Roberto De Giorgi
Il mio amore con il fiore in bocca
UUID: c604c03e-1f65-11e7-9e52-49fbd00dc2aa
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write http://write.streetlib.com
Indice dei contenuti
Un fiore, premessa dell'autore Cammino nel solco della speranza nel male del terzo millennio Quella volta in auto.. Il peggio corre da cellula a cellula, ma lo sappiamo dopo L'Angelo indica col dito un pescatore: segno di concretezza e benessere Gli angeli esistono Vivere senza stomaco Dalla manager in pensione al cervello in fuga nella Silicon Valley Guardarlo in faccia, tanto si gira beffardo Occhio alle alternative e intanto si perde un occhio Al malato non dire: "non fare l'ammalato" Se lei ha paura, io non posso fuggire Terapia d`urto o prassi da seguire? Volano come uccelli migratori e fanno paura Oggi la febbre, poi le analisi globuli bianchi quasi a zero Si cambia casa per stare più vicini all'IRE e oggi cambia anche l'orario Lui si è messo di traverso sulla porta, per non farci uscire «Oggi c'è il sole» dice lei appena sveglia, «spero per sempre» dico io
Siamo alla fine del percorso aiutati che psiche ti aiuta Le paure, mente e corpo da aiutare, con garbo Effetti inaspettati, prevenzioni, sicurezze per ricominciare L'otorino che lo scoprì, oggi è contento Le cellule che muoiono sotto il cisplatino sono anche quelle delle orecchie Dalla Cina una pianta fossile -Ginkgo biloba Si torna a Roma, per i controlli, lo spirito è migliore La comunicazione che si costruisce senza confusione Il controllo visivo del collo, l'esame più atteso, il fiore c'è? Epilogo
Un fiore, premessa dell'autore
Questo piccolo libro racconta di un fiore. L'immagine retorica presa in prestito dal grande Pirandello dal suo monologo: "l'uomo dal fiore in bocca"; dramma borghese del 1922, offre lo spunto per parlare al presente di questo fiore. Ma la vera protagonista è lei, il mio amore, la mia compagna di vita; insieme abbiamo attraversato questo viatico, dal sogno risvegliati in una realtà da incubo, gettati su un percorso impervio pieno di ostacoli.
Abbiamo però trascorso un inverno che non abbiamo colto se non come una perenne primavera, forse perché nel buio si cerca la luce.
Su social forum, forse perché arrabbiato con la vita scrissi di getto un messaggio a diversi amici, chiedendo scusa per lo sfogo.
Il mio amore con il fiore in bocca. Amore! L'anno scorso toccò a me trepidare per una probabile presenza del maligno ma fu negativo, del resto la prostata è la iattura di noi uomini. Ora è capitato a te, però stavolta quel brutto segno del destino c’è nella tua gola. Dovuto a cosa? A questa città malsana? Lo penso con certezza, perché lo stesso medico otorino che l’ha accertato, e un altro medico oncologo, hanno detto che è un danno che capita solo ai fumatori accaniti e ai forti bevitori di super alcolici e tu non fumi e non bevi. Tu hai fumato questa maledetta città e bevuto i suoi veleni? Ora un altro fatto voglio riportare, perché l’otorino, direttore del reparto Moscati, ha detto di andare a Roma o Milano per togliere questo fiore maledetto; se in altre parti d’Italia hanno detto ai tarantini esuli, in questi viaggi della speranza o disperazione, che a Taranto abbiamo chirurghi otorini capaci. E’ un problema di strutture o infrastrutture che non abbiamo? Mercoledì saremo a Roma all'Ospedale oncologico Regina Elena per una visita collegiale. Il cuore è affranto.
Voglio socializzare in privato per non dare a lei tristezza. Scusate lo sfogo.
Lo sfogo era dovuto a quella tegola cascata in testa, all'improvviso; tutte le vicende vissute, come leggerete nel racconto, sono l'insieme degli atti scomposti che, chi è colpito dal male del terzo millennio, compie in modo frettoloso; anche l'andata a Roma fu sbagliata, l'avremmo saputo dopo. Ma anche questo è un pezzo del deficit che subiamo al Sud: scoordinamento, specialismi e talvolta narcisismo. O forse anche meno esperienza nell'aggredire il male con la giusta veemenza.
Resta il mio pensiero a lei, al mio vero fiore colpito da un fiore in bocca. Quest'ultimo è un intruso. Questo è il diario, scritto così, in piedi, in auto, durante il viaggio, nelle sale d'attesa, osservando quest'umanità colta nella sua quotidianità inquieta e nella voglia di correre altrove.
Cammino nel solco della speranza nel male del terzo millennio
Non so se sarà proprio un cammino o una corsa, perché il tempo è quello che discrimina tutto: il tempo sottratto ai tuoi impegni, il tempo delle varie terapie, i controlli diagnostici, le piccole notizie raccattate qui o là, durante le sedute. Ho raccolto quello che ho potuto, talvolta raggranellando impressioni più che parole. Quest'ultime apparivano talvolta come sassi da prendere a calci.
Ho detto oggi a una giornalista tarantina che sto scrivendo un diario che non so se diventerà mai un libro. Del resto scrivo per me stesso, in questa città dei tumori che ho descritto in un articolo, sul mio giornale, appena arrivato a Roma. Sono spesso capitoletti, scritti nell'astanteria della radioterapia. Una sorta di diario, con riflessioni ad alta voce, qualche semplice intervista.
L'angelo che ho trovato m'ha colpito per la sua grandezza, più che per una bellezza artistica; anzi è tozzo e semplice nelle sue linee. L`ho messo in copertina. Il sole che abbiamo scoperto a Ostia lido ci ha quasi ripagato da subito dall'ansia di un viaggio della speranza. Quell'enorme complesso del Regina Elena, articolato come una mostra d`oltremare, una fiera, un palazzo di esposizione, possiede gallerie di luci esterne lungo il perimetro, con la statua presente in una scena artistica, alta come una casa a due piani; si segue poi un percorso da destra o sinistra girando intorno al laghetto sempre sotto l'angelo che guarda un pescatore attonito che ha appena pescato.
E s'arriva all'ingresso con un fiume di gente che esce ed entra, dottoresse che fumano fuori - il vizio, come il tumore, colpisce ovunque - ecco le porte tagliafuoco come una hall di albergo, con un enorme salotto d`attesa, i box del Cup... Il tempo di aggirarci e siamo subito dentro.
Ecco i preliminari della visita collegiale, l`infermiera che scrive i dati, ci chiede: «abitate a Taranto… vicino all`Ilva?».
Quella volta in auto..
Il peggio corre da cellula a cellula, ma lo sappiamo dopo
Il fatto di non sapere è quello che molti mi hanno raccontato, in questi mesi in cui ho osservato da vicino questa realtà. Come se le cellule vinte e trasformate colgano la circostanza del silenzio e della riservatezza quale strategia per occupare uno spazio nel corpo. Al mio amore toccava la bocca. Fu l’otorino a prendersi del tutto il merito di scoprire l’arcano dramma esclamando, con la solita spocchia sprezzante dello specialista: «i il medico di base, ma il dentista non le ha detto nulla?»
Ah saperlo! Chi ce lo doveva dire alla fine ce l’ha detto! Biopsia il giorno dopo, Tac dopo quindici giorni e sentenza: tumore. Il mondo non ha ancora vinto questo male, ma lo gestisce. A noi toccò la scelta di Roma e dell'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena. Fu lo stesso otorino a darci quest’indicazione, come sede ideale per fare un operazione chirurgica e ricostruzione plastica in una area vitale della deglutizione e della parola.
Ma la storia per il momento è diversa ed è più vicina a quanto un amico oncologo, sindaco di Carosino, mi disse in seguito: «la chemio e la radioterapia sono la soluzione migliore che precede ogni operazione su una parte del corpo così delicata». A suo parere questo è tumore molto remissivo. Il fiore in bocca pirandelliano ora ha una strategia di attacco e qui a Roma abbiamo trovato la risposta più adeguata
Ne parlerò - col senso dell'osservazione umana e non scientifica - nei prossimi capitoli del diario di un caregiver
L'Angelo indica col dito un pescatore: segno di concretezza e benessere
L’immagine del Regina Elena di Roma che m`ha colpito è una statua enorme di un angelo che sovrasta l'enorme ingresso dove un filo ininterrotto di gente va e viene. Tutti con lo sguardo identico. Una sorta di fissità verso l'infinito, dove l'angelo rassicura ingresso e uscita.
Un giorno camminavo per raggiungere il mio amore - già in radioterapia - e un frate aggancia il mio o e gli dico: «camminare insieme a un fratello è un caso raro». Mi sorride e mi dà la mano, rispondendo: «buongiorno fratello».
...
Anche qui i pensieri positivi vanno colti come rari fior su di un prato deserto, per una speranza.
Le porte scorrevoli tagliafuoco dell'ingresso portano una scritta rassicurante: "il rispetto della persona prima di tutto". Appare un impegno, confermato da un serie di sportelli che a semicerchio vi si parano davanti occupando il centro e dove personaggi in inquietante divisa militare, da polizia privata, svolgono in realtà- come dice il cartello che li sovrasta a grandi lettere-, il "servizio cortesia".
Quest’impressione ben dispone quest' umanità inquieta; ci sono percorsi che abbinano colori e lettere, una sorta di dedalo e labirinti che portano dappertutto, dove ogni ascensore ha una lettera e porta a reparti specializzati; questa città del tumore ha otto piani sopra e tre sotterranei, vi lavorano più di mille persone e centosessanta volontari, che richiamano l'angelo che troneggia anche nel titolo di questo capitolo e nella copertina.
Gli angeli esistono
Questa malattia, in modo persino stravagante, ha i suoi contorni dolci che come un’aureola circoscrivono ogni momento. Ci sono persone che hanno attraversato il male, il viatico delle terapie e ora sono diventati volontari di associazioni che risiedono in ogni reparto, curano il front-line del primo impatto, quello che, chi si avvicina per la prima volta, vive con ansia. Il male che hai dentro non concede spazi umorali soddisfacenti, inclina alla depressione, allo sconforto. Ecco gli angeli che hanno questa funzione di mostrare se stessi, “io ce l'ho fatta, ce la farai anche tu”.
Una botta necessaria di ottimismo.
Non è solo una storia fantasy, peraltro mostrata nel serial televisivo " Braccialetti rossi" che ha avuto prima successo in Spagna e poi ricopiata in Italia, è qualcosa meno ridondante e più intima, più soffusa, cerca di alleviare il dolore delle terapie, mentre si prende a schiaffi e calci il tumore, con determinazione.
