Camelot
Titolo originale: “Il Signore di Gordes” © 2013 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu) I edizione cartacea giugno 2013 ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-345-8 I edizione e-book agosto 2013 ISBN edizione e-book: 978-88-6396-376-2 www.giovaneholden.it
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Giulia Donatini www.giovaneholden.it/autori-giuliadonatini.html
I
Una prima impressione
Da ben tre giorni il ragazzo era a cavallo diretto verso la magione del Signore di Gordes. Le gambe erano stanche fino allo stremo e la schiena era ata da un principio di torpore a un doloroso irrigidimento, ma a lui questo non importava. Molte storie si dicevano sul conto del Signore di Gordes. Certo, nessuno era in grado di smentirle o confermarle. Ma di sicuro si dicevano grandi cose su di lui, e non tutte positive. Molte anzi erano stravaganti, grottesche o addirittura terrificanti. Girava voce tra il volgo che tenesse rinchiuso nei sotterranei del suo castello una creatura mostruosa. Aveva corpo di orso, ali di pipistrello (come il maestoso Mefistofele) e testa di leone. Sul capo irsuto aveva sette corna. Si diceva anche che solo lui fosse in grado di cavalcarlo. Lo faceva ogni notte per due ore trafiggendogli il collo irsuto con spilloni d’argento, incitandolo a ribellarsi. Ma la bestia non si era mai ribellata perché lo temeva. Altri dicevano che fosse un eroe; un uccisore di draghi; il più nobile fra i nobili o chissà che cosa. Probabilmente per la sua estrema lontananza era soggetto, molto più di altri Signori della zona, a dicerie e chimere. La sua dimora era tanto ardua da trovare che alcuni pensavano che essa scomparisse col sorgere della luna e che ricomparisse in un altro posto al sorgere del sole. Il ragazzo a cavallo era un messaggero e volle essere così ardito da consegnargli la corrispondenza. Ci mise, come abbiamo detto, tre giorni per trovare il castello, che da più di cento anni era fermo nello stesso posto. Era infossato all’interno di una vasta boscaglia e da lontano non lo si poteva vedere finché non emergevi dal folto e ti si presentava proprio di fronte, a pochi metri di distanza dal tuo naso. Era un’emozione che ti si proponeva in modo del tutto inaspettato; effettivamente all’occhio smarrito del pellegrino poteva sembrare che comparisse dal nulla. I pochi messaggeri o anti casuali che si erano avventurati fino al suo maniero avevano parlato di immense mura, merli che arrivavano a picchi inumani, stendardi e stemmi che toccavano altezze spropositate, contro i quali il verde della foresta si mescolava e riluceva su tutta quella vastità. In realtà il castello non poteva essere certo di dimensioni così gigantesche, altrimenti gli alberi non avrebbero potuto celarne la vista; in ogni caso era notevole. Il messaggero era un ragazzetto di circa quindici anni e credeva a tutte le storie
più fantastiche che si dicevano sul conto del Signore di Gordes. Immaginava di trovarsi un giorno alla sua presenza. Di sostare anche solo per un attimo di fronte a tanta grandiosità. Non gli importava che fosse grandiosità divina o infernale. La grandiosità non ha moralità. Persiste in ogni atto, che sia infame o misericordioso. Che quell’uomo fosse stato San Giorgio o Carlo Magno per lui non aveva importanza. La grandezza è sempre grandezza. Quando mi troverò di fronte a lui, si diceva, coglierò ogni particolare di quell’uomo portentoso. Coglierò ogni piega della sua veste, ogni merletto, ogni stemma e pietra preziosa. Coglierò ogni cosa di lui e allora lo poserò su un piedistallo per poterlo ammirare ogni volta che vorrò! Più pensava a tutto ciò e più cavalcava con vigore incitando il cavallo ad ogni falcata. Correva talmente veloce che gli alberi si fondevano l’uno con l’altro. Non si sarebbe potuto dire se il cavallo batteva gli zoccoli contro la terra o contro il cielo. E più correva più diventava impaziente. Non stava nemmeno seguendo un percorso ora, ma andava alla cieca fra il verde e l’azzurro, come se fossero un’unica cosa indistinta. All’improvviso non vide più alberi. Si sentì smarrito e si fermò con gran violenza, tanto che il cavallo s’impennò, nitrendo spaventato. Il ragazzo per un attimo non capì più dove si trovava, ma quando il cavallo si alzò sulle zampe posteriori lo vide. Vide il maniero del Signore di Gordes. Vi fu un attimo di stasi. Caso volle che il giovane vide il castello nel momento in cui il cavallo era alla sua massima elevazione. Lo vide fra il fragore dei nitriti e l’improvviso innalzamento che gli aveva fatto girare la testa. Il destriero tornò a posare tutte e quattro le zampe. Il ragazzo, colpito dalla magnificenza del maniero, non si accorse nemmeno di essere atterrato. ato qualche secondo di stupore il piccolo messaggero smontò da cavallo. Afferrò il fascio di lettere che doveva consegnare e si incamminò verso il gigantesco portone principale. Le mura sembravano curvarsi sopra di lui ad ogni o, e mentre la foresta avviluppava il castello, il castello avviluppava lui. Respirava pesantemente. Arrivò di fronte alla porta. Era di un magnifico legno intarsiato. Le figure che vi erano riprodotte sopra erano di una tale delicatezza da togliere il fiato; sembravano sgusciare fuori dal loro materiale. Nonostante vi fossero anche mostri leggendari fra donne e uomini, ogni singola figura era di una sublime
eleganza. Erano sovrapposte l’una all’altra, ma senza essere confuse, in un’armonia senza pari. Il ragazzo trovò il coraggio necessario per afferrare il pesantissimo batacchio, poi lo schiantò contro la porta con tutta la forza di cui disponeva (non era eccessiva). Lo fece per tre volte. Naturalmente fu costretto ad aspettare per parecchi minuti. Cominciava ad essere nervoso. Nell’attesa, numerosi pensieri gli baluginavano nella mente; si disse che era stupido pensare che sarebbe venuto lui in persona. Era ovvio che un Signore come quello avesse dei servitori che ritiravano la posta in sua vece. Non era certo tenuto a svolgere quel tipo di mansioni! Finalmente sentì dei i avvicinarsi e farsi sempre più distinti. Il suo cuore non fece neanche in tempo ad aumentare i battiti per l’emozione che la porta venne aperta. Quello che gli stava davanti certamente non era un servo. Era un uomo alto, con spalle larghe. Un certo portamento altero, ma non superbo. Sicuramente degno di un ricco possidente. Se non di un re, secondo l’opinione del ragazzo, che non aveva mai visto un nobile in vita sua. Aveva capelli scuri, a tratti grigi, perfettamente lisciati su una testa dalla fronte larga. Alcuni ricci gli sfioravano le spalle. La mascella era sostenuta, ma il volto era fine ed elegante. Poche rughe, non troppo pronunciate gli solcavano le guance. Aveva occhi scuri e penetranti. Fissò quelli del ragazzo e fu come se li avesse artigliati ai suoi; come un amo che uncinasse la mascella di un pesce, ma il ragazzo non si dibatteva. Si ridusse ad un corpo privo di vita. A una statua di granito. Sapeva che doveva porgergli le lettere, ma temeva di allungare la mano verso di lui, con la sensazione che, se lo avesse fatto, quella magnifica creatura si sarebbe profusa in filamenti vaporosi e sarebbe entrata a far parte di quella schiera di creature armoniose intagliate sul legno della porta. Perché secondo il ragazzo era quello il suo posto. Rimase dunque a guardarlo senza proferire verbo. Ad un tratto la “visione” parlò e la sua voce fu quanto di più sublime il ragazzo avesse mai udito. Era profonda e voluttuosa tanto quanto lo erano i suoi occhi, velati da una certa tela oscura. Mai una voce aveva rispecchiato così perfettamente l’immagine del corpo. In quell’uomo voce e corpo erano inscindibili. Il ragazzo udì la voce, è vero, ma non comprese nemmeno una parola. Così continuò semplicemente a fissarlo. Si sentiva solamente il leggero scricchiolio della pergamena fra le mani tremanti del giovane. Il Signore di Gordes smise di fissare il messaggero e guardò le
lettere. Allungò la mano e non fu difficile togliergliele dalle mani. Le dita del poverino si aprirono come un fiore che apisce in un colpo solo e semplicemente gli scivolarono via. Sui suoi palmi ancora inermi caddero due monete tintinnanti e la porta venne subito richiusa. Quando si rese conto che stava fissando l’anta della porta si guardò le mani e vide la sua paga. Era la normale quota che si doveva ad un messaggero, ma il ragazzo si sentì comunque commosso dalla generosità di quel magnifico Signore. In paese avrebbe raccontato meraviglie su di lui. Si accorse poi con rimpianto di non aver dato nemmeno uno sguardo ai suoi vestiti o ai suoi gioielli, come si era ripromesso di fare, ma si era fissato invece sul suo volto e sulla sua voce ed erano stati quelli solamente a lasciare un’indelebile traccia di lui. Poco male, nel ritratto che avrebbe fatto di lui al villaggio, le vesti se le sarebbe inventate. Quanto alla sua persona avrebbe detto che solo a vederlo qualunque donna sarebbe caduta ai suoi piedi, qualsiasi nemico (saraceno o vichingo che fosse) anche il più terribile avrebbe gettato via spada e scudo alla sola vista di lui. Secondo il ragazzo questo era una certezza inoppugnabile. Che lo sia anche per noi questo ancora non possiamo dirlo.
II
Resistenza
Era l’alba e mezzadri e contadini erano già al lavoro nei campi. Il loro Signore non si era convertito all’aratro in acciaio, più moderno, ma continuava a farli lavorare con quello in legno, il quale non lasciava solchi abbastanza profondi, essendo più leggero, così un contadino aveva il compito di rigirare le zolle non appena l’aratro era ato. Uno dei contadini che svolgeva quel compito era André. In quel momento infatti stava sollevando le zolle con la pala. La piantava e la estraeva rovesciando la terra. Era molto caldo. Sudava e le vesti gli si appiccicavano al corpo. Quel giorno, nonostante avesse appena cominciato, si sentiva già profondamente esausto. La forza sembrava scivolargli via dalle dita
ogni qualvolta doveva divellere la terra. La pala gli era scappata di mano già due volte. Sapeva che si sarebbe dovuto trascinare stancamente per tutto il giorno lavorativo. Era giovane, sensibile, e votato alla poesia. Era abbattuto dalla sua stessa condizione; lo era nel corpo e nell’animo; si definiva un potenziale rivoluzionario. I sogni della sua giovane mente erano nutriti da fantasticherie e sogni di libertà e padronanza di sé stesso. Voleva ispirare e far riflettere con le sue parole; sentiva di essere in grado di risvegliare le coscienze assopite dallo sfruttamento, di rinvigorire gli animi. Non voleva plasmare, voleva far riflettere. Innescare almeno una piccola scintilla di lucidità; soffiare via le polveri dell’indigenza dai cervelli annichiliti dei suoi simili, ottenebrati da un sistema sbagliato che crea classi sociali, non uomini liberi. Che crea uomini che si schiacciano a vicenda per giungere al potere. Il potere era l’unica cosa che contava! Insomma, in breve, questi erano i suoi pensieri. Pensava a tutto questo mentre si trovava alle dipendenze di quello che lui definiva un vile mostro, arroccato nel suo castello, lontano fisicamente e moralmente dal villaggio e dal popolo, per paura che il volgo possa magari contaminare lo sfarzo in cui si trovava a dimorare. Sapeva certo che al proprio Signore si deve ogni cosa, la propria vita e la propria protezione, ma nel petto André non si sentiva bruciare altro che odio e risentimento. Specialmente quando faceva chiamare le donne al lavoro per condurle nelle sue stanze e farne ciò che voleva. Per tentare di distrarsi da simili pensieri di disprezzo e sconforto André si mise ad osservare le donne che raccoglievano bacche nel bosco (in quel periodo era stagione). Era un atempo delizioso per lui tanto quanto lo era per loro. Lui cominciava col guardarle con insistente curiosità e allora si sentivano risolini e chiacchiere sottovoce. Le ragazze cominciavano a civettare segretamente. Ogni tanto fingevano di sistemarsi i lunghi capelli e scostavano le ciocche da un lato, lasciando intravedere la linea nuda del collo (cose simili le donne non le fanno mai senza pensarci). Con la stessa finta noncuranza si sistemavano le pieghe della veste, prima sollevandola un poco, poi ritirandola subito giù, con calcolato pudore. Era davvero un piacevole atempo. André ava così la giornata. Non comportava nessun impegno o pericolo di sorta. Questo, certo, se non si mostrava particolare attenzione per una determinata serva. In merito a questo,
c’era un fatto curioso che aveva sempre colpito tutto il villaggio. Esisteva una donna che il Signore di Gordes veniva a chiamare personalmente. Ancora più paradossale, quando la voleva si dirigeva lui stesso nei campi, a piedi, camminando nel fango fra le zolle. Camminava fra i lavoratori senza rivolgere la parola a nessuno e quando lei lo vedeva smetteva di lavorare e lo seguiva, sempre senza dire nulla. Questo pensiero, quando gli ava per la mente, lo faceva irritare sopra ogni cosa. Tale ostentata volgarità gli faceva crescere dentro una rabbia sorda, incontrollabile, che piantava radici fin dentro il suo nobile cuore. L’arroganza di pretendere che una serva, che lui prediligeva fra le altre, non dovesse essere sfiorata nemmeno con lo sguardo, gli faceva ribollire il sangue. Dover sottostare al capriccio di un simile despota era intollerabile. In più, lui la sfruttava esattamente come faceva con tutte le altre serve, ma lei poteva essere toccata solo da lui. Un capriccio! Nient’altro che un capriccio futile e infantile! Tanto si rabbuiava a volte, che pensava di fare qualche cosa in merito. Qualcosa di coraggioso; addirittura sfrontato! Ma poi non osava andare oltre la fantasia. Non era certo così sciocco da tentare la sorte proprio con lei. Di certo il porco si era scelto la più incantevole fra tutte.
III
La prediletta
Janine osservava le donne civettare coi lavoratori. Non v’era niente di più insopportabile. Soprattutto perché i loro sguardi non cadevano mai su di lei. Almeno non con l’ostentazione con cui gli uomini guardavano tutte le altre. Spesso le capitava di sentire la dolce pressione dello sguardo di un ammiratore mentre era girata di schiena; allora si voltava al fine di ricambiare il suo sguardo, ma appena lo
faceva questo abbassava immediatamente la testa e si concentrava sul suo lavoro. Certo si contentava dell’orgoglio di essere ammirata in segreto, ma dopo tre anni che questo accadeva, dopo tanti sguardi segreti e tanti gesti di indifferenza, non era più disposta a nutrire in un così effimero modo la sua vanità di donna. Non solo si trovava, dunque, ignorata dagli uomini, ma perfino disprezzata dalle donne. Accadeva che, ogni qual volta faceva ritorno dal maniero del Signore, Janine venisse schernita dalle serve che erano al lavoro. La prendevano di mira e la punzecchiavano. Era il loro divertimento favorito; specialmente da una di esse che di nome faceva Marguerite. “La nostra Gran Dama quando torna dal maniero è sempre linda e profumata come una rosa!” “Senti che capelli morbidi!” “E che mani lisce!” “Gliele avrà di certo massaggiate il nostro Signore...” Quel che dicevano in effetti era più che veritiero. Il Signore di Gordes riservava solo alla piccola Janine il privilegio di lavarsi nella sua vasca e di usare ogni unguento ella volesse. La prima volta che le era stata fatta una simile meravigliosa proposta (circa tre anni fa), si era sentita così felice e grata, che per un momento aveva quasi creduto di voler bene all’uomo che le stava di fronte in una veste, si estremamente nobile, ma modesta. Lui a sua volta aveva provato una piacevole sensazione nel vedere un sorriso allargarsi su quel bel volto delicato, così la proposta si ripeteva ogni qualvolta lui aveva bisogno di lei. Certamente lei gli faceva numerosi favori, e poiché nessuno di essi intaccava la sua virtù, a Janine non importava e trovava che non ci fosse nulla di male nel prodigarsi per il proprio Signore in qualsiasi modo lui volesse. In ogni caso vi erano serve che esercitavano favori molto meno dignitosi e in fondo Janine si sentiva davvero privilegiata. Ora, bisogna dire però che le cose erano cambiate. Il Signore di Gordes era cambiato lui stesso. Le serve, sue amiche una volta, non potevano sopportare
oltre i favoritismi che venivano riservati alla piccola Janine. Dalle prime reazioni di sbigottimento e leggera invidia erano ate all’odio viscerale e al disprezzo. Ma del resto Janine pensava che questo avrebbe potuto sopportarlo con facilità se il Signore avesse continuato a trattarla quasi come una sua pari. Sarebbe stata orgogliosa del fatto che un simile nobile signore la prendesse sotto la sua ala e addirittura ammirasse la sua bellezza, come del resto aveva sempre fatto. Purtroppo non fu così. Il Signore di Gordes era mutato in ogni cosa un uomo possa mutare nella sua persona. Il suo atteggiamento rispettoso e gentile con chiunque, era diventato pretenzioso e arrogante. Usava guardare negli occhi e ascoltare con interesse; ora, quando qualcuno gli rivolgeva la parola, il suo sguardo sembrava fissare qualcosa al disopra della testa dell’oratore e se il discorso lo annoiava, semplicemente smetteva di ascoltare. In certi casi se ne andava perfino, lasciando il malcapitato a parlare con se stesso. Era un uomo di compagnia una volta ed era un piacere intrattenersi con lui in qualunque occasione; ora usciva molto raramente. Si interessava vistosamente della politica del suo tempo e prendeva parte a numerose discussioni con i nobili più in vista; ora era come apatico e privo di qualunque principio e ideale. Era un uomo privo di interessi. Ma vi era altro di ben più sconvolgente. Il suo stesso corpo aveva subito metamorfosi inquietanti. I suoi occhi vispi e allegri si erano come infossati all’interno del cranio, lasciando intorno ad essi due ampi aloni di ombra. Il colore stesso delle iridi aveva perso ogni luce, si era opacizzato. Ora più che azzurri, parevano grigi. Le labbra erano esangui e sempre contratte. Benché non uscisse mai, la pelle si era paradossalmente inscurita. Il cambiamento più evidente aveva colpito le sue belle mani. Un tempo apparivano bianche e lisce; i suoi polpastrelli usavano avere un tocco morbido e carezzevole. Ora le dita erano ingombre di anelli ricchi di gemme. Le mani erano scure come tutto il resto del corpo. La bella linea del palmo e la forma affusolata delle dita che terminavano nelle rotondità delicate delle falangi erano mutate anch’esse. La forma dell’arto naturalmente era la stessa e non mancava nel complesso di una certa armonia, ma le nocche erano più evidenti, il polso più forte, e le punte delle dita più acuminate, perché più acuminate erano le unghie. Quelle mani erano più adatte a stringere che a carezzare, a colpire più che a sfiorare. Simili cambiamenti avvengono in un essere umano nelle avversità di tutta una
vita. Il fatto incredibile era che nel Signore di Gordes questo era avvenuto nel giro di soli tre anni. Era degenerato nella mente e nel corpo ad una velocità impensabile. Janine naturalmente non era in grado di notare tutti questi particolari. Era una ragazza semplice, se vogliamo dotata di quella ingenuità caratteristica di un cuore che non conosce quella parte di malvagità insita in ognuno di noi, ma che comincia a conoscere quella insita negli altri. Essendo pura non comprendeva le cattiverie che le venivano inflitte, poteva solo accettarle con la costernata rassegnazione di un’anima che ancora non comprende i macchinamenti della malvagità. Tutto quello che poteva notare era il comportamento che ora il suo Signore aveva con lei. Ora era molto meno intimidito da lei e più disinibito. I primi tempi il Signore di Gordes si era sentito soggiogato dalla sua bellezza, poi aveva acquistato una certa tranquillità. Ora non sentiva niente. La piccola Janine era trattata con freddezza glaciale. Questa freddezza era penetrata così gradualmente nell’animo di lui e nei suoi atteggiamenti verso gli altri, che nessuno se n’era accorto fino al momento in cui era già diventato il suo carattere abituale. Janine non aveva mai chiesto al suo Signore il motivo di questo cambiamento così radicale proprio perché nessuno si era accorto del periodo di transizione di tale cambiamento. L’indifferenza era entrata a poco a poco in lui, talmente impercettibilmente da non accorgersene. La gente oggi si fermava a guardarlo e pensava Ma quando è successo? Allora, non sapendo darsi una risposta, decidevano che era sempre stato così. L’offerta del bagno e dei profumi, nonostante tutto, era sempre valida e allettante. Ormai era un rito e un’abitudine, ma le donne che lavoravano con lei la trasformavano in una condanna orribile. Quando tornava pulita e profumata dal castello la tormentavano in tutti i modi possibili per strapparle qualche lacrima. Avrebbe voluto rinunciare a questo suo meraviglioso privilegio, che prima la faceva sentire speciale, ma ora la faceva sentire sola. E lo era. Il suo disagio era tanto forte che appena metteva piede fuori dalla dimora del Signore di Gordes si sentiva mancare al pensiero di dover sopportare anche per quel giorno l’ira e l’invidia delle lavoratrici; si sentiva mancare all’idea di dover per tutto il giorno reprimere le lacrime nella speranza, almeno, di non dar loro una soddisfazione; si sentiva mancare anche all’idea di essere guardata di soppiatto dagli uomini mentre tratteneva in ogni modo le lacrime. Per lei era la
routine. Già dal momento in cui si avvicinava, vedeva le altre scorgerla da lontano e poi le vedeva riunirsi e parlottare fra loro mentre inventavano una nuova cattiveria da propinarle. Era sempre nei loro pensieri. Lo stomaco di Janine si contraeva in spasmi muti e avrebbe dato qualunque cosa pur di non essere stata così sciocca, quel giorno, da essersi messa sul collo qualche goccia di quel profumo che il Signore di Gordes aveva fatto arrivare appositamente per lei da Grasse. Mentre raccoglieva a manciate le bacche rosse che crescevano in quei dintorni, sentiva il peso opprimente delle maldicenze borbottate a mezza voce alle sue spalle. Ogni giorno usava chiedersi se qualcosa sarebbe cambiato nella sua vita e si metteva a fantasticare fino ad essere quasi felice. Ora aveva smesso di farlo.
