Capitolo 1
Introduzione
Molte volte avremo sentito parlare delle 7 Meraviglie del Mondo, ma non sempre è facile capire di quali Meraviglie si sta parlando. Questo dubbio è presente perché non esiste certo una regola obbligata e ognuno è libero di crearsi la propria personalissima classifica. È però certo che nei secoli, a partire dall’epoca greca, un gruppo di meraviglie più di altre ha attirato l’attenzione e lo stupore degli scrittori e della gente, fino ad essere riconosciute ed identificate come Le 7 Meraviglie del Mondo Antico. Le Meraviglie del Mondo Antico Al tempo delle grandi civiltà del mondo antico, gli scrittori Greci e Persiani hanno più volte narrato di Cose da vedere, uniche e irripetibili. Il mondo per loro è uno spazio ben circoscritto, che parte dalle grandi civiltà della mezzaluna fertile e arriva all’Europa, all’Asia più vicina e all’Africa. Ed è quindi all’interno di questo mondo che si trovano le meraviglie da visitare, almeno una volta nella vita. Questo non esclude a priori che civiltà a loro contemporanee, in India come in Cina, non possano avere avuto anch’esse costruzioni fantastiche da mostrare al mondo intero, ma non ci è giunta traccia di un resoconto sistematico come quello di cui stiamo trattando. Per quanto l’elenco attuale delle 7 Meraviglie si sia definitivamente consolidato durante il Rinascimento, le basi arrivano da lontano, da due millenni prima. Attorno al 450 a. C., infatti, il greco Erodoto, nelle sue Storie, esalta alcune opere del suo periodo o dell’immediato ato, per lui esempi mirabili del livello della civiltà umana; in particolare, è stupito dalle piramidi d’Egitto e dalla città di Babilonia, dove erano presenti due costruzioni che lasciavano senza parole: le grandi mura e i giardini pensili.
Nei decenni successivi altri grandi monumenti furono costruiti e colpirono quindi l’immaginazione degli scrittori greci e non solo. In ordine di tempo, arrivarono il Tempio di Artemide a Efeso (che divenne poi il tempio di Diana al tempo dei Romani), la statua di Zeus a Olimpia e la tomba del satrapo dei Persiani Mausolo ad Alicarnasso. Erano tutte costruzioni imponenti, ma anche e soprattutto uniche, dei punti di riferimento assoluti, ognuno nel suo settore. All’appello mancano ancora due monumenti, costruiti qualche tempo dopo. Sono anche stati i primi a crollare, permettendoci così però anche di “datare” il periodo dove le meraviglie erano tutte visibili contemporaneamente. La statua del dio Sole, Helios, costruita verso il 250 a. C. diventerà famosa come il Colosso di Rodi, mentre di qualche decennio successivo è la costruzione del grande faro di Alessandria, terminato pochi anni prima che proprio il Colosso di Rodi crollasse a causa di un tremendo terremoto e non fosse più ricostruito. In quei pochi anni, quindi, quando tutte e 7 le opere erano presenti insieme, si è creato il mito, arrivato nei secoli successivi. L’elenco si crea Le raccolte di meraviglie cominciano a diffondersi negli anni successivi, come ci è testimoniato dai resoconti di vari autori Greci, come Callimaco di Cirene e Antipatro di Sidone. Le “cose degne di essere viste” (theamata in greco) si trasformano in “meraviglie” (thaumata) e comincia a diffondersi il numero sette, simboleggiante la perfezione, l’unicità del suo essere numero primo indivisibile. Sono sette anche i grandi spettacoli di cui parla il geografo Strabone nella sua Geografia; i suoi resoconti di prima mano su alcune delle opere, come la Statua di Zeus, sono inestimabili. I monumenti scelti a rappresentare le meraviglie non sono sempre gli stessi e in ogni periodo si cerca di evidenziare alcune realizzazioni dell’uomo provenienti da un luogo o dall’altro. Così il poeta romano Marziale inserisce il neonato Colosseo di Roma tra le grandi meraviglie, mentre Gregorio vescovo di Tours (536-94) crea un elenco che comprende persino l’Arca di Noè. Da lì in poi, l’elenco è però consolidato: • La statua di Zeus (nell’attuale Grecia)
