non vado errato…». «Quanti scudi?». «Quattro, mi pare… le servivano per riscattare suo marito dalla prigione di Chieti…». «E quel velo è l’autentica Veronica?». «Per me no… ma secondo il Cappuccino Donato da Bomba il velo di Manopello è quello autentico… lo ha scritto nella sua «Relatione Historica» inviata al Ministro Generale Innocentio di Caltagirone… Ha scritto che é stato un angelo a consegnare l’immagine al fisico Giacomo Antonio Leonelli». «Ma pure questa storia dell’angelo non sarà un’altra panzana?». «Certo è una cosa ben strana, Santità… ma riguardo al velo di Marta il Vescovo di Pordenone, che è un sant’uomo, mi ha parlato di una visione ricorrente di un mistico se Jean Jacques Olier, il curato di Saint Sulpice…». «Non ricordo…». «Ma si, il prete che ha avuto come direttore spirituale Vincenzo dè Paoli…». «Un nostro figlio diletto… ma questo mistico che vedeva?… Ah si, ora ricordo un uomo nero su una spiaggia desolata… ma che panzane, Eminentissime Domine… che panzane… restituisca tutto… Olimpia mi ha spiegato che non vale nulla quel velo…». «Se lo dice sua cognata, Santità, bisogna ascoltarla: è molto perspicace…» chiarisce il cardinale ma pensa: «La prostituta babilonica gironzola, pontifica e giudica tra le volte del Tempio di Dio».
«Fa dell’ironia?». «Lungi da me un’idea del genere, Santità, riconosco il valore dei giudizi di sua cognata…» dice Chigi ma pensa : «dovremmo strangolarla e squartarla quella puttana!» Mentre il Cardinal Chigi, futuro Alessandro VII, si ritira, Diego Rodriguez de Silva y Velasquez supplica il pontefice: «Disculpe, no se mueva mas Santidad por el amor de Dios!» Ma pensa: «Estate quieto cabron de mierda!» Innocenzo X annuisce e sorride. Il 7 gennaio del 1655 Innocenzo X muore e la gorgone taccagna si rifiuta di pagargli la bara. Fabio Chigi diventa Alessandro VII e Olimpia finisce tra la spazzatura della storia. E il velo? Il Velo umiliato ed offeso, per molti anni, svanisce.
*****
Tutti sanno degli ultimi miracoli, mio padre li descrive nei dettagli nel Diario Segreto. Mosul sta fuggendo dai media impazziti, Erminio si rifugia a casa prima della partenza per l’Italia, Bonzo sta male ed Erminio, dopo averlo vituperato per anni, è mortalmente preoccupato. «Non lasciarmi cucciolone» prega in lacrime. I due stanno preparandosi per partire e per cercare la tomba di Guy de Nuitville e visitare quella di Boemondo a Canosa di Puglia. È il 7 giugno del 2044 quando giunge, come un fulmine a ciel sereno, la notizia dell’ultimo miracolo di Quimper.
Gesù devastato dalla follia della Howell – che sta impazzendo perché lo ha colto con una cameriera venezuelana, mugolante, in uno sgabuzzino tra scope, secchi di plastica e Hoover robotizzati – decide di partire per evitare sfuriate nevrasteniche. Betsy licenzia la cameriera tra urla furibonde disseminate di «fucking bitch» e Gesù la porta via con sé, piangente, in Alaska: non sapendo guidare le macchine a idrogeno Juana Inez Estrada, che ha la patente, risulta utilissima. E non solo per quello. Quimper di soldi ne ha a palate ma odia toccarli. Juana Inez non è una bellezza, ma ha una gran dote: una profonda umiltà e una capacità innata di concedersi senza esitazioni con l’anima e con il corpo. Inoltre, ha un dono quasi unico per una donna di questo secolo: parla pochissimo e credendo che Gesù sia il figlio di Dio gli si dona con assoluto slancio. I due arrivano con un Ely – Fly a Prudhoe Bay, dove hanno costruito da poco un nuovo Eliporto, affittano una macchina ad idrogeno, partono verso Fairbanks e si fermano a Sagwon, Dietrich e Wiseman. Arrivano a Fairbanks dopo quattro giorni. Quimper è estasiato dall’Alaska che chiama “la terra dell’anima”, mentre Juana Inez si lamenta per l’eccessivo freddo. Gesù e la venezuelana sostano a Fairbanks per due giorni, e sfogano la loro ione in un grande albergo all’angolo tra la Cowless Street e la Fifth Avenue. Dopo due giorni decidono di partire per Anchorage visitando, strada facendo, il parco di Denali ove si fermano per una notte. Giunti nella grande riserva naturale vedono gli orsi, il giorno dopo prendono la George Parks Highway e sostano a Talkeetna. Il mattino dopo sono ad Anchorage dove dormono nel «down town» Hilton. Il giorno dopo, mentre visitano la città, all’altezza della Ninth Avenue e di Cordova Street incontrano una donna segaligna di mezz’età che riconosce Gesù e comincia ad urlare: «Alleluja! The Saviour has come! The Saviour is here!» Dopo pochi minuti una folla di almeno duecento persone si è riversata sulla strada, Quimper accenna ad una fuga ma cento mani lo toccano, lo tirano, lo bloccano. Un uomo grida: «Impostore! Puttaniere!». Un altro si avventa addosso all’uomo che ha urlato. Juana Inez trema. Cominciano ad arrivare i malati. Uno in particolare incuriosisce Gesù: è un giovane magrissimo affetto dal morbo di Aurich che ha mietuto dieci milioni di morti nel mondo. La malattia, una forma calamitosa di AIDS, ma molto più letale, ha fatto strage tra i gay e i cultori dell’amore promiscuo. Il giovane dai modi effeminati, si avvicina a Gesù e lo supplica: «Figlio di Dio trascinami fuori dall’orrore della notte!».
«Chi sei?» Chiede Gesù. «Sono un cantante…». «Famoso?». «Abbastanza…». «Ma che suoni il Rock n’Roll?». «Noooo… il Rock è vecchio… suono il Move and Groove…». «Ah ecco… a me non piace… ma che vuoi?» «Fammi vivere Aba… io amo la vita…». «Eh si!… volete tutti vivere: l’attaccamento eccessivo alla vita è una perversione mentale! Però non chiamarmi Aba… ok?». «Tu hai il potere dall’Altissimo, Aba! Curami… fai uscire da me questo demone che mi consuma…». «Beh… non è un demone è un’altra cosa… è una fottuta malattia!». «Curami…» il gay è caparbiamente insistente ed intimorisce Gesù con i suoi occhi allucinati. Quimper mormora: «Che attaccamento mostruoso alla vita! Fai impressione! Pure un po’ schifo…». «E che c’è di male, Aba, io amo vivere… curami…». «Ma sei credente?». «Certo…». «E credi alla Resurrezione del Corpo?». «Sure man… !». «E allora perché sei tanto attaccato alla vita?».
«Mi piace suonare il Move and Grove… curami Aba!» «E sia!» dice Gesù «sei attaccato morbosamente alla luce del sole… e piantala con l’Aba!». Poi prende la testa del giovane tra le mani, lo agita fortemente e lo fa stramazzare a terra. Il volto del giovane che era mortalmente pallido cambia colore. Si alza e urla: «Sono integro! Sia resa grazia al Signore!». Gesù vacilla. Poi crolla tra le braccia di Juana Inez che grida: «Chiamate un taxi… è svenuto». La folla schiamazza per lo stupore. La donna segaligna innalza un inno all’altissimo: «Beato chi viene nel nome del Signore e giunge dal Monte di Zion!». Gesù che ha ripreso conoscenza sente il cantico e mormora: «Ma che c’entra il Monte di Zion?». Riesce a fuggire a stento inseguito dai media locali che sono accorsi in massa, raggiunge l’albergo e dice alla venezuelana: «Mi sono sentito svuotare come un otre bucato. Lo spirito è fuoriuscito da me». Quimper capisce che quello è il suo ultimo miracolo. Per tre giorni arde di febbre ad Anchorage. Poi improvvisamente si riprende e ha la sensazione di essere un’altra persona. Decide di partire per l’Ultima Thule del continente americano: la città di Nome, che ha donato il proprio oro, frammisto alla sabbia nera delle sue spiagge, a tanti disperati. Affitta un Ely- Fly e parte fermandosi a Mc Grath e Unalakleet. A Nome resta tre giorni. Poi parte per Kotzebue e eggiando lungo il lungomare della cittadina, prova quello che Isabel sperimenta davanti alla luce della quotidianità di Vermeer e mormora a Juana Inez: «Questa è la luce degli occhi di mio Padre, la luce artica è la luce delle pupille di Dio». Si ferma a Kotzebue per tre giorni ed esplora alcune zone dei Parchi nazionali con un Solotrek - xky. Vola da solo – la venezuelana ha paura dei piccoli aviogetti – sul Noatak National Preserve e sul Kabuk Valley National Park.
Mentre vaga sul molo di Kotzebue, Quimper riceve la notizia del secondo tentativo di suicidio della Howell. E nuovamente risponde: «Lasciate che i morti seppelliscano i morti». Più lapidaria è Juana Inez: «Pero esta puta no se muere nunca…» L’ultima volta che la gente vede Gesù è il 18 Giugno sul lungomare di Kotzebue, poi Quimper sparisce con Juana Inez e non torna mai più dalla Howell. La Howell si riprende miracolosamente dal secondo tentativo di suicidio e si consola con James Ackland – l’attore canadese del “L’Arcano Abominio”: il grande Horror del 2041 diretto dal canadese Emily Parks-Jones. E Mosul? Mosul il 7 giugno del 2044, è disteso sulla spiaggia di Varadero, a Cuba, con Isabel. Dal 3 Giugno, dopo l’incontro con Zaino ha peregrinato per l’Isola visitando Santiago de Cuba, Camaguey, Trinidad, Cienfuegos, Santa Clara, Playa Giron, la famosa Baia dei Porci e ora riposa a Varadero. Mio padre muore d’invidia: ha sviluppato una ione senile per Isabel Gutierrez de Mendoza; Mosul è più distaccato: si gode il prelibato sesso ma ama molto conversare con la cortigiana messicana. Quando giunge all’Havana, il 10 giugno, l’Anticristo, scopre che la città è drammaticamente cambiata. La fine del comunismo ha risolto il problema della fatiscenza delle case crollanti, ma ha trasformato la città in un grande prostibolo. Tutti offrono i loro servizi ai turisti: gay, transessuali, travestiti neri, mignotte classiche e meno classiche e bambini d’ogni età e sesso. Gli americani hanno investito soldi a palate e hanno cambiato il volto dell’isola, ma il salto dal comunismo castrista al capitalismo selvaggio ha trasformato Cuba in un grottesco bordello, ove i poveri sono alla fame, mentre una minoranza chiassosa e volgare – composta da mafiosi, politici corrotti e capitalisti rampanti – guadagna montagne d’eurodollari trafficando con carne umana, White Lux, Rumelia e Cocaluce. Le multinazionali Usa controllano tutto. Si vedono ovunque grandi negozi, macchine a idrogeno e aviogetti d’ogni tipo che si librano nel cielo dell’isola. Nel mezzo del trionfo cannibale del libero mercato, sussiste, però, una minoranza silenziosa che sogna un ritorno del castrismo, magari stemperato dal furore rivoluzionario. Il Partito Comunista è diventato il Partito del Lavoro e della Libertà e ha raccolto nell’ultima elezione, che si è
svolta nel 2042, oltre il 36% dei voti. Un’alleanza di centristi, cattolici e forze emergenti dall’emigrazione di Miami è al potere dal 2010 ma costituisce una coalizione traballante e rappezzata sostenuta dalle armi americane. Il tentativo di golpe del 2033, che aveva avuto ottime possibilità di successo, era fallito a causa dell’intervento statunitense. Ma le scritte sui muri, come un fuoco che brucia sotto la cenere, fanno pensare ad un sogno di rivincita. Sono attivi, infatti, due movimenti terroristici, che ricordano le vecchie Brigate Rosse italiane: la “Sierra Maestra” e il “17 Aprile 1961” – la data del fallimentare sbarco dei profughi cubani sbaragliati dalle forze castriste alla Playa del Giron. Il Centro – Destra al potere ha elevato un monumento ai caduti del 1961; e i brigatisti lo hanno sbriciolato con una bomba CARZ 28. L’8 giugno Isabel legge sulla “Prensa libera” la notizia del miracolo di Gesù. Mosul ascolta con interesse e ride: «E ti pareva… chissà che cosa significa tutto questo?». Il 15 giugno Mosul eggia con la messicana nel centro dell’Havana. Vagabondano lungo il Malecon e l’Avenida del Puerto, visitano la cattedrale e poi prendono la Obrapia e si dirigono verso L’Accademia delle Scienze. Nella piazza un travestito nero che batte nella zona, lo riconosce. «Hijo de Satan !» grida. Isabel interviene: «Que te jodan, maricon de mierda !» ano pochi minuti e una folla considerevole accorre da tutte le direzioni. Arriva anche la polizia municipale. L’assembramento è composto da laici, che ammirano Mosul, e cristiani, che lo detestano. Scoppia un parapiglia all’angolo tra la Obrapia e l’Avenida Italia. Mentre la gente urla e si strattona, una piccola nera, con un cucciolo tra le braccia, cerca di farsi largo nella calca. Mosul la vede, si dirige verso di lei e le chiede: «Che vuoi piccola?» Isabel traduce. La bambina risponde: «Voglio che salvi il mio cane!».
«Ma è morto?» «Todavia no.... ayudame.....se esta’ muriendo!». Mosul prende il cucciolo e lo solleva in aria e lo scuote. In un attimo il cagnolino si riprende, scodinzola e gli lecca la mano. L’Anticristo lo bacia sul muso. In quello stesso istante, sono le 15,31 cubane e quindi le 21,31 inglesi, a Ilfracombe, Bonzo si solleva dal suo lettino di morte e comincia a leccare le orecchie di Gracco. Mio padre resta sbalordito e non capisce. Capirà più tardi. La piccola prende il cucciolo e chiede: «Que tengo que hacer para ser buena?». Mosul risponde – mentre Isabel traduce-: «Un uccellino mi ha spiegato quello che devi fare per essere buona, ascoltami: esci da casa tua quando la luce del giorno nasce o muore, all’alba o al tramonto; ma è meglio al tramonto: così puoi dormire. Quando sei fuori in un luogo solitario, saluta tutti gli esseri viventi allargando le braccia, con le palme delle mani rivolte verso il cielo, fissando la luce nella direzione del sole, ma non il sole. Il sole non va fissato, ricorda, acceca, solo la luce va fissata. Resta in silenzio per un minuto. Poi dì alla Luce: discendi su tutti quelli che amo e che non amo e su tutti gli esseri sofferenti del mondo. Subito dopo inchinati verso le quattro direzioni della terra: nord, sud, ovest ed est dicendo: Pace a voi esseri tutti e che la Luce infinita sia con voi. Questo mi ha detto un uccellino. Mi hai capito?». «Si… gracias». «Ora vai…» poi rivolto ad Isabel: «Mi sento mancare è come se fossi svuotato di vita…». Dopo il miracolo, Mosul, bloccato dalla folla impazzita, riesce con gran difficoltà a rientrare all’Hotel Havana Libre. Brucia di febbre per tre giorni. Isabel lo cura.
Restano a Cuba fino al 18 giugno. Il 18 giugno l’Anticristo parte per l’Italia mentre Isabel prende uno IOVE 6 per Londra: l’attende una ricca marchetta con un grasso sceicco dell’Omar. Mosul incontra Erminio a Roma e insieme prendono un treno monorotaia Swift alla volta di Barletta. Mio padre gli dice: «Bonzo è improvvisamente guarito!» E Mosul ride.
L’isola dell’Uomo Barbuto
Il 19 giugno del 2044, mio padre e Mosul raggiungono Trani. Mio padre è stato informato che in una chiesa, Santa Maria de Russis, dedicata nel 1645 a San Giacomo, dove sono conservate le spoglie del patrono della città San Nicola Pellegrino, è crollata una parete e sono emerse due tombe rimaste nascoste da secoli. La prima è quella di un Normanno della dinastia di Aversa e Capua, Giordano de Hauteville, la seconda invece, è probabilmente quella di Guy de Nuitville. Su un lastrone distrutto di pietra, si legge: «HIC IACET GUI… NOCT… URB…» Mio padre è sicuro, quella è la tomba del crociato. Il tempo confermerà la sua giusta intuizione: «HIC IACET GUIDUS NOCTISURBIS». La chiesa è molto strana, é stata eretta nel periodo della morte di Guy, nel XII secolo. L’amico di Boemondo, quindi, fu probabilmente sepolto nel tempietto da poco costruito. La facciata è incredibilmente originale. Davanti al portale romanico, due elefanti stilofori sostengono suggestive figure: a destra un nobile grifo, a sinistra un leone che serra tra le fauci un piccola preda, forse un coniglio. Sulla facciata c’è una prima linea di nove grottesche e cariatidi. E sopra a questa prima linea c’è una seconda linea di cinque grottesche, secondo lo stile romanico. Nel terzo rettifilo appaiono venti rappresentazioni di animali e di volti umani. C’è uno stemma sul portale e all’altezza del primo segmento delle rappresentazioni grottesche si aprono piccole finestre ad arco. In alto sulla sinistra sorge un campanile a vento, semplice e lineare, come tutta l’architettura del posto. Più che una chiesa, San Giacomo sembra un piccolo maniero bianco abitato da un signore spettrale e bizzarro. I due entrano nella chiesa e Mosul osserva, sorridendo, mio padre che commosso cade in ginocchio sulla tomba del normanno. Erminio sfiora con le dita della mano destra la lastra di pietra e piange. Il suo petto è scosso dai singhiozzi. Mosul è sorpreso. «Pace a te Guido de Nuitville… ma tu non sai che hai combinato!» mormora Erminio prima di alzarsi e uscire. I due si dirigono verso il porto seguendo con lo sguardo il molo che come un serpente marino scivola nell’acqua sino al largo. Il mare Adriatico
commuove profondamente Erminio che pensa: questo é un mare umile, dai colori tenui, pastello, di un verde-blu cangiante, ha una bellezza triste, morente, accoglie lo splendore d’antichi porti decaduti, ha una voce fievole, e sembra solcato da navi fantasma. Proseguono e giungono finalmente ai piedi della fluttuante cattedrale di Trani, che si erge sulle acque, in tutta la sua luminosità malinconica, come se non avesse peso, quasi fosse trasparente. Sembra un candido veliero alla deriva, cullato tra il blu del cielo e del mare. Il sole, che riverbera sul bianco delle pietre, è accecante; un vento marino e profumato di salsedine inebria e allevia il calore estivo, di solito insostenibile. Mosul ed Erminio contemplano silenziosi le mensole zoomorfe, gli archi ciechi, i leoni e gli elefanti stilofori, dall’occhio eternamente fisso, e la sublime porta di Barisano. Mio padre spiega a Mosul che il tempio fu edificato sulle spoglie di un pellegrino greco chiamato Nicola che appena giunto a Trani, dopo il suo lungo peregrinare, era deceduto per gli stenti. Uscendo presso le scale trovano un gattino morto. Mosul lo raccoglie e lo seppellisce tra gli scogli coprendolo con delle pietre. Erminio mormora: «Lo splendore è sempre coronato dall’orrore». Poi tornano a Barletta. Di cosa parlano il 19 giugno Mosul e mio padre? Chi ha letto “Il Messia Limitato” lo ricorda. Mosul parla del boia saudita, amico di suo padre Seyyed, che risponde al nome di Mahmoud ed è il nipote del famoso carnefice Saad al-Beshi che tagliava almeno sette teste al giorno e raccontava di essere contento di farlo perché quello era il volere di Dio. Mosul narra che Seyyed gli raccontò che il boia usava andare presso le famiglie dei condannati a chiedere perdono prima dell’esecuzione e che nel momento dell’uccisione i condannati non provavano paura perché recitavano mentalmente la «Shahada». Spiega che le donne, nei momenti finali, erano coperte dallo «Hijab», e solo il carnefice poteva avvicinarsi ai loro corpi; i condannati sceglievano un’arma che spesso era la spada ma poteva anche essere la pistola, e dopo le esecuzioni Mahmoud dormiva come un ghiro. Spiega che quando la monarchia saudita crollò nel 2008 ed i rivoltosi ispirati da Bin Laden s’impossessarono dello Stato, il lavoro del boia divenne ancora più faticoso e ricercato. I giovani turchi che s’impossessarono dello Stato crearono una Repubblica Islamica sulla falsariga dei Taliban in Afghanistan. Poi, quando nel 2027, la Repubblica Islamica implose – a causa del prezzo del petrolio che crollò per l’utilizzo occidentale delle fonti alternative d’energia – fu sostituita da un governo moderato che fu costretto a lottare perennemente contro il terrorismo islamico.