Il mondo ancora non ha capito come affrontarlo se non bruciando e devastando con la chimica e con la radio. L'impatto nostro fu con una prassi amministrativa che mostrava già un’efficienza desueta rispetto a quella dell'estremo sud e alle stesse notizie del nostro medico otorino che diceva: " inviate la richiesta e dopo un mese vi inviteranno a una visita generica e poi vi prenderanno in carico".
La cosa andò in modo diverso, quattro giorni dopo l’invio di una semplice mail,
telefonarono per dire: «ma che visita ambulatoriale generica! Siete già inseriti mercoledì prossimo in una visita collegiale»
Ecco l'orchestra che mostra tutti i vari reparti della trincea schierati con il risultato: un ulteriore biopsia e la terapia di radio e chemio. Questo l'impatto con la collegiale: tutte quelle figure bianche prese dai vari reparti, i radioterapisti, gli oncologi, oltre all`otorino di fama, e tanti studenti praticanti. Come una coorte si chiuse attorno a lei. Era il primo stadio, lei uscì dopo un po’ emozionata dicendo: «sette settimane di terapia». Iniziava la guerra.
Per noi che eravamo là per l`operazione chirurgica fu come l`apertura di altro album di immagini. E pensammo all’otorino che chiuso nel suo specialismo non cercò, collegialmente, i nei vari reparti del suo ospedale.
Ritornando agli angeli va detto che proprio in questo frangente sono presenti e mi spinge a parlarne diffusamente a partire da un angelo biondo che entrò in camera per la prima chemio. Proprio quando quel veleno tossico cominciava a entrare nel corpo del mio amore.
Entrò in modo furtivo, quasi volando e con voce sottile offrì: «volete un caffè?». Un modo per approcciarsi; portava il camice bianco, come altri, solo la targhetta “volontario” alla fine la qualificava in modo differente. Ci presentò un mondo diverso; questi volontari sono dappertutto, hanno il bancone in ogni reparto e curano il primo ingresso, quello più vicino agli ammalati, sottratti al primo impatto con frettolosi infermieri. Lei ci raccontò la sua esperienza: “che pensa? Anche io sono ata da qui, ero una mamma felice, e mi capitò il male del secolo; quando mi operarono al seno, la prima cosa che vidi vicino a me, al risveglio fu un camice bianco con la scritta “volontario”, da quel momento pensai di offrire lo stesso impegno»
L’AMSO presente nel Regina Elena, ha 160 volontari. Camici e capelli talvolta anch'essi bianchi, stanno dappertutto, una presenza che tranquillizza. Se si pensa alla curva in basso della spesa sanitaria, in Italia, questa risorsa gratuita è davvero preziosa. L’AMSO gestisce una casa vicino alla stazione Termini, dove chi vuole può prenotarsi gratuitamente per le visite al Regina Elena.
Ecco perché ho dedicato un capitolo intero a questi angeli e a quell’angelo biondo che entrò durante la prima chemioterapia, per pareggiare il conto, mentre il killer delle cellule cattive entrava in vena e il mio amore sfioriva e apiva sotto la guerra chimica che devastava tutt’intorno. Orecchie comprese.
Vivere senza stomaco
La sala d'aspetto, dove avviene questa conversazione, ha comode poltroncine e può contenere una quarantina di persone. Si trova al terzo piano interrato, dove c'è l'allineatore che sta nella sala breum e dove, un messaggio visivo e vocale, volta per volta, invita gli utenti a recarsi per fare la radioterapia. Ogni paziente ha un codice a barre che a davanti a un lettore ottico, sistemato accanto al computer che si trova sul bancone all'ingresso, oppure digita la sua sigla sulla tastiera, ovvero tappando sullo schermo in modo touch screen. Tutte modalità che abbassano le difficoltà per un'utenza cosi generazionalmente variegata.
L’utente AR57 è un signore accanto a me. Mi vuole raccontare il suo tumore. Anche lui l'ha scoperto l'estate appena ata, a luglio, mentre se ne stava tranquillo sulla sponda di un lago, in Calabria. Questa la sua cronaca: « all'improvviso vomito sangue senza avere nessun mal di stomaco. Dopo diverse traversie arrivo a Roma, e grazie a mio figlio, che nella capitale fa il militare, trovo ospitalità in questo centro. Mi hanno tolto stomaco e parte dell'esofago».
E dopo trenta sedute di chemio, ora fa la radioterapia.
Gli domando come si vive senza stomaco. E lui dice che lo fa tranquillamente, solo che deve mangiare «come un uccellino, poco e spesso, eliminando cibi indigeribili».
Non ha modo di ingrassare, difatti conclude, quasi sorridendo: «ho perso trenta chili».
Scopro in internet che c'è proprio una onlus che parte proprio dalla domanda che facevo all'amico calabrese: come è possibile vivere senza stomaco?
Ecco come affrontano l'argomento
"Questa domanda riguarda in particolare chi ha subito una gastrectomia totale, ed è quindi del tutto privo di stomaco. Le persone sono incuriosite dal fatto che sia possibile avere una vita senza stomaco. La risposta è insita nell’intervento chirurgico che di fatto collega una parte dell’intestino (quasi sempre il Digiuno) con l’esofago, ricreando quindi una continuità del tratto digerente. Aiutati dai succhi biliari e pancreatici, anche i gastrectomizzati riescono a digerire il cibo. Cambia un po’ il tipo di alimentazione, alcuni cibi diventano indigeribili, altri creano fastidi. Ma mangiando poco e spesso, e provando varie combinazioni si riesce quasi sempre a trovare una soluzione per la nuova alimentazione. L’aiuto più grande può venire da un nutrizionista specializzato, che potrà fornire i consigli migliori su come adattarsi alla nuova alimentazione. Ma possiamo affermare, per esperienza personale, che anche dopo il cancro allo stomaco la vita continua. E spesso ci si abitua molto prima di quanto si potesse immaginare all'inizio".
Storie positive di questo mondo che costruisce attorno al tumore l'area della possibilità di vita, davvero un’altra vita, dopo la guerra totale che taglia, brucia, avvilisce, e ci obbliga a fare azione su noi stessi, continuamente. Malati e parenti.
Dalla manager in pensione al cervello in fuga nella Silicon Valley
La signora del letto più vicino alla finestra parla osservando con malcelato distacco la sacca argentata di quel liquido velenoso dal nome astruso di medicinale, che per noi è solo chemioterapico. La manager di una carriera ata - ora fa la cacciatrice di teste - come si chiamano quelli che vanno alla ricerca dei cervelloni: «dirigenti sa, mica altro!»
Mentre la soluzione tossica le si versa in vena per 48 ore di seguito, riesce a parlare, e la sua è eloquenza abituata a ben altre location e certo non in un reparto oncologico, ma accetta di buon grado l’interlocutore che c’è per raccontare la sua esperienza di dirigente industriale.
Lo fa con voce stentorea, ben impostata, che fa capire che era una donna in carriera. Si racconta. Unica donna in posti di comando chiave, nell'alta finanza di Stato, impresa ai massimi livelli. Mica poco.
Oggi, otto marzo, si parlava appunto di donne. «Sa - mi dice - quando ero là si facevano i concorsi per borse di studio e venivano quasi tutti dal Sud, e tutte le vincitrici erano donne, tanto che fummo costretti a inserire la clausola "salva maschio" per dare una borsa ad almeno un ragazzo».
«Certo che le pari opportunità se fossero legate anche al merito sarebbe tutto diverso - dico io - il 56% dei laureati è di sesso femminile mentre solo il 16% occupa posto di comando nei CdA. Dati Istat».
Il giorno dopo, le aggiungo: «cercavo il suo nome su Google ed escono cose negative…».
«Si, lo so, ebbi settanta interrogazioni parlamentari, quando ero in una azienda dello Stato. Sarà che per combinazione è successo che appena arrivata licenziai tre consulenti che lavoravano a casa con 200 milioni di lire di stipendio ed erano legati ai partiti di governo. Ma nonostante tutto lì sono stata otto anni»
Lo dice girandosi verso di me, sempre attenta a non tirare troppo quel filo che dal dorso della mano la lega a quel fiume di veleno pur necessario
Poi entra una giovane, sempre sorridente, si trascina il suo albero di sacche collegata a una cassetta con dei contatori elettronici. L'apparato, di solito attaccato a una rete elettrica, ha anche una batteria che consente di spostarsi nel corridoio.
Ha 37 anni e ha lo stesso tumore osseo al bacino della manager. Ma non nasce per questo un’amicizia, è la battaglia comune di tutti che rende tutti uguali e accomuna.
Anche la giovane ha un percorso avviato:economista già in Usa nella Silicon Valley quando il cerbero sarcoma ha colpito lei, mamma di due bambini piccoli. Ma sorride parlando della sua esperienza, ha tanta voglia di vincere, scommessa si chiama, non tanto per vincere il tumore, quello si sta combattendo, è più o meno vinto, lo spettro da evitare comunque si chiama metastasi.
Poi i discorsi sono sugli effetti della chemio. Ognuno ha un farmaco diverso.
«Tu stai usando questo, lo uso anche io ma non ti dà fastidio alle orecchie» chiede il mio amore «Sì tanti fischi, rumori, crick, treni» «Hanno detto che è un guaio che rimane»
La giovane, sempre con il sorriso risponde: «se dipende dalla chemio non possiamo farci nulla» «No!» Conferma la manager.
Poi si parla del dopo. La giovane ammette: «quando l’ho fatta per la prima volta, non ebbi alcuna sensazione che quasi risarciva la paura iniziale. Poi nei giorni seguenti, per otto giorni ci furono gli effetti collaterali»
È solo un attimo di condivisione di idee e storie rispetto a quello che appartiene alla lotta comune coperto dal successivo non imbarazzante silenzio, ma subito si riprende.
E già a parlare di casi, persone incontrate nel day ospital, nel chiacchiericcio tipico femminile: «sai quella che abbiamo incontrato? Ha 54 anni …»
«Come 54! ma se ne dimostra 70!» «E vero, ma sai…ha avuto il tumore all'utero, e poi metastasi al cervello e poi al fegato - ne hanno tolto metà - sono tre anni che fa chemio»
«Poverina, ecco perché ha quell'aspetto, e non solo, ha perso anche una figlia».
Storie di questo mondo, in questa città del tumore.
L’altro pomeriggio, sempre nella sala interrata, una signora tutta pelata s’era tolta la parrucca in momento di stress e poi con un fare clownesco se l’era rimessa in testa dicendo, con una sorta di sberleffo a gambe un po‘ divaricate: «tanto qui siamo tutti nella stessa barca!.»
L’altra mattina un’altra signora raccontava di suo marito che da un semplice gonfiore alla guancia scopre di avere un tumore alla testa.