• Il Faro di Alessandria (nell’attuale Egitto) • La Grande Piramide di Giza (nell’attuale Egitto) • Il Tempio di Artemide (nell’attuale Turchia) • Il Mausoleo di Alicarnasso (nell’attuale Turchia) • Il Colosso di Rodi (nell’attuale Grecia) • I Giardini Pensili di Babilonia (nell’attuale Iraq) Dei 7 monumenti antichi solo uno, peraltro il più vecchio del gruppo, rimane in piedi oggi: la Grande Piramide di Giza. Questo breve saggio racconta come sono state realizzate nell’antichità, come hanno resistito al tempo e che fine hanno fatto al giorno d’oggi. Nella Piana di Giza, vicino al Cairo, in Egitto, si trova un complesso che comprende alcune piramidi, la Sfinge e altre costruzioni minori. Delle 3 Piramidi principali, la Grande Piramide è la più imponente; con i suoi 138 metri circa è anche rimasta per circa 4000 anni l’edificio più alta realizzato dall’uomo, fino alla costruzione della Lincoln Cathedral in Inghilterra. Come accennato nell’introduzione, è l’unica Meraviglia ancora intatta. Avvertenza sulla versione ePub Il formato digitale ePub permette una grande varietà di possibilità a chi sfoglia su tablet il saggio, come la possibilità di variare la dimensione del font, inserire segnalibri o altro ancora, a seconda del software usato. Queste possibilità sono purtroppo "compensate" da una certa imprevedibilità di formattazione, soprattutto per quanto riguarda le immagini e le didascalie. Per questo motivo non sono molti i saggi in formato ePub che contengono immagini. Ci è sembrato però riduttivo fare una versione del presente volume senza foto, disegni e piantine, che sono uno dei punti forti e originali di questo saggio. Abbiamo quindi deciso di inserirli ugualmente e li trovate tutti nelle pagine successive, pur sapendo che potrebbero essere visualizzaate in modo diverso da tablet a tablet. Abbiamo cercato di fare il possibile perché fossero visibili al meglio sia da tablet di 7-8 polici sia da quelli con schermo di maggiore dimensione.
Ci scusiamo fin d'ora per eventuali problemi dovuti alle caratteristiche insite nel formato ePub. Buona lettura.
La statua di Zeus. La Statua era posizionata all’interno di un grande Tempio, nella città sacra di Olimpia. Il Faro di Alessandria. Costruito sopra un’isola, all’imbocco del porto di Alessandria, il Faro doveva servire a guidare le navi in modo sicuro. La Grande Piramide di Cheope. La meraviglia è rappresentata dalla più grande tra le 3 piramidi di Giza, ovvero quella di Cheope. Il Tempio di Artemide. Il Tempio era nella città di Efeso, e conteneva una Statua della dea Artemide. Il Mausoleo di Alicarnasso. Il precursore tra tutti i “mausolei” è stato costruito come tomba di Mausolo, un satrapo persiano. Il Colosso di Rodi. Costruito per festeggiare una vittoria, il Colosso crollò pochi decenni dopo a causa di un terremoto. I Giardini Pensili. Erano molte le cose incredibili della città di Babilonia; tra queste i Giardini Pensili, di cui purtroppo si sa pochissimo.
Il Colosso di Rodi. La statua era immaginata con le gambe a cavallo dell’ingresso del porto. Questa immagine e le successive di questo capitolo sono le 7 Meraviglie del Mondo Antico nelle incisioni settecentesche di Fischer von Erlach. (Entwurff einer historischen Architectur, Johann Bernhard Fischer von Erlach, Leipzig, 1725).
Il Faro di Alessandria. Nel disegno si intravedono navi a vela di stile cinquecentesco, ma in quel periodo il faro era già in rovina.
Il tempio d Artemide. Von Erlach, interpretando in modo errato una raffigurazione su di una moneta, immaginò un ingresso con portico a 4 colonne.
La Statua di Zeus. Nello spaccato creato da Von Erlach si vede la Statua di Zeus all’interno del Tempio a lui dedicato.
La Grande Piramide di Giza. Esattamente come adesso, la Piramide di Cheope era l’unica sopravvissuta tra le Meraviglie anche ai tempi di Von Erlach, nel ‘700.
I Giardini Pensili. In questa raffigurazione si intravede la città di Babilonia, con in primo piano il fiume Eufrate, la cinta muraria e al centro i Giardini Pensili.
Il Mausoleo di Alicarnasso. Equilibrata ma sempre fantasiosa la ricostruzione di Von Erlach del Mausoleo.