E mio padre cosa risponde? Dice che gli uomini s’inventano tutto: Dio e le sue leggi sono solo convenzioni sociali e culturali: se Mahmoud, dormiva sonni tranquilli mentre nuotava in un mare di sangue ove galleggiavano teste mozzate, pure Fra Satana, il scano croato Tomislav Filipovic Majstorovic – che Dio l’abbia in gloria – se la ronfava beato tra i suoi Ustascia, nel campo di Jasenovac; e mentre russava 700.000 Serbi, Ebrei e Rom venivano sterminati dalle cristianissime truppe del suo amico Ante Pavelic. Erminio dice a Mosul: «Dio è una cosa che ti aggiusti come il cappello che porti in testa: te lo puoi mettere sulle ventitré, o come un gigolò se, o rivoltato all’indietro come lo portava Baggio». «E chi era Baggio?» chiede Mosul. «Un Calciatore –cacciatore – buddista» risponde mio padre e sospira «ne ho sentite di stronzate nella mia povera vita, ma questa, come l’aglio strafritto, è difficile da digerire». Che altro dice Mosul a mio padre in quel giorno? Gli racconta che quando un uomo, in Iraq, si salva da un pericolo sgozza una pecora. Se un iracheno si salva da un rovinoso incidente stradale, sparge il sangue di un ovino sui vetri e sulla carrozzeria della macchina, e poi dona la carne dell’animale ai poveri. Gli racconta, con orrore, una cosa che suo zio Tarif – il comunista che odiava le religioni e che non smetteva mai di informarlo sugli orrori delle fedi monoteiste – sempre gli ricordava. David che dopo le sue notevoli malefatte, per ottenere il perdono di Dio, condusse, coperto solo da un perizoma, una processione di 30.000 ebrei sul Monte di Zion, ballando come un folle. Ascendeva il monte, precedendo l’arca, che conteneva le tavole rotte della legge, sacrificando continuamente bestie a Jahvé; e quando giunse sulla cima del monte – inebriato, impazzito, inzuppato, infradiciato di sangue innocente – si convinse che l’Eterno l’avrebbe perdonato. Mosul racconta di aver letto, nella «Vita di Ibn Ishaq», di un’ebrea di Khaybar che intimò ad Abd al – Muttalib, padre di Maometto, di offrire in sacrificio cento cammelli, per evitare l’immolazione di suo figlio, e di accertarsi che le povere bestie venissero offerte in olocausto tra le rocce d’Isaf e Naila, i due amanti pietrificati da Allah per aver copulato a un centinaio di i dalla Ka’ba. E gli
racconta dell’orrore che aveva provato da bambino il primo giorno della Festa del Sacrificio quando i musulmani, per ricordare il sacrificio d’Abramo, prima di mezzogiorno, sgozzavano centinaia di migliaia di pecore. Gli racconta del Tempio edificato da Salomone e consacrato col sangue innocente di numerosissime bestie. E dell’ingiunzione di Esodo 22:28,29 di sacrificare il primo nato, bambino o animale, al padre di Gesù. Jahvé, infatti, ordina che: «Sette giorni» il neonato «può rimanere con la madre e l’ottavo lo dai a me». È il 20 giugno e i due partono alla volta di Canosa di Puglie per visitare la tomba di Boemondo. Il giorno prima, ritornando a Barletta in treno, mio padre ha raccontato a Mosul la storia del ritorno della foca monaca nell’isola di Zannone, che si trova nei pressi dell’Isola di Ponza. Erminio ama la foca monaca per il suo silenzio quasi mistico, per i suoi occhi grandi ed espressivi, e il suo ritorno presso la piccola isola selvaggia lo commuove. Mosul ascolta il racconto della “Monachus monachus”. Mio padre spiega che nell’antichità la foca, era sacra a Febo Apollo e a Poseidone, il torturatore d’Odisseo, ma che i Romani, spietati imperialisti anche verso il mondo animale, la cacciarono crudelmente. Spiega che il mammifero vive, in assoluta e splendida solitudine, evitando contatti con gli umani, e cerca sempre spiagge irraggiungibili per allevare i suoi cuccioli. Spiega che un tempo, la foca, abitava le coste dell’ex Sahara Spagnolo – che è ora parte della macroregione degli Stati Uniti dell’Africa del Nord – e quelle della Turchia, della Siria, della Libia, della Tunisia, dell’Albania e della Croazia; e che da tempo è giunta anche in Italia, e vive presso le coste della Sardegna, della Calabria, della Sicilia e delle Puglie. Erminio dice che la colonia più grande si è insediata nell’Isola di Zannone, e che in seguito al suo arrivo tutte le imbarcazioni devono girare al largo, perché i difensori del Monachus Monachus minacciano spietate rappresaglie. Un pescatore che ha ucciso un cucciolo, dopo due giorni è stato trovato morto. Il Mediterraneo ha raggiunto ormai livelli di micidiale riscaldamento: oltre i 29 gradi. Si scatenano uragani come se la Sicilia fosse la Florida: ogni perturbazione è una calamità. Si trovano ovunque fenicotteri e numerose specie tropicali di pesci che dimorano nel Mediterraneo. Il barracuda è presente in molte zone e così il pesce palla. Il Mare Nostrum è ormai un mare che bolle ed assomiglia sempre più al Golfo del Messico. L’Europa del Sud si è desertificata e
tropicalizzata, il mare Adriatico presso la costa croata raggiunge i 30 gradi, l’effetto serra è ormai incontenibile. La circolazione atmosferica è radicalmente cambiata: l’Anticiclone delle Azzorre è svanito nel nulla. Il Sahara alita continuamente il suo respiro afoso sul continente europeo. La pioggia ristoratrice è divenuta monsonica e grandinifera. Il racconto della foca e dell’isola impressiona Mosul che quella notte sogna qualcosa d’arcano. Vede un uomo biondo, gigantesco, possente, che gli si avvicina su un litorale, che sembra essere una spiaggia della Bretagna, e gli mostra un portachiavi con uno scudo a sfondo azzurro, con bande trasversali a scacchi rossi e argentei, con ai lati delle armi. Glielo fa oscillare davanti agli occhi e gli dice ridendo: «Dis donc, ça suffit, mon chère, il faut consumer toutes les choses dans la petite Isle de l’homme barbu». Il gigante ha jeans laceri e strappati al ginocchio, come si portavano un tempo, una camicia bianca e stracciata e sta mangiando un panino. Ha occhi luminosi, color cielo, afferma d’essere amico di Sabino e gli mostra anche un leone di bronzo che stringe tra i denti un anello. La peculiarità del sogno è la sua leggerezza. L’uomo sorride e appare agli occhi di Mosul come un simpatico mascalzone. Sembra un tipo che se la prende assai leggera. Il sogno termina con il biondo gigante che dice: «Valli a capire quelli lassù!». Mio padre ascolta la narrazione del sogno e non ha esitazioni: «Quell’uomo è Boemondo!» E chiede: «Ma qual è la piccola isola dell’uomo barbuto?». Il 20 giugno mio padre e Mosul arrivano a Canosa. Boemondo li attende. Sono le 10, 35. Erminio ricorda la cittadina agli inizi del secolo: la stazione aveva l’aria di una Kashba, e a sinistra di Corso Garibaldi c’erano terreni incolti. Ora è tutto costruito, il verde è sparito, al suo posto si vedono numerosi palazzi bianchi. I due camminano lungo Corso Garibaldi, poi girano a destra seguendo Via Piave, tagliano per Vico Emanuele de Deo e raggiungono la cattedrale completamente restaurata. Fa molto caldo. Nessuno li riconosce. Hanno parrucche e baffi. Entrano dalla porta principale e proseguono, attraversando la navata centrale, verso l’abside ove ammirano il trono di Romualdo. Continuano a visitare la chiesa: quando mio padre vede la statua di Sant’Alfonso dÈ Liguori sussurra a Mosul: «Che senso
mi fanno questi santi cadaverici!» Mosul ride. Procedono verso il ciborio e si fermano sotto l’ambone d’Acceptus con un’aquila scolpita sotto il lettorino. Con calma osservano quattro tele di santi: Ruffino, Probo, Memore e Pietro Longobardo. Mio padre sbuffa: «Che noia questi santi uomini!» Arrivati davanti al busto argenteo di San Sabino, Erminio esclama: «Ecco l’amico di Boemondo! Lo salvò dalla morte per peste e gli era devoto. È il Sabino del suo sogno». Arrivano presso il mausoleo di Boemondo, che è addossato al muro esterno del transetto della chiesa, e osservano i capitelli bizantini accuratamente restaurati. Il mausoleo è una costruzione a pianta quadrata con una cupola in stile orientale. Entrano sommessamente: una ragazza dai capelli corvini, in uniforme azzurra, apre la porta. Mosul si ferma a guardare le porte bronzee di Ruggero da Amalfi, e riconosce il leone del sogno. Mio padre stavolta non si commuove, come davanti alla tomba devastata di Guy de Nuitville, ma fa un gesto con la mano verso la lapide del normanno. Poi, rivolgendosi alle ceneri del Principe d’Antiochia, sussurra: «Sei proprio un “lovable rogue” – come dice sempre una vecchia signora inglese al mio cane Bonzo- sei un simpatico mascalzone! Quante ne hai combinate: per poco non diventavi imperatore di Bisanzio!» E a la mano sulla severa, austera lastra ove è inciso il nome del Normanno: «BOAMUNDUS». Ritorna verso le porte e legge l’iscrizione: UNDE BOAT MUNDUS QUANTI FUERIT BOAMUNDUS…» e traduce : «Boemondo di cui rimbomba il mondo…» Rimane in silenzio raccolto per pochi minuti e poi ode una voce che sta chiamando Mosul, il quale attirato dal richiamo esce dal mausoleo e guarda in alto verso la piazza. Vede un uomo col volto coperto che si sta sporgendo dalla ringhiera bianca a circa tre metri d’altezza dalle porte del sepolcro. Sono le 11,12. Improvvisamente mio padre ode un sibilo e vede Mosul stramazzare al suolo. Poi vede due uomini vestiti di bianco che si sollevano in volo su due Solotrek - Ux, l’ultimo tipo d’aviogetti personalizzati, e velocissimi svaniscono nel cielo di Canosa, nella direzione del Nuovo Ospedale. Mio padre solleva Mosul che ha il petto squarciato dai colpi di due MGR.28. L’Anticristo lo guarda con uno strano sorriso, gli stringe forte una mano e sussurra solo due parole: «Well… well!» Su queste due parole, paragonate da molti scrittori al «Perdona loro perché non sanno quello che fanno» di Gesù di Nazareth, si scriveranno fiumi di parole. Mentre Mosul esala l’ultimo respiro, dall’apertura del petto erompe una luce accecante che fa ricadere indietro mio padre, il quale paragonerà la deflagrazione luminosa all’esplosione che atterrò Paolo di Tarso
provocando la sua conversione. Erminio si piega sul corpo senza vita del giovane amico e piange disperato. Sono le 11,33. In quello stesso momento avviene l’incredibile fenomeno delle eruzioni vulcaniche. Eruttano il Vesuvio, il vulcano sottomarino Marsili, Alcione e Lamentini, Napoli è evacuata, Vassilov si scuote paurosamente e fa bollire il mare, riappare l’isola Ferdinandea, s’increspa il terreno dei Campi Flegrei, Stromboli s’impennacchia di fuoco, Vulcano fa fuggire la sua gente, l’Etna vomita fiamme e fiumi di lava. ano tre ore e, uno dopo l’altro eruttano spaventosamente il Taal, nell’isola filippina di Luzon, il Three Sisters, nella regione vulcanica dell’Oregon, si spalanca un’apertura vulcanica nel lago di Yellowstone nello Wyoming, dal Mammoth Lakes in Long Valley, nella California semisommersa dall’oceano, fuoriesce una buriana di fuoco, le Piccole Antille sono sepolte da una valanga di cenere: i vulcani della Domenicana, quiescenti da 28.000 anni, s’impennacchiano di fiamme, il Cumbre Veja, quiescente dal 1971, esplode letteralmente a Las Palmas, una delle isole Canarie, e un micidiale «tsunami», un’onda anomala, di proporzioni mai viste, travolge El Aajun, nel Sahara Occidentale, Tenerife, le isole Canarie, e provoca ingenti danni fino a Dahkla e ad Agadir. Durante le eruzioni, tutti i Green Man d’Inghilterra cominciano a lacrimare sangue come madonne siciliane. Comincia quello di Fountains Abbey, poi quello di Sutton Benger, poi seguono quelli di Exeter, Beverley, Nantwich, Bristol, Leonminster, Abbey Dore, Tiverton, Powys, Hereford, poi gli altri. Tutti lacrimano sangue. I due fenomeni correlati sono stati ampiamente descritti. Un terremoto, in Toscana, fa crollare la Torre di Pisa che si frantuma in innumerevoli pezzi. Gli uomini che sono volati via erano vestiti di bianco e avevano una fascia verde che gli cingeva la testa. Più tardi la rivendicazione del gruppo Ansar ul-Islam chiarirà tutto. Una scheggia musulmana fanatica ha eliminato Mosul eseguendo la “Fatwa” dell’Iman dell’università di Al Azhar, Saleh Ismail Rantisi, che é seguita al “Tafkir”, la sentenza per apostasia, dell’Iman Abdelaziz Deif. La Universal – Pole in dieci giorni scopre i nomi degli assassini. Il primo assassino si chiama Ibn Kardouni ed emerge dalla bidonville marocchina di Toma, dal quartiere Sidi Moumen ed ha da poco eseguito la “Bay’a”, l’atto di sottomissione rituale alle autorità religiose, convertendosi all’Islam rivoluzionario. Il secondo si chiama Khaled Youseff ed è un universitario saudita. Entrambi sono stati influenzati dagli scritti di Abd al-
Salam Faraj. “Il Dovere Trascurato” è il libro che li ha formati. E proprio in Faraj si legge che coloro che deviano dagli obblighi morali devono morire. La nuova Ansar ul-Islam, già distrutta dagli americani e poi risorta, è stata influenzata dagli scritti di Maulana Abu al-Ala Mawdudi, il fondatore ideologo della Jamaat-i-Islami, annientata e resuscitata nel 2028. È la solita roba che cuoce nel calderone della follia musulmana dai tempi dell’avvento dell’Islam: il sacrificio di Husayn, gli usurpatori Ommayyadi, il movimento kharigita, gli assassini di Alamut, Bin Laden, i fratelli musulmani, gli Iman Sherati, il brodo sanguinolento salafita, il contorno di cipolle wahabita, il prezzemolo dei fondi del Muwahhidun – controllato ma mai bloccato-, la predicazione dei terribili Iman degli anni 2040 – 50: Rafiq Nasr, Seyyed Zakaria e Abu Bakr Khalidi. E su ogni cosa galleggiano nella brodaglia le due sure coraniche: la II,154 che invita a credere che coloro che «sono morti» «nel sentiero di Dio» «sono vivi» e la II,191 che afferma che «lo scandalo è peggio dell’uccidere».. Due Sure che hanno prodotto, producono e produrranno fiumi di sangue. Il corpo esamine di Mosul viene portato nel giardino della piazza, mentre la polizia arriva volando sui Solotrek. Quando la notizia della morte diventa pubblica, l’intera Canosa di Puglie si riversa in Piazza Vittorio Veneto. Mio padre, di quei terribili momenti, ricorda solo il corpo martoriato coperto da un lenzuolo bianco disteso frettolosamente nel giardino della piazza presso un rilievo di calcare – che rappresenta un uomo che uccide un cinghiale – e subito dopo, spostato e deposto dalla polizia-, per proteggerlo dalla folla pressante – presso una colonna mozzata con un fregio con due aquile. Si scatena una baraonda mediatica infernale. Mentre Erminio viene interrogato, il cadavere è sottoposto all’esame dell’Universal – Pole per tre giorni. Il resto è noto. Il 24 giugno, mio padre, va con il vecchio Gervasi, l’uomo che salva le tartarughe, a spargere le ceneri di Mosul nel mare di Trani, presso la cattedrale, nel luogo ove Mosul ha sepolto il gattino. Zaino li osserva, chinato in silenzio, da un punto lontano: troppa polizia nella zona, potrebbe essere riconosciuto. È inutile ripetere quello che tutti sanno: Erminio precipita in una cupa depressione e torna da Madame Pomeroy e dai suoi cani. Si rifugia in un luogo ameno chiamato Ludlow, un borgo inglese di case georgiane nello Shropshire, tra Hereford e Shrewsbury, e scrive “Il Messia Limitato”. Si chiude in una grande villa con alte mura e si fa proteggere da quattro “gorilla”.
I soldi ci sono. Il dolore è grande. Nell’angoscia e nella depressione più cupa scrive il suo libro che vedrà la luce il 7 giugno del 2046. È doveroso dirlo: Erminio amava Mosul come un figlio, e anche se è stato per me un ottimo padre, non ho esitazioni nel confermare che Mosul, per Erminio, era stato unico ed insostituibile. E io l’ho capito e accettato. Quello che si scatena dopo la morte di Mosul lo sanno tutti: Quimper abbandona ogni cosa, cambia aspetto e diventa un mendicante che vaga per le città americane con un randagio chiamato Tobias. La sua reazione per la morte dell’Anticristo è, sorprendentemente, disperata: come se gli avessero ucciso il fratello gemello. Nella sua ultima intervista concessa alla giornalista nera, ormai divenuta una “star” di prima grandezza, dirà: «Forse questa misera specie umana non va salvata!». Da quel che si dice diventa da quel momento casto: non toccherà più donne. Per alcuni anni lo vedono pellegrinare da città in città. Appare ad Alexandria in Louisiana, a Montgomery nell’Alabama, a Little Rock nell’Arkansas, a Kansas City e a Wichita nel Kansas. L’ultima volta che qualcuno lo vede è a Denver nel Colorado, là una signora riconosce il suo cane Tobias. Quimper è ormai irriconoscibile: ha cambiato il volto usando la chirurgia plastica. Ha vestiti strappati e vaga trascinando con sé la bestia scodinzolante. Dopo Denver, Gesù e Tobias svaniscono nel nulla, ingoiati dai bassifondi delle città americane. Dal 2046 non si saprà più niente di Quimper e del suo cane. Il Cardinal Bellestrini si spegne disperato.
*****
È il 16 ottobre del 1806, quando Ercole Consalvi, inviso da Napoleone – che lo detesta con tutto il cuore – entra nella stanza di Pio VII Luigi Barnaba Chiaramonti, si alza in piedi, sconcertato dall’espressione del suo fedele segretario, e chiede sbiancando: «Ha vinto nuovamente?» Consalvi mestamente risponde: «Santità, il 13 ottobre è entrato a Jena, il 14 sera
a Weimar, ed ora lo aspettano a Berlino. La via verso Berlino è spianata come i colli e le montagne di Giovanni Battista!» Pio VII sussulta e vacilla. Si a una mano sulla fronte sudata e crolla su una poltrona vellutata. Il 14 ottobre del 1806, la “Grande Armée” con i suoi 128.000 fanti, 28.000 cavalieri, 10.000 artiglieri e 256 pezzi d’artiglieria ha sbaragliato la “Quarta Coalizione” composta da Prussia, Inghilterra, Svezia e Russia. L’esercito se, schierato su tre colonne comandate da sinistra a destra da Augereau e Lannes, da Bernadotte e Davout e da Soult e Ney, si é scontrato con l’esercito della coalizione al comando del Duca Carlo Guglielmo di Brunswick (anche se nominalmente il commando apparteneva a Federico Guglielmo). Alle sette del mattino il principe di Hohenloe è avanzato verso Jena. I si hanno attaccato i Prussiani, al centro dello schieramento, con Ney e Lannes da destra, con Augereau al centro e con Soult da sinistra. L’attacco seguendo una strategia fantasiosa e imprevedibile ha scombussolato i rigidi piani dei Prussiani. La battaglia è rimasta incerta fino alle ore meridiane, poi, seguendo un preciso ordine di Bonaparte, Murat è intervenuto con la Guardia e ha risolto il combattimento sbaragliando i Prussiani. Ma non é finita: il generale Rüchel ha ri lo scontro gettando nella mischia i rinforzi: 20.000 uomini. Non c’è stato nulla da fare: i Prussiani si sono ritirati disordinatamente. È stata la fine: il Duca di Brunswick, durante la ritirata, è rimasto mortalmente ferito. Trenta generali sono morti. Ad Auerstadt, intanto, a pochi chilometri a Nord di Jena, si è consumata la disfatta finale del grosso delle forze prussiane sconfitte dalle truppe comandate da Davout. La sera dello stesso giorno Napoleone è entrato a Weimar. Il 25 ottobre raggiungerà Berlino. Hegel è a Jena, quando Napoleone entra nella città, e sta terminando la “Fenomenologia dello Spirito” e scrive, tremebondo, che ha visto “gli scontri a fuoco tra pattuglie” e i Prussiani cacciati da Winzerla, durante la notte. Tra le otto e le nove – scrive – ha visto entrare in città i tiratori scelti si e parla dell’imprudenza d’alcuni cittadini che non hanno voluto rispettare gli ordini dell’imperatore. Poi si libra nell’etere luminoso e dice: «Ho visto l’imperatore – quest’anima del mondo – uscire dalla città per andare in ricognizione. È, in effetti, una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, s’irradia sul mondo e lo domina». L’anima del mondo, sul bianco cavallo, che concentrato in un punto – in un “hic et nunc” – si espande sulla terra e la sovrasta dominandola.