«Sa, a Verona abbiamo speso sette mila euro, ma abbiamo fatto solo un seduta di una radioterapia particolare che l’ha tolto. Ora abbiamo però un problema al polmone e stiamo facendo la radio ogni giorno. Veniamo da Formia, ogni mattina ci alziamo alle cinque, alle sei prendiamo il treno, poi la metro e poi il pullman che ci porta qui». Quando il marito esce e si riveste, mostra il leggero sorriso di chi s’è tolto un fastidio, la signora è premurosa anche con noi, ci dice: “ci vuole pazienza e amor di Dio e tutto s’aggiusta”.
Questo è il dolce messaggio che chiude questa giornata.
Guardarlo in faccia, tanto si gira beffardo
Le storie raccontate mi hanno spinto a raccogliere gli opuscoli che vengono diffusi nell'Istituto per avere notizie e informazioni. Il Regina Elena di Roma possiede anche una palazzina dedicata alla biblioteca del paziente. Un impegno a mettere il sapere a disposizione della coscienza critica, aiutare la scienza a divulgare la conoscenza su questo male non più oscuro.
.
Chiunque di noi si occupi di informazione, di educazione, di qualsiasi attività, non ha voglia di parlare di questo terribile male, come se non parlandone si esorcizzasse. Come la morte. Invece, proprio per rispetto di tutte le persone incontrate, con i loro non rari sorrisi, è meglio scrivere qualcosa che sia facilmente percepibile da chiunque. Ecco: come il tumore prende qualsiasi parte del corpo, cosi ci siano almeno 200 tipi diversi di tumore. Ed ognuno deve essere affrontato secondo una letteratura di percorso sempre aggiornata. Duecento, è un numero tonto che dà l'idea di un esercito di mostri allineato davanti a noi, con la divisone schierata in risposta per ognuno di essi con centinaia di esperti, quindi a cascata una piramide con centinaia di migliaia di guerrieri. E' una battaglia che si deve avvalere di ricerca continua e scoperte e tante, tantissime risorse.
...
Ascoltando i racconti delle persone si ha davvero la dimensione del nemico nelle sue diverse manifestazioni.
«Sai la poverina è piena di metastasi» «Per forza ha avuto il primo nell'utero e quello, si sa, è disgraziato...è collegato dappertutto». Anche se le cellule tumorali si muovono come uccelli migratori nel sangue e nella linfa, ci sono aree del corpo dove è più stanziale, come il tumore nella prostata. La risposta al tumore del mio amore era la radioterapia a scopo curativo, definita radicale, tesa alla eliminazione totale delle cellule tumorali e quindi per curare radicalmente la malattia. Associata alla chemioterapia concomitante per eliminare ogni possibile viaggio metastatico. Lo si diceva all'inizio della visita collegiale, sperando - si fa per dire - che fosse il Papilloma virus più malleabile al trattamento terapeutico previsto.
Personalmente non avevo mai sentito di questo virus. Nel documentarmi leggo che:" Solitamente l'infezione provocata da questo virus non causa nessuna alterazione e si risolve da sola. In una minoranza di casi invece provoca delle lesioni a livello del collo dell'utero. La maggior parte di esse guarisce spontaneamente ma alcune, se non curate, progrediscono lentamente verso forme tumorali. Il virus si contrae generalmente attraverso rapporti sessuali, ma non si possono escludere vie indirette dell'infezione come bocca e unghie”.
Il tumore si guarda in faccia, ma anche la faccia del mio amore cambiava, assumeva quell'aspetto dimesso del malato oncologico che subisce cambiamento per gli effetti delle terapie. L'irradiazione del cavo orale comporta dolori che portano difficoltà a deglutire e masticare e a discesa comportano una serie di effetti, fino a inappetenza e perdita di peso.
Occhio alle alternative e intanto si perde un occhio
E' una ragazza poco più che trentenne, ricercatrice, a parlare del fatto che si aiutava a difendersi dal cancro e soprattutto dalle metastasi attraverso una diversa alimentazione: quella vegana. A suo dire: «se le cellule tumorali si nutrono e si sviluppano meglio con le proteine animali, è sufficiente metterle a digiuno».
Si tratta di un'opzione curativa che appare più fantastica che reale. Se si pensa alla trasmissione Tv delle Iene, che ha parlato della dieta vegana alternativa alla chemioterapia, è presente in rete una valanga di articoli, fino all'autorevole sito Fatto Alimentare che parla di bufala. La dieta vegana, o meglio uno stile di vita salubre aiuta a prevenire, ma non è curativa. Dare speranze ai malati con queste disinformazioni è perlomeno penoso, se non proprio criminale. Mi fa pensare, questa modalità di approccio al tema del tumore, che chi non ha il problema, si senta nel diritto di tergiversare gratuitamente. Mentre la comunità che osservo mostra i suoi gravi problemi e il suo gran da fare.
Come quello di una dolce signora con bellissimi occhi. Sorride mentre mi parla, alternando il sonno improvviso che la prende come postumo della chemioterapia; ha scoperto che quelle dannate bestioline si sono fermate dietro all'occhio sul nervo ottico. Quella migrazione che i malati temono.
Ora la graziosa signora teme per il suo occhio, se la radio non funziona perderà l'occhio, se funziona perderà la vista sempre a quell'occhio. Anche qui la conversazione prende la strada della vita futura; le rammento di un parente lontano, che vive da tanto senza un occhio e insegna a scuola, di una signora giovane che tiene un commercio e si vede che ha un occhio di vetro ma nessuno,
lei compresa, ci fa più caso.
Discorsi di questa astanteria, a terzo piano interrato del Regina Elena di Roma, mentre il display informatico chiama ora un'accettazione, ora una visita, ora un intervento in clinic, ora una tac, poi scatta l'avviso dell'utente AM63 in sala breum… «è la radio... vai amore mio!».
Al malato non dire: "non fare l'ammalato"
Trovo in rete un testo inglese che tratta il tema del rapporto con il tumore da parte dei familiari. Nella sala d'attesa dove sto scrivendo sul tablet (con grande fatica) questo libro, vedo quasi tutti i malati accompagnati; sono figli o genitori malati, alle volte sono giovani, che vedo anche venire da soli. Osservo una donna energica, forse quarantenne, che trascina il suo amore in carrozzella. Lo definisco così perché lei stessa lo chiama sempre in tal modo. C'è una suora che accompagna un prete anziano e si lamenta del parcheggio impossibile da trovare. Qualche giovane signora, si riesce a intuire, che ha avuto un tumore al seno, dal quel particolare riserbo di chi è colpito nell'intimo. Questa è una diagnosi che ti arriva all'improvviso, a noi ci arrivò sull'onda anomala di un’estate che si era spenta. E fummo costretti subito ad accendere la speranza. La nota del sito inglese la richiamo per tutte le discussioni avute tra noi in famiglia, non avendo, allora, un adeguato o psicologico.
Ascoltate con grande coscienza. Abituarsi a spegnere la propria voce e il proprio punto di vista è la cosa più importante e difficile da fare perché siamo convinti che non sia accaduto nulla di irreparabile, che il nostro amore sia sempre uguale, ma spesso in realtà è un rompicapo. Noi vogliamo fare sempre il meglio, vogliamo accelerare e cogliere il risultato. Ma in questo momento un orecchio in ascolto è spesso l’aiuto più grande che possiate dargli. In questo momento bisogna ascoltare, lasciare che il vostro caro esprima i suoi sentimenti, anche se quello che sente è scomodo, duro e per voi inaspettato. Potete essere abbastanza certi che se il vostro amato affronta un argomento difficile, come la morte, ci abbia davvero riflettuto. Consentitegli di avere l’opportunità del conforto della condivisione. Non giudicatelo, non interrompetelo, e ascoltate con gli occhi ed il corpo, non solo con le orecchie.
Affrontate in primo luogo le vostre sensazioni. I pensieri cupi arrivano subito. Dal primo momento, mentre accudiamo il nostro amato, siamo coinvolti da una serie di paure ed emozioni pesanti. Ci facciamo sempre le stesse domande: Che cosa accadrà al mio amore? Sentirà dolore? Vivrà? Che cosa succederà a me? Come cambierà la mia vita? Ecco la sfida cercare di affrontare su di sé il timore è un modo per essere davvero in grado di ascoltare attentamente.
Dite “ti amo” spesso. Crediamo che costruire intorno al nostro caro una sorta di area di protezione, con mille servizi, tutte le azioni opportune, sia sufficiente mostrare il nostro amore, in realtà, nulla potrà mai sostituire le frasi “ti amo” o “ti voglio bene”. Affermatele. Mostrate loro il vostro apprezzamento anche se vi costa sforzo. Anche se l’unica cosa che potete fare dopo un ciclo di chemioterapia per i vostri cari è spazzolare i loro denti, fate sapere ai vostri amati che sono speciali e valorizzateli.
Date una mano. In realtà, venendo poi alla gestione della quotidianità, nonostante il trattamento e gli effetti indesiderati, come la fatica, la vita continua: i conti si accumulano, la polvere va rimossa, … Una semplice offerta come contribuire alla pulizia della casa per un’ora è spesso profondamente apprezzata. Offrite aiuto e fatelo con precisione. “Posso venire Mercoledì alle 14 e aiutarti a pulire un po’ le finestre?” Non aspettate che sia il vostro caro a chiedere aiuto.
Andate con loro alle visite. Questa è una cosa che il mio amore chiede sempre. La partecipazione alle visite può esprimere l’attenzione in molti modi. Gli ospedali e le cliniche possono essere spaventosi e le sale d’attesa insopportabili. Portate un tablet come faccio io, ponete delle domande e prendete appunti. Ma assicuratevi di permettere che il vostro caro prenda le proprie decisioni.
Aggiungete un tocco di buon umore. Lo humor può essere la migliore medicina. Siate sensibili quando il vostro amato sente la necessità di esprimere il dolore, ma siate pronti allo stesso modo a ridere e sorridere con loro
Rispettate il loro bisogno di essere soli. A volte lei dice che vuole stare sola, ma non dobbiamo preoccuparci Controllate anche gli altri visitatori. Il vostro amato ha la sensazione di doverli intrattenere, ma non vuole offenderli e chiedere loro di andare? Se è così, fate sapere con tatto a queste persone quando il vostro amato sembra stanco e ringraziateli per la visita.
Raccogliete informazioni. Avere informazioni sembra facilitare i malati di cancro ad affrontare la malattia. Ricercate informazioni per il vostro caro on-line, rivolgetevi al centro per le informazioni sul cancro, prendete appunti e fate domande ai medici durante gli appuntamenti. Evitando il faida-te approssimativo, ovvero usare Internet senza filtri.