Capitolo 2
La Grande Piramide di Giza
La Grande Piramide di Giza secondo Maerten van Heemskerck. Nulla, delle Piramidi egiziane, è rappresentato fedelmente in questa illustrazione, completamente di fantasia. Nella Piana di Giza, vicino al Cairo, in Egitto, si trova un complesso che comprende alcune piramidi, la Sfinge e altre costruzioni minori. Delle 3 Piramidi principali, la Grande Piramide è la più imponente; con i suoi 138 metri circa è anche rimasta per circa 4000 anni l’edificio più alta realizzato dall’uomo, fino alla costruzione della Lincoln Cathedral in Inghilterra. Come accennato nell’introduzione, è l’unica Meraviglia ancora intatta. La nascita delle Piramidi La storia dell’antico Egitto è stata divisa, fin dai tempi dello storico greco Manetone, in tre periodi stabili e trenta dinastie. Con l’andare del tempo e l’aumentare delle informazioni in nostro possesso questa distribuzione del tempo è stata perfezionata e integrata con l’aggiunta di alcuni periodi intermedi instabili. Complessivamente, la storia dell’Antico Egitto spazia dalla I dinastia di Narmer, l’unificatore dell’Egitto (2950 a. C.), per arrivare fino alla conquista da parte dell’Impero Romano e al suicidio di Cleopatra VII nel 30 a. C. A partire dalla III dinastia (2650 a. C. - 2575 a. C.) nasce la volontà di creare monumenti tombali a forma di piramide; il primo faraone a farne uso fu probabilmente Netjerikhet (noto anche come Djoser) che fece costruire la cosiddetta piramide a gradoni, nei pressi di Saqqara. Questa grande piramide fu poi seguita da una serie di piramidi di dimensioni minori, realizzate sotto il regno di Huni, l’ultimo faraone della III dinastia. È con il primo faraone della Quarta Dinastia, Snefru, che la costruzione di piramidi viene incrementata enormemente. Questi costruisce una nuova piramide a gradoni a Meidum (ora parzialmente crollata), una nuova piramide a Dahshur non più a gradoni ma con pareti continue (la cosiddetta piramide romboidale), e una terza piramide (chiamata piramide rossa), finalmente soddisfacente dal punto di vista costruttivo e ancora in ottimo stato di conservazione. Se Snefru riuscì nell’impresa di costruire tre piramidi praticamente in contemporanea, fu però il figlio Khufu (Cheope nella traduzione greca) a rendere
queste costruzioni leggendarie. Questi preferì per la sua tomba un luogo diverso, la piana di Giza, circa 40 km più a Nord, a margine del deserto libico. La formazione geologica del luogo, un duro strato di calcare, sembrava perfetta per reggere il peso della costruzione e la disponibilità in luogo di materiale da costruzione un altro innegabile vantaggio. Lo stesso posto fu poi scelto da altri due faraoni della Quarta Dinastia, ovvero Khafre (Chefren) e Menkaure (Micerino), che fecero costruire le altre due piramidi che si possono tuttora vedere in linea con quella di Cheope. La piramide di Giza Scelto il luogo e il direttore del progetto, Cheope iniziò i lavori, attorno al 2500 a.C. Basandosi sull’osservazione delle stelle fece allineare la piramide con i quattro punti cardinali, un’operazione indispensabile per la propria resurrezione dopo la morte. Dopo l’esperienza fatta con le piramidi volute dal padre, si può dire che la costruzione fu affrontata con notevole organizzazione, nonostante la mole di lavoro per noi potrebbe sembrare quasi proibitiva. La Grande Piramide misura circa 230 metri di larghezza e fu costruita con grande precisione per l’epoca (pochi cm di errore sui lati). Non è ancora certo il sistema utilizzato per portare in cima i 2.300.000 blocchi pesanti fino a 10 tonnellate, visto che all’epoca gli egizi non utilizzavano le carrucole, ma è stato dimostrato recentemente che è possibile spostare blocchi anche molto pesanti con l’uso di leve e sostegni. È un lavoro lungo, ma non mancava né la forza lavoro né il tempo necessario: si presume che siano occorsi circa vent’anni e un numero di persone quantificato tra i 10 e i 20 mila uomini. Il gruppo di lavoro più piccolo era costituito da brigate di 20 uomini, coordinati da un capo. Dieci brigate costituivano una divisione di 200 uomini, e cinque divisioni formavano un reparto di mille operai. I vari gruppi di operai, ad ogni livello, erano messi in competizione tra loro, per creare spirito di squadra e rivalità reciproca, anche grazie all’ottenimento di premi. Le condizioni di vita erano molto dure, soprattutto nelle cave, anche se va smentita la vecchia idea che fossero gli schiavi a costruire le piramidi. La forza lavoro era costituita da operai, a volte anche specializzati, e da contadini utilizzati nei momenti di allagamento del Nilo, quando non era possibile la coltivazione. Certamente, anche se pagati e rifocillati, non si può dire che queste persone avessero molta scelta davanti: la popolazione era - di fatto - a disposizione del faraone, che aveva la propria mania di grandeur, esplicitata in grandi costruzioni come le