Pio VII, il nuovo successore di Pietro, eletto il 14 marzo del 1800, è un monaco benedettino divenuto pontefice in tempi terribili. Con il trattato di Luneville ha recuperato parte dei territori del suo Stato. Il fedele Consalvi ha concluso un accordo con Napoleone che ha riconosciuto la preminenza della religione cattolica in Francia e ha imposto una riorganizzazione della chiesa nazionale, di conseguenza tutti i vescovi dell’antico regime sono stati radiati. Napoleone è stato molto chiaro al riguardo: ha spiegato al papato che è pronto a concedergli tutto l’appoggio necessario solo se i sudditi saranno totalmente sottomessi al potere politico. In ducati sonanti: niente Vandee. E per rendere le cose ancora più chiare il Primo Console modifica 27 articoli del concordato. Il 2 Dicembre del 1804 Pio VII consacra Napoleone imperatore: come ringraziamento rischia di finire in un nuovo esilio avignonese. Ma Luigi Barnaba Chiaramonti è un uomo intelligente e, prevedendo il tentativo di Bonaparte di isolarlo e renderlo inerme, ha redatto un documento di abdicazione in caso di prigionia. Nel 1805 Pio VII rientra a Roma. L’anno dopo l’imperatore gli intima di allontanare il fedele Consalvi. Consalvi riflette: non era bastata l’umiliazione di Papa Braschi, che aveva subito un autentico martirio, ora Napoleone trionfava avanzando verso Berlino. L’Età dei lumi aveva scatenato la sua ira demonica contro la Chiesa – che riteneva reazionaria – travolgendola ma non distruggendola. Il secolo della perversa ragione aveva identificato la Comunità dei credenti a livello di un’istituzione al servizio dei tiranni. Il tempo dei grandi papi che intimorivano gli imperatori era finito. Pio VI aveva esperimentato un vero calvario e come Cristo Gesù aveva asceso il suo Golgota. I problemi con Frebronius, la terribile contestazione episcopale, la rivolta degli arcivescovi delle città austriache e tedesche causata dalla creazione della nunziatura di Monaco, le pretese dell’episcopato germanico che esigeva un proprio “Placet” per le bolle papali facevano traballare la Santa Chiesa. Il mondo era capovolto. Non si capiva più niente. E prima c’era stata la rivoluzione e i predoni gallici avevano requisito tutti i beni della Comunità dei credenti. Avevano sciolto tutti gli ordini religiosi, e decurtato drammaticamente il numero dei vescovi che da 134 erano diventati 83. Non fosse bastato: Robespierre e i suoi mefistofelici accoliti avevano ghigliottinato tre vescovi e trecento preti, aumentando l’esercito dei martiri ma riducendo – e soprattutto terrorizzando – il clero se. Erano stati tempi cupi quelli del Conte Braschi. Il papa si era sentito mancare quando gli
avevano raccontato la storia dell’apostasia dell’arcivescovo di Parigi, che nel 1794 si era convertito al culto insano della Dea Ragione inventato dai carnefici giacobini. Il prelato aveva rinunciato al Sacro Cuore di Gesù per un simulacro di marmo coronato da fagioli, lenticchie e broccoli. Era ritornato il culto blasfemo del vitello d’oro d’Aronne! Che spettacolo: un alto prelato a pecoroni davanti ad una vuota immagine immersa in un’insalata di lattughe e pomodori! E non era bastato: sperando nella forza dell’alleanza dei re, Pio VI, si era unito alle nazioni che volevano annientare la rivoluzione e farla sparire dalla faccia della terra e aveva ottenuto un clamoroso risultato: con la pace di Tolentino del febbraio del 1797 aveva perso una gran parte dei territori dello Stato Pontificio. Se lo immaginava Consalvi quello che avevano gridato i si: «Glielo facciamo vedere noi a quest’eunuco di merda, servo dei tiranni!»; e dalla cartina geografica dello Stato Pontificio erano di colpo svanite Avignone, Ferrara, Bologna, Ancona, la contea di Venaissin; e dall’erario vaticano era svaporata nell’aria leggera la somma ingente di 46.000 scudi. E non era finito: il generale Berthier, eseguendo l’ordine del bandito corso, era entrato a Roma ed aveva proclamato la Repubblica cancellando con un solo colpo di spugna lo Stato Pontificio. Mezzo morto e ormai ottuagenario, papa Braschi, aveva chiesto al generale se che almeno gli fosse concesso di morire nella Città Eterna; per tutta risposta il soldato di Satana gli aveva risposto qualcosa come: «Sachez, chère monsieur, qu’on peut mourir partout!» E il suo calvario era continuato: Siena, Firenze, le Alpi, Grenoble, infine Valenza, ove, il 29 agosto aveva restituito l’anima al Creatore. Il bandito corso, intanto, aveva fatto man bassa delle opere d’arte di Roma trasferendole a Parigi: non solo era un discepolo di Satana – pensava Consalvi – ma anche uno squallido ladro. Poi era stata la volta di Pio VII, e il calvario era continuato. Ora, dopo Jena ed Auerstadt, la depressione era immensa. Un olezzante miasma, come una cupa nuvolaglia, era sospeso sulla cupola di San Pietro. Pio VII si asciuga il sudore e chiede a Consalvi: «Chi devo vedere oggi, figliolo?» «Ci sarebbe in anticamera Monsignor Galletti che attende da tre giorni…».
«E chi è?». «Quello della Veronica…». «Oh no… numi possenti… nooooo… in questo momento drammatico, quando l’Anticristo trionfa, arriva Monsignor Galletti con la Veronica fasulla… suvvia! Ma le sembra il momento Consalvi?». «Beh no… in effetti, no… ma il povero prete aspetta da tre giorni… e poi magari il Velo, come dice Monsignor Galletti, è veramente miracoloso… e le pare, Santità, che questo momento non richieda un miracolo?». «Si… va bene… Napoleone è quasi a Berlino e noi perdiamo tempo con una falsa Veronica… ma si! Lo lasci entrare! Ascendiamo il nostro Golgota!». Monsignor Galletti entra, si genuflette, bacia l’anello di Pietro, inciampa, cade per terra e il velo fuoriuscendo dallo scrigno scivola sul tappeto. Luigi Barnaba Chiaramonti mormora: «Le prostrazioni sono inutili, figliolo, quelle andavano bene con i faraoni o con gli imperatori bizantini… come va in quel di Teramo?». «Molto bene, Padre Santo… ma le notizie che giungono sono terribili…». Consalvi sorride vedendo il Galletti imbarazzato: «Monsignore spieghi rapidamente – dati i terribili tempi – la storia del velo e della terziaria visionaria». Il prelato di Teramo parte in quarta e narra la storia del velo di Marta, di Guy de Nuitville, della Crociata e del rifiuto continuo da parte di vari pontefici della sacra reliquia. Racconta che Assuntina Mazzarella – ovvero la terziaria domenicana Chiara Maria delle Piaghe di Nostro Signore – ha avuto una visione molto simile a quella riferita e descritta, con assiduità, dai santi e dai mistici d’altri tempi. Ha visto due aquile, una nera e l’altra bianca, lottare su una spiaggia; poi le ha viste trasformarsi in due uomini, uno biondo e l’altro di carnagione scura, che si sono abbracciati e hanno pianto. Chi è Assuntina Mazzarella? Galletti spiega che la donna è una terziaria abruzzese che ha esperimentato la
transverberazione materiale, che suda sangue davanti all’immagine dell’Ecce Homo, e che, durante un’estasi, nella chiesa di San Domenico a Teramo, ha avuto una visione della fine dell’Anticristo attualmente trionfante. «E quale sarebbe questa visione dell’Anticristo trionfante? Immagino che l’Anticristo sia il bandito corso?» Chiede Pio VII. Galletti conferma e spiega che la religiosa, il 7 giugno di quest’anno, mentre stringeva il velo di Marta, ha profetizzato che tra circa sette anni, un gran gelo scenderà sull’Anticristo. Ha visto moltissimi uomini trasformati in statue di sale o di neve in una terra lontana, e Magog abbandonato su uno scoglio minuto scosso da marosi. Poi ha urlato, citando il Battista: «Tra nove anni la scure sarà posta alle radici» e di nuovo ha visto il Grande Nemico, su una roccia, affiorante dal mare e battuta da tempeste, svanire nella notte oscura. Pio VII, disattento perché mortalmente preoccupato dai fatti di Jena, conclude: «Allora, figliolo, tra nove anni ci vediamo con lo straccetto! Ora, rischiamo una nuova cattività babilonese, abbiamo altro da pensare… e poi tutte le profezie, fino adesso, si sono rivelate terribilmente inesatte». Monsignor Galletti rimette il velo nello scrigno, bacia la mano al papa e si allontana mesto; mentre s’inchina per uscire nuovamente inciampa. Consalvi, che è rimasto male ma ha compreso l’impazienza del papa, lo accompagna con le guardie svizzere verso l’uscita e gli dice: «Ne riparleremo un’altra volta… ci conti Monsignore…». Sei, sette anni dopo, nel tardo autunno del 1812, durante la campagna di Russia, i soldati della Grande Armata si trasformeranno in statue di ghiaccio. Dopo i cento giorni dell’Isola d’Elba, lo scoglio della visione della terziaria, Napoleone affronterà, nove anni dopo Jena, nel 1815, i quadrati di Wellington a Waterloo e sarà irrimediabilmente sconfitto. Morirà su «una roccia affiorante dal mare», l’Isola di Sant’Elena, svanendo nella notte nera. Chiara Maria delle Piaghe di Nostro Signore ha profetizzato con grande precisione, ma Luigi Barnaba Chiaramonti ha dimenticato il velo e Monsignor Galletti è morto nel 1811, quando Napoleone era ancora trionfante. Consalvi nell’anno della battaglia di Jena si dimette a causa dell’intransigenza
dell’imperatore. Nel 1816 riprenderà il suo lavoro e grazie alle sue doti diplomatiche la Chiesa riavrà tutti i suoi territori con l’eccezione di Avignone. Nel 1823 Leone XIII, papa reazionario per eccellenza, lo dimetterà considerandolo un progressista pericoloso.
*****
Il 20 giugno del 2046 mio padre concede un’ultima intervista alla BBC World e, con terribile calma ed efficacia, denuncia i fanatici religiosi per l’omicidio di Mosul. Poi, con rabbiosa risolutezza, profetizza agli attentatori la loro morte: «Siete spacciati: qualcuno vendicherà Mosul. Morirete tutti. Finirete presto nel vostro fottuto paradiso senza animali impuri. Maledetti assassini!» E qualcuno ascolta. Nell’intervista è attentissimo ad escludere le responsabilità dell’Islam globale moderato, che ha condannato senza mezzi termini l’esecuzione perpetrata dal residuo fanatico. Poi attacca il fondamentalismo cristiano come un altro osceno male, che lo stesso Quimper ha ripetutamente rinnegato. Alla domanda di Donald Peers, l’intervistatore della BBC – World sul significato del pianto dei Green Man e delle eruzioni vulcaniche, mio padre, raccontando il mito della morte di Pan, scrive: «Plutarco, nel “Tramonto degli Oracoli”, fa dire ad un personaggio chiamato Filippo, di aver ascoltato un’incredibile storia riportata da Epiterse – una persona molto affidabile-, suo maestro di letteratura e padre del famoso oratore Emiliano. Epiterse raccontò di un suo viaggio verso l’Italia, su una nave mercantile, con a bordo molti eggeri, pilotata da Thamus, un egiziano. Quando la nave arrivò presso le Isole Echinadi verso sera, a causa del vento calante si spinse verso Paxi. Molti viaggiatori erano ancora svegli e stavano bevendo del vino, quando udirono una voce levarsi dall’isola e chiamare Thamus, il cui nome, anche tra i eggeri, era poco conosciuto. La voce chiamò l’egiziano per tre volte, per due volte il pilota non rispose, ma alla terza decise di rispondere. Allora la voce disse: «Quando sei davanti a Palodes grida che “il Gran Pan è morto”». La gente sulla nave rimase sbalordita e discusse con il pilota se era il caso di eseguire quello che la voce aveva chiesto. Thamus ascoltò tutti e decise che se c’era vento avrebbe navigato davanti all’isola senza dire nulla, ma se il mare
fosse stato in bonaccia, si sarebbe avvicinato a Palodes e avrebbe eseguito la misteriosa ingiunzione. Non c’era vento e Thamus, si sporse all’altezza del timone verso terra e gridò: «Il Gran Pan è morto!». E immediatamente si levò un gran gemito composto da molteplici voci. Un lamento terribile, fatto di pianti e di esclamazioni di dolorosa meraviglia, s’innalzò verso il cielo stellato. Molti eggeri udirono increduli e riportarono la storia. Tiberio Cesare, convinto della verità dell’evento, convocò Thamus». E il significato di tutto questo? Domanda Donald Peers. Mio padre risponde: «Come la natura gridava il suo sdegno profetizzando che il Cristianesimo trionfante avrebbe annientato l’anima del non – umano riducendolo a mera, vuota, inane cosa, così ciò che è fondamento della natura, grida ora il suo orrore davanti al massacro di una sua personificazione – oserei dire di una sua inconscia incarnazione – attraverso l’eruzione dei vulcani e il pianto dei Green Man che rappresentano la simbiosi tra uomo e natura». Il 21 giugno 2046, con la storia del mito della morte di Pan, termina il Diario Segreto. Qualcosa tortura mio padre: il sogno di Boemondo riguardo la piccola isola dell’uomo barbuto. Secondo lui il Normanno ha indicato l’isola di Zannone. Ermino è convinto che quella piccola isola conservi un grande segreto che lui deve scoprire. Decide allora di partire: è il 27 Luglio del 2046. “Il Messia Limitato” sta creando un’onda anomala d’indignazione; come tutti sanno, mio padre ha risparmiato dai suoi attacchi poche persone. Prima di partire per l’isola di Zannone gli giunge un messaggio di Zaino. Il suo vecchio amico appare sullo schermo e gli dice di aver incontrato, alle tre di notte, presso la Oude Kerk di Delft dove era nascosto, un giovane che stringeva un gattino. Con sua immensa sorpresa l’uomo, che assomigliava stranamente a Mosul, lo ha salutato chiamandolo per nome – cosa assai strana perché nessuno lo conosceva a Delft. E quando lui, sbalordito, si è avvicinato, il giovane si è rapidamente ritratto e gli ha detto ridendo: «Noli me tangere!» Ed è svanito. Zaino è convinto che l’uomo che gli è apparso sia Mosul.
Ne è convinto anche mio padre, che gli ha risposto: «Se si muovono le statue, eruttano i vulcani e piangono i Green Man può succedere di tutto!». Il 27 Luglio del 2046, mio padre parte per Roma. Il 28 luglio è ad Anzio. Fa molto caldo. Affitta due Solotrek ITK, la versione italiana, e parte con una guida ponzese: Giovanna Proietti. Si levano in volo e raggiungono Ponza. Si fermano un’ora all’altezza del Porto e poi, seguendo la costa, volano verso Zannone. Il tempo è bello. Il sole risplende sull’acqua leggermente increspata. Il mare dall’alto mostra tutte le sue sfumature: dal blu cobalto dei fondali profondi, all’azzurro e al verde smeraldo delle scogliere, sino alle più chiare trasparenze luminescenti dei fondali sabbiosi e di fini ciottoli bianchi che circondano l’isola con le sue grotte misteriose, antichi rifugi di saraceni e pirati. I due vedono la spiaggia affollatissima di Frontone, sorvolano Cala del Core, Cala Inferno, Punta Nera, Spaccapolpi, Cala Gaetano, Cala Schiavone, Punta Rossa, Le Sfogliatelle, ove atterrano momentaneamente, e riprendono il volo verso l’Isola di Zannone, finalmente lontani dalle masse di turisti e bagnanti. Atterrano infine a Punta Varo, popolata da gabbiani solitari. Appena arrivati lasciano i Solotrek e continuano a piedi per gustare meglio l’isola, che si può dire deserta, dato che è abitata da soli due guardiacaccia che si danno il turno. Anche il faro è automatico. Da Cala del Varo seguono un sentiero agevole fatto di pietre vulcaniche, che conduce verso i ruderi del Convento, fondato in epoca antica dai monaci Cistercensi per sfuggire alle persecuzioni. Attraversano il bosco di lecci e macchia mediterranea che profuma di selvaggio. La guida dice che il sottobosco ospita migliaia di ragni, che la notte tessono le loro tele, e spariscono di giorno. L’isola occupa una superficie di circa 1,07 chilometri quadrati. Il punto più alto é il Monte Pellegrino che si leva fino a 194 metri. Di lassù la vista è stupenda. La macchia di mirto, ginestra, euforbie e lavandula selvatica dirada verso il mare che ruggisce aggressivo e spumeggiante sulle erose scogliere vulcaniche. In lontananza sembra di intravedere la nave d’Ulisse. Cos’è che spinge mio padre verso l’isola di Zannone? Perché Zannone? Si domanda continuamente; e si risponde: «perché di Zannone parlavamo con Mosul la sera prima del sogno che precedette la sua morte». Ma si rende conto che questa è una costruzione logica fragilissima.
Il sogno di Mosul l’ha torturato dal giorno della morte del giovane amico: Boemondo ha detto che le cose si consumeranno nella piccola isola dell’uomo barbuto. Ma è veramente Zannone la piccola Isola dell’uomo barbuto? O è forse un’altra? Mio padre, pensa che, forse, presso i ruderi del monastero si possa vivere un eremita barbuto. Ma è un eremita l’uomo barbuto di Boemondo o un è uomo qualsiasi con la barba? Mio padre crede che qualcuno, a Zannone, gli svelerà il segreto di quello che sta accadendo. La guida, bionda, fragile e deliziosa, è estremamente competente e non ha riconosciuto Erminio. La giovane donna indica uno dei rari mufloni rimasti nell’isola, che si spostano silenziosi da una boscaglia all’altra. È una visione fugace. Ormai sono morti quasi tutti, spiega la guida: furono importati nel 1924 dalla Sardegna per essere cacciati dai nobili, sono stati abbattuti per anni, poi sono stati protetti e ora stanno svanendo per cause incomprensibili. Una volta ce n’erano ottanta ora ne sono rimasti una decina; però l’isola è anche abitata da cormorani, gabbiani, berte maggiori, upupe, tordi, aironi cenerini, rondini. Qui trovano rifugio e sosta tutti gli uccelli che sorvolano l’Italia nei loro percorsi migratori. Questo luogo, per coloro che rispettano gli animali, è considerato sacro. I due raggiungono i ruderi dell’antico monastero e Giovanna Proietti spiega che a Zannone viveva, sin dal 1218, una comunità di monaci che ebbe grandi problemi con gli abati dell’Abbazia di Ponza per i diritti sulla pesca. I continui contrasti convinsero i monaci ad abbandonare l’Isola e a ritornare sulla terra ferma nei pressi di Gaeta. Mio padre si aggira tra i ruderi del convento e improvvisamente, vede in un’edicola, ricavata da un rozzo muro, un uomo con una barba nera e con una mitra in testa e trasale: «Chi è?» Chiede. «San Silverio!» risponde Giovanna.
«Chi è San Silverio?» Chiede Erminio mentre pensa: «Eccoti trovato uomo barbuto… finalmente!». Giovanna dottissima risponde: «San Silverio era un papa del VI secolo: lei ricorda Belisario?». «Certo la riconquista bizantina dell’Italia, la Guerra Gotica… ho anche letto il libro di Robert Greaves, «Count Belisarius»…». «Allora sa tutto…». «Di Silverio non so niente… mi dica…». «Allora… in breve: Silverio è figlio di Papa Osmida, e viene posto sul trono di Pietro dal re goto Teodoto o Theoldehad, il quale lo preferisce al candidato bizantino come successore di papa Agapito. Il nuovo pontefice riesce subito ad irritare, anzi a far imbestialire, Teodora, la moglie di Giustiniano, quando non riconosce come patriarchi i monofisiti Antimo e Severo. La pagherà cara questa scelta. Quando gli eserciti bizantini ed ostrogoti sono presso le mura di Roma, Silverio è costretto a scegliere il minore di due mali: o i barbari selvaggi o gli ostili Greci. Sceglie Belisario e apre le porte della città. Teodora non ha dimenticato: Silverio viene rapito e portato in esilio a Patara, in Licia. Belisario, seguendo il consiglio di sua moglie, lo sostituisce con Vigilio, un presbitero ben accetto a Teodora. Giustiniano, informato dal Vescovo di Patara delle condizioni incresciose del pontefice, lo libera e lo rimanda a Roma, ma Vigilio lo cattura e lo rispedisce in esilio nell’isola di Palmarola. In condizioni drammatiche, Silverio, accetta di abdicare. È il novembre del 537: subito dopo si spegne; alcuni diranno che morì per fame, altri che venne ucciso, altri che morì di crepacuore. Per trent’anni il papato resta sotto l’influenza di Bisanzio, poi arrivano i Longobardi che lo lasciano nuovamente respirare. Silverio è il patrono dell’isola di Ponza» conclude Giovanna «la sua festa è il 20 di giugno…». «Il giorno della morte di Mosul…» avrà pensa mio padre «ma che c’entra Silverio con la consumazione delle cose?» Lo capirà un istante dopo: tre colpi lo scuotono come un fuscello. Cade in avanti sanguinando senza dire una parola. Tre uomini con il volto coperto, vestiti con una tuta di tessuti interattivi color cielo, planano con tre Solotrek celesti.