IV
Tentativo
Claudio. Così si chiamava il Signore di Gordes. Nonostante fossero in Francia nessuno si era mai azzardato a tradurre il suo nome in se. Nessuno dunque lo chiamava Claude, e per ora non verrà chiamato né Claude né Claudio allo scopo di non sminuire la sua autorità. Sentiva il disperato bisogno di fare qualcosa; il tedio lo opprimeva. Era sdraiato sul suo enorme letto a baldacchino completamente vestito, ma scalzo. Tanta era la noia che gli sembrava di sentire la polvere ricoprirlo lentamente. Avrebbe voluto essere seppellito da quella polvere. Il libro che teneva in mano e che tentava di leggere era quanto di più noioso gli fosse mai capitato per le mani. Lo pensò, poi si accorse che aveva pensato lo stesso del libro precedente. E di quello prima ancora.
Non aveva bevuto e non aveva sete; non aveva mangiato e non aveva fame; non aveva dormito e non aveva sonno. Era in un limbo pieno di nulla. A volte arrivava a non sentire la fisicità del suo stesso corpo. La polvere che prima sentiva cadere su di lui ora lo attraversava completamente e si posava sul letto e allora era come se non ci fosse. Come se non ci fosse mai stato. Si alzò dal letto con uno scatto convulso, senza che un particolare pensiero lo avesse colto di sorpresa. Si infilò le prime scarpe che gli capitò di trovare e si diresse verso l’uscita del castello da solo. Mentre camminava per i lunghi e alti corridoi il tacco delle scarpe batteva ripetutamente il o. Quel suono rimbombava contro tutti gli angoli umidi, gli stipiti e i pertugi. Era una cosa che non sopportava. Un servitore lo vide da lontano e gli venne incontro con fare tra l’agitato e il sottomesso. Guardò prima in alto verso il volto del signore, poi in basso, verso il pavimento, e fu allora che si inquietò. Gli parlò chinando leggermente il capo. I suoi vestiti erano piuttosto umili, non così umili come quelli del piccolo messaggero, ma di fronte a quelli del Signore di Gordes naturalmente erano poveri e dimessi proprio come la sua persona. Nonostante ciò, era più istruito di tutti gli altri comuni servi, perché spesso doveva avere a che fare col suo Signore, conversare e discutere con lui. Dunque era istruito perché al Signore di Gordes piaceva parlare con persone che fossero, se non al suo stesso livello, almeno che sapessero intraprendere una conversazione nelle dovute maniere. Ogni tanto gli occhi di Henri (così si chiamava questo servitore) guizzavano preoccupati verso il petto del Signore. Non aveva il coraggio di andare oltre il mento per guardare quei suoi occhi impietosi; non guardarlo affatto però sarebbe stato scortese, dunque gli guardava il petto. “Il mio Signore necessita di qualche cosa?” “No” rispose lui ancora prima che fosse svanito l’eco della sua domanda. Non si era fermato al suo arrivo e non si fermò nemmeno adesso. Seguitò a camminare continuando ad emettere quell’odioso suono martellante coi tacchi delle scarpe. “Posso chiedere verso dove si dirige il Signore...?” “Necessito di una serva.” Il servitore a quella risposta si gettò davanti a lui con fervore e parlò con un tono
di voce più alto, ma sempre rispettoso. Nei numerosi anni ati al suo servizio non era mai riuscito a dissuaderlo dal fare una cosa che si fosse messo in capo di fare, ma non per questo aveva mai smesso di provarci e anche questa volta tentò. “Se il mio Signore necessita di una serva manderò subito a chiamare qualcuno perché la conduca da voi... o potrei andare io personalmente!” “No, ci andrò io.” Di fronte ad una risposta così perentoria Henri capì subito che la serva che voleva andare a prendere era Janine; si fermò e lo lasciò proseguire per qualche o. Quando ebbe pensato a cosa ribattere lo rincorse. Il Signore di Gordes faceva i lunghi e veloci e il servo riusciva a seguirlo solo correndo. Ansimava un poco. “In questo caso se il Signore vuole andare di persona posso consigliare di cambiare le sue scarpe con qualche calzatura più adatta...? Qualcosa di meno delicato magari...” Infatti le calzature di sua Signoria erano rivestite di fine seta damascata e rifinite con dorature di pregiata fattura. “Non è necessario,” rispose e intanto camminava. Questa volta il servo non esitò a rispondere. “Lo dico, mio Signore, perché l’ultima volta è stato molto arduo per mia moglie rimuovere il fango dal tessuto, e, se sua Signoria ben ricorda, è stata punita per non esservi riuscita compiutamente... dunque...” A una tale insinuazione velata di rimprovero (così lui la vide) il Signore di Gordes si arrestò di scatto, compì un mezzo giro sui tacchi e si voltò a guardarlo dritto negli occhi. Henri non poté fare a meno di perdere parte della sua grinta. “Vorresti dire che non dovrei punire una serva che non sa svolgere il suo dovere? Glielo dovrei forse insegnare io come si fa?” Henri divenne pallido, abbassò la testa più che poté e cominciò a balbettare. Fissare quell’uomo negli occhi gli toglieva ogni energia e il suo stesso temperamento, pronto ed energico, risentiva di quello sguardo glaciale e di quella voce perentoria. “Oh... no! No, mio Signore, non intendevo dire questo...
insomma, il fatto è che... è un peccato, perché se ben ricordate quel preciso paio di scarpe non è più tornato allo splendore iniziale... ecco... dico solamente che è un vero peccato che sua Signoria sia costretto a indossare scarpe eccessivamente usurate...” Il fiume delle sue parole si estinse e chinò ancora di più il capo, attendendo tremante la risposta e sperando di non essere punito per la sua sfrontatezza. Vi fu un’istante di silenzio, poi un’esclamazione gioviale e imprevista gli esplose nelle orecchie. “Ottima argomentazione Henri!” Detto questo girò i tacchi e si allontanò. Henri rimase attonito e non seppe che ribattere; lo guardò solamente allontanarsi verso l’uscita, senza naturalmente essersi cambiato le scarpe. Quando la porta fu sbattuta rilassò i muscoli e cercò di smettere di tremare. Tremò anche di rabbia perché probabilmente sua moglie sarebbe stata punita di nuovo e lui, per l’ennesima volta, non aveva potuto fare nulla per impedirlo.
V
Speranze mal riposte
“Hai visto Marie? Il nostro Signore non è ancora venuto a prendere la piccola Janine!” proruppe in tono volutamente alto Marguerite. “È vero! E dire che ormai sta calando la sera...” rispose l’amica stando al gioco. Intervenne un’altra ragazza che voleva aggregarsi: “Che il nostro Signore si sia dimenticato di lei?” Allora Marguerite, spalancando esageratamente occhi e bocca, esclamò: “Oh no, René! Io dico che è impossibile che si dimentichi una bellezza simile!”
Marie allora ribatté: “A parer mio è più probabile che sia stanco. Oggi ha fatto chiamare me, Odette, Isabelle e Angèle. E non è che ci abbia tenute poco... santo cielo! Da dove le prende simili energie?” Allora tutte le ragazze che erano nei dintorni si misero a ridere con simulato pudore. Marie, vedendo ciò, continuò a parlare. “E poi io di certo l’ho fatto stancare notevolmente.” Quella frase generò il trionfo. Tutte cinguettarono di sorpresa, e vergognose si posarono le mani o sulle guance o sulla bocca, senza però arrossire minimamente. L’unica a cui le si erano imporporate le guance era Janine. Marguerite curiosamente non prendeva parte al discorso, invece si puliva le mani dal succo rosso delle bacche sul grembiule candido, strisciando forte per toglierselo da sotto le unghie. Poi cominciò a guardare nella direzione di Janine, che stava a testa china verso il suolo a strappare erbacce, quasi volesse ficcare la testa fra l’erba alta per scomparire il più possibile. I capelli ramati le coprivano il volto. Non dava segno di udirle. Marguerite, non essendo soddisfatta perché Janine la ignorava, marciò verso di lei a grandi i con occhi vitrei. In quel momento quell’andatura non aveva nulla di femminile. Quando fu a un o da lei le disse: “Lo sai come si chiamano quelle donne che ricevono un compenso in cambio di certe prestazioni?” Tutte si ammutolirono, strette nell’ascolto, ma la domanda non ricevette risposta. Le “signore”, se così potevano essere chiamate, pensavano che in quello che faceva la piccola Janine vi fosse qualcosa di immorale. Fare esattamente le stesse cose senza ricevere niente in cambio, e farlo unicamente per dilettare il proprio Signore, invece era ben più che onorevole. Ciò che non volevano accettare, probabilmente, era che Janine non chiedeva nulla in cambio al Signore di Gordes, ma che quei privilegi le venivano offerti spontaneamente, perché lui la prediligeva sopra tutte le altre. Altra cosa che le “signore” non sapevano era che la virtù di Janine non era mai stata intaccata, e lei non si preoccupava certo di farlo sapere perché certamente si sarebbe arrogata maggiori cattiverie. Non poteva fare altro che tacere e restare chiusa nel suo piccolo guscio di risentimento. Tante volte aveva sentito e sopportato quei discorsi, ma ora la solitudine e il disprezzo cominciavano a farsi sentire e a pesare sul suo fragile
corpicino. Era di indole dolce e mansueta e per questo non era mai sfociata nella violenza, ma ora sentiva di star cominciando a cambiare. E questo non le piaceva. Sentiva che doveva fare qualcosa prima dell’inevitabile. Se di lì a poco non fosse successo ciò che mi accingo a raccontare, probabilmente Janine si sarebbe cucita un’armatura d’odio e sarebbe diventata una creatura selvaggia; avrebbe pensato che il mondo era pieno di gente orribile che voleva solo il suo male. Per sua fortuna non fu così. Marguerite si chinò improvvisamente su di lei e le parlò all’orecchio con una tale vena di disprezzo che non poteva che nascondere del risentimento. “Si stancherà di te.” Fu ferma nel parlare, ma non poté tradire una certa insicurezza nel tono. Janine non rispose ma pensò Me lo ripeto ogni giorno.
VI
Temperamento di chi mantiene un’idea
Janine cominciava a pensare Magari oggi non verrà... Da lì a qualche secondo si udì: “Salute mio Signore!” Prima fu una voce, poi due, poi tutte le altre. Uno dopo l’altro i lavoratori facevano con riverenza il loro saluto, gettando in terra gli attrezzi. Lui procedeva imperioso, sprofondando il tacco delle scarpe nel fango, ma questo non mutò la sua perfetta andatura. Non rispondeva ai saluti e non guardava nessuno. Un lavoratore continuava a fare il suo mestiere: rovesciare le zolle, non aveva gettato il suo attrezzo per salutare il padrone. Il suo compagno si alzò da terra e fece la riverenza, poi gli diede un colpo violento sulla spalla, ma il ragazzo non vi fece caso. Il compagno continuò a colpirlo sempre più ansioso. A un tratto i colpi cessarono.
Il Signore di Gordes aveva smesso di camminare e si era fermato di fronte a lui. Benché non guardasse e non rispondesse a nessuno mentre procedeva, non gli era certo sfuggito di notare che qualcuno non si era alzato a fare la riverenza. André lo vide con la coda dell’occhio e suo malgrado dovette alzarsi, togliersi il cappello e salutare. Lo fece senza il minimo slancio. Non riuscì a finire di pronunciare il saluto perché fu come se il sasso che David lanciò al gigante lo avesse colpito. Sentì un gran fragore e cadde. Il Signore di Gordes lo aveva colpito a mano aperta sul lato destro della faccia, rintronandogli l’orecchio, confondendolo e facendolo cadere. Tutti gli altri intorno stavano con la faccia rivolta a terra. Non osavano stare a guardare. “Ne ho abbastanza di te André. La prossima volta che accade una cosa del genere sarà l’ultima.” Proseguì la sua strada senza aggiungere altro. André non poté fare a meno di tremare, benché con tutte le sue forze avrebbe voluto non farlo.
VII
Al o
Il Signore di Gordes si diresse verso il gruppo delle lavoratrici. Appena lo videro tutte insieme si profo in saluti e adulazioni che sfioravano lo stucchevole. “Come siete elegante questa sera mio Signore!” “Un’abbigliamento degno di vostra Signoria! Veramente!” “Che magnificenza!”
Lui non rivolgeva la parola a nessuna di loro né le degnava di un solo sguardo di compiacimento. Nel frattempo Janine, senza proferire verbo, si era alzata e ora si dirigeva verso di lui. Quando gli arrivò davanti fece un piccolo inchino, aggraziato e composto, e allora lui si girò su se stesso e se ne andò mentre lei lo seguiva docilmente. Il Signore di Gordes voleva che tutte le serve, compresa Janine, mantenessero una certa distanza da lui. Circa cinque i. Janine era felice che quella regola valesse anche per lei. Era l’unico momento in cui era trattata come tutte le altre. Mentre camminava a un tratto sentì il piede inciampare in qualcosa e cadde distesa nel fango umido. Prima ancora di capire cosa fosse successo udì un coro di risate alle sue spalle, allora capì e diventò rossa di rabbia. Di certo era inciampata sul piede di Marguerite. Gli occhi le si gonfiarono di lacrime, ma non ne fece cadere nemmeno una. Si alzò senza voltarsi indietro e riprese a camminare verso il Signore di Gordes, che ora era piuttosto lontano. Non si era accorto o forse non voleva accorgersi che era caduta; non gli importava niente e non voleva difenderla. Ormai c’era abituata. Benché fosse la sua prediletta, semplicemente non si curava più di lei. Come non si curava di nessun altro. André, che nel frattempo si era ripreso dallo stordimento, aveva visto tutta la scena. Una grande pena gli salì al cuore. Rimase assorto per qualche istante a pensare. A che cosa il ragazzo pensasse non sta a noi saperlo per ora. Aveva però uno sguardo fermo e risoluto. Gli angoli della bocca gli si torcevano leggermente verso il basso e i pugni erano contratti. Il suo compagno di lavoro, Philippe (quello che lo aveva colpito perché fe la riverenza al Signore di Gordes), che era anche una sorta di fratello maggiore per lui, lo vide e inspiegabilmente rimase atterrito da quello sguardo, se non (non siamo sicuri se dirlo) impaurito.
VIII
L’indecisione gioca brutti tiri
Janine proseguiva verso il castello. Quando arrivarono al gigantesco portone un servo era lì pronto ad aprire loro la porta. Il servo era Henri. Lo salutò cordialmente e fece un incredibile sforzo perché l’occhio non gli cadesse sulle scarpe ricoperte di fango. Il Signore avrebbe potuto prenderlo di nuovo come un rimprovero e solo una veloce occhiata alle calzature avrebbe potuto irritarlo. Dunque era meglio non guardarle affatto. Poi guardò Janine con un misto di perplessità e disappunto; la veste era ricoperta di fango e lo era anche la punta dei suoi capelli. Janine non poté evitare di arrossire leggermente; le folte ciglia le coprirono gli occhi e proseguì. Appena entrarono i tacchi delle scarpe di lui ricominciarono la loro irritante litania. Fece qualche o, poi si fermò bruscamente e sbatté con forza il piede sul pavimento (se Janine fosse stata proprio dietro di lui gli sarebbe andata a sbattere contro, ma non avvenne perché era distante esattamente cinque i da lui). Quello di lui fu un chiaro gesto di stizza bambinesca. Il Signore di Gordes, malauguratamente, aveva tutte le qualità dell’uomo altero e i capricci egoistici del bambino. Si chinò, si tolse le scarpe e le gettò lontano senza alcun riguardo. Il servo subito si prodigò per andare a raccoglierle. “Ci penso io, mio Signore!” Le prese in mano e le guardò con aria mesta. Quando arrivarono nelle sue stanze finalmente il Signore di Gordes si voltò a guardare Janine. Aggrottò le sopracciglia e tese una mano di fronte a sé. “Che ti è successo?” Janine arrossì per la terza volta e abbassò con vergogna il capo torcendosi le mani. Cercò di balbettare qualcosa, ma lui la interruppe come se non l’avesse udita. Non era interessato a comprendere il suo imbarazzo. “È il caso che ti lavi prima.” A quel prima la ragazza ebbe un fremito. Poi pensò a come sarebbe tornata al lavoro pulita e profumata e divenne di ghiaccio. Alzò la testa e lo guardò allarmata. Doveva dire subito qualcosa. “Mio Signore...! Riguardo questo...” “Ti prego lavati subito perché così non riesco a guardarti.” “Io però... se me lo permettete...” Lui la prese per un braccio stringendolo forte, senza curarsi della delicatezza di Janine. Si sarebbe detto che la piccola avrebbe potuto spezzarsi sotto la forza di
lui. La spinse verso la vasca da bagno. Lui torreggiava sopra di lei. Janine gli arrivava giusto all’ascella. Si sentì molto debole e indifesa vicino a lui e alle sue larghe spalle, allora, come risultato, smise di parlare chiudendosi in un silenzio da sagrestia. Lui la lasciò andare e camminò verso l’uscita. “Sbrigati. Mi annoio da morire oggi.” Janine non aveva il coraggio di ribattere oltre, ma nemmeno la determinazione di entrare in acqua. La vasca era già stata preparata da Marie, la principale governante del castello e lo scoglio su cui Janine si era aggrappata tante volte. In quel momento non c’era perché il Signore di Gordes non voleva che nessuno fosse presente nei dintorni quando arrivava Janine. Si sentì persa. Rimase così, incastrata fra due problemi. Ubbidire o non ubbidire le avrebbero procurato dolore in ogni caso. Da una parte, il dolore fisico che il Signore di Gordes le avrebbe riservato se non fosse entrata in quella vasca, dall’altro subire nuovamente le ingiurie e le umiliazioni delle sue compagne. Nel mostrargli una simile colossale disubbidienza l’avrebbe battuta forte, probabilmente più forte del solito. Una volta nel togliergli il mantello, Janine vi era scivolata sopra, appoggiando il piedino nudo sulla stoffa pregiata. Non l’aveva nemmeno intaccato, ma lui l’aveva battuta con l’elsa della spada. Aveva sanguinato molto quella volta. Chiunque probabilmente avrebbe preferito gli insulti all’essere battuta, ma Janine era talmente nauseata dagli improperi che le compagne le riservavano, che non sapeva veramente cosa scegliere. Rimase fra la porta chiusa e la vasca, girando la testa prima da una parte poi dall’altra. Presa dalla disperazione e dalla fretta che il Signore di Gordes le aveva messo addosso, si accasciò pesantemente a terra (benché fosse leggera come una piuma) aggrappandosi al bordo della vasca. Era bianca, liscia e meravigliosa. Questa volta non se la sarebbe cavata.