piramidi. La piramide oggi L’angolo di pendenza della Grande Piramide era di 54’54”, un valore poi mantenuto anche in piramidi successive, e originariamente era alta quasi 146 metri, ma con la perdita della cima si abbassò fino ad arrivare ai 138 metri attuali. La piramide di Giza è unica anche perché all’interno ci sono più camere e aggi che in altre piramidi, forse anche a causa dei cambiamenti che furono effettuati in corso d’opera. È infatti presente una camera sepolcrale, detta la “Camera del Re”, una seconda camera più piccola, chiamata impropriamente la “Camera della Regina”, una terza camera incompiuta e una serie di condotti d’areazione e di corridoi. Da segnalare che all’esterno della Grande Piramide, durante alcuni scavi realizzati nel 1954, fu scoperta una buca profonda 30 metri e contenente una nave, anch’essa parte del corredo funebre del faraone. Questa “barca solare”, assieme alle tre piramidi maggiori, alla Sfinge e alle tre piramidi minori, tombe delle mogli e sorelle di Khufu, sono tutte visitabili. Una seconda barca è stata scoperta nel 1987 e il suo restauro è tuttora in opera, a cura di archeologi egiziani e giapponesi. Le piramidi di Giza hanno avuto un altro periodo di grande notorietà al momento dell’invasione se con Napoleone e con la Battaglia delle piramidi, in realtà svoltasi una quindicina di chilometri lontano, ma è soprattutto nell’ultimo secolo, con l’avvento della moderna archeologia e con le apparecchiature radar, che le piramidi sono state svelate nella loro interezza, smentendo in modo quasi definitivo la possibilità che ci possano esistere zone inesplorate all’interno.
La piramide a gradoni. Realizzata dal faraone Djoser nei pressi di Saqqara. Fotografia di Olaf Tausch.
La piramide di Meidum. Realizzata dal faraone Huni è purtroppo in parte crollata. Originariamente era composta da 8 gradoni.
La piramide Romboidale. Realizzata dal faraone Snefru nei pressi di Dahshur; a causa di un errore di calcolo presenta un cambio di inclinazione nella metà superiore, altrimenti non avrebbe retto. Fotografia di Jon Bodsworth.
La piramide rossa. Allo stesso modo della piramide a gradoni, fu realizzata dal faraone Snefru nei pressi di Dahshur; questa volta l’inclinazione delle pareti era quella corretta e venne mantenuta anche per le piramidi successive. Fotografia di Jon Bodsworth.
Il trasporto. Questa illustrazione raffigura il trasporto della pesante statua (circa 60 tonnellate) di Dhutihotep della XII Dinastia, da parte di molti uomini. Dal bassorilievo della tomba del faraone, Encyclopaedia Biblica, 1903.
Le tre piramidi di Giza adesso. La foto è realizzata con vista dal lato della piramide di Micerino. In primo piano 3 piccole piramidi secondarie. Fotografia di Ricardo Liberato.
Barche solari. Le Fosse delle barche solari, attorno alla Grande Piramide di Cheops. Tempio funebre di Cheops. Il tempio funebre di Cheops, destinato al culto del faraone defunto. Piramidi secondarie. Le piccole piramidi posizionate vicino alle tre piramidi principali sono dedicate alle regine. Nel complesso di Giza ce ne sono 7: 3 vicino alla piramide di Cheops, 1 vicino alla piramide di Khafre e 3 vicino alla piramide di Menkaure. Tempio a valle. Tempio a valle della piramide di Khafre, collegato con un lungo corridoio al tempio funebre dello stesso faraone. Tempio funebre di Khafre. Dedicato al culto funerario del sovrano Khafre, è persino di dimensioni maggiori di quello dedicato a Cheops, per quanto ora sia conservato solo parzialmente. Terrapieno di Menkaure. A est della piramide di Menkaure sorge un terrapieno che comprende il tempio funerario e il tempio a valle, collegati da una rampa lunga circa 600 metri. Sfinge. La Grande Sfinge di Giza è posta vicino al Tempio a valle di Khafre e al Tempio della sfinge. Era collegata alla piramide di Khafre.
