Il Paese Delle Favole 2r51h

Youcanprint Self-Publishing

Titolo | Il paese delle favole Autore | Luigi Cianflone

ISBN | 9788891184917

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Il paese delle favole

Presentazione:

Il contenuto di questo libro ha lo scopo di lasciar conoscere che, la fantasia già ci guida fin dalla nascita e prosegue con delle favole di adulti.

Alcuni di questi racconti sono autentica creatività fantastica di una bimba di età, dai tre a sei anni quando la fantasia mostra la vera innocenza di una bimba. Ciò è veramente stupefacente!

L’immaginazione e la creatività hanno ispirato la bambina disegnatrice, Fiorella Cianflone , di anni nove e fino a dieci, di perfezionare con i suoi magnifici disegni, e sue composizioni, la creazione di questo libro.

La bambina di nome Bettina, abitava in un paesino molto tranquillo e allegro, aveva un cagnolino curioso di nome Willy: col pelo corto e marrone, gli occhi assai grandi e celesti, la testa rotonda, gli orecchi lunghi e neri, era carino, di carattere docile, abbaiava poco, aveva un suono dolce assai tollerabile. A lei piacevano molto gli animali, però un brutto giorno, in paese apparve un grosso orso. Gli abitanti scappavano terrorizzati. Willy, riposava con Bettina. Appena avvertì delle fortissime urla, si allontanò curioso e intravvide l'orso, scappò dalla paura.

Dopo che la bambina si svegliava il cagnolino Willy, non c’era più e nessuno sapeva in quale direzione era fuggito, molte persone, pensavano che fosse stato sbranato da quell’orso. Bettina ebbe un grande sconforto per la sua scomparsa

La pioggia scendeva, era arrivato l’inverno.

La bambina era troppo infelice, poi all’improvviso un leggero picchiettio si udiva sul vetro della finestra. Era un graziosissimo uccellino intirizzito che chiedeva aiuto. Aveva anche le ali chiuse e di colori variopinti, muovendo la sua testolina osservava Bettina che lo guardava.

La bimba lo fece entrare, poi vide delle rondinelle indifese. Uscì. Le prese e le portò in casa giusto in tempo. Non appena si fermarono i fiocchi di neve, uscì per aiutare altri animali infreddoliti. Dietro la siepe di fiori, vide Willy molto congelato. Lo portò in casa per farlo riscaldare.

Giunse la bella primavera e Bettina non fu più triste però, felicissima. Aveva un nuovo vestito era: rosso col grembiulino celeste e fiori azzurri, un fiocchetto verde e una nuova acconciatura sui capelli ricci e castani.

Bettina, Willy e gli quegli uccellini giocarono felici per tutta l’intera primavera, poi ogni uno di essi seguitò il proprio cammino vitale.

In una modesta casa con terreno intorno, abitava una coppia sposata da pochissimo tempo.

I due sposi erano amanti alla cura delle piante e soprattutto dei fiori dei quali, ne amavano la bellezza.

Trascorse un anno e nacque una bellissima bimba e, in onore dei fiori, le fu scelto il nome di “Fiorella”. La bimba fu cresciuta con tanto amore.

Col trascorrere dei mesi la piccola cresceva, iniziava a camminare e spiccicare qualche parola.

Un giorno, mentre lei stava nel giardino a giocare, udiva un ritmo che modificava l’atmosfera, si girava verso quel suono. Quale sorpresa: Vedeva un carinissimo uccellino, correva a per prenderlo, ma, volava via spaventato. Delusa iniziò a piangere e lo riferì a mamma e papà, descrivendo il volatile:

«Mamma; papà!»

La sua mammina domandò:

«Dimmi piccola cosa c’è?»

«Ho notato un animaletto meraviglioso che volava, si evidenziava per una macchia di colore rosso sul petto!» I genitori le spiegarono:

«Ciò che tu hai visto, appartiene alla famiglia degli uccelli e si chiama pettirosso, ha avuto paura di te ed è volato via».

Per almeno dieci lunghi giorni, il pettirosso non si fece vedere dalla bambina. Un giorno si udiva il suo cinguettio. Il pettirosso sembrava che volesse chiamare Fiorella e dire “Eccomi! Sono qua!”. La bambina si avvicinava a lui piano, piano per non impaurirlo.

L’uccellino si posava sopra uno dei molti paletti che recintavano il giardino e girava la sua testolina, una volta a destra e un’altra a sinistra per osservare meglio la sua nuova amichetta ed seguirne i movimenti.

La bimba stava quasi per toccarlo, ma esso volava da palo in palo perché desideroso di giocare. Lei capva benissimo e lo rincorse.

Il sole appariva sorridente, nel frattempo dalla troppa gioia, ravvivava l’eccezionale scena. Il pettirosso e la bimba, erano troppo felici per avere acquisito una piacevole amicizia e per mezzo di essa giocare.

Trascorsero alcuni giorni. Di buonora, il pettirosso si posò su un minuscolo ramo aspettando la sua nuova amichetta che lo raggiungesse, ma lei non giungeva e deluso, dopo un’attesa vana, volava via.

L’uccellino si presentava tutte le mattine, sperando che Fiorella si accorgesse di lui, però la sua amichetta era sempre assente.

Il pettirosso non si dava pace e cinguettando molto forte svolazzava intorno alla casa ando davanti alla finestra della piccola.

La bambina sofferente d’influenza, venne colpita da una febbre molto alta. Vide il suo piccolo amico che si posò sul davanzale della finestra, aprì per prenderlo, invece esso volò dentro la cameretta posandosi sulla libreria.

Fiorella allungò il braccio, chiuse il pugno lasciando che il dito indice restasse aperto, il pettirosso volò sul suo dito.

Entrambi acquistarono reciproca fiducia.

La piccola bimba, lentamente si avvicinò con un dito dell’altra mano e accarezzò la minuscola testa. Gli parlava e il pettirosso rispondeva con il linguaggio del “Cip, cip”.

Per alcuni minuti il volatile girò per la stanza e lei giocando, cercò di prenderlo, poi volò sul davanzale, si girò verso la piccola, elei parlò:

«Non andare!» Fiorella riprese a dire:

«Gioca ancora con me!» Il pettirosso rispose:

«Cip, ciip, ci, ciu ci, ci!» Aveva avuto il desiderio di esprimersi chiaramente nel dire:

«E’ stato troppo bello giocare con te! Ora le nostre strade si dividono. Perdonami. Devo andare!»

L’uccellino volò assai in alto finché non divenne un minuscolo puntino nel cielo che presto scomparve.

Alla piccola s’inumidirono gli occhietti e comprese che, ogni essere deve seguire la propria strada per crescere e conoscere un’altra vita. Desiderando nuovi amici con i quali giocare.

Raddolina, era una straordinaria gattina libera e senza padroni, però, sapeva benissimo come mostrare la sua indipendenza; spesso andava da una casa all’altra con la speranza di trovare del buon cibo, non perché non si trovavano topi da cacciare, ma voleva cambiare il gusto nel suo palato.

Raddolina, incontrò un gattone dal pelo rossiccio e dal loro rapporto nacquero tre gattini, uno più grazioso degli altri, poi la sua mamma, a ciascuno trovò un nome, Partino, Crollino e Ritello. Partino era il più sfortunato, e troppo fragile. E poiché la madre natura lo aveva escluso dal mondo, in breve moriva.

Ritello ebbe pochissime occasioni di giocherellare con il suo fratellino Crollino, per il sopraggiungere di una gravissima bronchite, si ammalò e anche lui morì.

Crollino rimaneva da solo, era un amabile gattino di una bellezza senza eguali: il suo pelo era di un colore grigio simile al manto della sua mamma, in più aveva diverse macchioline rosa con delle ciocche bianche, esse lo lasciavano apparire un esemplare unico.

Crollino, nasceva in un periodo troppo difficile e molto sfortunato perché era inverno e nella zona, il freddo era tanto. Lui abitava con la sua mamma.

Crollino cresceva forte, assimilava ogni minima istruzione per la caccia che la sua brava mamma gl'impartiva.

Raddolina, tornata dalla faticosa caccia portò a Crollino un intero topino sfortunato e finito tra le sue grinfie e parlò al suo piccolo:

«Crollino! Ecco il tuo nuovo pasto!»

Il gattino guardando il ratto ebbe tantissima pietà e domandò alla sua mamma:

«Mamma! Perché devo mangiarlo?»

Con espressione impietosita, la mamma rispose al piccolo.

«Certo caro, noi abbiamo bisogno di nutrirci!»

«Non possiamo mangiare altre cose?»

«Mio caro piccolo, devi imparare a cacciare perché, gli esseri umani non sempre ci porgono da mangiare, per ottenere quel poco necessita sapere prendere i topastri che sono dispettosi e causano danni all’uomo!»

Insisteva Crollino:

«Non possiamo essere assai generosi e fingere di non averli visti?»

Il gattino desiderava possedere degli amici poiché era rimasto solo e privato dei

suoi fratellini di crescere in loro compagnia per socializzare e imparare qualcosa di utile per la vita, poi si allontanava dalla sua mamma.

Crollino si avventurò tra i fitti boschi locali, fiutò la presenza di alcuni topi: Si mise appostato e finalmente riuscì ad acchiapparne uno.

Il topo interrogò al gattino:

«Per favore, vuoi dirmi che cosa ti ho fatto perché tu mi afferri?»

Rispose bruscamente il micio.

«Ti devo cacciare e mangiarti!»

«Ti prego non mangiarmi e farò quel che vuoi!» e, il topo comincia a piangere.

Crollino si sorprese e lo pregò:

«Non essere così altrimenti mi commuovo!»

Asserì furbamente il topino:

«Sai, sono assai piccino quanto te e ho desiderio di giocare! Diventiamo amici?»

Crollino, di sentimento troppo buono, riconobbe che, in quel momento ebbe l’occasione di amicarsi con qualcuno col quale, scambiare un dialogo e giocare in modo diverso da quello di afferrare topini indifesi e lucertole, poi dichiarò:

«Io ti libero all'istante, però tu mi devi promettere e mantenere che non scappi e, giochi con me».

«Ti prometto, parola di topo!»

Crollino, aprì le sue zampette e lasciò libero il topo.

«Ti ringrazio, mi chiamo Rodino e tu?»

«Crollino!»

«Andiamo che ti presento i miei compagni!»

In breve, apparve una erella di vari topi e uno di essi dichiarò:

«Sei veramente sicuro che possiamo fidarci di un nostro pericoloso nemico?»

Puntualizzò il gattino:

«Modera il tuo offensivo linguaggio e proprio per cominciare sono un gatto serissimo e mantengo le mie promesse!»

Chiariti i pochissimi dettagli, insieme si rincorsero per il bosco, quando all’improvviso, comparve una volpe che fu sufficiente la sua presenza a creare scompigli tra il gruppo. I topini si rifugiarono nella loro tana ed il gattino si trovò allo scoperto. Con spavento tremante, riuscì a dire:

«Signora cara, ti prego non mangiarmi!»

La volpe mostrando i suoi denti bianchi e con lo sguardo penetrante e lucido, terrorizzò moltissimo il gattino il quale rimase immobile.

«Non ho fatto nulla lasciami andare, ti prego!»

Ad un tratto, ecco che i minuscoli ratti, uscirono dalle loro tane per distrarre la volpe. Il gattino fuggì correndo senza fermarsi perdendo la strada.

“Sono un gattino abbastanza sfortunato!” Pensava Crollino e cercava la strada per tonare dalla mamma. Nello stesso istante fu consapevole che gli fosse utile avere un amico topo.

Una tenebrosa e paurosa voce, improvvisamente si udì proveniente dagli alberi.

«Hai assimilato che cosa ci accade quando non si ascolta la propria mamma?»

