La Via Toscana All'illuminazione 4u3w6

Giancarlo Burzagli (Anonimi Toscani)

La via toscana all'illuminazione

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Table of contents

Capitolo Primo

Capitolo Primo

La biciclettata

Amo della Toscana la diversità di ogni città, la teatralissima ironia, l’arguzia delle parole, la capacità di vivere l’arte. Zubin Mehta.

Nulla di finito, nemmeno l’intero mondo, può soddisfare l’animo umano che sente il bisogno dell’eterno. Kierkegaard

Ma che giornata. Che incredibile, fantastica, irripetibile giornata. Ci abbiamo messo unbel po’ di tempo per cercare di ricostruirla, metterne insieme i pezzi e cercare di fissarli nella memoria: già, perché, non c’è dubbio, volevamo tutti ricordare. Certamente, molto è andato perso, ma, del resto, si ricorda e si capisce quello che si è pronti a capire e ricordare. E dire, accidenti, che eravamo in cinque: cinque amici non più giovani, anche se non certo vecchi. Cinque ‘maturi’ toscani, maturi per questioni anagrafiche, ma, magari, non troppo nella testa: insomma cinque bischeracci, per dirla con una delle illuminanti, gentili e sapide espressioni della nostra terra. Ma tant’è: questo è tutto ciò che siamo riusciti a ricostruire, dopo lunghe discussioni, chiacchierate e scontri verbali, e questo, cari amici, è ciò che abbiamo deciso di raccontare.

Già, direte voi: e a noi che ce ne importa? Aspettate, accidenti, niente fretta. Prima leggete almeno qualche riga: capace che qualcosina interessa anche a voi. Perché c’è una cosa che abbiamo ‘scoperto’ (o, per meglio dire, riscoperto) in quella giornata: che siamo tutti collegati, proprio tutti. E allora in qualcosa di quello che segue, è giocoforza che te, cara sorella o fratello più o meno interessato che sei capitato a leggere queste righe, ti debba rispecchiare. Ma voi chi siete? Potreste chiedere. È inutile – abbiamo pensato – dire i nostri nomi: non avrebbero senso, anche perché, dopo quel giorno, abbiamo cominciato a vedere le nostre identità in maniera diversa. Meglio allora mantenere un tranquillo anonimato (e non per nasconderci, ma anzi, per ritrovarci), e tanto vale allora chiamarci Uno, Due, Tre, Quattro e Cinque in ordine di età, che è un parametro obiettivo, su cui siamo tutti d’accordo. Perché una cosa abbiamo capito: che siamo tutti diversi, ma in fondo tutti uguali: ognuno, nella sua irripetibile individualità, è una specie a parte, ma siamo tutti della stessa razza, e tutti viandanti nel sentiero della vita. Ma torniamo a quel giorno. A uno di noi, per dovere dicronaca al Due, era venuta in mente un’idea che fu subito approvata all’unanimità: una gita in bicicletta sulle crete senesi. Era primavera, e la primavera in Toscana, lasciatecelo dire, è una meraviglia. Forse il paesaggio toscano, e in particolare quello della Val d’Orcia, è uno di quei rari casi in cui l’opera dell’uomo ha abbellito il paesaggio: lo ha reso armonico, di un’armonia rigorosa, senza fronzoli, essenziale e asciutta, come il carattere della gente di campagna. E poi quei colori: le sfumature ocra delle crete, insieme al giallo della ginestra, che dalle nostre parti viene chiamata, semplicemente, ‘il maggio’; le macchie di verde chiaro dei campi; i toni scuri delle file di cipressi a fiancheggiare le strade sulle colline; i filari di vigneti segnati da cespugli di rose. Uno spettacolo. L’aria, di buon mattino, era fresca, e lucente; a tratti, una brezza leggera ci portava il profumo dei fiori, dell’erba e della terra coltivata. Da San Giovanni d’Asso prendemmo la strada verso Pienza, pedalando tra battute, facezie e risate. Le salite erano leggere, e nei punti più difficili, ad ogni buon conto, si scendeva di sella e si proseguiva a piedi: grazie a Dio nessuno aveva da dimostrare prestanza fisica o resistenza. Non c’era assolutamente fretta, e l’occasione era ottima per osservare ancora meglio il paesaggio, le piante, l’argento degli ulivi, i cespugli di lavanda, i giaggioli viola sui bordi dei greppi e dei muretti, e i piccoli, umili e stupendi fiorellini di campo, le cui meraviglie Due, da buon apionato di micologia e botanica, ci mostrava con l’aiuto di una piccola

lente di ingrandimento. Stupende le strutture di un fiore: in una piccola margherita, così apparentemente semplice, ci sono monti, valli, colline, giochi di pieni e vuoti in forme a sfera, a spirale, a lobo; ogni elemento ‘sa esattamente che posto prendere’, e forma, in perfetto accordo con tutti gli altri, un insieme unico ed armonico. È incredibile come, da pochi ingredienti di base, la vita si sia sviluppata in forme infinite e bellissime, e come il piccolo, il microcosmo, rispecchi, nella sua ‘semplice complessità’, anche l’infinitamente grande. Due filari di grandi cipressi sembravano invitarci ad una deviazione, ed imboccammo allora una strada che ci portò, dopo una breve salita, a un bel monastero rinascimentale, Sant’Anna in Camprena, con splendidi affreschi del Sodoma, particolarmente apprezzati da Cinque, che ha il talento e la vocazioneper la pittura e la scultura ma che, dovendo fare l’‘orafo per necessità’, e quindi incastonare pietre preziose, si definisce ironicamente costretto al ‘lavoro di un ciottolaio’. Ammirando l’armonia e la pace del chiostro, Uno, che è un po’ il vecchio filosofo del gruppo, osservò: “Però! Che terra l’Italia e che regione la nostra Toscana! In quale altro posto del mondo c’è una simile sintesi di natura e arte? Siamo capitati qui quasi per caso e guardate che bellezza! E queste opere sbucano da tutti gli angoli! Sembra che qui sia caduta, nel Rinascimento, una vera ‘pioggia di spirito’!”. Quando si accennava allo spirito o ad argomenti che avevano a che fare con la metafisica o la religione, Due, da buon laico seguace del razionalismo scientifico, non nascondeva il suo tollerante ed educato scetticismo; Tre e Quattro invece, che seguivano un percorso cristiano anche se su posizioni di forte contestazione nei confronti della Chiesa Cattolica, erano più portati ad accettare questo genere di argomentazioni. “Mah!” disse Due “la pioggia di spirito! Andiamoci piano! E poi, chissà che storie ci sono dietro a costruzioni come queste! Senza nulla togliere alla bellezza di tutto questo, si tratta di vicende pratiche, e umanissime: sono espressioni di poteri, politici e religiosi. Poteri, sempre poteri, come al solito, come vediamo oggi, dappertutto!”. “Umanissime, hai detto?” osservò Quattro “E perché, ti sembra niente l’Uomo?

GesùCristo ha detto che la nostra meta è la ‘destra del Padre’, e che saremo ‘celebrati dagli angeli’!” “Sentilo lì, il presuntuoso!” ribatté Due “Ma vai! Chi vuoi che lo celebri, un bischeraccio come te!” “Chi vivrà, vedrà!” disse Tre ridendo “se ne riparla tra un centinaio di anni!” “Tanto, fra un milione d’anni, siamo tutti morti!” sentenziò Cinque, evocando una vecchia espressione del ‘Grillo Canterino’, una famosa trasmissione radio della RAI fiorentina. “No!? Tu dici?” “E dico, dico!” “Speriamo di no, vai!” “Sentite, ragazzi” intervenne Uno “io ho una teoria che dovrebbe mettere tutti d’accordo. Pigliamo per buono il discorso che si finirà alla destra del Padre: d’altronde l’ha detto nientemeno che Gesù, e se l’ha detto lui, c’è da crederci. Ora, vicino al Padre ci saranno ovviamente i Santi, i ‘Pezzi da Novanta’, insomma gli Spiritoni ‘pesanti’, quelli con l’aureolona dorata, per intenderci: quanto a noi, povere animelle peccatrici, che diamine possiamo pretendere? Si finirà sicuramente in fondo, sempre a destra, naturalmente. Ora, a sentire gli illuminati, la terra è un po’ lo specchio del cielo perché da noi avviene ciò che avviene nelle dimensioni superiori: allora, dato che qui in fondo a destra ci sono sempre i gabinetti, come ognuno può agevolmente constatare, vuol dire che siamo destinati a finire nei locali igienici del Paradiso!”. “A me va benissimo” esclamò Cinque “Ma che, scherzi? Chissà come saranno belli, i gabinetti del paradiso! Con tanto di sauna, massaggi e trattamenti di bellezza per l’anima...” “Alt, ferma, sennò si comincia a ipotizzare anche le famose Urì dei musulmani!” disse Tre. E giù risate e battute. Questo era più o meno, cari fratelli lettori, il tono delle nostre conversazioni, non dissimile da quello che si ritrova un po’ in tutti gli angoli della nostra Regione.

Già: in Toscana si scherza su tutto, e questo forse è un limite, perché si sbeffeggia anche troppo, sia il sacro che il profano; ma, in fondo, è anche la nostra forza, perché si ironizza, per prima cosa, su noi stessi. Ogni cosa, situazione, avvenimento, atteggiamento, parola, è uno spunto per una battuta, uno scherzo, una pungente, allegra o amara ironia. D’altronde – si pensa – meglio cercare di farsi, almeno una volta al giorno, una sana, piccola o grande, ma sempre liberatoria risata, a denti stretti o a ganasce spalancate, e non prendere la vita troppo sul serio, anche perché ‘tanto non ce la facciamo ad uscirne vivi’. Eh, sì, la vita: questa breve camminata tra le sponde del fisico e del metafisico, tra le cose di tutti i giorni e quelle del cielo, con le difficoltà a dare un senso alla sua apparente assurdità: vivevamo ognuno la nostra esistenza, come tutti, più o meno inconsapevolmente e superficialmente, cercando di allontanare pensieri e preoccupazioni, e cercando di goderci al meglio la giornata. Chi avrebbe mai immaginato, mentre percorrevamo il chiostro del monastero, guardandoci intorno e commentando, tra una battuta e l’altra, le storie di uomini e di santi fissate negli affreschi, che di lì a poco ci sarebbe arrivata addosso una specie di ‘mazzata spirituale’, o, meglio, una botta di verità, di rivelazioni, di ironia e di ‘pazzia’, che ci avrebbe, se non rivoluzionato, certamente ben rimescolato le coscienze? Forse è destino che capiti a tutti, prima o poi, un momento nel quale arrivano da ‘qualche parte’ con inaspettata forza ed evidenza, dei messaggi, sotto forma di segnali, persone o avvenimenti, che si comportano come degli specchi, costringendoci a guardarci dentro e a farci venire finalmente voglia di capire chi siamo e che diamine ci facciamo a questo mondo. Si comincia allora a intravedere un senso, un profondo motivo in tutto, nella realtà, nei simboli, nei sogni, in quello che definiamo bene e in ciò che consideriamo male, negli accadimenti, nelle emozioni, nei pensieri e nei sentimenti: si apre allora, per ognuno di noi, una sorta di sentiero, una direzione da percorrere, e si comincia ad intravedere, nella nebbia o nel fitto della boscaglia,una possibile destinazione, una luce, una meta. Quella che si è aperta allora, per noi, è una via perlomeno strana, senza dubbio un po’ pazza e sicuramente ironica: qualità che ci hanno portato a definirla, magari con una punta di compiacimento, la ‘via toscana all’illuminazione’. E abbiamo deciso di raccontarla, come meglio possiamo e, soprattutto, senza la minima presunzione di voler insegnare niente a nessuno, perché siamo noi i

primi che hanno bisogno di imparare. La raccontiamo dunque così come ci riesce, sulla base delle ricostruzioni e delle discussioni che sono seguite a quella giornata, ed è con affetto e semplicità, cara sorella e caro fratello che hai la ventura di leggere queste righe, che noi te la porgiamo. Certo, questa è una storia nostra, ma, dopo che avrai scorso queste righe, una parte di ciò che leggerai, quella più vicina alla tua visione del mondo, diventerà, magari, anche parte della tua esperienza: almeno così speriamo. Lasciata Sant’Anna in Camprena decidemmo di non proseguire per Pienza, ma di tornare indietro e di procedere un po’ a caso, “tanto” osservammo “qui è bello dappertutto”. Attraversammo uno di quei paesi, che grazie a Dio si trovano in Toscana a decine, che sembrava uscito intatto dal ato, da un altro modo di vivere, parsimonioso, essenziale e naturale. Un modo di essere fissato dai nostri vecchi nelle pietre delle case e dei muretti macchiati di muschio scuro, bianchi licheni e lucenti piante di capperi; nelle piccole piazze, nelle viuzze strette, negli archi delle porte di legno di castagno contornate da pietra serena; nelle piccole e fresche chiesette dove non è raro trovare veri capolavori d’arte; nelle botteguzze dove si vende tutto il poco che serve, con il profumo del pane misto a quello del prosciutto rigorosamente affettato a mano e all’odore della conserva di pomodoro, dove la pasta è riposta nei cassetti degli scaffali di legno alle pareti, e gli amici stanno seduti, lì fuori, su sedie impagliate, ‘a chiacchiera’. E ci capitò allora di riare da un bar, dove avevamo fatto colazione al mattino, poche ore prima. Rientrammo per prenderci un caffè, e il proprietario, con cui avevamo scambiato qualche battuta sotto lo sguardo, tra l’ironico, il divertito e il rassegnato, della moglie, ci accolse con un affettuoso saluto: “O voi!? Che siete tornati a rompere i coglioni?!” “Non c’è dubbio! Siamo proprio in Toscana!” commentammo uscendo. La ‘spregiosità’ toscana: l’insulto usato come saluto amichevole; l’aggettivo declinato al dispregiativo con tranquilla noncuranza; la volgarità espressa con una naturalezza tale da trascendere, a volte, la volgarità stessa; la parolaccia come veicolo per una comunicativa immediata, anche se attenta e sospettosa; il diverso livello del senso del ridicolo; la sbeffeggiata pronta e dissacrante; lo sguardo ironico, e quel mezzo sorriso che vuol significare “Guarda, amico, non darti tante arie: in fondo siamo tutti uguali, e te sei un bischero come me!”

Ne parla Malaparte in ‘Maledetti toscani’, di quel ‘mezzo sorriso’: e descrive un oratore, di quelli pieni di sé e delle proprie parole, che precipita nell’imbarazzo vedendo seduto, nell’ultima fila, un toscano che lo guarda così, semplicemente, con un mezzo sorriso ironico e penetrante. Bello sarebbe se quelli che viaggiano portandosi dietro uno sgabello, pronti a salirci sopra prima di aprire bocca; che usano parolone difficili e dotte per mostrare la loro presunta conoscenza; che declamano come se dicessero: “Porgetemi, o ignoranti, la scodella della vostra attenzione, ed io mi degnerò di versarvi il brodo della mia sapienza”; che pensano che un’idea sia giusta solo perché è venuta loro in mente: bello sarebbe, davvero, se tutti costoro si trovassero sempre davanti, come coscienza critica, la derisione dissacrante di uno sbeffeggiatore con un mezzo sorriso. Qualcuno ha detto: “La tragedia è umana, e l’ironia è divina”. Non ci ricordiamo chi (sarà mica venuta in mente a qualcuno di noi? No, non può essere!) ma la frase, da buoni toscani, ci piace, e parecchio, e la usiamo proprio come filo conduttore per descrivere la ‘via verso l’illuminazione’ che ci venne incontro in quella lucente giornata di primavera. Ma torniamo alla cronaca: anche se eravamo ancora a mezza mattinata, la fame cominciava a serpeggiare, e decidemmo allora di infilarci nel più vicino bosco per consumare, in quel bellissimo ristorante che si chiama natura, le classiche schiacciateripiene di ‘affettati’ vari e, data la stagione, baccelli e pecorino: insomma un semplice e gustosissimo pasto tipico della nostra terra. Attirati da una bella distesa di vegetazione, lasciammo la strada e ci infilammo in una stradina sterrata, inoltrandoci nel bosco. “Dove ci fermiamo?” “Va bene qui?” “No, più avanti!” “Prendiamo da quella parte!” “No, meglio di là, è più bello!”. Dopo un po’ di questo giochino, mentre la stradina si era trasformata in piccolo sentiero e poi in un viottolo dove si ava a stento, avevamo perso ogni riferimento. “Ma dove accidenti siamo finiti?” “Mah! E chi lo sa?” “Va bene, in qualche maniera ne usciamo, non siamo mica nella giungla amazzonica!” “Sapete che c’è? Fermiamoci a mangiare e poi si vede: di là sembra che ci sia una piccola radura”. Scostando i rami degli alberi per far are le biciclette, arrivammo in un piccolo spiazzo, coperto di muschio, erba e foglie: al centro c’era un cerchio di pietre intorno a una piccola area che presentava tracce di

legna bruciata. Seduto su una di queste pietre c’era un uomo.

Capitolo Secondo L’incontro Amico mio, tu ed io rimarremo estranei l’uno all’altro, eognuno a se stesso, fino al giorno in cui tu parlerai ed io ascolterò, ritenendo che la tua voce sia la mia voce; e quando sarò ritto dinanzi a te pensando di star ritto davanti a uno specchio. Kahlil Gibran ‘Sabbia e Spume’

Tre cose soprattutto l’uomo moderno deve apprendere per diventare sano e completo: l’arte del riposo, l’arte della contemplazione, l’arte del riso e del sorriso. Roberto Assagioli

Vi sono momenti, nella vita, incui sembra di sfogliare una pagina nuova Jung

Il cerchio di pietre era un naturale invito: ci avvicinammo e salutammo cordialmente quello sconosciuto, osservandolo con curiosità. Due cose di lui ci colpirono subito: gli occhi e il sorriso. Due elementi così forti, che emanavano una tale serenità e simpatia, che hanno messo in secondo piano tutto il resto. Infatti abbiamo poi avuto difficoltà a ricostruire i tratti completi della sua persona: chi ricordava un particolare, chi un altro, e non sempre i dati erano concordi.

Tutti, però, conveniamo su un punto: il suo magnetismo. C’era intorno a lui, e l’abbiamo sentito in maniera via via più intensa, come una carica energetica: un campo di vibrazioni che induceva, per quanto si può descrivere a parole, eccitazione e calma nello stesso momento; un rilassamento piacevole insieme a una gioiosa curiosità: una sensazione strana e indefinibile, come se una parte profonda di noi ci trasmettesse la consapevolezza di star vivendo un momento molto particolare. Ma, per dovere di cronaca, dobbiamo ricostruire in qualche modo il suo aspetto fisico. La sua altezza media e la corporatura non molto robusta non evocavano prestanza fisica ma agilità e leggerezza; i capelli erano corti, sottili e grigi (qualcuno se li ricorda quasi bianchi, qualcun altro di un castano chiaro brizzolato); aveva, e questo lo ricordano tutti chiaramente, una barba rada e quasi bianca, più lunga in corrispondenza del mento. Era vestito in maniera semplice einformale: pantaloni e camicia pratici e leggeri, scarpe alte sportive, e, posato accanto, un grande zaino. La tenuta di un camminatore.L’età era indefinibile: alcuni particolari, come la pelle tonica e vellutata, le mani agili e ben curate, la fronte ampia e quasi priva diincrespature, lo facevano apparire non più vecchio di una cinquantina d’anni; altri, come qualche segno sotto gli occhi, qualche ruga fra le sopracciglia e nel collo, e il colore della barba e dei capelli, lo facevano apparire più vecchio, anche di qualche lustro. “Allora, vi siete persi, eh!” ci disse, e questa frase, pronunciata con tono gentile e affabile, ci parve la constatazione semplice e affettuosa di un vecchio amico. “Già, proprio così” rispondemmo, e ci sistemammo, in maniera molto naturale, sulle pietre. A nessuno venne in mente di fare le nostre presentazioni, né è venuto fuori il nome di quella persona. I nomi non erano, e non sono, evidentemente, importanti. Ma, se siamo rimasti ignoti nel nome, non lo siamo certamente più nell’animo: dopo ogni incontro, infatti, qualunque esso sia, con persone, animali, piante o pietre, non siamo più gli stessi. Almeno un po’ di energia viene scambiata, e in quella circostanza, di energia, sotto forma di informazioni, rivelazioni ed emozioni, ne fu certamente scambiata parecchia, almeno dal nostro punto di vista. E una parte di quel bellissimo personaggio, che noi chiamiamo, semplicemente, il Viandante, vive ormai, da allora, dentro di noi. “Ma non vi preoccupate” proseguì il nostro uomo “ci perdiamo un po’ tutti.... in

fondo la vita è una continua ricerca della strada giusta, e prima o poi siamo destinati a trovarla....” Non demmo molto peso a questa frase, anche perché era stata detta con un ampio sorriso, che l’aveva in un certo senso messa in secondo piano, e la prendemmo come spunto per qualche battuta: avevamo infatti tutti voglia di qualche buona risata. La giornata, la situazione, l’aria serena e quell’incontro sembravano invitare proprio al buonumore. E allora, mentre mangiavamo offrendoci il semplice cibo dei nostri zaini, ognuno fece del suo meglio per tirar fuori amenità, motivi di riso e di allegria. Gli raccontammo della battuta del proprietario del caffè, delle involontarie comicità dovute alle distrazioni del fratello di Due, sempre con la testa fra le nuvole che – per citare la più recente – era stato una settimana con un piede rattrappito in una scarpa nuova senza accorgersi che c’era rimasto dentro un pezzo di carta; degli scherzi (anzi, dei ‘tiri birboni’) fatti e ricevuti. Parlammo della propensione, tutta toscana, alla burla e allo scherzo, e a prendere in giro anche la tragedia, citando come esempio l’incredibile quantità di battute, storielle, stornelli e barzellette che seguirono il dramma dell’alluvione a Firenze nel ’66. Uno ci raccontò un aneddoto appreso in un piccolo paese della bassa Toscana: un personaggio del luogo, noto col soprannome di ‘Pipi’, che si faceva beffe un po’ di tutti, e in particolare dei preti, dei baciapile e anche della morte, volle questa scritta sulla sua lapide: “Qui giace il Pipi, omo sperverso (con la esse, per spregiare pure la parola)/ non pregate per me, che è tempo perso”. Due e Quattro, che avevano una lunga esperienza di lavoro, come medici, nei reparti ospedalieri, raccontarono di aver riempito degli interi quaderni con le comicità, gli scherzi, gli episodi e gli strafalcioni che quell’ambiente si presta, evidentemente, a stimolare. “Una volta” raccontò Quattro “una vecchietta, ricoverata da qualche giorno con una problematica piuttosto grave, si alzò dal letto e si vestì per uscire. Di fronte alle mie richieste di spiegazione si giustificò così: ‘Dottore, abbia pazienza, sto troppo male,devo tornare a casa: tornerò quando starò un po’ meglio!’”. Due ci raccontò della incredibile coincidenza per cui nel reparto di ostetricia e ginecologia si erano trovati a lavorare tre medici dai nomi di Coscia, Lecchini e Tromboni (parecchi cognomi, in Toscana, nascono sicuramente da qualche

sbeffeggiantee ironico appellativo). “Qualche anno fa” disse “un giovane ricoverato con problemi caratteriali inviato in ospedale dopo la chiusura dei manicomi in seguito alla Legge Basaglia, tra l’altro molto gentile e simpatico, che si era messo in testa di ottenere qualche prestazione particolare da una infermiera, riempì alcuni muri di scritte per far conoscere a tutti che lei aveva deciso di ‘non dargliela’ e, non contento, sfogò la sua delusione incendiando una stanza”. Risate generali, ovviamente. Il Viandante mangiava con calma, tra un sorriso e un’aperta risata; tagliava il pane con un piccolo coltello artigianale, con il manico d’osso e la lama sottile consumata dall’uso, con piccoli movimenti sapienti e rispettosi: gesti antichi, di chi sa apprezzare il poco, e non ama lo spreco. Ci guardava con uno sguardo sereno, penetrante e indagatore. “Eh, sì” disse “Il riso fa proprio bene. Stimola il funzionamento degli organi interni, attiva le funzioni digestive e quella polmonare; cambia il ritmo respiratorio e l’azione del cuore, emigliora l’ossigenazione. È esatto anche scientificamenteil detto ‘Il riso fa buon sangue’”. Da bravi medici, Due e Quattro assentivano. “E poi” continuò “c’è l’azione psicologica: si allenta la tensione psichica, ci si rilassa, e ritorna fuori il bambino giocoso che è dentro di noi, quel bambino pieno di stupore e di gioia che troppo presto viene represso...E poi il riso è anche utile per lo sviluppo dell’intelligenza: risveglia le nostre facoltà intellettuali, ci fa notare cose che altrimenti sarebbero ate inosservate; fa venire nuove idee, stimola la mente e l’inventiva....” “Fa diventare intelligenti?” esclamò Cinque “Allora io devo aver riso molto poco!” Grande, il nostro Ciottolaio! “Bene!” disse il Viandante “Bello usare l’umorismo verso noi stessi, e prendere in giro il nostro piccolo io personale, così pieno di sé, che si prende tanto sul serio, e che è tanto suscettibile, inquieto e sospettoso”.

“Però!” osservò Uno “sembra che te ne intendi, di psicologia!” “Un po’...” rispose, con un mezzo sorriso e un lampo negli occhi “la materia è così vasta e affascinante... E’complessa, certo, ma, in fondo, l’unico viaggio che vale veramente la pena di intraprendere è quello alla conoscenza di noi stessi...” “Sul frontone del tempio di Delfi c’era scritto proprio ‘Conosci te stesso’” disse Tre. “E’ vero: e in questo motto, che rispecchia la grandezza dell’antica Grecia, è contenuta tutta la ricerca psicologica. Dobbiamo arrivare a sapere chi siamo, anche se, come dice Eraclito ‘non arriveremo mai a conoscere i confini dell’anima, così profondo è il suo logos’”. Ci sono persone – poche, almeno secondo la nostra esperienza – che posseggono un naturale carisma, una spontanea autorevolezza, qualità che non derivano tanto dall’aspetto fisico quanto da quello morale, se così si può dire. E il Viandante le possedeva, senza dubbio. Le sue parole erano sempre ponderate, calibrate, e, anche se le pronunciava con grande naturalezza e spontaneità, si capiva che dietro c’era una grande esperienza, e un lungo lavoro di pensieri e ricerca. Era essenziale, sintetico, semplice, diretto. E queste, non c’è dubbio, sono qualità dell’uomo superiore. Accadde quindi che quando parlava, tutti, spontaneamente, tacevano, cercando di afferrare il più possibile delle sue argomentazioni, che ci apparivano assolutamente affascinanti. Noi, naturalmente,riportiamo le sue frasi per come ce le ricordiamo, e quindi con molta meno incisività e immediatezza: col senno di poi ci dispiace di non aver registrato tutta la conversazione: ma chi poteva mai immaginare? Del resto, meglio così: quanto meno, questo ci ha obbligato a un lavoro di ricostruzione e ricerca; spesso, inoltre, le cose si capiscono quando si cerca di fissarle sulla carta, o di scriverle sulla lavagna della memoria, o di spiegarle a qualcuno. In fondo, bisogna cercare, e ancora cercare, e farsi domande: le risposte, prima o poi, in una forma o in un’altra, in maniera magari completamente improvvisa e inaspettata, arrivano. “Anima?” disse Due, che, avendo maturato una fiera avversione per preti, chiese, riti e cerimonie (e come dargli torto?) considerava con fatalistico distacco anche i temi dibattuti (e, in verità, più che altro distorti e massacrati) dalla religione. “Perché, secondo te, abbiamo un’anima? Che cosa intendi, per

anima?” “Intanto bisogna capirsi con le parole, che altro non sono, in fondo, che azioni della laringe, e mettersi bene d’accordo sul loro significato profondo. Se si intende per anima quella sorta di ‘motore interno’ che spinge verso la comprensione del mondo che ci circonda; dell’universo dentro di noi; del senso della vita, della gioia, del dolore e della morte; insomma che preme per il nostro cammino verso la conoscenza e verso una condizione superiore di esistenza, beh, allora essa, evidentemente, esiste, e la prova sei proprio tu nel momento in cui ti poni questa domanda.” “Ho parlato di prova” continuò “perché è arrivato il tempo in cui, finalmente, il mondo che si trova al di là dei sensi può cominciare ad essere portato all’evidenza psicologica, alla consapevolezza... è arrivata la stagione in cui, oltre quella fisica,anche la natura metafisica dell’uomo può essere accessibile all’esperienza”. “Vuoi dire” disse Tre “chesi può arrivare a provarla?” “Proprio così: è giunto il tempo in cui è possibile pervenire, con la ricerca interna, all’esperienza dello spirito”. La conversazione aveva preso una piega incredibile: dal riso allo spirito! Ma, forse, la distanza non era poi così grande, e magari, chissà, era proprio la piega che volevamo, che le nostre coscienze richiedevano: forse eravamo lì, tutti insieme, in quel luogo, con quella strana e affascinante persona, per avere risposta alle nostre anche inconsapevoli domande. Fatto sta che ci trovammo catapultati, quasi naturalmente, come in un’altra dimensione: una dimensione che aveva il fascino del mistero, il profumo del soprannaturale e il sapore della conoscenza. L’affermazione che era possibile ‘sperimentare l’invisibile’ aveva ovviamente colpito tutti, e stimolato ancora di più curiosità e attenzione. “Però!” “Questa è bella davvero!” “E come si fa?” “Vedete” disse il Viandante “le cose stanno così: come sapete, siamo fatti di energia, e la materia, quella che noi vediamo e tocchiamo,altro non è che energia più condensata; ma niente è statico: è tutto in movimento, tutto in vorticoso movimento, e anche la pietra, dunque, è animata, viva. Bene: l’energia di cui noi, come tutta la creazione, siamo fatti, in parte è visibile ai nostri occhi, e in parte,

quella a vibrazioni più elevate, non lo è. Ma se possedessimo occhi capaci di registrarle, come una sorta di radar, vedremmo allora l’uomo come una specie di ‘uovo’: una massa più o meno luminosa e variamente colorata entro la quale scorre e pulsa l’energia. In mezzo a questa, cari miei, c’è un nucleo di energia pura: un riferimento originario, un centro vitale immortale, che è identico alla coscienza cosmica ed è la luce e la spinta positiva della vita. Vi sono contenute la massima intelligenza, e la completa unità. Nella psicologia moderna è chiamato Sé transpersonale, ma lo possiamo chiamare come vogliamo: il Sé superiore, o magari la ‘Stella danzante’, per usare una bella espressione di Nietzsche, o, se volete, il Nucleo divino. E quest’ultima, forse, è la definizione più giusta.” Rimanemmo, ben ricordiamo, stupiti, ed è dir poco. Ehilà: il Nucleo divino in mezzo a un ‘uovo’ di energia! Questa era una cosa grossa. Ci volle unpo’ di tempo per riordinare i pensieri, durante il quale il Viandante, tranquillamente, finì di mangiare, con gran gusto, il suo pezzo di schiacciata. Il primo che riuscì ad articolare qualcosa fu Uno, che chiese: “E così noi avremmo un Centro spirituale..... Sarebbe come dire che Dio non solo esiste, ma è dentro di noi.... E tu addirittura dici che si può conoscere e sperimentare.... Scusa, sai, ma se lo abbiamo, dev’essere ben nascosto... e come si fa a scovarlo?” “Eh, sì: è veramente ben nascosto, ma, volendo, si può trovare....Credete che non sia possibile? Volete mettervi alla ricerca?” “E come no, accidenti!” “Attenzione: non è facile. I primi i, poi, sono i più importanti, perché ci si può perdere subito...ci vuole impegno, buona volontà, e pazienza...... Ma è una ricerca che vale veramente la pena di compiere, perché quello che si trova è assolutamente prezioso....” “Una specie di caccia al tesoro?” disse Quattro. “In effetti è proprio così: una vera e propria caccia al tesoro....”

Capitolo terzo

La caccia al tesoro Tu rechi in te stesso un sublime amico, che non conosci perché Iddio risiede nell’intimo di ognuno, ma pochi sanno trovarlo.Bhagavad Gita

Dobbiamo sapere che dentro di noi c’è qualche cosa in cui lo spazio e il tempo cessano di esistere,dove gli anelli dell’evoluzione si fondono nell’unità.In questa eterna dimora dell’anima, la rivelazione dell’Anima Suprema è gia completa, l’unione è già compiuta. Rabindranath Tagore

L’uomo possiede dentro di sé molte pelli, che ricoprono la profondità del suo cuore. Egli conosce molte cose, ma non conosce se stesso. Trenta o quaranta pelli, spesse e dure come quelle di un bue o di un orso, ricoprono l’anima. Andate nel vostro mondo interiore e lì imparate a riconoscere voi stessi. Meister Eckhart

Il Nucleo divino. Diamine, che rivelazione! Quello che ci colpì allora, e ancora adesso, ripensandoci, ci meraviglia, non è tanto la grandiosità (almeno per noi) di queste rivelazioni, ma la maniera, semplice e tranquilla, con cui il Viandante si esprimeva. Per lui, l’esistenza di questo straordinario nucleo era cosa naturale, acquisita, e in un certo senso ovvia. A ben vedere, questo deve essere stato l’atteggiamento di tutti i grandi rivoluzionari, come lo sono stati, ad esempio, Copernico e Galileo. Oggi, per qualunque alunno delle elementari, è naturale apprendere il fatto che è la terra a girare intorno al sole e non viceversa: è una nozione che essi acquisiscono e sentono come vera;ma, per allora (e neanche tanto tempo fa) era un’assurdità, e addirittura, per gli ‘illuminati’ ecclesiastici di allora, un’eresia, e sappiamo bene cosa è successo. Ma come? Quello che quel gentile signore, che pareva uscito da una fotografia dell’Ottocento, ci stava dicendo, era, nientemeno, che non solo il Divino esisteva, ma che (una parte? un frammento?) ce l’avevamo tutti dentro! E allora?