IX
Punto di svolta
Il Signore di Gordes si era nuovamente sdraiato sul letto e attendeva. Poi un pensiero gli attraversò la mente. Lui era il Signore di Gordes. Non avrebbe aspettato un bel niente. Era annoiato e voleva essere intrattenuto. Si alzò e si diresse verso la porta. Quando l’aprì vide qualcosa che non si aspettava. Janine era seduta in terra con le gonne aperte a ventaglio intorno alla vita. Sembrava un fiore girato al contrario, col gambo in alto e la corolla in basso. Appena lui entrò, lei lo guardò con due enormi occhi da cerbiatta, spalancati e tremolanti. Lui la fissava, ma era anche confuso. Janine, non sapendo come togliersi d’impaccio, si mise una mano sulla bocca, come se avesse detto qualcosa che non doveva, e così rimase aspettando la sua sorte. “Che significa?” chiese lui. La voce era l’incipit della folgore; lei se ne rese conto e non riuscì a rispondere. Il Signore di Gordes non era uomo solito a chiede le cose due volte. Rimase lì e attese una risposta senza ripetere la domanda. Janine era atterrita da quello sguardo fisso e da quel volto immobile. Non lasciava trapelare né interesse né stupore. Niente di niente. Aspettava solamente. Solo la voce aveva lasciato trasparire un’idea del suo stato d’animo. Quando ti fissava, quegli occhi diventavano come palle di vetro, tanto che sembravano tradire il bagliore freddo del cristallo. Era impressionante come in quei momenti si trasformasse in un pupazzo. Janine riuscì finalmente a emettere qualche suono. Prima provò a mentire, come solitamente fanno i bambini per togliersi dai pasticci. “Mio Signore... io... stavo per...” “Avresti già dovuto aver finito. Ti ho detto che mi annoio.” “Io... stavo per entrare in acqua...” D’un tratto fu presa da un improvviso moto di coraggio, e disse la verità. Nemmeno lei riuscì a capire perché lo fece, né come riuscì a farlo; quello che seppe è che avvenne e basta. Sentiva, profonda, la necessità di una svolta. “Mio Signore... non stavo per farlo.” “Cosa?”
“Non avevo intenzione di farlo. Non ne ho tutt’ora.” Sulle loro teste calò un orribile silenzio. “Che vuol dire che non hai intenzione di farlo? Sarebbe che mi disubbidisci deliberatamente?” La voce di lui era ancora piatta, ma lasciava trapelare, se non altro, irritazione per quella conversazione imprevista. Contiamo il fatto che non amava conversare; non era un bravo oratore e non era nei suoi interessi diventarlo. Janine invece, ora che finalmente si era coraggiosamente esposta, era entrata di nuovo nel panico; nel panico di dire la cosa sbagliata. Di dirla nel modo sbagliato e rovinare ogni cosa. Sentì una grande responsabilità cadere su di lei. Come se da ogni parola avesse dipeso il suo destino. A sancire il suo futuro sarebbe stata quella bocca contratta che stava di fronte a lei. Era in un indicibile stato di ansia. “Io... Signore... ecco...” “Smettila di balbettare! Dammi una spiegazione! Sempre se ne esiste una!” Il tuono era esploso. “Sì! Subito... io... Signore...” “E smettila di dire Signore! Parla chiaro!” “Io... scusate... sono confusa...” “Per l’amor del cielo! Dì qualcosa di sensato!” “Io... preferirei non usufruire più dei vostri favori.” Per una volta fu lui a essere confuso. “Come hai detto?” “Non fraintendetemi! Io continuerò a venire qui da voi ogni volta che vorrete, non voglio certo esonerarmi dai miei doveri. Ma preferirei rinunciare ai vostri favori, sebbene mi siano immensamente graditi. Se vorrete sapere il perché di questo sarò pronta a spiegarvelo.”
Era stata cristallina, ma non inopportuna. Aveva saputo mantenere il suo posto, ma aveva espresso bene le sue disposizioni. Ora non rimaneva che attendere una risposta. Era soddisfatta di se stessa e piuttosto fiduciosa. Il Signore di Gordes rimase interdetto. Si puntò i pugni sui fianchi. Li lasciò ricadere. Abbassò lo sguardo. Gli occhi ruotavano sotto le palpebre. Correvano da una parte e dall’altra. Poi sembrò che cominciasse a parlare, ma non lo fece. Aprì la bocca, fece un mezzo sospiro e la richiuse. Janine per la prima volta in vita sua lo vide in difficoltà. Lo vide tradire la sua freddezza abituale e lasciar trapelare qualcosa di simile al turbamento. Janine si aspettava che lui le chiedesse il perché della sua decisione, e quando glielo avrebbe chiesto, lei glielo avrebbe spiegato e magari il suo Signore avrebbe capito. In fondo non era un uomo così irragionevole. Tutto però si basava su quella domanda. Perché Janine? Finalmente lui disse qualcosa. “Tu... vorresti dirmi che rifiuti quello che io, nella mia generosità, ti offro?” Janine rimase pietrificata. Fu come se la gorgone l’avesse guardata dritta negli occhi. Capì che non le avrebbe dato la possibilità di spiegarsi. Che stupida era stata a pensare che si sarebbe interessato del perché. “Non solo sei... la mia prediletta, ma ti tratto diversamente rispetto a tutte le altre. Ti prediligo sotto ogni aspetto. E tu mi ripaghi rifiutandomi?” Fece una pausa. Poi si rese conto di aver formulato male la frase. “Mi ripaghi rifiutando ciò che ti offro?”. Janine tentò ugualmente. Ormai non aveva niente da perdere. “Il mio problema Signore è proprio il fatto che fate differenza fra me e le altre... io... non so se potrete comprendermi...” “Preferisci forse che ti tratti come una serva? O peggio? Vuoi questo?” “Io... Signore... vi sono grata...” Janine si trovò di nuovo in difficoltà. Non aveva pensato che il Signore di Gordes aveva avuto la bontà, durante tutto questo tempo, di non violare la sua virtù. Ora sembrava che lei gli stesse chiedendo di farlo per essere trattata come tutte le altre.
“Perché se proprio ci tieni lo faccio.” Quell’orribile frase le fece raggelare il midollo nelle ossa e rimase lì, con gli occhi serrati dal terrore, simile ad un coniglio che vede il falco volare in cerchio sopra di lui e si immagina di sentire già il suo artiglio nel collo. “Ora non dici niente?” Janine aveva cominciato a respirare più velocemente. Da quel punto di vista non voleva essere trattata come le altre, ma non se la sentiva nemmeno di rifiutarlo. Sentiva che se lo avesse fatto sarebbe accaduto qualcosa di terribile. Continuò a guardarlo aspettando che la scure cadesse sulla sua testa. Lui aprì la bocca per parlare e disse: “Vattene”. Lei rimase lì, stupida, come se non avesse capito. Probabile che non credesse a quello che usciva dalla bocca del Signore di Gordes, il quale cercava in ogni modo di non perdere la pazienza. Vedendo però che lei continuava a rimanere lì, con quell’aria da cerbiatta confusa, perse il controllo. “Mi hai sentito? Vattene! O vuoi che cambi idea, forse?” La voce di lui risuonò tetra e lei uscì dallo stato in cui si trovava come se uscisse da un sogno. Lo guardò in faccia e trasalì. Non lo aveva mai visto in quello stato: le labbra erano livide, digrignava i denti e gli occhi sembravano esplodere e vibrare in un tumulto di braci ardenti. Janine tremava. Per un attimo non riuscì a muovere un muscolo. A un tratto lui scattò in avanti, come se la volesse afferrare. Allora lei con un guizzo si sottrasse alla sua furia. Lui, offuscato dalla rabbia e colto alla sprovvista dalla rapidità di lei, andò a schiantarsi contro il bordo della vasca. L’acqua che vi era dentro vacillò. Intanto Janine scappò verso la porta, lesta come una lepre, mentre lui aveva preso a gridare alle sue spalle. “Vattene! Vai via!” Lei cominciò a correre e non smise finché non arrivò in prossimità del cespuglio da cui stava raccogliendo le bacche. Era un ben lungo tragitto, ma la paura era tale che quasi non si accorse di aver percorso quella lunga distanza. Le donne si erano voltate tutte a guardarla e anche alcuni uomini si erano girati verso di lei. Non aveva ancora smesso di correre che si lasciò cadere a terra. Rimase così per qualche istante. Infine emise un suono simile a un vagito e scoppiò in lacrime.
Si nascose il viso fra le mani, poi cercò di nascondere la testa nel cespuglio che le stava di fronte, quasi come se quello potesse essere il suo unico conforto. Cercava di posarsi su quel cespuglio instabile, che non riusciva a reggerla, ma la faceva sprofondare fra il verde delle foglie, incolpevolmente insensibili al suo dolore. Di lei si vedevano solo le spalle scosse da forti singhiozzi. Le donne ricominciarono lentamente il loro lavoro senza tradire però un certo disagio, dando ogni tanto qualche occhiata come se volessero, ma non potessero, andare a consolarla. Sia quelle che la disprezzavano davvero, sia quelle che si sentivano in dovere di farlo, non poterono nascondere un certo rammarico. Una sorta di orgoglio femminile le attraversava, ma non si lasciarono prendere; cercavano di non guardarla e non sentirla. Alcune ragazze si voltarono verso Marguerite, come se volessero vedere la sua reazione per poi capire come dovevano comportarsi. Lei però mostrava un atteggiamento pensieroso. Se ne stava lì in piedi a fissare il terreno, come assorta in complicate macchinazioni.
X
Sollievo
André era l’unico che ancora non aveva staccato gli occhi dalla povera Janine. Non si può sapere con certezza ciò che il ragazzo pensava in quel momento. Si chiedeva cosa le avesse fatto il Signore di Gordes per ridurla in quello stato? Era possibile. Provava una gran pena per la piccola Janine, rifiutata da tutti? Poteva essere. Si sentiva indignato dal fatto che nessuno le offrisse conforto? Probabile. Quello che sappiamo comunque è che André gettò la vanga a terra, la raggiunse, le fece uscire la testa dal cespuglio e la strinse con cautela fra le braccia. Janine non era interessata a sapere chi fosse la persona misericordiosa che era venuta a darle conforto, solo ne approfittò senza porsi domande, lasciandosi stringere da quelle due braccia sconosciute. Uomo o donna che fosse, non le importava minimamente. Quelle braccia non avevano sesso per lei, erano qualcosa contro cui arenarsi, nelle quali avrebbe potuto anche morire. Continuò a piangere per
qualche minuto, poi, piano piano, il pianto si affievolì. Lui le carezzava la testa e le stringeva le spalle, dondolandola avanti e indietro come si fa con un neonato. Il pianto cessò del tutto, ma lui continuava a cullarla. Janine non aveva mai provato una tale tranquillità; una serenità senza limiti la conquistò. Si sentiva talmente al sicuro che si addormentò.
XI
Rabbia e negazione
Il Signore di Gordes era nelle sue stanze. Era ancora furibondo, ma cominciava a chetarsi lentamente, e lentamente ricominciò a fare pensieri logici. Aveva rotto qualche vaso e qualche cimelio, aveva staccato la spada di un suo valoroso antenato dal muro e l’aveva piantata in una delle fessure del duro pavimento di pietra, ma ora era di nuovo calmo. Dei cinquanta servitori che stavano nel castello nessuno aveva avuto l’ardire di affacciarsi alla porta di camera sua e dire: “Tutto bene, mio Signore?” Probabilmente se qualcuno di loro lo avesse fatto, quel qualcuno avrebbe finito col sostituire il punto del pavimento in cui lui aveva piantato con brutalità la spada. Quando riprese potere sui suoi nervi non aveva in mente che una cosa. Un solo pensiero lampeggiava e scoppiettava nella sua testa, gli infuocava il cervello e non pensava ad altro. Janine aveva detto dovere. Aveva detto che quello che lei faceva per lui era un dovere. Non poteva crederlo possibile. Dovere. Che parola orribile! Non aveva mai pensato che Janine avrebbe potuto definire quello che facevano insieme un dovere. Per lui era un piacere, non un dovere! Perché per lei doveva essere diverso? No. Probabilmente aveva sbagliato a esprimersi. Una misera serva senza istruzione poteva anche sbagliare nel formulare una frase! Lui, che era istruito, che era un Signore, forse non doveva prendere troppo alla lettera le parole di una contadina, che troppo spesso non sapeva nemmeno quello che diceva. Che andava a tentoni per cercare di stare al o col linguaggio alto di
un nobile come lui. Il Signore di Gordes non faceva che ripetersi questo. Incalzava da solo le sue teorie, si autoalimentava del sale della sua vanità e nello stesso tempo faceva e rifaceva nella sua mente un’immagine più ignorante, più volgare, più stupida di Janine. Amplificava la sua ignoranza per rendere più credibile la possibilità che fosse stata lei ad aver sbagliato termine, e non lui ad aver sbagliato a considerare cosa effettivamente provava lei nei suoi confronti. Si rese conto, dopo questa serie di ragionamenti, che era vero che lei non aveva mai espresso un’opinione nei suoi confronti. Ma forse perché semplicemente lui non gliel’aveva mai chiesta. Una serva non è libera di esprimere opinioni personali di nessun genere se, naturalmente, queste non vengono espressamente richieste. All’improvviso il Signore di Gordes arrestò bruscamente il flusso dei suoi pensieri. A lui non doveva importare nulla di quello che una serva pensava di lui. Infatti no, decise così che non gli importava un bel niente.
XII
Preoccupazione di un amico
Philippe si stava sobbarcando anche il lavoro di André. Non gli dispiaceva in fondo. Era forte e riusciva a reggere bene la fatica. Quello che lo inquietava era che André si era spinto davvero oltre quel giorno. Un conto erano tutti i segni di irriverenza che aveva mostrato al Signore di Gordes in quegli anni, ma andare a consolare e abbracciare Janine andava oltre ogni limite pensabile. Era certo che per ora non gli sarebbe accaduto niente, che il Signore di Gordes non sarebbe tornato, molto probabilmente, prima di domattina, ma sentiva che quella storia non sarebbe finita lì. André aveva un alto senso della giustizia e non avrebbe lasciato sola una persona in difficoltà... soprattutto se era una bella ragazza e se corteggiarla avesse fatto andare su tutte le furie il Signore di Gordes, l’essere che André disprezzava di
più sulla faccia della Terra. Lo aveva sempre disprezzato e respinto apertamente, anche se questo gli costava ogni volta severi castighi. Ormai André vi era abituato, come anche il Signore di Gordes, che probabilmente si divertiva ad infliggergli ogni volta nuove punizioni. Ucciderlo sarebbe stato più facile e rapido, ma il divertimento dove stava? Era preferibile di gran lunga punirlo quando nasceva un nuovo motivo (e di motivi ne nascevano sempre). Philippe però aveva la sensazione che il Signore si fosse stancato di André. Ora era come se fosse privo di ogni interesse, e le vecchie e divertenti rivalità che vi erano fra lui e André sembravano non avere più alcuna presa sulla noia che ormai lo inghiottiva. Se davvero si era stancato di lui e lo avesse trovato insieme a Janine, sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta che gli mancava di rispetto.
XIII
Una personalità cambia e porta molte conseguenze
In quei giorni tutti i lavoratori delle terre del Signore di Gordes provavano un’enorme tensione. Un’inquietudine che non poteva fare altro che crescere e consumarsi nella più viva preoccupazione. La tensione era così alta che si rideva poco e si parlava ancora meno. Si lavorava con o quasi felpato e gli occhi di tutti erano rivolti verso terra, quasi non volessero sapere le cose orribili che accadevano intorno a loro. E in effetti era così. Non avevano la minima intenzione di interessarsi a quello che avveniva a un o da loro. E quello che avveniva era terribile. La folgore arrostiva le loro spalle nella speranza di colpire, e il cane da caccia leccava le loro dita nella bramosia di morderle. Che orribile, orribile sciagura per tutti loro! Terribile era il fatto che Janine e André si amassero, ma addirittura spaventoso era che il Signore di Gordes non lo sapesse, che non lo immaginasse neppure, dal momento che i due si amavano in segreto. Tutti i lavoratori tenevano in conto questi fatti e tremavano segretamente. La congiura, una volta svelata, sarebbe di
certo ricaduta anche sulle loro teste. Malgrado tutto, nessuno degli uomini osava dire nulla sul loro conto, tutti avevano imparato a conoscere e ad apprezzare André e nessuno aveva cuore di rovinare l’esistenza di un ragazzo così giovane e in fondo a loro così caro, nemmeno se questo li avesse messi in buona luce. Nemmeno la ragazza meritava una sorte tanto avversa. Se il Signore di Gordes avesse scoperto il fatto, certo non sarebbero stati loro gli informatori. Gli uomini inoltre, per la maggior parte, hanno la naturale tendenza a occuparsi dei loro affari. Non volevano affatto saperne di tutta quella contorta faccenda. Le donne in merito non proferivano verbo nemmeno fra di loro. C’era da aspettarsi un tradimento viste le arpie che regnavano in quel bosco; era prevedibile una soffiata al Signore di Gordes, ma non avvenne niente di tutto ciò. Non vuol dire che l’intenzione non ci fosse, perché c’era eccome. Avvenne questo. Nei primi tempi, quando la notizia cominciò a trapelare, le donne si sentirono euforiche, eccitate e piene di vigore. Avevano una gran voglia di imbastire le loro trame, architettare vendette e scatenare uragani sopra la testa di Janine. Finalmente quella benedetta ragazza si era macchiata di una colpa grande quanto un cataclisma; di un azzardo tanto esorbitante che avrebbe potuto facilmente spalancare le fornaci degli Inferi. Tutte naturalmente, appena saputa la notizia, si volsero a Marguerite con fare anelante, attendendo le istruzioni di un’esperta, di colei che era sempre stata una guida per loro. Erano in un tale stato di trepidazione che subito non capirono le intenzioni di Marguerite. Attesero ancora e infine compresero che Marguerite non aveva intenzioni di alcun genere. Non complottava e non tramava. Semplicemente non era interessata. Lo stupore delle ragazze riuscì a sovrastare la loro delusione. Era da quando la conoscevano che Marguerite non pensava ad altro che a rovinare la piccola Janine; a vederla umiliata, sottomessa e respinta. L’aveva ottenuto infine, e nonostante tutto non le bastava. Voleva di più. Ora che finalmente quel più era arrivato Marguerite pareva rilassata e pacifica come non si era mai vista, come le altre non l’avevano mai conosciuta. Ogni sorta di odio in lei pareva essere scivolato via, sembrava essersi finalmente purgata da tutto quel veleno. Era la pace in Terra. Le accolite stentavano a credervi. Le fecero molte domande, ma tutte andavano bene o male a vuoto. A chi le poneva domande in merito lei rispondeva con tono mellifluo e cordiale, quasi come se un’arpa suonasse nel suo petto. “Povera ragazza... l’abbiamo trattata così male... è ora che anche per lei arrivi un meritato momento di serenità... non vi pare?” A chi puntigliosamente insisteva, Marguerite rispondeva prontamente. “Suvvia, sorelline! Non pensiamoci più. Ormai ha scelto la sua strada. Lasciamogliela
percorrere. Che ci importa in fondo?” Marguerite era ormai diventata una pasta di donna. Il cambiamento era stato così repentino che le altre ragazze per un momento pensarono che fosse diventata pazza. Stentavano a credere che tutto quell’odio ad un tratto si fosse tramutato in bontà e comprensione. Alla scoperta della felicità di Janine sarebbe stato logico che Marguerite prendesse ogni tipo di provvedimento per cercare di togliergliela. Non solo non avvenne, ma faceva di tutto per far si che anche le altre la lasciassero vivere nella più completa serenità. “Lo so che molte volte, praticamente tutte le volte, sono stata io la fautrice delle più spietate crudeltà verso la cara Janine, e me ne dispiace. Ma si è sempre in tempo per cambiare pensiero e fare la cosa giusta quando il momento è propizio.” Comprendendo che ormai il vecchio odio non sarebbe più rifiorito nel seno di Marguerite, le lavoratrici persero via via tutta la loro grinta e anche la loro perfidia, perché questo sentimento, se non è ben radicato nel cuore, una volta che smette di essere spronato, si affievolisce e finisce per morire. Non erano ragazze crudeli di spirito, dunque fu facile per loro lasciare uscire la malvagità dalle loro vite. Tornarono a svolgere le loro mansioni senza più il minimo interesse per Janine, conservando però un pizzico di risentimento nei confronti della loro regina pentita. Essendo dunque questa la situazione, Janine e André vissero nella più totale serenità. Protetti com’erano da quella cupola di discrezione, in nessun modo il Signore di Gordes avrebbe potuto scoprire alcunché riguardo al loro amore. Si sentivano chiusi in una botola, nascosti nell’oscurità del loro segreto, ma radiosi nel fulgore del loro affetto.