Crollino, rispose:

«Chi ha parlato? Perché non ti fai vedere?»

«Guarda sopra l’albero e mi vedi!» Il gattino alzava la testa e vedeva un uccello che mai visto prima.

«E tu chi sei?»

«Sono un falco e ho fame!»

L’angoscia di Crollino fu grandissima e si accorse di non avere scampo ritenendosi già mangiato e digerito. Lo sventurato gattino si ricordò le raccomandazioni della sua mamma che furono:

«Rammenta continuamente che ti devi guardare dai falchi perché ti afferrano con i loro robusti artigli e ti portano in volo fino al loro nido e ti mangiano!»

Troppi sovrapposti e struggenti pensieri, in quel preciso istante, lo affliggevano.

Crollino reagiva subito arricciando il muso e mostrando i denti al falco intanto, il suo fragile pelo era diventato irto come le spine del porco spino.

«Come sei sciocco gatto!»

«Perché mi offendi?»

«Perché non ho terrore delle tue comuni smorfie, però voglio lasciarti andare; proprio oggi mi è ato il desiderio di mangiare!»

«Ti offro la mia amicizia, mi chiamo Crollino!»

«Io sono Grinfino e voglio darti un consiglio!» «Dimmi e valuterò se accettarlo!»

«Stai sempre vicino alla tua mammina finché non sarai sufficientemente grande da badare a te stesso!»

«Mi sono perduto, sai indicarmi la strada?»

«Vedi quell’albero stravecchio? Vai fino a lì e poi, svolta a sinistra e sempre dritto, troverai le case degli uomini!»

«Sarò Sempre il tuo amico e vivrai nei miei ricordi! Ciao Grinfino!»

Il gattino, contentissimo si avventurava in direzione della casa senza accorgersi che un lupo affamato aspettava, di colpo, lo afferrava tra i suoi denti bene aguzzi e lo uccideva mangiandolo con gusto.

Povero Crollino, nonostante fosse buonissimo e amico di chiunque, ebbe l’amara sfortuna di incontrare un lupo troppo affamato che desiderò alimentarsi per vivere al meglio la sua vita nel mondo terreno.

Sicuramente Crollino negli ultimi istanti del suo vivere, si era ricordato ciò che la sua mamma gli aveva proibito pentendosi, ma ormai era tardi per tornare indietro.

Nelle Dolomiti, in una minuscola collina al centro di tre giganteschi picchi montagnosi, fu edificata una casetta con un caminetto in vera pietra ed il tetto con le finestre di legno con gli sportelli in vetro trasparente, ma molto lesionati. A suo tempo, furono riparati con uno spago che ava attraverso le due parti lineate del vetro. Alle due estremità stavano fissati due bianchi bottoni che fungevano da rondelle. Il portoncino fu costruito con alcuni tronchi di legno spaccati in due e poi uniti da alcuni chiodi. Accanto alla casa c’era una piccolissima stalla che ospitava un asinello grigiastro di nome Prillo in compagnia a una capretta nera, bianca e grigia con delle grandi corna.

Accadde che una famigliola si trasferì presso il piccolo appezzamento di terreno donato a papà Pietro dai suoi defunti genitori. Abitavano tre persone all’interno di quella casa: Una coppia di giovani sposati da poco, lui Pietro e lei Rachela e la loro bimba dal nome Marietta che con i suoi tre anni procurava tanto lavoro alla sua dolce e cara mammina. In conseguenza alla nascita di Marietta, Rachela contrasse una malattia rara.

Rachela aveva bisogno di respirare continuamente aria purificata che esisteva solo in alta montagna.

A quei tempi, non esistevano le bombole caricate con ossigeno.

Il genitore coltivava i fertili campi per crescere le diverse verdure con le quali potevano nutrirsi, mentre la capretta Belella offriva molto latte fresco dal quale ricavare della ricotta fresca e formaggio per la colazione mattutina della piccola Marietta.

La famigliola era troppo povera, non produceva molti ortaggi da potere vendere

presso la piazza del mercato anche perché, quando i prodotti eccedevano, non si poteva scendere per la vendita in paese, poiché il percorso era molto distante e la strada ricca di molti pericoli.

Il signor papà Pietro, indossava dei pantaloni troppo rattoppati ed una giacca di pelle di pecora e per non lasciarla consumare troppo, cercava di risparmiarla, lasciandola in casa, appesa a un chiodo.

La mamma si occupava di Marietta cercando di non farle soffrire il freddo, attizzava il caminetto e si curava del resto della casa, compresa la cucina.

Marietta cresceva in fretta, la sua mamma soffriva tanto a volte doveva rimanere sdraiata sul letto perché il suo male le provocava esorbitante debolezza, però sforzandosi riusciva, di volta in volta, ad ingrandire il vestitino di Marietta che era diventato simile al quello di Arlecchino, che era rappezzato di tanti colori.

Marietta voleva troppo bene ai suoi bravi animali: la cara capretta, il piccolo asinello e gli uccellini, essi le stavano vicino senza nessun timore come se volessero parlarle.

Un giorno un piccolo scoiattolo marrone con la e vellutata coda nera, la guardava. Lei avvicinandosi gli voleva parlare, ma fuggiva, poi si arrampicava sui rami dell’albero e da lassù, la guardava.

Una volta il mese papà Pietro con il suo asino Prillo scendeva nel villaggio per comperare le medicine, utilizzando i soldini ricavati dalla fortunata vendita di alcune forme di formaggio fresco e qualche ricotta. Nello stesso tempo temeva a lasciare il resto della sua famigliola da sole in montagna e quel pensiero lo assillava: “Devo tornare presto a casa” e, affrettandosi, ripartiva per rientrare nella sua casetta prima di notte.

Capitolo due

I giochi di Marietta

I giorni i mesi e gli anni apparivano uguali per i tre soli montanari, tanto che si sentivano assai annoiati, qualcosa però, cambiava per ogni giorno, era Marietta che con la sua crescita e la molta ingenuità creava tanta gioia e teneva vivo il luogo isolato. Bastavano, la sua presenza e le grida per lasciare comprendere alla natura di contribuire alla felicità del luogo.

Rachela, che soffriva ogni giorno di più sembrava che le medicine non servissero a nulla.

Nei sette anni di Marietta necessitava che andasse a scuola, sfortunatamente, non esisteva altra soluzione se non quella di mandarla in un collegio, i suoi amabili genitori vagliavano tale soluzione.

Un giorno il papà prendeva per la mano la piccola per condurla nel bosco alla ricerca di selvaggina e di alcuni legni per preparare la riserva invernale. Camminavano molto. Presto scendeva la sera, per logica paterna non poteva essere vero. In realtà erano trascorse soltanto due ore.

Nel buio, in lontananza, si scorgeva una piccola casetta di pietra con un comignolo fumante, Marietta e il suo papà si avvicinavano alla casupola e chiamavano:

«C’è qualcuno in casa?»

La casetta aveva una porta quasi nuova, il papà e la bimba entravano: nell’interno c’era un camino e una

Non vi era alcun tipo di risposta. Osservando con più attenzione non appariva alcuna traccia di persone e stupiti si chiedevano chi avesse il caminetto.

porta che dava accesso a una stanza che sembrava da letto, posata su di un tavolino stava una stoffa di nuova fattura e bene piegata. Piacque a entrambi. Pietro immaginava che con essa si poteva cucire un bel vestito per la sua amata e per la piccola Marietta.

I visitatori, desideravano troppo quella stoffa e non sapevano che cosa fare. Presente, non esisteva alcun essere vivente per barattare quella stoffa. Papà però si accorgeva della presenza di un bigliettino che riportava alcune frasi:

“Questa stoffa è per voi; portatela via” Pietro parlava a Marietta:

«Vuoi vedere che è un regalo per noi?»

E Marietta subito rispondeva:

«Allora la stoffa è per noi, portiamola a casa; la mamma sarà contenta!»

Pietro si convinse, afferrò la stoffa affermando:

«Andiamo dalla tua cara mammina e sicuramente ci abbraccerà dalla gioia!»

Il papà teneva la stoffa sotto il suo braccio, l’altra mano stringeva quella di Marietta e si dirigevano verso casa.

Incominciava a piovere, per combinazione più avanti, scorgevano una specie di riparo ricavato con della pietra e sopra vi stava una un cestino costruito con dei rametti di salice. Sbirciavano all’interno scoprendo dell’esistenza di una stoffa di colore unico fondo per modellare un bel vestito per Pietro, conteneva anche del filo per cucire, un paio di forbici e degli aghi.

I due si sbalordirono e la bambina compiaciuta gridò:

«E’ arrivato il Babbo Natale; quanti regali ci ha portato oggi!»

Il papà, un poco soddisfatto e per altro incredulo, prese il tutto e parlò alla sua figliola:

«Porteremo con noi anche questo, vorrà dire che forse, “Una fatina” ci ha fatto il regalo che abbiamo desiderato tanto!»

I due, si riavviarono verso la loro casa e appena, usciti dal boschetto, Marietta percepì una dolce voce chiamare, si girò e vide la piccola casa con una finestra illuminata da una candela accesa, alcuni fiori ornavano il davanzale in esso apparve una vecchietta. Lei alzò la mano, in segno di un evidente cenno di saluto e un amoroso sorriso. Marietta comprese che si trattò di una fatina buona che volle premiarla per un qualcosa che non seppe di avere meritato; subito gridò:

«Papà guarda!»

Pietro si girò velocemente nella direzione indicata da Marietta e vide solo campi, cespugli e molti alberi e quasi, rimproverò la piccola:

«Marietta, che cosa c’è; non vedo nulla!» Invece, lei ancora scorgeva l’anziana che sorrideva e gradualmente scompariva in una coltre nebbiosa insieme alla casetta lasciando come sfondo il bosco.

Marietta e il carissimo papà, credevano di avere sognato ad occhi aperti, guardando gli oggetti ricevuti, cercavano di capire il perché dell’accaduto constatando che gli oggetti erano reali.

Rientrati in casa Rachela adocchiò la stupenda stoffa bellissima fiorata e assai colorata, subito non pensò a lei bensì alla sua cara e dolce piccola. A lei, avrebbe cucito uno stupendo vestitino da principessina che lei, desiderava tanto e che non aveva mai potuto acquisire. Presto domandava:

«Sicuro mi state dichiarando la pura verità?» E ancora continuava «Mi state prendendo in giro, ditemi con quali soldi avete comprato tutto questo?»

«Ti giuriamo che è la verità, ciò c’è stato regalato da una vecchietta simpatica che abita nel bosco!»

Il papà Pietro doveva quasi zittirsi e confermare ciò che la piccola esponeva.

C’era tanta buona stoffa che entrambe, riuscivano a modellare un bel vestitino per la mamma e anche per il papà.

Rachela non riusciva a rimanere in piedi, invece per la sua piccola si sforzava. Lei, per la sua bimba, cucì un bellissimo vestito da farle indossare nel giorno delle palme che già vicino e se lei fosse stata bene, sarebbero scesi in paese per ricevere la benedizione pasquale.

La signora Rachela, gravemente si ammalò tanto che non riuscì più di alzarsi dal suo letto, fu chiamato il medico che arrivò dopo tre giorni e diagnosticò che Rachela stava per terminare la sua presenza sulla Terra.

A Marietta, però occultavano ogni verità, però il suo scoiattolo le lasciava intendere che la sua mamma presto, l’avrebbe lasciata. La piccola bambina diventava assai triste e parlava alla sua capretta che invece, le dimostrava di essere insensibile mentre l’asinello Prillo, la guardava con quegli occhi tristi e pietosi. Marietta vedeva nei suoi occhi grandi come se fosse riflessa, l’immagine della vecchietta affacciata sul davanzale e le faceva alcuni cenni. La piccola parlava:

«Ti prego nonnina cara, aiuta la mia mammina affinché guarisca e torni a camminare! Mi capisci vero? E’ la mia mamma!» e aggiungeva «Le voglio tantissimo bene; ho soltanto lei e papà, e tu dimmi; come farò senza di lei?»