Ingresso Nord. Questo è l’ingresso principale originale della piramide, usato per accedere alle varie sale. Sotto di esso è stato realizzato un nuovo ingresso, usato ora per i turisti. Camera incompiuta. Questa Camera inferiore è incompiuta, così come lo sono i condotti che partono da essa. Non è chiaro il suo scopo. Corridoio ascendente. Questo stretto corridoio unisce il aggio discendente alla Grande Galleria. L’accesso era protetto da alcune grandi lastre di granito. Grande galleria. Larga 2 metri (a stringere fino a diventare la metà) la Galleria è però alta oltre 8 metri. Camera della Regina. Nonostante il nome, non sono state trovati reperti in questa camera, quindi non è detto che sia stata destinata veramente ad una regina. Condotti d’areazione. Questi due stretti cunicoli partono dalla zona della Camera del Re e conducono all’esterno, ma nonostante il nome non è detto siano veramente serviti all’areazione. Cunicolo di uscita. Anche di questo corridoio non è certo lo scopo. La sua irregolarità fa supporre che sia stato usato dagli operai come condotto di lavoro. Camera del Re. In questa camera fu trovato un sarcofago in granito. Al di sopra ci sono 5 Camere di disimpegno.
Capitolo 3
I Giardini Pensili di Babilonia
I Giardini Pensili di Babilonia secondo Maerten van Heemskerck. In questa ricostruzione l’autore ha inserito nelle vicinanze lo Ziqqurat (divenuta famosa come “Torre di Babele”) e si vede il fiume Eufrate, che lambisce i giardini. Poche città del ato possono competere in splendore con Babilonia, la capitale della regione omonima, posizionata tra i due fiumi Tigri ed Eufrate, dove si trova l’attuale Iraq. I re che l’hanno resa immortale, da Hammurabi a Nabopolassar al Nebukadnezar II citato nella Bibbia con il nome di Nabucodonosor e ancor più famoso con il nome Nabucco grazie all’opera di Giuseppe Verdi, non solo espansero i confini dei loro regni, ma erano anche grandi costruttori e la loro capitale giovò continuamente di questa infaticabile voglia di creare e di stupire. I Giardini Pensili Proprio Nebukadnezar moltiplicò le realizzazioni dentro Babilonia, tra palazzi, templi, porte e mura, che ricoprì di mattoni smaltati e bassorilievi arrivati fino a noi. Il babilonese Berosso, che visse all’epoca di Alessandro Magno, raccontava la bellezza della città e la grandezza dei suoi re precedenti. Tra i personaggi presenti in questi racconti c’è anche il re Nebukadnezar, che secondo Berosso fece costruire un paradiso pensile all’interno del suo palazzo, piantando ogni genere di alberi perché sua moglie, originaria della Meda, ritrovasse l’atmosfera della sua patria. Anche se erano situati in un piano rialzato del palazzo, questi giardini comprendevano piante di alto fusto dotate di profonde radici ed erano sempre irrigati, grazie a un complesso sistema per portare l’acqua dal vicino fiume Eufrate. Gli scritti dello scrittore babilonese sono oramai perduti, ma altri autori, come il romano Giuseppe Flavio, li citano accennando proprio ai Giardini Pensili. Altre fonti greche e romane, seppur non di prima mano e in ogni caso molto posteriori al periodo in cui il giardino fu forse creato, ne riportano l’esistenza, prendendo spunto probabilmente da qualche altra fonte. Tra questi autori citiamo il geografo Strabone, che racconta di come i Giardini Pensili abbiano forma quadrata, siano fatti di archi e volte e con un lato di circa 130 metri. Scende ancora più in
dettaglio lo scienziato Filone di Bisanzio, vissuto nel III secolo a. C. e in genere piuttosto preciso, quando racconta del legno di palma utilizzato per le travi, del metodo di irrigazione, di semina e di aratura del giardino. La ricerca delle prove I testi citati costituiscono il grosso delle fonti, e come si può notare una sola (Berosso) è babilonese, e tutte sono comunque di parecchio posteriori. Non solo quindi non sono prove certe, ma c’è anche una ulteriore circostanza a rendere i Giardini Pensili la più evanescente tra le 7 Meraviglie: i reperti archeologici in scrittura cuneiforme di recente ritrovamento, dove pure si trova traccia di varie costruzioni babilonesi, non accennano mai a questi