XIV
L’inaspettato sconvolge gli animi
Per un lungo periodo il Signore di Gordes non fece chiamare Janine. Il suo orgoglio era malconcio e, nonostante continuasse a ripetersi che non gli
importava, non era disposto a stare alla presenza di una donna che era riuscita a scalfirlo. Aveva intaccato la sua vanità e il suo amor proprio, e lui teneva molto di più a sé stesso che a lei. Janine non lo aveva per niente rifiutato e questo lo rassicurava, ma aveva detto che i loro incontri erano un dovere. Il dovere è un obbligo. E un obbligo non è un piacere. Ogni giorno quel pensiero girava e rigirava nel suo cervello. Quel pensiero aveva la forma di un tarlo e un tarlo quando scava nel legno forma sempre nuovi cunicoli e labirinti. Già infinite volte si era imposto di svagarsi, di pensare ad altro, ma era come se sbattesse continuamente contro degli spigoli. Proprio nel momento in cui un altro pensiero si formava nella sua mente e cominciava a rilassarsi, era come se uno spigolo acuminato lo colpisse forte, senza alcun preavviso, riportandolo nuovamente agli stessi pensieri, ai soliti ragionamenti, alle medesime conclusioni. La sua vanità gli imponeva di fare un o indietro e riconsiderare per la centesima volta i fatti. Lo costringeva a riflettere, a rivalutare. Arrivò a una conclusione. Non aveva altra soluzione che distorcere i fatti. Distorti i fatti il problema era cancellato. Quindi fece finta che lei non avesse mai detto quella parola, che nemmeno gli avesse mai chiesto di privarsi dei suoi favori. Arrivò finanche a cancellare l’intera giornata in cui era avvenuto il fatto. La vanità gli fece compiere quest’impresa. Niente era accaduto; quindi quella sera sarebbe andato a prendere Janine come era solito fare. Il primo contadino che vide in lontananza il Signore di Gordes fu preso da un tale tremito che inizialmente non riuscì ad aprire bocca. Il Signore era tornato per prendere Janine. Era in anticipo rispetto al suo solito orario e di certo quei due ora si trovavano insieme. Era atterrito dallo spavento e la gola gli si strinse. Emettendo un singulto strozzato batté con violenza inaudita la mano sulla schiena del compagno acquattato a fianco a lui. Quest’ultimo, colto alla sprovvista, cascò faccia a terra. Si alzò furioso e prendendolo per il collo della camicia gli gridò sul naso. “Ma che diavolo hai? Sei pazzo?” Quello si limitò a spalancare gli occhi ed emise un flebile sospiro, poi riuscì a voltare la testa verso il Signore di Gordes, che era già più vicino. Il compagno caduto seguì il suo sguardo, sbarrò gli occhi, serrò le labbra in una smorfia e subito lasciò andare l’amico, il quale non si accorse nemmeno di essere libero e rimase nella medesima posizione con la
stessa identica faccia. L’altro, meno stordito di lui, salutò il Signore di Gordes con un tono di voce volutamente alto, in modo da farsi sentire dai contadini e dalle donne che lavoravano più lontano, verso il bosco. La voce arrivò ad alcuni, che, anche se presi dal panico, fecero un rapido aparola e in men che non si dica la voce arrivò ai due amanti. In fretta si separarono e tornarono a svolgere le loro mansioni con tutta la naturalezza che riuscirono a racimolare. Quando il Signore di Gordes arrivò trovò Janine al lavoro a testa china a strappare erbacce. Lui si fermò davanti a lei. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui con simulata sorpresa, poi si mise in piedi e fece per seguirlo, ma lui rimase immobile dov’era. La guardava con quel suo sguardo fisso che riesce a diventare vitreo; quello di cui Janine aveva sempre avuto un’inimmaginabile paura. Sentì che sapeva ogni cosa. L’avrebbe uccisa sotto gli occhi di tutti. Ogni fibra del suo corpo era tesa fino allo spasmo. Contratta fino all’inverosimile. Se l’avessero toccata in quel momento sarebbe parsa sicuramente una statua, tanto era rigida e fredda. Il bel volto era imibile, ma le mani erano annichilite dallo sforzo di essere atrocemente contratte. Cominciò a sudare e ad avere il respiro corto. Lui si bagnò le labbra. Lei a quella visione perse quasi la facoltà della vista. Code di stelle cadenti cominciarono a danzarle di fronte agli occhi in numerosi guizzi scintillanti. Il Signore di Gordes allora disse qualcosa che lei sentì confusamente, ma che comunque riuscì a comprendere. Disse: “Vieni”. Poi si voltò per farsi seguire. Janine non poté fare un o. Divenne pallida e cadde a terra quasi senza produrre rumore, come un mucchio si stracci che vengano lasciati cadere. Lui sentì il rumore e si voltò. Dovette intervenire una ragazza in suo soccorso, perché lui non si mosse di un centimetro. André nel vedere la scena si era alzato in piedi e teneva d’occhio Janine da lontano. Nel vedere che il Signore di Gordes se ne stava lì in piedi a guardarla senza la minima ombra di preoccupazione negli occhi, si sentì montare una rabbia tremenda. Nonostante tutto non si mosse; stava immobile in piedi digrignando i denti. Philippe gli mise una mano sulla spalla con l’intento di tranquillizzarlo. Facendo questo, lo sentì tremare. “Che le prende adesso?” “Deve avere avuto un mancamento, mio Signore... sapete, il caldo... fra qualche
istante dovrebbe riprendersi a parer mio...” disse con voce timorosa la ragazza che l’aveva soccorsa. “Fra qualche istante... dannazione! Fatela venire quando sarà almeno in grado di camminare!” Detto questo se ne andò con irritazione. Quando scomparve alla vista, André si precipitò a raccogliere Janine. Quando arrivò, la ragazza che l’aveva aiutata si scostò per lasciargli spazio. Prima di occuparsi di Janine le rivolse un frettoloso ringraziamento. Lei sorrise e tornò al lavoro. André la teneva in grembo e le tergeva il sudore dalla fronte. Lei poco a poco tornò in sé. Appena aprì gli occhi parlò. “Non mi ha punita... non l’ha fatto!” “No, non l’ha fatto. Però avrei preferito che non fosse più tornato a prenderti,” fece lui con un misto di rammarico e rabbia. “Scherzi? Questo vuol dire che mi ha perdonato! Non mi punirà! Rientrerò nelle sue grazie!” Janine si era messa in ginocchio e voleva rialzarsi, ma lui la bloccò per un braccio e la guardò con occhi furiosi, che nonostante tutto non riuscivano a nascondere una certa disperazione. “Come può interessarti rientrare nelle grazie di quel mostro al quale non importa nulla di te? Al quale non importa nulla di nessuno! Da lui dovresti solo desiderare di essere disprezzata! Così allora non dovrai più sottometterti a lui in un modo così degradante! Non sopporto che tu cerchi in tutti i modi di compiacerlo. Perché diavolo ci tieni così tanto a renderlo felice? Dimmi, perché?” Lei lo guardò con fermezza. “Io voglio fare felice te... ma se non me lo ingrazio non potrei mai sperare un giorno di ottenere la sua benedizione, né potrei mai sperare che ci lasci liberi di unirci in matrimonio...” Fece una pausa. André aveva abbassato la testa. “Perciò è per questo che ora devo andare...” Lui le lasciò andare il braccio. Poi si alzarono in piedi e lui le diede un tenero bacio sulla fronte accarezzandole il volto. Lei gli sorrise e si avviò.
XV
Incipit dell’equivoco
Il Signore di Gordes era arrivato da circa venti minuti al castello, quando Janine arrivò al portone. Normalmente quando vi si dirigeva con lui ci metteva molto meno ad arrivare perché Janine doveva stare al suo o veloce, ma questa volta ebbe tutto il tempo di percorrere quella distanza alla sua velocità. Sapeva dove dirigersi ed entrò nelle stanze di lui scortata da un servitore. Quando arrivò lui non c’era. A riceverla invece c’era Marie, la governante principale della casa e, ricordiamo, anche sua assidua confidente. Era una donna robusta, dalle gote piene, sempre rosse e le cui mani non si fermavano mai. Era incredibilmente forte ed energica a differenza di Janine, che più che altro aveva grazia e delicatezza. Appena Marie la vide la coprì di abbracci e baci, buttandole a un tempo in faccia una lunghissima trafila di esclamazioni euforiche. “Oh figliola benedetta! Pensavo di non rivederti più da queste parti! Vergine santa! Non puoi immaginarti in che condizioni era il padrone dopo la vostra lite! Uh! Era furibondo! Parola mia, mai vista tanta rabbia! Tanta furia! Ha perfino piantato la spada del bisnonno sul pavimento! Sì sì! Te lo giuro! Come vi sia riuscito nessuno sa dirlo. In un simile pavimento di granito! Non sai che fatica abbiamo fatto per levarla da lì, bambina! Perché sai, mica potevamo lasciarla lì così... piantata, dritta come un albero maestro! Tira oggi, tira domani ce l’abbiamo fatta. Eravamo in cinque, pensa! Vergine santissima! Era da un’eternità che non lo si vedeva in simili condizioni. Ma sai com’è... io poi ho sempre pensato che lui avesse un debole per te... dunque certo non poteva tenerti il muso per sempre! Anche se in realtà credo non si sia ancora sbollito del tutto... ma vedrai, il tempo lenisce tutte le ferite. Tornerà tutto normale. E tu piccola, novità? Perché sai... io parlo, parlo...” Janine cercava di non perdersi una parola e fra le risate ad un tratto si sentì presa da una profonda tristezza. Cercava di sorridere per soddisfare Marie, ma non vi riusciva perché gli angoli della bocca continuavano a cadere verso il basso. A quella vista Marie si interruppe. “Che hai fatto bambina?” chiese tutta seria. Janine a quella domanda fatta con tutto l’affetto di una madre, non riuscì più a
trattenersi e scoppiò in lacrime. Rimase lì in piedi coprendosi il volto con le mani, singhiozzando rumorosamente. Non voleva piangere, ma era come se non avesse altra scelta. Marie si avvicinò e cercò di toglierle le mani dal volto, chiedendo cosa la turbasse. Janine non riusciva a parlare così com’era scossa dai singulti. Allora la fece sedere e le strinse le spalle con premura, ma anche con fermezza. Quando le parve che un po’ si fosse calmata, ripeté la domanda. “Scusami, Marie... è che mi sento in gabbia!” “Ma cosa dici, bambina? A che ti riferisci?” “Ho incontrato un uomo Marie... si chiama André... lavora insieme a noi... oh, Signore... non era la cosa giusta da fare, ma l’ho fatta! E adesso io lo amo e lui ama me...” “Figlia mia, ma è meraviglioso! Conosco questo giovanotto! E chi non lo conosce poi? Con tutto il filo da torcere che ha dato al padrone... davvero una canaglia! E non sei contenta?” “Di certo il padrone non ci darà il consenso dopo quello che è accaduto! L’ho fatto infuriare nel momento meno opportuno... povera me! Ma come potevo sapere che poco dopo avrei incontrato un uomo così meraviglioso?” Fra di loro, Marie e Janine, usavano chiamare il Signore di Gordes padrone. “Su cara, in fondo la possibilità non è perduta... vedrai che sarà comprensivo! Su non piangere più!” Ma Janine non poté proprio smettere di disperarsi.
XVI
Quando si origlia dietro una porta
Il Signore di Gordes era impaziente come al solito. Dal momento che aveva deciso di dimenticare il fatto, tutto era tornato esattamente come prima. La sua vanità non solo era nuovamente vigorosa, ma addirittura fulgida. Si sentiva piuttosto bene e non vedeva l’ora che le cose tornassero com’erano prima. Incapace com’era di attendere si diresse verso le sue stanze. La porta era chiusa. Prima di entrare si sistemò gli abiti e mise bene in mostra i polsini di pizzo. Afferrò la maniglia e stava per aprire, quando all’improvviso sentì uno scoppio. All’inizio gli parve uno scoppio di risa, ma poi si rese conto che qualcuno era scoppiato in lacrime. I singulti erano inequivocabilmente quelli di un pianto disperato. La voce era quella di Janine che si trovava nella stanza con la governante. Il Signore di Gordes non era avvezzo ad origliare, ma nel sentire le prime parole della loro conversazione venne invaso dalla stessa curiosità che prende i bambini e che gli fa compiere atti non proprio onorevoli. Quel giorno insomma il Signore di Gordes fu preso da una irriverente, sfacciata curiosità. Allora tolse la mano dalla maniglia e rimase ad ascoltare con l’orecchio quasi attaccato alla detta porta. Cercava di darsi un tono. Si mise le mani dietro la schiena e allargò le spalle, ma per quanto la sua figura potesse essere maestosa, l’atto che stava compiendo ne sviliva in certa parte la grazia. Non aveva scarpe, quindi non si preoccupava che le donne all’interno potessero aver udito i suoi i. In tutta tranquillità dunque si mise ad ascoltare. Questo fu quello che udì. “Dunque ti sei innamorata! Parlami piuttosto di questo... basta con le lacrime!” “Non riesco a essere speranzosa, Marie! Di sicuro non acconsentirà! È impossibile! Povera me, come farò se non potrò stare con lui nel modo che desidero?” “Non è ancora detta l’ultima parola, bambina... non farti prendere dallo sconforto!” “Io lo amo, Marie. Ma non ho il coraggio...” “...Di dirlo a lui?”
“Sì.” “Vedrai che ce la farai... in fondo cosa pensi che possa succedere se glielo dici?” “Che non acconsenta! Che si rifiuti! E in fondo sarebbe più che comprensibile! Non potrei sopportarlo se accadesse!” Ci fu una pausa. Janine parlò in tono sognante. “È un uomo così generoso e affascinante... è stato così buono con me, non posso certo ignorarlo. E dire che prima non avevo mai notato tutte le sue qualità...” “È una cosa bellissima, cara. E devi fare di tutto perché possiate unirvi. Certo sarà estremamente difficile... ma tutto può essere! E poi hai ragione, una nobiltà d’animo tale in un uomo di quel tipo è cosa estremamente rara. E se provassi a lasciar fare a lui il o che ti spaventa tanto?” “Oh no! Questo no! Impossibile! E poi non lo farebbe mai.” Janine sapeva bene che la cosa peggiore sarebbe stata lasciare che André chiedesse il permesso del matrimonio. Sarebbe stata la fine. Con l’eterna rivalità che vi era fra quei due sarebbe stata una strage. In più André si sarebbe grandemente rifiutato. Lui addirittura avrebbe voluto fuggire. Così, senza chiedere nemmeno il permesso. Sarebbe stata un’imperdonabile pazzia. “Allora non c’è altra soluzione. Raccogli tutto il coraggio che puoi e digli tutto.” “Mi disprezzerà! Riderà di me! Oh Marie, ne sono certa!” “Se nemmeno ci provi non potrai mai saperlo!” Janine si chiuse in un silenzio meditativo. Dopo qualche minuto parlò. “Va bene. Parlerò col padrone. Non c’è altra soluzione.” “Brava, cara. È la cosa giusta da fare. Non puoi frenare a questo modo i tuoi sentimenti. Non per sempre. Forza, ora ti preparo il bagno.” “Oggi ho strappato le erbacce... ho le mani tutte doloranti.” Dopodiché seguì una conversazione del tutto normale sulla loro giornata lavorativa, ma il Signore di Gordes non rimase ad ascoltare oltre. Camminò con i lenti e andò a sedersi sul suo letto. Aveva il volto arrossato e le mani gli tremavano leggermente. Il respiro era pesante. Rimase lì seduto per un buon
quarto d’ora. Infine si schiaffeggiò la fronte umida di sudore e spalancò gli occhi con atterrimento; come poche volte li aveva spalancati in vita sua. Improvvisamente scattò in piedi come una furia e con destrezza singolare andò a chiudere a chiave la porta di camera sua. La serratura scattò. Si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si sentì al sicuro.
XVII
Trarre conclusioni affrettate
Questa è la conclusione che il Signore di Gordes trasse dalla conversazione appena udita. La ragazza mi ama. Questo è indubbio. La poverina è stata colpita da un fascino che esercito spontaneamente. In fondo avrei dovuto aspettarmelo. Sapeva di essere la mia prediletta e nel suo piccolo cuore ha conservato la speranza che anche io l’amassi. È ovvio! Povera cara... deve aver sofferto molto nel vedere che io mi servivo anche di tutte le altre donne indistintamente. Evidentemente ora non è più disposta a tollerarlo. Non è più in grado di rimanere nel pio silenzio servile. Ha bisogno di rivelarmi ciò che prova. Vuole farmi capire che ora è una donna, non una serva qualunque. Certo, lei non è mai stata una serva qualunque per me, ma di certo non posso sposarla! È un’assurdità! Bisogna che la poverina accetti tutto il mio affetto sincero, ma che si accontenti solamente di quello. Non posso certo darle di più. Lavorando tutta la vita nei miei terreni e non conoscendo altro che degli zotici zappaterra è più che naturale che sia stata inevitabilmente attratta da un uomo che scansava ogni viltà e rozzezza e che incarnava se non altro la nobiltà e la grandezza del nostro tempo. È stata investita dalla mia persona e non ha potuto fare altro che amarmi. Ora naturalmente ha paura di rivelarmi una tale enormità. Penserà che io la rifiuti o che la derida. A rifiutarla certamente sarò costretto, ma non la deriderò. In fondo devo capire quello che prova, devo se non altro essere comprensivo, magnanimo. Non voglio urtare i suoi sentimenti con troppa crudeltà. Dirò che la
comprendo e che accetto i suoi sentimenti, non potrei avere cuore di rifiutarli. E che farò quanto mi è possibile, nei limiti della decenza, per non deluderla. Comprenderà da sola che il matrimonio fra me e lei va oltre ogni limite. Spero non rimanga troppo scossa, povera cara... Fatta questa riflessione, si sentì più rilassato. L’iniziale agitazione era scomparsa e aveva lasciato posto ad un dolce compiacimento. La lusinga aveva talmente intenerito la sua anima dura che anche i lineamenti parvero ingentiliti e le pupille gli si dilatarono dalla commozione per aver scoperto come gli altri nobilmente lo consideravano. Se prima si era fatto delle domande sulla sua persona e sul suo temperamento, ora non aveva più dubbi. Era nobile, giusto e affascinante. Un modello di virtù che era riuscito ad attrarre l’ammirazione di un cuore delicato e puro come quello di Janine. Si alzò dal letto in tutta calma. Udì Marie che usciva dalla stanza, lasciando Janine da sola, dunque andò ad aprire la porta e uscì dalle sue stanze. Nel momento in cui stava per afferrare la maniglia, la porta venne spalancata.