All’improvviso l’anziana con alcune espressioni e pochi gesti, sembrava che avesse accolto la richiesta di Marietta e dicesse:

«Vai dalla tua mamma che vuole abbracciarti!»

Marietta, piangendo capiva che ormai non avesse più rivisto la sua mamma in vita e presto si avviava verso l’ingresso della casa e raggiungeva il lettino di sua mamma. Immobile stava colà e probabilmente dormiva. Marietta s’inginocchiava piangendo al suo cospetto e si accasciava sul suo petto, si avvicinava e le dava un dolce bacio, nel frattempo le lacrime di Marietta, solcavano il viso della sua mamma che subito si svegliava dicendo:

«Marietta; preparati che andiamo alla benedizione delle Palme!»

La sua carissima mammina si alzò dal letto e da quel momento, non ebbe più nulla.

La famigliola indossò i nuovi vestiti e sentendosi rinati, lasciarono i problemi ati alle spalle per andare in paese ad ascoltare la Santa Messa il giorno delle palme. Nella memoria di Marietta esistevano solo i ricordi dell’accaduto, però le restavano forti dubbi, “L’anziana signora era un creatura celeste che vegliava su di loro oppure una fata buona trasformatasi in vecchietta?

In realtà lei non sapeva che era semplicemente la sua cara e adorata nonnina tornata da un altro mondo!

Accanto alla casa della piccola Pinella abitava una vecchietta che provava gelosia verso ogni paesano, era dispettosa e malignata. Ebbero colpa i suoi genitori che la spinsero a diventare assai acida. Mamma e papà le volevano bene e le avevano insegnato come usare la magia.

Nello stesso vicinato, abitavano, tre bravissimi bambini uno di loro era Giannino e mostrava più amicizia verso Pinella, i due legavano assai bene, giocavano insieme e spesso rincorrevano le farfalle.

Quel piacere non era bene accetto dalla vecchietta, così un giorno confezionava una magia e trasformava la piccola in un uccellino.

Pinella era troppo bella così lo era anche il piccolo volatile.

Il bambino non riusciva mai più a giocare con Pinella poiché lei era scomparsa. Invano Giannino la chiamava, ma non accadeva nulla finché si rassegnava pensando che, forse era, andata dalla nonna.

Il cielo appariva con alcune nuvole piccole e assai chiare, i fiori di prato adornavano i campi, quel giorno, il bimbo si addentrava nel vialetto che conduceva nel ruscello che scorreva accanto alla sua casa, vi giungeva presto.

Giannino, ammirava la limpida acqua che sbatteva sulle pietruzze provocando un dolce fruscio. Notava che più in là c’era uno splendido e affascinante uccellino che si specchiava nell’acqua limpidissima di una vaschetta. Con movimenti molto lenti riusciva ad acciuffare il volatile dal nome “Allodola”, il

bimbo, non desiderava provocarle del male, perché, dentro il suo cuoricino capiva di volerle assai bene. La chiudeva nella mano lasciando fuori, solo la sua testolina, i due esseri, si guardavano negli occhi. Giannino con un dito dell’altro palmo della mano l’accarezzava. Istintivamente portava quella testolina pennosa fra le sue labbra, poi la baciava.

Qualcosa di straordinario stava per accadere, nella sua minuscola mano, avvertiva una leggera pressione verso l’esterno. Spaventato apriva la sua mano, l’allodola volava, si posava di fronte a lui e gradualmente, prendeva un’altra forma: appena trasformata, appariva Pinella.

Giannino, perplesso e dubbioso, si bloccava per brevi minuti e capacitarsi di erre entrambi reali e materiali, per accertarsi, si avvicinavano abbracciandosi contenti e felici.

Pinella gli raccontava la sua infelice avventura.

I bambini si afferravano per le mani e dirigevano verso le loro case.

Giunti in casa, i genitori di Pinella erano disperati poiché avevano cercato invano la loro figlia credendo che la piccola si fosse persa e forse morta. Giannino però, avvalorava il racconto e li credevano.

L’anziana donna riceveva la sua giusta punizione.

Pinella e Giannino, fin da quel momento, diventavano inseparabili e così

restavano vicini per tutto il resto della loro vita.

In un poco affollato quartiere di una caratteristica cittadina montana, abitava una dolce bambina di nome Flavia. A lei piaceva moltissimo fare compagnia alla sua adorata nonnina, la quale spesso le raccontava delle favole.

Un giorno che aveva tanta buona volontà chiamò a se Flavia e le disse:

«Oggi ti racconto una stupenda storia tramandata dalla tua bisnonna. »

«Vedi quella montagna lassù?»

«Si nonna, perché?»

La dolce nonnina inizia il racconto:

«Devi sapere che questo nostro paese, molti anni fa, era molto piccolo in esso, vivevano solamente tanti contadini troppo poveri che lavoravano la terra per pagare le tasse onerose ai signori che abitavano sulla montagna. Nel luogo in cui, tuttora esistono dei ruderi, prima c’era un possente castello. La fortezza era abitata da un conte e la sua famiglia con alcuni amici e parenti. Vi erano i soldati e gli uomini che si occupavano di amministrare e riscuotere le tasse, che si chiamavano anche “Tributi”.

La valle, si chiamava “Contea”. La gente lavorava i campi e non avevano tanti soldini per comprarsi vestiti nuovi e di conseguenza, quando essi si strappavano, erano rattoppati con la prima e unica stoffa che c’era disponibile.

Alla signora del conte era nato un bel bambino e lo avevano chiamato Silvino.

La piccola Flavia era diventata moltissimo, curiosa e incitò la nonna:

«Continua il racconto, nonna!»

«Va bene!»

Nel cortile del grande castello giocavano numerosi altri bimbi e Silvino, bensì avesse tanta antipatia per le femminucce, perché erano dispettose e vanitose, ma ciò nonostante, stava insieme a loro.

Nella valle c’erano anche tantissimi bimbi belli ed anche loro giocavano raggruppati. Non era consentito che bimbi poveri giocassero con quelli ricchi.

Una bambina si distingueva per la sua timidezza e il suo dolce modo di parlare ed era tanto, lavoratrice.

Gli anni transitavano e per gli abitanti del villaggio, diventavano pesanti perché si cumulava molto lavoro da finire, altri invecchiavano celermente mentre i bimbi crescevano.

Silvino, all’ età di dodici anni aveva in regalo dal suo papà un bellissimo

cavallino dal pelo lucido e marrone con delle strisce bianche su tutte le zampe, e una si evidenziava sulla fronte. Lui fu felicissimo per il regalo e quando poteva, imparava a cavalcare bene. Di giorno studiava aiutato dal suo solido insegnante. Un giorno avrebbe dovuto sostituire il papà.

Silvino diventato quasi adulto, doveva conoscere i suoi contadini che erano denominati anche “Coloni” e unitamente all’esattore e alcuni soldati, riscuotevano i tributi. Un giorno, Silvino prendeva il suo cavallo e da solo scendeva nella valle per distrarsi; giunto nella piazza scendeva dal suo cavallo per eggiare fra le bancarelle dei venditori. Silvino sapeva che qualsiasi cosa, compresi esseri umani che vivevano nelle sue terre e nel villaggio gli appartenevano, pertanto, da una cesta del venditore prese un grappolo d’uva e iniziò a mangiarlo

Lungo la strada c’era una giovane ragazza alla quale i genitori le avevano assegnato il nome di Melanina. I suoi genitori nello scegliere il nome, si erano ispirati dal fatto che nei terreni coltivati, abbondavano alberi di mele. Melanina aveva un vestito tutto rattoppato e i lunghi capelli le coprivano il volto gli occhi verdi e il viso d’angelo, portava una cesta di mele sotto il braccio e andava in direzione opposta a quella di Silvino.

Non appena era vicina, gli lanciava un profondissimo sguardo. Silvino in quell’attimo aveva intravisto sotto quei lunghi capelli castani chiari i due occhi bellissimi e luccicanti che lo avevano ammaliato. Rimaneva immobile per qualche attimo, ripresosi dallo stupore, si girava indietro di scatto per cercarla. Lei era sparita fra la gente, lui correva per raggiungerla. Il suo gesto era vano. Domandava di lei, e tutti i paesani, rispondevano di non conoscerla o averla mai vista.

I pensieri del signorino si facevano più intensi ed anche le sue visite nel villaggio di contadini alla ricerca di chi lo aveva guardato e ispirato in lui, il fortissimo desiderio di conoscerla.

La ragazza egualmente era stata colta dal suo dolcissimo sguardo e della bellezza del corpo principesco, pensava che come contadina, non sarebbe stata all’altezza di un nobile e bel ragazzo.

Tra di loro c’era molta distanza sociale.

La nonnina interrompeva il suo racconto e Flavia, quasi si adirava:

«Nonna racconta e poi come finisce?»

«Carissima piccola nipotina, stai calma! Domani ti racconto il resto».

«Perché domani e non oggi?»

«Adesso ho troppe faccende da svolgere, poi devo cucinare e rammendare i calzini del nonno e cucire le troppe toppe nei pantaloni di tuo papà».

«Va bene nonna! Allora vado a giocare. A domani! Ciao nonna!»

A sera Flavia aveva, in testa, un pensiero fisso che l’indomani doveva recarsi dalla nonna per conoscere il seguito della favola e così, durante la notte non riusciva a dormire.

Il mattino seguente Flavia correva dalla nonna le dava un bacetto sulla guancia e le proponeva:

«Nonna, puoi raccontarmi la favola oggi?»

Lei rispondeva, con un sorrisetto sereno:

«Oggi non potrei, vedrò di trovare un po’ di tempo anche per te, ma torna più tardi!»

«Bene nonna!»

Trascorreva meno di un’ora e la piccola, spazientita, tornava dalla nonna.

«Va bene!» Dichiarava la nonna. «Sei tornata troppo presto, però ti accontento; vorrà dire che faccio dopo le mie faccende!» aggiungeva: «Vieni qua!» Dove eravamo giunti nella storia? Ti ricordi?»

«Certo, nonna!»

«A quando Silvino cercava Melanina!»

«Melanina aveva tanto desiderio di incontrare il suo principe azzurro e si confidava con una sua amica che dopo avere ascoltato il racconto, le suggeriva:

«Sai, forse io posso aiutarti. Ti porterò a conoscere una signora molto anziana che prevede il futuro. Lei ti darà dei suggerimenti. Sai, dicono che è una strega buona!»

«Bene! Fammela conoscere. Sono sicura che non mi potrà aiutare! Andiamo subito!»

Le due giovani ragazze si avviavano verso la dimora dell’anziana e appena giunte notavano che la donna, assai curva per la sua vecchiaia si appoggiava ad un bastone. L'anziana le attendeva all’ingresso della sua modestissima casa ricavata da un grandissimo albero secolare. Lei le precedeva dicendo:

«So benissimo il perché siete qui!» e rivolgendosi a Melanina le ordinava: «Domani, se lo vorrai, tornerai da me! Senza alcuna compagnia; la strada la

conosci!»

Le giovani signorine, se ne andavano e il giorno dopo, Melanina in segreto, tornava dalla signora la quale parlò.

«Bella ragazza, so benissimo che tu ami il signorino e ti vergogni assai dei tuoi vestiti!» L’anziana seguitava a dire:

«Ti voglio aiutare! Ti dirò come fare!»

Melanina incredula egualmente si affidò ai consigli della strega.

«Aiutami e ti sarò grata per tutta la vita!» La donna anziana iniziò a parlare.