E allora i nostri preti, che hanno posto lo Spirito ‘nell’alto dei cieli’, in qualche irraggiungibile iperuranio, così lontano da noi poveri peccatori condannati all’eterna dannazione;che l’hanno piazzato sugli altari circondandolo con i fumi dell’incenso, la nebbia dei dogmi, le nuvole nere delle penitenze e i fulmini dell’ira? Adesso che, raccolte bene o male le idee, ci siamo messi a scrivere questo libro, ci è venuto in mente una piccola, grande storia, che ci sembra il caso di riportare, prima di procedere con la nostra narrazione. Una vecchia leggenda indù racconta che vi fu un tempo lontano in cui tutti gli uomini erano dei. Essi però abusarono talmente della loro divinità che Brahma, signore degli dei, decise di togliere loro il potere divino e di nasconderlo in un posto dove fosse impossibile trovarlo. Nel consesso divino si discusse molto su quale potesse essere il nascondiglio migliore. “Seppelliamo la divinità dell’uomo nella Terra” proposero gli dei. Ma Brahmarispose: “No, non va bene, perché l’uomo scaverà e la ritroverà”. Gli dei, allora, replicarono: “Gettiamo la divinità nelle profondità degli Oceani”. E di nuovo Brahma rispose: “No, perché prima o poi l’uomo arriverà ad esplorare anche gli abissi e le cavità di tutti gli Oceani e sicuramente la riporterà in superficie”. Dopo una lunga discussione gli dei dovettero concludere: “Non sappiamo proprio dove nasconderla, perché non sembra esistere un luogo che l’uomo non sia capace , prima o poi, di raggiungere”. A questo punto Brahma disse: “Ecco ciò che faremo della divinità dell’uomo: la nasconderemo nel suo nucleo più profondo e segreto, perché è il solo posto dove non gli verrà mai in mente di cercarla”. A partire da quel tempo, conclude la leggenda, l’uomo ha compiuto il periplo della Terra, ha esplorato luoghi inaccessibili, scalato montagne, scavato la terra e si è immerso nei mari alla ricerca di qualcosa che si trova dentro di lui. Bella questa leggenda, non c’è che dire (una simile, tra l’altro, si trova anche nell’antica tradizione della Polinesia). Mah! Niente niente noi occidentali, così fieri del nostro modello di civiltà e della nostra capacità di produrre tecnologia, scienza e beni di consumo, ci siamo ‘leggermente’ incasinati, e, per correre dietro all’universo fuori di noi abbiamo perso di vista quello interno? Che avesse ragione Marx quando ha osservato che ‘il risultato delle nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l’esistenza umana avvilita a forza materiale’?

Ma non ci allarghiamo e torniamo al nostro dovere di cronaca: torniamo al nostro Viandante, che ci stava portando alla scoperta nientemeno che del nostro Nucleo divino. “Vediamo unpo’” disse (ed è inutile dire con quanta attenzione lo stavamo ad ascoltare) “mettiamoci a riflettere: mettiamo in moto, come abbiamo detto di fare, la nostra mente, e, soprattutto, la nostra volontà di capire. Dunque: che ci sia qualcosa in noi di ‘soprasensibile’ lo si potrebbe comprendere anche solo dal nostro desiderio di conoscenza; dalla ‘sete di infinito’ che abbiamo; dal fatto stesso che siamo qui a parlare. È una ‘zona’ dalla quale provengono i nostri impulsi superiori, i nostri ideali, le nostre spinte più nobili, le soluzioni intuitive, le emozioni positive originali, al di là e al di sopra di religione e morale; un ‘luogo’ al quale sentiamo di appartenere non meno che al mondo visibile. E il bello è che, confrontandosi a mente aperta con altre persone, si scopre che questi impulsi superiori, queste spinte ideali, coincidono con le loro, e si avverte l’esistenza di qualcosa di superiore, di universale, al quale noi ‘sentiamo’ di appartenere...” Dopo una breve e intensa pausa, come se intuisse i nostri pensieri e i nostri dubbi, continuò: “Ma – potresteargomentare – gli uomini si ingegnano a elaborare costruzioni metafisiche per dare una giustificazione alla vita, che non ne ha, perché è una meteora che nasce dal caso e finisce nel nulla...” “Quando ci ano per la testa pensieri come questi, cari miei” continuò “basta farci un po’ di attenzione: c’è un ‘qualcosa’ dentro di noi che vi si oppone, e cerca di farsi largo tra pessimismi, paure, diffidenze e scetticismi. È una piccola voce, come quella di un bambino, che vuole giocare, e scherzare.Ma pensate unpo’: da dove viene fuori la gioia? Non è un miracolo che l’uomo, con tutti i suoi guai, con la consapevolezza che ha del dolore e della morte, riesca a trovare motivi per ridere e gioire? La gioia, che è anche in chi è oppresso da problemi materiali, sembra contraddire spesso la necessità: ce n’è certamente più di quello che serve, e viene fuori nei momenti più impensabili e imprevisti.... come si fa a considerarla un ‘adattamento darwiniano alla sopravvivenza?’” “Con un po’ di sensibilità” proseguì “si può trovare un riflesso del divino dappertutto: nella bellezza della natura, in certa musica, in tante opere d’arte, nel cielo stellato e nella legge morale dentro di noi... Perfino nel semplice sorriso, spontaneo e istintivo, che ci rivolge una persona sconosciuta, si può scorgere l’espressione di un qualcosa di originario e perfetto, di un ricordo di una antica

condizione di gioia....” Che potevamo dire? Stavamo a sentire, con rispettosa attenzione (e meno male che c’era, l’attenzione, altrimenti questi argomenti, che abbiamo cercato di ricostruire a frammenti, alla meno peggio, con lunghe discussioni,li avremmo perduti – e chissà quanti ne abbiamo persi). “Ci sono molte persone” continuò “che hanno avuto, in certi momenti particolari, esperienze del soprasensibile, e certamente è capitato anche a voi, anche se, magari, non lo avete fissato nella memoria. Ma molti le hanno riferite, e se ne trovano descrizioni nella letteratura... Sono quei momenti in cui si avverte, prepotentemente, la presenza di un’altra dimensione, e questo può avvenire nelle maniere più diverse:una forte immagine interna,una voce che ‘parla dentro’, un ‘sogno ad occhi aperti’,una ispirazione per una poesia, una musica.....” “A me è successo!” se ne uscì fuori, inaspettatamente, Tre. Ehilà! Ma tu guarda cosa veniva fuori: il nostro Tre che aveva avuto una esperienza di ‘quelle buone’! “Ah sì?” “Raccontaci!” Quando non è calcato, forzato ed esibito, il dialetto toscano, bisogna dirlo, è piacevole: il modo stesso di pronunciare le parole le rende, per gli altri, un po’ buffe e scanzonate, e stimola alla comunicativa, e al buonumore. Se poi ci si aggiunge un pizzico di ironia, allora il risultato è assicurato. Da buon fiorentino doc, il nostro amico Tre ha una maniera di parlare scorrevole, con una ironia distaccata e leggera, anche quando tratta argomenti seri. “Era una mattina come tante altre” ci disse “al mare, su una spiaggia in uno stabilimento balneare. Ero seduto su una sedia a sdraio, con la gente che mi camminava davanti .... è difficile da descrivere, perché la sto collocando nel tempo, e nello spazio... in effetti si è trattato di una sorta di stato alterato di coscienza, direi una ‘incoscienza personale’, fuori dalle dimensioni temporali e spaziali... Improvvisamente le persone adulte, i bambini, i loro schiamazzi, la sabbia e il mare, svaniscono: rimaniamo io e quella che appariva la linea di orizzonte, una linea retta che poi si unisce agli estremi e crea un cerchio, e si trasforma in una sfera trasparente, di una limpidezza da far impallidire il diamante più puro, piena di luce, accecante... ed io sono nel mezzo...non so dire

quanto è durata questa esperienza, ma è stata nettissima, e mi si è stampata nella memoria....”qui Tre si fermò, quasi a rievocare quel momento“Tutto qui, amici” aggiunse “tutto qui... ma è stato bellissimo....” L’esperienza del nostro amico e l’intensità con cui l’aveva raccontata ci aveva colpito: “Però!”“Notevole!” “E non ne avevi mai parlato con nessuno?” “Già mi considerano strano: così poi mi pigliavano per grullo!” “Il vostro amico” disse il Viandante “ha probabilmente avuto un assaggio di quelle che si definiscono ‘esperienze delle vette’. Quanto al suo atteggiamento mi sembra comprensibile...” disse il Viandante “Per tutto quello che esce, anche un po’, dal ‘seminato’, c’è infatti sospetto, incredulità preconcetta, avversione immotivata, e derisione sciocca: tutte manifestazioni di quella che si può chiamarela paura del soprannaturale, dello spirito, e della libertà; e allora la gente ha timore a parlare di queste cose, come se fosse un segno non di forza, ma di debolezza.... Invece, con appena un po’ di apertura mentale e voglia sincera di capire, chissà che cosa uscirebbe fuori, unpo’ da tutti!” “Va bene” disse Due dopo una breve pausa “ammettiamo pure che esperienze come questa indichino che dentro l’uomo c’è molto che noi ancora non conosciamo. Però di qui alla dimostrazione dell’esistenza del nucleo spirituale, ancora ce ne vuole...” “E’ vero...” rispose il Viandante “la conoscenza di noi stessi è lunga, e difficile. La dimostrazione del nucleo divino, poi, è una esperienza psicologica, del tutto soggettiva: una evidenza interna alla quale si arriva individualmente dopo una ricerca che nessuno può fare per noi. Soltanto noi possiamo attraversare la nostra personale giungla interna dove esso è celato. Dobbiamo farci largo in mezzo a un intricata ‘vegetazione’ fatta di errori, false credenze, attaccamenti sbagliati, paure.....Ma, dopo un lungo lavoro, si arriva ad essere profondamente, assolutamente certi della sua reale, stupenda presenza È, vi assicuro, un’avventura che vale la pena di intraprendere, e che ci porta sulla strada per conoscere chi veramente siamo”. Sapere chi siamo? Ma questa era la domanda delle domande! E chi se la perdeva, questa ricerca? La decisione fu spontanea e rapida “Non c’è dubbio: partiamo per l’avventura!” “Bene” disse il Viandante “La prima cosa da fare, allora, è di cominciare ad

analizzare le costruzioni che abbiamo eretto intorno al nostro nucleo spirituale, e che ci impediscono di entrare in contatto pieno con la verità che esso contiene. Ci vuole, insomma, un’opera di analisi, di presa di coscienza e poi di demolizione”. “E come si fa?” chiedemmo. Il nostro amico si chinò sul suo zaino, che teneva appoggiato a terra sulla sua destra. “Beh, ci vogliono degli strumenti adatti, come questo” disse, ed estrasse il primo di una serie incredibile, geniale e ‘pazza’ di oggetti, che costituiscono quella che abbiamo chiamato l’‘oggettistica vitale’, e che consideriamo ormai le ‘pietre miliari’ della nostra via toscana all’illuminazione. Ed era, con ogni evidenza, uno.... scolapasta! Stupitissimi e interdetti, chiedemmo: “Scusa... ma che cos’è?” “Ma perché, nonlo vedete? È uno scolapasta!” Capitolo quarto La pazzia La follia libera a meraviglia dalla vergogna e dalla paura. Erasmo da RotterdamElogio della follia

Il folle capisce i fatti. Omero Iliade XVII 32

La più sottile follia è fatta della più sottile saggezza. M. De Montaigne

Se il pazzo persevererà nella sua follia diventerà saggio.

W.Blake

Guardammo stupiti il Viandante che teneva tranquillamente in mano il suo oggetto, e poi le nostre facce. C’era dipinta in tutte, con le espressioni più varie, dall’occhiata in tralice all’occhio sgranato, dall’increspatura ai lati della bocca alla fronte un po’ corrugata e al mezzo sorriso inespresso, un’aria di sospettosa ironia, che lasciava intendere il pensiero comune: “E qui che c’è sotto? Una presa per i fondelli?” È un sospetto, questo, che fa parte, in Toscana, dell’aria che si respira. Già, perché, come ben sai, caro fratello lettore, la nostra è la terra del Boccaccio, del Sacchetti, di Pietro l’Aretino; delle antiche e astute burle descritte nel Decameronee di quelle nuove e geniali come i falsi Modigliani a Livorno; dei premiche vengono assegnati a chi fa la bischerata più grossa o la maggior quantità di bischerate in un anno, come accade in un paese del Valdarno; degli scherzi sbeffeggianti descritti nei suoi film dal toscanissimo Monicelli. E accade allora che, insieme alla ricerca della battuta o dello spunto per qualche risata, ci sia sempre il sospetto di ‘essere sotto tiro’. E in quel caso, a dire il vero, il sospetto ci appariva piuttosto fondato. Niente niente era toscano anche il Viandante? Il nostro amico parlava un italiano assai corretto, tanto da rendere difficile stabilire, di primo acchito, la sua provenienza. Ma, in mezzo alle sue parole, se ne coglieva a volte qualcuna tipica della parlata fiorentina, e una leggerissima inflessione rivelava, all’orecchio attento, quantomeno una lunga frequentazione della città del giglio. Comunque, toscano o no che fosse, in quanto a eleganza di umorismo e finezza di ironia, ci batteva tutti. Certamente sirendeva conto, quando tirava fuori dallo zaino la sua ‘oggettistica vitale’, o quando, con grande naturalezza, ci esponeva le sue ‘frequentazioni’ nelle dimensioni dell’animo umano e dello spirito, di quello che ci ava per la testa. Allora faceva delle pause, quasi ad assaporare l’aria della sorpresa e a godersi l’ironia della situazione, e, sotto sotto, se la rideva, con gli occhi scintillanti e il suo sorriso affabile e leggero. Quando la sorpresa si fu un po’ stemperata per lasciare spazio alla curiosità, il Viandante disse: “Naturalmente, questo è un solo un simbolo del lavoro su noi stessi che dobbiamo compiere. La mente umana ha bisogno di simboli per

figurarsi una comprensione di ciò che non è materiale.... Tutti conoscete, ad esempio, la simbologia con cui si è raffigurato Dio nelle varie epoche: dalla moltitudine di divinità nel pantheon greco o indiano, al vecchio con la barba bianca della tradizione occidentale, all’occhio dentro un triangolo e così via... Nei simboli si trovano il cammino dell’uomo, le sue esigenze interne e il suo inestinguibile bisogno di conoscenza....” “Va bene” riuscì ad articolare Due “Ma, scusa, lo scolapasta che cosa rappresenta?” “La pazzia” disse il nostro amico tranquillamente. La pazzia? Questa era bella davvero! “Per capire il senso simbolico di questo oggetto, amici miei” continuò “basta metterselo in testa” e così dicendo diede lo scolapasta a Tre, che era seduto accanto a lui dalla parte dello zaino. Non c’è dubbio: una persona con il capo dentro a uno scolapasta può essere anche vestita sontuosamente, ricoperta di ori o medaglie, mantelli, ermellini, paramenti da cerimonia, lustrini o gioielli: diventa subito ridicola, e tale era il nostro buon Tre, che, peraltro, se la rideva allegramente, come tutti noi. Pensare a una persona che viaggia con quell’attrezzo in testa fa venire in mente, sicuramente, la diversità e l’individualità più lontana dagli schemi: la pazzia, appunto. Ovviamente l’abbiamo voluto provare tutti, con i commentipiù vari e le risate generali. “Avrete capito certamente” disse il Viandante “che questo rappresenta la pazzia ‘vera’, quella che Erasmo da Rotterdam, per intenderci, ha espresso nel suo famoso Elogio della follia, da non confondere con la distruttiva e caotica assenza di senno. È la pazzia di chi è fuori da conformismi, vanità e falsi pudori; che ha il coraggio di comportarsi con spontaneità e freschezza; che ha insomma ritrovato il suo bambino giocoso. È la pazzia di chi non si è arreso, e pensa che, nonostante tutto e tutti, ci sia ancora speranza...” “E’ un qualcosa” continuò “che si può manifestare in chiunque, scienziato o ignorante, dotto o semplice; una spinta che è al di là e al di sopra delle umane regole, e si trasmette, contagiosa, di anima in anima. È quella forza irrazionale che fa affrontare ad una donna che ha già provato i dolori del parto un’altra

gravidanza; è lo stupore per la vita, fuori dal raziocinio e dalla logica, che si vede nella spontanea grazia dei bambini, stupore che gli adulti spesso perdono e che i vecchi a volte ritrovano quasi per magia; è quello spiritello interno che invita a farsi beffe dei potenti, dei parrucconi, dei seriosi, degli ipocriti, dei falsi penitenti, di chi applaude per imitazione, che fa finta di capire, che si nasconde nel gregge; è il jolly che scombina le carte della vita, la rende affascinante, e prolunga la giovinezza..... Si potrebbe affermare che nella creazione, nella vita che continuamente si rinnova, ci sia una sorta di ‘filamento di pazzia’...” Un filamento di pazzia. Questa immagine del Viandante era suggestiva, e rendeva bene l’idea. Ci sarebbe tornato sopra più tardi, aprendo altre finestre nel nostro orizzonte di meraviglia. “Del resto” proseguì “gli innamorati non sono un po’ pazzi? E quando vivono in questo stato sognante di ‘pazzia’ stanno benissimo:tutto, per loro, sembra possibile, perché sono entrati in una dimensione magica e senza tempo...E, in fondo, l’uomo è andato avanti proprio grazie ai grandi ‘pazzi’, che hanno creduto che anche i sogni più incredibili si potessero realizzare...” “Come Gesù e San sco” osservò Quattro. “E Gandhi” aggiunse Tre. “Eh, sì, non c’è dubbio. Se non erano ‘pazzi’ loro... eppure guardate che rivoluzione hanno provocato! Hanno indicato il divino nell’uomo e la vanità degli attaccamenti materiali; dimostrato possibile l’utopia della fratellanza universale;fatto scoprire la potenza dirompente di azioni apparentemente assurde come il perdono e la non violenza...Con la loro stessa vita hanno gridato a tutti gli uomini che tutto, ma proprio tutto, anche l’impensabile, è possibile, per chi persegue la via dello spirito.....” “Anche che finiremo alla destra del Padre?” si informò, ad ogni buon conto, Uno. “E perché no?” disse il Viandante con un sorriso. “Il fatto è” proseguì “che questo nostro mondo si dà da fare con un incredibile impegno per combatterli, e soffocare, per invidia e paura, le loro libere

espressioni. Non è mai piaciuto, al potere, chi predica la libertà e si comporta da spirito libero; non piace la diversità: tutto deve essere omologato, controllabile e controllato. E così non si riconosce niente se non ha l’aspetto di una merce, e in questo uniforme e caotico rumore di fondo non si sente più la voce dell’infinito.... E’ proprio così: la gran massa degli uomini tendea conformarsi e ad adagiarsi, e pretende che tutti gli altri adottino il proprio modello di realtà; e le cose vanno così da tanto tempo, come sta a dimostrare, ad esempio, l’antica storia del ‘pazzo del Pireo’...” Non gli abbiamo chiesto, allora, che ce la raccontasse: nessuno, probabilmente, voleva far sapere che non ne sapeva un accidenti. Ma, come del resto sulla gran parte dei suoi spunti e delle sue riflessioni, ci siamo tornati sopra, e abbiamo appurato che il Viandante si riferiva ad una storia riportata in un’opera di Platone. C’era dunque un individuo che se ne stava spesso seduto in cima ad una collina dalla quale poteva scorgere tutto il porto del Pireo, con il suo gran movimento di navi, marinai e merci. Era convinto che tutto quello che scorgeva nel porto gli appartenesse, e si sentiva un grande, un fortunato, un re: fantasticava, sognava ed era felice. Finché, naturalmente, non lo convinsero che la sua era solo illusione, e fu così che perse la sua felicità. Certo, per gli altri la sua era veramente un’illusione, ma, per citare il famoso mito della caverna dello stesso Platone, non potrebbe essere un’illusione anche la nostra percezione della realtà? Ci sono dei prigionieri che hanno sempre vissuto sul fondo di una caverna – questo è il mito del grande filosofo greco – legati in modo da non potersi girare. Fuori della caverna ano persone che portano sulla testa statuette che raffigurano oggetti di vario genere, e le loro voci rimbombano all’interno della caverna. Dietro queste persone vi è un fuoco intenso, che proietta sulla parete di fronte agli uomini legati le ombre degli oggetti. Non conoscendo altro che quelle, gli uomini pensano che esse siano la realtà. Uno di loro, però, si libera, si volta, esce dalla caverna e scopre che quella che considerava realtà altro non era che un pallido riflesso, l’illusoria ombradi un’altra, assai più bella e luminosa. E se quella che noi vediamo e consideriamo la realtà prima e ultima, la sola

esistente, non fosse altro che la parte più ‘densa’ di un assai più grande campo di energia, contenente altre forme, altri modi di essere, insomma altre realtà, che alcuni, in momenti e situazioni particolari, o per loro diverse capacità, sono in grado di percepire, magari perché si liberano dei lacci che li tengono legati, come il prigioniero della caverna? “Il fatto è” proseguì il Viandante “che ognuno di noi, pur abitando la stessa realtà fisica, e vivendo magari l’uno accanto all’altro, si trova in effetti in mondi di pensieri, sentimenti ed emozioni completamente diversi, e questi mondi sono altrettanto reali di quello fisico.... La mancata comprensione di questa verità è all’origine di problemi, invidie, antagonismi e inutili sofferenze...” Però! Quello che il nostro amico ci diceva era di straordinario interesse. Cominciammo a guardare lo scolapasta, finito nelle mani del Ciottolaio, che forse già meditava di ricavarne una creazione artistica, con un’altra attenzione. Eh, sì! La pazzia è sempre servita, ma forse mai come in questi tempi ce n’è un gran bisogno. “Oggi” concluse il Viandante “in quest’epoca segnata dal materialismo, è ritenuto pazzo chiparla di anima e di spirito: ecco perché chi si mette in cerca del nucleo divino ha bisogno di questo attrezzo...” E quell’attrezzo, caro fratello lettore, è diventato parte del nostro immaginario e simbolico bagaglio personale, che teniamo nel nostro zaino di viaggiatori della coscienza che ci siamo costruiti, a imitazione di quello del Viandante. In effetti ci siamo così affezionati, che ci viene spontaneo ‘materializzarcelo’ in testa all’occorrenza. A riprova del fatto che siamo tutti diversi, c’è da notare che ognuno se l’è ‘fabbricato’ a modo suo: chi ha optato per quello classico di alluminio con tre zampe e due manici, chi ha scelto altri materiali e fogge, e chi ha optato, con maggiore senso pratico, per quello più agile, senza zampe e con un solo manico, chiamato, dalle nostre parti, il ‘colino’. Il nostro Tre, che aveva avuto l’onore di indossarlo per primo, ci fece sapere, qualche tempo dopo, che l’aveva utilizzato in occasione di una micidiale riunione di condominio, durante la quale era riuscito a mantenersi calmo e ‘leggero’. Siamo stati tutti d’accordo nel ritenere che, come primo test, non è stato niente male. A questo punto, a completamento di questo capitolo sulla pazzia, ci corre l’obbligo di citare una battuta del Ciottolaio che riassume sinteticamente tutte le analisi e le considerazioni filosofiche effettuate: “In questo mondo, se non si è

un po’ pazzi, si rischia di ammattire”; e inoltre di venire incontro al desiderio di uno di noi, che non specifichiamo (meglio un pietoso anonimato nell’anonimato). Da quando abbiamo deciso di fissare in un libro questanostra comune esperienza, ognuno di noi ha portato il suo contributo, sotto forma di riflessioni, ricerche, appunti, ricordi. Il compagno in questione è arrivato un giorno felicissimo nientemeno che con una sua composizione poetica, che riportiamo, non tanto perché siamo convinti che ne valga la pena, quanto per evitare che, toscanamente parlando, ci rompa i corbelli. Eccola qua: il titolo è, manco a dirlo, ‘La Pazzia’. La pazzia, la pazzia! La pazzia che ci sgomenta, la pazzia che fa paura, la pazzia che sempre sfugge a classifiche e censura. La pazzia, la pazzia! La pazzia, ma che cos’è? È una fiamma mai sopita, che ravviva, che ci accende, è il richiamo della vita, è l’ignoto che ci prende; è un bel getto d’acqua pura, una refola frizzante, è le mille bollicine nel buon vino spumeggiante. E’ uno scherzo, uno sberleffo, un dispetto, un’ironia, un’occhiata sbarazzina, uno scoppio d’allegria: è la magica sorgente da cui nasce l’armonia perché è vera libertà, perché è pura fantasia. La pazzia è una follia? O son folli i ‘benpensanti’, gli ordinati, i seri, i saggi, così ben raziocinanti? La pazzia non si comprende, afferrarla è un’illusione:

è materia troppo fina, è di un’altra dimensione. La pazzia è una forza immensa, che fa grandi creazioni e le annienta, le frantuma, le riduce ad illusioni, perché vuole scoperchiare quella piccola sostanza che è celata in ogni cosa: un’essenza cristallina, che dà corpo alla speranza, una gioia piccolina, dal potere dirompente che trasforma il nulla in tutto, e riduce il tutto a niente, perché tutto ciò che esiste, realtà, sogno, pensiero, concretezza ed utopia, tutto ha senso, tutto torna, tutto va purché ci sia questa essenza della vita, questa splendida pazzia. E sistemato con questo il nostro compagno, torniamo alla cronaca di quella incredibile giornata. “Bene” disse allegramente il Viandante “il primo o l’abbiamo compiuto. Adesso bisogna are al lavoro vero e proprio. E a questo punto serve un altro attrezzo”. Si chinò sullo zaino e ne estrasse una sorta di piccola piccozza, più piccola di quelle che usano i muratori o i geologi, con una estremità a taglio e una a punta, e un manico di legno color noce, di forma anatomica e ben levigato. Il metallo era di colore scuro, con le punte lucide dall’uso. “Questo, vedete, è il male-e-peggio”. Capitolo quinto

La demolizione 1 – La religione Qualunque cosa ci sia di divino e buono nell’universo deve farsi strada in noi e esprimersi attraverso di noi. Non possiamo rimanere in disparte a aspettare che lo faccia Dio. Albert Einstein

Scava dentro di te, perché dentro di te è la fonte del bene, e zampillerà senza fine, se continuerai a scavare. Marco Aurelio

Smettila di cantare i tuoi inni, di recitare le tue orazioni! Chi adori in quest’angolo buio e solitario di un tempio le cui porte sono tutte chiuse? Apri i tuoi occhi e guarda: non è qui il tuo Dio. Tagore

“Il male-e-peggio? Maperché l’hai chiamato così?” “Credo che gli spaccapietre lo chiamino proprio in questa maniera: perché, se per sbaglio ci si colpisce una mano con la parte a taglio, ci si fa male, e con quella a punta peggio... Mi piace questo nome, in quanto rende bene l’idea del lavoro che bisogna fare su noi stessi: la demolizione, in pratica, è una presa di coscienza, e questo ci fa andare incontro ad amare sorprese e delusioni dolorose, perché saltano vecchie certezze, e vengono spazzate via le strutture, false ma rassicuranti, su cui poggia la nostra vita. Quando sono quelle ‘esterne’, questo processo fa male; quando si arriva a quelle interne, è ancora peggio”. Hai capito, il Viandante! Guardammo l’attrezzo con una diversa attenzione. Certo, era solo un simbolo, ma rendeva bene l’idea del lavoro interno che

bisogna compiere, così come tutti gli altri oggetti geniali e pazzeschi che sarebbero usciti dallo zaino del nostro amico. Uno, molto interessato, chiese: “Quindi, ognuno deve costruirsi il proprio strumento demolitore? “Certamente: ognuno segue il suo libero e individuale percorso e costruirsi il suo attrezzo, che è fatto, come potete ben capire, di conoscenza, di consapevolezza. E poi deve essere commisurato alle strutture interne da demolire....” “Allora per me ci vuole una ruspa!” esclamò sconsolato il Ciottolaio, che si immaginava evidentemente di dover abbattere barriere granitiche. “Il nostro Cinque ci scherza sopra” osservò Due ridendo “ ma non c’è dubbioche siamo tutti fortemente condizionati...” “E’ verissimo: fin dalla nascita veniamo influenzati da culture e modelli di vita specifici e limitati. Abbiamo subito per secoli i condizionamenti delle varie nazionalità, dello stat, dell’organizzazione sociale, della famiglia, di tradizioni, costumi, religioni, lingue, scuole, propagande di ogni tipo, pressioni economiche, del nostro tipo di alimentazione, degli amici, dell’ambiente di lavoro. Le conseguenze di questo nostro modo di vita confuso e angosciante le vediamo e le sentiamo chiaramente: un senso sempre più forte di insufficienza, di insoddisfazione, di irrequietezza... Non riusciamo a vivere nel presente accontentandoci ed apprezzando quel poco o tanto che abbiamo, ma ci proiettiamo verso un oscuro futuro virtuale, fatto non di certezze ma di promesse di consumare e possedere ancora e sempre di più. In fondo, amici, siamo alla ricerca di anestetici per calmare l’angoscia di vivere.... La politica, poi, anziché sviluppare la libertà dell’individuo, tende a renderlo sempre più asservito allo Stato, e la ricerca scientifica, insieme a positive conquiste,espone l’umanità a terribili pericoli. Non ci interessa comprendere che cosa cercavano i nostri padri e i nostri antenati; rifiutiamo la loro visione del mondo e le loro conquiste morali in nome della religione del nuovo progresso, e così non riusciamo a comprendere neanche noi stessi. E questo è il vero dramma. Troppi sono i vincoli alla nostra libertà di giudizio ed espressione; e non è facile recuperarla. Bisogna sviluppare spirito critico e mettere tutto in discussione, per distinguere la verità dalla menzogna... Bisogna abbattere le costruzioni lasciando le vere strutture portanti, che sono le basi della verità: ecco il significato

simbolico di questo strumento...” L’analisi del nostro amico, lucida e amara, era senza dubbio condivisibile. “Certo” commentò Uno “c’è poco da stare allegri!” “Capisco il tuo sentimento” rispose “ma per trovare i rimedi bisogna avere le idee chiare, e guardare in faccia la realtà, dentro e fuori di noi. Dobbiamo capire cheil meglio si può ottenere solo a prezzo del peggio”. “E i rimedi ci sono?” si informò Due con una punta di scetticismo. “Ma come no!” esclamò il Viandante impugnando allegramente il male-e peggio “e questo strumento che ci sta a fare?”. “Bene!” fu il commento, nelgenerale sollievo “ Epartiamo!” “Allora, se siete decisi” disse il Viandante “avanti: cominciamo dall’esterno, ed esaminiamo la religione”. La religione. L’argomento era ponderoso, per non dire micidiale: l’edificio religioso che l’uomo si è costruito è veramente grande e complesso. Tendemmo tutti le orecchie. “La religione” disse “anzi, le religioni della Terra sono alberi che affondano le proprie radici in terreni composti di menzogna e verità, superstizione e magia; hanno sviluppato una vasta vegetazione sotto la quale si ripara chi non ha ancora la capacità e la forza per camminare all’aperto, liberamente, sotto il sole; rami composti da una essenza che si chiama potere e fronde fatte di un misto di assurdità e logica, buone regole e follie, norme di civile convivenza e pericolosi fanatismi”. “Non che non contengano la verità” continuò “la verità c’è, e come. Basti pensare all’insegnamento delBuddha, e, soprattutto, alla straordinaria luce del messaggio di Cristo: come si fa a non rimanere stupiti e ammirati di fronte all’esempio dirompente e rivoluzionario che ci ha fornito, e alla divina potenza della sua dolcezza? Ma sull’insegnamento originario dei grandi illuminati sonostate costruitevere e proprie strutture di potere, e il potere distorce, corrompe, e allontana dalla verità; e infatti nel nome delle religioni sono state commesse le più grosse nefandezze. Esse sono diventate, insomma, non le

custodi, ma le carceriere dello spirito. La Chiesa cattolica è un esempio chiaro di una struttura amministrativa e di potere, che ha imposto, anche con la frode, la violenza e la paura, una fede dogmatica, verticistica e lontana.... In fondo, ne è venuta fuori una costruzione basata sulla paura della morte...” Però! Niente male, come demolizione! Queste parole, chiare e incisive come un bisturi, che il Viandante pronunciò col suo tono sereno e pacato, trovavano in verità una buona eco nelle nostre coscienze, ed esprimevano, in maniera sintetica, le nostre opinioni, già variamente meditate ed acquisite. In questo, forse, eravamo stati facilitati proprio dall’essere figli della terra toscana, allergica per natura alle manifestazioni del potere, specie se contornate da riti fastosi e fumi di incenso. Già da tempo guardavamo le cerimonie, i dogmi, le contraddizioni e le assurdità della Chiesa romana con distacco, insieme all’amarezza delle speranze ridotte ad illusioni e dell’inutilità della ricerca di certezze. Certo, può far comodo ‘lasciare tutto ai preti’: le domande sulla vita e sull’anima, le risposte prime ed ultime e il controllo sulla nostra vita. Può essere rassicurante far finta di credere e tirare avanti; ma lascia la mente vuota, e la bocca amara. Tre e Quattro, i più ‘ferrati’ di noi nelle questioni e nelle pratiche religiose, fecero osservare che ci sono, all’interno della confessione cattolica, degli esponenti del clero che criticano apertamente posizioni di retroguardia dei vertici romani, arrivando a sostenere che la Chiesa deve essere ormai superata dal rapporto diretto del singolo individuo col Divino. “E non li hanno ancora bruciacchiati?” osservò Due. “No, ma solo pochi anni fa non se la sarebbero certo ata liscia!” disse Tre. “Ma che dicono?” chiese Uno incuriosito. “Ad esempio c’è un sacerdote” disse Quattro “grande studioso dei testi sacri, seguito e apprezzato da moltissime persone, che sostiene apertamente che la religione ha cercato di tenere Dio lontano e inaccessibile agli uomini, per giustificare ilruolo dei preti, che si rivestono con paramenti e compiono cerimonie e riti complicati appunto per affermare il loro compito di intermediari tra l’uomo e la lontana divinità”. “Diamine, ma così fa fuori tutta la struttura della Chiesa!” disse Due.