Non nascondetegli nulla. I nostri cari hanno bisogno di un’onesta valutazione della loro condizione per prendere le decisioni che meglio si adattano alle loro esigenze – anche se la sincerità è dolorosa. Siate onesti con gli altri membri della famiglia, specialmente con i bambini. Noi vogliamo proteggere i nostri figli dalla realtà di ciò che i loro genitori o nonni possono affrontare, ma spesso sono i bambini a immaginare il peggio. Anche se la prognosi è infausta, condividere le cose con loro onestamente dà loro l’opportunità di iniziare il lutto e di esprimere l’amore.
Aiutateli a trovare il sostegno. Non importa quanto qualcuno senza tumore possa essere comprensivo, parlarne con qualcuno che si trova di fronte alle stesse sfide può essere prezioso per chi sta affrontando questa battaglia. Chiedete al centro per il cancro informazioni sui gruppi di sostegno. Molti gruppi di o sono disponibili online. Se il vostro amato non è interessato a un gruppo di sostegno, forse il vostro oncologo o il centro per il
cancro possono indicarvi una persona affetto dalla stessa malattia disposto a parlare.
Siate disposti a piegarvi. I familiari hanno spesso molte opinioni diverse quando una persona amata ha il cancro, sulla base delle proprie esperienze di vita. Spesso si sviluppano attriti, ne può seguire sofferenza e risentimento. Il vostro amato non vuole essere una fonte di conflitto familiare. Provate ad ascoltare anche gli altri punti di vista, non importa quanto dissimili possano sembrare. Tenete presente che tutti voi avete un obiettivo comune; tutti voi volete sostenere il vostro amato.
Prendevi cura di voi. Mangiate sano, cercate di dormire abbastanza, e mantenete un certo equilibrio nella vostra vita, che vi aiuterà a fornire il sostegno necessario alle esigenze del vostro amato.
Se lei ha paura, io non posso fuggire
L'ascensore del Regina Elena, che scende nel sotterraneo della radioterapia, si sta chiudendo; vedo entrare nel vano antistante una giovane donna alla quale ostento un cenno di rammarico, poi le porte si riaprono e lei entra dicendo: «vede, funziona!». Il successo è dovuto al tasto di chiamata che ha bloccato al piano l'ascensore. Poi riferendomi al fatto che in quell'ascensore non è il display del piano e non ha voce che informa sul percorso, dico: «alle volte capita che l’ascensore si ferma a -1 invece che a -3». Quando arriviamo la ragazza apre la porta del vano con titubanza, ma io la conforto «no, ci siamo vedo i disegni noti del “siamo qui” della sicurezza» Non c'è paura in questa donna, tasta il numero sul video del computer all'ingresso e si sistema accanto a persone anziane, allora capisco che è una figlia che a. La paura è presente nel mio amore. La percepisco anche in tutti i malati che incontro. All`accettazione i numeri scorrono, ora è il turno del numero... Il primo giorno è sempre pieno di incertezze. Bisogna registrarsi e poi gli altri giorni basterà digitare... Lo dico a una signora anziana, seduta accanto me, è «al primo giorno di radioterapia» dice, forse riferendosi a questa come una fase successiva a una operazione, la prostrata del marito? La signora parla un idioma con la bocca stretta, come quelli della Ciociaria. Si nota che sono campagnoli, nei loro gesti non c'è paura, forse vivere nella natura dà quella forza elementare del creato, con i suoi i e trai senza scosse e senza traumi? Eppure il silenzio di lui e le braccia strette al petto di lei mostrano una sorta di riservata preoccupazione. La paura del mio amore è di non farcela, alimentata dalla mancanza di nutrizione adeguata per inappetenza, rispetto alla devastante astenia dovuta alla chemio e alla radioterapia. Quando si è deboli la mente poco invigorita dal cervello vaga in basso, gira e rigira tra i pensieri peggiori. Oggi il menù sarà integrato, per forza, non basta latte e semolino.
La paura è alimentata dagli specialisti che vivono in un ospedale oncologico. Il tumore è il vero nemico, ogni altro handicap procurato è tollerato concettualmente. Come per la leggiadra donna dell`occhio da togliere, al mio amore la prospettiva della sordità. Mettere su questo piano l'alternativa non è possibile che venga recepito, come a quello che hanno tolto lo stomaco; quelli che hanno le ossa rotte, vivono in carrozzella. Il tumore ovunque colpisca trova risposte. Ma se lei ha paura, io non posso fuggire, dovrò stare sempre attento e dipendere dal suo udito, appendermi alle sue parole.
Terapia d`urto o prassi da seguire?
Il vento su Roma oggi è sferzante, un cielo denso di nubi scure non promette nulla di buono. L`astanteria della radioterapia è stracolma. Nuovi pazienti arrivano come un affluente del fiume principale, forse sono i reparti, malati trasportati con il letto, provenienti da operazioni chirurgiche. I dottori chiamano quella radioterapia post operazione sul “letto tumorale”.
Il tema di oggi, in queste ultime giornate di radio :
a)Terapia che porti alla chiusura del ciclo con la chemioterapia, col danno irreversibile all`udito b)Seguire una prassi prevista che salvi il salvabile e segua una verifica dello stato, acquisizione non di pareri nostri, ma di un oncologo e di un otorino.
La terapia d`urto è sempre un problema, anche per gli alcolisti anonimi. Ma un beone può avere un ripensamento, un malato oncologico o riesce avere la remissione del male oscuro o resta appeso nel limbo dei malati terminali.
Leggo che vi sono addirittura le industrie farmaceutiche che vedono in questo un grosso business e puntano alla chemioterapia cronica, quella che si prende con una pillola al giorno. Cosi le recidive si tengono definitivamente lontane intossicando il corpo.
Il tema di oggi è il Cisplatino questo chemioterapico ototossico, come dice una
tesi universitaria di cento pagine che sto leggendo.
Volano come uccelli migratori e fanno paura
Stanotte mi ha detto:“ho paura non voglio morire, voglio stare con te».
Mi sono stretto a lei con delicatezza. La paura è delle metastasi. Il malato oncologico che prende coscienza che il tumore principale, quello della dichiarazione di guerra, è debellato, allora viene sopraffatto dalla paura di cellule maligne che si staccano dal tumore originario e si diffondono in altri organi dove possono riprodursi e generare nuovi tumori. Quella migrazione, che è stata in gran parte raccontata nei ricoveri e nelle conversazioni nelle corsie dell’ospedale e nella sala di attesa della radioterapia.
Qui si fa amicizia tra quelli che seguono o entrano prima. Ora lei è dentro e io scrivo.
C'è un architetto che ha avuto il tumore alle corde vocali, parla senza profferire alcun suono dalla bocca aperta, si aiuta con le mani facendo gesti rapidi e nervosi. Li ho visti - marito e moglie - venire quasi sempre da soli, solo una volta una figlia adolescente li ha accompagnati, un po’ scocciata e sulle spine.
Ora penso alla sua paura. Anche la paura per il Cisplatino della chemio. Il bugiardino trovato in internet rispetto al danno provocato all'udito riporta alla fine un’espressione sibillina: “non è del tutto chiaro se il danno sia reversibile”. Una espressione bonaria tipica dei bugiardini. Come dire a una persona. "non sono del tutto convinto che tu sia cattivo"
La conclusione di questa giornata è una mail di risposta di un oncologo di Taranto. Mi scrive di non insistere con il Cisplatino, le alternative ci sono e si possono fare a casa. Una sorta di negazione del centro di eccellenza? O forse le persone eccellenti sono dislocate altrove rispetto ai centri più efficienti? Domande le cui risposte dobbiamo sempre trovare.
Oggi la febbre, poi le analisi globuli bianchi quasi a zero
Non so quale angelo ci abbia pensato oggi. Bisogna crederci altrimenti è inspiegabile quello che accade. L'emocromo da fare era pronto su ricetta, in previsione di un ricovero per la terza chemioterapia che però era stata sospesa a causa del danno uditivo. Tuttavia, in questa giornata di sabato – nel fine settimana la radioterapia s 'interrompe - abbiamo pensato di farlo comunque.
Alle 8,00 siamo entrati nell'aria densa di un sabato pigro, di una città pigra, dove però le auto non mancano mai, del resto siamo in una metropoli.
Lei è stanca e si veste con lentezza. Non è molto lontano il centro prelievi privato. Una struttura molto moderna, con display salva coda, tre sportelli e diversi box con infermieri pronti che leggono dallo schermo del computer i dati del paziente in arrivo.
Dopo torniamo nella casa di Ostia. Alle dieci ci chiamano dal laboratorio di analisi per i livelli di globuli bianchi molto bassi. La frenesia del momento mi prende, chiamo il reparto oncologico, descrivo i fatti, mi chiedono di faxare i dati delle analisi, cosa che faccio aggiungendo il mio cellulare, appena fatto mi giunge una telefonata dal Regina Elena e mi dicono di andare subito da loro per prendere le ricette, punture da fare sotto pelle di un medicinale che inietta globuli bianchi e combattenti in prima linea, un antibiotico per stroncare le infezioni e due emocromo da fare in sequenza di un giorno per vedere come crescono i valori.
Quando si sta gestendo un tumore, poi ti fai una cultura sul campo e scopri che tutto questo è anche un effetto della chemio che scuote il midollo spinale.
Come se il corpo fosse un albero sul quale c'è un nido di vespe dannose. Scuotendo però cadono le foglie, qualche frutto, un po' di corteccia e alla fine anche il nido infestante in un quadro generale di sconquasso. La cronaca della giornata scandisce la contabilità della febbre, che non sale oltre 38, lei si copre con una mascherina, le infezioni sono più probabili, senza i guerrieri del sangue.
Si cambia casa per stare più vicini all'IRE e oggi cambia anche l'orario
Un 29 marzo 2015 da ricordare. Lei dorme ancora poggiata su di un fianco, in posizione fetale, la mascherina verde da chirurgo si è sformata durante il sonno. L'ho sentita dormire, dopo che la sveglia delle due l'ha destata per prendere l'antibiotico. Oggi è una domenica di sole a Roma. Qui saluterò oggi il merlo canterino che era solito zampettare fin sotto la finestra-porta della stanza. Il cielo è terso e la settimana pasquale promette di essere tiepida e finalmente primaverile.
Più tardi lei farà la puntura sotto pelle, come quella che si fa ai cani, con un piccolo aghetto che inietta nel corpo gli antagonisti. Domani verificheremo se i valori da zero virgola sono diventati normali.
Lamenta dolori all'interno della bocca sulla guancia. Leggo dal sito dell'associazione italiana di ricerca sul cancro che il calo delle piastrine può facilitare i sanguinamenti dalle mucose o la formazione di ecchimosi. Anche quel valore è da recuperare. Da lunedì partiremo con lo step finale, sarà determinante sapere se il cancro ha avuto risposte dal trattamento o c’è ancora un residuo di malattia, per quanto inferiore del 50% rispetto alla situazione iniziale, situazione che non ci auguriamo perché sarebbe una remissione parziale.