«Devi sapere che una notevolissima signora dolce e brava che abita al castello, ti ascolterà e, ti darà qualche suggerimento. Vai al castello, inventati una scusa e le sveli il tuo segreto dicendole che hai parlato con me! Una volta l’ho aiutata».

Melanina ringraziò l’anziana e andò via. Lungo la strada pensava e ripensava come trovare una scusa per andare al castello.

La mamma, un giorno riferì alla sua Melanina: «Melanina io avrei da fare non è che puoi andare tu a portare le mele nel castello al posto mio a consegnarle?»

Ricordandosi le parole dell’anziana e pensando che fosse l’occasione buona rispose con un sì.

Ricordandosi le parole dell’anziana e pensando che fosse l’occasione buona rispondeva con un sì.

Prendeva il suo cestino di mele e si recava al castello. Giunta nel cortile le giungeva incontro una signora che le domandava se potesse cederle tutte le mele del cestino. Lei non poteva venderle, erano per un’altra persona, ma dietro l’insistenza della signora lei acconsentiva. Le dava dei soldini come pagamento del frutto e nel frattempo la stessa signora le dichiarava:

«Ti vedo troppo tesa, perché? Hai qualcosa che desideri dirmi?»

Melanina meravigliata avrebbe voluto rivelare ogni cosa alla signora, invece, doveva parlare soltanto con l’amica dell’anziana signora e poi affermava:

«Sono tranquilla! Non ho nulla!»

La signora aggiunse:

«So tutto! Vieni nella mia casa e ti suggerirò come comportarti per avere il tuo principino».

Salirono in casa e la signora le palesava di essere la persona con cui avrebbe

dovuto parlare e le aveva già preparato l’occorrente, le aggiustò i capelli e la indusse a indossare un bellissimo vestito. Le donò un modello di scarpette da abbinare benissimo con il vestito. Le ordinò:

«Così vestita resta qua con me! Questa sera ci sarà un ricevimento e il signorino dovrà scegliere con chi costruire il suo futuro da conte. Tu stessa vedrai in seguito!»

Le due avevano parlato molto a lungo e la signora le aveva insegnato a camminare e comportarsi con più grazia per non essere riconosciuta come la contadina, qual era.

Giunta la sera, La signora chiamò un suo nipote e fece accompagnare Melanina alla festa. La ragazza non poteva attardarsi troppo per non correre dei pericoli durante il ritorno verso casa lungo il bosco infestato dai lupi e altri rischi.

Durante quel poco breve tratto di strada, si sentiva molto emozionata ed impaziente; non vedeva l’hora di raggiungere al castello.

La festa fu appena iniziata, il suo ingresso fu notato da tutti e il conte domandò alla contessa, sua consorte:

«Sai dirmi chi è quella splendida fanciulla?»

Confidandosi aggiunse:

«E’ proprio il tipo che andrebbe bene per il nostro futuro conte!»

La contessa apparve sorridente e felice che il marito fu favorevole al suo pensiero rispose:

«Sai, anch’io sarei molto soddisfatta se nostro figlio la scegliesse!»

Intanto il giovanotto Silvino stava girato di spalle, conversava con gli amici del suo stesso ceto sociale e non si era accorto dell’ingresso di Melanina. Un suo amico si voltò, la vide e rimase a bocca aperta per la vista di un angelo così bello.

Silvino volle imitarlo. Il suo sguardo incrociò gli occhi di Melanina ricordandosi di averli osservati da qualche parte. Lasciò tutti, si diresse verso di lei e fece la domanda:

«Come ti chiami?»

«Dirò il mio nome più tardi adesso non posso!»

Il giovane si ricordò in quale luogo aveva visto la ragazza e non si scompose.

«Bene! Desidero parlare con te e sapere tutto! Ho sperato tanto di trovarti, adesso che sei qui, non voglio lasciarti!»

Parlarono di tantissimi argomenti, nel frattempo. La serata stava trascorrendo veloce e non aveva detto nulla di lei e dove abitava. La cosa certa e che doveva correre immediatamente a casa.

Conte e contessa non facevano altro che chiedere a tutti chi fosse l’incantevole ragazza, ciò nonostante, non c’era chi sapeva rispondere, pertanto il conte si stava alterando, ma considerando che fosse la festa del figlio non voleva reagire e si limitava a guardare i due giovani mentre danzavano e parlavano.

Silvino non era interessato per nessun’altra giovane ragazza, anche se era troppo carina, voleva godersi il suo angelo venuto dal cielo, come lui aveva pensato. Ad un tratto Melanina trovava una valida scusa, lasciava il suo accompagnatore e di corsa s’avventurava verso la casa della sua, ormai amica, le restituiva i vestiti ringraziandola e correndo, percorreva la strada per tornare a casa sua pensando a quale scusa inventare per il suo ritardo. In quel momento era felice e nello stesso tempo molto triste per aver lasciato il suo amore e non lo avrebbe più rivisto; diventava malinconica al pensiero che la loro classe sociale era diversa. A casa i genitori non le chiedevano nulla e lei andava a dormire quasi contenta. Durante l’intera notte continuava a sognare il suo conte e un futuro felice con lui.

Il giorno successivo Melanina, si recava a trovare la casa della strega che per lei era stata una fata, delusa non la trovava, neppure quell’albero secolare che nel suo incavo ospitava la dimora dell’anziana. Era più convinta che davvero, il suo era stato soltanto un meraviglioso sogno mai realizzabile.

Il futuro conte non si dava pace; anche lui aveva creduto a un miraggio incantato. La conferma dei presenti di avere visto la signorina, lo consolava e non si dava pace. Non gli restava che cercare fra le case vicine della contea.

Tutti i giorni che seguivano, il giovane seguitava a cercare informazioni con la speranza di rivedere il suo angelo. Stanco e deluso, la sera, tornava al castello.

Melanina intanto, si era rassegnata, sapeva che non era sarebbe stata una realtà e doveva domare il suo amore, evitava così di incontrarsi con Silvino anche perché si vergognava del suo stato.

Per la delusione di non avere raggiunto risultati Silvino, aveva rallentato la

ricerca e mentre andava nei campi per la verifica dei raccolti, vedeva qualcosa che lo aveva distolto dallo sguardo era qualcosa che aveva già visto da qualche parte: una cesta, poi si convinceva che tutte le ceste erano quasi uguali, era sufficiente che ne avesse vista una per riconoscerle tutte, stranamente proprio quella lo attirava. Si avvicinava a essa e ancora di più percepiva quella curiosa sensazione. Optava di domandare ai suoi raccoglitori per apprendere a chi appartenesse. Una ragazza di giovane età, replicava che esso apparteneva a Melanina, però lei non era andata a raccogliere le mele, il motivo era che non si sentiva bene e che abitava nella casa accanto alla piazza. Senza nessuna speranza certa, il giovane conte, andava a casa dei genitori di Melanina. Loro si trovavano nei campi, però scorgeva Melanina che nascondeva i suoi occhi proteggendoli da una lunga ciocca di capelli.

Attratto dalla curiosità di avere ricordato quel volto per averlo notato, per la prima volta, nella piazzetta allungando dolcemente una mano le sollevava i capelli, riconoscendo il suo volto, il suo sguardo, lei fuggiva. Silvino aveva la conferma che il suo sogno si stava avverando.

Giunto a casa rivelava alla madre che aveva ritrovato la ragazza e lei contentissima che il figlio era felice dichiarava:

«Vedrai cercherò di persuadere, tuo papà, affinché accetti che tu la sposi».

Il conte era appiccicato alle vecchie tradizioni e non voleva condividere alla proposta della contessa, comunque, pensando alla felicità del loro unico figlio acconsentiva.

In autunno fissavano il giorno delle nozze.

Fu organizzata una grandissima e stupenda festa. Furono invitati tutti i contadini e i castellani.

I contadini trassero vantaggio dal matrimonio tra Silvino e Melanina perché raggiunsero un grado sociale più elevato e un rallentamento dei controlli fiscali da parte del conte.

I due giovani vissero una vita felice ed ebbero presto due bimbi belli, il maschietto, lo chiamarono “Romino” e la femminuccia “Senseria”.

«Beh! Adesso devo andare! Cara la mia nipotina! Ti è piaciuta la favola?»

«Ho! Si certo, è stata bellissima!»

«Vai a giocare che è ato molto tempo e ho da cucire!»

«Vieni, domani, ti racconterò la favola dei fiori!»

«Certo che verrò da te mia cara nonnina! Non ti lascerò tranquilla se non mi racconterai tutte le favole che conosci!» e concluse: «Ciao! a presto!»

Nel regno di Bardalina c’erano tanti castelli e il più esteso era abitato dal re, la regina e l’intera corte di Bardalina. Nel castello viveva una sola principessa dai capelli lunghi dorati e gli occhi molto belli e penetranti, lei aveva il freddo nome di Mangalina.

La principessina già all’età di quattordici anni aveva nostalgia desiderio di recarsi in vacanza, avere nuove amicizie e vedere altri luoghi. Spesso e volentieri girava per i giardini del castello per distrarsi, giocherellava con i fiori e volentieri parlava con gli animali che, forse la capivano e a loro modo rispondevano.

Ormai la principessa aveva l’età di sedici anni, un giorno suo padre il Re Bard, accennò alla regina col nome Barulla che per dare forza al suo regno, doveva concedere la mano della sua unica figlia Mangalina a nozze con un principe del regno vicino.

«Moglie mia, nostra figlia, deve seguire le tradizioni, come nel ato. Promisi, al re nostro vicino per il suo unico figlio, la mano di nostra figlia Mangalina».

La signora regina non ne fu parecchio convinta e abbassando la testa guardando verso il basso rispose al marito:

«Se ciò è necessario, dovremo dirlo a Mangalina, ma ti avverto a priore che non mi pare che i due siano uno per l’altra!»

Qualche settimana dopo, era di domenica e appare il re accompagnato dal figlio

per fare visita ai vicini e conoscere la bella principessa.

Mangalina scorgeva i due uomini, a prima immagine il giovanotto si presentava così: alto, biondastro, con gli occhi celestini, abbastanza carino e la corporatura assai magra.

Furono presentati e iniziarono a chiacchierare per conoscersi.

La ragazza, prestissimo si accorgeva che lui era un tipo prepotente, arrogante con troppa mania di possesso, questo non le piaceva e quando lui tornava a farle visita lei cercava una scusa per allontanarsi.

Erano trascorsi più di due mesi, di già la ragazza si era stancata della presenza del principino e lo riferiva a sua madre.

«Sai mammina, non sono affatto attratta per Corino, figurati se voglio sposarlo; da lui mi sento importunata e non lo sopporto!»

Barulla, la regina risponde:

«Figlia mia! Devi sapere che siamo in un periodo nel quale dobbiamo rispettare certe usanze e vicino a noi non vi sono nobili carini adeguati alla tua persona!»

«Prometto che ti aiuterò a convincere tuo padre, ma sarà molto difficile che riesca!»

Corino era andato via per ritornare in seguito e, quando ne trovava il tempo.

I giorni erano tutti uguali per la principessina poi caduta nello sconforto e sentendosi obbligata a vedere e frequentare l’antipatico principino, sedutasi su di un muretto che cingeva il giardino, iniziava a piangere. A un tratto udì una voce che parlò.

«Non preoccuparti, vedrai, troverai una soluzione!»

La principessina smetteva di piangere fermando le sue lacrime che discendevano lungo il suo triste viso. Si guardava intorno per capire da quale luogo provenisse quella vellutata voce. Non vide nessuno, pensò:

“Vuoi vedere che mi sto ammalando!”

La voce immediatamente si fece risentire.

«Pensi di non essere sana, ma stai benissimo! Non preoccuparti! Ti aiuterò?»