fantastici Giardini. La storia, bisogna però dirlo, è plausibile. Nebukadnezar II è un re famoso. Figlio del fondatore di una dinastia che ha governato il nascente impero babilonese imponendosi sugli Assiri, ha accresciuto il potere del suo impero, rendendolo sempre più sicuro ed efficiente. È stato anche un grande costruttore e l’artefice della bellezza della città di Babilonia. Prima di lui, inoltre, altri re assiri e babilonesi stupirono i visitatori con giardini fioriti, riempiti di piante provenienti da varie parti del mondo e irrigati mediante sofisticati sistemi per trasportare l’acqua dal basso verso l’alto. È il caso ad esempio del re Assurnazirpal II (883-859 a. C.) che in un’altra città Assira, Nimrud, costruì dei giardini reali particolarmente rigogliosi, così come fece Assurbanipal nella sua capitale Ninive. Eppure queste due città erano più piccole di Babilonia… Sulla base dei pochi cenni disponibili, gli archeologi negli anni hanno cercato di dare una posizione ai Giardini Pensili all’interno degli scavi della città di Babilonia. Ma senza fonti certe, dove cercare? Babilonia ai tempi di Nebukadnezar II occupava uno spazio di circa 850 ettari ed era dotata di una doppia cinta di mura, di cui le più esterne particolarmente possenti, non solo in altezza ma anche in larghezza, visto che secondo Erodoto sopra il muro, lungo l’orlo, c’erano delle costruzioni da una stanza, una di fronte all’altra, e in mezzo poteva ancora correre un carro a 4 cavalli. Vicino alle mura esterne erano posizionati anche i palazzi principali reali, e tra questi - in particolare in quelli più vicini al fiume Eufrate - gli archeologi cercano di capire dove potrebbe essersi posizionato il Giardino Pensile, se veramente esistito. Un luogo papabile, secondo il professor Wiseman, docente di
Assirologia a Londra tra il 1961 e il 1981, potrebbe essere tra la Reggia di ponente e il fiume, dove è stata trovata una opera in muratura particolarmente massiccia. Nonostante le recenti guerre in Iraq, gli scavi continuano. A Babilonia come in altre città antiche, perché non è impossibile che il ar del tempo abbia creato confusione e i Giardini fossero proprio stati creati altrove, ad esempio confusi con quelli di Ninive. In attesa di nuove scoperte, i Giardini Pensili non possiamo fare altro che immaginarli.
La porta di Ishtar. Modello della porta di Ishtar, ricostruita presso il Pergamon Museum di Berlino. La porta dava accesso al Palazzo Reale.
Cilindro con scrittura cuneiforme. I babilonesi hanno lasciato reperti scritti in scrittura cuneiforme, dove erano citate le imprese dei loro re, comprese le varie costruzioni. Purtroppo per ora non si sono trovati cenni sui Giardini Pensili.
Babilonia oggi. Foto panoramica degli scavi di Babilonia. Purtroppo la zona archeologica è stata modificata dalla “ricostruzione” di parte della città voluta da Saddam Hussein.
Pianta della città di Babilonia, ai tempi di Nabucodonosor II.
Palazzo d’Estate. Immerso in verdi giardini, ma pur sempre all’interno della cinta esterna di mura, c’era il Palazzo d’Estate, voluto da Nabucodonosor II. Mura. Babilonia era cinta da una doppia cinta di mura principali, più altre fortificazioni. Le mura interne, segnate in rosso, racchiudevano la parte più monumentale della città. Palazzo nord. Il Palazzo Reale è diviso in due grandi palazzi, a Nord e a Sud delle mura. All’interno del palazzo Nord, vicino alla parete che dà sul fiume, potrebbero esserci stati i Giardini Pensili. Palazzo Sud. All’interno del Palazzo Sud c’era la stanza del Trono e alcuni grandi cortili. Le dimensioni complessive di questa zona sono di 350x190 metri. A sinistra è visibile un bastione fortificato che dà direttamente sull’Eufrate. Ziqqurat. All’interno della zona dedicata agli dei spiccava la torre (Ziqqurat) chiamata Etemenanki. Questa torre è divenuta celebre grazie alla Bibbia: è la famosa Torre di Babele. Tempio di Marduk. Marduk era la divinità principale del pantheon degli dei babilonesi. Il Tempio dedicato a Marduk sorgeva all’interno di una zona chiamata Esagila (Tempio dall’alto tetto) che racchiudeva anche cortili, torri e altre costruzioni.