Noi speriamo che il trattamento così devastante abbia prodotto invece la remissione completa della malattia e che non ci siano più tracce di tumore rilevabili con i mezzi diagnostici a disposizione, dagli esami del sangue alle indagini per immagini. Certo ancora non si potrà parlare di guarigione, condizione a cui si giunge se la remissione totale si mantiene per diversi anni, ma questa probabilità aumenta quanto più ci si allontana nel tempo dal momento della diagnosi. E noi vorremo allontanarci il più possibile dal nemico.
E, allora, davvero, questo diario di bordo racconterà la sua sconfitta.
Lui si è messo di traverso sulla porta, per non farci uscire
Siamo nella sala di attesa dei prelievi; dobbiamo fare le analisi per vedere se il sangue ha ripreso i suoi valori. La botta della chemio ha colpito duramente. Stamattina nella stanza del B&B Green House abbiamo dormito fino alle otto. Mi sono alzato di colpo, dobbiamo fare l'emocromo, uscire dalla sconforto dello zero. Lei è debole, sussurra appena qualcosa. Esco e mi butto nelle prime ore del trambusto urbano della capitale, siamo vicini a un palazzone che è l'XI° municipio, località Spinaceto.
Una delle undici città di Roma. Il traffico è continuo come una rotativa; entro nel flusso seguendo il trend, corpo e mente fissi alla indicazione della padrona del B&B di un centro prelievi privato, ma il traffico pauroso, di un raccordo come il GRA, mi fa desistere. Non più tardi di una mezzora siamo nell' IRE, sala prelievi, con display a vista e angeli volontari anziani che aiutano a raccordare pazienti e numeri d’attesa. Un po’ di umanità tra macchine automatiche efficienti, ma senz'anima.
Il dato dei globuli bianchi è salito oltre il due, siamo in ripresa, ma per l`ultima radioterapia andrà idratata. La giornata s’invischia in una pozza di umore pessimo, con lei stesa prima sul lettino dell’ospedale con la flebo, poi la radioterapia con la maschera soffocante, poi nel letto della stanza del B&B. Come una malata cronica.
La serata la o, prima di risalire in camera, in una tavola calda a mangiare qualcosa. La titolare è una donnona alta con cortissimi capelli biondo platino; mi
propone mare e monti, scelgo due scaloppine di pollo. La musica del bistrot è filo-diffusa da altoparlanti che sono incollati al soffitto, una cassa è proprio sopra la mia testa. La musica permea il gusto del cibo, un uomo mangia in silenzio al mio fianco, davanti c'è una coppia di anziani e un cameriere extra-comunitario a e sa indaffarato tra i tavoli. Scopro che tutto il personale, anche quello di cucina che s'intravede oltre una vetrata, è di colore. Va da sé che segnali di integrazione a Roma ci sono. Divagazioni le mie, per distrarmi dal magone di una giornata decisamente no.
«Oggi c'è il sole» dice lei appena sveglia, «spero per sempre» dico io
La giornata inizia così: con un sole pasquale che irradia Roma, con una persistenza tale che illumina fin dentro i cromosomi. Sarà che la giostra gira, il clima contagia l`umore e tutto appare diverso.
Oggi è l`ultima radioterapia. Poi ci sarà: l`ultima visita. La dottoressa logorroica, ma dolce, ha sempre parlato con la bocca aperta, articolando bene le parole. Si lotta con vene delicate e capillari per infilare gli aghi. Un problema che peggiora con gli anni. Mario l'infermiere, sorride sempre strizzando gli occhi. L' amore mio non riceve buchi da lui per infilare la flebo – lo fa un'altra più esperta -. L’ultima idratazione con alimenti che servono a fare uno scalino in su. Poi ci sarà l'ultima radioterapia. La trentacinquesima. Mario entra ed esce e poi parla di sé. Forse non lo sa che, mentre lui parla, io scrivo sul tablet. Parla delle sue api in Toscana, che gli facevano produrre propoli, miele e pappa reale. «Le api sono segno di aria pulita, dice, gli uomini non sanno che senza api non c'è futuro, come senza impollinazione non c 'è nutrimento del pianeta».
«Mi creda l'uomo sarà capace di impollinare artificialmente con aerei che eranno sui campi» Gli rispondo. «Si l'uomo è capace di tutto, è la sua natura. Mi fa pensare alla storia dello scorpione e della rana. Era caduto in un fosso l'astuto scorpione e chiese aiuto a una rana».
L'infermiere parla, mentre accarezza il polso di lei per far scendere nel fragile capillare, il liquido della flebo.
«Lo scorpione chiede di essere messo sulla groppa della rana per uscire dal pozzo. Ovviamente la rana tergiversa dicendogli che non si fida. Una conversazione fatta di preghiere e rifiuti. Alla fine la rana presa da pietà e commiserazione decide di salvare lo scorpione morente e lo prende in groppa. Quando i due escono dal pozzo lo scorpione punge la rana» A questo punto mi piace raccontare la fine dell'aneddoto con l'idioma romanesco: " A rana morente dice - avevi detto che nun pungevi - e l’altro responde - non ce posso fa niente è mia natura. Ecco questo è l'omo". Su questa natura dell'uomo cade Taranto, un'intera città, sotto le convenienze economiche dell'uomo faber che perde di vista l'homo sapiens. Ma questa è divagazione.
Siamo alla fine del percorso aiutati che psiche ti aiuta
Ecco alla fine del trattamento, l'ultima chemio resta sospesa come io speravo, si resta nel limbo delle indecisioni, si resta qualche giorno, prima di riprendere il viaggio, tutto intriso dai tempi, da quelli per riprendersi, legittimi; poi c'è chi pensa che mettendo a posto tutti tasselli si torni alla vita normale, che è il desiderio dei parenti stretti che vogliono fuggire dal tumore, o sfuggire secondo propri schemi umorali.
Ma è tutto un processo che ha bisogno di un o psicologico.
Perché fatta la chemio e la radio le risposte arrivano in tempi diversi, dopo 45 giorni la prima visita otorino, dopo 60 giorni la risonanza magnetica e poi finire con la Pet.
La prima ispezione il collo, la seconda lo scansiona a video, e la terza perlustra con la medicina nucleare tutto il corpo alla ricerca di quello che speriamo non ci sia mai. Compresa una Rx al torace. «Non ci facciamo mancare niente» dice l’oncologa che compila l’agenda.
Oggi sono partito io con il treno. Arrivo a Taranto in anticipo per preparare casa, recuperare il feeling con i tre gatti. Su facebook ho salutato gli alberi di Roma. Ho rammentato in quel post quanti ricordi ho di alberi nel centro della capitale visitata tutta una vita. Ma la novità è stata vedere tutta la periferia romana piena di alberi, come la strada verso Ostia che costeggia la Tenuta del Presidente.
Tergiverso per farmi dare dalla natura o dal creato tutta l’energia positiva, mentre vado con la pesante borsa a tracolla a prendere il pullman per il metrò: “Eur Fermi” per poi andare a Termini.
Il viaggio di ritorno a Taranto lo faccio da solo. Sarà alla fine un viaggio denso, fatto di persone; quando sei disposto a dare ricevi sempre; nel treno la comunanza dei viaggiatori diventa solidale, siamo nello stesso vagone, come per dire stessa barca. Incontro due lavoratori napoletani, uno sui trent`anni e l`altro sui quaranta. Tornano per il fine settimana pasquale dal Principato di Monaco. Lavorano in un particolare e innovativo settore edile. Raccontano dell`efficienza del sistema sociale e previdenziale evidenziando l`anomalia di pagare le tasse sullo stipendio in quella repubblica e di pagare dopo anche in Italia le tasse sul reddito. Descrivono l`area di confine con extracomunitari che salgono sul treno e superato il confine la polizia se li fa scendere e risalire su un treno che li riporta in Italia. Questo accade anche per strada, per quelli che tentano di entrare andando a piedi. Una nota che mi fa riflettere su come funziona male questa Europa. Una operatrice sociale romana interviene nel dialogo, porta con se tutta la solarità dell`esperienza solidale con i disabili che traspare in un viso campeggiato da un enorme naso. Ostenta la sua bruttezza con vistosi occhiali, ma la luce dei suoi occhi risarcisce tutto e diventa bella, forse la si vede con gli occhi dell`anima.
A Napoli salgono ferrovieri. Si appoggiano davanti e al mio fianco con vistose borse nere.
Con loro si parla di autista unico; l`allusione è legata all`incidente del co-pilota dell’aereo suicida. Una discussione serrata, con casistiche legate al fatto che un guidatore di guida unico può essere un grave panico per chi viaggia, anche in treno. Dopo Salerno si cambia carrozza perché la mia ha perso l’aria condizionata. Qui di fronte ho una ragazza filippina. Una colf che parla dei suoi viaggi con la sua padrona, una marchesa che vive a Metaponto in un vero castello. Nella sua descrizione dei viaggi si salva solo Roma...la Svizzera la ricorda come razzista.
L`ultima eggera è una gattara che trasporta la sua micia mesciata nel trasportino da spalla. Si parla di gatti fino a Ferrandina. Gli ultimi trenta minuti sono da solo, quando si avvistano i pali della luce gialla e smorta della stazione, m’appresto a scendere. Non c'è alcuna suggestione in me, tornare senza lei, anche se solo per un giorno, mi rende malinconico. Un ragazzone pieno di valigie si pone davanti a me con una mano sul gancio del portellone, sbotta: «un’ora di ritardo da Roma, tra navette da e per l`aeroporto di Torino, sono dalle nove di stamattina in viaggio».
Scendo nella stazione, nell`ultima immagine che sfuma nella mia mente c'è il saluto della giovane filippina, scesa a Metaponto, che rispondeva concitata al telefono alla sua padrona, che era già tornata in aereo e si lamentava con la colf del ritardo del treno sul quale l`aveva parcheggiata come un pacco postale.
Il mondo cinico che va al contrario come quel fiore in bocca al mio amore.
Le paure, mente e corpo da aiutare, con garbo
La fine delle terapie assomiglia a un treno ad alta velocità che a da troppo vicino e ti fa fare delle giravolte. Il fatto di aver finito le terapie, come abbiamo visto nel capitolo del diario precedente, con la morte delle cellule tumorali, la persona malata ha come la sensazione di entrare in un tunnel senza luce; il corredo delle analisi future, per vedere cosa è successo, mette la psiche sotto la scure dell`angoscia.
Davvero è un momento che necessita di attenzione, più della terapia aggressiva dell`Istituto Nazionale Tumori.
L`incontro con la psicologa dell`ANT di Taranto è utilissimo, mettere il malato al centro dell`attenzione. Dargli il tempo. Una cosa mi colpisce, in questa operatrice, lo sguardo alla malattia, seguendo il cambiamento che avviene nella vita, non sarà più come prima, per nessuno. I sani sono i più resistenti ad ammettere il cambiamento, presi come sono dalla vita che continua a muoversi sotto i loro i. Il malato rischia di rimanere solo e indietro.