Mangalina con lo sguardo cercava di localizzare la provenienza della bizzarra voce, forse qualcuno era nascosto lì vicino?

Scorse una piccolissima luce abbagliante, erano i raggi del sole che si

riflettevano su un lucido puntino tra l’erba.

«Finalmente hai visto chi è che ti parla? Si! sono proprio io!»

Dichiarava la principessina.

«Non vedo nessuno! Soltanto un colorato grillo tra l’erba?»

«Proprio io la tua salvezza; se mi ascolterai e farai ciò che io ti dirò, ti libererai per sempre del principino Corino!» Così aveva completato il piccolo grillo che si chiamava Cri.

«Sicuro che ti ascolterò e dopo valutati i consigli, li attuerò».

«Ascolta! Quando lui verrà tu, lo porterai qui nel tuo giardino, parlerai con lui ed io interverrò. Corino è un credulone e poco coraggioso, allora si spaventerà e ti lascerà in pace per sempre!»

Affermava Mangalina:

«Come sarò felicissima se riusciremo però, voglio crederti e concederti la mia fiducia!»

La principessina contava i giorni sperando che il principino tornasse presto a trovarla.

Senza che lei ne era a conoscenza, i suoi genitori avevano, già, stabilito il giorno del fidanzamento dando comunicazione ai loro amici e sudditi, attraverso un editto, del nuovo avvenimento e stavano scegliendo gl’invitati e organizzato i preparativi. Quanto deciso, fu comunicato a Mangalina che agli occhi del re si mostrò felice e soddisfatta.

Re e Regina avevano capito che lei sarebbe stata favorevole e contenta e le concessero più libertà.

Una settimana prima della cerimonia, giunse il suo futuro fidanzato, lei subito gli corse incontro, lo salutò e aspettò che si riposasse. Presto gli parlò e lo convinse

di fare una eggiata in giardino tra i fiori e i prati, lui ne fu felice e volle accontentarla. Giunti nel posto in cui lei, spesso sostava, si sedettero sul muretto di pietre e iniziarono a parlare.

Il principino volle essere gentile e premuroso nei confronti della sua futura fidanzata concedendosi delle libertà:

«Finalmente! Amore mio, ti sei decisa a volermi bene? Hai percepito la mia assenza?»

Mangalina non si scompose affatto:

«Mio carissimo principe, sai molto bene che non ti sposerò mai! Non mi piaci!»

Il giovanotto privo d’ira rispose:

«Io sono abituato a pretendere ciò che mi piace, è giunto il momento che prenderò te come mia moglie! Sarai presto regina!»

Una voce fu ancora più esplicita.

«Tu sai bene che stai farneticando, la tua arroganza non ti porterà a nulla e, sei anche antipatico!»

Ciò lo aveva commentato il grillo Cri. Mangalina, aveva tanto desiderio di ridere a crepapelle, però riusciva a trattenersi lasciando trasparire soltanto un piccolo sorrisetto sulle guance. Il principe pensò che a parlare fosse stata la ragazza, ma subito si accorse che la voce provenne da tutt’altra direzione e pensò che fosse stata soltanto la sua coscienza ad avere parlato, se solo ne ebbe una. Poi continuò la sua conversazione.

«Al nostro fidanzamento ci sarà una sontuosa festa e da quel momento saremo fidanzati!»

Rispondeva la voce.

«Non ci sarà nessuna festa, la principessina non ti vuole, non lo hai capito?»

La bella principessina fingeva di non udire nulla. Sul viso di Corino era appena comparso un evidenziato rossore che andava aumentando.

«Mangalina! Tu hai sentito una voce? C’è qualcuno dietro le piante?»

Si alzò di scatto per andare a verificare, non vide alcuno nascosto.

«Quando sarai la regina…» aveva appena iniziato a dire il principe, ma improvvisamente si levò un forte grido accompagnato da un’affermazione.

«Ti ho detto che non avrai nessuna regina al tuo fianco se vuoi, potrai sposare

una capretta!»

A tal punto, Corino si arrabbiò fortemente senza riuscire ad accusare la ragazza che apparentemente non aveva udito nulla. Aveva notato che le sue labbra non si erano mosse. Corino, all'istante prese il suo cavallo e scomparve per sempre. La principessa ringraziò il suo amico Cri e gli promise eterna amicizia.

Il re e la regina aspettavano il principe che doveva presentarsi a cena. Il re e la regina, seduti accanto alla tavola apparecchiata erano divenuti assai impazienti, il loro genero non giungeva. Il re spazientito diede uno sguardo alla ragazza come per domandare il perché del ritardo, poi si decise.

«Corino non giunge! come mai?»

Mangalina, non voleva rispondere, poi affermava:

«Non so davvero nulla! È andato via di corsa col suo cavallo, non mi ha neanche salutata!»

Dentro di se, la ragazza rideva a più non posso.

I presenti iniziarono a cenare senza altri commenti.

Un primo pomeriggio Mangalina, eggiava nel parco. Saltellando qua e là, l’amico Cri, la raggiungeva.

Esso gridò:

«Aspetta devo dirti una cosa!»

Rispose Mangalina.

«Ti ascolto dimmi!»

«Ti voglio vedere felice e presto conoscerai il tuo vero principe!»

«Che cosa dici tu! Non esistono altri principi nel vicinato; sono molto lontano!»

«Sono sicuro di quel che dico, vedrai!»

Mangalina pensava, ripensava alle parole di Cri e poi, si tranquillizzava convinta che ciò non sarebbe mai stato possibile.

Una visita inaspettata giunse al palazzo, si trattò di un giovanissimo messaggero. Giunto nei giardini reali, incontrava la principessa. Fu colpito dalla sua sublime bellezza. Mangalina l’osservò, subito percepì alcuni battiti pulsanti molto accentuati nel suo cuore. I due si piacquero subito e parlarono un poco. Il giovane, fu molto gentile e si scusò di non averla vista prima e proseguì per essere ricevuto a corte.

Mangalina affrettò i suoi i per giungere presto poiché fu impaziente e attratta di chi aveva suscitato dentro lei, delle vibrazioni amorose.

«Mamma! Informami! Chi è quel giovane che oggi è stato da noi?»

«Mia cara! Ti piace tanto he? È un messaggero del re di Pallatonia molto distante da qui. Il messo ci ha chiesto se noi possiamo ospitare il suo Re nel nostro palazzo, tuo padre ha risposto che sarà il benvenuto».

«Allora rivedrò quel giovane messaggero!»

«Non è solamente un messaggero, pare proprio che è il figlio del re, lui è anche un soldato molto valoroso e semplice».

In breve la scorta col Re giunse da ospite al castello e durante la loro permanenza a palazzo la, principessa gradì la compagnia del giovane principe.

La principessa confidò al suo bel principe, di ciò che accadde al suo pretendente e svelò l’esistenza del suo amico grillo parlante. Entrambi si fecero lunghe risate e pensarono che fosse un dovere invitare a ogni loro festa l’amico Cri, ma ciò non poteva accadere; era solo un grillo! La presenza di Cri avrebbe dato adito a derisioni per la stessa coppia.

La felicità della coppia era grande. I popoli di uno e dell’alto regno la gradivano e si compiacquero di quella stupenda unione. Entrambi, principe e principessa, si

accorsero di essere fatti uno per l’altra e così invece di annullare la festa organizzata, in vece di Corino, apparve un altro protagonista.

Fu annunciato al popolo il fidanzamento e Presto si sposarono. I loro sudditi, li rispettarono come uomini uguali a loro; dei bravi contadini e coloni, cioè come esseri umani e figli di “Dio”.

Il grillo Cri rimase il loro amico più caro e con lui, spesso dialogarono e quando giunse la sua vecchiaia, fu mangiato da un gatto e non ebbe neanche il tempo di dire addio ai suoi amici umani.

Capitolo uno

In una di diverse famiglie italiane composta di una coppia sposata al secondo anno, nasceva una bellissima bimba di nome Margherita.

La piccola cresceva bene e in salute. Riceveva da parte dei suoi genitori tutte le attenzioni possibili che la vita poteva offrire alla famiglia.

La bambina aveva l’età di tre anni, papà e mamma arredavano una piccola stanza solo per lei in un locale adiacente alla loro camera.

Margherita, ebbe abbastanza difficoltà ad abituarsi a dormire da sola e spesso si rifiutava si addormentarsi, preferiva dormire nel letto con mamma e papà.

In una sera troppo piovosa, i genitori udirono delle voci provenire dalla stanzetta di Margherita. I genitori stupiti stettero ad ascoltare per comprendere le parole. La curiosità stava nel fatto che, nella stanza esistevano soltanto alcuni pupazzetti di stoffa, amici e compagni della piccola. Con i felpati e senza produrre alcun rumore, la sua mamma si accingeva a scoprire ciò che accadeva in quell’attimo notturno. Con sua sorpresa vedeva che nella cameretta non era presente alcuno oltre la sua dolce bimba. Il papà di Margherita, intanto aspettava per conoscere che cosa stava accadendo in quel momento e trovare il giusto rimedio. In un primo riscontro, valutava che Margherita stava solo sognando oppure, dialogava con uno dei suoi pupazzetti preferiti.

La signora mamma domandò alla piccola:

«Dimmi tesoro mio, con chi stavi parlando?»

«Con nessuno, mammina!»

La genitrice commentò:

«Ho udito benissimo sai!»

«E’ vero, mamma non c’era alcuno con me!»

«Sai mia piccola, se tu mi asserisci la verità, non ti rimprovero, non c’è nulla di male se hai qualche buon amichetto, però ti spiego come ti devi comportare».

«Mammina, non affermo bugie!»

La mamma rimboccò le coperte e porse un dolce bacio sulla guancia della piccola e si ritirò in camera accanto a suo marito. Trascorsa mezzora nuovamente si udiva che Margherita conversava con un essere ignoto. Il papà si alzò dal letto e si avvicinò alla porta della stanzetta per assistere alla conversazione della sua bambina. Cercava di comprendere se lei sognava, o, possedeva troppa fantasia nel vedere accanto a lei, in cameretta, qualcun altro. Con grande stupore il papà si accorgeva che le sue parole erano poco comprensibili e la piccola da sveglia parlava veramente come se si rivolgesse a qualcuno dicendo:

«Davvero! Non lo dico a nessuno, ti prometto; si!» E completava: «Va bene!»

A quel punto il papà decideva di aprire lentamente la porta per scoprire Margherita durante il suo dialogo, voleva capire a chi lei rivolgesse il suo discorso. Prima sbirciò dalla porta per ascoltare in modo limpido la sua piccola durante la bizzarra conversazione, ma subito lei si zittì.

«Dimmi; mia piccola cara!»

E chiese di nuovo:

«Chi ti stava parlando?»

«Nessuno è con me papà!»

«Senti cara, tu lo sai che papà e mamma ti vogliono bene e devi dirci tutto ciò che fai perché noi dobbiamo sapere per poterti aiutare in qualsiasi momento».

«E’ un segretissimo e non devo parlarne con te!»

«E’ un maschietto o femminuccia come te?»

«E’ un mio amico e basta!»

«Adesso dove si trova?»

«E’ andato via, non vuole parlare con voi».

«Non lo puniremo, soltanto che se non lo vediamo anche noi, non possiamo permetterti di parlare con lui!»

«E’ bravo, mi tiene compagnia!»

«Di tutto al tuo papà, è un bambino?»

«Uffa, ti ho detto di sì!»

«Va bene, adesso ti lascio sola però, non parlare con lui; dormi!»

«Notte papi!»

«Buona notte tesoro e fai sogni belli!»

Il genitore si ritirò a dormire e per un lungo periodo, non si parlò più della stranezza del caso ormai ato.

In famiglia tutto procedeva bene e la piccola giocava con i suoi pupazzi, tuttavia, continuava a dialogare da sola, almeno così sembrava.