“In effetti” continuò Tre, che ben lo conosceva “si richiama all’insegnamento originario di Gesù che ha affermato che non esistono ambienti sacri al di fuori dell’uomo; e che quindi il vero tempio dello spirito non è più una costruzione, come dice il Vangelo, fatta da mani d’uomo, ma è la comunità dei credenti, è l’individuo stesso.... Insomma lo spirito è dentro di noi, e ci può fornire tutte le sue stesse energie e capacità...” “Però! Sembra che anche lui parli del Nucleo Divino” osservò Uno. “Dice anche” intervenne Quattro “che non c’è più da meritare l’amore di Dio, ma da accoglierlo. Dobbiamo smetterla di considerarci indegni peccatori e di flagellarci di penitenze: Lui ci conosce, e ci accetta per come siamo”. “Mah!” osservò Due “Non c’è dubbio che, se ancora fosse attiva la ‘Santa’ Inquisizione, una persona che sostiene queste tesi sarebbe finita, quanto meno, in qualche sotterraneo a meditare sulle sue eresie!” Il Viandante riprese il filo del suo discorso: “Vedete, amici: non si può certo negare l’azione positiva svolta dalle religioni: il Paganesimo è stata la prima spontanea spinta verso la perfezione superiore; il Cristianesimo, con la straordinaria azione di Gesù Cristo,ha aperto all’uomo la visione della carità e dell’amore divino; il Buddismo gli ha indicato un mezzo nobile, gentile e non violento per essere più saggio, comprensivo e tollerante; il Giudaismo e l’Islamismo hanno insegnato la fede profonda e la devozione incondizionata a Dio; l’Induismoha aperto vasti e profondi orizzonti nella ricerca interna. Nessuna di esse, però, è stata capace di spiritualizzare l’umanità”. “Masi preparain questi nostri tempi oscuri” continuò “una vera rivoluzione spirituale, al di là e al di sopra di tutte le religioni, che rischiarerà le coscienze dell’umanità proprio come l’alba, che viene dopo le ore più scure della notte, illumina progressivamente il cielo del mattino. Finché non sarà completamente compiuta, non si potranno comprendere gli avvenimenti che si succedono: non si potrà cogliere il loro profondo significato. Ma la rivoluzione, amici, è iniziata, ed è questa che determinerà il prossimo ciclo della nostra umanità...” “Magari!” “Mah, sarebbe troppo bello!” commentammo. “E’ così: nel nucleo divino, in quel piccolo, spontaneo e stupendo bambino giocoso che abbiamo iniziato a cercare, ci sono contenute l’immortalità, l’unità e

la libertà. Esse sono in noi, e aspettano la nostra scoperta... ma ci vuole uno sforzo interno, un lavoro su noi stessi. Bisogna arrivare alla comprensione, all’esperienza e all’evidenza interna: in una parola, alla consapevolezza, che è una conquista superiore...” Che possiamo dire, fratello lettore? Cose grosse, non c’è dubbio: cose che, se da una parte ci ‘spiazzavano’, dall’altra ci incuriosivano, e non poco. Il ‘tesoro dentro di noi che aspetta la nostra scoperta’: dovrai convenire che nonpossa esistere un tema più interessante di questo! Ma torniamo alla nostra cronaca. Il Viandante teneva in mano, pronto all’uso, il suo attrezzo, la cui impugnatura si adattava perfettamente alla sua mano. “E ora?” gli chiedemmo “che cosa vuoi demolire?” “Adesso” disse “diamo un’‘occhiatina’ alla scienza”. Capitolo sesto La demolizione 2 – La scienza Finché l’uomo non sarà capace di riprodurre un filo d’erba, la natura potrà rideredella sua cosiddetta conoscenza scientifica. Thomas Edison

La scienza è fatta di dati come una casa di pietra, ma un ammasso di dati non è scienza più di quanto un mucchio di pietre sia una casa. J.H. Poincaré matematico (1854 – 1912)

Non siamo autorizzati a supporre che esistano leggi fisiche, che siano esistite finora o che continueranno ad esistere in forma analoga nel futuro. Max Planck

Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto una risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati. Ludwig Wittgenstein

Ehilà: attenzione! Mica avrebbe messo in discussione le grandi conquiste e gli indubbi successi della scienza, il cammino dell’uomo verso la conoscenza delle leggi naturali, o l’evidenza dell’evoluzione? Ci mettemmo in ascolto con curiosità, mentre Due, da buon illuminista laico, si apprestava a ‘difendere Galileo dall’oscurantismo’. Quasi a prevenire i nostri dubbi, il Viandante disse: “L’uomo ha, per sua natura, una grande, meravigliosa sete di conoscenza. È una forza che lo spinge a scrutare nel microcosmo della cellula, nella struttura dell’atomo e nell’immensità dell’universo, alla scoperta dell’origine e del perché della vita. Questa ricerca è fondamentale, in quanto dalle risposte a queste domande dipende non solo il soddisfacimento di una curiosità, ma la pace, la serenità e la ricchezza del mondo interiore. Infatti, per usare le parole del grande Einstein, ‘chiunque crede che la propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice, ma appena capace di vivere’....” “Per i grandi scienziati come lui” continuò “l’esperienza più bella che si può avere è il senso del mistero, quell’emozione fondamentale che caratterizza la nascita dell’arte autentica e della vera scienza... E quindi, cari amici, non va certo demolita la ‘struttura di base’ delle discipline scientifiche, che ha contribuito a tante belle conquiste, e che è la spinta alla conoscenza attraverso la forza del pensiero e della ragione....” “E allora?” chiese Due osservando la minacciosa punta dell’attrezzo. “Il fatto è che alla scienza serve più coraggio.” “In che senso, più coraggio?”

“Nel senso che, di fronte alle cose e agli avvenimenti che non si capiscono o che non hanno un apparente significato, anziché cercarne il senso profondo, si preferisce riferirsi al caso. Ne è venuta fuori una sorta di sottomissione della scienza al Caso,diventato una sorta di divinità, che viene chiamata in causa in tutto ciò che l’intelletto, semplicemente, non arriva a capire. Se invece la scienza avesse il coraggio di ammettere l’esistenza di una realtà soprasensibile, riconoscerebbe che esiste un mondo spirituale, e che tutti gli eventi materiali, anche se appaiono come un caos assurdo e disordinato, sono l’espressione di leggi ed eventi che si verificano in quel livello. La medicina, ad esempio, lavora, in fondo, su esseri che non conosce a fondo, perché non riesce ad uscire dal semplice rapporto di causalità biologica. I medici tendono a considerare l’uomo come una macchina, e ignorano chein esso si trovanoentità, energie e intelligenze dalle quali dipende ciò che si verifica sul piano materiale. Non sanno che, oltre a quello fisico, egli possiede altri corpi, composti da vibrazioni più alte e invisibili, e che per guarire i malati non è sufficiente occuparsi solo della loro parte fisica: bisogna saper lavorare più in alto, nei piani ‘sottili’, perché da questidipende il buon funzionamento dell’organismo. Così come ha fatto la Chiesa con i suoi dogmi e i suoi interessi, così fanno gliscienziati – che, come i sacerdoti, sono uomini, con i loro pregi e difetti – quandodifendono il dogma del Caso, considerano valide solo le prove che avvalorano le loro teorie, e si producono in affermazioni definitive e categoriche. Il fattore spirito, insomma, è stato escluso dall’evoluzione, e questo è un vero peccato, perché il risultato è un materialismo che imprigiona la ricerca della verità, appiattisce le coscienze e genera rassegnazione e sfiducia.” “In fondo” continuò “supponiamo pure che sia il Caso il fattore determinante per la vita. C’è allora da osservare che questo Caso deve essere veramente in gamba, se è riuscito a produrre la straordinaria bellezza dell’universo, e un essere, l’uomo, capace di immaginare l’infinito, di grandi costruzioni di pensiero e di stupendecreazioni di arte, di musica, di armonia...” “Per un po’ si può anche dar ragione a chi ritiene che l’enigma dell’esistenza si possa trovare negli studi e nelle opere dei pensatori e scienziati materialisti e nell’esame dei fatti rigorosamente misurabili e oggettivi, ma, a lungo andare, queste ‘soluzioni’ non trovano corrispondenza con le profondità della nostra

anima. Del resto, le tante ipotesi eteorie basate sullo studio del fenomeni chimici e fisici non hanno ancora risposto alla domanda fondamentale: come la materia inanimata si sia trasformata in esseri viventi”. “E Darwin, allora?” chiese Uno. “Il meccanismo dell’evoluzione che Darwin ha scoperto è innegabilmente giusto: quello che è sbagliato, però, è l’esclusione, nelle teorie che si sono sviluppate dai suoi studi, di fattori ‘soprasensibili’. Darwin stesso, del resto, ha scritto, nella sua Origine della specie: “Io credo che tutti gli esseri organici che sono vissuti su questa terra derivino da una forma originaria a cui il Creatore ha insufflato la vita”. “Questo grande scienziato” continuò “ha evidenziato le leggi e i fattori che determinano l’evoluzione sul piano fisico, ma l’evoluzione c’è anche nella realtà soprasensibile, nella dimensione transpersonale: nell’uomo si stanno sviluppando sensi interiori con i quali sarà possibile percepire sempre di più i mondi interiori spirituali, proprio come i nostri organi di senso percepiscono la realtà materiale”. “E quali sono questi sensi?” chiese Tre, evidentemente interessato a comprendere il senso dell’esperienza che ci aveva raccontato. “Possiamo dare qualche nome ai risultati di queste percezioni, come intuizione, rivelazione, visione, o magari chiaroveggenza: è l’irrompere, spesso improvviso e inaspettato, di piccole o grandi illuminazioni interne, di risposte a delle nostre domande, magari inespresse; è la capacità di ‘sentire’ le vibrazioni di un’altra persona, o di cogliere l’atmosfera di una situazione, di un ambiente... Ci sono delle persone, molto evolute da questo punto di vista, che hanno sviluppato la ‘visione spirituale’, e con questa, amici, non c’è bisogno di arrabattarsi con teorie, ipotesi e congetture: si vedono le cose così come sono....” Però! Il Viandante era davvero un pozzo di conoscenza! E il bello era che queste cose le diceva con una naturalezza tale da renderle, non fosse altro che per questo, plausibili. Si avvertiva infatti sempre, nelle parole del nostro amico, la forza della semplicità, dell’umiltà e della sincerità, qualità che appartengono al saggio, all’individuo superiore. Potevamo trovarci più o meno in sintonia con quello che diceva;ma ascoltarlo era, comunque, un piacere. “In fondo” continuò “le più grandi conquiste che l’umanità ha compiuto le deve

proprio a queste persone, che, lavorando alla conoscenza di se stesse, si sono rese ‘trasparenti’ alla verità dentro di loro.” “Come dire” osservò Quattro “che hanno effettuato una bella demolizione!” “Sì, in fondo èproprio così: essere trasparenti vuol dire proprio aver sviluppato una mente libera da pregiudizi e vincoli, esterni e interni, e quindi aver costruito una sorta di ‘contenitore interno’ per ricevere le informazioni dal mondo dello spirito...” “Queste grandi anime” continuò “si riconoscono per la loro indipendenza, per la chiarezza e l’universalità del loro pensiero. Fateci caso, amici: c’è sempre, in loro, il respiro ampio, la visione elevata, la tensione profonda, la capacità di parlare direttamente alle nostre parti più nascoste e vere. C’è, insomma, il soffio dello Spirito”. “E così Einstein, grande fisico e matematico, va oltre calcoli e formule, e arriva a parlarci del sentimento religioso cosmico, ben al di sopra di immagini, riti e dogmi; del suo senso di meraviglia e di profonda umiltà di fronte alla stupenda struttura dell’universo e alla intelligenza che si manifesta nella natura; ci racconta della sua ammirazionedello ‘spirito superiore e infinito’, che si rivela nei dettagli minuti che riusciamo a percepire con le nostre menti fragili e deboli; della sua ‘convinzione profondamente emotiva della presenza di una razionalità suprema che si rivela nell’universo incomprensibile’. E ci dice che la cosa importante è di non smettere mai di interrogarsi sull’eternità, sulla vita e sulla meravigliosa struttura della realtà, e di cercare, ogni giorno, di capire un po’ del mistero dentro di noi. E ha ragione, perché fare pensieri elevati ci eleva, e nobilita tutta la nostra vita...” “Ma non si rischia così di finire con la testa fra le nuvole?” osservò Due. “Bisogna stare attenti” rispose il Viandante “a non farsi prendere da un arido materialismo e neanche a partire per la tangente perdendo il contatto con la realtà: dobbiamo sviluppare il senso della misura, come insegnavano gli antichi greci, e seguire la ‘giusta via di mezzo’ distinguendo la realtà dalla fantasia, il possibile dall’illusione...” “Qui si va sul difficile” osservò Uno un po’ sconsolato. “Può sembrare tutto strano, e difficile, certamente; ma non bisogna

assolutamente scoraggiarsi: abbiamo dentro di noi una potenzialità infinita. Basta mettersi in cammino e partire per la ricerca: una volta che si è presa la decisione di trovare la verità del nostro essere è come se tutto l’universo cospirasse per aiutarci ad avanzare, e ci troviamo allora incanalati in una serie di avvenimenti, incontri, esperienzeche ci aiutano a capire...” “E’ giunto il tempo” ci disse il nostro amico dopo una breve pausa “in cui l’uomo comincia ad uscire dai vincoli angustidella conoscenzarazionale, e inizia a inquadrare la scienza e la tecnica nei limiti e confini giusti, cioè al servizio di una vita che non è comprensibile con la ragione né dominabile con la tecnica... E’ insomma arrivato il tempo della riscoperta della dimensione superiore di esistenza, dello spirito, e se ne vedono i segni, in tutto il mondo.....” “Eh sì” proseguì dopo una breve pausa “ci hanno provato tutti, a imprigionare lo spirito. Ci ha provato la Chiesa, confinandolo in templi e dottrine; la scienza, negandolo o cercando di scovarlo nel profondo della materia. La verità, cari amici, è che lo spirito non può essere incarcerato né sugli altari né nei laboratori scientifici: è libero, libero e gioioso. E’ dappertutto, e, a volte, in certi momenti particolari, sembra di poterlo sentire dentro di noi, o di arrivare a scorgerne un riflesso per qualche breve istante, magari nel mare, nel sorriso di un bambino, in un piccolo fiore o in un semplice gesto di tenerezza. Sembra che faccia capolino, negli angoli più impensati, per ricordarci che esiste una dimensione superiore, fatta di bellezza e di armonia, a cui apparteniamo, e che siamo in cammino per farvi ritorno....” “Noi possiamo fare quello che vogliamo” continuò “possiamo negare che esista, cancellarlo dai nostri interessi, oppure metterci alla sua ricerca. Vedete, amici: supponiamo che una talpa, che ha ato una vita a scavare gallerie al buio, un giorno, mettendo fuori la testa, cominci a scorgere qualcosa, un piccolo barlume, e poi, a poco a poco, arrivi a vedere che, in un mondo del quale neppure sospettava l’esistenza, c’è un uomo che sta addobbando il suo albero di Natale. Se vuole, può decidere di vederci sempre più chiaro, e di sviluppare gli organi che le possano consentire di vivere nella sua nuova dimensione, magari cambiare forma, e un giorno, forse, arrivare a dare una mano all’uomo per fare l’albero sempre più bello. Se sarà questa la sua libera decisione, bene: altrimenti, nulla cambia, perché l’uomo, ogni Natale, continuerà a fare e disfare il suo albero, e magari si farà aiutare da altri amici: dipende tutto da ciò che vuole la talpa...”

“Se ho ben capito” intervenne Cinque, che aveva seguito senza commentare i discorsi su religione, scienza e condizionamenti vari “noi avremmo gli occhi mezzi ciechi, come la talpa!” “In effetti è un po’ così.... gli orientali questo offuscamento della vista spirituale lo chiamano il velo di Maya, ma il concetto è lo stesso...” “Non mi piace, la faccenda del velo, è troppo delicata: preferisco l’immagine del ‘tarpone’” sentenziò il nostro Ciottolaio. E, da buon toscano, non poteva dire altrimenti (Ma tu guarda: basta cambiare una elle con una erre e pronunciarla alla toscana, e una parola prende tutto un’altro tono, e stimola l’ironia e la battuta. Va bene: vuol dire che nella elegante via orientale, l’illuminato si toglie delicatamente dagli occhi il velo di Maya, e in quella toscana, assai più ruspante, il ‘tarpone’ si stropiccia gli occhi e comincia a vedere qualcosa). Bella, comunque, la metafora della talpa e dell’albero di Natale. Ce la ricordiamo, sia per la sua efficacia, ma anche – vedi un po’ come funziona la mente, almeno quella toscana – per la battuta del nostro amico e le risate che ne seguirono. Chissà, fratello lettore: forse, alla fine del nostro viaggio, arriveremo magari anche noi a dare una mano all’Energia Creatrice per addobbare quel grandioso Albero di Natale che è l’Universo! Mah! Mettiamo queste considerazioni nel nostro ‘contenitore di sogni’ e andiamo avanti nel nostro cammino. A questo punto, però, ci corre obbligo di riferire che questa metafora ci ha, manco a dirlo, scatenato l’ironia e la fantasia. Ricordando che gli scienziati dicono che, se sparisse tutto lo spazio interatomico, l’intero universo si ridurrebbe ad una pallina, e che inoltre ci sono anche altri universi, ci siamo figurati una immagine antropomorfa del Creatore che sistema sull’Albero un sacco di universi-palline, con la Moglie (con la emme maiuscola, naturalmente) che gli dice: “Te l’avevo detto di stare attento al Bambino: lo vedi che ha rotto un altro universo?” Ma andiamo avanti, per carità, con la nostra cronaca. A quel punto il nostro Cinque sentì il bisogno di riassumere sinteticamente la situazione. “Va bene” disse “avete parlato a lungo di religione, scienza e spirito e anche della necessità di scavare per trovare questo benedetto Nucleo Divino. E allora che aspettiamo? Scaviamo!”

“Giusto” disse il Viandante “andiamo avanti. Ora, amici, bisogna are a scavare nelle parti nostre più interne, nei nostri condizionamenti e nelle distorsioni profonde. E per far questo bisogna impugnare l’attrezzo in quest’altro modo” e così dicendo afferròil male-e-peggio con la punta in avanti e lo porse al Ciottolaio. “Ahia!” disse Cinque quasi presagendo qualche colpo doloroso. “Vediamo allora di chiarirci le idee sul terreno da scavare. Dimmi” chiese al nostro amico, che teneva in mano l’attrezzo con un po’ di preoccupazione “chi è che tiene in mano il male-e-peggio?” “Come chi è?” rispose il Ciottolaio stupito “Chi vuoi che sia?..... Io!” “E tu chi sei?” chiese il Viandante e aggiunse, rivolto a tutti noi “E voi chi siete?” Ormai avevamo capito che sotto le parole del nostro amico c’era ben più di quello che appariva ad una analisi superficiale, e quindi non rispondemmo subito, cercando una risposta meditata. Chi siamo, ci ha chiesto. E che rispondiamo? Diciamo i nostri nomi? Mmm... banale; Titoli e qualifiche? Per carità! Diciamo che siamo individui appartenenti alla specie umana? No, troppo generico... diciamo che siamo.... ma chi siamo? E mentre noi così pensavamo, il Viandante disse: “Va bene, amici. Cominciamo a chiarirci le idee, rilassiamoci evediamo che cosa non siamo”. Capitolo settimo Ma chi siamo? Occorre anzitutto fare un atto di coraggio e guardare in faccia la realtà; occorre riconoscere la molteplicità psicologica che è in noi, le varie sub-personalità che in noi coesistono, di modo che si potrebbe dire che ogni essere umano è un personaggio pirandelliano. Il primo o perciò consiste nell’accorgersi di tutto quello che esiste e si agita in noi. Il secondo o è lo scoprire quello che realmente siamo: il Sé, l’Io spirituale, lo Spettatore della tragicommedia umana. Roberto AssagioliPsicosintesi

Non abbiamo solo una famiglia esteriore, ma ne abbiamo anche una interna, costituita dai nostri molteplici sé. Se non comprendiamo le pressioni che essi esercitano, non siamo realmente padroni della nostra vita. Hal e Sidra Stone Il dialogo delle Voci

Le pietre su cui eravamo seduti formavano un cerchio, che era una disposizione ottima per vederci tutti in faccia. Ci rilassammo, o, per lo meno, provammo a rilassarci. In effetti il nostro stato interno era certamente, per quello che ci è dato di comprendere, assai lontano dalla calma imperturbabile nella quale si immergono quelli che praticano la meditazione, o le tecniche yoga: nella mente di ognuno volteggiavano allegramente i più strani pensieri. (Qualcuno avrà certamente pensato: “Che cosa non siamo? Questo la prende larga di nulla!”). Ma il momento era bello, ed eravamo, comunque, in uno stato di tranquilla serenità. “Vediamo” cominciò il Viandante “Per prima cosa possiamo osservare che non siamo il nostro corpo: ce l’abbiamo, certo, il corpo, e ce ne rendiamo ben conto, manon possiamo identificarci con questo. Siamo, chiaramente, un’‘altra cosa’, che capisce, appunto, di ‘possedere’ un corpo, o, se volete, di ‘esserci dentro’..... Che ne dite?” “Non c’è dubbio” convenimmo tutti. Il ragionamento filava. “E non siamo neanche le nostre emozioni. Le possiamo ‘sentire arrivare’ da ‘qualche parte’; le possiamo osservare, analizzare, controllare, lasciar crescere, indirizzare, o magari non riuscire a evitare che ci invadano... ma non siamo loro... Va bene? Vi torna?” Seguì una rapida discussione, intervallata dalle immancabili battute sulle emozioni ‘caratteristiche’ di ognuno. Ma la tesi era chiara. Siamo, ancora, qualche ‘altra cosa’. “E nemmeno ci possiamo identificare con i nostri desideri” proseguì il Viandante “li sentiamo in noi, forti e intensi, oppure deboli ed evanescenti; ricorrenti e martellanti, o fuggevoli come nubi nel cielo. Possiamo abbandonarci ad essi,

allontanarli o alimentarli. Ma siamo un’altra cosa....” E anche in questo caso arrivammo a un rapido accordo: l’argomentazione era sintetica e stringente. Il Viandante aveva ragione. “E poi, vedete, non siamo neanche la nostra mente: Noi possediamo una mente, che è un organo che ci serve per ragionare, per capire, per conoscere. Può essere più o meno sviluppata, più o meno capace di afferrare concetti o di risolvere problemi, più o meno lenta o veloce. Provate a chiedervi: quando leggete un libro, chi è quello che legge? La mentericonosce i segni sulla carta, identifica i simboli, collega le parole, ma chi interpreta il tutto? Possiamo dunque dirigerla, controllarla, stimolarla, metterla a tacere. Ma noi non siamo neanche la nostra mente”. Il diverso sviluppo individuale cui aveva accennato il Viandante stimolò, manco a dirlo, salaci considerazioni sulla consistenza dei nostri rispettivi organi mentali. Comunque, fratello lettore, non c’e dubbio: abbiamo una mente, ma non ci possiamo identificare con essa. “E allora?” chiese il Viandante “Se non siamo il nostro corpo,le nostre emozioni, i nostri desideri, e neanche la nostra mente, chi siamo?” “Ma, insomma, chi siamo?” Questa domanda rimase come sospesa in aria, per qualche secondo. Ci siamo tutti guardati in faccia. La questione, indubbiamente, era seria e importante, ma l’ironia, ebbene sì, premeva, e, con quella, la voglia di ridere. Ad ognuno avano per la mente i pensieri più strani, e ci sembrava di intuire quelli degli altri: “E chi saremo mai? Dei bischeracci, naturalmente!” La faccia del Ciottolaio, con un punto interrogativo stampato sulla fronte, eun’espressione comicissima, da sola avrebbe stimolato l’ilarità generale. Il Viandante taceva, con un sorriso appena accennato, ma gli occhi ridevano, con lampi di allegria. Era una situazione simile a quelle che tutti abbiamo vissuto a scuola, quando il fatto di non poter ridere produceva da solo la pressione dell’ilarità. E quindi, inevitabilmente, ci fu uno scoppio di risa. Eh, sì: il riso fa veramente bene; è uno stimolatore eccezionale del buonumore. Ci sembra di ricordare che un grande psicologo ha scritto: ‘non si ride perché si è felici, ma si è felici perché si ride’. In effetti bisognerebbe cercare sempre motivi per ridere, e,

magari, mettersi ogni tanto davanti allo specchio e farsi una bella risata alla facciazza nostra. “Vediamo” riprese il Viandante quando riprendemmo un po’ di controllo “vediamo di capire. Se siamo qualcosa di ‘diverso’ da corpo, emozioni, desideri e mente, qualcosa che li può, in un certo senso, osservare tutti, possiamo affermare di essere un centro, di consapevolezza, di autocoscienza”. Un ‘centro di consapevolezza’! Questa realtà, allora, la afferrammo appena, ma ci siamo ritornati sopra, e ci sembra, adesso, assai più chiara. Siamo degli esseri in grado di osservare e pensare consapevolmente noi stessi; di capire, quasi da spettatori esterni, che cosa avviene dentro di noi. “Ma questo sé consapevole” chiedemmo “è il nucleo divino?” “No, naturalmente: è un noi stessi,per così dire saggio, permanente e continuo, ma è solo un pallido riflesso dell’essenza immortale, del Sé divino....” “Diamine, ma in quanti siamo?” disse il Ciottolaio tenendo in mano il suo attrezzo. “Sentite” continuò il nostro amico “dentro di noi ci sono tante personalità: è come se ci fossero tanti noi, tante parti di noi che formano dei personaggi, con caratteristiche anche molto diverse. Possiamo dire, insomma, che abbiamo tanti ‘sé’: è una famiglia interiore che dobbiamo imparare a conoscere. Del resto, basta osservarci un po’, nella vita di tutti i giorni: possiamo essere un personaggio triste, serio, responsabile, e poi, magari solo per un poco, un mattacchione giocoso e trasgressivo; in una donna seriamente impegnata nel suo ruolo di madre può emergere una ragazzina adolescente in cerca di libertà e avventura....” “Queste personalità si formano fin dalla nascita, attraverso l’ambiente esterno e le esperienze della vita. Quando si nasce si è veramente indifesi e vulnerabili, in tutti i sensi. Non siamo per niente autonomi, a differenza di tanti cuccioli di animali, e abbiamo quindi un bisogno estremo di qualcuno che si occupi di noi, e, soprattutto, di molto affetto. Quello che viene al mondo è un ‘bambino vulnerabile’, sia in termini fisici che psicologici: un essere molto sensibile, che ha una straordinaria capacità di mettersi in relazione con gli altri. In questo essere c’è la nostra impronta psichica; c’è la nostra storia, costruita nelle vite ate, il nostro ‘bagaglio energetico’ unico e irripetibile, ‘stampato’ nel nostro

DNA. È, insomma, la nostra straordinaria ‘essenza di vita’, che ci consente di accedere ai nostri strati più profondi.....” “E’ così prezioso, questo ‘nucleo originario’, che, per tutta la vita, ci diamo da fare per proteggerlo, difenderlo dagli attacchi e dai pericoli e nasconderlo alle insidie dell’esistenza, creando dentro di noi una serie di sé con lo scopo di proteggerlo, il più importante dei quali è proprio il ‘sé protettore e controllore’. Ma, se è vero che questi sé lo proteggono, è anche vero che, per farlo, gli costruiscono intorno scudi, barriere, gabbie ... e così accade che si perdono le qualità del bambino gioioso interno, cioèfreschezza, spontaneità, gioia di vivere e quella stupenda, immediata, spontanea capacità di mettersi in contatto con gli altri. E siccome dell’affetto, dell’amicizia e della presenza degli altri ne abbiamo tutti un gran bisogno, assai più dei beni materiali, ecco che la qualità della vita, necessariamente, si abbassa.....” “E’ proprio così” osservò Due “bisognerebbe riuscire ad invecchiare restando bambini...” “Certo; ma è tutt’altro che facile, naturalmente... con i suoi ostacoli, delusioni e sofferenze, la vita, in questo mondo frenetico, stanca e indurisce.... ma bisogna assolutamente ricuperare una dimensione di allegria consapevole, e questo si può fare soltanto conoscendo noi stessi, e scoprendo lo spirito che è in noi....” Il Viandante fece una pausa. Il sole era ancora alto nel cielo. La luce filtrava attraverso i rami degli alberi disegnando sentieri luminosi e macchie dorate in movimento. Anche lo spazio esterno intorno a noi si riempie della nostra atmosfera interna; e l’aria, in quella piccola radura, era piena di stupore e dell’eccitazione della scoperta: come era affascinante il panorama che si intravedeva dalle finestre che il Viandante apriva sul panorama delle nostre coscienze! Quattro, che aveva subito mostrato un vivo interesse all’argomento delle personalità interne, chiese: “Hai detto che sono tanti, questi sé: e allora come si fa a conoscerli tutti? È una ricerca lunghissima!” “In effetti sono un vero esercito..... Siamo sempre noi, beninteso, in un tutto unico, ma, con un po’ di attenzione a quello checi avviene dentro, alle nostre emozioni, ai nostri pensieri e impulsi profondi, si può riuscire a individuare, come in un palcoscenico di un teatro, i vari ‘attori’ che si presentano in scena: il

tipo serio e quello superficiale; il padre sollecito e autorevole e il ragazzino incosciente; la madre premurosa, ansiosa e preoccupata e l’adolescente trasgressivae avida di libertà; il personaggio decisoe sicuro di sé e quello remissivo e debole; il buon samaritano e il giudice presuntuoso e arrogante; una persona caritatevole e un bieco razzista; un individuo calmo e tollerante e un’altro scostante e violento; uno freddo e indifferente e un altro tenero e apionato; un uomo o una donna rispettosi della verità e altri capaci di mentire spudoratamente. Si possono percepire luci ed ombre, verità e menzogne: si può insomma vedere e sentire svolgersi in noi, come trame e copioni teatrali, le scene della tragicommedia umana.... E, se si fa bene attenzione, si può vedere far capolino ogni tanto, sul palcoscenico, un personaggio spontaneo, un vero ‘attore nato’: un bambino gioioso e giocoso, capace di illuminare, conla sua sola presenza, tutta la scena.... Lo possiamo considerare una delle manifestazioni del Nucleo divino, e, in fondo, una prova della sua presenza....” Tornava fuori il bambino gioioso. Quel bambino che noi siamo stati e che ancora è in noi, messo a tacere dalle vicende della vita, e che è pronto a manifestarsi ancora, se ci ricordiamo di lui. Ha scritto Dostoevskij: “Se un uomo ha grossi problemi dovrebbe rivolgersi ad un bambino; sono loro a possedere il sogno e la libertà”. Sogno e libertà. A pensarci bene, sono proprio questi i contenuti dell’illuminazione: la capacità di immaginare e creare e la completalibertà per farlo. “E’ molto importante” continuò il nostro amico “accettarsi per quello che siamo, con le nostre grandezze e tutte le nostre miserie;riconoscere e valorizzare le nostre parti limpide e cristalline e, soprattutto, individuare ed accettare coraggiosamente quelle torbide e fangose.... Così facendo si può sviluppare un sé consapevole: un sé maturo e responsabile, che sappia guardare in faccia la realtà, per quanto cupa e dolorosa possa essere, ed accettarla, senza scomporsi e senza giudicare. Un nostro sé calmo, saggio e distaccato, in grado di osservare, da una comoda poltrona in platea o da un palco, la rappresentazione che si svolge sulla scena, e capace di delimitare ed analizzare le nostre parti buie... Infatti, cari miei, non si può trasformare niente che non si conosce..... ” “Eh, sì” aggiunse piano e quasi parlando a se stesso, dopo una breve intensa pausa “è veramente importante sviluppare questo piccolo grande ‘io consapevole’, perché deve svolgere un compito fondamentale, grandioso....” Non afferrammo, in quel momento, il senso e l’importanza di questa frase, che

ò quindi quasi inosservata, e che abbiamo solo più tardi ricostruito: eravamo troppo presi da questa faccenda dei personaggi dentro di noi, anche perché il terreno che si andava scoprendo appariva particolarmente fecondo per qualche battuta e ironia. “Insomma, ognuno di noi deve imparare a fare il ‘regista distaccato’ della propria vita!” disse Tre. “Sì, è un po’ così: un regista attento e partecipe, dotato di apertura mentale e libertà di giudizio, ben determinato ad aumentare continuamente, con volontà e pazienza, la sua consapevolezza....” “Ma se i sé sono così tanti” osservò Quattro “e noi abbiamo una personalità con caratteristiche abbastanza determinate, vuol dire che ce ne sono alcuni che ‘ci piacciono’ più degli altri e che ci caratterizzano, altrimenti cambieremmo continuamente....” “E questo è verissimo” rispose il Viandante “In effetti accade che siamo costretti ben presto ad imparare ‘come ci si deve comportare’, per avere l’approvazione dei genitori, della famiglia, dell’ambiente di lavoro, della società, e proteggerci così dagli attacchi esterni. E allora si finisce per sviluppare un gruppo di sé che, più o meno, fanno il ‘mestiere’ dell’importante sé protettore: ed è questo il gruppo che determina in maggior misura i nostri comportamenti e che ci caratterizza di più....” “Ma, nel nostro processo di crescita, ci sono anche dei sé che sono un po’ la ‘controparte’, l’opposto degli altri, e che per questo sono stati rifiutati, respinti, rinnegati, e che per questo si sono come ‘rifugiati’, o, se vogliamo, caduti, in quel grande ‘pentolone’ di pulsioni non soddisfatte, di esperienze rimosse e di vibrazioni compresse e distorte che è l’inconscio: una sorta di ‘cantina’ dell’edificio della nostra personalità.” “Io lo so qual’è il nostro sé prevalente” disse serissimo il Ciottolaio “quello bischero!” Dovevamo aver raggiunto un buon spirito di gruppo, dato chesu questa ponderosa, profonda ed elegante analisi psicologica del nostro amico ci trovammo subito tutti d’accordo, ed anche perché questa faccenda del pentolone, il cui coperchio, ricordavamo, era stato rimosso dal grande Freud, che ci aveva trovato un bel po’ di schifezze, appariva un po’ preoccupante.