Il mio amore sembra isolarsi, i dolori che colpiscono la bocca sono come tanti spilli. Lo stallo, dopo le terapie, deve in qualche modo fare i conti, insisto, con la paura dei risultati futuri. Lei lo dice a una cugina che le telefona per chieder come sta, uscire dalla situazione dal ricordo di cosa è capitato, è impossibile se ci sono acufeni alle orecchie a ricordarlo. Ecco allora che mi documento su questo malanno delle orecchie.
Tutti hanno avuto, qualche volta, il fischio nell`orecchio. Ora immaginate di
averlo in stereofonia, come in cuffia, il suono arriva al centro del cervello. Un centro specializzato mette su YouTube un video di una lezione di un medico che parla di questo tema. L`acufene è segnale che l`orecchio manda al cervello che viene codificato in modo esagerato. Come i segnali di un dolore articolare, una febbre. L`orecchio manda suoni. Si può combattere solo con il suono. Il medico sostiene che inserire tutte le notti un rumore neutro come un ruscello, o la pioggia, può mostrare al cervello che i suoni li gestiamo noi e uscire da questa anomalo comportamento del nostro centro biologico direzionale.
Lei ieri mi ha detto una cosa bellissima chiedendomi di stringerle le mani, che senza di me sarebbe morta. Io la tengo per mano in questa lotta contro questo brutto male, lo faccio per il mio amore, scrivo per lei e per me e quanti vorranno condividere queste emozioni.
Effetti inaspettati, prevenzioni, sicurezze per ricominciare
La storia degli acufeni, come effetto del cisplatino, mi ha fatto pensare a quello che si muove nel mondo per evitare questo morbo del 21° secolo. La sera, prima di andare a letto, lei ha attacchi di panico. Si dorme con TV e luci accese. Se si può, ma sono così stanco che crollo comunque solo dopo che lei si è quietata. Ha bisogno di me, lo ripete sempre. E io mi sento spesso non all`altezza del gravoso compito. Il nemico comune va disarmato, si dice.
E come ci armiamo noi? Leggo che si può evitare di perdere i capelli con la chemio mettendo prima, durante e un po’ dopo, una cuffia fredda. Se i follicoli si raffreddano, le molecole del killer cambiano percorso. Ma questo a noi non importa più, i capelli non sono caduti, per due chemio. Leggo che i tumori alla gola si scopriranno attraverso l`analisi dell`alito. Ma serviranno ad altri e non a noi.
Tutto quello che ora mi serve è capire come superare lo stallo. Si dice, nei manuali, che gli effetti delle terapie si attenuano dopo tre o quattro settimane. Ora conto: sono dieci giorni ancora dalla radio, meno di un mese dall`ultima chemioterapia
La vita deve riprendere, ma lo scoglio sono gli effetti collaterali. Gli acufeni sono un problema da affrontare.
Andremo dall'otorino di Taranto, quello che ha scoperto il tumore, che oggi ho chiamato e stava in sala operatoria. Mi dice di chiamare domani alle otto. Tra un
mese andremo da quello di Roma, domani sarà una rimpatriata per vedere gli effetti del cisplatino. Orecchie tappate, sordità latente e acufeni. Nel capitolo dei danni ne ho parlato.
L'otorino che lo scoprì, oggi è contento
L'appuntamento telefonico è alle otto di mattina, sempre al telefono. Mi risponde: «sono all'ospedale Nord, al terzo piano faccio pronto soccorso fino alle tredici, ci vediamo là».
Lei stamattina non voleva andare. La capisco. Il dottore è quello che scoprì il mostro. Ricordo ancora quando lo vide la prima volta, la faccia che fece e quell'espressione del viso che non concede spazi all'interpretazione, occhi sbarrati e quella frase che colpì come uno schiaffo: "ma i dottori che l'hanno visto non hanno detto nulla?" Allora pensai... nelle lezioni di anatomia i medici di base che fanno? E quelli che si specializzano sui denti non conoscono il mondo che c'è dietro le arcate?
Questi pensieri mi accompagnano dal medico iper specialista.
La giornata è sperabilmente assolata, siamo a metà aprile c'è un sole estivo.Il dottore ci riceve nel sua tenuta da combattimento del chirurgo sempre in azione. Il suo sguardo è uguale a quello del primo incontro. Ma quando guarda con il suo strumento la gola, sbotta con lo stesso impeto di allora ma dice:
"Non c'è più, sono contento".
Il dottore è contento, ottimista, parla di miracolo. Certo ci sono gli esami da fare,
ma si possono affrontare con lo spirito giusto. E per gli acufeni che invalidano dice che gli togliamo dopo. Anche io sono contento, ma vorrei che fosse contenta lei.
Le cellule che muoiono sotto il cisplatino sono anche quelle delle orecchie
Ho letto un tesi dell'Università di Ferrara, persino una dottoressa dell`ASL, venuta a domicilio ha detto di aver fatto, trent`anni addietro, una tesi su questo killer usato in chemioterapia. Tra le diverse sostanze usate per combattere i tumori, questo è famoso, blasonato, usato, conosciuto, a me ignoto. Non sono un medico. Ma lo studierò per il mio amore. Lei dorme solo se le tengo la mano, io mi addormento alle cinque del mattino. Ma la fatica non mi interessa. Questo mondo rumoroso nelle orecchie è ossessivo, suoni esterni si mescolano a quelli interni che ballano nella testa. Un cocktail di rumori che debilita... fa impazzire. Spesso lei teme che la si giudichi pazza, che esageri per pretendere protezione.
Il cisplatino, questo nemico del cellule tumorali, è un chemioterapico ampiamente utilizzato nella cura di vari tipi di cancro. Sfortunatamente ha altresì molti effetti collaterali come l’ototossicità, può infatti causare danni in varie aree dell’orecchio interno.
Il danno si esplica con la perdita uditiva alle alte frequenze, e con la morte, o mancata funzionalità, delle cellule cigliate, dell’organo del Corti, dei neuroni del ganglio spirale e delle cellule della stria vascolare. Questa è la presentazione. Secondo la dizione che meglio sordi che morti che è nel senso comune. Degli altri, non della persona interessata.
E' quello che con molta ipocrisia si dice dei farmaci comunemente utilizzati per la cura di varie patologie e che pur essendo efficaci nel debellare le malattie, sono altresì causa di effetti collaterali legati al tipo di principio attivo, alla
posologia della somministrazione (quantità e durata) oltre che all'età e ipersensibilità del paziente.
Nella cura del cancro in particolare si utilizzano chemioterapici integrati alla chirurgia e radioterapia. Così si dice sempre che gli antineoplastici ideali dovrebbero essere in grado di uccidere in modo selettivo solo le cellule tumorali. Solo pochi farmaci, attualmente disponibili, sono in grado di seguire questo criterio, la maggior parte provoca danni a tessuti e organi fra i quali i più colpiti sono il fegato e i reni; alcuni causano alterazioni nell'orecchio interno portando nei casi più gravi alla perdita dell’udito.
Frequentemente, certi effetti collaterali sono reversibili una volta interrotta la terapia, oppure riducibili con l’utilizzo di protettori; altre volte invece, diventa estremamente difficile il ripristino delle condizioni iniziali soprattutto per organi che non hanno capacità rigenerativa. Ricordo le due donne, quella giovane e quella anziana, che parlavano dell'ineluttabilità della chemio, con tutti i danni che si prevedono.
La tesi che sto leggendo dice che l`orecchio interno non riesce a rigenerare le cellule deputate alla funzione uditiva, è pertanto di interesse la ricerca di sostanze in grado di prevenire la perdita di tali cellule e preservare l’udito del paziente.
Io mi domando se lo hanno previsto o lo prevedono, o ahimè lo prevederanno.
Questo metallo che troviamo nei gioielli, nell`elettronica e anche nei dispositivi antinquinamento, è uno dei più importanti chemioterapici, il killer delle cellule tumorali e non solo.
Il cisplatino, scrive la ricercatrice nella sua tesi, è un citostatico complesso metallo inorganico che fu sintetizzato da un certo Perone nel 1845.
Figuriamoci, all`epoca se ricordiamo il successivo monologo di Pirandello con il fiore in bocca del suo personaggio è del 1922, nulla sapeva di questo metallo organico. Solo dopo 120 anni fu scoperta casualmente la sua attività biologica, quando studiando la crescita batterica in un campo elettrico, si vide che gli elettrodi al platino inibivano la divisione di Escherichia coli e ne inducevano una crescita in forma filamentosa. Fu così scoperta una nuova classe di agenti antitumorali in grado di inibire la divisione, ma non la crescita cellulare.
Esso è il primo antitumorale al platino introdotto in clinica, i primi risultati furono pubblicati nel 1972 ed è una delle più potenti droghe chemioterapiche; è molto attivo in un ampio spettro di neoplasie, tra cui i tumori polmonari, dell’esofago e dello stomaco, del capo e del collo, del tratto genitourinario (testicolo, ovaio e vescica).
Questo è, purtroppo. Per me è una scoperta sapere che per i 200 tipi di tumore, il gendarme sceso in campo è un metallo organico, come il ferro che sta nel nostro corpo, il platino ovvero una sua variazione.
Che le cellule abbiano una loro vita autonoma, vale a dire nascano e muoiano all`interno del corpo a prescindere dalla vita di un individuo, fu una scoperta. Nel 1842 un certo Vogt, studiando la metamorfosi di un anfibio documentò per la prima volta che le cellule muoiono durante lo sviluppo dell’individuo, in seguito questo fenomeno venne dimostrato in molti tessuti, sia di invertebrati, che di vertebrati.
Anche in questo caso questa conoscenza fu resa scienza dando il nome di morte cellulare, termine coniato nel 1965 ed è stato usato per descrivere un tipo di
morte durante la quale le cellule seguono una sequenza di tappe geneticamente controllate che le portano ad autodistruggersi. Che sia questo il meccanismo usato dal killer delle cellule tumorali è evidente: inserirsi nella cellula e provocare la morte, una sorte suicidio programmato.
Ma è quello che avviene nelle orecchie, che non centrano con quelle schifose del tumore. Io ho scritto su questo per trovare una soluzione. La dott.ssa Simon Edi parla di una sostanza una sostanza utilizzata da più di 5000 anni nella medicina tradizionale cinese, l’estratto vegetale di Ginkgo biloba che poteva essere usata: l’estratto vegetale di Ginkgo bilob. Una pianta che voglio conoscere.