Il papà e la mamma di Margherita affrontavano il problema e cercavano di risolverlo e per fare capire alla piccola che non bisognava parlare da sola perché non ciò fosse corretto ne salutare.

In una meravigliosa giornata primaverile la piccola Margherita uscì nel giardino adiacente alla casa per ammirare i fiori; si era portata i suoi cari bambolotti, però non giocava con essi, ma conversava di nuovo con qualcuno. La mamma vedeva la sua bella bimba e il giardino soltanto, allora con chi parlava la sua piccola bimba?

La signora Terry si avvicinava alla sua bambina per scoprire quale misterioso bambino giocava insieme a lei. Margherita, quando si accorgeva la presenza della sua mamma, si zittiva.

«Margherita, con chi chiacchieri?»

«Gioco mamma!»

«Con chi giochi, dimmi!»

«I miei giocattoli sono gli amici più cari che io ho!» «Non stavi parlando con i giocattoli e con chi?»

«No Mammina parlo solo con loro e gli preparo la colazione!»

«Va bene, però ricordati che se ancora ti trovo a parlare da sola ti punisco!»

«Non lo farò di nuovo mamma!»

La signora non si convinceva, si stupiva nel costatare che la sua bimba stava diventando, un poco e anche troppo, bugiarda e lei possedeva soltanto tre anni di età.

Terry si confidò con il marito per trovare una certa soluzione e fare togliere, a Margherita, l’abitudine di dialogare con personaggi inventati perché ciò avrebbe causato sfavorevoli consuetudini alla piccola facendola vivere in un ambiente poco vicino alla realtà umana.

Invano la mamma Terry, cercava di dialogare con Margherita coccolandola per sapere la verità su quei dialoghi strani:

«Tesoro mio, hai giocato oggi?»

«Certo, mamma!»

«Con chi?»

«Con i miei giocattoli!»

«Non preferisci dirmi chi è il tuo amichetto con cui parli spesso?» seguitò. «Tanto lo so che è un bambino!»

«E come fai a sapere?» E alla sua mamma aggiunse: «Anche tu parli con lui?»

«Tesoro, mi dici il nome del tuo amico?»

«Si chiama Stricco!»

«Di quali cose parlate?»

«Mi racconta tante storielle!»

«Vuoi raccontare alla tua cara mammina almeno una qualunque di quelle favolette?»

«Domani!»

«Perché domani?»

«Mamma! ma non capisci?»

«Cosa non capisco?»

«Devo domandare a Stricco se posso!»

«Adesso lui si trova qui?» Con dolcezza, insiste: «Lo vorrei conoscere!»

«No mammina! oggi non è giunto da me, è molto arrabbiato!»

«E perché è arrabbiato con te?»

«Gli ho detto che tu non vuoi che io parli con lui!» «Tesoro caro, non devi conversare con chi non si mostra agli altri!»

«Solo tu lo vedi, vero?» Insisteva la signora.

«Si mamma!» Margherita seguitava a svelare:

«Dice che non può farsi vedere dai grandi altrimenti lui non verrà più a parlare con me!»

«Ho capito cara, svagati pure; io vado in casa e mi raccomando, non farti male!»

Margherita fu impaziente a rimanere sola congedò subito la sua mamma.

«Ciao mamma!»

Per un certo tempo, il vivere di Margherita con i suoi genitori proseguiva felicemente e per lei seguitava la crescita, frequentare la scuola d’infanzia.

Chissà se Margherita vedeva ancora e parlava con il suo amichetto.

Alla bambina piaceva frequentare la scuola infantile era amante del disegno che anteponeva allo scrivere.

Il pomeriggio tornando dall’asilo nido, Margherita, entusiasmata, dichiarava alla sua mamma:

«Oggi ho fatto un bellissimo disegno da farti vedere, vuoi?»

Estrasse dalla sua cartellina un foglietto con alcuni scarabocchi raffiguranti un bambino con i capelli irti e indossava un grembiulino similare a quello che lei metteva tutti i giorni per recarsi all’asilo. La mamma le domandava:

«Questo bel bambino chi sarebbe!»

«Mamma, non vedi che si tratta di Stricco!»

«Scusami cara, lo hai rivisto e gli hai parlato?»

«No mamma non è più giunto da me!»

«Tu sai, dove abita?»

«Si! Certamente che lo so!» Margherita continuava ad affermare: «Mi ha dichiarato che abita in un paesino a ridosso di una collina e somiglia al nostro paese, ma è più colorato e le case sono piccole e belle!»

«E non sai raccontare altro alla tua mamma?»

«Mi ha raccontato, che possiede un cagnolino e un maialino che spesso corre a cacciare le galline quando gli rubano il cibo. Mi ha riferito che parla con gli altri animali».

«Dimmi tesoro, Stricco ha altri amichetti?»

«Dice di sì e che sono liberi di giocare e correre tra i prati, però alcune volte, lo vedo molto triste e non vuole dirmi perché».

«E quindi non è felice!»

«Non lo so mamma!»

«Tu lo hai visto da poco, allora!»

«Mi ha detto che posso parlarti di lui, poi è diventato strano, quasi piangeva!»

«Si mostrava così perché non verrà più da te, ma non voleva dirtelo, però non preoccuparti deve stare nel suo mondo che è molto lontano dal nostro».

Terry cercava di abituare la sua bambina a svagarsi da sola e dimenticare l’esistenza di quel suo amichetto immaginario.

Margherita apparve abbastanza convinta e sembrò che avesse capito di dovere rinunciare al suo piccolo compagno immaginario.

La piccola giocherellava nella sua stanza ed ecco che improvvisamente apparve

di nuovo Stricco.

«Ciao Stricco, sei tornato!»

«Certo che lo sono, dovevo almeno salutarti!»

«Vai insieme ai tuoi genitori?»

«Non ho una mamma e un papà come te!»

«Ti racconto la mia storia e se vuoi, la potrai dire alla tua mamma! Devi sapere che io non sono un vero bambino come te. Sono fatto di energia luminosa ed esisto per aiutare altri bambini quando si sentono soli. Prima, ci chiamavano folletti. I tempi sono cambiati e ci hanno attribuito tanti altri nomi».

«Io, lo so che tu sei un folletto tanto buono!»

Affermò Margherita.

«I tuoi genitori non ti hanno parlato di noi!»

Interpellò Stricco.

«Veramente no!»

Affermava la bambina:

«So di moltissime fate, streghe cattive, principesse e principi!»

«Adesso tu lo sai che noi siamo degli esseri invisibili e viviamo in un Mondo stupendissimo, immaginato dai tutti i bambini e, quando loro diventano grandi, li salutiamo, come io sto facendo con te, andiamo da altri bimbi che ci aspettano per essere aiutati».

«Io non voglio che fuggi via!»

«Ormai sei cresciuta, mamma e papà ti aiutano tanto, quindi non hai bisogno di me!»

«Vuoi affermare che non potrò immaginare più nulla?»

«Vuoi affermare che non potrò mai immaginare più nulla?»

«Al contrario! E mentre prima sono stato proprio io a insegnarti la logica della fantasia adesso tu hai imparato bene e sei in grado, da sola, di creare novità meravigliose e fantastiche come fa ogni altro bimbo come te, sa realizzare».

Entrambi i bimbi furono emozionati e predisposti a lasciare uscire qualche lacrima dai loro occhietti, ciò nonostante si trattennero. Sapevano bene che infondo, sarebbero rimasti per sempre amici e legati al percorso dalla vita infantile fino alla fine dei loro giorni. Nei loro cuori e nelle loro menti, rimanevano impresse; fantasia e immaginazione.

Quei bambini si abbracciarono fantasticamente per l’ultimo immaginario saluto.

I genitori di Margherita condivisero la favoletta della piccola e felici risposero alle tante domande della figlioletta.

«Sai mamma avevi ragione tu, il mio folletto mi ha spiegato!»

«E tu cara che cosa hai capito?»

«Che non devo volere bene a tutto ciò che la mia fantasia crea!»

Mamma, papà e la piccola, si abbracciarono insieme sapendo che il vivere continuava come un sogno che guida i bimbi nella crescita e poi gli adulti, in seno alla realtà da trascorre sulla Terra.

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In un paesino adiacente al mare con una scogliera che scendeva a picco, da una parte e dall’altra scivolava su una piccola spiaggia con la sabbia di colore giallino. Vivevano bimbi che crescevano, i figlioli dei pescatori, andavano a scuola e giocando liberi tra le strade del paese.

Una bambina si distaccava dalle altre e spesso si recava sulla spiaggia per giocare. L’affascinava vedersi solitaria e lontana da rumori non naturali; preferiva udire lo sbattere delle onde sugli scogli e aspirava di crescere per diventare la copia della sua mamma alla quale era molto affezionata, però infondo, era ansiosa; attendeva il rientro della barca di suo papà.

Un giorno, mentre era sulla spiaggia, percepì un richiamo, non certo per nome, ma con un:

«Piss! Ehi, tu piss!»

La piccola si voltò. Vide una sua coetanea nuotare verso di lei e gridò:

«Mi chiamo Caterina e tu?»

Con foce vellutata e sottile rispose:

«Corallina!»

Corallina con pochissime bracciate, si avvicinò a Caterina.

Caterina fu incuriosita del fatto che la sua nuova conoscenza non uscisse e domandò:

«Perché non vieni in spiaggia a giocare con me?»

Corallina si rattristì in viso, non voleva farsi vedere, si sentiva diversa pertanto aveva paura di spaventare chi voleva diventasse la sua più cara amichetta e disse:

«Vieni tu in acqua, se sai nuotare!»

E, Caterina quasi nervosa, le chiese:

«Dov’eri? Non ti ho visto prima!»

Corallina rispose:

«Ti racconterò dopo, per adesso vieni in acqua!» Caterina non si fece aspettare, si tuffò tra le onde e la raggiunse.

Le due amichette conversarono notevolmente e giocarono in acqua l’intero giorno, ognuna delle due, doveva tornare a casa e Caterina invitò Corallina a uscire.

«Vieni ti faccio conoscere i miei amici!»

«Non posso! Tu vai, poi, ti raggiungo!»

Si tuffò sott’acqua e scomparve. Caterina, non si preoccupò più di tanto pensando che avesse fatto un sogno perché desiderava giocare in compagnia.

Una settimana dopo, tornando sulla spiaggia trovò Corallina ad aspettarla in acqua. Corallina la chiamò, ma Caterina rispose con un netto “No!” Corallina si avvicinò sulla spiaggia e si fece vedere dicendo:

«So cantare molto bene sai! Vuoi sentire?»

Caterina accettò ascoltando una bella musica dolce e soave che non aveva mai udito.

«Come mai canti così bene, vai a scuola di musica?»

Quasi subito, Corallina le volle svelare la verità:

«Io sono una sirena come nelle favole!» e facendole vedere la sua coda confermò: «Vedi sono reale, ho un fratello anche lui è un sirenetto!»

Caterina conosceva alcune favole di sirene, però non le risultava che esistessero anche i maschietti; e per distrarsi con l’amica, accettava volentieri, ciò che aveva appena udito.

Nei giorni che seguirono, giocarono insieme.

Il tempo continuava a trascorrere e Caterina, senza sosta, aveva nostalgia di giocare con la sua cara amica sirena e di conoscere il suo fratellino.

Trascorse di nuovo l’inverno poi, giunse l’estate, Caterina tornò nella suo minuscolo angolo di spiaggia preferito, giunse la sua amica e giorno dopo giorno, insieme trascorsero un’altra estate. Caterina, fino ad allora non aveva rivelato ad alcuno della sua amicizia pensando che l’avrebbero derisa.