Il Viandante se la rideva insieme a noi, serenamente e con evidente piacere. Il riso sdrammatizza, rilassa, e, abbiamo constatato, fissa meglio i ricordi. Infatti, quando ci siamo dati da fare per ricostruire quella giornata, ci siamo accorti che ci venivano in mente gli argomenti proprio in base alle risate e alle battute, che hanno fatto da filo conduttore al ricordo. Sembra quindi che la gioia sia un po’ l’‘autostrada dell’anima’! (Accidenti che definizione! La riportiamo solo perché è venuta in mente a uno di noi e vogliamo onorare il suo sé letterario per paura che gli finisca nell’inconscio, che deve essere già ‘pienotto’. E, dato chedobbiamo essere equanimi, riportiamo, a questo proposito, anche una infame teoria di un altro della compagnia, che ha tratto, dall’osservazione che del ato si ricordano solo i momenti di gioia e allegria, la conclusione che ‘il succo della vita sono le bischerate’.) Ma torniamo, per carità di patria e dovere di cronaca, all’argomento personalità. Anzi, un momento: non ci torniamo, e, giacché ci siamo, facciamo prima un’altra considerazione. Ma che, niente niente, il senso di tutto sia proprio la gioia? Ha scritto Aurobindo: “La gioia è il segreto. Apprendi la gioia pura e tu apprenderai Dio. Quale fu, dunque, il principio di tutto l’affare? L’Esistenza, che si moltiplicò soltanto per la gioia di essere e che piombò in miliardi innumerevoli di forme, per potersi trovare, essa stessa, innumerevolmente”. Mah! Arriveremo mai a comprendere concetti come questi e ad apprendere la vera gioia? Meglio riporre questo interrogativo cosmico nel nostro contenitore interno delle domande senza risposta (chissà dove si trova? nella parte superiore della ‘cantina’?) e tornare, questa volta per davvero, alla nostra cronaca. L’argomentoinconscio e ‘sé rinnegati’ aveva stimolato molto la curiosità, e le domande, nelle più svariate forme e tonalità, arrivarono copiose, condite di considerazioni assai poco riferibili sul probabile contenuto dei ‘pentoloni’ dei componenti della compagnia. Il nostro saggio amico, che dimostrava senza dubbio una pazienza notevole, continuò: “Ne abbiamo un bel numero, di questi sé rinnegati: assai più di quanto possiamo immaginare, ed è molto importante conoscerli. Per ognuno dei sé principali ne esiste uno complementare, che è in pratica il suo opposto. Come possiamo vedere osservandoci solo un poco, insieme alla nostra parte seria c’è quella superficiale; insieme al padre di famiglia responsabile c’è il tipo trasgressivo che vorrebbe mandare tutto al diavolo e andarsene libero in una capanna al sole dei tropici...”

“O magari tornare ai tempi del ’68...” disse Due con una evidente punta di nostalgia. “Ora, che succede?” continuò il Viandante “Accade che tutti questi aspetti della nostra personalità che noi abbiamo trascurato, rifiutato e rinnegato, finiscono nell’inconscio, dove aspettano di essere, finalmente, considerati; da lì, anche se noi non ne siamo consapevoli, condizionano potentemente la nostra vita...” “E in che maniera?” chiese Quattro interessatissimo. “Il fatto è che noi li proiettiamo all’esterno, su un’altra persona o su un oggetto. Ci costruiamo insomma delle immagini interiori e con queste ‘rivestiamo’ persone o cose. Ci siamo costruiti una personalità ‘dura’ e dominante per avere successo nella società? Ecco che allora ci innamoreremo di una persona che noi percepiamo dolce, tenera e sentimentale, e che rappresenta proprio il nostro sé trascurato... Oppure, se avremo rinnegato il sé razionale e libero per sviluppare solo sé dolci e remissivi, finiremo per essere attratti proprio da persone che noi vediamo forti, dominanti e decise....Queste sono dinamiche assai comuni nei rapporti interpersonali: i problemi derivano dal fatto che le persone sono quelle che sono, e non quelle che noi vorremmo che fossero conle nostre proiezioni. E quando una relazione forte, come quelle tra coniugi o amanti, si rompe, il dramma e il dolore sono dovuti non tanto alla separazione dalla persona che se ne è andata o che abbiamo lasciato, quanto al distacco traumatico dalla parte dinoi che gli avevamo proiettato addosso...” “In fondo” continuò “si può affermare che le persone verso le quali proviamo forti emozioni positive o negative, cioè intensa attrazione, oppure odio e repulsione, sono proprio gli specchi dei nostri sé rinnegati...” Il nostro Viandante era veramente un ‘pozzo di San Patrizio’ di conoscenza. Venivano fuori cose incredibili e affascinanti: l’uomo che è un ‘uovo di energia’ immerso in un enorme campo energetico che è l’universo; i condizionamenti esterni, le nostre mille personalità; le vite ate; l’inconscio, con le sue scure profondità piene di sé rimossi, angosce e miserie; le immagini, le proiezioni e le barriere che abbiamo costruito nel corso della vita; e infine la luce e la verità contenute nel nostro nucleo divino: questi erano concetti a noi ancora in gran parte sconosciuti. Li apprendevamo con curiosità e voglia di capire, certamente, ma anche con incertezza e confusione, e, a dirla tutta, anche con una certa dose di incredulità.

Non ci rendevamo ben conto che quel gentiluomo così cortese e saggio ci stava guidando, con ironia e leggerezza,verso la scoperta della scoperte: noi stessi. “Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle; e ano accanto a se stessi senza meravigliarsi” ha scritto Agostino d’Ippona, ed è verissimo. Quello che il Viandante ci ha trasmesso – e non gli saremo mai abbastanza grati per questo – è il senso di grande stupore e meraviglia nello scoprire l’infinito dentro di noi, e il grande viaggio che possiamo compiervi. Ed è questo, cara sorella e fratello lettore, che noi vorremmo comunicarti con questo libro: è proprio questo che ci ha spinto a scriverlo, anche se, ormai lo abbiamo ben capito, la ricerca è assolutamente personale e individuale, e nessuno la può compiere per noi. Dunque: la faccenda si ‘complicava’, ma cercavamo comunque di assorbire il più possibile di quello che il Viandante andava esponendo; e osservavamo, con diversa attenzione, lo scolapasta che Tre aveva deposto delicatamente per terra vicino a lui, e l’attrezzo che il nostro Cinque continuava a tenere in mano con crescente preoccupazione. Forse per cercare di esorcizzare in qualche modo le conseguenze dell’operazione discavo che il nostro amico ci aveva prospettato, il Ciottolaio disse: “Va bene: abbiamo capito che abbiamo subito dall’esterno, fin dalla nascita, un sacco di condizionamenti. In fondo, allora, noi non ne abbiamo colpa. Ne prendiamo coscienza, e il gioco è fatto!” e si apprestò a rendere l’attrezzo al Viandante. “Troppo facile, amico mio” fu la risposta “adesso viene proprio il ‘peggio’, e questo attrezzo non solo te lo devi tenere, ma non basta: ce ne vogliono altri due!” e così dicendo tirò fuori dallo zaino due vasetti. Capitolo ottavo L’ombra Ognuno di noi è seguito da un’ombra: meno questa è incorporata nella vita conscia dell’individuo tanto più è nera e densa. L’incontro con se stessi è una delle esperienze più sgradevolialle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. L’uomo senza ombra è il tipo d’uomo più frequenteche vaneggia di essere soltanto ciò che preferisce sapere di sé. Jung

Ma in voi non dimora solo l’essenza divina. Molto è tuttora umano in voi, e molto in voi non è ancora umano. Kahlil Gibran

È una scoperta vedersi all’improvviso per come si è realmente: avari, litigiosi, rabbiosi, invidiosi, stupidi. Osservare i fatti per quello che sono, senza volerli cambiare, vedere quel che si è rimane una scoperta stupefacente. Da questo studio in poi è possibile andare sempre più in profondità, perché non c’è limite alla conoscenza di se stessi. Krishnamurti

Erano due semplici vasetti in terracotta smaltata. Uno era corto e panciuto, di colore verde, con due piccoli manici ed un’ampia imboccatura; un’altro più stretto e lungo, di colore bianco uniforme, con un solo ampio manico e una parte dell’orlo dell’apertura più sporgente, a forma di piccola brocca. “Questo” disse il Viandante indicando il primo “è il ‘vasetto primo vomito’, e quest’altro è il lacrimatoio”. Beh, questa poi! Ma guarda che cosa usciva fuori da quello zaino! “E questi a che servono?” chiedemmo. “Dunque, amici: qui bisogna penetrare nel nostro profondo e dare un’occhiata alleparti più ‘scure’ dentro di noi, quelle che Jung ha chiamato l’‘Ombra’. In effetti, dato che siamo fatti di energia, appunto di energia si tratta: sono vibrazioni di bassa frequenza, alterate e distorte, che generano scompensi,disarmonie e malattie. Sono le pulsioni dell’ira, dell’odio, dell’invidia, della vanità; le ioni e i desideri inconsci e compressi, le offese subite e quelle fatte, i dolori sepolti, le ferite dell’animo non curate: tutto quello che genera in noi insoddisfazione, ansia, angoscia, paura, e che ci portiamo

dietro nel nostro cammino evolutivo. Prendere coscienza di queste brutte forme energetiche, di questi orrendi ‘inquilini’ dentro la casa della nostra anima non è piacevole: provoca disgusto, nausea, e dolore; e allora si versano lacrime... Ma in questo vasetto, amici, non vanno conservate le lacrime di rabbia, delusione e collera – quelle non sono che un po’ d’acqua salata – ma quelle che vengono dall’aver compreso gli errori commessi, il male che abbiamo fatto: quelle, insomma, che sono strappate alla profondità dell’anima....”. Per un po’ nessuno parlò: anche se le nostre idee erano tutt’altro che chiare, avvertivamo però la sensazione che il Viandante stava andando ad affrontare qualcosa di spesso, denso, informe e pesante, e si apprestava a scavare, come i geologi, in stratificazioni e sedimentazioni spesse e dure come le nere rocce basaltiche delle antiche eruzioni, e nei melmosi fanghi delle paludi. Qualcuno di noi, probabilmente, si chiedeva come diamine eravamo capitati lì, conquello strano individuo e i suoi stranissimi e assurdi attrezzi, a sentire storie più o meno pazze di energia, di materia, di vita e di anima. A distanza di tempo, e osservando dalla prospettiva del ricordo quei sei uomini in cerchio in un bosco in un giorno di maggio, ci viene in mente l’immagine pirandelliana dei ‘sei personaggi in cerca d’autore’: solo che, a pensarci bene, solo noi cinque eravamo in cerca di autore, perché il Viandante il suo Autore l’aveva trovato, eccome! E l’Autore, infatti si tratta di trovare. Chiamiamolo come vogliamo: Verità, Senso, Motivo, Origine, Risposta, o magari Movimento, o semplicemente Ricerca. Qualcosa dobbiamo trovare, oggi, domani, o adesso, in questo istante, perché la ricerca fa parte della vita: è l’essenza stessa della nostra condizione di uomini. E se c’è da scavare, scaviamo. E proprio così disse il buon Tre, interpretando il pensiero di tutti: “Mah! E allora guardiamola in faccia quest’ombra, e vediamo che succede!” Da quanto tempo eravamo lì, a parlare col Viandante? Si verificò, allora, il fenomeno che accade nei momenti più intensi della nostra vita: il tempo perde il suo ritmo consueto. Si dilata, per brevi istanti, enormemente, illuminando come un lampo nella notte tutto l’orizzonte, e rimane poi stampato nel ricordo, magari per tutta la vita, sfidando così il trascorrere del tempo; ed anche si contrae, per cui un’ora, un giorno, sembrano are in un attimo. Con la misura dell’orologio, tuttavia, di tempo ne era ato poco; il sole era ancora sulle alte cime degli alberi intorno: faceva splendere la primavera, e disegnava le nostre

ombre sulla terra. E noi, anche se di ben altro tipo,eravamo in caccia di ombre. Osservando attentamente il nostro amico, ci apprestammo ad ascoltare. “Il nostro io cosciente è, da sempre, combattuto tra le spinte dal ‘basso’, cioè dall’inconscio profondo, e i richiami dall’‘alto’, dal sé superiore: in questa situazione di conflitto costante si svolge il nostro percorso evolutivo. I pensieri, vedete, sono manifestazioni energetiche, sono vere e proprie forme di energia, che hanno una loro vita e una loro forza: possono essere elevati, espingerci verso le zone superiori, o bassi e distorti, e andare ad alimentare le pulsioni del nostro inconscio inferiore. Il nostro io, che è come dire noi stessi, è libero di dare ascolto e di identificarsi con una o l’altra spinta: può fare ciò che vuole: può rimanere ‘a metà’ e andare così avanti di vita in vita e di corpo in corpo, in situazioni di conflitto che genereranno necessariamente problemi e dolori, oppure può decidere di acquistare la consapevolezza che lo porterà a scegliere, finalmente, la ‘via superiore’; che è l’unica, stupenda ‘via di uscita...” “Eh, sì” aggiunse quasi parlando a se stesso “the only way out is the way up....”. (per dovere di cronaca dobbiamo dire che disse queste parole con una impeccabile pronuncia inglese) “Vedete” continuò “quello che noi chiamiamo ‘male’, in effetti si può definire ‘insensibilità’: noi facciamo il male quando siamo insensibili alla voce della verità dentro di noi. Semplicemente non la sentiamo, o, peggio, non la vogliamo sentire; e questo a causa di tutte le barriere che, come abbiamo visto, abbiamo eretto intorno al nucleo divino. Del resto, guardate l’orribile insensibilità di chi commette violenza sui deboli, gli indifesi, i bambini; e la fredda ferocia che si è rivestita, nell’ultima guerra mondiale, con le nere uniformi dei nazisti... L’insensibilità porta all’indifferenza, e, al suo estremo, diventa crudeltà: spaventosa e fredda crudeltà, tanto più mostruosa in quanto ha giustificazione, principio e fine in se stessa... Certamente, di fronte a questo, come di fronte a tante altre grandi e piccole manifestazioni dell’umana follia, voi provate un senso di repulsione, e disgusto, e commozione per il dolore delle vittime; ma, cari amici, c’è un punto, un punto dolente e oscuro, su cui dovete interrogarvi con onestà e coraggio: siete completamente immuni da tutto questo? Non c’è, dentro di voi, un seppur

piccolo riflesso di questi comportamenti distorti? Non si manifestano mai in voi la rabbia, l’invidia, l’odio per qualcuno, il desiderio di potere o di vendetta, o magari quel sottile piacere nell’apprendere le disgrazie degli altri? Non c’è ombra in voi di vanità, protagonismo, o indifferenza verso chi, anche vicino a voi, sta soffrendo e ha bisogno di aiuto? Siete immuni da critiche malevole, discriminazioni, razzismo e attaccamento per il denaro e i beni materiali? A queste domande ognuno deve dare la propria sincera e onesta risposta. E, in caso di nausea e lacrime, ci sono qui gli appositi vasetti....” “Le manifestazioni del male, il cosiddetto male” proseguì “si possono riassumere nelle spinte alla separazione, nel materialismo e nella menzogna. Chi ha scelto le forze oscure è così che si comporta: vuole separare i legami di affetto tra gli altri per asservirli al proprio potere; induce a correre dietro a consumi e beni materiali; ricorre, con straordinaria faccia tosta, alla menzogna; non prova rimorsi, non ha sensi di colpa: è completamente anestetizzato nei confronti del Sé superiore. Se voi, adesso, in questa vita, rifiutate queste negazioni della coscienza e della verità; sesiete arrivati a capire lepiù aberranti distorsioni della coscienza, è perché avete attraversato una parte del nero fiume dell’ombra: perché assassini, mascalzoni, ladri, farabutti e delinquenti lo siete già stati.....” “E se solo siete un po’ onesti con voi stessi” concluse “dovete riconoscere che ancora tanto in voi deve essere purificato, e molto cammino ancora deve essere percorso....” Pausa di silenzio pieno di riflessione. E che facevamo, ci mettevamo a scagliare la prima pietra? Ma neanche la seconda; neanche un sassolino, o un granello di polvere! C’è poco da inventarsi scuse e cercare giustificazioni: non c’è niente da nascondere. Al diavolo orgoglio, immagini, proiezioni e barriere. E’ vero, il Viandante aveva ragione: basta esaminarsi con appena un po’ di attenzione per capire che c’è ancora parecchio in noi da ‘sistemare’, e non tanto in vista di una sorta di ‘paradiso’ futuro, quanto per star bene qui, in questa nostra irripetibile e preziosa vita, adesso, subito. “Hai detto che siamo ati attraverso delle ‘condizioni di ombra’” osservò Uno dopo la lunga pausa “mi sembra chiaro che ti riferisci a vite ate...” “Certo: a vite ate, ed anche al percorso in questa.... Il cammino evolutivo, amici miei, è lungo; le lezioni da apprendere sono tante, come ben capite, e bisogna are attraverso tutte le esperienze. Come dice Jung, l’uomo ‘deve

implacabilmente conoscere tutto il bene che può fare e tutti i crimini che è capace di compiere, e deve far attenzione a non considerare il primo reale ed i secondi illusori. Ambedue fanno parte della sua natura, ed ambedue sono destinati a venire alla luce se egli si impegna, come dovrebbe, a vivere senza ingannare e illudere se stesso’.... Tutte le nostre vibrazioni devono elevarsi di frequenza, e quelle basse e distorte devono quindi trasformarsi. Anche se, in teoria, è possibile questa purificazione completa in una vita, in realtà bisogna restare per molto tempo in quella che gli orientali chiamano ‘la ruota dell’esistenza materiale’. In ogni vita, la nostra parte fisica si modella in base ai genitori, ma la parte profonda, il nostro carattere di base, è il risultato delle nostre conquiste e dei nostri errori, individuali e unici: è la nostra anima, il distillato delle nostre esperienze, della nostra storia, del nostro percorso. E allora ognuno di noi costruisce il suo ‘libro della vita’: dopo ogni esistenza un nuovo ‘foglio’ si aggiunge, accrescendo, attraverso l’esperienza, l’essenza vitale; e così, se le esistenze ate sono state proficue, quella successiva si sviluppa per il meglio...altrimenti arrivano le mazzate, che noi stessi ‘richiediamo’.... Comunque, amici miei, arriva un momento, nella nostra evoluzione, in cui si perviene alla consapevolezza, e allora la spinta si fa più forte, e il processo si accelera: si comincia a rendersi conto della presenza del nucleo divino, e quando l’esistenza in noi di questa straordinaria forza cosmica, di questa massima intelligenza universale, diventa una certezza, allora l’orizzonte si illumina, tutto diventa possibile, anche l’impensabile, e i sogni più incredibili possono prendere consistenza e realtà....” “Meno male che ci dici queste belle cose” disse Cinque un po’ per scherzo, e unpo’ seriamente “quei vasetti e i discorsi sulle ombre mi avevano buttato unpo’ giù di corda....” “Animo, amico mio! Su con la vita!” disse ridendo il Viandante. “E va bene” ribatté il Ciottolaio “in fondo che problema c’è? Basta spalare qualche tonnellata di melma, e il gioco è fatto!” “Fate bene a tirare fuori l’ironia, amici; è importante: serve a sdrammatizzare, e ad affrontare più serenamente il lavoro da fare...” “Scusami” interloquì Tre “hai parlato di vite ate, e il ragionamento sulle

tante esperienze da compiere mi torna... ma com’è che noi non ricordiamo niente?” “Vedi, caro amico” rispose con un sorriso “per quanto questo possa sembrarti strano e ‘pazzo’ – ma ormai ti sei messo in testa lo scolapasta – nel periodo che segue la morte si elabora e si rivede, con opportuni aiuti, la vita precedente, si pianifica quella futura e, prima di rinascere, siviene come anestetizzati nei ricordi, in modo da dare efficacia all’esperienza della successiva vita... Tuttavia non è proprio vero che nessuno ricorda: ci sono moltissimi esempi, specie in Oriente, di affioramento di ricordi precisi, per non parlare di particolari esperienze vissute da persone scampate a gravi traumi con perdita della coscienza ordinaria.... ” Però! Ora usciva fuori anche l’anestesia prenatale! Il Ciottolaio non si lasciò scappare l’occasione per una battuta, che, come al solito, ci è servita per ricordare bene l’argomento: “Con me hanno sicuramente sbagliato la dose dell’anestetico: me ne hanno dato troppo, e mi hanno rincoglionito!” E dopo le risate generali che seguirono a questa frase del nostro Cinque e gli inevitabili salaci commenti, la conversazione riprese il suo corso. “E così, se ho ben capito” osservò Tre “per comprendere il male bisogna ‘arci dentro’...” “In fondo è proprio così” rispose il nostro amico “gli uomini non capiscono che la guerra è una cosa orrenda? E allora eccola, la violenza e la distruzione: che la provino sulla propria pelle. La vaccinazione contro la guerra, in fondo, è la guerra stessa...” “Sembra che le medicine per la coscienza dell’uomo siano di tipo omeopatico” osservò Quattro da buon medico. “Già” fece eco Due “curare il simile con il simile....” “Ma è mai possibile” disse Uno “che l’uomo, per capire, abbia bisogno di queste mazzate? Di tragedie, dolori e distruzioni?” “Fino ad oggi è andata così” riprese il Viandante “basta conoscere anche solo un po’ la storia.... Ma è arrivato il tempo in cui molti uomini cominciano a comprendere che non c’è più da percuotersi il petto e flagellarsi proclamandosi

colpevoli di chissà quale colpa originaria e indefinita, ma da sostituire al concetto di peccato quello della responsabilità, e alla fede imposta dall’ignoranza e dalla paura quella serena, profonda e consapevole che deriva dalla conoscenza; che devono smetterla di addossare la colpa delle loro disgrazie agli altri, o all’iniquo fato, e capire che tutto, ma proprio tutto, è determinato da loro stessi: vita, evoluzione e destino....” Il Viandante ci forniva, caro fratello lettore, dei veri bocconi disaggezza, delle sorsate di conoscenza, su cui riflettere e meditare: e non c’è niente di meglio, per l’anima affamata e assetata, che questo buon cibo. E noi ne avevamo bisogno, eccome. Ci è capitato allora, nelle ricerche che abbiamo effettuato in seguito, di trovare molti echi e conferme di quello che il nostro amico ci ha esposto. Ecco, ad esempio, a proposito di questo ultimo tema della responsabilità umana, quello che scrive il grande Jung: “E’spesso tragico constatare quanto sfacciatamente un uomo rovini la sua vita e quella degli altri, eppure quanto sia totalmente incapace di vedere che l’intera tragedia ha origine dentro di lui, e che lui stesso continua ad alimentarla ed a perpetuarla. Non coscientemente, naturalmente, perché coscientemente è impegnato a lamentarsi del perfido mondo, che nel frattempo recede da lui sempre di più. È un fattore inconscio quello che gli fa tessere la tela illusoria che vela il suo mondo.” La tela illusoria che vela il nostro mondo; il velo di Maya da noi stessi prodotto; le barriere da abbattere a botte di conoscenza. Non c’è che dire: un lavoro stupendo, una impresa affascinante. E siccome ci è venuta in mente, sempre a questo proposito, una frase di Giordano Bruno (straordinario personaggio, illuminato e coraggioso nel sostenere il suo libero pensiero, ed ovviamente perseguitato dalla Chiesa cattolica, che lo condannò al rogo), vogliamo riportare anche questa: “Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell’illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco”. E, dopo aver reso doveroso omaggio a questi due precursori nella grande avventura dell’umana coscienza, torniamo alla cronaca. “E’ proprio così: siamo noi i registi e gli attori della nostra vita: noi tracciamo la

nostra via; noi determiniamo ciò che ci accade...” continuò il Viandante. “Mi sembra di capire” osservò Tre, che stai facendo riferimento alla concezione orientale del karma...” “Sì, è così: si può dire che le nostre azioni di ieri sono il nostro destino di oggi: sono gli effetti attuali delle cause del ato. Gli orientali chiamano karma la nostra attività diventata destino. Ma, in fondo, non c’è da rifarsi agli orientali per comprendere che le nostre libere azioni, di qualsiasi tipo esse siano, producono un effetto, a breve o a lungo termine: lo vediamo nei rapporti con gli altri, nei grandi avvenimenti della vita come nelle piccole vicende di tutti i giorni. È così, amici: non esiste un destino immutabile, ma nessuna nostra azione resta senza effetto, e se si semina vento, non c’è dubbio che si raccoglie tempesta. Le difficoltà e i problemi, insomma, ce li creiamo da soli, ed essi sono l’effetto delle nostre azioni, e, insieme, l’unica medicina possibile per guarire”. “Se è vero che i problemi ce li procuriamo da soli, io nelle precedenti vite devo aver combinato un disastro!” disse Cinque. E ci raccontò a modo suo, tra le risate generali, un paio di circostanze in cui si era trovato in micidiali gineprai, dai quali era uscito piuttosto malconcio. Comunque sia, ombre o no, il clima tra di noi era allegro, e nessuno perdeva l’occasione per uno spunto e una battuta. Ma il Viandante, tra una risata e una seria riflessione, ci stava, in fondo, facendo da specchio: ci metteva, con i suoi pazzi attrezzi e la sua serena arguzia, di fronte a noi stessi. Ci rimandava addosso le nostre proiezioni, immagini, illusioni, false credenze e ipocrisie; ci richiamava alla nostra responsabilità: ci costringeva, insomma, a guardarci dentro, e a cercare dentro di noi luci ed ombre, cause e rimedi, domande e risposte. “E ora che abbiamo chiarito la nostra responsabilità” disse Quattro, quando l’ilarità aveva lasciato spazio al ritorno della curiosità “come si va avanti?” “A questo punto” riprese il Viandante “bisogna scendere nel nostro profondo, e qui comincia il difficile, il vero lavoro. Vedete, amici, questi ‘muri’ che abbiamo eretto intorno alla nostra essenza spirituale sono fatti di mattoni tenuti insieme da un cemento molto consistente e tenace che si chiama paura. Una paura che è, in effetti, la somma di tante altre paure, piccole e grandi, quasi tutte inconsce: dobbiamo affrontarle, e comprenderle tutte, perché non si può lavorare su ciò che non si conosce...”

Ahia. Le paure. Il ‘gioco’ si faceva veramente difficile.... Con la calma serena che lo distingueva, il nostro amico aggiunse: “E per questo ci vuole un attrezzo adatto....” ed estrasse dal suo ‘zaino delle meraviglie’ una sorta di piatto metallico, nero e squadrato, con due manici, che presentava, nella parte centrale, molti avvallamenti, didiversa forma e grandezza. “E questo cos’è?” “Questo è il vassoio porta-rospi”. Capitolo nono Le paure Soltanto il vecchio, il comprovato, è sicuro; o, per lo meno, così sembra. Ogni nuovo o comporta il pericolo di un fallimento, ed è qui che va ricercato uno dei motivi per cui la gente ha tanta paura della libertà. Erich Fromm

Conoscere la nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri. Jung

Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è quella dell’ignoto. H.P. Lovecraft

Gli uomini hanno, per natura, più paura della verità che della morte. S. Kierkegaard

Ancora una volta il Viandante ci aveva sorpreso. “Beh, questa poi! Un portarospi!” “E che vuol significare?” “Abbiamo visto, amici, che ciò che ci accade è nostra responsabilità: può non piacere, ma è così. Le vibrazioni che compongono il nostro mondo interno ‘attraggono’ forme energetiche simili: e cioè pensieri, persone e avvenimenti. Abbiamo delle pulsioni basse, dei ‘nodi’ da sciogliere, insomma una parte di ombra nascosta nell’inconscio? Ecco che questa attira, anche se non ce ne rendiamo conto coscientemente, ‘energia oscura’, ed allora commettiamo errori, creiamo forme sfavorevoli e attriti al fluire dell’energia, ed arrivano guai, problemi, persone che ci procurano offese e situazioni difficili, che poi dobbiamo, magari con grande fatica, risolvere.” “Bisogna” continuò “scavare, e ancora scavare, e arrivare alla nostra nuda vulnerabilità. Bisogna conoscere le nostre paure, che, come dice Gandhi, sono ‘il tessuto illusorio della nostra visione’, il collante che tiene insiemetutte le nostre maschere, immagini, e proiezioni: tutto quello che tende a renderci inerti, ignavi, rassegnati, opachi, ansiosi, malatied infelici. Insomma, amici miei, bisogna ‘tirar fuori i rospi’.” “Vuoi dire” osservò Quattro “che se tiriamo fuori i nostri rospi evitiamo che la vita, per insegnarci, debba ricorrere a guai e mazzate?” “Proprio così, amico mio” fu la risposta. Tirare fuori i rospi e arrivare a metterci a nudo. Però! Impresa non da poco. Coseda psicanalisi, osservammo, roba da stare giornate sdraiati sul lettino di qualche ‘strizzacervelli’. Ma il Viandante non la pensava così. “Certo, un aiuto, una guida, serve a tutti, ma un bel po’ di lavoro lo possiamo e dobbiamo fare da soli, perché è assolutamente compatibile con le nostre forze. Possiamo, insomma, diventare gli psicanalisti di noi stessi: basta armarci di volontà, determinazione e voglia di capire, e arriveranno allora, come per magia, le persone e gli avvenimenti giusti...” Eh, sì: le persone e le circostanze giuste arrivano, eccome: ed il Viandante ne era, in fondo, la prova più evidente.

“E allora” disse Due riassumendo il pensiero di tutti “andiamoli a vedere, questi rospi! Che facciamo, ci mettiamo in testa lo scolapasta?” Il Viandante rise. “No, lo scolapasta non serve. Per dare una bella occhiata al lago oscuro delle paure non serve la pazzia, anche se sana: bisogna guardarle a capo scoperto e ad occhi aperti, in faccia, e analizzarle lucidamente, con il distacco che il nostro io consapevole sta faticosamente conquistando. Già: perché non si può trasformare quello che non si conosce, e noi le nostre paure dobbiamo arrivare a conoscerle tutte, e ad amarle, o, quanto meno, a ringraziarle, perché sono gli ostacoli che ci hanno fatto crescere, i gradini della scala che noi stiamo salendo nel nostro percorso evolutivo.” “Questo vassoio sì che serve” continuò “lo terremo tranquillamente in mano, e ci metteremo via via i ‘mostri’ che affronteremo: potranno di volta in volta apparire enormi ed invincibili, ma, dopo la nostra serena e distaccata analisi, prenderanno l’aspetto di piccoli rospi, che troveranno tranquillamente posto nel nostro apposito contenitore. Alla fine ce ne andremo sulla riva del fiume, magari proprio quello del Siddharta, e proprio alla casa del battelliere che traghetta sull’altra sponda, dove il grande illuminato è approdato alla fine della sua vita, e lì, serenamente, butteremo i nostri rospetti, che nuoteranno allegramente nell’acqua bassa della riva. Così sarà, perché, ‘semplicemente’, così vogliamo che sia, e soprattutto perché non cesseremo, conoscendo i nostri limiti, di chiedere aiuto alle infinite possibilità del nostro Sé superiore. E allora avanti, e andiamo a vedere che cosa c’è nelle scure acque limacciose delle nostre profondità. I vari strati che circondano il Sé transpersonale, o nucleo divino, si potrebbero paragonare anche alle bucce di una cipolla, da togliere una per una, da quelle leggere fino alle più interne, spesse e pesanti. Magari questa operazione ci farà venire un po’ di nausea, o piangere, come quando si sbuccia una cipolla vera, ma siamo pronti: abbiamo i nostri fedeli vasetti”. “Le paure, amici miei” riprese “sono proprio tante. Si dice che le due forze necessarie per la nostra evoluzione, le due facce della medaglia, sono l’amore e la paura: infatti non si può lavorare sulla paura senza amore e sull’amore senza lavorare sulla paura. E la paura, così come l’amore, ha mille volti, mille aspetti, mille forme, evidenti e nascoste, grosse e sottili, persistenti ed evanescenti: e bisogna scovarle tutte. Ci sono le paure di consistenza spessa e grezza, che vengono dalla notte dei

tempi e dal buio delle caverne, dagli albori dell’evoluzione umana, e che ci portiamo dentro nel nostro fondo oscuro: sono le paure ancestrali, dei lampi, dei tuoni, del buio, delle tempeste, delle potenti forze della natura, sulle quali l’uomo primitivo proiettava i suoi dèi e i suoi demoni. Sono quegli allarmi interni necessari alla sopravvivenza, che entrano in funzione in maniera automatica, attivati da un’immagine, un suono, un odore, un movimento, un riflesso, la forma di un’ombra, che costituiscono lo strato profondo del nostro inconscio, ed alimentano le nostre costruzioni mentali.” “Sono proprio costruzioni mentali, amici” riprese dopo una pausa “già, perché la paura, in grandissima parte, è una creazione della mente, un’illusione. Tenace, dura, ma nient’altro che illusione. Ci sono, certamente, le paure ‘vere’, e la realtà ce ne mostra tante, dai disastri naturali a quelli, ben più gravi, provocati dagli uomini, ma queste, in fondo, sono una minoranza: il resto sono perverse e perniciose immagini mentali, vibrazioni dissonanti e distorte derivate da energie primordiali che fanno parte della materia densa, ed è su queste che possiamo e dobbiamo lavorare. Sono, molto spesso, dei fantasmi, provocati da emozioni molto potenti, che ci hanno accompagnato di vita in vita, generate da grandi sofferenze sepolte in fondo all’anima. Fin dalla nostra infanzia queste impronte mentali sono alimentate dai racconti, dai comportamenti degli adulti, dalle fantasie, dai giochi, dai riti. Tutti ricordiamo le varie minacce sugli orchi o i mostri, che venivano fatte per ‘tenerci buoni’, i racconti pescati nelle superstizioni e nella magia, o i richiami a colpe, peccati, punizioni e maledizioni divine che i preti ci propinavano dall’alto di pulpiti, circondati da fumi di incensi e immagini di tristezza e dolore”. “E adesso che siamo cresciuti” osservò Due “continuiamo ad alimentare le paure e, bisogna dire, ci riusciamo piuttosto bene...” “E’ vero: in effetti ‘giochiamo’ in maniera esplicita o inconscia, sottile e perversa, a fare paura, soprattutto a noi stessi, e magari a sfruttare le paure degli altri per esercitare su di essi potere e controllo. Ed ecco allora emergere, dalle nostre profondità, la preoccupazione, le proiezioni nel futuro e nel ato, la mancanza di amore e fiducia in noi stessi, il dubbio, la gelosia, il rancore, la paura delle punizioni, del dolore e della sofferenza, dell’eros e del sesso, dell’isolamento e dell’abbandono, di provare il piacere e le emozioni, la paura di perdere il controllo, la paura che gli altri vedano le nostre debolezze e difetti, la paura di non meritare la felicità, di non farcela a vivere, la paura dello scorrere