Ammanettano Giovanna e la depongono nella boscaglia, dopo averla addormentata con un’iniezione e finiscono mio padre con un colpo alla testa. Poi si levano in volo verso Sperlonga. Le armi utilizzate per l’esecuzione sono dei KTB-7. La profezia di Boemondo si è compiuta: tutte le cose di Mosul ed Erminio si consumano presso l’uomo barbuto nella piccola isola. Sono le 18,37 quando il corpo di mio padre viene ritrovato dai guardiani dell’isola sei ore dopo l’esecuzione. Il cadavere giace presso i ruderi del convento e il suo braccio disteso indica, con la mano aperta l’uomo barbuto: San Silverio. Alle 20,45 la polizia ritrova nella boscaglia Giovanna balbettante in stato confusionario. Secondo la guida mio padre è morto verso le 12,10. L’assunzione di responsabilità giunge dopo tre giorni. L’organizzazione che rivendica l’esecuzione di Erminio Polpotta, consigliere diabolico dell’Anticristo, risponde al nome di “Warriors of the Resurrected Jesus”. È un germoglio del troncone dei “Figli dell’Apocalisse”, un movimento sorto dopo i miracoli di Quimper, e fortemente osteggiato dallo stesso Messia bretone che lo ha definito un’aggregazione di schizofrenici e di paranoici. Il resto – come dice Shakespeare – è silenzio. Le ceneri di Erminio vengono portate ad Ilfracombe, dal suo amico Gervasi. Ho saputo della morte di mio padre una settimana dopo l’esecuzione, in una città americana del Nuovo Messico chiamata Madrid, sulla Route 14 che porta a Santa Fe. Tutte le televisioni stavano raccontando l’accaduto mentre io immemore, attraversavo lo Stato con Tiziana in un tripudio di ione e di dimenticanza. Il 30 Agosto del 2046 ho ricevuto le micromemo 031-IBM che contenevano il Diario Segreto, secondo la volontà di mio padre. Sulla tomba del cimitero, continuamente scheggiata dai colpi vandalici di fanatici cristiani, Madame Pomeroy ha trovato il 7 agosto una pietra con sopra scritta la parola “Zaino”. Due giorni dopo, Betty Charlotte, ha notato un mazzo di rose rosse accompagnate da un biglietto con una frase in italiano: «La vendetta è un piatto che si gusta freddo. Firmato: I».
È Isabel? Nessuno lo sa. Chi sono gli esecutori di mio padre? I killer emergono dal pentolone in ebollizione dei folli movimenti degli “evangelici” e dei “cristiani rinati”. Vengono a galla con il pensiero distorto della destra evangelica americana. Basta rimescolare il calderone e tutto viene a galla e si intravedono le teste di Cornelius Van Til, e dei suoi discepoli Greg Bahnsen, Rousas John Rushdoony, Gary North: gli intellettuali della dottrina del “presupposizionalismo”. Tra patate e carote paoline galleggia il residuo protestante estremista situato a destra della “Teologia del Dominio”. Tra prezzemolo ed aglio emergono le teste di Jerry Falwell, Pat Robertson, Randall Terry, quello dell’“Operazione Salvataggio”, le teste dei pensatori della “Teocrazia americana” e quelle degli intellettuali che scrissero il “Manifesto for the Christian Churches” all’inizio del secolo. Rimestando il calderone, tra cipolle, lenticchie e broccoli biblici appaiono i santi uomini ossessionati dai cimiteri per gli aborti, i moralisti che volevano escludere i gay dalla società statunitense, le teste pensanti della “Teologia della Ricostruzione”, Mike Bray con le sue idee razionalmente malsane, Paul Hill e compagnia varia. Ma se si rimesta bene in fondo al pentolone, con un grande cucchiaio di legno, vengono a galla anche le teste dei “teologi” della “Christian Identity”, con la loro teoria della supremazia della razza, il “Posse Comitatus”, “La Chiesa mondiale di Dio”, “The Order of the Aryan Nation”, “La Chiesa Mondiale del Creatore”, Randy Weaver, l’uomo di Ruby Ridge, le fiamme di Waco, il “Freeman Compound”, “Timothy Mc Veight e le bombe di Oklahoma City” e i nuovi predicatori degli anni 2025-40: James Lewis, Rob Davies, Charlie Wells, John Scott, Geoff Courtney and company. E i “Warriors of the Resurrected Jesus” in che cosa credono? I “Warriors of the Resurrected Jesus” tendono verso un nuovo postmillenarismo, appartenente al filone del pensiero che profetizza il nuovo avvento di Cristo Gesù sulla terra solo dopo mille anni di governo teocratico. In scudi tintinnanti la “Parusia” avverrà solo dopo il dominio egemonico e millenario di folli integralisti. Ma i “Guerrieri del Gesù Risorto” avversano l’altro gruppo terroristico chiamato “The Holy Disciples” che si basa su una credenza “premillenarista” inversa che sostiene che il regno del Messia precederà i mille anni di dominio teocratico cristiano.
Perché hanno ucciso mio padre? Perché mio padre li detesta e li attacca. E cosa provano per Quimper? Dopo l’attacco del Gesù bretone, profondo odio: minacciano, infatti, di ucciderlo. Chi ha ucciso mio padre? Il 2 Settembre del 2044 la Universal – Pole emana nomi ed identikit: i sicari si chiamano Lawrence Stewart, Terry Pratley e Jeremy Grant Il primo è un ex drogato di Bangor nel Maine convertito da poco alla luce di Jahvé, il secondo un universitario di Sioux City, il terzo un ex seminarista cattolico di Lancaster nell’Ohio. Ma sia gli assassini islamici che quelli cristiani svaniscono nel nulla: la Universal – Pole non riesce a trovarli.
Il sacrificio a Mictlantecuhtli
Uno dei due miei salotti è molto antico, l’altro è modernissimo. Quello antico è pieno di cose appartenute a mio padre. Sulla parete sono appese quattro riproduzioni degli affreschi di Giotto della vita di sco: il santo che predica agli uccelli, il “Noli me tangere”, il serafino che stigmatizza il santo ed Elia sul suo carro di fuoco. La stranezza è che l’azzurro, lo sfondo usato dal pittore per gli eventi narrati, è diventato color blu notte. Mio padre sembra aver trasformato la luminosità giottesca degli affreschi, oscurandola, immergendola nella notte. Volontariamente? Nessuno lo ha mai capito. Appeso, sopra al focolare, c’è un arazzo fiammingo, brunito dal calore e dal tempo, che rappresenta episodi della vita del Cristo, tra i quali la trasfigurazione, il lavaggio dei piedi e il tradimento di Giuda. Sul davanzale c’è una vecchia lampada coloniale, e vicino ad un mosaico vittoriano che rappresenta un efebico Raffaello, si vede un ligneo “Green Man” che mostra la lingua. Lungo il bordo della finestra che si apre sul giardino, sono esposte le teste marmoree di Scipione l’Africano e di Marco Aurelio. Su un tavolo di noce, tra Bibbie inglesi del periodo di Giacomo II, si vede una bronzea statua d’Esculapio. C’è anche un gran camino, usato raramente. Il soffitto costruito con lunghe e vetuste travi di legno è solcato da una grande trave verticale e da dieci orizzontali. Su un mobile di noce ci sono due statue di santi. Uno ha in mano una chiesa, l’altro una spada. Nel salone moderno adiacente, sono appese riproduzioni amate da mio padre: la crocifissione di Pietro e la conversione di Paolo del Caravaggio, e una raccolta di miniature ingrandite del “Commento dell’Apocalisse” del Beato di Lièbana. Sono le 15,10 del 16 luglio nell’anno del Signore 2048 e un uomo sta penzolando da un gancio situato tra la terza e la quarta trave verticale, lo sto spingendo con dolcezza con la punta del piede mentre lo guardo estasiato, rapito, dondolare. La lingua dell’impiccato è violacea e gli occhi sono sporgenti e spalancati. Mi piace contemplarlo mentre ondeggia con il suo Rolex – Platino, la giacca arancione di fibra ottica, i pantaloni neri «Goudier» all’ultima moda, e le scarpe bianche di «Koto Himushi». Ho chiuso le tende vellutate ed ho una candela per rendere più macabra e grottesca la scena. Lo spingo e ondeggia,
dondola. A volte gira su stesso piroettando e muovendo le sue rigide braccia. Lo contemplo con infinita curiosità. Ho liberato i suoi polsi dalle corde e dalla protezione di gommapiuma che è servita a non fare apparire segni di un’improbabile colluttazione. Oscilla, ondeggia, si libra nella morte assumendo nel trao un residuo di corrosa dignità. Sono le 15,30 mi sono travestito da donna, ho indossato un sontuoso tailleur di tessuto interattivo grigio, una parrucca corvina, occhiali neri “Guarnieri”, un gran cappello di seta bianca e scarpe verde smeraldo con tacco basso. Ho evitato i tacchi a spillo per motivi di stabilità; sembro una diva degli anni 60’ di Hollywood e mi piaccio. Se mi vedessi per strada cercherei di abbordarmi? Chissà? Alle 16,30, Sherry, il vampiro del Devonshire, arriverà con una Mercedes WV. ad idrogeno affittata a Tiverton e mi porterà via costruendo un alibi di ferro. Quando tutto verrà fuori Madame Pomeroy la prenderà malissimo. Riuscirò nel mio intento? Questo dipende da un’infinità di fattori. Ho messo sul tavolo l’ultima lettera lasciata dall’uomo prima di morire: «Sono stanco». Sono uscito e mi sono fatto vedere dalla Signora Mavis Howard, megera centenaria e curiosissima, e mi sono diretto verso la macchina della Watts che si é truccata da diva nera del cinema di Baton Rouge. Siamo partiti esattamente alle 16,30 alla volta di Bude in Cornovaglia e non ci ha fermato nessuno. Corrompere il vampiro rifatto mi è costato una valigia di eurodollari, sei “pecorine” violente “cum” tiro capelli und primordiale “ululato”, una dichiarazione d’amore in ginocchio ed una promessa, vaghissima, di matrimonio. Prima regola d’oro: sempre cazzeggiare con le troie. Ho consegnato Koko e Marlene all’ottuagenaria Doris Meredith in cambio di una sommetta notevole, le ho chiesto di non spegnere la mia adorata bambola ma di conversarci continuamente. La cara signora – che non se la a troppo bene – è stata deliziosa: ha baciato
Marlene chiamandola «Dear love» ed ha accarezzato la tigre Koko che per tutta risposta le ha azzannato un braccio. «Oh… full of life this dear cat!» ha mormorato l’imperturbabile vecchietta. Alle 16,30 esatte, quindi, siamo partiti da Ilfracombe e siamo tornati in un appartamento lussuoso che avevamo affittato tre giorni prima per rendere plausibile l’alibi. A Dyke, tra Barnstable e Bude, mi sono trasformato in un uomo e Sherry si è tolta la tinta nera dal volto. Arrivati nella casa sul mare Sherry mi ha chiesto nuovamente: «Tutto ok?». «Great! A piece of cake!» ho risposto «Tutto è filato perfettamente liscio: il cocco ondeggia come un bambino su un’altalena; e devo dire che mi è sembrato semplicemente delizioso con le sue scarpine giapponesi». Mi sono sdraiato, emozionalmente svuotato. Temevo un attacco del vampiro, e così è stato: approfittando della mia momentanea e riflessiva stasi, Sherry mi è saltata addosso: «Dimmi che mi ami e non mi lascerai mai!». Ho giurato su tutti i santi senza la minima esitazione: tanto non credo in niente. Devo ripeterlo? Hanno ragione le lesbiche, facciamo proprio cagare. Uno si fa la barba la mattina e si dice: «Noi uomini facciamo proprio schifo!». Mi è toccato scovare, racimolare le forze, in un recesso di me stesso, per un’ennesima pecorina “cum ululato”, stavolta con l’aggiunta di frustate sul culo. «Rivelerai mai quello che stiamo facendo? Tacerai sempre?» Ho chiesto, dopo che il vampiro, in estasi, malgrado avesse mezzo cuscino infilato in bocca, aveva emesso un orgasmico grido. «Mai… tacerò per l’eternità…». «L’eternità lasciala perdere…». «Mi amerai per sempre dopo quello che ho fatto per te?».
«Certo!» Seconda regola d’oro: eternamente cazzeggiare con le troie. «Chissà che ci farò con tutti questi bei soldi che mi hai dato…». «Puoi comprarti una nuova casa vendendo la vecchia e aggiungendo la somma che hai guadagnato… ma non farlo subito per l’amore di Dio… aspetta!». «È meraviglioso… ma dimmi ti faceva impressione veder quell’uomo ondeggiare?». «Noooo… era una delizia!». Ma arriviamo al sodo: come si sono svolti cronologicamente i fatti? Il giorno 8 dicembre 2047, l’Universal – Pole fu convocata urgentemente: sul sacrario del Convento di San Domingo ad Antigua, in Guatemala, giacevano sei cadaveri perfettamente allineati, rigidi e gelati. Erano stati portati ad Antigua in un vagone frigorifero dal Messico. Erano tutti coperti da identici sudari di cotone bianco ed erano privi del cuore e del dito mignolo. Non ci volle molto, all’Universal – Pole, per scoprire che i cadaveri, che giacevano sul selciato disposti in fila meticolosamente, erano quelli di Ibn Kardouni, Khaled Youseef, Lawrence Stewart, Terry Pratley e dei due leader dei movimenti islamici ed evangelici: Nassab Hashemi e James Robinson. Quando seppi la notizia esultai, ma la selvaggia esecuzione mi aveva incusso uno strano timore. Qualcuno aveva asportato mignolo e cuore agli assassini: avendo letto il Diario Segreto non mi fu difficile capire che Isabel Conchita Gutierrez de Mendoza era l’ispiratrice della letale operazione. arono alcuni mesi, e in un piovoso pomeriggio di gennaio, mentre stavo sorseggiando una spumosa birra danese in un bar di Woolacombe, si avvicinò un uomo che era appena atterrato con un Solotrek. Il giovane, che aveva lunghi capelli neri e un tatuaggio con un’iguana su un braccio, mi chiese se poteva sedersi al mio tavolo e ordinò un bicchiere di vino rosso. Sorrise alla cameriera chiamandola «love» e mi spiegò che aveva un regalo da consegnarmi. Mi diede una busta nera e m’ingiunse di aprirla a casa, di guardare il contenuto, per poi distruggerlo con la massima rapidità. Erano circa le 16,30 del 21 gennaio del 2048.
«Siamo gli amici del piatto freddo». Mi disse in un ottimo inglese con una leggera inflessione iberica o sudamericana. Trangugiò il vino e partì. Lo vidi levarsi alla volta di Barnstable salutando con una mano: «Ciao amico!». Arrivato a casa aprii la busta nera. Conteneva un Blue – Ray. Lo infilai nel lettore e sul grande schermo apparve il volto di una donna mascherata che mi ricordava una delle bellezze nude della danza satanica d’un vecchio film di Kubrick: “Eyes wide shut”. Anche la donna mascherata parlava con un piacevole accento sudamericano e diceva: «Caro Willy, quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto. Ora tocca a te». Seguivano le impressionanti sequenze di un sacrificio. Si vedevano cinque uomini, coperti da una tunica a forma di dalmatica bianca e da un perizoma, con il capo cinto da una fascia di cuoio che tenevano immobile un uomo su un altare. Mentre quattro di loro bloccavano gambe e polsi di ogni immolato, il quinto gli poggiava con forza le mani sulla gola, riversandovi tutto il suo peso, per non farlo muovere. Il sacerdote addetto al sacrificio, che indossava un perizoma e una tunica a forma di dalmatica rossa con disegni geometrici colorati, aveva un copricapo di piume, orecchini a forma di cerchi d’oro mantenuti da pietre verdi e dei sandali legati alle caviglie. La vittima, adagiata su una pietra di circa un metro d’altezza, a forma di cippo con la parte superiore arrotondata, era distesa sulla schiena in maniera che il petto sporgesse. La testa, trattenuta e rovesciata all’indietro, sfiorava il terreno. Il fendente del sacerdote con il coltello d’ossidiana era preciso e micidiale. Quando il petto era squarciato l’officiante immergeva la mano nel varco aperto dal coltello e strappava il cuore della vittima: uno spettacolo terrificante. Subito dopo il taglio, effettuato con ciò che presumo fosse la “farfalla d’ossidiana”, un settimo prete appariva sullo schermo, affondava una canna nello squarcio sanguinolento succhiando il sangue che poi sputava sul corpo del sacrificato. Subito dopo il corpo veniva gettato dall’alto di un altare coperto da un baldacchino e rovinava lungo scale grondanti di sangue. Il tempio sembrava situato all’interno di un grande spazio sotterraneo. Il cuore era offerto ad un raggio di sole, che scendeva da un’apertura di una volta, per poi essere deposto nel grembo di un mostruoso dio: uno scheletro d’ossa bianche maculate con macchie di sangue. La divinità aveva la testa rapata, il fegato sporgente da sotto le ossa della cassa toracica, le unghie lunghe, e le palme delle mani aperte verso l’officiante e l’immolazione cruenta. La bocca era larghissima e ridente, le orecchie a sventola e gli occhi sbarrati. Notai che alcuni prigionieri, istanti prima del colpo mortale, pregavano. Robinson prima di raggiungere il Creatore recitò il bellissimo salmo 91.
Si udivano chiaramente le parole nell’inglese del King James Bible:
Thou shall not be afraid for the terror by night; Nor for the arrow that flieth by day; Not for the pestilence that walketh in darkness: Nor for the destruction that wasteth at noonday…
Ibn Kardouni gridò invece: «Allahu akbar!» e poi, serenamente, quasi rassegnato recitò la “Shahada”; ma Dio, gli altri due se lo erano dimenticato, e urlavano come ossessi: «You can’t do this!». «You have no right!» In particolar modo Khaled Youseef, estremamente e comprensibilmente agitato, stava propinando agli infedeli una serie di improperi simili a quelli che i grandi Iman rifilavano con impressionante regolarità a Mosul e si udivano distintamente le parole: «shaytan, kafirun» che significano demoni e miscredenti, «zulm» che significa male e «shirk» che ha a che fare con il peccato di idolatria. Negli alterati cervelli di Khaled Youseef e di Nassab Hashemi la promessa paradisiaca delle 72 uri stava vacillando. E succede spesso in casi disperati: il leader fondamentalista di Ansar-ul-Islam, in particolare, non aveva mostrato «muru’a», cioè l’islamica virilità ed era sbracato paurosamente. Anche un cristiano che mi sembrava fosse Lawrence Stewart urlava fuori di sé dal terrore che non c’entrava niente con l’omicidio e che glielo avevano fatto fare per forza. Se ne fregava il santo guerriero di andare in paradiso a cenare, la sera stessa, con il Cristo Gesù: lui voleva restare in questa valle di lacrime e continuare a fottersi le sue cocche, trangugiarsi litri di birra, e guardare film idioti e violenti di Kung-Fu. Terry Pratley, invece, ormai privo di forza, nell’attimo fatale, aveva chiamato la madre: le classiche «ultime parole famose» di un italiano medio. Mentre i sacrifici procedevano, un coro gutturale si levava accompagnato da una musica arcana. I sei corpi erano rotolati, uno dopo l’altro, in fondo alle sdrucciolevoli scale.