XVIII
Quando non si conosce
l’argomento di cui si parla
Janine si ritrovò faccia a faccia con la sua preoccupazione. Vedendo il Signore di Gordes, impettito proprio di fronte a lei, così senza preavviso, emise una specie di cinguettio spaventato. Poi appena si fu ripresa, si allontanò macchinalmente da lui, non solo per rispettare le dovute distanze, ma anche per vederlo bene in faccia. Ma poi, una volta che si fu allontanata, non ebbe il coraggio di guardarlo. Chinò la testa e parlò come se parlasse al pavimento.
“Signore io... devo dirvi una cosa molto importante. Avrete la bontà di ascoltarmi?” “Certamente, Janine...” Janine rimase stordita da quella risposta. Non l’aveva mai chiamata per nome. Allora alzò la testa per guardarlo in faccia e il cuore le palpitò in gola. Il suo volto era trasfigurato. La fronte era rilassata, gli occhi ben aperti e la bocca si era espansa in uno strano e spaventoso sorriso. Attendeva con estremo interesse la sua richiesta, chinando leggermente il capo da un lato. Janine fu talmente inorridita da quella visione che emise un flebile sospiro e rimase lì in piedi a fissarlo con sguardo tremolante. Lui nel frattempo continuava a stare di fronte a lei con quella faccia che non sembrava la sua. Era come se qualcos’altro avesse preso possesso della sua anima, riuscendo anche a sfigurare orrendamente i tratti del suo viso. Una strana e sinistra luce si spandeva nei suoi occhi. Janine deglutì. Cercò di parlare, ma non vi riuscì. Il Signore di Gordes non era affatto impaziente, nonostante ciò disse qualcosa per incoraggiarla a parlare. “Forza Janine, ti ascolto...” A sentirgli pronunciare per la seconda volta il suo nome, Janine non si poté trattenere ed emise un piccolo strillo. Dopodiché si mise una mano sulla bocca, capendo la sciocchezza che aveva fatto. Lui però sembrò non farvi caso. Continuò a guardarla con indicibile serenità. Lei approfittò di quell’occasione per ricomporsi. “Io mio Signore, avrei una questione urgente che volevo presentarvi. E vorrei una risposta adesso se vi è possibile...” Lui allora prese una sedia intarsiata in legno dorato e vi si sedette. Fece fare lo stesso a lei con una sedia che si trovava alle sue spalle. “Prego. Parla pure liberamente.” “Io Signore... penso che non sia giusto dare freno ai propri sentimenti... dunque,
se voi me lo permetterete, non intendo reprimere i miei...” cercava di prendere il discorso alla lontana, tentando di fargli capire le cose gradualmente, senza nessuna violenza. “Non ti chiederei mai di farlo, purché questo non vada oltre certi limiti.” “Io Signore, penso di rientrare nella legittimità...” “Questo si vedrà. Vai pure avanti.” Quello sguardo curioso e interessato che vedeva negli occhi di lui non incoraggiava affatto Janine, anzi, se è possibile, le metteva in corpo ancora più soggezione. Non aveva mai visto quella faccia in vita sua, dunque non sapeva cosa aspettarsi. Era come se parlasse a un estraneo. Si era programmata il discorso che doveva fare in base a ciò che conosceva di lui e del suo carattere, ma ora che aveva di fronte un uomo completamente diverso, nell’aspetto e nel comportamento, aveva perso la bussola. Improvvisò un approccio diverso. “Io mio Signore, ho una gran paura che voi non accettiate quello che sto per dirvi...” A quelle parole lui decise che non voleva farla penare ulteriormente. Dunque si espose. “Cara la mia Janine, so già quello che mi stai per chiedere...” Janine non capì. La sua bella fronte si aggrottò. “Voi... sapete già...?” “Sì cara, vedi... non vorrei svilire l’immagine che ti sei fatta di me in tutto questo tempo, ma devi sapere che, senza volerlo, ho udito la conversazione che hai avuto poco fa con la governante...” Janine divenne pallida come il più bianco dei sudari. Dunque quello sguardo sornione che si era stampato sulla faccia era lo sguardo di chi ti tiene stretto in pugno, ma prima di finirti vuole divertirsi un po’ con te. Presa dallo sconforto e dallo spavento Janine si gettò in ginocchio ai suoi piedi e torcendosi le mani lo investì con una disperata ultima supplica. “Mio Signore! Vi prego di non punirmi! In fondo io sono venuta a chiedervi il permesso... non siate troppo duro con me! Io ho una tale stima di voi che sarebbe impossibile descriverla! Non voglio recarvi né offesa né danno! Come potrei, dato che siete il mio unico e solo padrone? Siete stato così buono con me ed io
non ho fatto altro che rifiutare ciò che mi offrivate, lo so questo! Ma ora, Signore mio, non potete privarmi di ciò che vi chiedo...io vi rispetto e so che questo probabilmente vi disgusta, ma io non posso...non riesco! Non ce la faccio a frenare ciò che sento! Oh, io vi prego Signore, in nome di tutto ciò che è sacro, non negatemi di stare vicino a colui che amo!” Detto questo scoppiò per la terza volta in lacrime. Davanti a una dichiarazione tanto apionata e piena di disperazione, il Signore di Gordes non se la sentì di respingere la sua richiesta per ora. “Cara Janine, io non ti rifiuto niente, sai?” A quelle parole le lacrime di Janine si arrestarono completamente, e alzando la testa verso di lui, lo guardò con uno stordimento che non si può descrivere. Le mani le tremavano e per fermarle se le premette contro il petto. Sentì i battiti intensi del suo cuore farsi mano a mano più lenti, ma l’emozione era ancora forte e il suo corpicino fremette di stupore. “Comprendo perfettamente i sentimenti che ti hanno spinta a farmi questa supplica. Sono sentimenti del tutto comprensibili, ovvi quasi. Ma non devi disperarti. Non voglio certo farti soffrire. Non ti negherò ciò che ti sta così a cuore. Puoi stare tranquilla.” A sentire simili parole benevoli, il volto di Janine cambiò quasi colore. Divenne raggiante e meraviglioso. Un grande sorriso le si aprì splendente sul volto. Si alzò in piedi e non sapendo dove mettere le mani, continuò a tenerle strette sul petto. “Ma voi non scherzate? Dite sul serio, mio Signore? Accettate veramente tutto questo? Io... non sono in grado di esprimervi la mia riconoscenza! Pregherò ogni giorno per voi, per il vostro benessere e il buon Dio sarà costretto ad ascoltarmi, perché non farò altro che pregare per voi da oggi in poi!” Era doppiamente stupita. Il Signore di Gordes, non solo si stava privando di lei, ma la stava anche mettendo nelle mani di un uomo che lo aveva sempre sfidato e per il quale non aveva il minimo rispetto. Janine si sentì commossa da un gesto così generoso. Era ovvio che faceva questo pensando solamente alla sua felicità e al suo benessere; e in quel momento Janine desiderò con tutta se stessa che anche lui fosse felice. Si sentì invadere da una tale riconoscenza che non poté trattenersi dal compiere un gesto affettuoso; si fece avanti e la sua manina bianca sfiorò quella di lui. Quando vide che lui non opponeva resistenza, la afferrò con vigore e la baciò. Si guardarono e si sorrisero a vicenda. Lei con occhi
traboccanti di riconoscenza; lui con quel sorriso orgoglioso di chi ha scoperto la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua e ne rimane compiaciuto. “Grazie, mio signore!” “Prego cara, prego.”
XIX
Incredulità
Quando Janine tornò al bosco correva, ma era come se danzasse. André stava, come suo solito smuovendo le zolle; se ne stava a testa china e sollevava la terra con scatti rabbiosi. Gli sudava il volto e grosse gocce gli scendevano negli occhi facendoglieli bruciare. Non poteva pensare ad altro che al Signore di Gordes e a lei. Si immaginava Janine che timidamente tentava di porgergli la fatidica richiesta; pensava al volto arcigno e malefico di lui; fantasticava su come avrebbe potuto umiliarla ulteriormente. E naturalmente aveva rifiutato la richiesta. Un’intera vita di lavori forzati al servizio di un uomo vile e malvagio gli ò per un momento davanti agli occhi e un’indicibile senso di impotenza si impadronì di lui. Si sentì privo di ogni spinta; ogni impulso in lui si trasformava in apatia e ogni voglia di ribellione era lentamente portata al degrado. André era un ragazzo di natura ionale e indomita e una vita simile lo avrebbe portato anzitempo alla tomba; il cervello sarebbe vissuto, ma il cuore sarebbe marcito lentamente e avrebbe pulsato solo per inerzia. In un’istante negli occhi di André si vide il potenziale uomo che sarebbe diventato: un uomo triste e indifferente; un vecchio che si trascina lentamente nella fossa senza amarezza e senza serenità; un’animo spezzato dalla schiavitù; uno spirito che era costretto ogni giorno a demolire i propri ideali nel nome di un infame. Sarebbe stato tutto ciò se quel giorno l’equivoco di cui si è appena raccontato non si fosse creato fra Janine e il Signore di Gordes.
Quando lei arrivò dietro di lui, leggera come una piuma, non venne udita. Allora si fece sentire. “André!” Lui si volse immediatamente a guardarla; quello sguardo del futuro era già svanito. Voleva a tutti i costi avere un’espressione di rimprovero, ma quando vide l’abbagliante sorriso di lei non riuscì in nessun modo a stamparsi la durezza sul volto. Subito anche a lui venne da sorridere, ma riuscì a trattenersi mantenendo un’espressione neutra. “Allora? Che è successo?” chiese lui trattenendo la curiosità. Janine allora gli prese le mani e se le strinse al petto. “Ha detto di sì!, che comprende i miei sentimenti e che acconsente!” André rimase immobile per qualche istante, scrutandola come se cercasse di scorgere la menzogna nei suoi occhi. Il sorriso di Janine non si placava, anzi se è possibile si estese ulteriormente. Infine André parlò. “Impossibile.” “Lo pensavo anch’io, André! Ma a quanto pare è un uomo migliore di quanto si potesse credere. Non c’è altra spiegazione. Avresti dovuto vedere la sua espressione com’era diversa! All’inizio mi faceva paura, ma poi ho capito che comprendeva ogni cosa! Mi sembra ancora incredibile!” André rimase terribilmente smarrito nel sentire quelle parole; muoveva gli occhi in tutte le direzioni. “Sei proprio certa di quello che dici? Non è che magari hai frainteso?” “Come potrei avere frainteso? È stato talmente chiaro. Pensi che non abbia capito bene?” “Non dubito di te,” si affrettò a dire André. “Dubito di lui.” “So benissimo cosa pensi di lui, ma non dovresti farti suggestionare così. Potrebbe essere cambiato. Deve aver capito finalmente che non potevo essere di sua esclusiva proprietà per sempre...” “Io ne dubito. O almeno, ne dubitavo. A questo punto, se tu mi dici che ha accettato... che è d’accordo... io non so che dire.” André era sempre più confuso. Era ato dall’odiare un uomo con tutto se stesso, a dover inevitabilmente riconoscere la gratitudine e la generosità di questo stesso uomo. Questi due poli, così opposti, si scontrarono con una tale violenza che André non seppe né cosa
pensare né cosa provare. In realtà non riusciva a capire assolutamente niente di quell’individuo. Aveva sempre sfidato, contraddetto, importunato, messo i bastoni fra le ruote al Signore di Gordes, e ora senza nessuna motivazione questo stesso uomo faceva a lui, André, il più grande regalo che avesse potuto ricevere. Gli offriva una vita diversa, nuova. Era incomprensibile. Aveva bisogno di tempo per pensare e questo fu anche quello che disse a Janine. Lei lo accettò. Entrambi si diedero del tempo per riflettere, poi il giorno seguente sarebbero andati insieme dal Signore di Gordes per esprimergli tutta la loro immensa, sfavillante gratitudine.
XX
Ripensamento misto ad altro
André cominciava lentamente a ricredersi sul Signore di Gordes. In fondo non poteva fare altro. Davanti a lui si profilava la lunghissima lista di affronti e battaglie che avevano caratterizzato la loro vita e desiderava che quella lista non fosse mai esistita. Era il loro signore e padrone e aveva tutti i diritti di fare quello che voleva con le donne del villaggio, compresa Janine, se lo desiderava. Ora che però lei aveva fatto la richiesta di sposare un altro uomo, lui si era messo dignitosamente da parte. Questo dimostrava che il Signore di Gordes non era quello che sembrava; che non era un essere inumano e che era in grado di discernere fra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Era perfino riuscito a sopportare l’idea che Janine avesse scelto proprio lui. Il suo eterno rivale! Questo aveva dell’incredibile. Forse si era reso conto che quando ci si trova davanti all’amore, bisogna accettarlo e rispettarlo. A un tratto però André fu preso anche da altri sentimenti. Sentimenti che contrastavano con la gratitudine. André fra le altre cose era anche curioso di mettersi di fronte a lui insieme a Janine, solo per il gusto di vedere la sua faccia. Era impossibile che la cosa non lo urtasse nemmeno un po’... probabilmente si era trattenuto per apparire dignitoso, ma André sentiva che la richiesta di Janine
lo aveva urtato oltre ogni dire. Lo conosceva abbastanza da sapere che era così. André era contento per il matrimonio e contento anche perché finalmente otteneva la sua rivincita. Avrebbe tolto al Signore di Gordes la sua serva prediletta e gliel’avrebbe tolta per sempre. Questo pensiero cominciò piano a montare dentro di lui e allora si sentì veramente euforico. Sentì crescere in sé l’animo del giustiziere. Dopo tante fantasie, infine lo era diventato. La cosa lo entusiasmava immensamente. Ogni fibra del suo corpo fremeva sotto le convulsioni dell’esaltazione. Finalmente l’umile servo della gleba prendeva la sua rivincita sul nobile e potente Signore. Il povero rubava al ricco con totale legittimità. Se in quel momento fosse più euforico per la sua rivincita che per il matrimonio questo non ci è dato saperlo. Forse lo era per entrambe le cose. Quello che era certo è che non si era mai sentito così bene in vita sua!
XXI
Idealizzare
Janine idealizzava nella sua mente un essere perfetto e quell’essere perfetto era il Signore di Gordes. Dal momento in cui aveva dato il consenso al matrimonio fra lei e André tutti i suoi difetti si erano magicamente dissolti; erano perduti per sempre. Le contusioni, le ammaccature, le abrasioni che lui non aveva esitato a procurarle per ogni piccola inezia, erano state sanate dal dolce nettare dell’adulazione. Ora tutto ciò che vedeva di lui erano la nobiltà sociale associata alla nobiltà di spirito. La maestà della sua anima eguagliava addirittura la maestà della sua persona e la generosità e la bontà camminavano al suo seguito facendogli continue riverenze. Janine non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così disponibile e comprensivo. Il Signore di Gordes era molte cose in paese e, nonostante fossero solo voci che viaggiavano nei dintorni, non per questo erano prive di una certa veridicità. Poteva essere uno stregone, un dongiovanni, un satiro malefico, a Janine non importava. Poteva avere strane bestie nascoste nel suo castello, non la toccava. La fantasia popolare era quella
che era, ognuno raccontava quello che preferiva sentire. L’immaginazione viaggiava verso quell’immenso castello sperduto nei boschi e verso il suo misterioso ed enigmatico proprietario. Per tornare alla realtà (sempre se vogliamo che una realtà univoca ci sia), il Signore di Gordes aveva poche qualità positive. Dal momento della sua metamorfosi, di cui si è parlato inizialmente, non ne aveva più nessuna di qualità positiva. Si era ritirato dalla società ed era stato facile grazie alla posizione del suo maniero. L’eremita scatena spesso su di sé le maldicenze di coloro che vogliono e sono in grado vivere in società. Ogni cosa si dicesse sul suo conto, per Janine lui era la luce. Un esempio di magnificenza splendida e gaudiosa. Un David vittorioso che si è fatto della stazza di Golia. Janine credeva di aver ben chiaro nella mente ciò che provava per quell’uomo e per ora non venne delusa.
XXII
Ritorno alle origini
La notizia del fidanzamento ormai aveva fatto il giro del paese e, naturalmente, tutti i lavoratori del manso ne erano a conoscenza. Le donne che un tempo disprezzavano Janine, ora la idolatravano. Non essendo più soggette alla guida di Marguerite, tutte loro (anche quelle che parevano fra le più perfide) si erano completamente chetate. Ora sembrava che l’unica occupazione di Marguerite, oltre il lavoro, fosse far si che Janine stesse bene sotto ogni punto di vista. Era il giorno in cui Janine e André sarebbero andati insieme dal loro Signore per avere la conferma del consenso al loro matrimonio. Marguerite, insieme alle altre ragazze, aiutava Janine a prepararsi per l’occasione. La pettinarono e l’abbigliarono con gran gusto. Marguerite era su una nuvola, quasi come se fosse lei a doversi sposare. Mentre pettinava i bei capelli di Janine, cantava fra sé con la voce melodiosa di una sirena. Quando vi fu bisogno che qualcuno prestasse a Janine una sottoveste, Marguerite fu la più lesta nel togliersi la sua. Questo comportamento lasciava di stucco Janine, ma accettò le cose come le si
presentavano, senza porsi domande. Abituata com’era alle malelingue, non perdeva tempo a chiedersi il perché di un atteggiamento cortese, ma semplicemente lo accettava con gioia, senza alcuna traccia di risentimento. Accettò l’imprevista amicizia di Marguerite con tutto il buonumore che aveva ulteriormente addolcito la sua anima in quei giorni. A questo punto è forse il caso di svelare il perché del comportamento enigmatico di Marguerite. Del perché a un tratto la notizia del fidanzamento l’aveva resa così incredibilmente felice. Marguerite era innamorata del Signore di Gordes. E lo era da così tanto tempo ormai che non ricordava un momento, anche molto breve, in cui lui non fosse stato presente nella sua vita. Prima ancora dell’arrivo di Janine, quando era solo una bambina (circa undici anni), era stata chiamata per la prima volta dal Signore di Gordes. All’epoca era ancora molto giovane e la metamorfosi non lo aveva ancora colpito rendendolo quello che era adesso. La piccola Marguerite se n’era innamorata con la facilità con cui si innamorano le anime pure. Il suo meraviglioso aspetto e le sue buone qualità avevano abbagliato i suoi occhi chiari di bimba. Anche se ormai adesso si rendeva conto che quelle qualità appartenevano al ato, non per questo Marguerite aveva smesso di amarlo. Il fascino era rimasto impresso splendente sul suo volto e nonostante mostrasse chiaramente di aver perso tutti i nobili ideali che aveva un tempo, Marguerite continuava a vedere in lui l’uomo del quale si era innamorata perdutamente. Prima della venuta di Janine, fra lei e il Signore di Gordes si era instaurato un profondo legame (per quello che vedeva Marguerite coi suoi occhi innocenti e pieni di adorazione) che l’aveva totalmente conquistata. La realtà era che il Signore di Gordes amava lei tanto quanto amava le altre donne che lavoravano le sue terre. Quindi si poteva anche dire che non ne amava nessuna. Ma quando arrivò Janine le cose cambiarono. Apparsa lei, tutte le altre erano state offuscate dal suo splendore, allo stesso modo in cui le stelle scompaiono quando la folgore infiamma tutto il cielo, tanto che il cielo stesso sembra un’enorme, gigantesca stella. Quando poi si scoprì che il Signore di Gordes ne aveva fatto la sua prediletta, Marguerite cadde nella più viva disperazione. Cercò con ogni mezzo di attirare l’attenzione su di sé, ma invano. Era stato da allora che Marguerite aveva cominciato ad odiare Janine e, con le sue capacità oratorie aveva portato tutte le altre a odiare la sfortunata. Fu così che Janine venne emarginata. Il cuore infranto di Marguerite aveva ordito questa crudele vendetta della cui esistenza il
Signore di Gordes non sapeva niente, ma che senza volerlo aveva contribuito alla sua emarginazione, dando l’ordine che nessun uomo si avvicinasse a lei. Marguerite era ferita del fatto che lui fosse geloso di lei fino a questo punto, ma soddisfatta perché aveva accentuato la punizione di Janine. Col tempo si era rassegnata all’evidenza, ma il risentimento che aveva dentro era tale da indurla a detestare la prediletta. Torniamo al tempo in cui la storia prende una piega diversa. Quando fra i lavoratori si era saputo che Janine e André si amavano Marguerite, comprensibilmente, gioì alla notizia. Ora aveva la certezza che almeno lei non lo amava. Non era molto, ma era già qualcosa e in parte si sentiva felice. Quando poi seppe che il Signore di Gordes aveva intenzione di acconsentire alla richiesta, il cuore di Marguerite ebbe un tuffo. L’odio e il risentimento, che per tutto questo tempo avevano gravato sul suo petto trafitto dal dolore, si dissolsero e Janine si era trasformata ai suoi occhi in una creatura deliziosa. Ebbe un po’ di tempo per conoscerla e vide che era gentile e affabile e, inoltre, amava un uomo che non era il Signore di Gordes. Ma cosa ancora più meravigliosa era che lui non amava lei. Liberatasi dai sentimenti maligni che l’avevano dominata per tutti questi anni, Marguerite divenne una ragazza dolce e a modo. Allegra e sempre disponibile, insomma tornò a essere quello che era prima della venuta di Janine. Finalmente era il giorno in cui il Signore di Gordes avrebbe dato ufficialmente il suo consenso. Marguerite, come si è detto, si occupò di rendere la futura sposa incantevole. Fece un ottimo lavoro e lo fece con tutta la sua buona volontà. Le intrecciò i capelli in una lunga treccia e sistemò delle margherite sul suo capo. Le altre le fasciarono la vita con un laccio e le sistemarono la sottoveste. Era una visione talmente angelica che gli uomini non poterono non osservarla e le donne non poterono trattenere un senso di orgoglio per come l’avevano agghindata. Quando fu il momento di avviarsi verso il maniero, tutti fecero i loro saluti. Philippe salutò André con affetto, ma anche con leggera preoccupazione. Nonostante André si fosse premunito di dirgli che non correva alcun pericolo, Philippe non riusciva a mascherare l’ansietà che provava. Marguerite e le altre fecero il seguito a Janine per un breve tratto cinguettando come fringuelli impazziti, poi si fermarono e dopo qualche istante tornarono al lavoro. La coppia si dirigeva verso il castello soddisfatta degli auguri che le erano stati rivolti. Nonostante Marguerite stesse estirpando ortiche dal terreno, non poteva fare a meno di canticchiare una vecchia e allegra romanza.