Dalla Cina una pianta fossile -Ginkgo biloba
La vicenda dei rimedi mi apiona. ione che voglio esercitare per lei. Ora è un’altra persona, anche la psicologa lo dice. Dopo i danni della chemio, si cambia vita. Ma per gli acufeni si potrà fare qualcosa. In rete c'è chi se ne approfitta? Non lo so. "Ciao", così comincia una mail appena arrivata, "se soffri di Acufeni, allora devi ascoltare la storia di Ian McCall, e di come, si è sbarazzato dei suoi Acufeni, in meno di 10 giorni…Ian McCall ha curato in modo Naturale SENZA l’uso di farmaci tossici, senza gli stupidi metodi, che hai provato finora…La sua storia è davvero “commovente” e ha deciso di raccontartela in questo video gratuito. Milioni di persone hanno già curato la loro acufene…...TU potresti essere il Prossimo! Non crederai alle tue orecchie, quando ti sarà spiegato il “semplice rimedio naturale” che ha cambiato la sua vita e quella di migliaia di ex malati di acufene DOPO di lui!"
Dalla lettura del materiale in rete, recensioni di riviste specializzate in medicina olistica, il rimedio di questo statunitense non è condannato o criticato, anche perché il suo autore è un ex malato, medico ricercatore ed esperto di nutrizione. Se fa business e non è attaccato per questo, qualcosa vorrà pur dire. Approfondisco e capisco la utilità del suo metodo rispetto ai consigli sui medicinali e alimenti da evitare, un po` meno gli esercizi mentali e di respirazione, quanto piuttosto gli integratori utili. Ma costa 60 euro e non so se ne valga la pena. Uno dei critici dice che essendo digitale è difficile da consultare, ma con il tablet non sarebbe un vero problema. Ma io voglio parlare d`altro. Di quella pianta cinese che poteva essere usata nella chemio evitando l`attacco alle orecchie. Anche se le proprietà medicinali della Ginkgo biloba (Gb) e dei suoi derivati estrattivi sono note in Cina da tempi remoti, un approccio sistematico, farmacologico e clinico, di questa pianta medicinale, dei suoi possibili derivati
estrattivi e delle frazioni purificate ottenute da questi ultimi, è storia soltanto da alcuni decenni.
Spesso definito ‘fossile vivente’ l’albero della Gb è l’unico sopravvissuto di un genere vecchio di circa 150 milioni di anni. La pianta deriva il suo nome attuale (Ginkgo, il genere secondo la nomenclatura di Linneo) da un’errata trascrizione in giapponese (Yin-Kwo) il cui significato originale era ‘frutto d’argento’. Intuibile l’origine del nome ‘biloba’, chiaro riferimento alla forma fogliare.
Le più importanti indicazioni terapeutiche per il Gbe, farmaco di prima scelta in molti paesi europei ed extra-europei (in Italia esclusivamente integratore alimentare) nella crescente area applicativa della demenza senile, riguardano l’insufficienza cerebrale e i disordini vascolari periferici
Il termine insufficienza cerebrale indica un insieme di sintomi, relativi al mancato corretto funzionamento cerebrale, come la perdita della memoria a breve termine, lo stato confusionale, i mutamenti nel comportamento sociale, la mancanza di iniziativa, i disturbi affettivi e somatici. Effettivamente questi sintomi si associano, o possono associarsi, a disturbi della circolazione cerebrale e/o a processi di invecchiamento neuronale.
A fronte di tali proprietà, e conseguenti usi, il Gbe presenta però almeno due caratteristiche che ne limitano, almeno in parte, un impiego ancora maggiore. Un sito, dal quale sto prendendo questo notizie riferisce che questa sostanza, dal punto di vista farmacocinetico le due frazioni attive del Gbe (ginkgoflavonglucosidi e terpeni) non risultano essere totalmente biodisponibili; il grado di biodisponibilità orale si aggira infatti per entrambi attorno al 50% del valore misurato dopo inoculo endovenoso.
La incompleta biodisponibilità del Gbe, situazione peraltro comune tra i derivati
estrattivi a struttura polifenolica, ne limita ovviamente le potenzialità d’uso: altro aspetto è la presenza della frazione terpenica, ad azione PAF-antagonista, limita l’impiego del derivato nel settore geriatrico, escludendo dal trattamento quei soggetti anziani già in terapia con farmaci che interferiscono con i processi coagulativi (cardioaspirina, ticlopidina, warfarina, etc), in quanto la somministrazione di Gbe in tali pazienti può determinare la possibilità di emorragia sub-aracnoidea..
Fin qui la descrizione della pianta e delle sue capacità, che nel capitolo precedente riferivo alla difesa delle orecchie dal cisplatino.
Ora ecco un articolo che viene dalla Fondazione Veronesi per quanto riguarda un altro farmaco. Gli acufeni, che tormento. Chi ne soffre sente rumori fastidiosissimi, come fischi di treni, fruscii, crepitii, soffi. Rumori fantasma che non esistono, ma che gli torturano il cervello e lo spingono a provare qualsiasi cosa, dalla musica in cuffia a forti dosi di ansiolitici. È un disturbo che danneggia la qualità della vita, e che vede impotenti gli specialisti: «Si rassegni a convivere con questo disturbo», dicono spesso. Esiste un ricco mercato di terapie illusorie, di nessun effetto. E un paio di terapie palliative che hanno una certa efficacia, ma non sempre. Se si potesse individuare con certezza la causa degli acufeni, con grande probabilità si troverebbe anche una cura valida.
Ora un o avanti è stato compiuto da ricercatori dell’Università di Pittsburg, negli Stati Uniti. Gli acufeni potrebbero essere dovuti a un disfunzionamento cellulare al livello del primo circuito midollare del nervo della coclea, l’orecchio interno. E appare promettente un farmaco anti-epilettico. Nell’orecchio sono presenti molti canali, addetti alla funzione di udire. Ma l’ipotesi fatta dai ricercatori americani, anche se si tratta sempre di canali e di udito, si localizza questa volta nel midollo del nervo cocleare, in scala cellulare. Da questo nucleo cocleare a obbligatoriamente tutta l’informazione che consente di udire. LA RICERCA SUI TOPI - Gli acufeni sarebbero lo sgradito risultato di una
malattia dei canali potassici al livello del nucleo in questione. Si può curare, questa malattia? I ricercatori pensano che abbia efficacia un farmaco antiepilettico che agisce sui canali del potassio, e per testarlo hanno fatto un esperimento su topi. I topi, dopo sedazione, sono stati sottoposti da un orecchio a un suono di 116 decibel, che corrisponde a una sirena d’ambulanza, per 45 minuti, la “soglia” conosciuta per provocare acufeni nel 50 per cento dei casi.
Al fine di valutare l’efficacia dell’antiepilettico, la retigabina, a una parte dei topi è stato somministrato sotto forma d’iniezioni durante l’esposizione sonora, a 30 minuti dalla sua fine e poi due volte per i 5 giorni seguenti. Sette giorni dopo l’inizio dell’esperimento, i ricercatori hanno testato i topi per sapere se avevano o no sviluppato gli acufeni. Li hanno sottoposti a un suono continuo di 70 decibel, interrompendolo brevemente ogni tanto. I topi senza acufeni percepivano la pausa e si calmavano, mentre gli altri non si rendevano conto che il suono era cessato, e continuavano ad agitarsi. I ricercatori hanno constatato che i topi che avevano avuto il farmaco presentavano meno acufeni.
Mentre non è stata una sorpresa che avessero sviluppato acufeni il 50 per cento dei topi non trattati. Soddisfatti gli autori dell’esperimento: «È la prima volta – hanno detto – che le proprietà biofisiche di un canale del potassio sono collegate alla percezione di un suono-fantasma». Potrà servire a curare gli acufeni e anche a prevenirli. Come nel caso di persone, per esempio i militari, che per ragioni professionali sono sottoposte a forti intensità sonore.
In un forum online di malati di acufeni, già si parla di questa sostanza come toccasana, ma in un altro sito specializzato sul farmaco, del resto già usato per gli epilettici, si parla di possibili danni, però a dosi alte, sulla retina, ed altre amenità come unghie e labbra nere. Credo che uscendo dalla sperimentazione, si potrà sapere qualcosa in futuro su posologia, sicurezza ed efficacia per l'uomo. Evitando il fai da te.
Si torna a Roma, per i controlli, lo spirito è migliore
Penso a quanta umanità è coinvolta in questo mondo separato, e come contraltare di tale serio approccio al vivere sereno, stamattina leggevo la solita bufala su Facebook, di una dottoressa che scopre molecole che da sole uccidono quelle tumorali senza bisogno di chemioterapia.
Basta poco, dico ai trogloditi digitali di Facebook, basta scrivere il nome della dottoressa sul motore di ricerca ed esce un sito con un nome chiarissimo:
dove la stessa dottoressa smentisce questa storiella, e parla di una sperimentazione che deve fare ancora molta strada. Io mi domando: “ma chi mette queste notizie - e ci sono 150 mila condivisioni - si rende conto del danno che fa?”
Intanto l'umore del mio amore s'alterna tra momenti di serenità a quelli di cupi pensieri. Si comincia a mangiare qualcosa. Ogni volta è una domanda e...." cosa vuol dire questo che mi sento” e altre cose simili.
E' la paura delle metastasi che non si tacita. Il malato oncologico resta tale fino a remissione totale che si ha dopo anni di controlli. Una dura legge della malattia del secolo che non ci lascia. Le ricerche scoprono ogni tanto qualcosa, ma è come guardare i cerchi nell'acqua, quando sei pronto ad afferrare una novità, essa si allarga in un cerchio più grande e sfuma lontano.
Io prendo spesso le sue mani, la notte lei mi cerca, vuole sentire il contatto. In questo viaggio siamo in due sempre, da mesi. Intanto l'aria si addolcisce nella stagione calda, dove ci aspettano i controlli più severi.
La comunicazione che si costruisce senza confusione
Il tempo di attesa del risultato di una analisi, è spesso e denso come una melassa di umori contrastanti, quando intercorrono più giorni, da un esame all'altro; il tempo da attendere è diluito nei mille minuti ed è sempre un crescendo di ansie, fino a quando arriva il giorno previsto. Dal 12 maggio al 18 giugno, manca una settimana per fare un mese, ma sembra un anno. Lei comincia a mangiare qualcosa, l'astenia non spinge al pranzo, lo fa alle volte con voglia di fare, altre volte controvoglia. E' il paradosso di questo disequilibro psico-fisico, su cui la psicologa dell'ANT di Taranto lavora.