del tempo, la paura della verità e della libertà, fino a quella, profonda, secca e definitiva, del ‘grande ignoto’, cioè della morte. Sono tante, e dai tanti aspetti: è fondamentale cercare di elencarle ed analizzarle, per guardarle in faccia, una volta per tutte. Ognuno di noi ha il suo fardello grande o piccolo di paure, e sono proprio queste il più forte ostacolo al nostro cammino evolutivo, perché inchiodano, paralizzano, fanno mettere la testa sotto la sabbia, alimentano le immagini e le maschere e stendono, intorno al nucleo vitale e quindi sulla nostra intera vita, uno strato di opacità, sfiducia, ansia e tristezza. Sono vibrazioni che noi emettiamo senza rendercene conto, che vengono captate da tutto quello che ci circonda, dall’ambiente, dagli altri e dagli animali, i quali ultimi possono anche reagire istintivamente in maniera imprevedibile. Sono, insomma, il freno più forte all’espressione serena, felice e fiduciosa della nostra vita, alla quale avremmo, in verità, tutto il sacrosanto diritto. Il primo o, per cominciare, è quello di riconoscere di averle. Sembra poco ma invece è davvero tanto, perché significa riuscire a guardarsi dentro, e mettere da parte orgoglio e vanità. E fatto questo, amici, forza: apriamo la porta della caverna dove sono nascoste, facciamole uscire, e vediamo chi si presenta per prima”. E così dicendo, il Viandante guardò davanti a sé, dietro alle spalle di Uno e Cinque, che gli stavano davanti, e disse: “Bene: ecco le prime. Avanti, prego!” I nostri due amici si girarono istintivamente, con una certa preoccupazione, e poi si scostarono,quasi a lasciarle are. “Ah, ma guarda un po’ chi sono” esclamò il Viandante tranquillamente, proprio come se le potesse vedere “sono le paure archeologiche, quelle dell’uomo primitivo, che arrivano dalla notte delle caverne...” In verità noi non sapevamo bene dove guardare, se la faccia del nostro amico o lo spazio davanti a lui da cui stavano ‘arrivando’ le paure. Ripensando a questa scenetta che il Viandante aveva messo in atto non possiamo che ammirare, ancora una volta, il suo fine umorismo e la capacità di trattare le cose serie con arguzia e ironia. E se il suo scopo era di farci ricordare l’argomento paure, c’è riuscito benissimo, non c’è che dire. “Osserviamole” continuò “roba da poco, in fondo, ridimensionate dal percorso

dell’uomo, dalle grandi civiltà del ato, dall’Illuminismo, dal Rinascimento. Le possiamo guardare con tenerezza e metterle tranquillamente nell’apposito contenitore: le vecchie, cupe credenze e superstizioni, alimentate in ato dall’ignoranza, le abbiamo spazzate via con il progresso della nostra coscienza. E non fanno più paura”. Così dicendo, fece il gesto di mettere qualcosa dentro il vassoio: e non ci fu difficile immaginare un bel rospetto, che si accomodava tranquillo nel suo alloggio. “Ed ora chi arriva?” disse, e tutti guardammo verso il fitto del bosco davanti al nostro amico “Ah, ecco le paure che ci hanno rovesciato addosso da bambini, quando ci ‘insegnavano’ ad essere bravi, e perfetti. Certo, dovevamo esserlo, perché altrimenti ‘la mamma non ci voleva più bene’. Terribile, la paura di perdere l’affetto dei genitori. Quando questi si arrabbiavano con noi, ci assaliva la paura che non ci amassero più, e, pian piano, abbiamo associato l’essere ‘cattivi’ con le punizioni e il dolore, e l’essere ‘buoni’ con le ricompense e il piacere. E allora, ricordate? Ricordate come ci sforzavamo per essere come i nostri genitori volevano, spaventati di perdere il loro affetto? E quindi abbiamo costruito immagini false e maschere, cioè un sé che non era il nostro, ma quello che gli altri ci avevano imposto, e ci siamo appesantiti con sensi di colpa e conflitti interni... Eccole, queste paure, che aleggiano intorno al letto dove riposiamo da bambini, e poi si nascondono nel nostro inconscio, dove alimentano, per tutta la vita, vibrazioni indefinibili e profonde di ansia e insoddisfazione. Bene: le abbiamo viste e riconosciute. E ora che si fa? Non c’è problema: si tirano fuori le micidiali armi della comprensione e del perdono. Si, amici: il perdono. Perdono anzitutto per i nostri genitori, che hanno fatto quello che credevano giusto fare, ed hanno agito in base alla loro coscienze ed al loro livello di evoluzione; comprensione per noi stessi, senza rimpiangere quello che avremmo o non avremmo potuto fare od essere e che, a nostra volta, ci troviamo alle prese col difficile mestiere di padri e madri. È bene pensare che così è andato perché era così che doveva andare, e considerare che le difficoltà superate diventano esperienze, sciolgono i nodi della nostra esistenza, spianano la via, si trasformano in saggezza. E allora perché non ringraziare chi ci ha messo le paure, dato che ci ha fornito ostacoli da superare ed è stato quindi, anche inconsapevolmente, il nostro

maestro? È grazie a loro che noi adesso siamo, poco o tanto, ciò che siamo. Accomodatevi allora, piccole e grandi paure dell’infanzia di questa e delle altre nostre vite: grazie tante, e benvenute nel vassoio!” Consapevolezza e perdono. In effetti, a pensarci bene, sono due armi formidabili, che ‘ripuliscono’ l’animo da offese, rancori e conflitti; che illuminano e spianano la via, e danno forza, e speranza. Gli altri possono sbagliare, certamente, ma sono nostri fratelli, e dobbiamo comprendere. “Condannerò un mio fratello solo dopo aver camminato per un miglio nei suoi mocassini” dice la saggezza degli indiani d’America.È così: senza consapevolezza e perdono, la vita diventa un ciclo senza fine di risentimenti, rancori e ritorsioni. Ringraziare i nostri nemici, che sono i nostri maestri: notevole, davvero, e liberatorio. Beato chi ci riesce, perché fa un notevole o avanti sulla via di Damasco, non c’è dubbio. “Vediamo adesso chi si presenta....” continuò il Viandante “ecco qua.... la paura degli altri... Qui la faccenda è complessa, amici, ma la sintetizziamo in una frase: le difficoltà e le paure nei rapporti con gli altri sorgono nell’esatta misura in cui proiettiamo addosso a loro i nostri problemi. Se qualcosa negli altri ci disturba, significa che c’è qualcosa in noi che non vogliamo vedere. Risolviamo i nostri problemi: gli altri, semplicemente, non c’entrano. Se gli altri si comportano male,difendiamoci, e speriamo che questi nostri fratelli imparino la lezione per cui sono qui sulla terra. Pronti, se richiesti, a dare una mano, senza la presunzione di volerli cambiare, perché il cambiamento può venire solo dall’interno di noi stessi, per nostra scelta consapevole... Via, dunque, queste paure, e sotto a chi tocca....” Eh, sì: il nostro saggio amico aveva ragione. Lavoriamo su noi stessi, e non incolpiamo gli altri. Lo dice anche, con la forza dei poeti, il grande Rumi: “....Svanita la sua forma esteriore, egli diventa uno specchio nel quale si riflette la tua figura. Se lo offendi, offendi te stesso. Se vedi in lui un bruto, sei tu quel bruto; se vedi in lui un santo, quel santo sei tu”. E se non bastasse, sentiamo la saggezza di Confucio: “Il vero signore è simile ad un arciere: se manca ilbersaglio ne cerca la causa in se stesso”. E così anche le paure degli altri trovano posto nel nostro vassoio, come innocui rospetti dai bei colori variegati. “Ma guarda” continuò il Viandante “la paura del sesso, dell’eros e dell’amore. Vediamo. Questa può derivare da proibizioni varie, da insegnamenti distorti, da

problemi nell’infanzia, da sensi di colpa: ognuno conosce la propria storia. Ma una cosa è certa: la sessualità rappresenta la forza della creatività su tutti i piani dell’esistenza, e non va repressa. La forza dell’eros è fondamentale, perché spinge ad aprirsi; e chiudersi a questa per paura di essere delusi e di provare dolore è, evidentemente, un errore. Per la maggior parte degli esseri umani, inoltre, è ancora impossibile concepire di combinare sessualità e spiritualità. Ma questa incapacità sarà superata, perché questa è la direzione che sta prendendo la nuova visione della realtà. La nostra personalità può essere integrata in un tutto armonioso, in cui amore ed eros possono confluire, e gli impulsi sessuali potranno emergere, qualunque sia la forma che vorranno assumere. E allora, amici, via le vecchie mortificazioni, le vecchie nozioni di peccato e gli antichi tormenti: tutto sta procedendo verso la libertà nello spirito. Andare incontro ad un’altra anima è obbedire al proprio destino: incontrarla vuol dire scoprire una particella di Dio; ed anche aprirela nostra anima significa rivelare una particella della Divinità. Rischiare, dunque, aprirsi agli altri e mostrarci per quello che siamo; se sbaglieremo, sbaglieremo. E al diavolo la paura”. La libertà nello spirito. Bella definizione, non c’è dubbio; forse solo un’utopia. Ma per il Viandante era una concreta, bellissima speranza. E quindi il suo sereno ottimismo ci ha contagiato, e la sua naturalezza nel definirci ‘particelle di Dio’ – qualsiasi cosa voglia significare – ci ha affascinati, e aperto impensabili orizzonti. Ma torniamo alla cronaca, alle nostre paure e ai rospetti che si accumulavano nel nero vassoio del nostro amico. “E adesso una paurina niente male” riprese “difficile da scovare perché è difficile da ammettere: la paura della felicità. ‘No, questo non me lo merito’ ‘E’ troppo, per me è troppo’ ‘Vorrei, ma….’ ‘Non si può essere felici….’ ‘La felicità non esiste, almeno per me…’ ‘Prima il dovere e poi – molto poi – il piacere’. Ecco all’opera i vecchi sensi di colpa. Non ci meritiamo la felicità? Ma come no, amici! Abbiamo dentro un nucleo divino; siamo fatti anche della sostanza del Creatore e non ne abbiamo diritto? Le nostre responsabilità, certo, ce le dobbiamo assumere, ma tra queste c’è, in prima fila, quella di cercare, all’interno delle leggi dello spirito, la nostra personale, gratificante soddisfazione. I veri sensi di colpa e la vergogna sono generati dal fatto di creare infelicità ed infliggere dolore a noi stessi. Questa è la madre di tutte le colpe. Trattiamoci bene, allora: il compagno più fedele che abbiamo, e che non perderemo mai, in fondo, siamo noi stessi: e vogliamogli bene, allora, come a tutti gli altri. E con questa considerazione, secca e decisa, lasciamo che il rospo prenda il suo posto,

facciamogli una carezza e andiamo avanti”. Queste non sono state, certamente, le esatte parole del Viandante, ma il senso è sicuramente questo, lo ricordiamo bene. E altrettanto nettamente ricordiamo la decisione con cui si espresse nell’attaccare la ‘madre di tutte le colpe’. Riuscire a trattarsi bene vuol dire, a quanto abbiamo capito, avere stima di noi stessi, sentirsi uguali a tutti ed essere quindi immuni da vanità ed egocentrismi. Difficile, certo, ma perché non pensare di poterci riuscire? Come abbiamo già espresso, non è stato facile ricostruire quello che il nostro amico ci ha detto: troppe cose, e tutte insieme. Certamente il Viandante se ne rendeva conto, e capiva quando eravamo un po’ frastornati; ma sapeva anche – come poi noi abbiamo avuto modo di verificare – che, perché la conoscenza e l’esperienza scenda ‘nel profondo’ ci vuole tempo, tempo e pazienza. Ma i semi gettati, anche se non ce ne accorgiamo, germogliano. “Siete un po’ stanchi, amici?” ci disse “Ma no: avete un nucleo dalle possibilità illimitate, che avete scoperto e che vi aiuta! Avanti, allora: sta arrivando la paura del dolore, della sofferenza e della malattia”. “Ahia”. “Questa è dura!” esclamarono Due e Quattro, la cui professione li aveva per molti anni messi a contatto con questi tristi aspetti della condizione umana. “Sì, amici, è vero, non c’è dubbio: questa è una paura viva, palpabile, che fa parte della nostra esperienza, della nostra vita di tutti i giorni, e se per caso ce la dimentichiamo per un po’, ci pensano i vari mezzi di informazione a ricordarcela, proiettandocela addosso in varie forme, da tutte le parti. Ma ragioniamo con una bella ipotesi, suggeritaci dai grandi Maestri come Gesù Cristo: e se fosse il nostro rifiuto di sentire il dolore e la vergogna e ad esporre la propria vulnerabilità a generare la sofferenza? ‘Non resistete al male’ ha detto infatti Gesù. Già: che siano proprio le nostre difese, i nostri disperati e ostinati rifiuti di metterci a nudo e ammettere le nostre debolezze, a farci star male? Accettare il dolore significa diminuirlo. Per superarlo, poi, bisognacomprenderne la ragione, e chiedersi se le distorsioni della coscienza come lepigrizie, le gelosie, le vanità, le ire, gli odi ed i rancori non abbiano bisogno, per bruciare, del fuoco della sofferenza....” “Dobbiamo comprendere, cari amici, che non c’è più niente da coprire, o da dimostrare, e imparare ad accettare tutto quello che è stato e tutto quello che

avverrà: dolore, malattie e sofferenze, perché, comunque, ano, e perché verrà un tempo in cui non ce ne sarà più bisogno. Forse quel tempo sta già arrivando, spinto dalla potenza dello spirito, e sta entrando nelle porte aperte dalla consapevolezza. E al diavolo, finalmente, la paura”. Grande, il Viandante! Il dolore che insegna. Notevole, veramente. Ed è con vero piacere che abbiamo trovato una bellissima eco di questo concetto in quel grande illuminato Poeta che è Kahlil Gibran: “Gran parte del vostro dolore è scelto da voi stessi. È la pozione amara conla quale il medico che è in voi guarisce il vostro male. Quindi confidate in lui e bevete il suo rimedio in serenità e in silenzio. Poiché la sua mano, benché pesante e rude, è retta dalla tenera mano dell’Invisibile, e la coppa che vi porge, nonostante bruci le vostre labbra, è stata fatta con la creta che il Vasaio ha bagnato di lacrime sacre”. No, non eravamo stanchi. Ma facevamo uno sforzo di concentrazione per afferrare il più possibile di questo argomento: capivamo infatti che il Viandante aveva affrontato un nodo centrale, un grande, oscuro ostacolo interno. “Però!” osservò Uno “ne sono usciti fuori, di rospi!” “Eh, sì: abbiamo già fatto un bel lavoro di pulizia “disse il Viandante “Non è facile ammettere che siamo stati noi a crearle, queste paure, e a dare loro forza e consistenza: difficile ammettere le proprie responsabilità, facendo tacere gli strepiti dell’orgoglio, del dubbio e della vanità. Abbiamo versato qualche lacrima nell’apposito vasetto? Se è così, conserviamole nel nostro zaino: sono una conquista, un distillato di verità....Ma adesso, amici, lasciamoci invadere dalla bellezza e dal calore del sole: ne abbiamo bisogno, perché stanno arrivando le ultime paure....” “Eccole là che si presentano....” disse guardando nella direzione del aggio che noi ormai avevamo riservato al loro ‘ingresso’ “sonoproprio brutte, non c’è che dire. La paura di invecchiare, di lasciarsi andare, la paura del vuoto, del grande ignoto, della morte. Sono le ‘paure di fondo’, che si avvertono assai poco da giovani, ma che, col are del tempo, affermano sempre di più la loro inquietante presenza. Una delle difficoltà fondamentali dell’uomo è la battaglia per superare il dualismo tra la vita e la morte. Da questo conflitto di base derivano tutti gli altri problemi, le paure e le tensioni con cui dobbiamo lottare. Non importa come questo conflitto si manifesti – paura della morte, dell’invecchiamento, dell’ignoto – essonasconde sempre la paura del are del

tempo. Per esorcizzare questa paura l’umanità ha creato concetti filosofici, spirituali e religiosi. Ma qualunque credo religioso, se non è il risultato della propria esperienza interiore e delle personali conquiste dell’anima ma deriva solo da dogmi e precetti esterni, è parte integrante della paura della morte, non meno di quanto lo sia una professione di ateismo. La fede esteriore e la decisione di non credere non sono che i due lati della stessa medaglia. Possiamo anche dire, ad esempio ‘Non ho paura della morte perché quando lei ci sarà, io non ci sarò più’ o cose del genere, ma, in fondo, non funziona: l’unico modo per superare la tensione e riconciliare il dualismo tra la vita e la morte è, ancora una volta, quello di indagare nell’ignoto che più ci fa paura: la nostra psiche. Insomma, amici, il solo modo per vivere senza interruzioni la corrente del tempo ed eliminare così anche la paura della morte, è utilizzare ogni momento della vostra vita, dedicandolo alla conoscenza di noi stessi. Già, perché accade un fenomeno particolare: più ci conosciamo, più ci sentiamo completi; più ci rendiamo conto delle nostre ombre e delle nostre luci, dei nostri grandi difetti e delle nostre enormi potenzialità, e più vediamo la morte non come una minaccia, ma come una tappa, uno sviluppo organico della vita. E allora l’ignoto, il Grande Oltre, non costituisce più un pericolo. E la paura sparisce”. “Mah” disse Uno “Speriamo. Ma, se permetti, io ho ancora qualche dubbio....” “Non che non serva, il dubbio, amico mio, tutt’altro. Come dice Voltaire, ‘il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Solo gli imbecilli sono sicuri di ciò che dicono’. Ma, anche qui, ci vuole la giusta dose. Il dubbio ci vuole per liberarsi dalle false credenze, certamente; per controllare e ricontrollare le nostre scoperte e le nostre certezze; ma, ad un certo livello, si deve far da parte e lasciare il posto al sentire, e alla fiducia. E quando si arriva ad avvertire chiaramente la presenza dentro di noi del nucleo divino, allora non c’è più il bisogno di proiettarsi nel futuro o nel ato, che sono movimenti interni dettati dalla paura, che non fanno vivere l’istante presente, l’eterno ora,il solo che conta. Se c’è la fiducia in se stessi e nelle altre persone, nelle quali vediamo fratelli con potenzialità uguali alle nostre, in cammino, come noi, sulla via del ritorno,

spariscono l’orgoglio e l’ostinazione e sparisce la paura degli altri e dell’ignoto. A quel punto si fa l’ingresso in quella corrente fuori del tempo in cui ci si trova al culmine dell’unione col proprio compagno ocompagna, o in quellostato di grazia supremo che si chiama morte”. Che roba, fratello lettore! Ci abbiamo riflettuto sopra non poco, ed è vero: se siamo fiduciosi che tutto andrà bene, andrà bene: è la fiducia che ‘incanala’ gli avvenimenti nella direzione giusta. Se abbiamo fiducia di ricevere aiuto da esseri che stanno intorno a noi per darci una mano, ecco che cominciamo a rendercene conto, e a vedere i segnali che li rivelano. Se abbiamo la fiducia totale che la nostra salute è perfetta, non avremo bisogno di chiamare il medico. Siamo degli esseri particolari: possiamo compiere miracoli e disastri, perché siamo a metà tra una dimensione e l’altra, in una fase di transizione, di aggio. Abbiamo belle vibrazioni di alta frequenza, ed ancora non siamo liberi da quelle basse. Ma la fiducia, il fatto di sentirsi protetti e aiutati a percorrere il cammino del ‘grande ritorno’, la consapevolezza che le nostre sofferenze sono transitorie e saranno definitivamente eliminate, è la condizione interna che ci può far dimenticare quella ‘cosetta’ che si chiama morte. “Bene, amici” disse il Viandante allegramente “abbiamo fatto un buon lavoro. Vedete quanti buffi rospetti? Pensateci sopra, rifletteteci bene, perché ce ne possono essere degli altri, e ognuno ha i suoi particolari, da scovare con onestà e coraggio.... e quandoil vassoio sarà pieno, li potrete lasciare dove volete, e proseguire il cammino molto più leggeri...” Eh, sì, non c’è dubbio: siamo tutti diversi. Ognuno infatti, manco a dirlo,argomentava di lasciare i propri rospi in luoghi differenti. Chi a Ponte Buriano, quello dipinto da Leonardo sul quadro della Gioconda; chi sotto il Ponte Vecchio, chi in un piccolo torrente del Pratomagno; e ancora nel lago di Massaciuccoli, enelle sorgenti del Fiora, sull’Amiata. Il Viandante rise, sentendo le nostre discussioni a sostegno di un posto o dell’altro. “Possiamo scegliere il luogo che vogliamo, amici” disse “perché dentro di noi c’è tutto l’universo; tutti i luoghi, tutte le storie e tutti i sentimenti; c’è lo strepito delle ioni e i clamori delle guerre; il rombo dei cannoni e il suono dei violini; la gioia e lo sconforto, l’ombra e la luce, le miserie e le grandezze, le vette e gli abissi, la paura e l’amore. Tutto quello che tornerà, alla fine dei tempi, alla Vita Divina”.

“Ma” continuò “c’è una paura, cari amici, che non bisogna eliminare, ma che, anzi, dobbiamo tenere ben stretta, e conservare gelosamente... Eccola!”, e così dicendo, tirò fuori dal suo straordinario zaino una piccola statuetta di giada che raffigurava, guarda caso, una ranocchia. “Questa rappresenta la paura di sprecare anche un solo istante di questa nostra difficile, travagliata, ma anche splendida e irripetibile vita. La paura di non sfruttare fino in fondo questa stupenda opportunità, per imparare, finalmente, l’arte di amare ed essere felici...” E noi abbiamo adottato il simbolo della piccola ranocchia per ricordare di non perdere neanche un momento di questa nostra vita, così fragile, così labile, così effimera nel tempo, eppure così forte e potente da contenere la spinta all’infinito, e la promessa dell’eternità. Il nostro buon Tre ha scovato, in uno stupendo negozietto dietro al Duomo della sua Firenze (dove si trovano oggetti straordinari: dagli strumenti per riconoscere le stelle alle penne a sfera che levitano su un cuscino magnetico – da regalare agli amici per scrivere cose ‘leggere’, cioè bischerate – alle sveglie che, se non fermate in tempo, si scaraventano giù dal comodino e si mettono a correre per la stanza), una ranocchia che si mette a gracidare quando le si a davanti. L’ha sistemata in quell’angolo della casa che è lo spazio privato di noi maschietti, nel quale ci rifugiamo, ci orientiamo benissimo e che cerchiamo di salvare dalle nostre mogli o compagne,alle quali quello che per noi è un ordine perfetto appare qualcosa di molto simile ad un magmatico caos primordiale. Capitolo decimo Le insidie della vita La vita è già tanto difficile che potremmo almeno risparmiarci le difficoltà più stupide. Jung

Ci sono persone il cui cattivo atteggiamento avvelena l’atmosfera Jung

La persona che ama risponde. La vita di suo fratello non è solo affare di suo fratello, ma suo. Si sente responsabile dei suoi simili, così come si sente responsabile di se stesso. Fromm

Non c’è dubbio, caro fratello lettore, che il Viandante ‘volava alto’: la vittoria sulle paure, le nostre responsabilità e costruzioni mentali, l’universo dentro di noi, la sofferenza, e la gioia della Vita Divina...Adesso ci siamo un po’ abituati a questo tipo di immagini e pensieri, ma allora ci sembravano, per quanto affascinanti, al di là dalla nostra portata e della vita di tutti i giorni; venne quindi spontaneo a tutti di riportare la conversazione su argomenti più pratici, e controllabili. Le domande da fare erano veramente tante, e ognuno rifletteva per formularle nella maniera migliore. Ma nelle argomentazioni concrete usciva subito fuori, manco a dirlo, il Ciottolaio, che batté tutti sul tempo: “Senti, caro amico! Tutto quello che hai detto è bellissimo: hai parlato di fiducia, di aprirsi agli altri, di eliminare le paure e di esporre la nostra nuda vulnerabilità.... ma se io mi metto a nudo, mi espongo e mi apro agli altri, il minimo che mi può succedere è unafregatura, o una coltellata alla schiena! Come se non ci fossi già ato! La vita è piena di insidie!” Il Viandante rise: “E’ vero, certamente: bisogna imparare a proteggersi, e nella maniera migliore; la vita non è certo facile! Ma se noi ci espandiamo tanto da inviare vibrazioni di affetto ed armonia verso tutti, le disarmonie degli altri non ci possono toccare. Se un elefante entra in un piccolo stagno solleva grandi spruzzi e la melma dal fondo, ma se entra in un grande lago l’acqua lo accoglie tranquillamente senza problemi....” “Mah!” ribatté il nostro Cinque “Sarà, ma questa faccenda dell’espansione e dell’elefante mi torna fino ad un certo punto..... Qui bisogna scendere nel pratico!” “Niente paura, amico mio!” disse il Viandante “ho qui un attrezzo che può risolvere brillantemente il problema...” e così dicendo tirò fuori dallo zaino, con

un sorriso e gli occhi che brillavano di ironia, un oggetto stranissimo, che suscitò, ovviamente, la nostra sorpresa e curiosità. Sembrava un pezzo di una vecchia armatura medievale, di sottile lamiera grigio scuro, con due strisce di cuoio che probabilmente servivano per allacciarlo. “E questo?” “Che cos’è?” “Questo, cari amici, è il ‘gropponale’”. Ma tu guarda il Viandante! Non finiva mai di stupirci. Aveva tirato fuori un altro attrezzo incredibile. “Serve a difendersi dagli altri?” chiese Cinque interessatissimo. “In un certo senso è così, amico mio”. “Lo provo subito”. E, aiutato dal Viandante, il Ciottolaio se lo piazzò allegramente sul dorso, a cui il gropponale si adattava benissimo. “Stupendo!” esclamò “con questo sulla schiena (che in Toscana si chiama, in effetti, anche il ‘groppone’, da cui, chiaramente, il nome che gli era stato assegnato) le coltellate a tradimento non me le becco più!” Risate generali, naturalmente. E, manco a dirlo, eravamo tutti curiosi di sentire le spiegazioni sul significato simbolico di quell’oggetto. “Dunque, amici: come il pettorale, che è il suo corrispondente anteriore, questo attrezzo è una protezione che si usava una volta in battaglia, e serviva per difendersi dai colpi alla schiena, quelli più difficili da evitare. Ora, non c’è dubbio che la vita presenta insidie e pericoli: tutti lo sappiamo. I genitori conoscono bene gli sforzi e le attenzioninecessarie per crescere i figli in questa società sempre più convulsa...” “A chi lo dici!” esclamò Cinque, che fa del suo meglio per contenere, con risultati in verità assai modesti, la straripante esuberanza della figlia, una bambina allegra e vivacissima. “Certo” continuò il Viandante “oggi non ci sono i pericoli fisici che doveva affrontare l’uomo primitivo, che si riparava pieno di timore nelle caverne per difendersi dalle forze della natura; ma ci sono quelli, ben più insidiosi, provocati

dalle distorsioni delle nostre anime e di quelle del nostro prossimo. Il gropponale, vedete, è una protezione, ma non è iva e ottusa: al contrario, è intelligente. Indossarlo è un atto volontario e cosciente, che rappresenta la nostra consapevolezza di fronte alle insidie che gli altri ci possono portare con i loro errori, errori che abbiamo compreso con l’esperienza, magari perché noi stessi li abbiamo commessi. Ma il pettorale no: quello non fa parte del nostro bagaglio. Il cuore deve essere sempre aperto, pronto a dare affetto e fiducia, a se stessi e agli altri, e pronto anche a ricevere; e non si può ricevere il meglio se non si è disposti a darlo. Vedete, amici: fra tutte le sofferenze che dovete sopportare molte vengono ovviamente dall’esterno. Eppure, nelle sofferenze che vi trovate ad affrontare e di cui non siete direttamente responsabili, avete comunque una parte di responsabilità, perché non avete imparato a riconoscerle, e a difendervi. Se siete vulnerabili, è perché gli elementi negativi che arrivano dal mondo esterno trovano una rispondenza nel vostro mondo interiore. Se non percepite il bene che vi giunge ogni giorno dalle dimensioni visibili e invisibili, significa che dentro di voi ci sono delle opacità, degli ostacoli, dei nodi energetici. Tutto, ancora una volta, dipende da voi, amici: respingere, con la consapevolezza e il lavoro su di voi, le vibrazioni dissonanti e oscure, ed anche, con la trasparenza dell’anima, attirare la luce, e conservarla. Ecco il significato profondo di questo oggetto: la protezione e l’apertura. E l’alternativa all’apertura, cari amici, è una sola: l’isolamento, la grettezza dell’egoismo, l’ansia e l’angoscia...” “Eh, sì” osservò Uno “quella dell’isolamento è una tentazione piuttosto forte... Magari solo quattro amici fidati, e il resto...... buonanotte!” “Sì, ma non va bene, ve ne rendete certo conto tutti.... abbiamo tutti bisogno degli altri, e la gratificazione più bella, in fondo, è quella che deriva da ciò di noi che riusciamo a dare disinteressatamente, senza preoccuparsi dell’ingratitudine, delle cattiverie, dell’invidia....” “L’invidia è una sindrome patologica assai diffusa” osservò Due “Se qualcuno inventasse un farmaco per combatterla, farebbe fortuna!” “Te lo immagini” disse Quattro da buon terapeuta “prescriverepillole antiinvidia tre volte al dì prima dei pasti.... e magari qualche intramuscolo per i casi più gravi...”

“E una bella flebo per gli attacchi acuti!” disse Due. Il Viandante se la rideva. Era un vero spettacolo la freschezza la spontaneità di quel maturo signore, capace di parlare, con straordinaria semplicità e profondità, delle cose dell’anima, della vita edel cielo, e di gioire con la grazia di un bambino. E se è vero che il Regno dei Cieli esiste e che è riservato a chi assomiglia ai bambini, come ha detto Gesù Cristo, non c’è dubbio che quell’uomo si è già costruito una bella scala per il Paradiso. “Certo, per vivere bene con gli altri ci vuole molta conoscenza, e tanta attenzione....” continuò sorridendo e chinandosi sullo zaino “e a questo proposito, amici, può essere di aiuto munirsi di un altro attrezzo...” Un altro oggetto: le risorse del nostro amico erano inesauribili. “Qualcosa da usare insieme al gropponale?” si informò subito Cinque. “Sì: può anche essere un’alternativa; ma, specie all’inizio, è bene averli tutti e due... Questo, amici, è il ‘sonaglio del serpente’”. Era uno strano oggetto: un cilindretto metallico e alcuni cerchietti piazzati su un bastoncino cilindrico di legno chiaro con una estremità adatta ad una impugnatura. “Il sonaglio del serpente?” “Che vuol dire?” “A che serve?” “Per spiegarvi il suo significato vi racconterò una piccola storia: nel bosco vicino ad un villaggio c’era un serpente velenoso che aggrediva e uccideva uomini e bestiame. Gli abitanti chiesero l’intervento di un sant’uomo, che riuscì a convincerlo a smettere di far del male. Dopo qualche tempo però, riando da quella zona, trovò il povero animale acciaccato, ferito e mezzo morto: erano stati gli uomini a ridurlo in quello stato vedendo che era diventato innocuo. Il sant’uomo allora gli disse: ‘Caro mio, io ti avevo detto di non fare più male agli altri, ma non di stare zitto. Se tu avessi usato il tuo sonaglio e li avessi spaventati, non avresti fatto del male e loro non ti avrebbero assalito’.” “E quindi, amici” continuò “l’atteggiamento giusto verso gli altri deve essere sempre di apertura e fiducia, ma bisogna anche utilizzare la nostra conoscenza e la capacità di difesa. E se arriviamo a scovare ed accettare le nostre parti oscure, allora le possiamo vedere negli altri; possiamo indovinare ciò che sono, che sentono, quello che pensano e quello di cui hanno bisogno, senza essere

intaccati. E possiamo capire che il solo nemico, in fondo, è l’uomo che non si conosce”. “Diamine!” disse Uno “comunque si rigira la frittata, dipende sempre tutto da noi!” “Eh, sì: in verità è proprio così!” disse il Viandante con un sorriso “Quelli che consideriamo i nostri nemici, in realtà sono i nostri insegnanti, perché ci aiutano a scoprire le nostre ombre...” “Ah, sì?” saltò su Cinque che non aveva mollato il suo gropponale “stai a vedere che devo ringraziare quel mascalzone del mio socio che mi ha tirato il bidone!” (In effetti, anni prima, la fiducia del nostro amico era stata assai mal ripagata dal comportamento di un partner in affari). “Non piace ammetterlo a nessuno, ma è proprio così: gli altri, con i loro comportamenti distorti, tirano fuori da noi le nostre vibrazioni basse, come quelle del rancore, dell’ira, dell’offesa.... Quando l’avremo capito, come per incanto svaniranno le insidie e spariranno i nemici, perché non ne avremo più bisogno....” Non era facile, in quei momenti, accettare e digerire subito questi concetti. Ma a distanza di tempo anche il Ciottolaio, che si teneva ben stretto il suo gropponale e, ad ogni buon conto, cercava di impratichirsi anche con l’uso del sonaglio, riconosce che il Viandante aveva ragione. E come noi ha capito che il vero modo di essere ingannati è credersi migliori e più furbi degli altri, e cioè non conoscere i nostri limiti. Insomma, gira gira, sempre lì si finisce: alla conoscenza di noi stessi. Gli altri sono i nostri specchi. Lo dice, fin dal lontano ‘300, il grande poeta persiano Jalal al-Din Rumi: “...svanita la sua forma esteriore, egli diventa uno specchio nel quale si riflette la figura dell’altro. Se lo offendi, offendi te stesso. Se vedi in lui un bruto, sei tu quel bruto; se vedi in lui un santo, quel santo sei tu”. E lo scrive, con una delle sue bellissime e folgoranti immagini, il nostro grande contemporaneo Kahlil Gibran: “Se veramente tu potessi aprire gli occhi e vedere, vedresti l’immagine tua in ogni immagine. E se veramente tu potessi aprire le orecchie ed ascoltare, sentiresti in tutte le voci la tua voce”. Ma questi sono degli Illuminati, che volavano assai più in alto di noi piccoli viandanti toscani: e allora torniamo subito alle domande e ai problemi più pratici