XXIII
Inconvenienti di svelare un equivoco
Il Signore di Gordes era tutto intento a sistemarsi i polsini della camicia, quando il servitore, Henri, bussò alla porta della sua stanza ed entrò. “Mio Signore, c’è qualcuno per voi. Faccio entrare?” Lui fece un cenno col capo e Henri fece entrare. Il Signore di Gordes si voltò e vide Janine, che quel giorno era splendida. Pensò con grande orgoglio che era degna di lui. Di certo era venuta per una risposta definitiva. In fondo gli dispiaceva dover rifiutare i suoi sentimenti e infrangere il suo piccolo cuore, ma non poteva fare altro. Fece per salutarla con un gran sorriso, ma immediatamente dopo di lei vide entrare André, che aveva una faccia allegra e soddisfatta da non dirsi. Il sorriso appena accennato del Signore di Gordes si spense del tutto e il suo volto ridiventò cupo come sempre. Quell’aria impertinente lo irritava fino all’inverosimile, ma si trattenne. Senza pensare al perché quei due si trovassero lì insieme, parlò. “Salve André. Siete forse venuto per qualche altra noiosa rimostranza? Vi dico subito che niente di quello che direte o di cui mi accete potrà in alcun modo toccarmi, dato l’ottimo umore di cui dispongo ultimamente.” André lo apostrofò con lo stesso sorriso con cui era entrato e gli rispose osando uno sguardo beffardo. “Nessuna rimostranza mio Signore! Volevo solo assicurarmi che ciò che ho saputo è vero. Mi riferisco alla vostra decisione. Sapete, mi avete alquanto stupito. Invero all’inizio non ci credevo, per cui ora sono venuto a verificare coi miei occhi. E se deciderete quello che spero, mi prostrerò ai vostri piedi e facendovi la riverenza me ne andrò per la mia strada.” Il Signore di Gordes di tutta risposta lo ignorò completamente e si rivolse a
Janine. “Che diavolo ci fa qui costui?” Janine per un attimo parve perplessa. “Beh... lo sapete mio Signore. L’affare di cui vi ho parlato. Ricordate?” Ora fu la volta del Signore di Gordes di apparire perplesso. Cadde un silenzio pesante. Lui la fissava rabbuiato senza dire una parola. Janine allora specificò. “Ricordate che avevate dato il vostro consenso? Che comprendevate i miei sentimenti... e che avete detto di sì?” “Certo che ricordo la conversazione che abbiamo avuto! Ma non vedo cosa c’entri lui in tutto questo,” ribatté lui spazientito. André sembrava confuso e perplesso tanto quanto Janine, e anche se non capiva cosa stava accadendo non poté fare a meno di trovare la cosa divertente. Lei che con pazienza cercava di rammentargli il fatto e lui che cercava di darsi un tono nonostante non stesse capendo nulla di ciò che accadeva intorno a lui. “Signore... io non capisco cosa vogliate dire,” disse lei fra lo spaventato e lo sfinito. “Come sarebbe non capisci? Ti sto chiedendo lui cosa c’entra in tutto questo!” Janine cominciò a temere che il Signore di Gordes non avesse capito un bel niente. Nonostante ciò continuò pazientemente a imbeccarlo. “Signore, voi avete origliato fin dall’inizio la mia conversazione con la governante, giusto?” “Non lo so, immagino di sì. Perché mi chiedi questo? E perché diamine stai ridendo, tu?” André infatti non era riuscito a trattenersi e si era messo a ridere sommessamente cercando di non farsi vedere, ma non vi era riuscito. Data anche la forte tensione, il riso era doppiamente irrefrenabile. Cercò di darsi un contegno poi decise di esporre l’equivoco. “Scusate mio Signore! Ma io credo che voi abbiate frainteso qualche cosa del discorso che Janine vi ha fatto. Siamo venuti per chiederle se ci avrebbe dato la
libertà di sposarci.” Il Signore di Gordes rimase di pietra. Poi senza alcun preavviso che potesse far pensare ad una manifestazione violenta, colpì André dritto in faccia facendolo cadere. “Che assurdità sono queste? Se non fossi di umore così magnanimo ti farei impiccare seduta stante! E ora mi vuoi dire Janine che diavolo sta succedendo? Cos’é questa messa in scena? Hai forse deciso di morire?” Janine non si era nemmeno gettata su André per aiutarlo a rialzarsi. Era talmente atterrita da ciò che stava accadendo che non riuscì a muovere un muscolo. Il Signore di Gordes aveva frainteso ogni cosa. Non ci poteva credere. Tutte le illusioni che si era fatta sul suo conto divennero cenere. Ormai non vi era speranza di riuscita; andavano entrambi verso la catastrofe. Cominciò a tremare dalla testa ai piedi e agitava le mani nel tentativo di dire qualcosa. “Io, mio Signore... credevo che aveste capito... cioè... no! Sono io che ho frainteso... mi sono spiegata male!” “Spiegata male? Vorresti farmi credere che hai intenzione di sposare questo miserabile?” Janine non ebbe la forza di rispondere a parole; fece solo un cenno col capo e rimase immobile con le mani giunte. Finalmente il Signore di Gordes comprese che quello che gli stavano dicendo quei due era vero. Allora impallidì, poi si voltò dando le spalle ad entrambi; lei in piedi immobilizzata dal terrore, lui sdraiato a terra che cercava di riprendersi dallo stordimento. Pensò all’orgoglio che aveva provato sentendosi fare quella confessione, pensò a come si era sentito nobile e maestoso, talmente immenso di fronte alle misere moltitudini di schiavi che strisciavano ai suoi piedi, pensò a come aveva ritenuto perfettamente normale e legittimo che una bella ragazza come Janine potesse innamorarsi di lui, pensò a come in quei giorni si fosse posto su un piedistallo, al disopra di tutti, irraggiungibile e magnifico, pensò a tutto ciò e rise di se stesso. Le guance gli si arrossarono di rabbia e vergogna. Aveva fatto di tutto per non vedere la realtà; di certo l’equivoco che si era creato non lo aveva aiutato a vedere le cose com’erano, ma intorno a lui tutto avrebbe potuto fargli risalire alla mente dei dubbi, dubbi che però erano stati offuscati dalla vanità opprimente che regnava sulla sua anima. Doveva fare subito qualcosa per non perdere del tutto la
faccia, qualcosa che lo riscattasse, e lo fece senza esitare. Si voltò verso André che si era appena rialzato e digrignando i denti gli corse in contro. Con furia indicibile, prese il malcapitato alla gola e cominciò a stringere. André, molto più giovane e debole di lui e, in più, colto alla sprovvista, si ritrovò subito soggiogato da quella tenaglia che gli ghermiva il collo in una morsa ferrea. Il Signore di Gordes aveva gli occhi iniettati di sangue e il volto si era trasformato in una maschera orribile, poi mosse le labbra, ma più che parlare André lo sentì sibilare. “Te lo giuro André. Questa volta non ne esci.” I pollici di lui strinsero ulteriormente la gola del ragazzo che ora agonizzava sdraiato al suolo; le unghie, nella furia di stritolare, gli penetrarono nel collo. Con le mani André cercava di colpirgli il volto, ma le braccia erano già molto deboli e non sortivano il minimo effetto. Cominciavano a manifestarsi le avvisaglie dello svenimento quando si levò un grido. Il Signore di Gordes si voltò e vide Janine che con le sue piccole mani brandiva un’enorme spada che era più alta di lei, ma non la teneva dalla parte dell’elsa. Teneva le mani strette intorno alla lama in modo che la punta della spada premesse sulla sua stessa gola. Il sangue cominciava a scorrere lungo il filo e i tagli nelle mani si facevano più profondi, ma lei non mollava la presa. “Claudio! Giuro che se lui muore mi uccido. Così almeno avrai anche me sulla coscienza.” Nel sentire il suo nome pronunciato da lei così improvvisamente il Signore di Gordes ebbe un fremito strano. Allentò leggermente la presa ma non mollò. André riusci comunque a inspirare una leggera boccata di ossigeno. Lui la guardò con aria di sfida. “Credi che mi importi se lo fai?” “Anche se non ti importa lo faccio lo stesso. Non ho niente da perdere a questo punto.” Detto questo due lacrime cristalline le scesero lungo le guance e il volto le si arrossò come non mai. Lui la guardò. Nel vedere il bel volto di lei così disperato e contratto dal dolore, sapendo che ne era lui la causa, si sentì d’un
tratto il più miserabile degli uomini. La forza gli scivolò dalle dita e senza quasi accorgersene lasciò libero André, che subito si ritrasse tossendo convulsamente. Allora anche lei mollò la presa sulla spada e lanciando un grido di contentezza e dolore si strinse le mani sanguinanti l’una con l’altra. Il Signore di Gordes si alzò da terra e sembrò che fosse invecchiato di dieci anni in un istante. Rimaneva fermo in piedi e si premeva i pugni chiusi sulla testa sospirando pesantemente. In un attimo riprese il controllo di sé; si raddrizzò cercando di rassettarsi ma aveva il volto provato e le rughe si erano evidenziate, segnando le profonde occhiaie scure che aveva sotto gli occhi. Le dita gli tremavano per lo sforzo compiuto. “Andatevene via. E badate bene di non farvi più rivedere.” Aveva la voce rauca, quasi come fosse stato lui, e non André, a essere stato quasi strangolato. André non se lo fece ripetere due volte e rizzandosi in piedi andò il più velocemente possibile a sollevare Janine dal pavimento. “Muoviti Janine. Alzati. Fai presto.” Lui la incitava, ma lei era come una bambola di pezza. Fu costretto a tirarla su con la forza, poi la prese per un braccio e la trascinò via. Lei continuò a fissarlo finché non si trovarono fuori dalla stanza. Claudio si mise a guardare fuori dalla finestra. La foschia scendeva lenta sugli alberi. Vide la coppia incamminarsi verso il folto del bosco. Presto sparirono inghiottiti dalle nuvole basse.
XXIV
Inversione dei ruoli
Era ato un anno dagli avvenimenti appena raccontati. Marguerite in quel periodo aveva fatto di tutto per rientrare nelle grazie del suo idolo, e in un certo senso vi riuscì. Divenne, diciamo, la sostituta di Janine. Claudio però non le
riservava gli stessi privilegi. L’unica cosa che faceva era chiamarla tutti i giorni per essere intrattenuto. Marguerite era felice così. Anche se non aveva ricevuto privilegi speciali, comunque Claudio aveva dimostrato di averla presa in considerazione più delle altre. Questo la rendeva euforica. Ogni giorno la poverina cercava di instaurare una conversazione con lui, ma i tentativi, per quanto ingegnosi, erano del tutto vani. Il volto di Claudio aveva perso quella sua aria altera. La severità era rimasta, ma l’orgoglio e la vanità erano scomparsi dal suo viso come dalla sua persona. Naturalmente si curava ancora nell’abbigliarsi, dal momento che era un nobile, ma le sue vesti avevano perso in sfarzo e avevano acquistato in eleganza (quest’ultima di carattere meno borioso e più modesto). Aveva imparato a leggere i libri e a non annoiarsi di ciò che leggeva. Istruito da trattati e romanzi, imparò molto sull’animo umano. Divenne un po’ più sensibile, ora riusciva a comprendere le reazioni umane e imparò ad avere più tatto. Parlava meno e rifletteva di più. Non diventò un signore magnanimo e benevolo, ma se non altro migliorò la sua condotta. Era sempre un padrone inflessibile, ma divenne del tutto sopportabile stare ai suoi servigi. Dalla crudeltà ò alla durezza. Per i suoi servitori e la sua gente questo fu quasi un miracolo. Marguerite era la donna più felice del mondo ora che era entrata nelle sue grazie. Non aveva, naturalmente, mai più riacquistato il carattere crudele che aveva all’epoca di Janine. Era dolce e amabile con tutti. Con Claudio poi era quasi stucchevole. Quando lui la chiamava non lo lasciava un attimo solo e si profondeva in mille moine e ancora mille attenzioni. Claudio in tutta risposta la trattava come tutte le altre, come del resto aveva sempre fatto. Abbiamo detto, sì che aveva acquistato tatto, ma questo non vuol dire che avesse la sensibilità per riuscire a comprendere i sentimenti tumultuosi di cui Marguerite era preda. Notava un comportamento strano in lei, ma lo trovava solo assillante e a tratti fastidioso. Non si chiedeva da cosa fosse dato; diciamo che non lo sospettava neppure. Altra cosa che non sapeva era che Margherite aveva intenzione, quando fosse stato il momento adatto, di rivelare al Signore di Gordes i suoi sentimenti. Sapeva che sarebbe stata rifiutata, ma confidava nella speranza di essere trattata con più riguardo e tenerezza dopo la confessione. La notte in cui Marguerite prese la decisione di fare questo, avvenne qualcosa di inatteso. Pioveva copiosamente. Qualche tuono si accendeva e si spegneva in lontananza infiammando il cielo. Claudio cercava di leggere un libro, ma le pagine si impregnavano di umidità. Decise di chiuderlo e riporlo per far sì che non si
rovinasse. Fatto quel gesto si ricordò di non aver ordinato ai servitori di mettere al riparo i cavalli nella scuderia. Dovevano essere terrorizzati dai tuoni. Si alzò dalla sedia su cui stava e, invece di chiamare i servitori, decise di farlo da solo. Aveva già mandato in pausa i servi e in più era molto affezionato i suoi cavalli, dunque decise che quella sera stava a lui metterli al riparo. Si vestì di tutto punto e si diresse a grandi i verso il portone principale. Lo aprì e, nella fretta di raggiungere le bestie impaurite, inciampò in qualcosa che gli stava proprio davanti, cadendo rovinosamente. Si alzò in piedi tutto ricoperto di fango. Credette di essere incespicato in un masso. “Che stupido.” “Mio Signore!” Era una voce di donna e fu come se squarciasse l’aria. Si voltò e alle sue spalle vide una figura incappucciata, tutta infradiciata di pioggia. “Chi sei?” La ragazza si calò il cappuccio sulle spalle senza far caso alla pioggia. “Janine?” “Mio Signore... devo parlarvi.” Rimase immobile solo un istante a guardarla. La ragazza aveva il volto stravolto da non si sa quali pensieri. Pareva essere ata attraverso un tornado che ne aveva come sconvolto le fattezze. Claudio notò che aveva acquistato un’aria più adulta e una nuova, diversa bellezza. Claudio ritornò all’interno del castello e lei lo seguì. Lui chiuse il portone per non far entrare la pioggia poi si voltò di nuovo a guardarla. Janine allora notò la quantità di fango che aveva addosso. “Mi dispiace! Vi ho fatto sporcare tutto...” “Lascia perdere. Che significa? Cosa ci fai qui?” Poi aggiunse: “Sola.” Lei, che lo stava guardando, distolse improvvisamente lo sguardo; si torse le mani e infine si coprì il volto coi palmi scoppiando in lacrime. Lui proseguì. “Quando vi dissi di non farvi più vedere intendevo tutti e due, e la cosa non cambia se venite separati.” A quelle parole la ragazza si gettò letteralmente ai suoi piedi. Claudio, nel vedere quel gesto, si ricordò di quando l’aveva implorato di lasciarle sposare André. Si ricordò dell’equivoco in cui era incappato all’epoca e trattenne un moto
d’imbarazzo. “Signore io so bene quello che diceste quel giorno, ma sono venuta qui per implorare il vostro perdono. André non era la persona che credevo. Non voleva sposarmi perché mi amava, ma solo perché voleva togliermi a voi. Era ossessionato da voi, dalla vostra persona. Non pensava ad altro che alla vendetta nei vostri confronti! Appena ce ne andammo cominciò a dirmi quanto era contento che voi ne foste uscito ferito e umiliato, e questo lo divertiva. Pensavo fosse solo l’entusiasmo iniziale, ma poi non faceva altro che parlare di voi, sempre solo di voi. Voleva solo ferirvi, togliervi la cosa che vi interessava di più! Io non riuscivo più a sopportare quei discorsi, anche perché non li condividevo. Io ero uscita dal vostro castello ferita tanto quanto voi. Io Signore, non pretendo che ora vogliate riavermi come prima, ma se la mia vicenda vi ha mosso anche solo un po’ di pietà, vi prego di non abbandonarmi. Ci ho messo tre giorni di cammino per arrivare qui. Ridatemi almeno il mio lavoro nel bosco insieme alle altre. Lavorerò duro. Non pretenderò nessun favore da voi. Ho sentito che siete cambiato, che siete più magnanimo. Se davvero è così, io vi supplico di avere pietà di me! Quello che ho fatto è imperdonabile, lo so. Ma se me ne darete l’opportunità saprò riscattarmi. E vi giuro che mai più farò un tale affronto alla vostra persona finché la mia anima vagherà su questa terra.” Claudio a quella dichiarazione rimase di pietra; la pietà non riuscì a smuovere nemmeno un capello della sua testa. La guardava imperturbabile mentre lei giungeva le mani posando la fronte al suolo. Rimasero così per qualche istante. A un tratto Claudio sbatté forte il tacco sul pavimento per attrarre l’attenzione di Janine. Quel silenzio pesante, scacciato con tanta violenza, la fece sobbalzare; scattò rizzandosi in ginocchio e lo guardò con tutta la benevolenza e l’ammirazione di cui era disposta. “Vattene via per favore.” Janine trattenne rumorosamente il respiro, quasi come se soffocasse e gli occhi le si riempirono di lacrime. “Mio Signore, vi supplico! Non mi abbandonate! Io ho abbandonato voi, è vero! Ma l’uomo nella sua vita è fatto per commettere degli errori! E gli errori vengono fatti dagli stolti come me e poi perdonati dall’immensa pietà che muove i cuori dei più nobili che regnano su noi miserabili! E voi di certo siete uno di quelli! So che lo siete! Vi prego, se io mi dono completamente a voi non potete
rifiutarmelo!” “Tu mi hai fatto un’enorme affronto, Janine. Capisci che non potrò mai più avere fiducia in te.” A quelle parole Janine impallidì. Andò carponi ad afferrare la veste di Claudio; tentò di dire qualcosa, ma non aveva il fiato per parlare. Svenne distesa sul pavimento. Claudio stette qualche momento a rimirarla, poi mosso da una certa comione per quella povera creatura che gli era caduta ai piedi, chiamò la governante. Dovette chiamarla parecchie volte, ma alla fine arrivò. Il tono di Claudio era placido e la governante arrivò con la stessa placidità. Quando poi vide che a terra era deposto qualcuno si fece più inquieta. “Mettila da qualche parte, per favore.” Quando Marie le scoprì il volto emise un gridolino strozzato. Riconobbe Janine e pensò immediatamente che il Signore di Gordes l’avesse uccisa in preda alla furia di averla vista fare ritorno al castello. Ricordava bene il sangue che aveva dovuto lavare il giorno in cui Janine se n’era andata ed ebbe un fremito. “Mio Signore! Lei è...!” Ma non riuscì a finire la frase. Lo guardava con occhi sbarrati dal terrore. “Sì, è lei. È svenuta. Fai qualche cosa.” Nel sentire che la piccola era solamente svenuta, Marie diede un enorme sospiro. “Oh, Gesù mio! E io che mi credevo... Uh! Che sciocca che sono. Certo, è svenuta la poverina! Sarà stata forse l’emozione di rivedervi... ma come mai si trova qui, mio Signo...” Marie si voltò per rivolgergli la domanda, ma il Signore di Gordes era già sparito fra gli anfratti del castello.