Dopo l’ultimo macabro capitombolo la donna mascherata era riapparsa nello schermo sospirando: «Ahhh… there we are…» come dire: «Oh… ora tutto è compiuto» con la tonalità di una casalinga che aveva appena preparato una torta di mele. Quello che mi incuriosiva era l’effige del Dio. A quale divinità avevano sacrificato i neo – Aztechi? Ce ne volle di tempo per capirlo, ma lo scoprii. Lo scheletro bianco con le orecchie a sventola era un dio chiamato Mictlantecuhtli; Isabel ne aveva parlato a mio padre e a Mosul nel Diario Segreto. I sacrifici erano stati terrificanti, spaventosi, agghiaccianti ma affascinanti. Mosul e mio padre erano stati vendicati: ero sull’orlo di un orgasmo mentale. Era chiaro che la donna aveva fatto rapire i sicari ed i capi fondamentalisti per consegnarli ai sacerdoti aztechi e farli sacrificare. E si capiva dalle urla che i malcapitati non erano stati addormentati con droghe e che il loro martirio era stato protratto nel tempo per rendere il piatto freddo della vendetta più saporito. Alla fine del sacrificio la donna mascherata – che senza dubbio di sorta era Isabel – aveva detto: «Il piatto freddo è parzialmente consumato, ora ascolta James Robinson!». Sullo schermo era apparso un uomo appeso per un piede verso qualcosa che fumava e che sembrava un contenitore pieno d’acido muriatico. In bilico verso l’abisso ed il grembo di Abramo, James Robinson, il leader dei «Warriors of the Resurrected Jesus», stava concedendo una loquace intervista. Il grande leader sembrava un fiume in piena mentre spiegava dove si trovavano i sicari che avevano freddato mio padre. Il morituro però si era premurato di scagionare il terzo sicario, Jeremy Grant, che si era pentito e non aveva sparato. Il volto mascherato era apparso nuovamente. La donna aveva detto: «Willy, ascolta!». L’interrogatore, che non appariva sullo schermo, stava chiedendo al fanatico oscillante sul calderone di acido – e sulla promessa luminosa di Jahvè: «Chi vi ha informato che il 28 luglio Erminio Bortolo era nell’isola di Zannone?». E la bocca salivante nel volto paonazzo di James Robinson aveva cominciato a
muoversi disordinatamente balbettando: «The midget… the German midget! Gunther the German midget!». Il nano! sobbalzai: Gunther Werner Bucalosso, detto Zaccheo, aveva tradito mio padre consegnandolo a morte sicura. L’interrogante incalzava il cristiano oscillante sull’abisso del martirio: «Per quanto l’ha tradito?». «500.000 eurodollari!» Aveva risposto Robinson pisciandosi addosso. L’urina gli gocciolava dal collo. La donna mascherata era nuovamente apparsa ed aveva detto in perfetto italiano: «Distruggi tutto e vediamo di che metallo sei fatto; vediamo se hai le palle!». Con quelle parole si chiudeva la registrazione. Mi sono chiesto, almeno cento volte al giorno, da quando scoprii il tradimento di Zaccheo, chi lo avesse informato del viaggio di mio padre all’isola di Zannone. Un mistero. La risposta la scoprii molto più tardi. Il 9 luglio ho chiamato mio figlio, la Principessa Serafina, e gli ho detto: «Devi venire ad Ilfracombe perché devo consegnarti una cosa da parte di tuo nonno. È emerso un testamento sul quale – sfortunatamente – non posso tacere. Se stai male per la gravidanza, come mi dice Tiziana, fai venire urgentemente Zaccheo. Devo concludere entro tre giorni. Il resto è acqua ata, viviamo in pace, lo chiede tuo nonno!» Il 12 luglio, Zaccheo, odorando Eurodollari si è precipitato a Ilfracombe e quella notte abbiamo parlato fino a tardi. Il 18 luglio Serafina, accompagnata dal transessuale tedesco Maddalena Von Magath, avrebbe raggiunto il nano dopo un controllo medico per la difficile gravidanza. Il giorno seguente, il 13 luglio, gli ho detto che mi sarei recato ad Exeter per definire i termini della transazione della somma che mio padre aveva trasmesso per testamento a GiacominoSerafina con un avvocato del luogo onde evitare il pagamento d’esose tasse. Ma invece di andare ad Exeter, sono partito con Sherry per Bude, ove il 10 luglio avevo affittato un lussuoso appartamento, facendomi vedere con assiduità dai
nativi e dai turisti del luogo. Mi sono assicurato, inoltre, che Zaccheo evitasse qualsiasi forma di contatto con chicchessia, facendogli credere che l’ufficio delle tasse mi stava spiando. Gli ho ingiunto di non parlare neanche con Serafina: se la telefonata fosse stata intercettata avrei rischiato una multa colossale; le e-mail andavano assolutamente evitate, come se fossero bacilli della peste bubbonica, e così tutte le altre forme di comunicazione. Quindi tra il 12 luglio e il 16 luglio Zaccheo non ha comunicato con nessuno. Alle 2,30 della notte del 15 luglio sono tornato a casa con Sherry guidando da Bude dopo aver lasciato la mia macchina, ben in vista, davanti all’appartamento. Abbiamo usato un’ auto elettrica Ford-BKG che la vampira transilvanica aveva affittato precedentemente a Tiverton e che aveva occultato nelle vicinanze di Bude. Con la stessa abbiamo raggiunto un luogo vicino a casa mia, dove Sherry mi ha lasciato per proseguire verso Woolacombe dormendo in macchina in una zona aperta. Dormire in albergo era troppo pericoloso. La mattina del 16 luglio ho parlato con Zaccheo per due ore, dalle 10,30 alle 12,30 circa. Non abbiamo mai risposto al telefono. Alle 12,45 è giunta Sherry con una parrucca biondo platino, l’ho presentata come una cara amica e una grande chiromante. Zaccheo, patologicamente superstizioso le ha chiesto di leggergli la mano, ma Sherry gli ha spiegato che aveva scoperto, da una zingara rumena, un nuovo ed infallibile metodo per leggere il destino di un individuo. «Quale?» ha chiesto Zaccheo curiosissimo. «Scrivendo una frase qualsiasi con almeno cinque “O”: prenda una penna e quel foglio, ecco! Scriva con la sua solita scrittura in italiano una frase con quattro “O” tipo: “Sono stanco. Addio”. Questa frase- mi ha detto la zingara- funziona perfettamente». Ho tradotto e Zaccheo ha scritto la frase sul foglio. «Conosce l’italiano, Signora?» Ha chiesto Zaccheo. «No… ma la zingara lo conosceva molto bene… è stata in galera a Roma per un anno!» ha risposto Sherry. Poi ha studiato la calligrafia e ha detto: «Vedo uno sconvolgimento amoroso e molto denaro. E vedo un’immensa oscillazione, come un’altalena…».
Ho tradotto tutto. «Però…» ha detto Zaccheo ed ha chiesto «… ma che cazzo significa l’altalena?». «La fortuna che va e viene…» Ha spiegato la falsa chiromante. «Ahhhhh… ma i soldi arrivano?». Ho tradotto la domanda. «Si… ma anche l’oscillazione arriverà… lo scoprirà». Sherry ha risposto e ha aggiunto: «Lo sa che attraverso la scrittura e la meditazione “convessa” posso vedere la persona che lei amerà in futuro?». «Su… prova… dai!» ha gridato Zaccheo – e immagino, conoscendolo, che volesse aggiungere la parola “baldracca”; ma si era miracolosamente trattenuto. «Ecco: mi lasci concentrare… però… ecco… vedo un uomo-donna bellissimo, un ermafrodito forse, che si chiama… Noise… no… Noste… no Noisme… no… ecco: Noose, si, che la stringe, l’abbraccia quasi che la volesse soffocare… le accarezza il collo; si, si chiama Noose… si, è longilinea… e non la lascerà mai più… starete insieme per sempre… è un’edera…». Mentre traducevo ho fatto un segno con gli occhi a Sherry come per dire: piantala! Stai esagerando! Rideva a crepapelle il vampiro. Zaccheo ha chiesto: «Ma è un uomo o una donna sta cocca?». «È neutro» ha risposto Sherry. «Un bisessuale…». «Sembra…». «Ma il nome che vuol dire?». «Qualcosa come nodo, ma non proprio… che so… Bortolo significa qualcosa per te?».
«Boh!» Ho tagliato corto e per non insospettirlo non ho tradotto correttamente la parola «noose» che significa «nodo scorsoio». Sherry era in lacrime per il gran ridere. «Perché ridi, cocca?» Le ha chiesto Zaccheo. «Perché sei curioso… mi fai tenerezza». Terza regola d’oro: mai fidarti dei vampiri tendono trappole mortali per una valigetta di eurodollari. A quel punto sono andato in cucina e sono rientrato con due tazze di caffè. Ho cronometrato tutto alla perfezione. Sherry ha trangugiato il caffè dalla sua tazzina cerchiata d’oro, mi ha baciato, ha salutato Zaccheo ed è partita. Erano le 13,46, quando il nano nazista ha bevuto il suo caffè contenente Toxaina-Emerald dalla tazzina cerchiata di blu, e nel giro di pochi minuti è rimasto totalmente paralizzato. Questa droga non lascia tracce, la vittima rimane paralizzata per circa tre ore ma è perfettamente cosciente. Dopo tre ore gli effetti svaniscono e la persona ricorda tutto. Ho infilato il Blue-Ray nel lettore, dopo averglielo fatto toccare con le mani. Le impronte digitali sul Blue-Ray erano vitali. Zaccheo immobile, e immagino sbalordito, ha visto i sacrifici aztechi e Robinson che raccontava il suo tradimento che aveva dato via libera ai sicari per l’eliminazione di mio padre. Erano le 14,50 quando ho legato il nano con corde e protezioni di gommapiuma per evitare i segni causati da un’improbabile colluttazione. Poi ho sollevato il nano, gli ho messo un nodo scorsoio intorno alla gola, e l’ho appeso al gancio. Gli ho detto: «Il rischio è grosso, ma il piacere del gioco d’azzardo e del mandarti all’inferno sono immensi! Lo faccio per mio padre, nonno Bortolo e per tutti gli animali che hai massacrato segretamente per far soldi!». Zaccheo è oscillato delicatamente, ha strabuzzato gli occhi e dopo un certo periodo di tempo è spirato. Alle 15,30 mi sono travestito da diva hollywoodiana.
Alle 16,30 esatte è giunta Sherry con la macchina affittata con la targa cambiata. Aveva cambiato travestimento, si era tinta il viso di nero. Camuffato da “star” sono uscito da casa ancheggiando davanti alla pettegola Mavis, e facendole un cenno regale con una mano come se fossi stata una regina d’Inghilterra, sono salito nella macchina guidata dalla bellezza nera e siamo partiti alla volta di Bude. Il 18 luglio alle 17,38 Serafina, trovando la porta aperta è entrata a casa mia e ha trovato il suo amato nano penzolante dal gancio. Sul tavolo c’era il Blue-Ray – dove Robinson accusava Zaccheo del tradimento di Erminio Polpetta – e un foglio sul quale era scritto «Sono stanco. Addio». Nel Blue-Ray era stata preservata solo la parte di Robinson, oscillante sul calderone infernale mentre accusava Gunther di aver venduto mio padre; Aztechi vendicatori e donna mascherata erano stati cancellati dal filmato per non compromettere Isabel e i suoi complici. Il mio intento? Far credere che Zaccheo, preso dal terrore dell’inevitabile vendetta dei seguaci di Mosul e degli ammiratori di mio padre, si fosse tolto la vita. Una costruzione fragile, edificata su un alibi tenue. Ma delle volte è moralmente necessario rischiare: e questo era un poker da capogiro.
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Dopo la conferenza di Wansee tutto è deciso. Lo stermino degli Ebrei è decretato segretamente dal Führer, sancito da Reinhard Heydrich e organizzato da Heichmann. Bisogna eliminare 11 milioni d’ebrei e almeno 58,000 sono in Italia. I nazisti sanno che i fascisti italiani sono recalcitranti. Non sono entusiasti della cosa. Kesserling esita, Kappler non se la sente, cerca scuse, e tenta una via indolore: raccogliere oro in cambio di vite. Il 27 settembre la raccolta comincia. Il papa – bontà sua – concede un prestito. Alle quattro del pomeriggio l’oro
richiesto è raccolto e inviato a Berlino. Tutto è inutile. La perfidia è immensa. Il 16 ottobre 1943, l’Hauptsturmführer SS Theodor Dannecker accompagnato da 365 uomini entra nel ghetto di Roma con le mitragliatrici spianate. Le SS di Himmler sono ate dall’esaltata ricerca ariana del Sacro Graal all’abisso infernale del macello d’inermi disgraziati. La principessa Enza Pignatelli Aragona si precipita dal papa. Pacelli sta pregando quando il Maestro di Camera la lascia are. Informato dalla nobildonna, Pio XII, telefona all’ambasciatore tedesco Weizsäcker e protesta. Mentre si lamenta gli ebrei sono radunati presso le baracche del Collegio militare. John Cornwell scriverà nel suo «Hitler’s Pope» che i soldati tedeschi operano, con gli autocarri pieni d’ebrei, una deviazione turistica per poter ammirare lo splendore del cupolone di San Pietro. Dopo una controllata e mite protesta da parte del Vaticano, ne vengono liberati 252 ma 1060 rimangono nelle baracche pronti per partire. La stampa mondiale è in subbuglio: la storia dell’oro richiesto ed ottenuto con l’inganno fa il giro del mondo. L’ambasciatore inglese presso la Santa Sede, Osborne, è fuori di sé dallo stupore per la calma reazione del papa. Il treno, con il suo carico di innocenti, parte dalla stazione Tiburtina e procede verso Vienna in condizioni terribili. Pacelli è preoccupato: la notizia della barbarie potrebbe scatenare i partigiani comunisti a Roma. Il pontefice trema per una possibile rivolta che potrebbe far finire la Città Eterna nelle mani dei senza Dio. Spiega ad uno stupefatto Osborne che i tedeschi hanno rispettato la Chiesa e il Vaticano, il comandante Stahel è ben disposto verso Roma e inoltre, considerando «l’anormale situazione», è prudente la moderazione: la Santa Sede non può lamentarsi dei nazisti che stanno rispettando la neutralità del Vaticano. Il Cardinal Luigi Maglione manifesta timidamente il disagio della Curia con Weizsäcker che rimane piacevolmente sorpreso dalla moderazione della protesta vaticana. Risultato? 1060 ebrei vengono gassati ad Auschwitz e a Birkenau, e 149, uomini e donne, sono ridotti in schiavitù. Dall’abisso dell’orrore emergerà una donna, Settimia Spizzichini, che a tra le caritatevoli mani di Mengele e sopravvive per miracolo. Anche i fascisti si danno da fare e il 16 ottobre raccolgono altri 1084 ebrei. L’infamia che macchierà la nazione è perpetrata. Il 25 Ottobre di quel fatidico anno, il gesuita Michele Balducci entra nel
Vaticano con uno scrigno sotto il braccio: ha un appuntamento con il cardinale Luigi Maglione. Ha ottenuto, attraverso gli auspici di suo padre, un famoso magistrato romano legatissimo alla Santa Sede, un appuntamento con il porporato. Sono le 12,30 quando è introdotto nello studio del segretario di Stato. «Che piacere incontrarti di nuovo figliolo, come va in quel di Louvain? Una volta ho celebrato messa a Saint Pieter, sai caro? Che meraviglia il pontile gotico del coro… e quella stupenda deposizione di… di…». «Di Van der Weyden, Eminenza..». «Già… Van der Weyden… e dove sei ora?». «Sono momentaneamente a Padova, Eminenza, e ritornerò tra tre giorni a Louvain. Mi chiede come va? Stiamo seguendo con estrema apprensione quello che sta accadendo agli ebrei. Li hanno deportati: è terribile, é inaudito». «Tempi difficili, Michele, che richiedono gran temperanza. Io ho protestato vivamente con l’ambasciatore Weizsäcker. Quello che sta accadendo è sbalorditivo, ma dobbiamo essere vigili e non alzare i toni – come vorrebbero certe teste calde – onde evitare reazioni incontrollabili. Delle volte è importante trattenersi per non provocare mali peggiori. Voi non avete idea dei rischi terribili che corriamo. Che cosa dicono i tuoi confratelli a Louvain e a Padova?». «Eminenza, molti gesuiti dicono – se mi posso permettere di ripeterlo – che il pontefice dovrebbe gridare “urbi et orbi” il suo sdegno per l’orrore che i tedeschi e i fascisti stanno perpetrando». «Così vogliono le teste calde, ma il Sacro Pontefice non può permettersi di provocare l’ira di Berlino. Hitler potrebbe anche distruggere Roma. Dobbiamo proteggere la Città Eterna». «Così dice anche mio padre, ma i giovani sacerdoti ripetono che il silenzio del papa è colpevole e complice, e procurerà una macchia indelebile sul manto candido della Chiesa. Dicono che non si può tacere su uno sterminio di queste proporzioni e che bisognerebbe rischiare anche la distruzione di Roma nel
condannarlo senza mezzi termini, perché questo farebbe Nostro Signore». «Figliolo, tu sei giovane e non capisci: qui stiamo affrontando due grandi mali. La Germania almeno rispetta la Chiesa ma gli altri, se vincono, l’annientano…» «Un nostro confratello tedesco ci ha informati che anche le autorità naziste hanno a lungo sperato in una ferma protesta da parte del Sommo Pontefice, e anche Kessel ha atteso, invano, una dichiarazione ufficiale che spingesse Hitler a sospendere il trasferimento forzato degli Ebrei». «A noi, Michele, è richiesta somma moderazione, per questa ragione abbiamo chiesto a Padre Panktratius Pfeiffer di parlare a nome del Santo Padre. Ma è sorto un problema causato dal rango del sacerdote: occorre almeno un vescovo per il contatto ufficiale e non un semplice prete: allora abbiamo fatto scrivere una lettera dal vescovo Alois Hudal, parroco della chiesa tedesca di Santa Maria dell’Anima a Roma, e, nella missiva diretta a Hitler, abbiamo spiegato che il Papa, se la deportazione continuava, si sarebbe espresso contro la persecuzione degli ebrei, e che una simile presa di posizione avrebbe danneggiato la Germania facendo il gioco dei suoi nemici». «Però, Eminenza, ci risulta che i vescovi si, in un’analoga situazione, presero una posizione molto più ferma. Loro non esitarono… e poi, se posso permettermi, gli alleati sono in Sicilia e i russi sono arrivati a Brjansk e Smolensk, inoltre, Von Paulus è capitolato alla fine di gennaio. È la fine del Reich… e voi tutti lo sapete!». «Guardati dalla belva ferita a morte! E poi il papa ha responsabilità differenti dai vescovi si, e tu, figliolo, sfortunatamente non sembri ben informato. Forse, è bene che tu sappia che l’Augusto Pontefice – e tutti ne sono a conoscenza a eccezione di certi gesuiti amici tuoi- ha provato in tutte le maniere, esercitando il proprio potere, ad alleviare le sofferenze dei perseguitati. E noi siamo coscienti che la moderazione del Sommo Pontefice sarà interpretata dai protestanti anglosassoni come una debolezza; ma questa è la croce che dobbiamo portare. Ed è bene ricordare, Michele, che le «censure dimostrative» potrebbero aiutare i comunisti. E se loro vincono, la Chiesa subirà tremende persecuzioni. Il rischio, caro, è stato ed è ancora grande: lo sai che Hitler voleva rapire il Pontefice e condurlo in cattività? Nel luglio del ‘43 il Führer aveva chiesto al generale Otto Wolf, comandante supremo delle SS in Italia, di preparare un piano per la cattura e il trasferimento del Santo Padre in Germania».