per capire come rapportarci al nostro prossimo. “Insomma, se ho ben capito, dobbiamo scovare i nostri difetti e i nostri limiti, e così possiamo difenderci dalle insidie della vita” osservo Tre. “E’ così, amico: in fondo, il gropponale e il sonaglio sono composti da un materiale che si chiama conoscenza, e la conoscenza va cercata e conquistata giorno per giorno, con pazienza e volontà.....” “Comunque, amici” continuò dopo una breve pausa “tra tutti i difetti e le distorsioni dell’animo umano ce n’è uno da ben comprendere, perché è alla base di tutti gli altri, ed è la vanità”. “La vanità?” disse Quattro “Certo, è una caratteristica molto diffusa... ma un po’ di vanità non serve per l’autostima?” “Il problema è sempre la misura: tutti i malintesi, tutti gli scontri hanno come origine la bramosia, l’avidità, la mancanza di misura di coloro che accumulano ricchezze, e sono portati per questo a dominare e ad asservire gli altri. Ad esempio un po’ di invidia per le persone migliori di noi va bene, perché stimola l’emulazione e l’evoluzione, ma quando si supera un certo livello diventa negativa, e così avviene per la vanità. Nella nostra società essa viene vista con tolleranza se non addirittura con simpatia, e magari incoraggiata come qualità necessaria a raggiungere il successo, ma è invece alla base delle disgrazie dell’umanità”. “Addirittura!” esclamò Due. “Eh, sì, caro amico” continuò il Viandante “Come l’ambizione, la vanità è una manifestazione del carattere di natura aggressiva, ed è quindi molto pericolosa: rende la persona totalmente egocentrica e la fa agire con pericolosa superficialità. È il più grande ostacolo allo sviluppo interiore, perché chi ne è affetto misura tutto e tutti in base a ciò che gli serve e gli fa comodo; sfugge dalle responsabilità; giustifica sempre se stesso addossando la colpa agli altri, ed è sempre tormentato dal dubbio di riuscire a soddisfare i suoi desideri di riconoscimenti e di gloria. E’ una persona, in fondo, condannata all’angoscia e all’abisso interiore, ma, purtroppo, questo suo disagio esistenziale cerca sempre di farlo pagare agli altri

rivalendosi su di loro. Non può ottenere, ovviamente, l’amore – quello vero – di cui ha bisogno, e allora ne cerca dei surrogati, circondandosi, con la forza e la finzione, la simpatia e la benevolenza, di una cerchia di adulatori più o meno interessati, che gli possano continuamente confermare di essere il migliore, il più capace, e che possa sottomettere al proprio volere....” “La sua amabilità, le sue gentilezze, i suoi sorrisi e i suoi modi amichevoli, amici, non devono ingannarci” proseguì “perché sono mezzi rassicurare l’avversario e neutralizzare le sue difese; in effetti, però, egli è mosso da odio e risentimento pertutti:per se stesso e per gli altri. Lo dimostra il fatto che può cambiare atteggiamento in un momento, ando dall’amicizia all’aggressività, dalla benevolenza alla ferocia vendicativa....” “Accidenti!” esclamò Uno “così come l’hai descritta, la vanità è veramente un disastro!” “In effetti” osservò Quattro “tutti i grandi dittatori e uomini di potere sono stati e sono, più o meno esplicitamente, dei gran vanitosi...” “Verissimo!” saltò su Tre “ E sai che ti dico? Che descrivendo l’uomo vanitoso hai fatto praticamente la fotografia di.....” e qui citò un noto uomo pubblico il cui nome, da bravi anonimi, ci guardiamo bene dal fare. Ma riferiamo questa osservazione del nostro amico perché provocò una risposta che vale la pena di riportare. “Attenzione, amici!” disse il Viandante “nessuno di noi è immune dalla vanità, e ci possiamo considerare fortunati se arriviamo a comprendere di averne solo una piccola quantità e non ne siamo quindi condizionati pesantemente. Dobbiamo afferrare il concetto che non è affatto una dote ma un grave difetto, che provoca solo inquietudine e angoscia; e, credetemi, è già tanto. Quanto al nostro prossimo, dobbiamo allenarci, certamente, a riconoscerla e ad evitarla, insieme agli altri difetti della personalità, ma senza emettere giudizi: in fondo il povero vanitoso, tutto preso da se stesso, è ben lontano dalla felicità, che si può ottenere solo dandosi spontaneamente da fare per gli altri, senza pretendere niente in cambio. Sì, amici, nessun giudizio: ricordate che la più alta forma di intelligenza è quella di chi ha imparato a osservare senza giudicare...” “Mah!” concluse Cinque che non aveva mollato il suo gropponale e scuoteva allegramente il sonaglio “Può darsi che, prima o poi, impareremo la lezione, ma,

intanto, bisogna allenarsi con questi attrezzi! La vita è troppo insidiosa!” Risate generali, naturalmente. E dobbiamo, per completezza di informazione, riferire che il nostro buon Ciottolaio è diventato il massimo teorico del gropponale. Ha stabilito, ad esempio, che ce ne vogliono di diversi tipi: uno leggero da eggio, uno ‘normale’ per i parenti, uno rinforzato per i rapporti con i soci in affari, ilcommercialista o la banca, un altro ancora più resistente per gli avvocati o l’Agenzia delle entrate, e uno corazzato in caso di separazione o divorzio. E, prima di ritornare alla cronaca, dobbiamo anche segnalare che il nostro amico ha deciso di battersi per una legge che preveda il divorzio obbligatorio dopo dieci anni: mentre in caso di separazione si tende a dimostrare i difetti dell’altro, in questo caso, per andare avanti, si dovrebbe evidenziarne i pregi. Niente male, come ironia! E a questo puntoandiamo avanti con la narrazione. “Ma, scusa” osservò Uno, interessato alla faccenda del dare “Capisco quello che possiamo fare per chi ci sta vicino; ma per chi è lontano, come quello che ha citato Tre?”“Ammesso di averne voglia” aggiunse quasi parlando a se stesso “dato il soggetto....”. “Vedete, amici” disse il Viandante “c’è una verità che dovete ben comprendere: che siamo tutti, ma proprio tutti, collegati. Collegati tra di noi, e collegati a tutto l’Universo”. “Tutti collegati?” “E come?” gli chiedemmo. “Mediante la Matrice Universale”.

Capitolo undicesimo La Matrice Universale Il mondo appare come un complicato tessuto di eventi, in cui diverse specie di connessioni si alternano, si sovrappongono e si combinano, determinando la struttura del tutto. W. Heisenberg

Si può capire l’Universo soltanto considerandolo come una ragnatela dinamica di interconnessioni: una volta che le cose entrano in contatto, rimangonoper sempre in contatto attraverso tutto il tempo e attraverso tutto lo spazio Lynne McTaggart

Sembrava che ci fosse un enorme campo di forza che collegava tutte le persone, le loro intenzioni e i loro pensieri… e ogni forma animata e inanimata di ogni epoca… Ed era un sentimento irresistibilmente viscerale, come se io mi stessi estendendo fisicamente al di fuori dell’oblò, fino ai più lontani recessi del cosmo. Ed Mitchellastronauta Apollo 14

Ma che roba: la matrice universale. Si verificò allora, ricordiamo, uno strano fenomeno: che la ragione, per tutti noi, si era come messa da parte, un po’ travolta da quel torrente di conoscenza che l’aveva spiazzata e confusa, e un po’, certamente, curiosa di vedere che diamine sarebbe ancora uscito fuori. È come quando si osserva uno spettacolo grandioso, come ad esempio il cielo stellato, e, con un movimento naturale dell’animo, si rinuncia a capire, e ci si lascia tranquillamente andare. Ed è proprio in quello stato interno di rilassatezza e di calma, con le costruzioni della logica spazzate via ed i pensieri azzerati, che emerge quella categoria della conoscenza che si chiama intuizione, e si percepiscono i messaggi dal mondo superiore dentro di noi. Accadde dunque che ci apprestammo, semplicemente, ad ascoltare, con una attenzione sempre più serena, le fantastiche argomentazioni del Viandante, che, con la sua voce calma,il sorriso affabile e gli occhi scintillanti di ironia, riprese a parlare. “Dunque, amici” iniziò, e subito si fermò per scoppiare in una risata, perché il nostro buon Tre si era tranquillamente rimesso in testa lo scolapasta dicendo: “Se ho ben capito, stai affrontando un argomento per cui ci vuole assolutamente questo attrezzo !”

“In effetti, direi proprio che serve” continuò “perché si tratta di cambiare molte prospettive, e di far saltare vecchie credenze e concezioni, e ci vuole la mente molto aperta, e un sano ‘grano’ di follia...anzi, si potrebbe affermare, con la nostra brava ironia, che Einstein, ai primi del secolo scorso, di scolapasta se ne è messo in testa uno formidabile, quando ha affermato che anche la materia è una forma di energia, e che in fondo la realtà dipende dall’osservazione che viene effettuata. La fisica moderna, infatti, ci sta mostrando una visione della realtà del tutto nuova, e sorprendentemente in sintonia con quelle degli antichi mistici orientali; ci sta mostrando i limiti delle nostre attuali conoscenze costringendoci ad una vera e propria rivoluzione interna. Vecchi schemi sono saltati ed altri stanno saltando; nozioni che sembravano inossidabili e inattaccabili come i vecchi concetti di spazio e tempo, su cui si è basata finora la ricerca scientifica, sono stati sostituiti da altri al di fuori e al di là delle certezze che hanno formato, per millenni, la nostra concezione della realtà. Sono franati i pilastri su cui poggiavano le nostre convinzioni, e, per cercare di figurarsi una comprensione del mondo che si apre al di là e al di sopra della realtà percepita dai sensi, bisogna ammettere i limiti della rassicurante logica con la quale la nostra mente raziocinante ha imparato a funzionare. Adesso, a distanza di un secolo – edè poco, tutto sommato, per ‘digerire’ una cosa del genere, anche ai nostri velocissimi tempi – questa nuova concezione comincia a far parte del sentire comune, e si inizia a guardare la materia con un altro occhio; a pensare che tutto, ma proprio tutto, è energia; che questa energia è dotata, nientemeno, che di coscienza, e che, quindi, ‘sappia cosa fare’, sappia se diventare un albero, o una roccia, un animale o un essere umano, secondo un piano, un formidabile piano cosmico che in essa è contenuto”. Ehilà: calma. Andiamoci piano. Qui venivano fuori concetti veramente straordinari. Tutto è energia, questa energia ha coscienza, e inoltre c’è un piano cosmico? Ognuno manifestò a modo suo, la sorpresa: si stava veramente ‘uscendo fuori dal seminato’! “Il vostro stupore è comprensibile” disse il Viandante “ma questo è quanto emerge dalle punte più avanzare della fisica moderna. In effetti questa visione della realtà è così strana e lontana da quella che noi, uomini comuni, abbiamo finora elaborato, che richiede, per la sua comprensione, un cambio notevole di prospettiva mentale e un notevole ampliamento degli orizzonti interni. Già:

perché, vedete, inevitabilmente, in queste zone di confine della ricerca, i confini tra scienza, filosofia e religione vanno a scomparire, o meglio, a fondersi in quella straordinaria sintesi di verità che si verifica nelle esperienze di punta, o delle vette, come quella che ci ha descritto il vostro amico....” “E allora” continuò “sistemiamoci bene il nostro scolapasta in testa e andiamo a vedere che cosa dice l’attuale ricerca avanzata. E, tanto percominciare, affrontiamo l’argomento dei livelli di esistenza. Nel mondo fisico il tempo sembra scorrere il linea retta; valgono le leggi di causa ed effetto, e quindi tutto è prevedibile come azione-reazione.Ma nel secondo livello, o ‘regno quantico’, ogni cosa è costituita da informazioni di energia che non possono essere percepite dai nostri normali cinque sensi: ne fanno parte la nostra mente, i nostri pensieri, le nostre emozioni, che hanno, in quanto energia, una loro ben precisa realtà... In questa dimensione quantica gli eventi si verificano alla velocità della luce, e a questa velocità i nostri sensi non ce la fanno ad elaborare percezioni, perché le vibrazioni dell’energia sono troppo veloci, e quindi noi riusciamo a vederne solo dei ‘blocchi’, che avvertiamo come oggetti diversi l’uno dall’altro, ‘disegnati’ dalle diverse ‘informazioni’ contenute nell’energia stessa... Insomma, amici, noi riusciamo a percepire solo quella parte di energia ‘condensata’a frequenze più basse nel piano fisico, ma tutto fa parte di un immenso campo di energia collettivo....”. Un campo di energia collettivo, e per di più dotato di coscienza. Questa è stata, caro fratello lettore, un’altra rivelazione ‘pesante’ in quella incredibile giornata; e il bello era che il Viandante ce la propinava con la naturalezza di chi versa un bicchiere di acqua fresca. Era, senza dubbio, uno di quegli argomenti che richiedono ricerca ed elaborazione, cosa che, nel nostro piccolo e con la nostra limitata comprensione, abbiamo cercato di fare. Ed abbiamo visto, in effetti, che questo concetto di campo energetico emerge con forza già dalle rivoluzionarie ricerche di Einstein, il quale, ad esempio, afferma: “La materia si considera nel campo dello spazio in cui il campo è estremamente fitto di energia; nella nuova fisica non c’è più spazio per entrambi, per il campo e per la materia, perché il campo carico di energia è l’unica realtà”. Questo campo, dunque, sarebbe l’‘unica realtà’! Però! Certo, è un concettino non

facile da digerire, ma sembra che bisogna in qualche modo farci l’abitudine. “Diamine, ma com’è questa faccenda del campo?” chiedemmo (adesso stiamo entrando faticosamente in una certa comprensione, ma allora eravamo completamente frastornati) “Vedete, amici” riprese il Viandante con tranquillità, come se si trattasse di una di quelle chiacchiere che si scambiavano i nostri vecchi la sera ‘a veglia’ intorno al camino , in un mondo senza televisione, senza fretta e con assai meno angoscia “Il nostro campo di energia individuale entra continuamente in interazione con quello degli altri, ed avviene in continuazione uno scambio di energia, di reazioni e sensazioni. A volte, in particolari circostanze, riusciamo ad avvertire che siamo uniti a tutto il resto: si tratta in genere di una sensazione molto piccola, quasi impercettibile, che però, in certe situazioni, si ‘espande’, e diventa più chiara e avvertibile. Ad esempio siamo in grado di sentire il campo di energia emesso dalle persone, che ci può attirare o respingere in base alle vibrazioni che vi sono contenute; a tutti è inoltre successo di entrare in una stanza e cogliervi una tensione forte e quasi ‘palpabile’, come una dissonanza nell’aria, oppure trovarsi in un edificio particolare, o all’aperto, in un bel bosco o una spiaggia, ed essere avvolti da un senso di calma, e da un piacevole rilassamento. Si tratta dell’energia dell’ambiente, che avvertiamo chiaramente interagire con il nostro campo energetico. Anche se non ne siamo consapevoli, insomma, tra noi e ciò che ci circonda avviene continuamente uno scambio di informazioni, sotto forma di suoni, odori, pensieri, emozioni: tutte vibrazioni dell’energia di cui siamo fatti. Noi riusciamo percepire solo una parte del campo energetico, e ci sentiamo separati dalla realtà che avvertiamo come esterna a noi. In effetti, però, in quel livello più profondo nel quale, a volte, riusciamo a penetrare,non c’è separazione tra noi e il resto del mondo: siamo tutti collegati col tutto. La ‘solidità’ dei corpi fisici non è altro che una ‘condensazione’ di energia, che fa apparire la materia immobile e ‘dura’, mentre è un’insieme di particelle atomiche in vorticoso movimento. In quel livello, insomma, la solidità non esiste. Se avessimo degli ‘occhi quantici’ non vedremmo più oggetti, ma condensazioni di energia in continuo interscambio; vedremmo un grande ‘campo’ in incessante moto, in un movimento fantasmagorico di forme e colori; vedremmo l’energia esprimersi in tutta la sua straordinaria potenza creativa. Rimarremmo stupiti e affascinati di

fronte all’incredibile spettacolo che solo pochi, che rappresentano le punte avanzate dell’evoluzione umana, hanno potuto ammirare nelle loro ‘esperienze delle vette’.” “La continuità e la solidità del mondo, amici” continuò “esistono solo nella nostra mente e nei nostri ricordi – proprio come in un film, che è composto da una serie di fotogrammi. È come dire, insomma, che la nostra mente ‘tiene insieme’ il mondo. Quando tocchiamo un oggetto avviene un fenomeno simile a quello che possiamo osservare nel movimento delle nubi nel cielo, o nelle colonne di fumo di un incendio: così si comportano i nostri aggregati di energia,le nostre nuvolette fatte a ‘uovo’. Anche se ci sembra di essere rimasti gli stessi, in realtà, ad ogni incontro, si è verificato un interscambio energetico, seppure piccolissimo, e noi ci ritroviamo leggermente cambiati; ed anche in questo momento, amici, stiamo cambiando”. Leggermente, aveva detto il Viandante. Alla faccia della leggerezza! Dopo quell’incontro noi siamo cambiati, e come! “Qui ci vuole un’aggiustatina allo scolapasta” disse Tre “perché la ragione si è messa a fare le bizze! Sicché ora viene fuori che siamo delle nubi di particelle e che il mondo separato in oggetti è una costruzione mentale perché non abbiamo l’occhio quantico! Ma che, ritornano fuori il mito della caverna di Platone, e il velo di Maya?” “Proprio così, amico mio! In fondo aveva ragione il grande maestro greco a considerare la realtà un grande insieme di ombre prodotte dalla nostra immaginazione.....” Certo, questa faccenda che la realtà che percepiamo è solo parziale e messa insieme dalla nostra mente e quindi non è la completa verità – che è invece la fondamentale unità del tutto – è veramente strana. Ma così è, se vi pare. E non è solo il buon Platone a sostenerlo: ne abbiamo trovato echi dappertutto. Dice, ad esempio, Anassagora: “Tutte le cose erano insieme; poi venne la mente e le dispose in ordine”. Scrive il grande filosofo e poeta Jalal al-Din Rumi, a noi occidentali poco noto perché appartenente alla tradizione islamica e quindi al mondo da combattere a botte di crociate: “Questa non è la vera realtà. La vera realtà si trova oltre la tenda. In verità, noi non siamo qui. Questa è la nostra ombra”. E così si esprime ilgrande Aurobindo nella sua Sintesi dello Yoga: “… L’oggetto materiale diventa qualcosa di diverso da ciò che attualmente vediamo:

non più un oggetto separato sullo sfondo o nell’ambito del resto della Natura, bensì una parte indivisibile e, in modo sottile, persino una espressione dell’unità di tutto ciò che vediamo”. Mah! Meno male che abbiamo il nostro scolapasta! “Insomma” disse Due “noi saremmo delle condensazioni di energia immerse in un enorme campo di esistenza.... e, se ho ben capito, una sorta di nubi fatte a uovo!” “Già” disse il Viandante con un sorriso “proprio delle nuvolette a forma di uovo, con al centro un bel nucleo!” “Basta!” saltò su il Ciottolaio “Voglio l’occhio quantico! Voglio vedere che razza di uovo sono!” Bisogna dire, caro fratello lettore, che non abbiamo mancato di utilizzare questo spunto dell’uovo per le nostre corbellerie, dato che percorriamo pur sempre una via toscana, e quindi ne sono venute fuori infami conversazioni tipo: “Come va il tuo uovo oggi?” “Non c’è male: è alla coque” oppure “Male: è un uovo sodo” “Malissimo: oggi mia moglie me l’ha rotto e ci ha fatto una frittata!”. E che vogliamo farci? Bisogna sempre cercare spunti per una battuta e una risata. Infondo serve a ricordarci che ognuno di noi è un aggregato di energia in vorticoso movimento al cui interno c’è un ‘nocciolo’ immortale composto di vibrazioni altissime e pure, che possiamo liberare dalla ‘gabbia’ e così collegarci con piani di esistenza superiori. E scusate se è poco! “Un momento” disse Quattro per riordinare in qualche modo le idee “va bene: cerchiamo di accettare che tutta la realtà, noi compresi, è composta da nuvole in un enorme campo di energia: ma come funziona questa faccenda che siamo tutti collegati? Ce la puoi spiegare meglio? A seguire certi scienziati c’è da uscire fuori di testa!” “Eh, sì, amico: capisco bene. Ma il ‘giochino’, se così si può dire, di fronte a idee nuove e incomprensibili, consiste nell’essere comunque aperti alle possibilità che esse rappresentano: poi, se sono giuste, daranno, col tempo, i loro frutti, ed è da questi che se ne misura la verità e la forza”. “Apertura e pazienza, quindi...” “Certo! Ma per rispondere alla tua domanda sulla connessione possiamo intanto rifarci, per fare esempi semplici, a qualche esperienza. A tutti voi,

probabilmente, è capitato di pensare ad una persona che non sentite da tanto tempo e di ricevere, proprio in quel momento, una sua telefonata, oppure di avere piccole o grandi premonizioni, o magari di sentire ‘arrivare’ il pensiero di qualcuno, o di imbattervi in strane ‘sincronie’ di avvenimenti che troppo frettolosamente si tende ad attribuire al caso. Conoscete anche i collegamenti strettissimi che esistono tra gemelli, che sono in grado di sentire le emozioni dell’altro anche a grandissime distanze, e certamente avete osservato lo stupendo e affascinante fenomeno della sincronicità che si verifica nel volo degli stormi di uccelli, che eseguono splendidi volteggi in cielo con straordinaria sincronia e precisione. Gli scienziati studiano da anni le proprietà che lo regolano, ma non hanno ancora trovato risposte chiare e definitive. L’unica spiegazione che appare valida è che ciò che ‘tiene insieme’ e collega in maniera così sincronica e immediata gli stormi di uccelli o i branchi di pesci arrivi da un livello che possiamo definire spirituale: insomma da una intelligenza organizzativa superiore. È questa che provoca la sincronicità, che si manifesta in esseri che sono in piena sintonia tra di loro e con l’ambiente in cui si trovano, e riescono quindi a eseguire le loro straordinarie danze, come se fossero in grado di percepire la musica e il ritmo della natura e dell’universo. Gli animali hanno un contatto più immediato, diretto e istintivo con questa sorta di armonia superiore, e nel loro mondo ci sono molti esempi di sincronicità. Nel nostro mare di pensieri e preoccupazioni, noi umani questo legame l’abbiamo purtroppo perduto, ed abbiamo invece sviluppato quell’individualismo egocentrico che ci fa ritenere di essere diversi e separati dagli altri. Tuttavia alcune persone, come, appunto, i gemelli monozigoti, o madri e figli, forniscono evidenti esempi di una notevole sincronicità; i casi, anche ben noti, sono veramente tanti, e suscitano, da sempre, interesse e meraviglia. Si sa anche, per fare un altro esempio, che molte persone hanno stabilito un forte collegamento con il loro cane, con il quale sono entrati in sincronia profonda. A tutti voi sarà capitato di vedere, o quanto meno a sentire i racconti di cani che percepiscono i movimenti del padrone anche in circostanze non abituali; che hanno premonizioni; che riescono addirittura a ‘sentire’ le intenzioni del padrone, quasifossero in grado di leggerne i pensieri.....” “Ora, perché i fenomeni di sincronicità possano verificarsi” continuò “ci deve essere, cari amici, una connessione profonda, un ‘qualcosa’ che tiene insieme il tutto. Basta pensare alla complessità del nostro organismo: centinaia di miliardi di cellule di diversi tipi, che svolgono una quantità incredibile di azioni per

assicurare il suo corretto funzionamento: devono per forza essere tutte in collegamento fra di loro, altrimenti il corpo, semplicemente, non funzionerebbe. Ci vuole, insomma, un livello superiore da cui dipende la sincronicità delle cellule del nostro corpo, che danzano al ritmo cosmico della vita come gli stormi di uccelli nel cielo...” “Se ho ben capito” disse Due, assai interessato, da buon medico, all’argomento “ci stai dicendo che il nostro corpo è tenuto insieme da una sorta di ‘musica’ che mette in relazione tutte le cellule che lo compongono?” “Certo, è proprio così; e quando questa musica viene distorta, cominciano i guai: crisi, depressioni, malattie, come ben sapete. Del resto è provato che essere tranquilli, sereni e innamorati genera un campo elettromagnetico di grande coerenza, diffuso in tutto il corpo, che mette tutto in armonica ‘risonanza’. E noi, dovunque andiamo, diffondiamo intorno a noi queste vibrazioni, che ci caratterizzano, che rivelano e identificano noi stessi,perché costituiscono la nostra essenza più intima e profonda. Dentro di noi ci sono, amici miei, molte ‘canzoni’, molte forme vibranti dovute alla nostra storia ata e all’intero universo che ci circonda e che scandisce le stagioni e i giorni della nostra vita; insomma al grande processo cosmico del quale siamo parte integrante. Dice Gandhi: ‘La musica divina scorre incessantemente dentro di noi, ma i sensi rumorosi sommergono questa armonia delicata, che è diversa e infinitamente superiore a qualsiasi cosa possiamo percepire o ascoltare con i nostri sensi’”. “Bisogna renderci conto, amici” continuò “dell’esistenza di questo livello spirituale, perché spiega veramente tante cose. Molti filosofi, in ato, vi si sono ‘ritrovati’ benissimo; un mistico come San sco o Santa Teresa d’Avila o un illuminato come Tagore non hanno avuto il minimo dubbio, avendo, come dire, ‘toccato con mano’: ma noi, figli dell’epoca del raziocinio e del metodo scientifico, al nostro stadio di evoluzione, facciamo certamente fatica. Non è infatti facile afferrare il fatto che si tratta del campo della coscienza, del potenziale, dell’intelligenza universale, dove le informazioni e l’energia emergono – come dice appunto la fisica quantistica – inun ‘mare di possibilità’.....” “Un momento, un momento!” saltò su Due “Qui non basta neanche lo scolapasta! Spiegati meglio, per favore!”

“Voglio dire, caro amico, che questo enorme, inimmaginabile campo, è la forza organizzatrice che sta alla base di tutto; è il motore dell’esistenza; è un campo di possibilità,un ‘potenziale allo stato puro’, che agisce fuori dal tempo e dallo spazio, e che noi possiamo cogliere non da semplici spettatori, ma da veri e propri partecipatori. La grande scoperta della fisica moderna, infatti, è che l’osservatore umano non è necessario solo per osservare le proprietà di un oggetto, ma anche per determinarle. Siamo insomma parte attiva nella determinazione della realtà, siamo necessari a tutto il resto; siamo le espressioni sul piano fisico di questa grande intelligenza superiore, che, attraverso noi, può ‘osservare se stessa’: una Intelligenza, amici miei, della quale, ad un livello profondo, noi facciamo parte....” “Un’Intelligenza Superiore?” intervenne subito Quattro “ma qui siamo entrati in pieno nel campo del divino!” “E perché no?” disse tranquillamente il Viandante “bisogna smettere, una buona volta, di aver paura e reticenza a parlare di spirito e di capacità creative universali; bisogna cominciare a tirare giù il divino dagli altari e a riconoscerlo dentro di noi! Del resto, Gesù Cristo non ha detto che “il Regno di Dio è in voi e fuori di voi”? E non è forse questa, con le parole che si potevano usare allora, la descrizione della matrice universale?”. A queste parole, così nette e chiare, ci siamo tutti zittiti, ben lo ricordiamo. Capita, a volte, che arrivano come dei lampi, che illuminano la coscienza, e rischiarano tutto l’orizzonte della comprensione, e allora si ha la sensazione profonda che si tratti di una verità, perché è semplice, universale e chiara, proprio come la luce che emana dalla figura straordinaria di quell’essere che si è manifestato due millenni fa in Palestina. Noi cinque anonimi esseri umani non siamo né fisici atomici, né mistici, né, tanto meno, filosofi o psicologi: siamo dei semplici viaggiatori nella grande avventura della coscienza, come sono tanti altri, e come sei tu, fratello lettore, che hai avuto la pazienza di arrivare fin qui a leggere le nostre esperienze, i nostri pensieri e i nostri sogni, e non possiamo pretendere di capire tutto. Del resto, è importante conoscere i nostri limiti, perché è solo conoscendoli e accettandoli che possiamo superarli. Tra l’altro dobbiamo dire che, nel ‘fuoco di artificio’ finale di quella straordinaria giornata, il Viandante ci ha fornito una notevolissima ‘chiave’ proprio per andare oltre noi stessi, come vedremo in seguito.

Ci basta, comunque, che ci sia pervenuta, attraverso i buchi dello scolapasta, se non la certezza, almeno un ragionevole grado di consapevolezza che quello che noi, con i nostri limitatissimi sensi, possiamo percepire e vedere è solo una piccola parte, limitata e parziale, di una ben più vasta realtà; che facciamo tutti parte di un tutto unico; che la nostra percezione delle cose come se fossero distinte è una illusione; che l’energia è dotata di coscienza, e che quindiquesta intelligenza cosmica si trova dappertutto; e che, infine, esiste la dimensione dello spirito, una matrice universale che tutto permea e tutto muove. Vogliamo chiamarla magari matrice divina? E perché no? Vogliamo rifarci alle parole di Cristo citate dal Viandante? E rifacciamoci, accidenti, anche perché così lo scolapasta non solo perde peso, ma ci rende più leggeri. E magari, se non ci riesce accettarlo, possiamo almeno accantonare in qualche parte della nostra coscienza il ‘piccolo concetto’ espresso dal nostro amico, che, in un livello più profondo di realtà, noi siamo addirittura parte di quella intelligenza, cioè di un essere universale che osserva se stesso attraverso un sistema nervoso umano. E vai! E per finire, ecco qui due citazioni dalla antica mistica orientale: “Il mondo è come una immensa città, riflessa in uno specchio. E quindi anche l’universo è una immensa immagine di voi stessi riflessi nella vostra coscienza”. E ancora: “Ciò di cui sono tessuti il cielo, la terra e lo spazio intermedio, la mente assieme a tutti i sensi, questo Atman unico è quello che si deve conoscere”. E prima o poi arriveremo, caro fratello lettore, a conoscerlo: sarà solo una utopia, ma ce lo teniamo ben stretta. E, infilato questo sogno nel nostro zaino nell’apposito spazio riservato alle pazze, e perciò concrete, speranze, torniamo, ancora una volta, alla cronaca. “Caro amico” disse Tre “tu hai trattato di energia e di spirito, e hai parlato nientemeno che del Regno di Dio... e questa è veramente una cosa grande, una stupenda speranza.... Ma ci sembra una meta così labile, così sfuggente, e così lontana....” “Eh, sì: capisco i vostri dubbi e le vostre incertezze.... ma niente paura: chi sceglie l’infinito è stato scelto dall’infinito; e se voi siete qui a parlarne vuol dire che vi siete incamminati sulla via del ritorno...”