XXV
Si traggono nuove conclusioni
Rifletté a lungo e profondamente su ciò che doveva fare. Il ritorno di Janine era, naturalmente, l’ultima cosa che Claudio si aspettasse. Li aveva visti talmente determinati il giorno in cui se n’erano andati, così uniti e infinitamente innamorati. E invece quel bamboccio disobbediente l’aveva ingannata. Che maledetto sporco vigliacco doveva essere per approfittarsi dei sentimenti di una giovane donna così gentile e delicata! Dallo stomaco gli salì un profondo disgusto per quell’uomo vile che aveva osato giocare coi sentimenti di una simile, dolce creatura. Senza quasi accorgersene, la durezza che aveva provato per Janine si dissolse e tutta la crudeltà che aveva nel cuore venne caricata sulle spalle di quel miserabile uomo. Volle ricordare ogni particolare di quel giorno e gli tornò alla mente il sorrisetto irritante che André si era stampato sulla faccia. Quello sguardo sfrontato che si burlava apertamente di lui. Solo ora, ricordandosi dopo un anno il suo volto, si rese conto che quel giorno André si era preso gioco di lui. Non solo di lui, ma anche di Janine. Non fu Claudio quel giorno a essere il carnefice, né André e Janine furono le vittime innocenti della sua ira. I ruoli si erano bruscamente invertiti e Claudio riusciva a vedere le cose sotto un’ottica differente. Per la prima volta in vita sua si sentì una vittima. Aveva tratto le conclusioni talmente in fretta che ebbe un moto di nausea. Fece un respiro profondo e decise di rifiutarsi di essere una vittima. Era una parte che non gli piaceva affatto; si sentiva adatto nel ruolo del padrone, del carnefice, del despota e gli piaceva esserlo. Non aveva alcuna intenzione di cambiare le cose. Decise questo: alla fine di tutto lui aveva riavuto ciò che era suo. André forse gliel’aveva portata via per qualche tempo, ma ora Janine era tornata a essere sua e sapeva che lo sarebbe stata per sempre. Questo bastò in parte a ridargli il buonumore.
XXVI
Il padrone decide
Janine si risvegliò poco dopo. Marie era lì con lei e appena la vide le buttò le braccia al collo. “Marie! Pensavo che non ti avrei mai più rivista! Come sono felice! Ma il padrone non mi fa restare. Mi addolorerà doverti lasciare di nuovo, non sai quanto!” Detto questo, le scapparono due lacrime. Marie però la guardò con aria divertita. “Oh! Figlia mia, ma non c’è mica bisogno che ti disperi così, sai? Il padrone ha deciso che puoi restare.” A quelle parole Janine saltò in piedi e un bel colore tornò a imporporarle le guance. “Ma cosa dici? È vero Marie? È proprio vero? Non posso crederci! Ma com’è che ha cambiato idea? Lo sai?” “Ma no che non lo so! Non l’ha spiegato certo a me! Ti pare, sciocchina? Comunque che ti importa? Il risultato è che torni a lavorare per lui!” “Oh, Marie! Non l’avrei mai creduto possibile. Sembrava talmente determinato! L’importante è che mi abbia perdonata. Sono contenta!” “Ma, figlia mia, mi spieghi cosa è successo al tuo bel fidanzato? Sembravate così innamorati... avete azzardato una follia simile col padrone... e poi? Cosa ti ha fatto cambiare idea?” Gli occhi di Janine, brillanti qualche secondo prima, si erano d’un tratto spenti come due fiaccole a una folata di vento gelido. “Preferisco non parlarne ora. Ho le idee confuse.” Marie non volle insistere ulteriormente. Quello sguardo spento e quelle parole, pronunciate con tanta mestizia, le avevano messo addosso una strana inquietudine.
XXVII
Non tutti accolgono una notizia di buon grado
La routine era ricominciata da capo. Era ato qualche giorno (non importa quanti esattamente) da quando Marguerite era di nuovo stata sostituita dalla sua vecchia rivale. È il caso di raccontare come Marguerite sia venuta a sapere del ritorno di Janine. Dire che non se lo aspettava minimamente è dir poco. La sua anima leggera e fresca non era intaccata dal più piccolo problema. I suoi pensieri volavano felici al giorno in cui avrebbe rivelato il suo amore al Signore di Gordes. Non aveva altro per la mente. Aveva programmato il giorno e il momento più opportuno per rivelarsi; si era preparata il discorso e ogni cosa era sistemata. Era al lavoro con le altre donne e, immersa com’era nei suoi lieti pensieri, non si rese conto di quello che stava accadendo alle sue spalle. Si era formato poco lontano dal bosco un capannello di ragazze e tutte quante si stringevano intorno a un unico punto. Vociavano allegre ed erano piacevolmente stupefatte. Volavano molte domande nell’aria, e chi le avesse udite avrebbe sicuramente capito che la persona a cui venivano rivolte era Janine; di certo lo avrebbe capito anche Marguerite, ma quel giorno non sentiva niente e nessuno. I suoi pensieri di letizia non lasciavano nemmeno che la più piccola briciola di realtà esterna penetrasse al suo udito. Era come se svolazzasse sopra le porte dell’Eden, e ne scorgesse già le sorprendenti meraviglie. Qualcuno le toccò bruscamente la spalla chiamandola per nome. Marguerite si voltò e alzò lo sguardo su Angèle, che, vedendo Marguerite ignara della presenza di Janine, volle comunicarle il suo arrivo. “Ma non hai visto chi c’è, Marguerite? Sei proprio distratta oggi!” “Perché, chi c’è?” chiese lei con un sorriso che andava oltre la serenità; toccava quasi la pace paradisiaca. Angèle si fece da parte per farle vedere, e fra la folla Marguerite riuscì a scorgere Janine, la quale gridò un grande saluto ricolmo di gioia e si avvicinò. Marguerite rimase ferma in ginocchio a guardarla dal basso verso l’alto, incredula di ciò che i suoi occhi le facevano vedere. “Come stai, Marguerite?” Janine, che durante il suo periodo di fidanzamento
aveva stretto una sorta di legame con lei, si aspettò di venire accolta con affetto, ma non successe. Marguerite, atterrita da quella vista atroce, per qualche secondo si chiuse in un silenzio di tomba. “Beh? Non mi dici niente?” chiese Janine con un vago sorriso. “Che cosa ci fai qui?” chiese infine lei in tono forse un po’ troppo brusco. Cercò di rimediare. “Sei di aggio?” Questa volta usò un tono più cordiale, sperando che la sua domanda ricevesse una risposta affermativa. “Ah, no! In realtà sono tornata per restare.” “Restare? Ma... che ti sei messa in testa? Il Signore non ti lascerà mai restare!” “Invece lo ha appena fatto. Mi ha perdonato...” Marguerite cercò di giocare l’ultima carta che le era rimasta. “E... André è qui con te?” Janine porse gli occhi altrove. “Ah...no. Lui non c’è. Sono sola.” A quelle parole Marguerite non seppe trattenersi. Fece, mettendosi una mano fra i capelli, un ultimo disperato tentativo di ribattere, di negare ciò che udiva: “No!” gridò come se parlasse con se stessa. Si sentì avvampare e si strinse con più forza i capelli. Janine, credendo si trattasse di dispiacere che provava per la sua vicenda, si prese la briga di risponderle. “Sì... purtroppo le cose non sono andate come speravo... io avrei anche voluto, ma...” Proseguiva nel suo discorso, mentre i pensieri di Marguerite si confondevano in un unico fiotto di magma. Ora che lei era ritornata era ripiombata nella più oscura delle voragini. Le era tornato in corpo il malessere di un tempo. “La bella notizia è che tornerò a lavorare con tutte voi!” disse allegra Janine. Tutte le altre le fecero eco, gioendo per il suo ritorno. D’un tratto si fece riflessiva: “La mia vita è iniziata qui, e ormai temo di
appartenere a questo... posto.” A quel punto Marguerite si alzò in piedi e la guardò con occhi feroci e insieme tristi. “Ho iniziato con l’odiarti e ormai non posso più farne a meno. Devo proseguire nel mio intento.” Janine distolse gli occhi dal vuoto e guardò lei, ma fu come se non avesse ben compreso il senso di quelle parole. “Non sperare di portarmelo via di nuovo.” Detto questo si allontanò. Tutte rimasero atterrite da quel comportamento irrazionale e restarono in piedi attendendo la reazione di Janine, la quale invece era come se si fosse svegliata da un sogno. “Cos’è successo?” chiese, ma nessuna seppe risponderle.
XXVIII
Grazie ad un cespuglio scopriamo dell’altro
Marguerite vagava sola nella zona lavorativa degli uomini. Voleva stare il più lontano possibile dalle donne, visto che ormai Janine era benvoluta. Ora lei era l’unica che non l’apprezzava e, probabilmente il suo comportamento era parso assurdo, ma non le importava. L’unica cosa a cui pensava ora era come fare per rimanere la prediletta del suo Signore ora che lei era tornata. Si scervellava da ore. Doveva fare in modo che lui vedesse Janine per quello che era, una ragazza che voleva prendersi gioco di lui, che voleva disporre di lui ogni qualvolta voleva, che non lo apprezzava veramente. Doveva metterla, insomma, in cattiva luce, per poi attirare l’attenzione su sé stessa. Era quanto di meglio in quel momento riuscisse a macchinare, ancora gonfia com’era dei fumi rabbiosi della disperazione. Cominciò a sentirsi terribilmente abbattuta, annaspava. Cercava di insinuarsi in un rapporto che in fondo non conosceva affatto, che in verità era un mistero per lei. Smise di camminare e cadde seduta dietro un cespuglio. Si sentiva esclusa dalla
vita del suo Signore, e stentava a sopportarlo. La verità era che lui non la prendeva in considerazione, non l’aveva mai considerata in effetti. Erano solo sue fantasie. D’un tratto nacque in lei l’embrionale idea di lasciar perdere ogni cosa. Col tempo avrebbe dimenticato lui e solamente allora sarebbe stata bene. Se lasciava perdere tutto ora, forse sarebbe riuscita anche a vivere serenamente. Mentre cercava così di autoconvincersi sentì qualcosa che le fece malauguratamente cambiare idea. Poco lontano da lei due uomini si stavano avvicinando, parlavano fra loro e uno dei due aveva un tono piuttosto concitato. Si fermarono poco distanti dal cespuglio dietro cui Marguerite si celava alla loro vista. Lei non si prese il disturbo di farsi vedere e rimase ad ascoltare, inosservata da entrambi. “Te lo dico io, Jean! Quella ragazza nasconde qualcosa. Deve avere certamente un secondo fine. Se no la cosa non si spiega.” “Tu dici così solo perché sei il suo più caro amico e non vuoi accettare l’idea che lei l’abbia lasciato e basta, insomma per le solite ragioni per cui si può voler smettere di stare insieme a qualcuno. Anche lui infondo ha i suoi bei difetti! E lo sai bene!” “Lo so benissimo che ha i suoi difetti! E comunque non erano nulla di insuperabile. Per lei che diceva di amarlo avrebbe dovuto essere uno scherzo accettarli. Ma André qui mi ha scritto un’altra cosa. Dice che è stata lei ad andarsene perché voleva tornare a lavorare qui! Questa è una follia!” “Non potrebbe essere che ti abbia scritto una bugia per salvare la faccia almeno con te, Philippe?” “No, non è possibile. André sarà avventato e spavaldo, ma non è un bugiardo. Lo conosco bene. E poi non oserebbe mentire proprio a me.” “Ma cosa dice esattamente? Perché lei voleva ritornare qui?” “È questo il punto! Non è chiaro nemmeno a lui... dice solo che da quando se n’erano andati è cambiata e gli pareva che fosse molto malinconica. È caduta in una specie di stato depressivo. Voleva solo tornare qui e André suppone che non voleva tornare né per il lavoro né per le ragazze. Dice che voleva tornare per lui, per il Signore, e quando André le ha confessato questo suo pensiero lei si è infuriata come non mai. Diceva che era assurdo e inconcepibile quello che pensava. Ed è stato quello il giorno in cui André ha deciso che sarebbe stato
meglio lasciarla tornare. L’ha avvertita che però lui non sarebbe mai più tornato a lavorare dal Signore di Gordes, perché odiava quella vita da schiavo e piuttosto che tornare avrebbe preferito finire sulla forca. Lei continuava a ribadire che quello che diceva erano tutte sciocchezze, ma la mattina dopo lei non c’era più. Probabilmente se n’era andata durante la notte. Qui André mi confessa anche che si era lasciato prendere troppo la mano il giorno in cui se n’è andato. Dice che amava Janine, ma il suo desiderio di stare con lei era inferiore a quello di prendersi la sua rivincita contro il Signore di Gordes, dopo molto tempo è riuscito ad ammetterlo a se stesso. E in effetti ha ragione, si era lasciato trasportare troppo; stava quasi per lasciarci le penne! Termina la lettera dicendo che infondo è contento di quello che è successo perché così ha riacquistato la sua agognata libertà. Dice che adesso lavora in una locanda e col tempo si augura di diventarne il padrone. Mi manda i suoi saluti e spera un giorno di rivedermi.” Terminata la lettera i due rimasero qualche istante in silenzio, poi Jean mostrò la sua contentezza per come la situazione si era risolta e anche Philippe convenne che tutto era andato per il meglio. Esaurito il discorso i due cominciarono a parlare del più e del meno e dopo qualche minuto si allontanarono insieme alla fatidica lettera. Marguerite era inorridita e sconvolta. Udita questa conversazione, i suoi propositi di riacquistare la serenità svanirono nel nulla, non erano mai esistiti. Dunque Janine era tornata solo per stare col Signore di Gordes. Le sue peggiori paure erano diventate reali; si sentì sprofondare in un marasma incommensurabile. Si costrinse a calmarsi e a riflettere. Lei ora sapeva la verità, o almeno sapeva abbastanza per poter ordire qualcosa contro Janine. La notizia appena ricevuta avrebbe anche potuto giocare a suo favore, se espressa nelle dovute maniere. D’un tratto seppe cosa fare. Era l’ultima sua speranza per far sì che Janine venisse respinta dal Signore di Gordes, se non altro che ne diffidasse. Finché lui continuava a vedere Janine come una povera ragazza abbandonata, c’era sempre la possibilità che, mosso da comione, la prendesse di nuovo sotto la sua protezione. Si alzò in piedi e uscì dal suo imprevisto nascondiglio e, mentre correva verso il maniero di Claudio, ringraziava la provvidenza per averle dato la possibilità di eliminare per sempre Janine dalla sua vita e da quella del suo amato irraggiungibile.
XXIX
L’indifferenza crea catastrofi
Marguerite arrivò al castello tutta trafelata, quindi prima di farsi ricevere aspettò qualche momento per riprendere fiato. Dopodiché entrò e si fece annunciare da Henri. Quando Marguerite entrò il Signore di Gordes era accasciato su una poltrona, con una mano si reggeva la testa e guardava fuori, ma non guardava veramente il panorama; lo sguardo era perso e più che guardare fuori guardava dentro sé stesso. Lei entrò e fece un inchino. “Come mai sei qui Marguerite? Non mi risulta che ti abbia chiamato.” Lei si avvicinò a lui cercando di trattenere il sorriso, ma non vi riuscì del tutto; quando gli sentiva pronunciare il suo nome con quella meravigliosa voce che aveva, stentava a trattenere la gioia e si sentiva avvampare. “No, mio Signore. Ma ho delle informazioni che forse possono interessarle. Si tratta di Janine.” Lui si volse a guardarla e, con sguardo annoiato, rispose che non era il caso e che ormai era tutto risolto. Lei insistette perché lui le fe la grazia di lasciarla parlare. Lui svogliatamente gliela diede, pregandola di essere celere. “Prometto che lo sarò mio Signore. Ho appena saputo che Janine non è affatto stata abbandonata, ma bensì è stata lei ad abbandonare André.” Detto questo si fermò e quando vide che l’insofferenza di lui si era trasformata in interesse continuò a tacere, aspettando che fosse lui a pregarla di continuare. Infatti lui parlò. “Come l’hai saputo? Te l’ha detto lei?” “Il mio Signore basta solo che sappia che l’ho appreso da una fonte indubbiamente certa. Sapete, non vorrei essere costretta a fare nomi, perché questi potrebbero essere accusati di avere tenuto sua Signoria all’oscuro della verità.” Fece una breve pausa. “E... se posso permettermi di darvi un consiglio, mio Signore, io diffiderei di quella donna. Insomma, mi duole ricordarvelo, ma... tempo fa vi ha trattato nel più insultante dei modi, a mio dire. Prima abbandona voi poi abbandona il ragazzo. Ora se è vero che è tornata, può essere che l’abbia
fatto per prendersi di nuovo gioco di voi! Per il gusto di umiliarvi ancora! Vi metto in guardia mio Signore, perché io non voglio altro che il vostro bene, e lo sapete.” L’espressione di Claudio si era fatta assorta e pensierosa, ma dopo qualche secondo il suo volto cambiò. Lo sguardo si fece duro e Marguerite ebbe appena il tempo di accorgersi di questo mutamento che lui parlò. Abbiamo detto che Claudio non accettava l’idea di essere una vittima e ora che Marguerite gli aveva dato la notizia si sentiva rinvigorito. Era di nuovo lui l’oggetto di tutte le attenzioni. Si alzò in piedi e allargò le spalle. “Ti pare che io abbia bisogno della tua protezione?” Marguerite fece un o indietro. “Certo che no, Signore. Voi sapete difendervi alquanto bene. Cercavo solo di evitarvi un tradimento che poteva essere compiuto a vostro discapito.” “Non verrà compiuto alcun tradimento nei miei confronti. E ora vorrei che mi lasciassi. Devo pensare.” Marguerite, che non voleva staccarsi da lui senza avergli prima detto ciò che provava nei suoi confronti, cercò di rianimare la conversazione, dunque dovette ignorare per un attimo i suoi ordini di lasciarlo solo. “È da precisare comunque, mio Signore, che non volevo recarvi alcuna offesa. Non dubito certo di voi. Penso anzi che siate carismatico, affascinante e che riusciate ad allacciare a voi il cuore delle persone.” Detto questo si permise di avvicinarsi a lui (che nel frattempo era tornato ad accasciarsi sulla poltrona) e prendergli la mano. “Perlomeno un cuore siete riuscito ad allacciarlo al vostro.” Lei gli stringeva la mano e lo guardava con occhi anelanti. Continuava a vedere in lui il ragazzo che era un tempo senza accorgersi che quel ragazzo era scomparso. Lui la guardò accigliato mentre lei gli baciava la mano con più ardore di quanto convenisse ai modi che si devono al proprio Signore. Claudio, che aveva altro per la testa, ritrasse la mano da quelle di lei senza troppo riguardo, e le rivolse uno sguardo fra il perplesso e il divertito. Rimase così per qualche secondo, mentre lei attendeva palpitante una risposta. Infine Claudio abbassò lo sguardo e fece un mezzo sorriso, poco evidente, ma che venne prontamente notato da Marguerite. “Visto che stai uscendo mandami qui Janine. Ora puoi anche lasciarmi.”