«Mi permetta di insistere, Eminenza, molti di noi pensano – per quello che vale il nostro povero pensiero nella dinamica delle cose – che la Chiesa dovrebbe urlare al mondo il suo sdegno e rischiare persecuzione e martirio…». «E che altro dicono i tuoi amici gesuiti?». «I miei confratelli tedeschi a Louvain dicono che il papa, quando era Nunzio Apostolico in Germania, nel periodo della Repubblica di Weimar, concesse troppo a Hitler per ottenere legittimità e protezione per le associazioni cattoliche: quello che alcuni di loro non gli perdonano – se mi posso permettere di dirlo Eminenza – è l’abbandono del cattolicesimo democratico, per far fronte al pericolo bolscevico». «E che pericolo, mio caro!… non leggi delle tremende sofferenze dei nostri fratelli nelle terre di Stalin?». «Dicono, inoltre, che il riconoscimento del Moloch nazista come l’unico Stato nazionalista tedesco ha distrutto il sogno del cattolicesimo liberale e democratico in Germania». «E che altro?». «Dicono che il Sommo Pontefice si circonda di una corte romana dove la presenza dell’aristocrazia nera è sovrabbondante… una corte che è un fetido groviglio di laici e prelati collusi con il fascismo e con il nazismo…». «Stai esagerando, figliolo… tuo padre fa parte di quella corte…». «Esattamente… ma io sto solo rispondendo alla sua domanda, Eminenza… e dicono che Suor Pasqualina…». «Ora basta! Quella è un’orribile calunnia, come ha già detto il Sommo Pontefice». «Non “l’orribile calunnia”, Eminenza, io sto solo cercando di dire che i miei confratelli affermano che Suor Pasqualina ha un’influenza sproporzionata sul papa… anche il gesuita Leiber, l’assistente del Santo Padre lo ha detto!… E poi…» «Ora basta Michele… Leiber non fa testo e questa è impertinenza… perché sei
venuto?» Interrompe Luigi Maglione sdegnato «Che cosa hai in quello scrigno?» La brusca interruzione non aiuta. Padre Balducci racconta succintamente la storia del Velo di Marta. Spiega che Giuseppina Paloscia, una terziaria trinitaria di Piove di Sacco, un luogo non lontano da Padova, toccando il santo velo contenuto nello scrigno, ha cominciato a levitare e a profetizzare; e che la donna ha il dono della «bilocazione», trasuda spesso sangue e ha avuto l’esperienza dello «scambio del cuore». «E cosa ha visto e profetizzato questa presunta veggente?» Chiede il Segretario di Stato. Il gesuita sciorina la solita storia della visione delle aquile – che resta incomprensibile a tutti – e subito dopo racconta che durante la levitazione, Giuseppina Paloscia, ha urlato che Gog tra due anni arderà nella sua tana e che il gigante morirà, prima che i mille anni si compiano, per una disfunzione interna. La terziaria trinitaria ha affermato che il titano, che nella visione stringeva una stella di fuoco tra le dita, crollerà e si frantumerà in mille pezzi». «Lo Stato bolscevico?». «Così è stata interpretata la visione. Il gigante improvvisamente cadrà e si sbriciolerà in mille frammenti». «Sai quante divisioni ha Stalin e sai cosa sta accadendo nel mondo?». «Io semplicemente riporto, Eminenza…». «Sai quanti stigmatizzati ci sono stati in questo secolo? Prova ad indovinare? Scuoti la testa? Oltre 50!… sai quante persone in odore di santità hanno operato e operano nel nostro tempo… te li elenco?». «Se crede opportuno…». «Elena Aiello, la tedesca Schaffer, l’inglese Kerin, Otto Moch, Lucia Mangano, Maria Voltorta, Teresa Neumann, Adrienne von Speer, Marthe Robin, Tommasina Pozzi… e tanti altri…» «Tanti…»
«E sai che ti dico? Se sono rose fioriranno… se la profezia si compierà allora daremo il giusto peso a questo straccetto… altrimenti, caro, lasciamo andare… sai quanti isterici ano per santi? Un abbraccio a tuo padre ed omaggi a tua madre… una santa donna quella! Ora devo andare… e sii più rispettoso in futuro!». Padre Balducci esce con lo scrigno infilato in una borsa di pelle ed è investito dalla luce meridiana. Il gesuita si asciuga il sudore e mormora: «Ma che bestie questi porporati…» poi rivolto verso la finestra del papa «Si… stattene lì a pregare tu, mentre continua, nel silenzio, il massacro di quei poveri ebrei! E dì qualcosa… dì qualche maledetta cosa!». Nella piazza intravede Monsignor Pietro Pavan, quello che suggerirà alla Democrazia Cristiana di De Gasperi un accordo con i fascisti, e sussurra: «Bella gente!» Giuseppina Paloscia ci azzeccherà in pieno: Hitler si suiciderà e si farà bruciare nel maggio del 1945, Gorbaciov scatenerà la sua fatale «perestroika» verso la fine del secolo, il muro di Berlino crollerà nel 1989 e il colosso stalinista si disintegrerà prima che si compia il millennio. Padre Balducci non desisterà e apparirà di nuovo con lo scrigno sotto il braccio nel 1978, durante l’infinitesimo pontificato di Giovanni Paolo I, il regno di 33 giorni di Albino Luciani.
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Spesso mi sono domandato perché la donna mascherata e i suoi amici avevano scelto di sacrificare quei reprobi a Mictlantecuhtli, il Dio della Morte? La risposta è giunta il 21 settembre del 2048: quel giorno ho rivisto il misterioso messaggero in un caffè di Barnstaple. Pioveva a dirotto. Il giovane apparve improvvisamente mentre inzuppavo un cornetto, versione devoniana, nel cappuccino. Era vestito con un giubbotto nero di “i-texiles”, con stivali neri fino
al ginocchio ed un pendant d’argento, a forma d’iguana, attaccato al bavero. Aveva i lunghi capelli gocciolanti. Quando lo vidi sobbalzai, lui si sedette, sorrise ed ordinò un espresso: «Hai rischiato brutto, amico, ma i tagli del BlueRay ci sono sembrati appropriati…» «Ho fatto quello che mi avete chiesto di fare… con una minima variazione». «Hai fatto quello che il tuo onore pretendeva…». «Già… ma tu chi sei?». «E che importanza ha chi sono?». «Perché sei qui?». «Per metterti in guardia… stai correndo seri pericoli; forse è necessario che tu svanisca per un lungo periodo. E ricorda: il tuo alibi è tenue. Fragilissimo. La domanda che i sacerdoti ti pongono è questa: vuoi che liberiamo il mondo da quel querulo moricon de mierda?». «Quale moricon de mierda?». «Quel succhiacazzi indegno di tanto nome… tuo figlio!». «Devo dire che la tentazione è immensa… ma lasciamo perdere… e poi dopo le accuse che mi ha fatto è troppo ovvio farlo fuori!». «Come vuoi, amico, riferirò…». «Ad Isabel Conchita de Mendoza?». «E chi è mai Isabel Conchita de Mendoza ?» Chiese ridendo il giovane. «Ma dove vivi tu?». «Qui e là, che importanza ha dove vivo?». «Come ti chiami?». «Hermes!».
«Una cosa volevo chiederti: perché avete sacrificato quei fanatici al dio della morte? Quella era l’immagine di Mictlantecuhtli… vero?». «Bravo… ascolta: i grandi sacerdoti pensano che Mosul sia l’ultima incarnazione di Quetzalcoatl, dicono che sia quel dio ritornato sulla terra. Ma a quella divinità – come tu forse sai – si sacrificano solo serpenti e farfalle, così i sacerdoti hanno pensato al dio della morte anche perché Mosul ed Erminio amavano molto i cani; e Mictlantecuhtli è il patrono del “giorno di Itzcuintli”, cioè il giorno del cane. E poi hanno scelto quel dio per arcane ragioni che non posso rivelare». Detto questo, Hermes si alzò, mi abbracciò e mi disse: «Sii forte, il tempo è cupo!» E svanì. Serafina non se l’è bevuta: mi ha scaricato addosso una tempesta mediatica da soap opera “brasilera” urlando ai quattro venti: «Ho il suo piccolo nel grembo e mio padre me l’ha ucciso!». La grande mobilitazione mondiale dei transessuali mi ha messo in seria difficoltà. Ma i gay non si sono associati. Il resto è noto, e mi sembra assurdo ripeterlo: sono stato massacrato dai media digitali finché non sono fuggito nello spazio. Ho raccolto i soldi che mio padre mi ha lasciato l’ho aggiunti a quelli ricavati da due interviste rilasciate alla CBS tedesca e alla CRC se e, il 27 agosto del 2048, mi sono pagato un viaggio spaziale con una navicella X-39, uno “spaceplane” e ho raggiunto una stazione spaziale trasformata, nel 2025, dai giapponesi in un bellissimo albergo. Mi sono riposato guardando le stelle. Uno spettacolo ammaliante. La navicella che è in funzione dal 2018 si è levata dall’aeroporto di Londra come fosse un normale aereo. Funziona a propulsione, utilizzando propellenti liquidi, idrocarburi, ed è lunga circa di venti metri. Mentre ero in orbita, è giunta la notizia della scoperta di Ying Zhao che conferma l’esistenza dell’antimateria. Il cinese con il suo esperimento ha confermato la scoperta del 2038 di Mel Jones. Tra due anni saremo in grado di utilizzare astronavi che voleranno oltre la velocità della luce, fornite di reattori basati su un sistema di materia-antimateria, costituito da atomi di anti-idrogeno congelato, controllato da campi magnetici e da “cristalli di litio”.
I dati finali sono stati trasmessi dall’ultimo tipo di AMS lanciato nello spazio nel 2044. In ducati sonanti: la scoperta conferma che ogni particella di materia ha una corrispondente particella di anti-materia. E quando materia e antimateria si uniscono, si annientano trasformando la loro massa in energia. Ying Zhao ha confermato che il Big Bang è avvenuto perché materia e antimateria erano presenti, in parti simili, nel momento della nascita dell’universo. Il cinese ha provato con la sua scoperta – come molti supponevano – che esistono “antigalassie” e “antiuniversi”. Dalla predizione di Paul Dirac ne è ato di tempo. Dirac, nel 1928, Anderson, nel 1932, Emilio Segrè nel 1955, con la scoperta dell’antiprotone, l’esperimento dei «mille antiatomi» dell’ATHENA nel 2002, e quella dell’antinucleo di Antonio Zecchini avvenuta nel 2033, sono stati i precursori di Ting e della sua «nuova particella subatomica»; essi sono i giganti sulle cui spalle si sono seduti Sommerville, Guzov, Jackson e Ying Zhao che, nel 2043, ha confermato tutto. Insomma siamo giunti a questa conclusione: a ogni stella costituita di materia corrisponde una stella di antimateria, a ogni galassia un’antigalassia, a ogni universo un antiuniverso. A ogni Zaccheo penzolante dal gancio un antizaccheo penzolante dal gancio. Ying Zhao ha confermato che in un luogo – se così si può dire – remotissimo esiste una parte dell’universo costituita dall’antimateria. Sherry è convinta che in quel luogo-non-luogo vivano i morti. Mentre veleggiavo per l’universo, Serafina ha continuato ad infierire senza scampo. Il pervertito ha intuito tutto. Sherry è continuamente sottoposta ad interrogatori assillanti ma resiste. Il fragile alibi tiene ancora. La polizia mi sta ancora torchiando ma la fermezza dei miei avvocati è notevole. La loro tesi, ripetuta come un accattivante ritornello, è che Zaccheo si è ucciso, non per la vergogna e il rimorso di aver venduto la vita di mio padre per 500.000 eurodollari, ma per la paura di una esecuzione annunciata. Lasciatolo con il Blue-Ray in uno stato d’ansia, dopo che lo avevo informato che lo avrebbero eliminato per vendicare Erminio, Zaccheo ha deciso di suicidarsi. La megera Mavis è stata formidabile nella sua dabbenaggine. Mi ha dato un immenso aiuto: ha affermato ripetutamente di aver visto tre donne entrare ed uscire da casa mia lo stesso giorno del suicidio, cioè il 16 luglio.
La prima, bionda e dall’aspetto volgare, era entrata in casa tra le 13,00 e le 14,00. Era Sherry vestita da chiromante. La seconda, signorile e molto “posh”- così aveva affermato Mavis – era uscita di casa tra le 16,00 e le 17,00. Ero io travestito da diva. La terza, nera come l’ebano – così ha detto la megera – aveva atteso, alla stessa ora, l’elegante signora in una macchina blu. Era Sherry truccata da cantante di colore. Poi più niente. Il signor Polpotta – che Mavis insiste nel pronunciare “Pelpette” – lo aveva visto soltanto il 13 e il 18 luglio, quando la principessa della “fellatio” aveva già scoperto il cadavere del suo “pappa” penzolante da un gancio del soffitto ed era svenuta come Violetta nella Traviata. In scudi tintinnati: nessuno mi aveva visto a Ilfracombe nel giorno del delitto perché ero a Bude con Sherry attorniato da turisti e nativi selvaggi devoniani. Oggi é il 2 novembre del 2048 e quest’alibi tenacemente resiste. Sono stato geniale. Ho la convinzione incrollabile che non scopriranno niente. Lo sento nel profondo della mia anima. Per mantenere salda la determinazione di Sherry le ho promesso di sposarla in chiesa, in bianco, con un abito da sposa “Derger”. Quarta regola d’oro: giurare sempre falso con i vampiri. Eternamente cazzeggiare con le figlie di Dracula.
Il Dodicesimo Iman
È bello qui. Questo posto è sulla Baia di Hollesley, vicino c’è il porto di Felixstowe, la città di Ipswich – piacevole ma turisticamente povera – e gli umili luoghi cantati da W.G. Sebald nei suoi libri. I luoghi di Austerlitz, il vacuo eroe dello scrittore vagante nel Suffolk. Ad est c’è Cambridge e a nord la città di Norwich. Vivo in una stanza – così preferisco chiamarla – piccola ma piacevole. Alle pareti, per rendere l’ambiente gradevole, ho attaccato alcune riproduzioni, amate da mio padre, che illuminavano la casa di Ilfracombe. Sulla parete di destra ho appeso l’immagine di Dio come architetto del cosmo di una Bibbia se del XIII secolo. Nella parete centrale le miniature dell’universo e della visione escatologica dell’umanità di Hildegard von Bingen. Su quella di sinistra le opere di Belbello di Pavia e di Jacopino d’Arezzo: le pitture rifinitissime della Bibbia D’Este, rappresentanti la creazione dell’universo, la separazione degli elementi, la creazione della luna e degli animali. Sul lavabo ho appeso una miniatura dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, tratta dal Commento del beato di Lièbana. I giorni ano lenti ed ho deciso di rileggermi i classici. Dopo essermi ruminato Dostoevskij e Tolstoj sono ato a Mann e alla sua incantevole “La Montagna Incantata”. Posso utilizzare senza problemi la mia agenda computer per dettare e ho un bel televisore satellitare in un complesso integrato Sony. Dalla mia finestra vedo abbastanza cielo da rendermi conto che sta accadendo qualcosa di sconvolgente. La volta celeste è sempre rossa ed i grovigli nuvolosi apparsi da sei giorni sembrano lentamente strutturarsi in forme non ancora comprensibili. Stranamente, gli addensamenti di nubi sono sempre lì. Immobili. Ed è come se uno scultore invisibile li modellasse. Non ho sbarre alle finestre ma un vetro infrangibile. Ricevo, ogni giorno, sullo schermo del mio Compaq tc 2050, centinaia di lettere, ma non posso comunicare direttamente. Quello è proibito. Sono considerato un carcerato modello: il mio numero è F 47693.
Come sono finito in gattabuia? Il tenue alibi non ha tenuto sotto l’imperversare furioso della polizia e degli avvocati della lobby transessuale «WAW» (We Are Women). Le prove erano solide fino a quando il vampiro ha retto: Sherry ha resistito con spavaldo coraggio sino al 2 febbraio del 2049. Il 3 febbraio è crollata miseramente comprandosi la libertà con una vulcanica confessione. Il 3 marzo ha venduto le sue memorie al Mirror World News ed è diventata miliardaria. Dal momento del mio arresto, il 3 febbraio 2049, mi sono trasformato in eroe internazionale, e allo stesso tempo, in reprobo mondiale. Dipende logicamente dai gusti. Serafina si è rifatta la vita con un pappone albanese di Kavaje, Ismail Alia detto «Zogu», e il piccolo mostro di Zaccheo è nato dopo un allucinante taglio cesareo. Lo hanno chiamato Gunther II, Arcibaldo. Giacomino è tornato al suo salivante lavoro e ha continuato a succhiare peni in quel di Lussuria. Se Zaccheo era un immondo sfruttatore, l’albanese si è dimostrato uno schiavista tenebroso. Il “pappa” Zogu commercia in pedofilia utilizzando i piccoli del terzo mondo e il sesso con gli animali. Serafina, presto, finirà a succhiare il pippo ad un macaco. La mia impressione è che il degenerato e il pappone non si godranno a lungo la luce del sole. Basterebbe un cenno a Hermes e le loro misere vite verrebbero spezzate come due fragili germogli: ma non ho la forza di dare il mio assenso alle eliminazioni. E poi c’è il piccolo mostro. La comione alla fine frega sempre. Ogni giorno, ricevo foto e messaggi da cocche da straballo pronte a concedersi senza remore. Lo strazio è immenso: un’incredibile cornucopia di bellezza è offerta a un eremita, in una remota baia, che non può approfittare del dono: una versione moderna delle tentazioni di Sant’Antonio. Ho eseguito una cernita precisa. E se mai uscirò vivo da questo luogo ameno mi spupazzerò tutte le cocche che mi hanno mandato messaggi. Una dopo l’altra. Tutte. Però, una volta a settimana, accompagnata dall’ottuagenaria, viene a trovarmi Marlene che mi fa saltare come un grillo sul lettino e mi racconta di Koko. La sua intelligenza si è sviluppata al punto che sta studiando la fenomenologia trascendentale di Edmund Husserl. Marlene mi manca moltissimo. Ma la fedeltà
è un’altra cosa: e con quel ben di Dio che mi arriva sullo schermo è difficile restare mentalmente casti. E poi l’ho ripetuto cento volte: le lesbiche hanno ragione: noi uomini facciamo cagare! È il 7 maggio del 2050, sono in carcere da oltre un anno, e sto concludendo le mie “Note sul Diario Segreto” che ho cominciato il 7 ottobre del 2048. La curiosità della gente è immensa. Il cielo si sta aprendo. La fine del mondo sembra imminente, ma i media continuano ad elargire spazzatura alla massa bipede che non riesce a vivere senza ingoiare quotidianamente la sua razione di pseudo notizie di merda. Il 5 maggio sono stato intervistato dalla televisione australiana e una cocca, con due cosce da sballo, Peggy Daporto, mi ha chiesto: «La domanda che tutti si fanno è questa: cosa vi siete detti con Zaccheo prima dell’impiccagione?». Dal momento che me lo chiedono tutti in maniera morbosa, ho deciso di rivelarlo. La mattina del giorno dell’impiccagione, il 16 luglio, mi sono seduto nel vecchio soggiorno con Zaccheo ed abbiamo parlato. Sono stato gentilissimo per non insospettirlo. Gli ho chiesto, per curiosità, dal momento che stava per lasciare questa valle di lacrime, se conosceva la storia dei nani di Auschwitz. Mi ha risposto che l’aveva sentita vagamente e mi ha chiesto di raccontarla. La storia è questa: una “troupe” musicale di sette nani ebrei, più due sorelle di grandezza normale, erano stati mandati ad Auschwitz per essere liquidati. Il nome dei nani e delle due giovani donne era Ovitz ed essendo segnati nel fisico da un crudele destino, e per di più essendo ebrei, era logico per i nazisti eliminarli, e così furono spinti nelle camere a gas per essere soppressi. Le porte erano state appena sbarrate quando furono spalancate nuovamente e i nani, strappati alla morte, tossendo e sputando riemersero nella luce del sole. Perché si salvarono? Mengele aveva bisogno degli Ovitz: l’angelo della morte voleva utilizzarli per i suoi dilettevoli esperimenti; così i nani e le due sorelle, sfuggiti alla morte, iniziarono il calvario delle sperimentazioni del nazista.