Capitolo dodicesimo

La via del ritorno Che vi piaccia o meno, che lo sappiate o meno, segretamente la natura è alla ricerca della strada attraverso cui poter ritrovare Dio. Meister Eckhart

L’uomo, d’epoca in epoca, va camminando verso la più perfetta comprensione della sua anima che è più grande di tutte le cose da lui accumulate, di tutte le imprese compiute, delle teorie enunciate; di quell’anima il cui progredire non verrà mai arrestato dalla morte e dalla dissoluzione. Rabindranath Tagore

La via del ritorno. Stiamo dunque tornando verso la dimensione dello spirito, dalla quale proveniamo: questo era, per il nostro Viandante, un dato di fatto, una certezza. Ma per noi? Come se intuisse i nostri pensieri, il nostro amico disse: “Cose come queste non basta, certamente, udirle con gli orecchi: vanno sentite profondamente, con il cuore, con la percezione profonda. Bisogna che scatti, in voi, una sensazione che vi fa dire: ‘Non so perché, ma è così! È così, in barba a tutti i ragionamenti e a tutte le logiche!’. Vedete, amici, potete fare una prova: provate ad inviare un messaggio all’interno di voi stessi, a fare una domanda e poi mettervi ad osservare se, in qualche maniera, il nucleo divino dentro di noi vi manda la risposta. E siccome si tratta, per l’appunto, di un nucleo gioioso e intelligentissimo, volete che non trovi la maniera per rispondere?” “Speriamo che non risponda con una lettera” disse Cinque “le Poste non funzionano bene fino a questo punto!” Il Viandante si fece una risata. Che bello, ridere e veder ridere! Si diventa anche più luminosi. Proprio così: si emana più luce. Ce ne siamo accorti osservando il nostro straordinario amico, perché in lui il fenomeno era naturalmente evidente. Ci sono degli esseri che sembrano capaci di distillare un’essenza invisibile per poi proiettarla sotto forma di luce, o, magari, di assorbire meglio degli altri la

luce esterna; e allora il loro volto, e in particolare gli occhi, brillano e risplendono. Evidentemente l’illuminazione della coscienza ha anche un riflesso sul piano fisico, visto che siamo composti solo da energia. Anzi, a pensarci bene, se si diventasse completamente trasparenti alla luce, tutte le cellule del corpo potrebbero risplendere: e questo dovrebbe essere il fenomeno della trasfigurazione, come ha mostrato Gesù Cristo sul Monte Tabor. Ma, per carità, non ci allarghiamo e torniamo sulla terra. “Non preoccuparti” rispose “il nostro nucleo di verità sa bene cosa fare. Il problema è solo che il vostro io consapevole deve piano piano imparare a riconoscere le risposte. Perché, vedete: la nostra essenza profonda deve necessariamente esprimersi con un linguaggio che l’io possa comprendere, e allora ricorre ai sogni, ai simboli, alle intuizioni: insomma ai messaggi interni, che bisogna imparare a riconoscere e distinguere da quelli che provengono dal sé inferiore....” “E con un po’ di pazienza e buona volontà” aggiunse quasi a prevenire obiezioni “potete tranquillamente arrivarci: i messaggi dal Sé superiore arrivano continuamente: arrivano nella dimensione cosciente dello stato di veglia e in quella altrettanto reale, dei sogni; nei pensieri, negli avvenimenti grandi e piccoli, nelle sincronie, nelle coincidenze, negli incontri, nella vita di tutti i giorni.... Insomma, i ‘postini celesti’ sono sempre al lavoro!” “Amici” proseguì dopo una breve pausa “pensate un po’: esaminate la storia della nostra Terra e dell’umanità che la abita. Da una massa di materia informe si è sviluppata la vita in infinite forme bellissime, che hanno conquistato i mari e il cielo, ed è uscito un essere, l’uomo, capace di autocoscienza, e di spingersi consapevolmente alla ricerca della Verità. Questa evoluzione, questo ribollire di energia e di vita è il risultato della ‘pressione’ dello spirito. E’ proprio una pressione, una spinta potentissima, che provoca una progressiva ‘spiritualizzazione’ della materia. E questo fenomeno è evidente in quello straordinario essere che si chiama uomo. È in lui, e in particolare nelle persone più avanti nell’evoluzione, che si può vedere come la materia densa, composta di vibrazioni basse, si sta elevando di frequenza, si sta ‘sciogliendo’ in un altro stato di esistenza: dalla condensazione si sta andando verso la sublimazione, dalla contrazione stiamo procedendo verso l’espansione. Siamo sulla via di ritorno, amici: siamo in viaggio verso la luce; stiamo tornando a casa!” Stiamo tornando a casa. Siamo in viaggio sulla via del ritorno. Ma che bellezza,

le parole del Viandante! E che potevamo dire? Tirar fuori obiezioni? Nemmeno ci venivano; e poi, al diavolo i ragionamenti. Bisogna, ogni tanto, metterli da parte e lasciarsi andare, senza paura di finire in qualche parte ‘incontrollabile’, ancheperché spesso accade che in quella parte ‘ignota’ si finisce per starci benissimo. E allora, avanti a sentire quelle parole, musicali come una bella canzone. “Sta arrivando, dalle dimensioni superiori, una nuova vita, un nuovo modo di essere, cheancora non è percettibile; per ora, questo esiste soltanto sul piano spirituale, ma un giorno comparirà sul piano fisico in maniera così evidente, manifesta e chiara, che tutti dovranno per forza vedere e sentire; e coloro che non saranno preparati, per ‘mettersi al o’, dovranno are per molte sofferenze: per questo, amici, è bene che vi diate da fare...” Ahia. Il tono della musica era presto calato: si riparlava di sofferenze. Comunque, una cosa avevamo capito: meglio saperle, queste cose, per poterci preparare ed evitare guai. “Il problema, amici, è solo – sifa per dire – quello di non opporre resistenza a questa pressione. Facciamo un esempio: la pressione atmosferica che preme su una pietra non riesce a modificarla; ma la stessa pressione su un liquido riesce a farne salire verso l’alto, in un piccolo cilindro, una certa quantità. I gas, poi, sono ancora più modificabili da forze esterne. La stessa cosa vale per l’energia che costituisce il nostro corpo: bisogna che essa scorra liberamente, in armonia con le correnti spirituali, che si esprimono attraverso i ritmi cosmici e le leggi naturali. Se ci sonoblocchi, nodi, ostruzioni, attriti e conflitti, allora, come abbiamo visto, sono guai, sotto forma di comportamenti sbagliati, ansie, angosce, malattie.....” “Quello che dovete ben comprendere” continuò “è che ogni azione e movimento è energia, così come sono fatti di energia ogni pensiero e ogni sentimento, e se questi sono distorti e di bassa frequenza, generano forme disarmoniche, costituiscono delle barriere al flusso sconfinato della vita, e vanno conosciuti, compresi e controllati. E se non potranno essere tutti eliminati subito, pazienza; l’importante è prendere intanto coscienza che esistono, e portarli al livello della consapevolezza... Insomma lo spirito, volendo scorrere liberamente, tende a ‘scardinare’ le

resistenze, e allora può generare sofferenza e dolore; ma, evidentemente, siamo noi che li determiniamo, con le nostre libere scelte.... In effetti, amici, questa che ho chiamato ‘pressione dello spirito’ è la forza potenziale di un enorme campo – proprio come dice la fisica atomica – che noi possiamo ‘utilizzare’ come vogliamo: e se creiamo spazio dentro di noi per accoglierla, questa arriva, e ci riempie, e fa salire la nostra ‘colonnina di mercurio’ interna tanto più in alto quanto più abbiamo lavorato alla nostra trasparenza.....” “E siamo sempre lì con la nostra responsabilità” disse Tre “ma il Creatore, invece di lasciarci completamente liberi, non poteva metterci in tasca un libretto di istruzioni, unmanualetto per le giovani marmotte, o magari un piccolo navigatore portatile per ritrovare la via?” “Se è per quello, amico mio” ripose il Viandante sorridendo “mi sembra che il Creatore abbia fatto qualcosa di più: ci ha messo dentro un Riferimento, una Meta, e poi ci ha lasciati scegliere la nostra strada e scrivere il manuale della nostra vita... splendido, non è vero?” “Forse è proprio così” convenne Tre. E bisogna dire, per dovere di cronaca, che il nostro amico Tre è stato il fautore più deciso ed entusiasta della realizzazione di questo libro. “Comunque sia, tanto per cambiare, si ritorna alla conoscenza di noi stessi...” osservò Quattro. “Non per niente gli antichi greci avevano scritto la frase ‘conosci te stesso’ sul frontone del più importante dei loro templi, come avete anche voi ricordato.... Eh, sì, amici, bisogna arrivare a conoscere la totalità di noi stessi, e soprattutto quella ‘zavorra’ che abbiamo chiamato l’Ombra....” “Altrimenti si va avanti di vita in vita con la pressione dello spirito sul groppone e le resistenze sotto i piedi... giusto?” disseDue. “Direi che l’immagine è efficace” osservò il Viandante ridendo. Ma pensate, amici, che cosa ha prodotto lo spirito nelle persone che l’hanno accolto lavorando su se stessi: rendendosi trasparenti alla verità, alla bellezza, all’armonia, hanno prodotto straordinarie creazioni in ogni campo, dalle arti alla musica, dalle scienze alla filosofia,e con le loro vite hanno illuminato il cammino dell’umanità. In alcuni casi, certamente, questa pressione ha avuto effetti che potremmo chiamare strani o bizzarri, come i fenomeni della

levitazione, della scrittura automatica, della bilocazione, della incorruttibilità dei corpi, della fragranza, della luminosità, delle stigmate, della trasfigurazione. Sono fuori dalla logica, certamente; ma liquidarli come prodotti della superstizione sciocca e dell’ignoranza bruta e primitiva non è soltanto riduttivo: è stupido, e niente, cari amici, è peggio della stupidità. Nei tempi odierni, in cui la ricerca psicologica ed anche quella scientifica hanno iniziato finalmente a riconoscere che nell’uomo c’è assai più di quanto si possa misurare ed anche immaginare, questapressione genera consapevolezza: la verità si riversa quindi nel livello cosciente non per fede cieca o per illuminazione ‘miracolosa’ ma per comprensione, per esperienze dirette, come quelle che si possono chiamare ‘delle vette’. Si sta insomma sviluppando l’io consapevole, che si rende conto sempre di più della straordinaria complessità dentro di noi, ed è sempre più aperto verso le infinite possibilità dei livelli di esistenza spirituali che si possono raggiungere lavorando alla trasparenza della nostra anima..... Sì, cari amici: il lavoro su di noi per realizzare la nostra trasparenza può essere lungo, difficile, ed anche doloroso, ma vale senz’altro la pena di compierlo: i doni che il cielo distribuisce sono straordinari, e molti li hanno ricevuti....” Eh, sì: bello sentire questo tipo di discorsi. Bello e affascinante. Essere sulla via del ritorno; ricevere i doni dal cielo: e che c’è di meglio? L’immagine poi della ‘discesa’ dello spirito è veramente notevole, e a questo proposito ne abbiamo ‘pescato’ una descrizione in uno scritto di un nostro contemporaneo, il grande medico e psicologo Assagioli: “Gli elementi spirituali discendono come raggi di sole nella personalità umana, nella nostra coscienza personale, e formano il collegamento tra la nostra personalità umana ordinaria e l’Io spirituale, la Realtà spirituale. Sono come dei raggi, che discendono e che si colorano e si attenuano variamente, secondo la permeabilità, la trasparenza della nostra coscienza personale”. “Diamine, che roba!” esclamò Quattro affascinato “ce li puoi descrivere, questi doni?” “Non è facile trovare parole adatte. Alcuni di voi, forse, possono aver avuto fugaci lampi di questo stato di coscienza. È uno stato di beatitudine, in cui il senso di unità è completo: si sente che l’amore è alla base di tutto, che la vita non ha più misteri, che tutto è per il meglio e non c’è niente da temere. Si ha, netta, l’esperienza che Dio è una realtà interiore,che coincide con ciò che

noi possediamo nel profondo. Questafortissima presenzapuò provocare all’inizio un vero e proprio sconvolgimento, tanto sono forti le sensazioni che si provano. È proprio come se l’intero organismo fosse attraversato da una scarica elettrica. Il risultato è, insomma, un’esperienza completa, fisica, emotiva, mentale e spirituale, che si potrebbe definire totalizzante, cosmica, perché coinvolge, appunto, la totalità della persona. L’io dell’individuo deve essere, perciò, in grado di adeguarsi alle elevate vibrazioni di questo stato, altrimenti può venire travolto.” “Insomma, amici” concluse dopo una breve pausa “ci vogliono lavoro, trasparenza, coraggio e forza, per reggere la potenza della Perfezione.....” Però: le esperienze delle vette! Per quel poco che possiamo intuire, si tratta di una sorta di sospensione dei sensi, dello spazio e del tempo, nella quale si percepisce la verità fondamentale che ciò di cui siamo fatti è la stessa materia di cui sono composte tutte le forme della creazione, dai fiori, agli animali, agli oceani e alle stelle. L’individualità, insomma, si dissolve nell’unità del tutto. L’argomento era di tale interesse che noi abbiamo poi fatto la nostra brava ricerca (e come non ringraziare, ancora una volta, il nostro grande Viandante?) e abbiamo constatato, con sorpresa, che sono moltissime, dall’antichità fino ai nostri giorni. Sono davvero tanti i momenti ‘di punta’ dell’umanità, in cui le persone più progredite nel sentiero della coscienza hanno nettamente e potentemente percepito la dimensione transpersonale, e la forza dell’energia vitale universale (e se sono tanti quelli noti, figuriamoci quelli non documentati, o non riconosciuti come tali). Dalla lettura di queste esperienze ciè rimasta la meraviglia e lo stupore di fronte a ciò di cui l’uomo è capace, alle vette che riesce a conquistare, all’eterno che attraverso di lui si esprime. È stata una iniezione di conoscenza e di speranza così concreta e piacevole, fratello lettore, che non possiamo fare a meno di riportarne qualcuna. Ci viene da citare, come esempio tra i tanti, quello di Santa Teresa d’Avila, personaggio stupendo, che era in netto contrasto con la Chiesa, di cui pure faceva parte, e che ha illuminato, con la sua vita, i tempi tenebrosi dell’Inquisizione spagnola. Era una donna che amava, come il suo grande amico San Giovanni della Croce, l’allegria e la gioia (“O Signore – diceva – liberamidai santi musoni!”) e che si è ritrovata come ‘invasa’ da una forza così grande che, anche al di là della sua volontà cosciente, la faceva spesso levitare

per aria, la spingeva a scrivere, in una sorta di trance estatica, pagine stupende come quelle del Castello interiore, e le provocava visioni di una potenza sopportabile solo con grandi difficoltà. Racconta, Teresa, di queste esperienze, che per lei erano assolutamente reali: ne citiamo una, nella quale Dio le mostrò “un globo meraviglioso di cristallo a forma di castello, con sette stanze; la settima, situata al centro, era occupata dal Re della Gloria, da cui emanavano una luminosità e uno splendore così assoluti, che tutte le camere adiacenti ne brillavano. E più queste erano vicine al centro, tanto maggiormente le inondava una luce sorprendente”(e come non vederci descritto il nucleo divino?) E, ancora, scrive: “Alcune volte appresi per mezzo di parole pronunciate: altre volte invece appresi alcune cose senza l’aiuto di parole, ma queste cose io le appresi più chiaramente e distintamente di quelle altre cose che mi erano state dette con parole. Compresi verità indicibilmente profonde concernenti la Verità..... La Verità di cui parlo, e che mi fu dato di vedere, è la Verità stessa, in se stessa. Essa non ha né principio né fine. Io la comprendo tutta, benché le mie parole siano oscure a paragone di quella chiarezza...” Ci corre obbligo riferire, tanto per non dimenticare che la nostra è una via toscana, che, quando abbiamo fatto leggere al nostro Cinque le incredibili esperienze di Teresa, il nostro amico, ricordando l’immagine della ‘colonnina di mercurio’ del Viandante, ha esclamato: “Accidenti che pressione! A questa gli è schioppato il barometro!”, aggiungendo poi che la dimensione dello spirito, con lei, si deve essere proprio divertita. E chissà che non sia davvero così. Ramakrishna descrive cosa gli accadde quando fu toccato sulla fronte dal suo Maestro Narendra: “Al meraviglioso tocco del Maestro la mia mente subì una rivoluzione completa. Ero strabiliato nello scoprire che non c’era proprio nulla nell’universo che non fosse Dio. Rimasi in silenzio, domandandomi quanto tempo questo sarebbe continuato. Non ò durante tutta la giornata. Ritornai a casa, e lì mi sentii alla stessa maniera: tutto ciò che vedevo era Dio. Mi sedetti a mangiare, e vidi che ogni cosa – il piatto, il cibo, mia madre che lo stava servendo, io stesso – tuttoera Dio e nient’altro che Dio.... era un mare che era coscienza...” Tagore racconta: “Era mattino. Un panorama improvvisamente prese forma, e tutto ciò che vedevo diventava splendido. Il mondo intero era una sola musica radiosa, un ritmo meraviglioso. Le case, la gente che camminava, i bambini che giocavano, ogni cosa sembrava far parte di un tutto luminoso –

inesprimibilmente luminoso”. Questa visione di Tagore durò qualcosa come sette o otto giorni. E per lasciare il campo religioso o mistico e are, per così dire, a quello laico (separazione che per lo spirito, ovviamente, non ha senso) citiamo anche l’esperienza di un contemporaneo, il dott. Bucke: “Ad un certo punto, senza alcun avvertimento di sorta, mi trovai circondato, per così dire, da una nuvola color fiamma. Per un istante pensai ad un incendio, ad una improvvisa deflagrazione della città, ma dopo un attimo compresi che la luce era in me.”, e quello di una donna straordinaria, Helen Keller, che, rimasta sordomuta e cieca da bambina, maturò, nel suo perenne e silenzioso buio, esperienze eccezionali: “....un’intuizione sfolgorante e stupefacente sembrò impossessarsi della mia mente e illuminarla. Percepii la realtà della mia anima e la sua pura indipendenza da tutte le condizioni spaziali e materiali. Mi era chiaro che ero uno spirito che aveva ‘visto’ e sentito così vividamente un posto che era a migliaia di chilometri di distanza. Lo spazio non era nulla per lo spirito! In quella nuova consapevolezza splendeva la presenza di Dio, Egli stesso uno spirito dappertutto contemporaneamente: il Creatore che dimora in tutto l’universo simultaneamente”. E che facciamo, fratello lettore? Storciamo la bocca in una espressione di dubbio,accantoniamo il tutto e tiriamo avanti? Noi questo non lo vogliamo proprio fare, e ci industriamo invece a tenere la mente libera e aperta e a cercare di capire, come ci ha suggerito il Viandante. Anzi, già che ci siamo, un dubbio ce lo permettiamo: che le straordinarie visioni del padre Dante, che hanno prodotto un’opera universale come la Commedia, fossero qualcosa di più di una semplice immaginazione. Comunque sia, se questa è la via del ritorno, e se quella è la meta, c’e veramente da rallegrarsi di essere in viaggio, mettere il nostro zaino in spalla, e darsi da fare per camminare.

Capitolo tredicesimo

La costruzione della scala

Che tu possa costruire una scala per le stelle e salirne tutti i gradini. Che tu possa rimanere per sempre giovane, per sempre giovane... Bob Dylan ‘Forever young’

La nostra coscienza non è in realtà tua o mia; è la coscienza dell’uomo, evoluta, cresciuta, accumulata in tanti, tanti secoli. Quando lo comprendiamo, la nostra responsabilità diventa straordinariamente importante. Krishnamurti

Colui che cerca non desista dal cercare fino a quando non avrà trovato e quando troverà sarà commosso e si stupirà, e così commosso contemplerà e regnerà sul Tutto. Gesù di Nazareth

Ma che ore erano? Il cielo era ancora luminoso, ma il sole era più basso, in mezzo agli alberi. Le nostre ombre si erano allungate sul terreno coperto di muschio, foglie ed erbetta fresca. Un leggero vento penetrava dai rami portando il profumo della ginestra. Stava arrivando la sera. Avevamo le menti piene, fratello lettore: il problema era allora, ed è anche oggi, di riuscire in qualche maniera a nuotare in quel fiume di conoscenza che il Viandante ci riversava addosso; avevamo, comunque, una grande eccitazione e molta voglia di capire, che facevano piazza pulita della stanchezza fisica e mentale. Il nostro Uno è un personaggio facile agli entusiasmi e, per inevitabile conseguenza, anche a prendere delle facciate nei muri che la vita ci pone implacabilmente davanti: si consola, da buon ‘filosofo’, sostenendo che bisogna sbagliare, perché l’esperienza altro non è che la somma degli errori commessi. (Vale la pena di riportare il pregnante commento del Ciottolaio a questa teoria: “Se così è, io ho acquisito una esperienza mostruosa!”). Tutto questo per

giustificare l’enfasi con la quale commentò queste rivelazioni: “Ma, ragazzi! Queste sono cose stupende! Dovrebbero trasmetterle al telegiornale, con titoloni a tutto campo: ‘Abbiamo un Nucleo Divino!’, oppure ‘Scoperte le nostre mille personalità!’ ‘Individuata la Matrice Universale!’ invece delle schifezze che ci propinano!” Il Viandante rise, e commentò: “Chissà, forse in un prossimo futuro questo tipo di argomenti farà notizia, ma, di questi tempi, l’anima non è certo di moda! Non è comodo guardarsi dentro, e la maggior parte della gente preferisce percorrere vie più comode, che però non portano da nessuna parte....” “E’ bello l’entusiasmo” proseguì “ma anche quello deve essere consapevole. L’uomo ha un compito molto importante nella Creazione: deve stare con la testa in cielo, ma con i piedi ben piantati in terra.... E’ la posizione che Leonardo ha raffigurato nel famoso disegno dell’uomo vitruviano, che tutti conoscete: è dentro un cerchio e tiene le braccia distese e orizzontali, quasi a reggere il Cielo... infatti è nell’uomo che si trovano insieme materia e spirito, vibrazioni basse e alte: l’uomo è il ‘laboratorio della trasformazione’, è il veicolo, la possibilità del ritorno.... In fondo, vedete, potete anche pensare di essere, in un certo senso, ‘in missione per conto di Dio’....” Ehilà: questa poi! In ‘missione per conto del Creatore’! Ci sarebbe di che riempirsi il cuore e gonfiare i polmoni, e magari da uscire di testa e partire per la tangente! Ma, grazie a Dio, noi abbiamo la nostra antica ironia toscana, che fa piazza pulita di sbrodolamenti e borie, e ci fa ridimensionare tutto, e per primi noi stessi. La espresse subito il nostro Tre: “Sta fresco, il Creatore, se deve contare su dei bischeracci come noi!” “Beh, pensateci bene, amici; rifletteteci, perché è proprio così. Ma attenzione: se entrate in questo ordine di idee, e ve ne rendete conto profondamente, allora deve diventare un impegno; non si può far finta di nulla, e c’è poco da scherzare con le cose dello spirito: più aumentano conoscenza e consapevolezza, più si ricevono doni dal cielo, e più deve aumentare la nostra responsabilità. È una missione veramentespeciale, ed impegnativa.” E, a questo punto, tirò fuori dallo zaino un altro piccolo oggetto: “Ecco qui, amici, questo è un attrezzo che serve, appunto, a ricordare il lavoro che dobbiamo compiere, e a mantenere la misura....”.

Era una scatoletta di legno scuro e lucido, molto semplice, piccola e rettangolare, con il coperchio incernierato.“Questa è la schifezza portatile”. La schifezza portatile. E questa? A che poteva mai servire? “Qui dentro, amici, c’è una formidabile porcheria. Pensate un po’: qual’è la più grande che potete immaginare?” Seguì un rapida discussione. Un animalaccio? Macché: tutti gli animali, per quanto brutti, hanno una loro straordinaria armonia.... il letame, o, per dirla alla toscana, il bottino? Ma figuriamoci: dal letame nascono i fiori, le piante... Dopo un po’ raggiungemmo un accordo: la più grossa schifezza era l’uomo politico, il cialtrone senza pudore, gonfio di vanità, che racconta tranquillamente menzogne, che può dire tutto e il contrario di tutto, che sorride per chiedere il voto e tradisce senza il minimo scrupolo, solo per i propri piccoli e sporchi interessi... Il Viandante rideva. “Eh, sì, capisco, ma qui c’è un’altra cosa... e così dicendo, aprì il coperchio. Guardammo con curiosità. Ma dentro.... non c’era niente!” “Ma qui non c’è nulla!” osservammo. “Voi non vedete nulla, amici, ma qui ci sono .... dei pensieri!” “Come? Dei pensieri?” “Proprio così. Vedete, un grande errore che si commette è quello di non considerare abbastanza la forza dei pensieri. Essi sono energia, sono delle vere e proprie entità: hanno delle forme belle oppure orribili, sublimi o spaventose. Noi non produciamo pensieri: semplicemente ci sintonizziamo con questi. Apriamo le porte a forme ed energie di ogni tipo da cui ci facciamo magari travolgere e avviluppare, e da queste dipende il nostro stato d’animo, la qualità della nostra stessa vita....” “Qui ci sono forme orrende” continuò “energia che deve essere trasformata e sublimata... Insomma è roba che si trova nell’inconscio, cioè nella cantina di quel grande edificio che abbiamo dentro... e se lavoriamo su di noi, visto che siamo collegati, lavoriamo per tutti..... Se non compiamo questo lavoro, amici, sono guai: ci trasciniamo la ‘cantina’ vita dopo vita, magari riempiendola sempre più, e dopo ogni morte, dobbiamo

confrontarci con tutte le schifezze che abbiamo acchiappato e riversato sugli altri e su noi stessi, con parole ed azioni: cioè con tutto il ‘male’ prodotto: e non è una cosa piacevole....” “Ahia! Chissà che c’è nella mia cantina!” esclamò sconsolato il Ciottolaio. “E questa scatoletta” proseguì il Viandante “serve per ricordarci il lavoro che dobbiamo compiere; per renderci consapevoli che l’anima si colora con il colore dei nostri stessi pensieri, come diceva Marco Aurelio, ed anche per trovare, ogni volta, la misura giusta; a non ‘partire per la tangente’, a non farci prendere dalle utopie fuori luogo, o magari farci rapire completamente dalla bellezza di un’opera d’arte: anche in quello, amici, ci vuole misura!”. Dobbiamo dire che questo attrezzo, che evoca la via di mezzo, il lavoro cosciente, il rispetto e la misura, è particolarmente congeniale al nostro Due, sempre pronto alla fiducia, alla tolleranza, alla comprensione, e attento a smussare le asperità e le incomprensioni nei vari avvenimenti della vita di tutti i giorni. E vale anche la pena, data la natura di questa nostra via toscana, raccontare che, dopo una visita alle meraviglie contenute in Palazzo Pitti e una conseguente ‘overdose’ di bellezza, Uno e Due si sono piazzati, ridendo come matti, di fronte a dei bidoni di spazzatura, tanto per equilibrare le emozioni e non perdere di vista la famosa ‘via di mezzo’. E noi non dobbiamo perdere di vista la nostra cronaca, perché stiamo arrivando, fratello lettore, ad un punto cruciale. “Diamine!” esclamò Tre “ma è così importante, l’uomo?” “E perché no?” disse tranquillamente il Viandante “per certi versi, fa, per così dire, un duro lavoro, un ‘lavoro sporco’, molto diverso da quello, ad esempio, degli Angeli, ma non per questo meno importante......” “Importante come quello degli Angeli?” esclamò Quattro “Però!!” “Ma certo. Vedete, amici, gli Angeli sono amore puro, non possono fare altro che amare... noi, invece, abbiamo il dono straordinario e terribile della libertà: possiamo scegliere; ogni volta, ogni istante, possiamo andare verso l’ombra o verso la luce. Ma chi sceglie definitivamente la luce dopo aver attraversato il

buio...beh, amici miei, a quello.... tanto di cappello!” “Ah sì?” saltò su Cinque “Hai capito! Bellini, gli Angeli! Che vengano unpo’ quaggiù, a friggere in questo tegame!” Ci fu, manco a dirlo, uno scoppio di riso. La battuta “Bellini, gli Angeli!” è entrata ormai nel nostro lessico consueto, e la ricordiamo bene anche perché provocò un interessante commento del nostro amico: “Beh, magari ci sono degli Angeli che sono già ati per la condizione umana.... Comunque, amico,sono certo che anche chi ci sta intorno si sarà fatta una bella risata!” “Come sarebbe, ‘chi ci sta intorno’?” chiese Uno. “Non penserete di essere i soli abitatori di questa realtà... Intorno a noi, amici, ci sono energie incorporee di tutti i tipi, che noi stessi richiamiamo con i nostri comportamenti, pensieri ed emozioni. Ci sono quelle che ci danno una mano e quelle pronte ad abbassare le nostre vibrazioni per renderci come loro.... Se gli uomini potessero vedere che cosa hanno intorno, si comporterebbero, credetemi, assai diversamente....” Mah! Chissà che diamine potremmo vedere, se avessimo l’‘occhio quantico’! Ma, a dir la verità, abbiamo il sospetto che possedere quella che si chiama chiaroveggenza non debba essere poi una cosa così piacevole! E andiamo avanti senza ulteriori commenti. “Senti” disse Tre “se ho ben capito, allora, qui si tratta di fare un bel lavoro con la nostra ‘cantina’: è giusto?” “Proprio così, amico mio. Finora abbiamo indicato la via per effettuare un lavoro di demolizione, per togliere di mezzo incrostazioni, ostacoli, barriere e credenze sbagliate: ora bisogna parlare di costruzione. E per quest’opera di costruzione, amici, ci vogliono altri due attrezzi...” E, dal suo incredibile e magico zaino, tirò fuori altri due oggetti. Il primo era una sorta di ciotola senza manici: una semplice semisfera di un metallo di colore simile all’ottone, di foggia artigianale, con strani segni sulla parte esterna; all’interno c’era un pezzo di legno cilindrico e tornito con una impugnatura. L’altro era una piccola mestola: una via di mezzo tra la cazzuola dei muratori e quella, molto più piccola, che usano i pittori per mescolare i colori. Una mestolina di metallo chiaro dalla punta aguzza,con il manico di legno color noce.

“Questi, amici, sono la campana tibetana e la mestola per costruire la scala.” Ma tu guarda. “E a che servono?”“E quale scala?” chiedemmo. “Dunque: la campana tibetana, che forse qualcuno di voi conosce, quando viene fatta entrare in vibrazione... in questa maniera vedete?” e così dicendo strofinò il pezzo di legno sul suo bordo esterno “emette un suono particolare.... sentite? che aiuta il rilassamento e favorisce la calma interiore. Sono tante le situazioni nella vita in cui, prima di parlare, o agire, bisogna far tacere gli strepiti di pensieri ed emozioni, e trovare così le parole e le reazioni giuste: che è poi una maniera per collegarsi con la nostra parte spirituale. Insomma, amici, ci vogliono calma e pazienza, due doti difficili da coltivare, in questo mondo frenetico. Ma ricordate: il Cielo è molto lento nel dispensare le sue ricompense, ma quando lo fa, è per sempre; e se ci riesce di entrare nel Paradiso, cari amici, nessuno ci può più mandar via. Ma ci sono molti sforzi da fare per arrivare a bussare alla porta del Cielo, emolto da lavorare prima che ci venga aperta: come dice la saggezza orientale, chi vuol arrivare alla sorgente deve risalire la corrente. Ma così stanno le cose, amici: si conserva unicamente quello che si è ottenuto con il lavoro e la fatica....” “Ed inoltre” continuò “questo attrezzo simboleggia due atteggiamenti fondamentali: l’accettazione e il distacco.” “L’accettazione, vedete, è una disposizione dell’animo che rappresenta, per chi la consegue, una vera conquista, un o avanti sul cammino dell’evoluzione...” “Ricordate, cari amici, quello che vi sto per dire” e qui fece una pausa per catturare ancora di più la nostra attenzione “quanto più accettate il dolore, tanto meno questo vi provoca sofferenza; più riuscite ad accettare il vostro odio e meno odiate; più accettate le vostre parti brutte e più aumentano quelle belle; più accettate di essere stati feriti, più ne guadagnate in forza e dignità. È forte chi ammette le proprie debolezze, amici; è forte chi coraggiosamente affronta e riconosce la propria ombra....” “L’accettazione” continuò “non è sciocco fatalismo: non è, assolutamente, rassegnazione: è, anzi, il coraggio di vedere le cose come stanno, di non mentire a noi stessi cercando di nascondere quello che è evidente; di riconoscere quello che abbiamo dentro, nella sua totalità, comprese le miserie e le debolezze; è la valutazione calma e serena dei nostri limiti, la comprensione di ciò che è

inevitabile e più grande di noi, e di quello a cui possiamo porre rimedio. E’ l’accettazione serena e paziente degli altri, così come sono, vedendoli anche come possono essere. E’, insomma, la consapevolezza che, perraggiungere il meglio, bisogna riconoscere con coraggio il peggio”. “Quanto al distacco, amici” proseguì “abbiamo già detto che bisogna sviluppare l’io consapevole, il regista che osserva la rappresentazione teatrale che avviene dentro e fuori di noi: questo nostro personaggio – che, naturalmente, siamo sempre noi – devearrivare ad osservare ioni ed emozioni, avvenimenti grandi e piccoli, miserie e bellezze, luci del bene e ombre del male, scorrere tutti insieme nel grande fiume della vita, senza essere coinvolto in attaccamenti e dipendenze di sorta. Questa, amici, non è indifferenza, ma una serena, consapevole, affettuosa, obiettiva e distaccata partecipazione......” Queste parole del Viandante ce le siamo stampate in testa, caro fratello lettore, e ci fanno veramente da guida, nel percorrere il sentiero della nostra vita. Sono parole di una saggezza profonda, che derivano da una lunga e antica esperienza. Sono distillati di conoscenza, gocce preziose, da conservare, magari insieme alle lacrime, nell’apposito vasetto. Certo, noi le utilizziamo a modo nostro, e quindi le trasformiamo, magari, in battute e bischerate varie. Ma serve, ebbene sì, a sdrammatizzare, e a prendere la vita e noi stessi con ironia e leggerezza, cosa che, secondo il pensiero del Viandante, ed anche il nostro, è veramente fondamentale. E ci viene subito in mente, a questo proposito, una rapida conversazione intercorsa recentemente tra due di noi, quando un temporale stava minacciando un giorno di vacanza: “Ma sai che c’è? Se si mette a piovere, si farà come fanno a Prato!”. “E come fanno, i pratesi?” “Lasciano piovere.” “Davvero?! Sono geniali!” “Ma che, scherzi? Quelli hanno capito tutto!”. Ma sì, fratello lettore: bisogna arrivare ad accettare, possibilmente con allegria e serenità, tutto quello che viene dal Cielo, dalla Terra e dalla vita, perché tutto ha un senso, e una giustificazione profonda. E andiamo avanti con la cronaca. “E questa mestolina?” chiese Tre con comprensibile curiosità. “Questa serve, come vi ho detto, a costruire la scala.” “Scusa, ma quale scala?”