Il primo giorno dell’anno seguente legato all’estate, Corallina apparve insieme al suo fratellino Polpitto e subito lo presentò a Caterina. I due simpatizzarono subito e giocarono insieme.

Altri giorni seguirono e poi ad un tratto Polpitto non si presentò più ai giochi.

Caterina domandò a Corallina:

«Come mai il tuo fratellino non viene a giocare?» Lei rispose:

«Non vuole, perché tu sei umana e lui per metà è un pesce e fra voi non c’è affinità».

Caterina rispose:

«Questo è vero, ma si potava essere amici e giocare, non credi?»

«Si! Hai ragione, cercherò di convincerlo!»

Caterina stava crescendo e aveva poco tempo per recarsi al mare e soltanto raramente vi andava.

Lei era assai triste ed in una giornata di primavera si recò al mare per ascoltare il mormorio delle onde in movimento e osservare qualche pesciolino. Si sedette su un comodo scoglio. Fissava l’acqua che, attraverso la sua trasparenza, evidenziava la vita marina ricca di tante specie viventi e statiche, lo scenario era piacevole, coloratissimo e in continuo movimento; la sua speciale bellezza la lasciava stupefatta. Immaginava di essere diventata una sirena simile a Corallina per nuotare nei fondali marini, forse avrebbe incontrato veramente l’amico Polpitto.

Caterina, intanto che osservava l’acqua, immaginava di vedere che il suo corpo diventato quasi schiumoso eterminava con la coda. Si spaventò molto, ma quasi ebbe piacere di vedersi trasformata, poi intravvide il suo caro amico Polpitto avvicinarsi e, appena giunto, si scusò per non essersi presentato insieme a Corallina e spiegò:

«Sai tu mi piaci ed io non volevo esserti d’impiccio per la mia diversità e per non farti soffrire ho preferito sparire in seguito non sono riuscito a dimenticarti ed eccomi qui!»

Caterina rispose sorridendo.

«Tu sei tanto caro e ti ringrazio molto per esserti preoccupato per me!»

«Sappi che vorrei tanto venire con te, purtroppo, non sono una sirena!»

«Hai ragione! Addio!» così dicendo Polpitto, iniziò la sua nuotata verso il suo mondo.

Caterina pianse tantissimo, e attraverso lo scorrere delle sue lacrime che si miscelavano nell’acqua, vide di nuovo il suo corpo di sirena che nel frattempo, era diventato più chiaro e reale.

Caterina si toccò per verificare se il suo corpo si era veramente trasformato in sirena. Scoperta la conferma, con un tuffo scomparve sott’acqua per raggiungere

il suo Polpitto.

I genitori di Caterina, invano la cercarono; era sparita tra le onde marine. Si vociferava che era morta annegata e fosse stata salvata dalle leggendarie sirene.

Da quel momento la spiaggia di mare fu riservata. Nessuno andava più a pescare per lasciare serenità al popolo delle sirene tranne i genitori di Caterina che ogni volta, lanciavano tra le onde, un mazzo di fiori affinché le amiche sirene lo portassero a lei col saluto del suo papà e la sua mamma.

Una famiglia composta di tre persone: i genitori e una bambina. Abitano una casa con uno splendido giardino pieno di fiori.

La bambina si chiama Fiori. E tanto monella, ha preso l’abitudine di andare a rompere qualunque fiore, nonostante i genitori le hanno spiegato, che ciò non si deve fare perché i fiori, gradiscono che qualcuno si curi di loro per sentirsi utili e amati.

La bambina egualmente di nascosto va a rompere le corolle fiorite.

I fiori soffrono tanto perché si sentono aggrediti e mutilati, sicché essi si accordarono per punire la bimba monella.

In seguito Fiori allunga la sua manina e si avvicina ad una pianta per rompere un bocciolo di rosa, però non riesce a staccarla con la mano sinistra e cerca di tenere il resto dello stelo con l’altra manina, agisce con tutta la sua forza e finalmente riesce a strapparla, nel frattempo, la pianta rabbiosa e dolorante la punge con una delle sue dolorose spine; la monellina piangendo va dai suoi genitori per cercare conforto, però loro le rispondono:

«I fiori ci vogliono tanto bene e crescono belli per ringraziare la natura per avergli dato i variopinti colori, ma, non vogliono essere feriti».

«Hanno voluto farti assimilare e dimostrare, quanto bene ti vogliono e ti rispettano ogni giorno per essere ammirati da te!»

Fiori si giustifica dicendo:

«Ho voluto soltanto raccoglierlo perché mi piace e non sapevo di procurare dolore alla pianta!».

Da quella volta la piccola non si reca in giro per strappare i fiori, però li osservava con tanta dolcezza e ammirazione.

La pianta spinosa

Cresco bassa ed pure alta. Sono verde e dolorosa. Faccio fiori variopinti e la gente li ama tanto. Sono molto misteriosa, anche amica e traditrice Se qualcuno non mi va Dice, saltellando qua e là, moltissimi “hai!” “hai!”

Un bambino di otto anni con il nome di Franchino. Frequenta la scuola elementare nella terza classe. Lui si sente deriso dai suoi compagni di ambo i sessi solo perché ha un piccolo difetto nella pronuncia. Ogni giorno avverte, sempre di più, la sua emarginazione. Franchino non riesce a stare concentrato nello studio, ma solamente ai suoi compagni, che nella sua mente, gli appaiono come dei piccoli mostriciattoli.

Franchino piange sempre e. i genitori non sanno il perché e lo interrogano:

«Franchino, perché piangi?»

Il bimbo si abbraccia alla mamma e risponde:

«Non ho nulla mamma!»

«Vieni dal tuo papà e raccontami!»

Franchino non vuole parlare, poi dietro l’insistenza sei suoi cari, spiega:

«I compagni, a scuola, mi prendono in giro perché non parlo bene come loro!»

«Tuo papà ti spiega: non devi preoccuparti che loro sembrano più sani di te, stai tranquillo che loro, sono malati, forse più di te!»

«Non è vero papà, loro spiccicano bene le parole!»

«Stai calmo, piccolo mio, devi subire fino a quando frequenterai le scuole superiori, e poi vedrai, nessuno si curerà di te, ogni uno di loro dovrà interessarsi per se stesso e ti lasceranno in pace».

«Ma papà, io non sono interessato a ingiuriarli!»

«Bravo, è giusto ciò che fai e lascia correre, fingi di non sentire!»

E’ giusto quello che gli consiglia il suo papà, però, un piccolo non può proprio usare un comportamento da adulto e il papà lo sa, tuttavia, deve rafforzare la personalità di suo figlio.

Franchino si rassicura, egualmente nel suo piccolo cervello si è formata una tristezza e odio contro i suoi compagni; dopo cena va a dormire.

Franchino presto si addormenta e i suoi sogni sono diventati ossessivi, rivede le immagini orrende dei suoi compagni e il loro comportamento. Improvvisamente il sogno cambia, gli appare una grande pianura ricca di dune e sull’erba verde appaiono dei fiorellini con una pecorella che pascola. Lui si vede sdraiato sul prato e con una cannuccia di erba verde, la porta sulle labbra e soffia dentro per farla fischiare, osservava la pecorella che ammira tanto come bruca.

All’improvviso appare un branco di lupi affamati che ringhiando vanno verso la pecora. Essa parla al branco:

«Miei cari amici lupi, come vedete non sono vostra nemica e mi volete mangiare, ma perché?»

Un lupo del branco risponde:

«Vogliamo gustarti!»

«Fate pure, però dopo di me chi mangerete? Non morirete di fame?

Un lupo aggiunge:

«In seguito si vedrà intanto ci sazieremo di te!»

La pecora si limita a dialogare:

«Siete in tanti, e non avrete neanche l’assaggio di me, però, vi propongo una cosa!»

«Stiamo a sentire la tua idea!»

«Presto avrò dei figli e in seguito ne giungeranno altri, in breve saremo in tanti e tutti, vi potrete sfamare, se mi mangiate adesso morirete di fame comunque!»

I lupi mostrano un attimo di esitazione, in seguito ammettono:

«E’ vero ciò che dici, sarà bene rispettarci tra di noi e vivremo felici!»

Franchino rimane meravigliato per avere assistito alla scena e capisce bene che i suoi amici lo deridono perché loro non erano in colpa, ma i genitori che non insegnavano che a lui chi soffre non è colpevole e merita rispetto.

Nel sogno di Franchino comparve una fanciulla che gli parlò:

«Rispetta i tuoi coetanei, non sanno di sbagliare! Quando saranno grandi capiranno e ti vorranno assai bene. Dovrai ricordare questo tuo sogno che ti servirà durante la tua crescita!»

Franchino al suo risveglio, si sente rilassato e felice, adesso, non vede la solita derisione dei suoi compagni, sembra che, hanno capito che non è bene ridacchiare delle sventure altrui.

Ero piccola.

Una sera d’autunno sono salila nel primo piano della casa per andare nella mia stanzetta. A un tratto se né andata via la luce perché fuori pioveva a dirotto con tuoni e lampi, il vento soffiava muovendo i rami degli alberi che sembravamo mani giganti.

Sono rimasta immobile. Non sapevo da quale parte andare perché era tutto buio e avevo paura di cadere dalle scale. La pioggia era talmente fitta che le gocce battevano sulla finestra, come se qualcuno bussasse: Un lampo si è forte che ha illuminato la mia finestra, la mia ombra sembrava una strega. La luce del lampo è svanita e sono rimasta nuovamente nel buio. Non sapevo se la strega fosse vera o finta. Si sentivano soltanto i rumori della grandine, del vento e dei tuoni.

Stavo morendo dalla paura. Il mio cuore batteva fortissimo e tutte le cose mi sembravano giganti a un tratto mi sono ripresa e ho sentito la voce di mamma e papà, allora ho iniziato a piangere e gridare fortissimo, pur sapendo che ero al sciuro stavo tremando dalla paura.

La luce è ritornata e ogni cosa è svanita come se fosse stato un brutto sogno.

Un giorno d’autunno sono andata nel bosco per cercare funghi, erano le ore quattordici e trenta. Scese il buio. Mi sono persa. Non riuscivo più ad orientarmi. Eravamo: mamma, papà ed io, per fortuna avevamo anche la macchina. Siamo entrati in auto al calduccio, cercando di mettere in moto ma il motore non voleva saperne di partire. ci siamo sdraiati e abbiamo sentito i suoni del bosco come: i canti dei gufi, della civetta, il fruscio del vento, le foglie che si staccavano dall’albero e … Ad un tratto abbiamo sentito i rami scricchiolare e io, mi sono molto spaventata, così ho abbracciato forte mamma e papà.

Pensavamo che si trattasse di un eventuale pericolo, abbiamo guardato ed era soltanto uno scoiattolo che cercava cibo, lo abbiamo guardato, ci voleva fare capire di non arrenderci e trovare la strada per tornare a casa, lo abbiamo fatto ma non ci siamo riusciti, poi ci siamo nuovamente sdraiati in macchina a pensare come fare. Potevamo chiedere aiuto, ma non c’erano case vicino a noi. A un certo punto sentiamo tanto freddo. Ci siamo alzati. Guardiamo i finestrini e uno era un poco aperto. Lo abbiamo chiuso, ma ormai c’era già tanto freddo. Avevamo molta fame e molta sete, per fortuna c’era il termos pieno d’acqua, ma mi accorgo che un piccolo fiore sta peggio di noi, moscio e secco, con l’acqua del termos l’ho innaffiato. Quel fiore era magico ed era anche il re o la regina del bosco, non sapevamo se si trattava di un maschio oppure una femmina perché non faceva nulla per farcelo capire. A un tratto, però si è ripreso e parla, è una femmina, poi ci ringrazia e, per aiutarci dice agli altri animali del bosco di condurci per andare dalla parte opposta del vento. Gli animali ci fecero da guida.