Un giorno due storici ebrei fecero delle ricerche e scoprirono che i nani erano sopravissuti e che una delle nane, la vecchia Perla era convinta che Dio l’aveva fatta nascere minuscola per salvarla dai forni crematori. I mortali si aggiustano sempre le ragioni che riguardano il proprio il destino. Fu la nana Perla, una dei sette nani, a raccontare ai due storici, come Mengele durante gli esperimenti si divertisse a cantare una filastrocca che suonava così: «Sulle colline e sulle sette montagne, abitano i miei sette nani». E dal momento che l’angelo della morte era anche un buontempone, decise di fare un bel film ed inviarlo al Führer che, nel “nido dell’aquila”, tra possenti tempeste, se lo guardava estasiato ridendo a crepapelle. Gli Ovitz erano i discendenti di un minuscolo e affascinante “tombeur de femmes”, il nano Sansone, che aveva sposato una donna d’altezza normale, chiamata Bianca, la quale aveva dato alla luce due gemelle affette da microsomia. La seconda moglie, Bertha, sposata dopo la morte di Bianca, e anche lei di statura normale, aveva messo al mondo cinque nani e due figlie normali. Nel 1944, i nani e le sorelle furono catturati in Ungheria e spediti ad Auschwitz. Mengele studiò con gran cura gli Ovitz che sopravvissero ai suoi abomini e furono liberati dai sovietici. Dopo un anno di permanenza in Russia, i nani, andarono a vivere in Israele, a Haida, dove divennero famosi per le loro rappresentazioni musicali. La loro arte li rese ricchi, comprarono un grande appartamento, due cinema e due caffè, e smisero di lavorare nei cabaret. Intorno agli anni 80’, uno dopo l’altro, cominciarono a morire abbandonando la “terra promessa” e ora concessa da Jahvé. Come ha reagito al racconto Zaccheo? Mi ha guardato e mi ha detto: «E allora? I deboli periscono, svaniscono, vengono liquidati. È la natura stessa delle cose. Quei miserabili sono sopravvissuti miracolosamente, ma, in effetti, dovevano morire». E ha continuato: «Te la racconto io una storia. Lo sai che il mio bisnonno lottò contro i comunisti a Berlino il 17 giugno del 1953? Te la ricordi la famosa rivolta degli operai tedeschi contro il regime della DDR? Stalin era morto a marzo e i tedeschi orientali si sollevarono contro i russi. E mio nonno era in prima fila a combattere contro i carri armati tirando pietre contro i cannoni. Il mio vecchio mi raccontò che i giovani soldati russi erano sbigottiti e avevano
volti da bambini. Ma mio nonno non sarebbe mai finito ad Auschwitz: lui ha combattuto contro i carri armati. Ed era un nano. Ne vuoi sentire un’altra di storia? Allan Curtis, un canadese di proporzioni minute come me, ha appena scritto un libro su un signore della guerra vichingo, chiamato Ivarr “the boneless”, cioè Ivarr “senza ossa”. L’idea, ha detto, gliel’ha data un vecchio documentario della televisione inglese d’inizio secolo che gli è capitato tra le mani. In quel filmato, un uomo chiamato Nabil Shaban se ne venne fuori con un’affascinante teoria. Shaban affermava che Ivarr fosse afflitto da un morbo che gli distruggeva le ossa – gli inglesi chiamavano questa malattia, ormai debellata da molti anni, “brittle bone disease” – e che i Vichinghi lo portavano su uno scudo quando combatteva. Eppure quel minuscolo malato – un nano come lo chiameresti tu – , nell’anno 865 distrusse parte dell’Inghilterra, provando che anche coloro che sono afflitti da microsomia o da terribili malattie che li rendono minuti e fragili possono diventare grandi condottieri. Curtis racconta che la ferocia e la risolutezza di Ivarr erano uniche e che il re era un genio tattico; e che, a differenza dei violenti e impetuosi guerrieri nordici, sapeva attendere il momento giusto per colpire. Il padre, infatti, fu scaraventato da un re rivale in una buca colma di serpenti velenosi. I fratelli volevano vendicarsi immediatamente, ma lui li convinse ad attendere, simulò gran debolezza e fece credere all’assassino che era meglio vivere in pace; poi lo trasse in una trappola, gli fece squarciare la schiena con un coltello, gli fece estrarre delicatamente i polmoni, li fece esporre, con infinita gentilezza, dalla schiena aperta per prolungare l’agonia, e lo fece perire tra strazi inenarrabili. Ivarr m’incuriosì e lessi la storia del periodo. Scoprii che i Vichinghi dopo essere arrivati in East Anglia, discesero verso la Northumbria e la Mercia e dopo averle devastate, avanzarono verso il Wessex. Nel 877 sembrava tutto perso per i Sassoni, ma in quel fatidico anno Alfredo riuscì a sottometterli dopo averli sconfitti ad Ethandum. Ivarr era uno dei signori della guerra che presero parte alla vittoriosa avanzata di quegli anni turbolenti». Ma era vera la storia narrata da Zaccheo? La storia del nano vichingo fu considerata dalla stragrande maggioranza degli storici falsa ed alcuni scrissero che Ivarr era invece un gigante. Le tesi di Shaban furono demolite da molti studiosi, ma Zaccheo le trovava utili e le adoperava per
puntellare la sua demenziale visione del mondo. Gli dissi: «Ma tu un gran condottiero non sei! Sei un pappone».E lui mi rispose che nella vita erano necessarie risolutezza e capacità di leadership anche per organizzare bordelli con ermafroditi e che per costruire un impero dal nulla occorrevano le palle; e che lui l’impero se lo stava creando. E poi mi spiegò che io ero mentalmente arretrato perché il tempo aveva trasceso il discorso della differenza dei sessi e che ormai gli uomini erano, nella stragrande maggioranza dei casi, bisessuali e generavano figli. E a riprova di quello che stava affermando sottolineò che la Chiesa di Pietro II, che era appena succeduto a Celestino VI, era governata da cardinalesse lesbiche – scisma o non scisma – ma che lui – ci tenne ad evidenziarlo – malgrado questo, aveva scelto la Chiesa pacelliana per la speciale devozione che provava per Padre Gaetanino Biscassi da Cerniola. Questo ci siamo detti in quelle ore. Devo ricordare che per evitare difficoltà che potessero scompigliare il piano, ho cercato di non rispondergli. Tutto era minuziosamente preparato e non potevo, in quel momento, rischiare una lite e compromettere il mio diabolico disegno. È facile immaginare che ascoltarlo mi faceva l’effetto che provocava a Bonhoeffer o a Van Stauffenberg – quello dell’attentato a Hitler – ascoltare i discorsi di Goebbels. Alla domanda di Peggy Daporto sugli ultimi istanti di Zaccheo, ho risposto che gli occhi del nano erano rigurgitanti di timor panico e che tutto il male che aveva commesso si stava addensando, in quegli ultimi istanti, in un punto, nell’“hic et nunc” del gancio nero della trave, e che le mobilissime pupille vorticavano disperate in cerca di un impossibile sostegno. In quel momento, paralizzato dalla Toxaina-Emerald, Zaccheo capiva che tutta la sua costruzione machiavellica, demenziale, crudele, finalizzata ad imporre il suo ego criminale sul mondo, era stata solo un fragile castello di carte e che, entro pochi istanti, sarebbe collassata. Devo dire che non gli lasciai il tempo di rivolgersi a Padre Gaetanino Biscassi, dal momento che volevo esser sicuro che, qualora esistesse l’inferno, Zaccheo precipitasse nel lurido miasma di una bolgia olezzante. E quando Peggy mi ha chiesto se avevo provato pietà nel momento dell’impiccagione, le ho risposto chiedendole se aveva mai visto gli occhi degli
agnelli e dei vitelli quando venivano condotti al macello e odoravano il sangue innocente delle vittime che li avevano preceduti. Le ho spiegato, inoltre, che in quel momento avevo pensato a mio padre mentre sussultava crivellato dai colpi di laser davanti all’immagine dell’uomo barbuto. E le ho detto: «Sweetie Pie, I felt nothing but supreme joy!». Mi vergogno di dire che per tutto il periodo dell’intervista non ho fatto altro che immaginare Peggy Daporto in tutte le posizioni del Kamasutra. Ciò era dovuto all’immaginazione sfrenata che provoca il carcere. Ad esempio, penso spesso alle seghe che si sparava il Marchese De Sade mentre scriveva i suoi romanzi porno-filosofici nella Bastiglia. Peggy, che aveva capito i miei reconditi ed immondi desideri, ci godeva come una matta e mi provocava esponendo le cosce in maniera vergognosa. Me la sarei divorata mentre descrivevo l’infame dondolante ma occorreva self-control. Improvvisamente dalle labbra vermiglie e umide di Peggy è giunta, come un fulmine a ciel sereno, la domanda da un milione di dollari: «Ma esattamente chi erano, secondo lei, Quimper e Mosul?». Mi sono rabbuiato di tristezza, ho abbandonato la contemplazione delle cosce e ho risposto: «E chi lo sa cara? Hanno scritto fiumi di parole su quei due. A intuito, penso che l’analisi di mio padre, emersa chiaramente dalle pagine del Diario Segreto – che per il momento io solo conosco – sia la più giusta. Credo che esaurisca e concluda le riflessioni che troviamo nel “Messia Limitato”. Mio padre afferma che l’Oltre – che tentiamo di definire con enormi difficoltà come il “Grund”, come il fondamento, il terreno primordiale delle cose – funziona secondo una sua logica che non ha nulla a che fare con la ragione mortale, la ragione di questo mondo, ove è imperante, egemone il principio di causalità. Qui da noi vige A,B,C, e là – in quel luogo che è un non luogo – vige Z,R,Q… mi capisce? Ecco: possono esserci, dunque, parecchi “principi fondamentali”, o ci potrebbero essere solo due “principi fondamentali”. O anche tre. Nell’Oltre, il monoteismo non è di casa. È un concetto insulso. I “principi fondamentali” possono essere molteplici. Difficile spiegare. Sembra che “qualcosa”, ad un certo momento della storia del mondo, sia intervenuto in maniera giocosa, ludica, ed abbia elargito, prodigato due
incarnazioni apparentemente in contrasto tra loro: la prima programmata su refusi metafisici estrapolati dal cristianesimo, la seconda predisposta ad una profonda simbiosi con la natura – simbiosi che sta alla base del fenomeno delle eruzioni vulcaniche e dei Green Men piangenti. Do you read my lips, my dear? Forse non riesco a spiegarmi bene, ma è stato come se uno dei principi fondamentali – ammesso che ce ne sia più d’uno – allarmato dal ritorno delle schegge metafisiche cristiane, fosse intervenuto per bilanciare la manifestazione bretone e non permettere che una religione morente divenisse vittoriosa sul pianeta ed egemone sull’“hic et nunc” coscienziale in questa porzione di cosmo. Oppure è stato il gioco interiore di un unico principio che si contraddice per propria natura, poiché è costituito da opposizioni, e le inconciliabilità sono il suo sangue, la sua linfa vitale. Quelli che affermano che in Dio albergano il bene e il male (e non solo il bene), perché da lui entrambi originano, hanno, in un senso, ragione anche se semplificano paurosamente il problema e lo rendono miseramente antropocentrico. Riflettiamo: lo stesso giorno in cui Quimper viene alla luce, il 7 settembre 2011, aprendo la strada al ritorno di un cristianesimo morente fatto di superstizioni e disattenzione verso il non umano, nasce a Uadi’n Natrum Mosul, un giovane dal sorriso enigmatico, un uomo profondamente comionevole, tanto che mio padre nel “Messia Limitato” lo definisce un santo. Queste due incarnazioni – non saprei come altro chiamarle – agli inizi, sembrano in contrasto, ma poi, senza mai conoscersi, si riconciliano, diciamo… inconsciamente e mai apertamente, fino al punto che alla morte di una di loro, l’altra fugge dal mondo e s’inabissa nella materia decaduta dei bassifondi di città americane, disparendo nel nulla. E meraviglia delle meraviglie, vediamo che il Gesù bretone, fino allora insensibile alla sofferenza animale, adotta un randagio, Tobias – un cane che è diventato l’animale più famoso della storia del mondo – e disperato per la morte dell’Anticristo, come ultimo pronunciamento, mormora le fatidiche e inaspettate parole: “Questa specie, forse, non è giusto salvarla”. Poi c’è il famoso: “Well… well…” dello stesso Mosul morente, interpretato erroneamente, da parecchi intellettuali, come la domanda essenziale del Nazareno a Jahvè: “Eloì Eloì lamà sabactani?” Parole finali che, secondo me, vanno interpretate come: “Ebbene, ebbene che ti aspettavi, Erminio? Alla fine
sono giunti: ecco la mia liberazione da questa partita di scacchi giocata da folli!”. Chi erano Quimper e Mosul, mi chiede Peggy? Lo sa che le dico? Ognuno pensi quello che vuole. Immagini un quadro astratto, che so un Richter, o uno Still, o un Tobey, o un Rothko, un Gorku… ognuno ci vede quel che vuole. E non sta a me o a mio padre chiarire nulla, perché noi non conosciamo il segreto di quello che è accaduto; forse, intuiamo vagamente, ma non sappiamo con certezza. Ognuno dica la sua. Non vede che il tempo stringe: il cielo é rosso sangue e quegli addensamenti di nuvole non promettono bene». Ad intervista conclusa ho detto all’australiana: «Benedetto colui che le salta sopra tutte le sere…». Peggy ha sorriso e ha risposto: «Quando uscirà da qui, andremo a cena insieme…». «Veramente?» Ho chiesto. E la signora Daporto ha confermato: «Indeed!». Ecco le moderne tentazioni di Sant’Antonio nella Baia di Hollesley.
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Quando la domenicana Marcelline Lobet de Jèsus, estatica di un convento di Lier, dopo aver toccato il Velo di Marta nella chiesa di Saint Gommarus, sotto le statue della ione del coro, immerso in navate stracolme d’ornamentazioni fiammeggianti, comincia a parlare in aramaico, padre Balducci, diventato nel 1972 professore di metafisica e teologia fondamentale a Louvain, si precipita dalla santa donna per ascoltarla. Si fa accompagnare da Nissan Tazbar, un giovanissimo seminarista di Maaloula, una città a nord ovest di Damasco, presso il confine libanese, dove parlano l’aramaico: la lingua del Cristo Gesù. L’aramaico è un idioma che, al tempo del Nazareno, era parlato da oltre un
milione di persone, e che, nel 1978, era ancora utilizzato da alcune migliaia di siriani. Nel 1000, l’aramaico, era stata la lingua dominante nel Medio Oriente ma dopo la conquista musulmana, con il prevalere dell’arabo, era divenuta insignificante ed era declinata. Nissan Tazbar sostiene che l’aramaico è utilizzato in varie parti del mondo, dall’India all’Australia, da minoranze emigrate durante le varie diaspore. E afferma che sono circa mezzo milione le persone che lo parlano. Dopo aver udito la traduzione del colloquiare aramaico della domenicana, il gesuita, decide di partire per Roma con il solito scrigno nella borsa di pelle nera. Il sessantunenne professore avversa il “miracolismo”, ma il velo è una cosa troppo seria perché venga ignorata; e quando un confratello belga gli chiede perché sprechi il suo tempo dietro a simili follie, risponde con serenità: «Se, ipoteticamente, nello studio, ci apparisse un fantasma e cominciasse a ragionare di tattiche calcistiche, dovremmo inevitabilmente cambiare l’idea che abbiamo del mondo, e prendere atto di essere davanti ad un fenomeno che non possiamo ignorare. Forse, l’entità che si manifesta non é lo spirito di un morto, ma qualcosa comunque è, considerando che ciancia con noi; e quindi, peculiarmente, esiste e bisogna riconoscerlo. Davanti a una manifestazione simile al Velo di Marta è da vili rifugiarsi nella psichiatria o nella razionalità del quotidiano. Bisogna affrontare l’evento. E poi, tanti si agitano per miracoli spuri e madonne piangenti, ma questo velo che ha operato portenti strabilianti, la Chiesa lo ignora». Il 21 settembre 1978, Padre Balducci è a Roma nella Chiesa del Gesù; s’inginocchia nel transetto sinistro, presso l’altare di Sant’Ignazio di Loyola, dove sono preservate le spoglie mortali del fondatore del suo ordine e, rivolgendosi al santo, dice: «È tempo che questa scomoda verità venga fuori… intercedi tu…» Poi esce e raggiunge con un taxi il Vaticano. Sant’Ignazio, ci ha provato e ha facilitato le cose: Balducci incontra il nuovo papa. Il gesuita ha conosciuto Giovanni Paolo I, nel 1958, quando era ancora vescovo di Vittorio Veneto. Ha un ottimo ricordo del porporato: allegro, sorridente e dedito all’ascolto. Inoltre, la rinuncia di Luciani al rito dell’incoronazione glielo ha reso ancora più caro. Balducci pensa che, forse, è giunto il pontefice che tutti stanno attendendo.
Una cosa era stato Pio XII, con i suoi terribili silenzi, un’altra cosa era stato Giovanni XXIII con il suo calore umano e la sua genialità. Il gesuita spera, infatti, che il nuovo papa prosegua per la via delle riforme del Concilio avviate da Roncalli e pensa che Luciani sia un notevole miglioramento dopo l’amletico Montini, Paolo VI, il suo competente predecessore afflitto da una permanente forma di angst. Arrivato in Vaticano, il gesuita, incontra fugacemente Giovanni Paolo I – che, nel frattempo, è stato informato dei portenti del velo da Padre Hugo Martens, un suo amico gesuita di Aalst, una città delle Fiandra Orientale – e gli chiede un incontro. Il pontefice lo riconosce, lo abbraccia e gli assicura che sarà felicissimo di vederlo il 29 settembre. Il segretario fissa un appuntamento alle 12,30 di quel giorno. Prima di congedarsi Papa Luciani gli dice: «Sono molto interessato ad ascoltare la storia del velo e dei suoi portenti, considerando la stima che ho per lei, Padre Michele…» e poi chiede: «Ma esattamente cos’ ha detto la veggente in aramaico?». Balducci risponde: «Ha detto che il successore di Paolo VI si guardi dalla trentatreesima luna». «Ho sentito… mi ha spiegato tutto Padre Hugo… ma che significa quest’avvertimento?». «Non ho idea Santità…» «Va bene, vediamoci con calma il 29 settembre, sono molto curioso…». Giovanni Paolo I sorride, abbraccia il gesuita e si congeda. Balducci esce dal Vaticano felice e pensa: finalmente un pontefice ascolterà la storia e i prodigi del Velo di Marta; mentre cammina lungo Via della Conciliazione riflette sull’attenzione dimostrata dal papa riguardo alla profezia del velo. Poi ricorda: un domenicano gli ha spiegato che Papa Luciani era uscito sconvolto da un incontro avuto con Suor Lucia, l’ultima veggente di Fatima, che gli aveva profetizzato qualcosa di spaventoso, forse la sua futura morte. Il 24 settembre mentre si prepara per andare in Vaticano giunge la notizia che Giovanni Paolo I è morto esattamente dopo 33 giorni di pontificato: 33 lune. La radio accenna alla possibilità di un infarto. Il gesuita è disperato. eggia per Roma, e giunto a Piazza Sant’Ignazio alza gli occhi verso il cielo e mormora:
«Sei proprio un giocherellone… e chi ti capisce… i migliori li accoppi sempre… e ora che faccio con questo velo?» E poi entra nella chiesa di Sant’Ignazio e rivolto verso il santo che appare, nella sua apoteosi, nell’affresco della volta eseguito dal gesuita Andrea del Pozzo, gli grida: «Ma allora prendi per il culo?» Due beghine, sentendolo, si voltano stupefatte a guardarlo. La reliquia torna a Louvain e dal 1978 comincia il suo pellegrinaggio che la porterà definitivamente nel monastero di Santa Emerenziana a Berga, nella sierra del Cadì, dove resterà amorevolmente protetta dalle suore carmelitane. Il velo segue un itinerario, tra vari conventi e monasteri, simile a quello che seguirà il giovane Quimper quando cercherà di evitare l’assalto mediatico che comincerà il 21 dicembre del 2043, il giorno del primo miracolo. Il Velo di Marta viene preservato dalle Illuminate Scalze nel Convento di Santa Parasceve, a Aoiz, vicino a Pamplona, dal 1978 al 1981; nel convento di Madre Agnès de Jesus, a Biesca, in Pena Collorada, dal 1981 al 1992; nel Monastero della Beata Therese de La Croix, a Sournia, nel Rossiglione, dal 1992 al 1998; nel convento della Beata Barbara di San Domingo, dal 1998 al 2009; in quell’anno viene reclamato dal Monastero di Santa Emerenziana a Berga, nella Sierra del Cadì. Un’estatica di Lorca, Francisca Perez Agullona, dell’ordine della Visitazione, durante un’estasi mistica, chiede che il Velo di Marta sia portato nel suo monastero. Ha sognato le solite aquile e la spiaggia nordica battuta dal vento. Padre Balducci dà il suo consenso. Il 13 dicembre del 2008, Francisca Perez Agullona, toccando il velo comincia a levitare nella chiesa del monastero fino a raggiungere l’alto soffitto ligneo e, come Marcelline Lobet de Jèsus, comincia a conversare in aramaico. Il gesuita, informato, parte, alla veneranda età di 93 anni, alla volta di Berga e si fa accompagnare nuovamente da Nissan Tazbar, che è stato ordinato sacerdote nel 1989, ed ha ora 47 anni. Appena entrato nel monastero, Balducci, intravede il Cardinal Bellestrini della Chiesa pacelliana e s’irrigidisce. Dopo lo scisma i gesuiti si sono divisi in vari tronconi. Balducci ha scelto la Chiesa progressista aperta verso il non umano. Quando l’estatica lo vede proferisce parole in aramaico; tutt’intorno c’è un intenso profumo di mammole. Balducci teme qualcosa di diabolico. «Prende
l’eucaristia questa benedetta suora?» chiede allarmato alla madre superiora, che lo rassicura: «Madre Francisca Perez Agullona stringe sempre un crocifisso sul petto e si lava il volto con l’acqua santa». Il giorno dopo l’estatica incontra Balducci, Nissan e Bellestrini, e comincia a levitare e a declamare il «pater noster» in aramaico: «Abunah ti bismo, yickattas esmax…» poi grida: «Da questo velo deve nascere il redentore e la sua ombra. Dal grumo di sangue di questo sacro velo, deve affiorare il redentore e la sua ombra… E non più di cinquanta. Non più di cinquanta!» Nissan traduce mentre la suora cade in uno stato di deliquio e scende, anzi plana sull’altare principale dove abbraccia il tabernacolo. Sette giorni dopo muore, ma il suo corpo non si decompone. Mentre Balducci esita, Bellestrini assorbe il messaggio e rapidissimo procede: sarà la chiesa pacelliana che ordinerà la clonazione che avverrà il 15 gennaio del 2011. Il 3 gennaio del 2009 il Velo emerge dall’oscurità provocando una tempesta mediatica. Una suora ha informato i media. Balducci erà alla storia come colui che fece manifestare alla luce del sole la santa reliquia dopo secoli di bizzarro nascondimento. Il 6 gennaio del 2009 Bellestrini convoca la Curia della Chiesa pacelliana – lefevriana che procede, con estrema rapidità, alla clonazione per battere nel tempo le altre Chiese che stanno esitando per paura di compromettersi con il «miracolume degenere» dei secoli precedenti. Pietro II e le sue cardinalesse si sganasciano dal ridere ed evitano il discorso sul velo come la peste bubbonica. Il resto è noto: il Professore Lamberto Ducci di Pontedera procede alla clonazione, con l’aiuto di Mark James Spilberghi, presso l’università di Stanford negli Stati Uniti. Il grembo santo scelto è quello di Jeanne Bellarmine che ha avuto, nel frattempo, la visione delle aquile e ha visto un vortice di fiamme fuoriuscirle dal ventre. Il DNA del grumo del sangue del velo – come tutti sanno – risulta identico al DNA di Giacomo, il fratello del Nazareno, estratto da un frammento microscopico di un osso dell’Apostolo prelevato da un’urna
trovata a Gerusalemme nel 2002. La storia è nota: l’urna, inizialmente screditata e non riconosciuta come il sepolcro di Giacomo è, nel 2007, individuata come l’autentico contenitore dei resti cinerei dell’apostolo. Gesù nascerà a Quimper in Bretagna e trascorrerà la sua infanzia con la madre nel convento pacelliano della Beata Vergine Brigida di Gesù Morello a Berga. Nel fatidico giorno del primo miracolo a St.Thegonnec comincerà la sua vita raminga, quell’eterna fuga che alla fine lo condurrà a perdersi e a sparire nel mistico nulla dei bassifondi di una città americana. Il velo di Marta, riconosciuto dai pacelliani come la reliquia più significante della storia dell’umanità, sarà esposto, il 23 settembre del 2011, in un’urna di vetro nella chiesa pacelliana di San Giacomo in Compostela presso le ceneri dell’apostolo. Il primo gennaio del 2012 si dissolverà miracolosamente nel contenitore aureo e nulla resterà del sacro oggetto. Qualcuno affermerà che l’Oltre gioca con i frammenti dei credi e con le schegge dei miti.