Marguerite rimase immobile, continuava a fissarlo, incredula. “Ti ho detto di lasciarmi, ragazza.” A quelle parole ebbe un sussulto. Era come se qualcuno le avesse strappato tutte le viscere che aveva in corpo. Aveva fatto un errore madornale a dire a Claudio che Janine aveva abbandonato André per tornare da lui. Non aveva pensato minimamente (presa com’era dalla sua ultima possibilità di avere il Signore di Gordes tutto per lei) che Claudio avrebbe potuto interpretare quel gesto come un segno di devozione nei suoi confronti. Si rese conto del suo errore in pochi secondi e disprezzò sé stessa per la stupidità che aveva dimostrato. Gli voltò le spalle e scappò.
XXX
Non mentire né agli altri né a se stessi
Poco dopo Janine stava per farsi ricevere dal Signore di Gordes. Era alquanto spaventata e addirittura rabbrividì quando pensò con che sguardo mesto e spento Marguerite le aveva comunicato di dirigersi da lui. Doveva essere accaduto qualcosa di terribile; magari Claudio aveva cambiato idea sul fatto di riprenderla di nuovo al suo servizio. La sola immaginazione di ciò la scosse nel profondo e il pensiero di una vita vuota la paralizzò. D’un tratto però fu già il momento di entrare. Varcata la soglia fece la solita riverenza. “Mi avete fatta chiamare, mio Signore?” Claudio era rimasto accasciato sulla stessa poltrona nella medesima posizione di prima. Quando sentì la voce di lei voltò la testa di scatto e la guardò dritto negli occhi. Quell’improvviso contatto la fece trasalire. “Sì. Volevo domandarti il motivo del tuo ritorno, Janine.” Janine rimase perplessa, ma si fece anche un po’ sospettosa. “Mi pare di avervelo
già spiegato, signore. Ho fatto un errore. André non era ciò che pensavo e...” Lui scattò in piedi furente e fece qualche o verso di lei, mentre Janine fece qualche o indietro presa dallo spavento di sentirsi tuonare contro. “Ti azzardi a mentirmi per la seconda volta? Dimmi la verità dannazione! E non pensare nemmeno di prendermi in giro di nuovo! È facile inventarsi bei discorsi su quanta stima e fedeltà provi nei miei confronti, ma ora dovresti vedere di mantenerli! E per prima cosa voglio la verità! E ora parla!” Era una vista terrificante; nelle pupille gli balenavano i bagliori roventi della brace e le labbra mettevano in mostra i denti. Era stanco di avere solo diverse versioni della verità. Per una volta nella sua vita voleva delle certezze inoppugnabili. Janine tremava dalla testa ai piedi, ma allo stesso tempo si sentiva sollevata. Cominciò a parlare. “Vorrei prima di tutto dire che non ho inventato la stima che ho per voi, ma è reale.” Nel sentire ciò, Claudio si fece più calmo; era rapido nell’infuriarsi tanto quanto lo era nel chetarsi. Pochi minuti gli bastavano per sfogare tutta la sua rabbia e sventurato era chi si trovava alla sua presenza quando questo avveniva. Questa volta Janine si era salvata da una tremenda punizione solo perché Claudio era ansioso di scoprire la verità; dunque si sedette e attese, mantenendo una sorta di sguardo inquisitorio. “Si può dire che è da quando ho la facoltà di volere e di occuparmi di me stessa che io lavoro per voi. Ecco, dunque un certo affetto per voi l’ho sempre avuto, anche se faticavo ad ammettermelo. L’affetto però era il sentimento che sentivo in parte minima; quello che più che altro mi schiacciava era l’oppressione che voi avevate su di me, e non mi riferisco solo alle punizioni. In più c’era l’isolamento. Probabilmente voi non lo sapete, ma subivo l’emarginazione delle donne, a causa dei favori che voi mi elargivate perché ero la vostra prediletta; e in più ero isolata anche dagli uomini per via della legge che avete instaurato sul fatto che non mi si poteva nemmeno interpellare. Ma non vi do la colpa per questo. Evidentemente le cose dovevano andare così. Insomma, le attenzioni che mi rivolgevate non facevano che nuocermi e nonostante amassi essere la vostra prediletta, ogni volta che tornavo al lavoro mi sentivo incredibilmente sola e abbandonata. Abbandonata perfino da voi, che eravate l’unico a riservarmi certe attenzioni, per quanto molte non fossero di natura puramente affettuosa, ma più che altro di natura pratica. Sapevo che vi servivo solo per svagarvi. Avevo
bisogno di un rapporto nel quale potevo sentirmi al sicuro. Quando stavo con voi, lo sapete, spesso mi punivate perché non mi comportavo nel modo giusto, dunque mi ritrovavo ogni giorno a dosare le mie mosse e le mie stesse emozioni. Modulavo gesti che potevano essere spontanei, e forse sarebbero sfociati in qualcosa di più se voi non mi aveste insegnato o o tutto ciò che dovevo fare e come lo dovevo fare. Temendo il dolore fisico imparavo in fretta le lezioni che mi impartivate. Dunque da una parte avevo l’isolamento e la sopportazione delle offese, e dall’altra la tensione di fare tutto ciò che era in mio potere per non farmi punire da voi. Io vi ero devota e lo sono tutt’ora, ma capite che la sopraffazione non è bene accetta nemmeno in un cuore che vi stima e vi rispetta, come lo è il mio. Col tempo anzi può accadere che lo stato di costrizione possa mutare la stima in disprezzo. Probabilmente questo è avvenuto in me e, poco prima di andarmene con André, era sopraggiunta l’insofferenza. Avrei fatto qualsiasi cosa per riuscire a conquistarmi la libertà che sapevo di meritarmi; e ci riuscii. Dal momento in cui me ne andai ero convinta di stare già meglio, mi sentivo libera e finalmente possedevo quello che avevo sempre agognato, un uomo che mi amava e mi rispettava. Oh! Sono così mortificata di aver gettato ignominia sul nome di quel povero ragazzo! Ma ora sono pronta a dire la verità. André fu un compagno meraviglioso. Sì, forse il giorno in cui ce ne andammo era molto più ansioso di fare un torto a voi che di sposare me, ma ogni uomo ha le sue debolezze... Col are del tempo mi accorsi che era un esempio di moralità, giustizia e sani e lodevoli princìpi. Io naturalmente ne ero orgogliosa, ma qualcosa cominciò a non funzionare in me. Avevo ato così tanto tempo, tutta la mia vita, a essere comandata, indirizzata e corretta in ogni cosa che non mi sentivo a mio agio vicino ad un uomo così comprensivo e disponibile. Comunque lui mi prese sotto la sua ala e riuscì a mostrarmi come si faceva ad essere padroni delle proprie scelte. Di certo imparai le sue lezioni, ma dentro non provavo il minimo entusiasmo. Nonostante la situazione intorno a me fosse radicalmente cambiata, dentro rimanevo sempre la stessa. Continuavo a vedere la vita come l’avevo sempre vista, era inutile tentare di farmi apprezzare le gioie della libertà di parola e di azione; qualsiasi cosa fi sentivo il peso del mondo che mi ero lasciata dietro. Non comprendevo il perché non riuscissi a godere di ciò che mi ero guadagnata con le unghie e con i denti. Era quello che avevo sempre voluto e ora non mi serviva più. Ogni giorno tentavo di adattare la mia nuova vita alle mie esigenze, senza tuttavia riuscirvi mai. Ero furiosa. Dopo tanta fatica e tante sofferenze avevo ottenuto qualcosa che non volevo. In ogni momento sognavo una vita diversa da quella che avevo. Una notte ebbi un sogno; sognai voi, io avevo fatto qualcosa di sbagliato e voi mi stavate punendo. A un tratto vidi il sole. Appena mi fui svegliata capì il perché di tutto e vidi una
cosa della quale non mi ero mai resa conto. I momenti in cui mi punivate erano gli unici momenti in cui sentivo di amare la vita. Le percosse mi facevano vedere ciò che durante tutte le restanti ore del giorno non riuscivo nemmeno a scorgere; cioè che non volevo lasciare questa vita. Voi picchiavate forte e quando il dolore e lo spavento facevano sì che io avessi l’impressione illusoria (ma per me così reale) di lambire la sottana della Signora Morte, era solamente allora che riuscivo a comprendere, per qualche secondo, quanto non volessi rinunciare al dono meraviglioso di respirare. Erano momenti magici di rivelazione. Mi resi conto finalmente che quei pochi secondi mistici erano l’unica cosa per cui valeva la pena vivere. Ormai non era una vita normale ciò che mi serviva. Avevo bisogno solamente dei frammenti di illuminazione che voi mi elargivate. Forse è vero ciò che dicono in paese, che siete uno stregone, ma anche se veniste dritto dal ventre dell’inferno non farebbe differenza per me; potreste anche chiedermi l’anima in cambio di quei secondi preziosi che sono la vita per me. Mi guardate in modo strano; lo so che vi sembro una pazza e probabilmente non mi riconoscete nemmeno. Non mi riconosco neanch’io. Ma non mi sono scelta io di essere come sono. Ogni uomo ha il suo abisso, io non conoscevo il mio, ma ora ho capito che siete voi e quello che mi date è ciò in cui inevitabilmente dovrò sprofondare. Non mi negate pochi secondi di felicità al giorno. Sono gli unici che potrò mai avere. Ora lo so e lo accetto. Non è necessario che voi mi capiate. Non ho bisogno di essere capita. Ho bisogno solo di quello che voi mi avete sempre dato. Le abitudini sono dure a morire e la routine è un grande conforto per me. Vi prego di esaudirmi anche se faticate a comprendermi. Fosse stato per me non vi avrei nemmeno rivelato tutte queste follie, ma me lo avete chiesto voi. Me ne rammarico se ora avreste voluto non avermelo mai chiesto.” Claudio non era più accasciato sulla poltrona, ma lentamente durante il discorso si era fatto più rigido e si era rizzato sulla sedia. La fronte era aggrottata e lo sguardo si era fatto quasi sospettoso. Claudio che, come si è già detto, aveva le duplici qualità dell’uomo e del bambino, era rimasto scioccato da una tale assurda confessione. Non la comprendeva fino in fondo, ma avvertiva i turbamenti della mente scossa di Janine. I bambini possono essere cattivi, ma di certo non sono perversi. La perversità dunque era assente in Claudio. La sua indole gli permetteva di toccare alti picchi di crudeltà, essendo lui un uomo e non un bambino, ma la perversità era qualcosa che stava fuori dalla sua portata. Cercava in ogni modo di capire come da una punizione corporale si potesse trarre un piacere quasi mistico. Dovette rinunciare nell’impresa. Riusciva a comprendere però una cosa; era stato lui a “crearla”. Aveva ato la vita a forgiare una creatura e adesso non riusciva nemmeno a comprenderla. Come
poteva aver contribuito a produrre qualcosa che perfino lui, il “creatore”, stentava a comprendere? Era atterrito e in parte spaventato da quella deliziosa ragazza che gli stava di fronte e che lo guardava con occhi pieni di contrizione. La realtà può essere distorta e alterata. La realtà può non essere realtà. La realtà può essere ciò che vuole. Rimase immobile senza dire una parola. Faceva scivolare gli occhi su di lei, cercando di vedere. Ma non vedeva nulla. “Vi prego Signore, dite qualcosa... ditemi almeno se volete ancora tenermi con voi...” Per la prima volta Janine vide nei suoi occhi un’onda di smarrimento. Parlò con voce rauca. “Non posso fare altro che tenerti con me. È un obbligo che ho nei tuoi confronti.” Poi il tono parve farsi riflessivo, ma Janine non comprese quello che disse perché era come un bisbiglio incerto. In quel momento una serva entrò nella stanza e con gran fragore corse dentro esclamando parole incomprensibili. Claudio si alzò in piedi, ma rimase immobile cercando di seguire il filo delle sue parole. Janine riconobbe che si trattava di Angèle e, correndole incontro, fece di tutto per tranquillizzarla. In parte vi riuscì e le parole divennero comprensibili. “Si tratta di Marguerite! Oh, mio Dio! L’abbiamo trovata nel fiume qui vicino! Abbiamo provato a farla rinvenire ma... oh, mio Dio! Che vista atroce! Sono io che l’ho trovata, io! Oh, cielo! È orribile!” Dette queste poche, confuse parole scoppiò in lacrime, singhiozzando senza freno. Gettò le braccia intorno al collo di Janine, poi si lasciò cadere a terra trascinando giù anche lei. Janine volle sapere di più. “Cosa vorresti dire? Che è annegata?” Angèle riuscì a risponderle fra le lacrime. “Questo è impossibile, Janine! Come si fa ad affogare in un simile rigagnolo d’acqua? Oh, mio Dio! Povera Marguerite! Ma cosa può averla spinta ad un simile gesto?” Janine faceva di tutto per calmarla, e benché fosse frastornata dalle grida di disperazione che Angèle le strillava nelle orecchie, poté benissimo notare la reazione del Signore di Gordes. Con la coda dell’occhio vide che si era aggrappato ad un bracciolo della poltrona e sarebbe parso una statua di sale se un leggero tremore alle mani non lo avesse tradito. Stava in piedi con la testa china, il mento posato sul petto. D’un tratto si lasciò cadere rumorosamente sulla poltrona, riuscendo anche a spostarla di qualche o. Si era naturalmente
ricordato del discorso che Marguerite gli aveva fatto prima che arrivasse Janine e fu travolto da un’ondata di orrore. Gli occhi parvero più infossati del solito e la pelle gli si fece bianca come quella che a quest’ora doveva avere Marguerite. Gli ci erano voluti vent’anni per rovinare l’esistenza di una stupenda creatura di nome Janine e ora, con una dozzina di parole pronunciate con leggerezza, in una manciata di secondi ne aveva uccisa un’altra. Per un attimo si sentì mancare, ma seppe resistere alla disperazione. Fece un paio di profondi respiri e la sua pelle tornò dello stesso colore di quella dei vivi. Appena si fu ripreso vide che la ragazza che era entrata a dare la notizia non c’era più. Nella stanza c’era solo Janine, era in piedi con aria allarmata. “Vi sentite bene, Signore?” Lui si affrettò a rispondere che stava bene e la congedò dicendole di tornare al lavoro. Janine uscì con riluttanza dalle stanze del suo padrone. Prima di uscire gli parve di vederlo in ginocchio.
XXXI
Per chi non credeva
Qualche giorno dopo gli avvenimenti raccontati Janine si ritrovò nelle stanze di Claudio. Lui l’aveva chiamata al suo servizio, dopodiché si era addormentata. Risvegliandosi lui era scomparso. Era notte fonda e uno strano rumore echeggiava per tutto il castello. A quel rumore si svegliò completamente e si alzò. Camminò per i corridoi lunghi e tetri continuando a sentire quel rumore; erano come gli stridii acuti del cardine di una porta, ma non sembravano altrettanto ferrosi. Mano a mano che procedeva verso i sotterranei il rumore diventava più nitido e ora poté distinguerlo meglio. Erano una sorta di guaiti lamentosi, oppure grida acute. Chi poteva dirlo?
Infine sbucò in un lungo corridoio terminante in una porta guarnita di catenacci e lucchetti, ma quei catenacci erano tutti slacciati e penzolavano inermi lungo il bordo della porta come degli strani tentacoli. Sentì nuovi rumori e rimase paralizzata dal terrore. Sentì gemiti, latrati, stridii, colpi battuti con ferocia, urli inumani. Rimaneva immobile per paura di muovere anche solo un filo d’aria. Quando la porta malefica che le stava davanti si aprì di uno spiraglio, il cuore le si fermò nel petto. Una mano la aprì di più e un corpo strisciò, stretto fra l’anta e il muro, come se non volesse fare uscire qualcosa che stava dentro. Quando fu fuori quel corpo fece di tutto per chiudere il più in fretta possibile la porta, ma quella oppose resistenza e il corpo venne quasi sbalzato via. Una forma scura sbucò dall’anta rimasta in parte aperta e si dimenava per uscire. L’uomo estrasse un coltello e lo piantò senza indugio su quella specie di arto. Questo si ritrasse con uno scatto ed emise un verso che è impossibile descrivere completamente, ma fu più acuto e penetrante dello stridere di un’aquila. La figura allora poté chiudere la porta con tutti i suoi catenacci e i suoi lucchetti. Fatto questo si voltò e zoppicò verso Janine. Ancora non la vedeva perché era buio, ma quando fu a circa sei i da lei si arrestò. Lei allora lo vide in faccia e si rese conto che era il suo Signore. Portava un mantello scuro che gli copriva tutto il corpo, ma Janine poté notare benissimo che era ferito. Il volto era contratto dal dolore ed era tutto curvo da un lato. La mano che stringeva il mantello era macchiata di qualcosa che alla luce della luna sembrava nero, e anche il collo e la fronte erano imbrattati. Janine rimaneva in piedi, irrigidita dal gelo che aveva dentro. Lui la guardò, fece una sorta di smorfia che pareva un sorriso, se non un ghigno, e senza dire una parola si allontanò. Lei lo seguì con lo sguardo finché non scomparve dietro l’angolo dal quale era arrivata, continuando a zoppicare. Prima che scomparisse a Janine parve di udire qualcosa di simile a un riso, ma non poté esserne certa. Non aveva mai creduto alle dicerie che si dicevano al villaggio. Avrebbe addirittura scommesso che nemmeno chi le raccontava in fondo ci credeva sul serio. Forse era il momento di ricredersi. Qualcosa di estremamente pesante andò a schiantarsi contro la porta infame che le stava davanti. Sussultò violentemente e si ritrasse schiacciandosi contro il muro. Voleva fuggire e voleva restare. Era inorridita e affascinata al tempo stesso.
Ringraziamenti
Questo libro è per Angela che, credendo in ciò che stavo realizzando molto più di quanto non vi credessi io, mi ha gentilmente fornito informazioni tecniche e storiche di vario tipo al fine della realizzazione del libro. Ringraziandola, le auguro di realizzare i suoi sogni.
Giulia Donatini nasce il 27 dicembre 1991 e risiede a Ravenna. Ha frequentato il Liceo Artistico Pier Luigi Nervi della sua città. Attualmente frequenta il terzo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia di Ferrara. Ama disegnare, si dedica in particolare ai ritratti. Al momento si interessa di studi sul teatro antico e contemporaneo. Nel 2010 ha ricevuto una menzione speciale per le scuole superiori nel corso della quarta edizione del Premio Curcio Editore per le attività creative.