Arrivati a casa abbiamo dato il cibo agli animali e i miei gatti li hanno ringraziati per averci riportati a casa.

Ho voluto fare un dono al fiore e so che anche gli è piaciuto, è stato lui stesso a dirmelo! Per fortuna siamo tornati a casa, sani e salvi e abbiamo potuto mangiare e bere.

E’ stato brutto, si, ma anche molto bello!

Un giorno, alcuni miei amici sono giunti a casa mia e volevamo salire su in soffitto, perché non sapevamo cosa c’era e com’era.

Gli raccontavo che vedevo la mia mamma salire in soffitta e portava i vestiti che non mi andavano più, ma era da qualche anno che non vi saliva più.

Iniziammo a salire le scale che scricchiolavano sotto i nostri piedini, volevamo tornare indietro, però non potevamo mollare proprio in quel momento, così con coraggio continuavamo la nostra ascesa.

Eccoci davanti alla porta della soffitta che era tutta impolverata. Si aprì con un cigolio.

L’interno era assai buio, c’erano ragni e ragnatele di diverse dimensioni. Levavamo le ragnatele con le mani per esplorare tutta la soffitta.

Quasi nell’ultima parte della camera esisteva, nella parete sinistra, una finestrella dalla quale usciva molta luce concentrata che illuminava un angolo del soffitto. Proprio sotto la finestra esisteva un baule pieno, ma pieno di polvere che si vedeva illuminato dalla luce. Lo guardiamo e cerchiamo di aprirlo, però adocchiamo un povero topolino are e ci spaventiamo. Ci giriamo, per accertarci che si trattava solamente di un ratto. Ci tranquillizziamo. Poi troviamo la chiave del baule e lo apriamo.

Un forte vento esce dal baule che chiude la porta della soffitta con un botto, ci mettiamo a gridare forte, poi sentiamo una voce pronunciare: «Hooohuuhaa! Non toccate questo bauleee!» Dallo spavento ci siamo stretti forte e abbiamo gridato. Capii che era il fantasma della mia bisnonna.

Ci siamo messi a correre ma la porta era sbarrata, ci siamo girati verso il fantasma. Qualcuno aprì la porta. Ci siamo rigirati di botto, era mamma e siamo rimasti spaventati ancora di più.

Siamo usciti dalla soffitta e da quel giorno non vi ho messo più piede. Chissà cosa c’era di prezioso in quel baule museo chiudeva alle ore sedici.

Un bel giorno con la scuola siamo andati a visitare un museo.

Siamo partiti dalla nostra scuola che si trova presso il Comune di a Feroleto Antico, siamo ati dalla Cittadina di Pianopoli e dopo un breve tratto di strada vedevamo Lametia Terme dove c’è il museo.

Arrivati al museo, siamo scesi dal pullman.

In fine siamo giunti. C’è un lungo gradino davanti all’ingresso del museo e un’altra scalinata all’interno.

Nell’interno del museo abbiamo visitato moltissime camere espositive. Eravamo solo gruppo un e innanzi a noi c’era anche la guida.

Siamo andati a visitare la prima stanza, quella dei dinosauri e la guida ci ha illustrato molte cose su di loro. La seconda stanza aveva come tema le mummie, nella terza gli uomini primitivi, la quarta sui fossili, la quinta e la sesta sulle civiltà mesopotamiche, la settima sugli egiziani e l’ottava sugli indi e i cinesi. La guida ci ha spiegato ogni particolare e dopo sono arrivare altre due classi. La guida ci ha comunicato che avremmo potuto seguitare a visitare il museo fino al suo orario di chiusura.

In breve il nostro gruppo si è sciolto, siamo rimasti tanto presi dall’entusiasmo e ci siamo dimenticati che il La guida, per errore, ci ha chiuso dentro. Eravamo costretti a are la notte al museo, tanto non ci poteva accadere nulla di brutto.

A mezza notte ci siamo rimangiati ciò che abbiamo detto tra di noi perché: quei sarcofagi si sono aperti, i dinosauri hanno preso vita e così anche le mummie, i fossili… Ci siamo raggruppati e abbracciati dalla paura, anche dall’emozione e dall’ansia di andare via da lì.

Abbiamo trascorso tutta la notte a dormire nascosti anzi, non tutta la notte perché facevamo i turni e stare di guardia, cioè il primo che avrebbe sentito un rumore strano, a noi vicino, avrebbe svegliato tutti. Per fortuna quella notte abbiamo potuto dormire tranquilli.

Il mattino successivo, all’apertura del museo, siamo fuggiti.

L’avventura è stata, per noi, molto brutta, però dal giorno dopo ancora oggi, la ricordiamo come una bella avventura assai emozionante.

Era il giorno di halloween, un gruppo di amici e io, dopo la scuola, volevamo recarci per fare dolcetto e scherzetto nel Castello Spettrale,

Quel castello era stato costruito nel centro del cimitero del villaggio in cima alla collina. Appena uscita da scuola, con i miei compagni, andammo al castello, facemmo una ripida salita e arrivati davanti a quell’entrata, abbiamo detto: “Dolcetto scherzetto?” le porte si aprirono, nessuno aveva mai messo piede il quel castello Spettrale, era veramente spaventoso.

All’esterno era nero, aveva i tetti a punta, finestre storte e per finire si vedeva un’ombra illuminata dai lampi.

Nel suo interno penetrava pochissima luce. Le porte, in continuazione, si aprivano con un spaventoso cigolio e si chiudevano sbattendo, gatti neri facevano avanti e indietro sugli spalti del castello.

C’erano delle formiche rosse. Il cupo suono di un organo ci distraeva.

Siamo saliti dalle scale e abbiamo guardato in ogni stanza per capire chi suonasse l’organo e nulla riuscivamo a vedere, ma c’erano ancora altre camere da visitare. In quella oscura stanza un’ombra con occhi rossi e artigli bianchi, suonava un organo. Siamo scappati a gambe elevate, Milioni di zombi e di vampiri ci inseguiva.

E stato veramente, ma veramente brutto.

La malattia di Bettina

Eccola! sul letto con la febbre Con mamma e papà. E, non mangia neanche un tubo. Quanto rimarrà? Non si sa. Ha voluto anche Willy

Se ne andranno pure quelli I dolori del pancino e, il continuo brutto vomito Li vediamo da vicino Come un gran brutto nemico.

Bettina, poverina s’alza il mattina. Vuole correre ed andare, dai giochi in ospedale.

Vuole uscire presto, presto. Papà e mamma voglion questo.

Si curano di lei; con sacrifico Aspettando giorni di buon auspicio.

Il gattin o

Stamattina strana cosa, è successo un gran disastro. Nel giardino è caduto un vaso e si è fatto in mille pezzi. Colpa di un gattino birichino.

Veramente andò così: il micetto si è incastrato; Povero gatto sfortunato!

È inciampato infortunandosi con i cocci della ciotola. L’ho soccorso e ben curato, molto ingrato poi, fuggì.

La pianta spinosa

Cresco bassa ed anche alta. Sono verde e dolorosa. Faccio fiori variopinti e la gente li ama tanto.

Sono molto misteriosa, anche amica e traditrice Se qualcuno non mi va Moltissimi “hai!” “hai!” Dice, saltellando qua e là.

L’amicizia

L’amicizia è bella, ma un poco ti fa soffrire. E’ dolce come lo zucchero, è amara come il cioccolato.

Può essere fresca o, nascente. E’ dolce e carina. E’ brutta e cattiva.

A volte si litiga, ma poi si fa pace. E’ un po’ complicata, prò è marmellata.

L’amicizia è piena di varie emozioni, per spiegarle tutte occorrono dolci cuori.

La principessa del vento

Sono la principessa del vento, sono perfettamente trasparente, sono la principessa del vento che soffia.

Quando mi arrabbio sono tremenda, sposto le nuvole e le riavvicino. Sono carina e molto furbetta. Se c’è caldo porto dolcezza E regalo a tutti una dolce brezza, sono la principessa del vento!

La pace

La pace è un bene per tutti, come un albero pieno di frutti: bontà, amore, speranza e dolcezza.

La colomba distribuisce pace e mai riposerà finché, la guerra non finirà.

La pace è in ogni luogo: sui rami e sui bei prati, sui fiori, sui giardini, sui monti imbiancati e tra i bambini!

Saltando sulle nuvole, si sparge in tutto il mondo. Pace, pace a tutti quanti E il mondo diventerà felice per tanti!

La festa della mamma

Sono la tua piccolina. Per la tua festa cara mammina Un fiore rosso ti voglio dar. Lo troverai nella scatola d’aprir. L’ho costruita con tanto amore: Per la mia mamma con tutto il cuore.

Sono Fiorella e tu dici: ”Sei la più bella”. Son di sicuro la tua monella. Ti stringo, molto nel cuore rosso, Tanto forte che più non posso.

Con gioia ho aspettato questa tua festa. Ero informata dalla maestra. Eccoti un fiore! Nella mia scuola, l’ho colorato A casa dopo, te l’ho portato.

E’ carnevale

E’ carnevale ogni scherzo vale. Chi si offende non sa accettare i bei giochi che si fanno a carnevale. Parecchi bambini portano i dolcini, li afferrano per gustare. Anche se, poi, stanno male.

Arlecchino, ci regala castagnole da mangiare. È vestito alla laziale, viva, viva il carnevale. Colombina ha già portato; ciambelline da gustar. Arlecchino poverino; non aveva un vestitino. La sua mamma lo cucì, con pezzuole colorate. Non rattoppate ma soltanto ricamate.

Il mondo fu felice e spensierato! Ci divertiamo ad osservare le maschere di carnevale. Pulcinella ed Arlecchino, a carnevale, stan vicino In attesa che il loro carro sfili nel viottolino.

La famiglia

La famiglia è buona e gentile, come la colomba della pace.

La famiglia è la cosa più bella; ti aiuta e nel momento del bisogno e sa starti vicino.

Non dimentica che esisti; con lei ti puoi sempre confidare e vicino le puoi stare. La famiglia è molto importante, chi c’è l’ha è molto felice!

La notte buia

La notte è fonda, buia e oscura, solo una luce la può illuminare.

Luna, la bellissima luna che riflette sul mare.

E’ lucente, ma non abbastanza, perciò le stelle sono pronte ad aiutarla. Ci son, poi le lucciole con il lumino giallo, solo d’estate però la possono accompagnare.

Poesia per mamma mia

In un bel prato con dei fiori c’è una rosa colorata. Tulipani variopinti, Margherite bianche e gialle Ma anche un cuore grande. Grande come il tuo, mamma!

Una torta imbiancata. Luccicante con dei numeri, della data tua di nascita. Sei tu il dolce; la mia mamma!

Tanti auguri di compleanno Da Fiorella tutto l’anno. Nella torta che ti offro. E’ il mio grande amor per te. Auguri! Auguri! Sii felice.

Con amore tanti baci ti darò. Dal piccino e grande cuore. Un abbraccio grosso. Grosso.

Tanti auguri mamma!!!!

Il viaggio

Lontano, mi ritrovo Le bellezze sol sognate! Nei pensieri mi rivedo Quelle cose illuminate.

Le grandezze costruite dagli artisti ormai ati!

Le vacanze son finite

Quelle scene, ormai sfocate!

Indice:

Il paese delle favole

Presentazione

Bettina e Willy

La piccola e il pettirosso

Il gattino disperato

La piccola Marietta

Giannino e l’allodola

Il piccolo Silvino

La principessa e il grillo parlante

Margherita e il folletto

Tre amici del mare

La rosa

Il balbuziente

Quella paura per nulla

Un’avventura nel bosco

Paura in una vecchia soffitta

Una notte al museo

Visita nel castello spettrale

Le poesie di Fiorella Cianflone