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Il 20 giugno mi è giunta la notizia che Gervasi è morto a Trieste, all’età di 94 anni. Lo hanno trovato nella sua casa di via Cadorna, situata vicino al museo Sartorio, nello studio stracolmo di libri, con il braccio disteso verso le tartarughe che, dall’acquario, sembravano osservarlo perplesse con i loro occhietti neri. Dalle mani gli era scivolato un libro, “La coscienza di Zeno” di Svevo – che aveva già letto almeno dieci volte. Gervasi aveva appena terminato la “Historia Universalis Triestinae”; e per riconoscenza gli sportivi gli hanno eretto una statua presso lo stadio, vicina a quella di Nereo Rocco. Il destino è spesso tremendo: un mese dopo il trao, la Triestina è entrata nella massima categoria del calcio europeo: “The European Super League” in compagnia di
Barcellona, Milan, Real Madrid, Liverpool, Manchester United, Juventus, Roma e soci. La squadra giuliana ha utilizzato due donne nel suo 3-3-3-1: l’americana Jessy Miller e la brasiliana Rivaldina Perido Gomez, detta “Trombeta”. La formazione a un’unica punta era stata auspicata da Gervasi, fine conoscitore di tattiche calcistiche. Tre giorni dopo Zaino, nel giorno del suo novantesimo compleanno, è stato ritrovato morto, e circondato da camosci e stambecchi, nel Parco del Gran Paradiso, presso il ghiacciaio della Tribolazione, non lontano dal sentiero in quota Loson-Herbetet. Un grande stambecco ha protetto le sue spoglie. Michelino Chiocciola aveva il volto serenamente composto nel sonno dei giusti, ed essendo da tempo un’icona del nuovo movimento “LBU”, “Living Beings United”, la sua morte è stata salutata da una grande manifestazione per le vie di Milano. La sua perenne fuga si è conclusa tra le bestie amate che lo hanno amorevolmente protetto. I lupi hanno ululato per molte notti e non si sono avvicinati al suo corpo. Subito dopo il ritrovamento è nata una leggenda: i “Lubisti” quelli della “LBU” – hanno raccontato che il corpo è stato ritrovato immerso tra bacche, fiori alpini e genziana, e che stambecchi, donnole, gufi, camosci, cincie, volpi, aquile reali, marmotte, quercini, lepri, ermellini, si erano radunati intorno alla salma e l’avevano vegliata. Mi sono silenziosamente inchinato verso la misericordiosa memoria di Gervasi, di Zaino e di mio nonno Bortolo: ecco i nuovi santi degli ultimi giorni. Il cielo è rimasto rosso pallido ma le nuvole, che sembravano immobili hanno ripreso a fluttuare nella volta celeste. Il 25 dicembre era tornata la normalità, poi, quello stesso giorno, il cielo è diventato nuovamente color fiamma e improvvisamente sono apparse nuvole immense che una mano invisibile ha cominciato a modellare. Alle 12,30 del 26 dicembre del 2050 è apparsa, in tutti i punti della terra, una nube con la forma di un uomo su un cavallo. Il cavaliere aveva un arco e una corona, e le sfumature del destriero erano candide. Quella sera sul grande schermo della prigione un giornalista ha narrato che nella città di Madras, in India, la gente stava letteralmente impazzendo per l’apparizione di Maitreya, il Buddha degli ultimi giorni. Il 26 dicembre, un nuovo addensamento di nubi è stato plasmato, dalle invisibili
dita, nella forma di un altro cavaliere con una spada, a cavallo di un destriero dalle sfumature di fiamma. Tutto stava diventando chiaro. La sera, dal grande schermo televisivo, una giornalista, con un esagerato accento oxfordiano, ci ha informati che nella città di Najaf, presso il sacro sepolcro dell’Iman Alì, si è manifestato – uscendo dal suo nascondimento di 1176 anni – Muhammad figlio di Hasan-al-Akari, il dodicesimo Iman, quello “celato”, che gli sciti attendono dall’anno 874. Alle 13,40 del 27 dicembre l’artista invisibile ha continuato il suo lavoro e ha forgiato un cavaliere con in mano una bilancia, su un cavallo fatto di nubi temporalesche quasi nere. Ho guardato attentamente la miniatura dei cavalieri dell’Apocalisse del Commento del beato di Lièbana sul mio lavabo: non ci piove, mi sono detto, siamo agli sgoccioli. La sera, la televisione ci ha informato che gli ebrei erano in tumulto: a Gerusalemme si era manifestato il Messia. Si erano avverate le profezie – invero, un po’ confuse – di Ezechiele, Isaia, Geremia, Zaccaria, Daniele e quelle di Michea che annunciava un Messia che sarebbe originato da Betlem-Efrata; ma il nuovo Messia non aveva nulla a che fare con il Cristo Gesù. Era totalmente un’altra cosa. Il 28 dicembre, mentre stavo attendendo il foggiarsi del quarto cavaliere su un cavallo verdastro, come annuncia l’Apocalisse di Giovanni, una guardia con un accento londinese mi ha chiamato e mi ha detto che mia cugina mi attendeva nel Reparto X 7; e dopo avermi fatto l’occhietto, mi ha bisbigliato: «Non farla attendere troppo perché è una cocca da sballo!». Ho dato un’ultima occhiata al cielo fiammeggiante, ai tre cavalieri e al nuovo ammasso di nubi che stava prendendo consistenza: l’artista celeste – come tutti si aspettavano – stava modellando uno scheletro su un ronzino magrissimo con sfumature verdastre. Erano circa le 13,00 quando, incuriosito mi sono precipitato a vedere mia cugina: il mondo stava finendo ma quando la bellezza chiama bisogna rispondere.
Quello che mi attendeva presso un tavolo del Reparto X 7 era qualcosa di strabiliante. Era una donna dai capelli corvini, gli occhi neri, i seni semiesposti da una vertiginosa scollatura; aveva una giacca gialla “Gory 3” semitrasparente, una gonna cortissima di composti d’argento che lasciava vedere due lucidissime cosce abbronzate, e stivali neri, smontabili, lunghi fino al ginocchio, con tacco altissimo. Il trucco era minimo. Ho immediatamente intuito che ero davanti ad Isabel Conchita Gutierrez de Mendoza, la donna amata da mio padre e, in maniera più distaccata, da Mosul. La bocca turgida, rosso fiamma si era aperta e stava proferendo armoniosamente parole: «Caro Willy, che piacere vederla, in questi momenti drammatici… almeno se finisce tutto ho fatto il mio dovere… come sta? Ma mi dica… ha capito chi sono?». «Lei è Isabel, signora, ed è un immenso piacere incontrarla…». «Ma bravo! Sono venuta principalmente per farle vedere una cosa. A proposito: parli liberamente nel Reparto X 7 la legge vieta l’ascolto di quello che si dicono visitatori e detenuti, conosce la legge Hortey-Bisweek del 2039? Quindi parli liberamente… e poi tutte le guardie stanno fuggendo… stiamo raggiungendo il punto terminale… le strade e il cielo sono intasati: tutti scappano con macchine, aviogetti, Solotrek. I grandi della terra sono già planati su Marte… ma dove fuggono questi vili? La fine è la fine! Tutto il sistema solare imploderà, non solo la terra… e alcuni affermano che l’intero universo collasserà…». «Fine o non fine, Isabel, sono commosso nel vederla e la sua stupefacente bellezza m’illumina…». «Ma lei, caro, è un vero poeta come suo padre Erminio… ma che meraviglia… romantici gli italiani!». «Cara Isabel, ci tengo a precisare che io davanti a Erminio Polpotta sono come il Battista dinanzi al Cristo Gesù… non sono degno di allacciargli i calzari…». «Caro Willy, prima della fine – se fine sarà – volevo farle vedere una cosa… osservi con attenzione».
E in quel momento Isabel mi ha mostrato una collana con dei pendoli d’oro simili a dei contenitori a forma di proiettile. «Sono proiettili? Che cosa sono?». «Guardi bene… su questa collana ho disfatto la mia considerevole fortuna… non mi deluda…». «Oddio… sono dita… sono… i… i… mi… mignoli degli assassini di mio padre e di Mosul… è così?». «Ma che ammirabile intelletto, mio caro,… sii… sono i mignoli dei mandanti e degli assassini di Erminio e di Mosul, incapsulati in contenitori d’oro…». «Sono stravolto… e ammirato per la spietata risolutezza…». «E non è finito: Hermes ha sedotto e condotto in Messico la sua concubina rifatta… un viaggetto erotico – romantico a Puerto Escondido… eh l’amore!». «Sherry Watts?». «Si… ma che cattivo gusto, Willy, lei ed Erminio a saltare su e giù su un cadavere ricucito… oso dire: uno zombie devoniano…». «Oddio… Sherry? L’avete sacrificata? Noooo…». «Già fatto…». «E un’altra piccola cosa…». «Oddio che altro?». «Il magnaccia albanese di quel “moricon de mierda” di suo figlio…». «Anche lui sacrificato?». «No… ieri ha fatto una nuotatina al largo di un’isola croata. Si, esattamente tra Brazza e Solta e non è più tornato. Ismail Alia detto «Zogu» ha abbandonato il mondo caduco delle apparenze con l’aiuto di una mia amica: Maria Dolores Aguierrez. È lei che lo ha fatto nuotare e poi si è allontanata con il suo motoscafo Roger-Wind… almeno, mio caro Willy, Zogu è morto non lontano da
casa sua; era di Kavaje lo sapeva? È sempre bello spegnersi presso gli amati lidi… va bene… ons… i dettagli glieli risparmio sono di cattivo gusto. Conosce le coste croate mio caro? Stupende… il mare è così trasparente… ma Serafina, suo figlio, l’abbiamo lasciato vivere, semidistrutto, annientato e poi, ora, c’è il piccolo mostro… e che colpa ha di essere figlio della principessa della “fellatio” e di un nano nazista? Il destino è crudele!». «Ecco cara… li lasci vivere…». «Sa cosa fotte la vita? La comione estrema che è un sentimento che non conosco affatto. Si… ho utilizzato la mia intera fortuna per eliminare assassini, mandanti e traditori… e se il mondo vacilla ma resiste come afferma lo scienziato sudafricano, il premio nobel per la fisica, Peter Holsing, allora, molto presto, Willy, lei uscirà di qui… ci penserà Hermes… il piano è pronto… C’è un detenuto chiamato Perez detto “el carnicero”, prenda immediatamente i contatti, è nel Settore G9… lui è il capo di una banda messicana che si chiama “El Carnero Blanco” e ci penserà lui ad organizzare tutto! Deve molto agli Aztechi… e poi se non lo fa… caro, c’è la farfalla di ossidiana… mi capisce vero?». «Eccome! Ma io credo che non ci sia più tempo, non ha visto i cavalieri dell’Apocalisse formarsi tra le nuvole?». «Chissà, mio caro… forse no… un’altra cosa: aveva ragione Erminio quando diceva che lei assomiglia straordinariamente ad Arnold Böcklin. Si… è simile al pittore nell’autoritratto con la morte che suona il violino e che sembra sussurrargli qualcosa nell’orecchio… santi numi! quello è lei!» «Già… mio padre aveva quella riproduzione appesa nella sua stanza da letto, e diceva sempre: perché esporre immagini di mio figlio quando è identico all’autoritratto di Böcklin. Un’intuizione pregevole dal momento che la morte cosmica ci sta, in queste ore, bisbigliando qualcosa dal cielo di fiamma…». «Che siamo mortali? La scoperta dell’acqua calda! Finirà tutto in cenere…». «Anche Tiziana mi diceva di Böcklin e, a dire il vero, una certa rassomiglianza la vedo anch’io…». «A proposito di Tiziana… lo sa che fu lei che, involontariamente, fece sapere a Zaccheo che suo padre stava andando all’isola di Zannone. La sua amica di
Modena lo disse alla madre che lo riferì a una vecchia, Maria Questelli, e la pettegola informò Serafina, che, a sua volta, lo disse a Zaccheo. Il nano entrò in contatto con un evangelico italiano, il fanatico Artemisio Ghigliotta, che lo mise in contatto con i “Warriors of the Resurrected Jesus”. E i cristiani pagarono per l’informazione 500.000 eurodollari. Tiziana sarà stata incauta, ma è innocente… ons… mio caro… troppo sangue sta scorrendo, sorvoliamo… ah… dimenticavo: il Ghigliotta ha avuto un increscioso incidente eh… mortale, è precipitato con il suo Solotrek da 500 metri di altezza e si è schiantato, anzi, per essere più precisi spiaccicato sul campanile del duomo di Modena… uno sfortunato incidente… che vuol fare: siamo fragili creature scosse dal vento del Caso… non pensa caro?». «Eh si, proprio vero, ma quanto sangue! Ma lei si è ridotta in povertà per vendicare Mosul e mio padre? Ha elargito tutta la sua fortuna per vendicarli?». «Esattamente… adoravo quei due, e di Mosul ero, vagamente, innamorata…» «Beati loro che l’hanno potuta sfiorare… Isabel… io mi taglierei un dito mignolo per farlo…». «Se il mondo non finisce lo farà anche lei… ci conti… suo padre, durante gli amplessi, era sempre al limite del coccolone… che caro… si eccitava tanto, ed era così romantico, mi ripeteva sempre le parole che Odisseo proferì a Nausicaa quando la vide per la prima volta; me le sussurrava mentre mi sfiorava il ventre… e citava Yeats, diceva che la bellezza è verità… ma io so che non è vero! Dorian Gray docet, e Mengele anche era bello… stia sicuro: lei avrà tutto quello che merita…». «Oddio mi sento male… che emozione! Le posso confidare una cosa? Perdoni l’ardire… solo a guardarla ottengo un’erezione permanente… un innalzamento così pietroso, così marmoreo che fa paura. Uhhhhhhhh…». «Capita a moltissimi uomini… mi creda…». «Quindi, Isabel, avete sacrificato Sherry? Una curiosità: a quale dio?». «Un dio minore, Macuilcuetzpalin, uno dei cinque Ahuiateteo, che sono la personificazione della punizione per gli eccessi sessuali, e, più generalmente, del castigo per l’hybris: vale a dire il castigo per il superamento peccaminoso dei
propri limiti. E queste divinità sono spesso causa di sfortuna e malattia. A proposito quando hanno squarciato il petto alla vampira, la povera cara si è aperta tutta. Le ricuciture non erano tra le migliori e hanno ceduto… “mala puta” ha urlato l’officiante. I neo-Aztechi odiano chi interferisce con la natura, chi non accetta il proprio declino. Dicono sia contaminante sacrificare i ricuciti». «Oh santi numi… però era brava a far l’amore… si dava totalmente… senza remore…». «Come tutte le troie mentalmente instabili… se il sacerdote le apriva con la farfalla di ossidiana il cervello invece del petto fuoriusciva segatura mischiata a “soap opere”…» «E Quetzalcoatl che dice?». «È adirato per la morte di Mosul. È paurosamente furente. Ma potevamo sacrificare una sguaiata mignotta a un dio che rifiuta i sacrifici umani? Allora abbiamo trovato una soluzione intelligente: Macuilcuetzpalin». «Già non si poteva immolare un vampiro a una potente divinità. Cambiamo discorso, così è andata… le devo chiedere un favore: se il mondo non svanisce, può prendersi cura di Marlene, la mia bambola robotica, e del mio gatto – mostro Koko?». «Certamente… ma ha un’amante di polymer?». «Si, ma la sua intelligenza artificiale ha raggiunto livelli di vertiginosa evoluzione: pensi, Isabel, Marlene sta leggendo Husserl…». «Uhhh… che indicibile noia, Husserl, me lo hanno fatto studiare i gesuiti… quante chiacchiere inutili… sa che le dico, mio caro: questi androidi, tra una ventina d’anni, se il pianeta non esplode, saranno in grado di governare il mondo… e non sarà neanche una brutta idea considerando tutto quello che ha combinato questa specie stolta e deforme…». «Ma la vita sta finendo…». «Dopotutto, caro, la fine della vita significa anche la fine del dolore universale che avvolge tutte le cose… come dice Buddha Gotama…».
«Già, il Buddha dice: tutte le cose sono essenzialmente dolore…». «Ora devo andare, Willy, mi baci sulle labbra…» «Posso? Veramente? È come baciare la dea Iside…». «Dio santo… ha un’erezione mostruosa…». «Ehhh… è dura nell’eremo-prigione…».
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Oggi è il 31 dicembre del 2050, ricordo le parole della veggente di Berga che ha profetizzato: «Non più di cinquanta». Intendeva 50 anni? Cosa intendeva? Sono le 23,45 e un terribile boato sta scuotendo il cielo che sembra arrotolarsi su se stesso e ardere. Un giornalista si è presentato sullo schermo della televisione e ci ha informati che Quimper è nuovamente apparso a Birmingham, in Alabama, all’angolo della Third Avenue e dell’Arkadelphia e ha urlato alla folla, mentre Tobias scodinzolava: «Non pentiamoci tanto è inutile e non c’è tempo. Sprofondiamo elegantemente nella notte come meritiamo!». Il giornalista ha raccontato che il Gesù bretone ha cambiato il colore al pelo del cane per non farlo riconoscere. Dopo aver annunciato la fine, Quimper, è svanito nuovamente. Sono le 23,58 e il cielo, fiammeggiante e arrotolato, si è squarciato come se fosse trinciato da un pugnale di ossidiana. Alle 23,59 i cavalieri fatti di nuvole hanno cominciato a galoppare verso oriente attraversando il mare di fiamme. Un tremendo boato sta scuotendo il mondo da Nord a Sud. Da occidente si odono squilli di trombe.
L’Oltre gioca con gli avanzi dei miti.
FINE 21 Ottobre 2003
Indice
Ritorno nella valle di Re Alfredo
Il Perizoma di Erminio Polpetta
I Trafitti di spada e il “Velo di Marta”
Le resurrezioni simultanee
Il Piccolo Inquisitore
Bortolo a Pyonyang
Fuck Talk
Telonie
Gargoyles e Misericordie
La Farfalla di Ossidiana
Legnum Vitae
La guerra di Bortolo
La predica al vento e i miracoli differenziati
Omnia Furor Mentis
Il boschetto di Goethe
La Principessa Serafina
Le proboscidi pontificie
L’isola dell’Uomo Barbuto
Il sacrificio a Mictlantecuhtli
Il Dodicesimo Iman
Il Gesù clonato e l’Anticristo vegetariano - Paolo Ricci
Immagine di copertina: Paolo Ricci: www.riccigallery.com
Layout e impaginazione (versione cartacea): sco Guerini: www.scoguerini.it
Stampato nel mese di aprile 2010 da www.stampalibri.it - Boon on demand - Macerata
Versione digitale realizzata da: Eugenio De Angelis nel mese di ottobre 2012