Poi c'è la disinformazione che viene da tutte le parti. Esiste davvero un'aggressione mediatica che fa dire che il cancro sia legato allo stress. Il medico curante, addirittura, volendo in qualche modo, incoraggiare suo malgrado, afferma che i fisici dicono che i guai del mondo sono dati dai pensieri negativi, e che quindi un tumore cresce se non si sorride alla vita. Leggo sulla rete. Giovanna Gatti, senologa dell’Istituto europeo di oncologia di Milano alla domanda sui fattori psico-somatici che spingano al cancro risponde: "Esistono molte filosofie che ipotizzano una stretta correlazione tra psiche e corpo nella genesi delle malattie, nel mondo occidentale ma anche in Oriente. Il tumore è una malattia che si sviluppa a partire da alcuni danni al Dna e questi danni riconoscono cause fisiche (anche se non sempre identificabili). Allo stato attuale, ogni legame fra tumore a cause psichiche è soltanto una pura ipotesi non suffragata da dati scientifici".
C'è poi l'uso della rete internet non suffragata da cultura scientifica propria. Ecco, io cito una dottoressa qualificata e virgoletto la citazione, perché io non so nulla su questo e posso esprimere solo un commento e non un opinione. La rete è invece piena di altisonanti opinioni, come quelli che insistono sui cerchi sul grano opera di alieni. Opinioni, non scienza. C'è il caso di una povera 19enne
inglese, alla quale i quali medici dicevano "stai bene, non dar retta a Google”. Ora che la ragazza è morta c'è chi, in un articolo online, dice che si smentisce, una volta per tutte, la negatività della ricerca sui motori di ricerca. Una aberrazione. Io dico solo che la piccola ha incontrato, purtroppo, dei medici incompetenti, e una struttura di malasanità che non ha valutato il corso del cancro al fegato e le possibili ricadute del trapianto. Più interessante è invece la terza prassi che si sta affermando dopo la chemio e la radio ed è la immunoterapia che non agisce sulle cellule tumorali ma istruisce le sane e pare essere davvero una soluzione per le metastasi e per far regredire i tumori.
Pessimismo o ottimismo sono atteggiamenti che prescindono dall'esito della malattia, l'unica influenza che possono avere è sull'accettazione delle terapie, che ottimisti e pessimisti possono anche rifiutare per opposti motivi.
Non si può scherzare su queste tristi vicende. Se uno non è un ricercatore medico non riesce a sfrondare dalle migliaia di notizie farlocche in rete, quello che gli interessa; questo dovrebbe essere sempre l'approccio della ricerca su Google. Se si devono comprare delle scarpe o altro i consumatori sono iper-esperti, quasi sempre, ma sulle manifestazioni tumorali, no, lasciamo fare a chi compete. Per favore. E' una regola salvavita.
Il controllo visivo del collo, l'esame più atteso, il fiore c'è?
Siamo tornati a Roma alla fine della seconda decade di Giugno 2015. Una visita oncologica e la Risonanza Magnetica, quello scanner che mostra tutto. Era l'esame più atteso. La mia adorata fifona è in ansia da tempo. Quel fiore in bocca apparso alla fine dell’estate 2014, scomparirà all'inizio di quest'estate?
Cerco compensazioni astrologiche e climatiche ma non le trovo, fortuna, fede, speranza, ogni approccio è possibile, anche il bizzarro clima di Roma, in quest'ultimo scorcio di estate ci prende in contropiede, minaccia di piovere e non lo fa, lo fa quando dormiamo o siamo dentro il Regina Elena. Meglio, da buoni meridionali fiduciosi non abbiamo portato l'ombrello. E lui ci risparmia, mentre a Taranto ci dicono è un nubifragio.
Viviana del Green House è di una cordialità semplice e casareccia, parla con accento romanesco spiccato con voce rauca da fumatrice. E' lei per la terza volta che ci ospita, dalla fine della terapia al secondo controllo. Spinaceto è uno dei quartieri di Roma, sempre avvolto dai pini, ma con pochi negozi, molte ville, residence più o meno grandi.
Se fossimo venuti con altro spirito, avremmo potuto sapere che Spinaceto conserva un reperto archeologico del XIII secolo chiamato "Torre Brunori", salvato dall'edilizia moderna. Inoltre, il quartiere presenta i resti di una villa rustica romana avente un'area di oltre 1200 m² e datata tra il I secolo a.C. e il IV secolo d.C., nell'area delimitata dalla via Alberto Cozzi e da uno dei due cavalcavia. Dalla parte opposta della via Pontina si trova la Riserva Naturale di Decima-
Malafede, una delle più importanti riserve naturali romane, per gli altissimi valori archeologici, naturalistici e paleontologici. Ricchissima di fauna, grande oltre 6.000 ettari, è una delle oasi del WWF. Al suo interno troviamo la Torre di Perna, costruzione medievale originariamente destinata alla salvaguardia dell'omonima Valle di Perna, oggi Casa del Parco.
Forse un giorno, proprio per riscattare Roma e non più legarla alla malattia, dovremmo ritornare per conoscere queste cose. E non quel tragitto sul ponte che attraversa il Gra e porta dentro il Regina Elena. Dove andiamo nel pomeriggio del 17 giugno per la visita oncologica all'hospital Day. Sette e giallo è il numero e il colore d'attesa.
Il dottore che ci riceve non fa altro che trascrivere al pc il percorso fatto e gli esiti dei primi esami, poi visita e dice che a occhio il tumore non c'è, come anche l'otorino, con ispezione visiva, aveva detto un mese prima. Aspettiamo la risonanza. Una volta la feci io e scrissi che non è una danza, ma un dolore di panza, ma stavolta è qualcosa di più. La prima risonanza descriveva il tumore, l'aveva fotografato, tre mesi fa e dopo c'era stato il bailamme delle terapie, la radio che brucia, la chemio che uccide.
Lei non dorme è prostrata e frullata dentro come uno studente impreparato che va all'esame più importante e teme di essere bocciato. Quando arriviamo al Regina Elena, è sorprendente l'efficienza alla quale tuttavia ci siamo abituati, ma ne sentiremo sempre la mancanza. L'appuntamento è alle 10,00 e siamo puntuali, alle 10,05 è già dentro. E pensare che siamo a Roma, non in un paesino. Pensate solo a quanti numeri di persone interessate gravino su una struttura sanitaria della capitale, per avere l'idea di una grande organizzazione.
Lei esce dopo 35 minuti, è spossata, un po' sollevata dal doppio aggio, prima senza e dopo con il liquido del contrasto. Il dottore ha accettato di darci subito il
responso perché siamo di Taranto. L'attesa è snervante, sono 90 minuti di una partita di grande tensione. Poi l'infermiera esce con il disco e la diagnosi.
La leggiamo più volte, il fiore non c'è più, non c'è nel suo alveo, non si è spostato sopra o sotto, e i linfonodi sono puliti, non c'è alcun dubbio, per l'esame visivo, che la terapia ha funzionato, forse troppo, perché in gola c'è una traccia di liquido, forse muco derivante dalla bruciatura della radio che andrà osservato in seguito. Troppo poco per preoccuparci, tanto per lei che ha sempre paura, ma la vittoria c'è, netta, precisa.
Ora serve che sia ufficializzata con la Pet. Siamo nel Follow-up questo inglesismo che compare due volte nella giornata romana, sia nella scheda dell'oncologo che in quella del radiologo. Termine inglese generico che si adatta a tutte le iniziative di marketing o di formazione continua, ovvero stadi successivi di controllo. L’oncologo dice anche che dalla prossima volta per il papilloma virus faranno chemio più leggere, visto il risultato. Il mio amore ha fatto scuola?
Lo sappiamo che d'ora in avanti sarà sempre una vigilia di paura e un giorno di letizia per i prossimi tre anni. Ma il treno si è fermato e siamo scesi. Ora la strada è in piano e tenendoci per mano, io e l’amore mio, la percorreremo insieme, finché Dio vorrà.
Epilogo
La solarità che talvolta splende sul suo volto, è la fiducia e la speranza ritrovata. La psicologa dell'Ant spinge in realtà a non avere paura di nulla, a riconquistare la serenità, non pensando alla morte come una fatalità. E quella che si chiama normalità, solo la depressione ci porta in fondo al tunnel dove vediamo solo la fine oscura.
Lei fa fatica perché è sempre stata paurosa, e questa è una scorza che la psicologa sa che è difficile rimuovere, ma occorre farlo. Abbiamo l'ultimo esame da fare. La Pet. Questo formidabile radiofarmaco che fornisce informazioni fisiologiche e non morfologiche come negli altri esami, ed è fondamentale per sapere se ci sono metastasi.
Da tre anni si fa anche a Taranto, nell'ospedale Nord c'è proprio un piccolo reparto dove si fa questo esame importante. Il dottore ci spiega, nella visita preliminare che facciamo subito, che questo esame è completo, in quanto lo zucchero radioattivo evidenza tutte le infiammazioni presenti nel corpo, proprio per questo può essere generico e da interpretare anche sulla base di un confronto con le altre analisi. Si fa dopo tre mesi dalle terapie proprio per non confondersi con i danni delle terapie procurati all'organismo.
Questa genericità a chi teme i risultati fa paura. Anche se ora lei lo dice talvolta sorridendo.
Questa esperienza ci ha fatto conoscere meglio come si colloca il sistema
sanitario nei confronti del malato oncologico. Sfugge al controllo del medico di famiglia. Ora quest'estate o forse dopo si parlerà della riforma, proposta dal ministro della salute, della medicina di ingresso, quella si chiama cura primaria. In pratica il primo ingresso nello studio medico di base, troverà quest'ultimo affiancato da altri professionisti, infermieri e specialisti, mentre gli studi dovrebbero essere corredati anche di apparecchiature diagnostiche di base per ridurre all'indispensabile il ricorso a strutture complesse e alleggerendo i pronto soccorso. Questo per il malato oncologico sarebbe davvero l'ideale, soprattutto per la diagnosi precoce. Questo contribuirebbe anche a risolvere un altro problema: Il coordinamento. L'otorino che scopri il tumore doveva subito consigliare un consulto oncologico e non dire a persone spaventatissime: andate a Roma o a Milano. Perché la sua diagnosi era fatalmente legata all'asportazione chirurgica, mentre un altro otorino a Roma, in collegiale, preferì la radioterapia come soluzione più efficace. Che si poteva fare anche a Taranto.
Anche la Pet non rileva nulla.
In conclusione posso dire che la scelta di pubblicare questo diario è nata da lei e da me nello stesso momento, pensando di socializzare questa esperienza che può essere di aiuto ad altri. Perché l'approccio al malato oncologico sia diverso, perché esorcizzare non serve a nulla.
E' un diario di bordo di un compagno di vita che ha guardato quel frammento di vita che ha potuto osservare, talvolta indiscreto, rispetto alla grande umanità che è colpita dal male del terzo millennio. Un libro dedicato a tutti gli operatori, agli angeli che sono impegnati nel settore, che sono il terreno fertile dove nascono fiori autentici e non falsi, come quello che era nato in bocca all'amore mio. Grazie a tutti.