“Quella che va dalla cantina alla soffitta”. “Beh, questa ce la devi spiegare!” “Dunque, amici” riprese il Viandante con la sua parlata chiara e pacata e il suo sorriso affabile e leggero “abbiamo capito che dentro di noi c’è una ‘cantina’ piena di disordine, sporcizia e confusione, che ha bisogno, diciamo così, di una bella ripulita. Per tanto, troppo tempo, vi abbiamo gettato dentro un sacco di rifiuti, il cui peso, però, continuiamo a sentire e a trascinarci dietro, e ora abbiamo paura ad aprire la botola, e a guardarci dentro; e questa, invece, è una operazione che, come abbiamo visto, bisogna fare. Ma dentro di noi, grazie a Dio – è proprio il caso di dire così – c’è anche il nucleo divino, c’è il piccolo ed enorme seme di verità, che aspetta solo di essere scoperto; c’è anche la parte alta dell’edificio: c’è, insomma, anche una bella soffitta, con un abbaino da cui entra la luce. Il fatto è che abbiamo fatto crollare la scala che porta dai piani inferiori a quelli superiori, o, magari, non l’abbiamo mai costruita; e allora il nostro io, poveretto, è rimasto, per così dire, al primo piano, tra la cucina e la camera da letto; si arrangia a cucinare con gli ingredienti che trova, e magari, a botte di espedienti e medicine, tiene un piede sulla botola che ogni tanto ribolle cercando di far emergere il contenuto della cantina attraverso ansie, preoccupazioni, malattie e incubi nei sogni....” “Ma se il nostro io diventa consapevole dell’esistenza della parte alta” continuò“allora si può mettere a costruire la scala che porta al piano superiore, da cui si possono vedere la luce del sole, l’universo e le stelle...Ecco il significato di questa mestolina: con questa si può costruire, gradino per gradino, con la malta prodotta dal lavoro su noi stessi e i mattoni della conoscenza, la scala verso la soffitta, e poi, perché no, realizzare anche una bella terrazza per vedere meglio il Cielo...” “Mah!” osservò il nostro ineffabile Ciottolaio “Con la fortuna che ho, capace che mi arrestano per abusivismo edilizio spirituale!”. Il Viandante si fece una bella risata. “Però: quella dell’abusivismo edilizio spirituale potrebbe essere una branca della nuova psicologia!” “E va bene” disse il nostro Quattro, sempre attento a sintetizzare e riassumere “capisco l’immagine della costruzione del collegamento interno. Ma una volta costruito, che succede? Che fa, il povero io, si mette a correre su e giù per la

scala aprendo un po’ la botola della cantina e un po’ la porta della soffitta?” “Intanto, amico mio, una volta rivolto lo sguardo verso l’alto e saliti i primi gradini, si comincia a sentire un’aria diversa, molto più fina, pulita, fresca e frizzante, e cominciano ad arrivare i doni dello spirito: un senso di universalità, di giustizia, di sicurezza, di unità con il tutto, di profonda sacralità della vita, di apertura, di espansione della coscienza; e si comincia allora a sentire uno strano nuovo sentimento, un desiderio che nasce dal profondo, ed emerge, sempre più forte... ” “E qual’è?” “Il desiderio di affidarsi al Nucleo Divino”. Capitolo quattordicesimo L’affidamento Dio non vi chiede nulla se non che vi lasciate andare e che Lo lasciate vivere in voi. Meister Eckhart

La volontà dell’uomo di arrendersi all’infinito è il principio della sua unione con Dio. Solo allora può l’amore di Dio agire pienamente sull’anima dell’uomo attraverso la libertà. Rabindranath Tagore

Scopro che tutti i miei pensieri ruotano attorno a Dio, come i pianeti ruotano intorno al sole, e come questi sono irresistibilmente attratti da lui. Sentirei di commettere il più grave peccato se opponessi resistenza a questa forza. Jung

“Affidarsi al Nucleo Divino?” chiese ancora Quattro, sinceramente colpito “In che senso, affidarsi?” “Caro amico” rispose il Viandante “l’immagine del ‘povero io’ che deve correre avanti e indietro sulla scala ha la sua validità, perché non c’è dubbio che l’io deve lavorare, e non poco, alla sua costruzione. Certo, può ingegnarsi ad aprire, ogni tanto, la botola e a cercare di farci penetrare un po’ di luce riflessa in qualche modo: ma il lavoro è lungo, pesante e difficile, lo capite bene.....” “Amici” disse a questo punto il Viandante rivolgendosi a tutti con sincero trasporto e con un ampio gesto delle braccia per richiamare la nostra attenzione “tra poco calerà la sera, e noi dovremo riprendere ognuno la nostra strada. Ascoltate allora attentamente, vi prego.....” Silenzio totale e orecchie tese, fratello lettore. Anche il vento era calato, ed era sparito pure il leggero stormire delle foglie degli alberi.L’aria era tiepida e ferma. La sagoma del Viandante era illuminata, da dietro, dai raggi bassi del sole, ormai vicino a sparire là in fondo, dietro le colline di Montalcino. Il Viandante non stava mai a pensare sulle parole che diceva. Le pronunciava spontaneamente, con grande naturalezza e chiarezza, e con la semplicità che, lo abbiamo capito, è un criterio di verità. Questa volta sembrava riflettere, quasi a scegliere al meglio le frasi, per renderle ancora più efficaci. Quelle che riferiamo, purtroppo, dobbiamo ancora farlo notare, non sono le sue esatte parole: anche se ci siamo dati da fare, è impossibile ricordarle, e chissà che cosa abbiamo perso. Cerchiamo solo di coglierne il senso e il significato, riportandole meglio che possiamo. “Lo scopo dell’essere umano” disse “è quello di far penetrare, anche nell’angolo più nascosto della coscienza, la consapevolezza della realtà divina, dell’eternità della vita e della benevolenza dell’universo. L’uomo ha la capacità di ‘richiamare’ lo spirito e ‘far salire’ la materia, e non è cosa da poco, davvero. Avete infinite capacità potenziali, perché tutto ciò che esiste nell’Universo, dalle pietre alle piante fino agli Angeli e a Dio, esiste anche nell’uomo. Anche nel corpo fisico sono presenti tutti gli elementi della Creazione. C’è tutto, amici: tutto ciò che vi serve lo avete già. L’uomo può progredire fino all’infinito....” “Se guardate verso l’alto riuscendo a tenere i piedi ben piantati a terra seguendo la giusta via di mezzo; se riuscite a dominare i vostri pensieri, sentimenti ed

emozioni, allora diventerete i padroni del vostro regno interiore, aprirete una finestra sullo spazio infinito, e vi si apriranno impensati orizzonti di luce, perché vi sarete resi trasparenti alla ‘discesa’ del mondo divino. Chi si mette in cerca del Divino, anche se sembra che non trovi niente, in realtà si sta dirigendo verso la ‘terra del tesoro’ che si trova dentro di lui, e il Divino si manifesta allora attraverso intuizioni, pensieri, desideri e sentimenti: e questa ricerca e questa fede, amici, fanno già parte della luce che da Lui proviene. E’ così che funziona: si parte con una speranza, un atto di fede; si cerca, e si cerca ancora, e la speranza si trasforma nell’esperienza, e nella realtà. E allora si riparte di nuovo, fino ad arrivare alla verità. Non si tratta semplicemente di credere o non credere e fermarsi lì, a una fede dogmatica e vuota, appiccicata a forza alla coscienza con un collante fasullo perché inconsapevole, bensì di studiare, di verificare, di comprendere. Così si va avanti; così ci si avvicina alla Verità”. Avevamo ben capito che non era il caso di interrompere per chiarimenti o spiegazioni. Stavamo semplicemente a sentire, silenziosi ed attenti. “E’ bene che sappiate che quando lasceranno il corpo fisico le vostre anime saranno attirate naturalmente, per affinità di vibrazioni, dalle energie e dai ‘luoghi’ che avete desiderato e cercato durante la vita; quindi, se i vostri pensieri e desideri saranno stati alti e nobili, raggiungerete luoghi di luce; altrimenti dovrete immergervi nelle tenebre. Dopo ogni vita, rivedrete il ‘film’ del vostro percorso, e sarete voi stessi a giudicarvi. Dipende tutto dalle vostre libere scelte: voi siete gli unici responsabili del vostro destino. Il compito del vostro piccolo io cosciente è quindi molto grande, amici: deve faticosamente scalare la montagna della consapevolezza, e fare da ponte tra il proprio sé inferiore, con tutte le sue distorsioni a paure, e il Sé superiore. E l’individuo – e questo lo sanno benissimo nei ‘piani alti’ – non può farcela da solo: ha bisogno dell’aiuto di altri, altri amici che percorrono lo stesso sentiero, che possono vedere quello che gli sfugge e fargli quindi da specchio. Dovete quindi imparare ad aprirvi agli altri, e, come abbiamo già detto, rinunciare alle vostre difese, buttare alle ortiche orgoglio e paure e mostrare la vostra nuda vulnerabilità. Non è facile, certo, ma è indispensabile.....” “E infine” disse dopo una breve e intensa pausa “dovete comprendere che l’impresa è troppo difficile per un essere umano, immerso com’è nella materia:

troppo dura, senza l’aiuto del Divino in voi. Questo aiuto ce l’avete, amici: è lo stupendo dono che vi ha portato l’Energia del Cristo, scendendo in un giovane uomo della Palestina, duemila anni fa, ed è contenuto nel Nucleo Divino, nel tesoro dentro di voi che aspetta solo di essere scoperto. Prendetene coscienza, amici, con la vostra intuizione e i vostri sentimenti profondi; chiedetegli aiuto, ed affidatevi; lasciatevi andare, finalmente: è un grande sollievo, dopo tante vite, tanti dubbi, tanti errori e sofferenze. Eliminate le difese e le paure, e imparate a ricevere i suoi insegnamenti e la sua ricchezza. Svuotatevi, con coraggio e umiltà, e il vuoto dentro di voi sarà riempito dall’energia dello Spirito....”. “E se volete ricevere personalmente l’aiuto del Cristo” proseguì “e vi mettete seriamente e sinceramente alla Sua ricerca, certamente lo riceverete...” Nessuno parlò, fratello lettore: era calato un silenzio pieno, e denso di vibrazioni di emozione. Ma come? pensavamo. L’aiuto del Cristo a noi, bischeracci e cialtroni? A noi, così come siamo combinati? Ma così è, così deve essere. Tra le parole pronunciate in quegli anni che hanno cambiato il mondo, Gesù dice che sarà sempre presente dovunque ci saranno persone che parleranno di Lui. Forse, chissà, c’era anche allora, in mezzo a noi, in quella piccola radura nel centro della Toscana, in una giornata di maggio. Il Viandante si accorse subito che eravamo frastornati e, quasi a riportare il tutto sul terreno, a noi più congeniale, dell’esempio pratico e dell’ironia, ci disse: “Guardate, amici: in fondo è semplice. Immaginate una piccola scenetta in tribunale, nel tribunale che è il palcoscenico della nostra vita, dove il Sé superiore è ovviamente il giudice, il sé inferiore, manco a dirlo, l’imputato, e l’iol’avvocato difensore. ‘Vostro Onore’ dice l’avvocato nella sua arringa finale ‘qui, sottoposto al giudizio della Corte, c’è l’imputato. Ma voglio, per amore della verità e della giustizia, indicare alla vostra attenzione e benevolenza, un altro responsabile: il sottoscritto. Ebbene sì, Vostro Onore: mi autoaccuso. Ho ato vite e vite, e molti anni anche in questa vita, a difendere e a difendermi. Mi sono difeso, e questo voi potete ben comprenderlo, dalle insidie della vita; ho cercato di proteggere il bambino dentro di me per evitargli dolori e ferite, ma ho protetto e difeso anche l’imputato, quando non ce ne era bisogno. Ho costruito una maschera per nascondere le sue paure, il suo orgoglio, il suo odio, la sua

bruttezza, il suo rancore eil male che ha provocato. L’ho fatto nell’illusione che nessuno se ne accorgesse; l’ho fatto per inerzia, per quieto vivere, per debolezza e vigliaccheria. Ebbene sì: l’ho fatto. Non ne sono colpevole, perché di colpe ce ne hanno caricate sulla schiena anche troppe, ma responsabile sì, certamente. Ho speso e sprecato molta energia, ma ora, Vostro Onore, sono riuscito faticosamente a capire qualcosa;ed allora ecco l’imputato: è lì, ed è a nudo. È, né più né meno, quello che è. Ma so quello che può diventare; so che la trasformazione, la grande transizione, è possibile. Ma questo non è più un compito mio. C’è qualcuno di ben più forte ed alto di me che lo può fare; ed allora ho deciso: mi appello alla comprensione ed alla benevolenza della Corte, della quale resto, naturalmente, a disposizione. La difesa si rimette.’” La difesa si rimette. Questa scenetta, manco a dirlo, è quella che ci ha permesso di ricostruire, più o meno bene, le parole del Viandante. Ma sì: è inutile nascondersi dietro a un dito; inutile cercare di coprire quello che gli altri, magari, vedono benissimo. Mettiamoci a nudo, accidenti. E che sarà mai? Di che abbiamo paura, del giudizio degli altri? È un altro, il giudizio che dobbiamo temere: è quello di noi stessi, quando sarà il momento – ed è sempre, il momento: è il giudizio del Vostro Onore dentro di noi. E allora, affidiamoci. Ha ragione, il Viandante: affidiamoci all’aiuto del Cielo. E che vogliamo di più? Consideriamoci le piccole penne del Grande Scrivano: lasciamo che, attraverso di noi, possa scrivere anche una sola lettera della Sua poesia, una sola nota della Sua canzone, o un piccolissimo tratto del Suo disegno. Ci viene in mente, a questo proposito, un o di un libro di Satprem, nel quale il discepolo del grande Aurobindo riporta le frasi che venivano pronunciate dalla Voce che parlava, dall’interno, al Maestro: “Ricordati, non aver mai paura, non esitare mai; ricordati che sono io quello che fa, non tu o qualche altra persona. Quali che siano le nubi che verranno, quali che siano i pericoli e le sofferenze e le difficoltà, quali che siano le impossibilità, non vi è nulla di impossibile, nulla è difficile. Sono io quello che fa”. Nulla è difficile. Sono io quello che fa. Che meraviglia, fratello lettore, che sollievo! Ma per capire meglio in che consiste questo affidamento, torniamo, ancora una volta, alle parole del Viandante. “Vedete, amici” ci disse “Questo movimento di affidamento non è il rimettersi supino dell’imputato ad una giustizia dogmatica e indiscutibile, e neanche

l’abbandono estatico del mistico, che parte per le sue altezze perdendo il contatto con la terra e con le sue radici. È un movimento interno forte e consapevole; il risultato di un lungo percorso di conoscenza; il frutto della decisione profonda, sincera e coraggiosa di un piccolo io che riconosce i suoi limiti ma anche, perché no, i suoi meriti e le sue potenzialità; la decisione di chi sa che ha lavorato duramente per demolire distorsioni e false credenze; che ha riconosciuto i suoi errori e, proprio per questo, è riuscito a capire di far parte di una realtà straordinaria e vasta al di là delle sue possibilità di immaginazione. È il moto di sollievo del viandante che vede all’orizzonte la meta, ancora indistinta ma reale, del suo lungo viaggio; è la commozione profonda di chi vede diradarsi le nuvole nella notte e comparire le stelle che gli indicano il cammino. Èl’azione vigile e attenta del navigante che tiene ben saldo il timone, sicuro che una volta trovata la sua stella d’argento non la potrà più perdere; è il sentimento profondo di chi ha capito che ciò che è conquistato una volta lo è per sempre, e chela via che la stella indica è quella del Grande Ritorno.....” Silenzio. Con calma, il Viandante ripose nel suo zaino gli oggetti che aveva estratto. Ahi, stava per andarsene: che peccato, fratello lettore, che peccato!C’era ancora così tanto da imparare, e da capire, così tanto....Ma il momento era giunto: il nostro amico si alzò in piedi, e tutti lo imitammo subito, rispettosamente. “Amici, sta tramontando il sole: dobbiamo andare. Ricordate quello che vi ho detto, è per il vostro bene. Sviluppate il vostro sé consapevole; prendete coscienza della moltitudine di personaggi che abita dentro di voi e indicate a tutti la direzione giusta. Tirate fuori tutte le vostre forze: dovete imparare, attraverso l’osservazione, la lotta, la felicità e le lacrime: è così che si procede verso la luce. Siate sempre contenti e paghi di ciò che avete, e mai di ciò che siete. E se volete essere felici, ringraziate il Creatore per tutto quello che vi ha donato, e datevi da fare per farne beneficiare anche gli altri: può ricevere amore solo chi ha imparato ad amare. Ricordate, amici: si possiede solo quello che si è dato. Continuate a cercare, senza abbattervi, e affidatevi al Nucleo Divino con fiducia: la vera libertà consiste nel mettersi a disposizione del Creatore, perché si possa compiere la Sua volontà”. E così dicendo si caricò lo zaino sulle spalle e si avviò. L’incontro era terminato; quella fantastica giornata stava volgendo al termine, ed era giunto il momento del commiato.

Capitolo quindicesimo Il commiato L’uomo è un dio in lenta ascesa, e tra la sua gioia e il suo dolore si trovail nostro sonno, e il sogno che ne nasce. Kahlil Gibran

E condividete i piaceri sorridendo nella dolcezza dell’amicizia, poiché nella rugiada delle piccole cose il cuore trova il suo mattino e si ristora. Kahlil Gibran

Il sole e gli astri e le potenze della natura obbediscono ai comandi di colui che nel proprio essere ha annientato il sé illusorio e vano. La vampa del sole non può bruciare colui che nel suo cuore ha la lampada della conoscenza spirituale. Jalal al-Din Rumi

Il commiato dal Viandante ci sembrò troppo netto, e brusco. Era troppo bello sentirlo parlare di quelle cose stupende che riempivano l’animo e aprivano il cuore alla speranza. Ma così doveva essere: in fondo era giusto così. Seguito da tutti noi, che avevamo recuperato in fretta zaini e biciclette, il nostro amico attraversò un piccolo tratto di bosco dalla parte opposta a quella della nostra provenienza, al di là del quale c’era una strada sterrata. “Bene” ci disse indicando un tratto in discesa “quella è la vostra direzione. Io vado dall’altra parte. Ognuno deve riprendere il suo viaggio.... Arrivederci, amici....”

Lo abbracciammo, emozionati, senza riuscire a dire niente, se non pronunciare qualche breve, piccolo saluto; forse non ce l’abbiamo fatta neanche a ringraziarlo. Siamo rimasti per qualche lungo istante a guardarlo in silenzio mentre si allontanava, e il sole, ormai al tramonto, tingeva il cielo dei colori dell’arcobaleno. Abbiamo tutti ancora ben fissa nel ricordo la sua sagoma, esile e leggera, con lo zaino in spalla, che si voltava con il braccio alzato per un ultimo saluto. Così è finito, fratello lettore, quello straordinario incontro, che ha riempito di incanto una intera giornata e illuminato un nuovo periodo nelle nostre vite. Una veloce pedalata ci riportò, in poco tempo, a San Giovanni d’Asso. Sul grande monovolume di Due, che procedeva verso casa, il primo commento, dopo un bel po’ di silenzio assorto, fu che dovevamo ritrovarci per fissare, in qualche maniera, quell’universo di conoscenza che il Viandante ci aveva riversato addosso in quella incredibile giornata, e così abbiamo cercato di fare. Ma che bello, il nostro Viandante! Che stupenda persona! In fondo, a pensarci bene, la lezione di fondo, il suo più chiaro, semplice e profondo insegnamento, è che ci ha dato il suo affetto, la sua conoscenza, la sua visione della vita e del Cielo, maturata in chissà quanti studi, vite ed esperienze, così, semplicemente, per il puro desiderio di dare, senza pretendere nulla, entrando ed uscendo dalle nostre vite con la grazia e la leggerezza di un bambino; ed ha avuto, in cambio, la cosa più bella di noi che potevamo e possiamo dargli, la parte migliore: il nostro affetto e la nostra riconoscenza. Non c’è dubbio: è donando che si riceve, e amando che si è amati. È così che funziona: questa è, con ogni evidenza, una legge dello spirito. E quando avvengono questi scambi di ‘energia fina’, le cose cambiano: cambia la visione del mondo, della realtà, della vita; cambiano gli orizzonti; cambiamo, profondamente, noi stessi. Forse eravamo in una qualche misura pronti per quell’esperienza; forse eravamo riusciti, a forza di ricerche, tormenti ed errori, a fare un po’ di vuoto dentro di noi e a creare una sorta di contenitore che aspettava di essere riempito: così, comunque, è successo. E, forse, qualche parte dell’energia e della conoscenza del Viandante si può trasmettere, attraverso questo libro, a te, fratello lettore, per confrontare e stimolare le tue ricerche e magari illuminare, almeno un poco, il tuo cammino: questa, dobbiamo dirlo, è la nostra più bella speranza, la migliore giustificazione al lavoro compiuto.

Sono tanti, gli argomenti che il Viandante ha trattato: troppi, per studiarli a fondo, e troppo grandi, comunque, per le nostre forze. Ma, forse, una analisi approfondita non sarebbe nemmeno giusta, perché nelle cose dello spirito, almeno così ci sembra, bisogna arrivare alla sintesi, al distillato dell’esperienza, all’emozione profonda e inesprimibile. Comunque sia, noi ci siamo proposti di scrivere e testimoniare, e quello che ci sembra di aver capito dobbiamo in qualche maniera riferirlo. Ed ecco, allora, le convinzioni che abbiamo maturato. La nostra vita è un grande esercizio per imparare ad amare: per imparare la lezione che ci può portare già qui, già in questo irripetibile e straordinario periodo su questa Terra, in una condizione superiore di esistenza. Per acquisire questa conoscenza ci vuole esperienza: bisogna are attraverso la fatica, l’errore, il dolore, la frustrazione. Bisogna conoscere noi stessi e le nostre parti oscure: la cattiveria, l’odio, la rabbia, la gelosia, il desiderio di distruggere e far male, molto male. Dobbiamo riuscire a sviluppare un nostro Sé consapevole che riesca a osservare tutto ciò che noi siamo: luci ed ombre, coraggio e vigliaccheria, miserie e nobiltà. Ci sono, così pensiamo, due fondamentali modi per conoscere: uno è certamente quello della logica, del raziocinio, della prova evidente ai nostri sensi, dell’esperimento ripetibile, della dimensione materiale obiettiva, misurabile e osservabile, del chiaro rapporto causa-effetto. Ma c’è, altrettanto certamente, un altro complesso di facoltà che noi possediamo e che dobbiamo solo imparare a sviluppare, ed è l’intuizione sottile, la sensazione indefinibile ma chiara, l’accorgersi dell’irrompere improvviso nella nostra mente di immagini e pensieri, di strane coincidenze, di piccole e grandi premonizioni, la capacità di avvertire e distinguere le vibrazioni dell’energia della quale siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda. È quel qualcosa che ci fa dire ‘non so perché, ma è così!’, che ci fa avvertire la strana, irrazionale sensazione che ciò che in quell’istante sta avvenendo, una intuizione, una comprensione, una azione, un incontro, una frase detta o udita, è esattamente ciò che doveva avvenire, che doveva essere: come se fossimo tutti immersi in una sorta di rete invisibile che collega tutte le forme dell’energia. È la consapevolezza profonda, inspiegabile e indefinibile, dell’esistenza di un altra realtà, di un altra dimensione, che si manifesta proprio attraverso questo intreccio impalpabile, che è insieme la sua essenza e la sua giustificazione. Bisogna, noi crediamo, imparare a riconoscere, a distinguere, perché questa

realtà è, come noi, composta di luce ed ombra, di verità e menzogna. Conoscerla significa superarla, così come un errore conosciuto non è più tale, e un ostacolo superato ha finito il suo compito; perché quello è il linguaggio della condizione superiore, dello Spirito, di ciò che consente all’energia di esprimersi in una forma; dell’Origine, del Grande Motivo di tutto. È per questo, crediamo, che siamo qui, piccoli e grandi uomini, a vivere questa vita: imparare ad amare, e, come dice il grande Assagioli, distinguere il messaggio spirituale dal tramite umano. Amare non la lampada, ma la Fiamma. Certo, il Viandante ci ha parlato di cose meravigliose ed enormi: ha affermato che possediamo un Nucleo Divino che è della stessa sostanza del Creatore; ha trattato di Matrice Universale; dell’importanza dell’Uomo nella Creazione Divina; ha detto che siamo tutti fratelli sulla via del Ritorno; ci ha, insomma, indicato una grande, straordinaria, luminosissima meta alla fine del nostro percorso e una stupenda giustificazione alla nostra vita e al nostro lavoro. E noi ce la teniamo ben stretta, nel contenitore dei nostri sogni e delle nostre speranze più belle. Ma, con altrettanta forza, ci ha detto di tenere i piedi ben piantati a terra e di lavorare su noi stessi, e ha anche voluto simboleggiare questo lavoro con i suoi incredibili, ironici e geniali attrezzi dell’‘oggettistica vitale’. A questo proposito abbiamo scoperto che in molte tradizioni esoteriche i simboli delle facoltà che l’iniziato, dopo un lungo lavoro e grandi sofferenze riesce a conquistare, sono proprio oggetti, come la bacchetta magica, il crogiolo,l’elisir di lunga vita, la panacea universale, lo specchio magico, la pietra filosofale. Ma quella, fratello lettore, è roba per i Grandi Iniziati. A noi sono assai più congeniali i nostri attrezzi ironici, allegri e ruspanti, come è l’aria che si respira nella nostra Toscana, e che caratterizzano la via che il Viandante ci ha mostrato in quel giorno di primavera. Eh, sì: a noi piace volare alla luce del sole, lontano dalle ombre, ma non vogliamo svolazzare troppo in alto, e farci bruciacchiare le ali, come nell’antico mito di Icaro. Ci teniamo dunque a mantenere lanostra misura, e a conservare la consapevolezza dei nostri limiti; ci industriamo a coltivare calma ed umiltà e, certamente, ci consideriamo a disposizione, sempre e comunque, del Vostro Onore dentro di noi, cercando di tirare fuori i nostri rospi e costruire questa benedetta scala verso la soffitta. Siamo convinti che la risata, la battuta arguta, l’ironia capace di prendere in giro

le nostre debolezze, sbeffeggiare seriosità e contorcimenti mentali e smascherare immagini e proiezioni, siano una sorta di motore, di marcia in più sul sentiero della conoscenza. E allora ci industriamo a coltivare queste facoltà, a ricercare motivi di gioia e di allegria, a leggere buoni libri, a sentire bella musica; a ritrovare, attraverso l’osservazione dei bambini, che possiedono la grazia, il sogno e la libertà, il bambino giocoso che è in noi; a caricare le nostre batterie interne con il contatto con la bellezza della natura e delle opere d’arte. E se è vero che siamo tutti collegati, dare una mano, con la scoperta e l’elevazione di noi stessi, agli altri nostri fratelli. E scusate se è poco. E, a proposito di risate e bischerate, ci capita sempre più spesso – e lo consideriamo un buon segnale evolutivo – di fare qualche pensiero decisamente ‘grullo’. Ad esempio il nostro Uno, emergendo da una incursione nel campo della spiritualità orientale con una infame teoria secondo la quale la penetrante ironia toscana può funzionare meglio dei koan, i micidiali rompicapi del buddismo zen per far emergere l’assurdo e filtrare i pensieri, ci ha riferito che il progresso del discepolo in quella tradizione è simboleggiato da questa frase: “Prima di praticare lo zen, le montagne mi sembravano montagne, e i fiumi mi sembravano fiumi. Da quando pratico lo zen, vedo che le montagne non sono più montagne, e i fiumi non sono più fiumi. Ma da quando ho raggiunto l’illuminazione, le montagne sono di nuovo montagne, e i fiumi di nuovo fiumi”. Al che abbiamo trasportato la stessa scena nella via toscana, immaginando di fare una scampagnata con tanto di mogli, figli, nonni e parenti vari, e poi metterci tutti e cinque insieme in fila, nella posizione vitruviana, con lo scolapasta in testa, ed esclamare: “Queste colline una volta erano colline; poi non erano più colline; ora sono di nuovo colline!”, e ci siamo fatti un sacco di risate pensando alle facce dei ‘nostri cari’. Il Ciottolaio ha detto che vuole salire sulla torre pendente della sua Pisa, con lo scolapasta in testa e dire a tutti che, ispirato dal suo grande concittadino Galileo, vuole fare un ‘salto quantico evolutivo’ (“Tanto” ha detto “ho degli amici al reparto neuro dell’ospedale”). Dobbiamo anche tristemente riferire che il nostro Uno è preda, con sempre più preoccupante frequenza – ma questo potrebbe essere, però, anche un buon segno – di attacchi di ‘filosofite acuta’, dai quali cerca pietosamente di rianimarlo, da buon terapeuta, il nostro Due, per evitargli la ‘filosofosi cronica degenerativa’, morbo a suo dire pernicioso e irreversibile.

Tre e Quattro hanno deciso di procurarsigli attrezzi della ormai indispensabile oggettistica vitale e sistemarli su un tavolo in salotto. “Così” hanno detto “se i nostri figli ci chiederanno; ‘Babbo, ma tu hai capito qualcosa della vita? Non hai degli insegnamenti per noi?’, noi risponderemo indicando scolapasta, vassoio porta rospi, eccetera: ‘E questi, secondo voi, cosa sono?’” Abbiamo anchetirato fuori una sublime teoria secondo la quale, alla fine dei tempi, quando la materia sarà ritrasformata in spirito e sarà compiuto il Grande Piano del Creatore, ci sarà un formidabile concerto, nel quale ognuno si esibirà con lo strumento che ha imparato a suonare nel suo ciclo evolutivo. Il Ciottolaio ha detto che lui si sta specializzando nel triangolo, quell’aggeggino tenuto in una mano da un personaggio in fondo all’orchestra (a destra, naturalmente) e che, in tutta l’esecuzione, emette solo un piccolo ‘ding’, mentre tutti gli altri strumenti tacciono per un istante, ed ha aggiunto: “Con la fortuna che mi ritrovo, sono sicuro che, dopo un milione di incarnazioni, sbaglierò il tempo e il Direttore di Orchestra mi farà ricominciare daccapo!” Ci piace anche pensare che, così come in questa vita noi siamo attirati dai nostri ‘simili’, cioè quelli che hanno gli stessi interessi, le stesse vibrazioni e, in definitiva,la stessa visione della vita e della realtà, forse anche nell’aldilà avverrà la stessa cosa, e ci ritroveremo allora insieme agli amici più cari di questa e delle altre vite, in qualche ‘posticino’ dove poter continuare a dire e a fare bischerate, magari non più terrestri, ma angeliche. Certo, fratello lettore, non facciamo e diciamo solo corbellerie: c’è la vita di tutti i giorni, e i problemi da risolvere nel mondo frenetico dei nostri tempi oscuri. Come tutti, anche noi siamo assaliti dalle brutte notizie che arrivano da tutto il mondo,sempre più piccolo e violento, che i mezzi di informazione si incaricano di rovesciarci addosso quotidianamente con compiacimento, quasi a voler spingere la gente allo sconforto, e allontanare la speranza. Quando sentiamo terribili storie di violenza gratuita o diinnocenza violata, di fame e di guerra; quando notiamo l’indifferenza e il fastidio con cui vengono considerati i disperati nostri fratelli che cercano di sbarcare sulle nostre coste in fuga dal terrore e dalla miseria, che neanche vengono soccorsi da chi li incrocia per mare; quando osserviamo i disastri che ancora combinano i fondamentalismi religiosi e politici, alimentati da mascalzoni o dittatori pieni ipocrisia e vanità; quando notiamo, nella nostra bella Italia, il dilagare di un conformismo becero, ignorante ed egoista, privo di valori e tensione morale, ci sembra di vedere la

nostra madre Terra come avvolta da una sorta di ragnatela vischiosa, che oscura la luce della verità e atrofizza le coscienze. Solo pochi anni fa era protagonista, nel teatro dell’Europa e del mondo, la violenza fredda, lucida, cinica, spietata, sistematica, indifferente e brutale; l’orribile cattiveria fine a se stessa. Adesso la distruzione ha preso un’altra forma: ci viene da paragonarla alla mucillagine che a volte si forma nel mare e impedisce l’ossigenazione e la vita. E allora, fratello lettore, a volte ci viene la nausea, e abbiamo bisogno del famoso vasetto del Viandante: ci viene la nausea e lo sconforto, e un profondo senso di impotenza. Ma reagiamo, certo, reagiamo: ed è la consapevolezza del nostro Nucleo Divino che ci aiuta e ci conforta; il pensiero di quelle vibrazioni perfette della nostra essenza profonda, che sono al di sopra delle sofferenze, del dolore, del male e del tempo. E allora ci piace immaginare che lavorare su di noi, per la nostra evoluzione, possa voler dire lavorare anche per gli altri, con cui siamo collegati nell’unità di tutta la creazione; e ci dà conforto pensare alla frase della saggezza araba che recita: “Dio dice: Se qualcuno cerca di avvicinarsi a Me di un palmo, Io cerco di avvicinarmi di un cubito; se qualcuno cerca di avvicinarsi a Me di un cubito, Io cerco di avvicinarmi a lui di due braccia, e se qualcuno cammina verso di Me, Io corro verso di lui”. Ci riempie di speranza quello che il Viandante ci ha fatto capire: che ci sono esseri, nella dimensione superiore, che ci danno una mano, e sa Iddio se ne abbiamo bisogno. Siamo convinti che noi, che abbiamo ricevuto tanto dalla vita, abbiamo il dovere morale di ridistribuirlo a chi ci sta intorno, con le nostre attenzioni, il nostro affetto, o magari con un semplice sorriso o un gesto di gentilezza, e che lo sperpero della nostra vita consista proprio nell’amore che non abbiamo donato, in quello che potevamo fare e non abbiamo fatto. E anche se riusciamo ad accendere solo un piccolo fiammifero, o al massimo un focherello, abbiamo la speranza che, insieme a quelli di tanti altri, provochino un bell’incendio. Ricordiamo quello che il Viandante ci ha detto: che le distorsioni della Veritàservono proprio a distinguerla bene, nascosta com’è nella menzogna;che il male e la sofferenza altro non sono che dolorose ma inevitabili ‘pressioni’ sulle

coscienze degli uomini per spingerli verso la via giusta; che non bisogna giudicare, ma avere apertura, tolleranza e pazienza. Ricordiamo tutto questo, ma, vedendo quello che ci pare lo scempio dell’insegnamento del Cristo, di questo Essere straordinario di cui la Chiesa si è appropriata per fissarlo sulla croce, liberarlo una volta all’anno, trionfante e gioioso, per pochi giorni, per poi affrettarsi a rinchiodarlo sui lontani e inaccessibili altari, noi, che non abbiamo ancora raggiunto la distaccata calma del saggio, ci indigniamo. E allora, ricordando le tante raffigurazioni che Lo ritraggono sulla croce, o disteso nelle braccia della Madre come nel possente marmo di Michelangelo, ci viene da pensare: “Basta! Basta, davvero! Scendi, per favore, vieni fuori con noi, vieni a farti una eggiata, e quattro risate; vieni che ti offriamo una bella schiacciata, e un buon bicchiere di vino; vieni a sentire il profumo dello spigo, e del maggio, a goderti il fresco dell’alba, e i colori del tramonto! Vieni, che ne abbiamo un gran bisogno! Vieni ad insegnarci la gioia vera, e la Verità immutabile, ed eterna.....” Ma, lo sappiamo – ce lo dice una vocina interna – che su quegli altari Lui non c’è, e non c’è mai stato: è già in mezzo a noi e dentro di noi; c’è, nella luce del giorno e nel buio della notte, nell’alba e nel tramonto, nel sereno e nella tempesta; nel dolore, nell’allegria, nella sofferenza e nella vita che sempre si rinnova: c’è già, da duemila anni e dalla notte dei tempi, con il suo dirompente messaggio di speranza, pronto a dare, a chi lo chiede, il suo conforto, la sua gioia e il suo perdono. C’è, vicino a tutti, e soprattutto accanto agli umili, agli ultimi, ai perduti. Ed anche vicino a te, fratello lettore, e a noi, piccoli viandanti che ci arrabattiamo, come tutti, tra certezze, dubbi, sconforti e speranze, sulla via del ritorno. C’è già, è cosa fatta; la strada è già tracciata: il miracolo è già compiuto. Quanto alla Verità, non pensiamo certo di essere arrivati ad incontrarla: saremmo solo dei gran presuntuosi. Forse, con il cammino che, bene o male, abbiamo percorso, ne abbiamo acchiappato un qualche frammento, al quale ci aggrappiamo, cercando di costruire i gradini della nostra scala di consapevolezza e speranza verso una condizione di vita superiore; verso la terrazza con vista sulle stelle, sull’infinito, e sulla vita eterna. Grazie, amico Viandante. Dovunque tu sia, in qualsiasi luogo o dimensione ti trovi, noi ti auguriamo ogni bene. Ti ricordiamo spesso, con il tuo affabile sorriso, la tua gentilezza e il tuo contenitore delle meraviglie. A proposito: Tre, che sedeva accanto a lui dalla parte dello zaino, è sicuro che

questo conteneva altri oggetti, e gli sembra addirittura di avere intravisto un grosso siringone con un ago sottilissimo, e uno strano imbuto con due manici. Mah! Ci capiterà di incontrare di nuovo il nostro amico? E chi lo sa. Questo potrà, forse, accadere se e quando saremo pronti a ricevere ancora un po’ della sua straordinaria conoscenza. Ma dovremo meritarcela, senza dubbio. Ad ogni buon conto abbiamo programmato, per la prossima primavera, di farci ancora una bellabiciclettata in un posto ‘a caso’: nella Val d’Orcia, sulle crete senesi. Non si sa mai, caro fratello lettore. Non si sa mai.

Capitolo primo-La biciclettata Capitolo secondo-L’incontro Capitolo terzo-La caccia al tesoro Capitolo quarto-La pazzia Capitolo quinto- La demolizione1 – La religione Capitolo sesto-La demolizione 2 – La scienza Capitolo settimo-Ma chi siamo? Capitolo ottavo-L’ombra Capitolo nono-Le paure Capitolo decimo-Le insidie della vita Capitolo undicesimo-La Matrice Universale Capitolo dodicesimo-La via del ritorno Capitolo tredicesimo-La costruzione della scala Capitolo quattordicesimo-L’affidamento

Capitolo quindicesimo-Il commiato