Ipotesi di posizionamento dei Giardini Pensili. Illustrazione di Alessia Piemonte.
Le mura. Si suppone che i Giardini Pensili fossero vicini al fiume Eufrate, quindi a ridosso delle mura esterne della città. Il giardino. Giardini, fiori, ma anche piante di alto fusto: il Giardino comprendeva molte specie ed era probabilmente composto da una parte in piano e da una terrazzata. La struttura. Secondo i pochi resoconti, i Giardini poggiavano su di un terreno spesso, anche per dare spazio alle radici: il peso avrebbe richiesto una struttura massiccia sotto di esso.
Capitolo 4
La Statua di Zeus
La Statua di Zeus secondo Maerten van Heemskerck. Uno Zeus in stile “rinascimentale” osserva dall’alto le scene di lotta delle persone; un riferimento alla città di Olimpia, dove era posizionato il tempio. Pisa, oltre che il nome di una nota città italiana, è anche il nome di una antica città greca, situata nel Poloponneso. La città costituiva un piccolo regno e al suo interno c’era Olimpia, una terra consacrata da molto tempo al culto di Zeus (Giove nella traduzione romana), nonostante il Monte Olimpo, tradizionale luogo di “residenza” di Zeus, fosse da tutt’altra parte della Grecia. La leggenda vuole che secondo una profezia il re di Pisa, Enomao, sarebbe stato ucciso dal futuro genero, così il re prese l’abitudine di sfidare i pretendenti in una corsa coi carri all’ultimo sangue. Alla fine un pretendente, Pelope, grazie al favore di Zeus, vinse e conquistò il trono. Alla sua morte fu posto un monumento al centro degli edifici sacri e la gente prese a commemorarlo, per quanto l’adorazione di Pelope cominciò a confondersi con quella di Zeus. Oltre a commemorare Zeus, ad Olimpia si prese l’abitudine di celebrare una serie di gare atletiche riservate rigorosamente agli atleti di sangue greco e dedicate sempre al padre degli dèi. Questi giochi cominciarono secondo tradizione nel 776 a. C. per terminare nel 393 d. C. quando furono proibite dall’imperatore Teodosio; furono poi riprese nel 1896 con il nome di Olimpiadi. Questi giochi erano talmente importanti per i greci che la data d’inizio dei primi giochi fu presa come base per il conteggio degli anni. Il complesso di Olimpia Queste attività crearono attorno ai luoghi sacri un centro urbano, destinato a soddisfare tutte le necessità dei pellegrini così come del pubblico dei giochi: era insomma una via di mezzo tra un luogo sacro e uno turistico. Le opere sacre al suo interno si susseguirono nel corso degli anni, prima in legno e poi in pietra; di queste costruzioni molte erano dedicate proprio al “padre degli dei”, fino ad arrivare all’imponente tempio di Zeus fatto erigere tra il 466 e il 456 a. C., e destinato successivamente a contenere anche la statua che diventerà famosa come una delle sette meraviglie. Per la costruzione del tempio fu chiamato l’architetto Libone, che scelse uno stile imponente ma allo stesso tempo austero, usando una pietra locale. Il tempio
serviva non solo per la devozione, ma anche come luogo di sacrificio, soprattutto in occasione dei giochi, quando cento buoi venivano tradizionalmente abbattuti e bruciati in onore di Zeus davanti al tempio stesso. Al centro del tempio fu conservato per qualche tempo un blocco sacro appartenuto ad un santuario precedente, ma certo un monumento così importante richiedeva ben altro al suo interno. La Statua di Zeus A completamento del tempio si decise allora di inserirvi una grande statua raffigurante Zeus e per realizzarla fu chiamato il famoso architetto Fidia di Atene. Questi, nonostante gli splendidi lavori fatti ad Atene, come la statua della dea Atena o alcune delle sculture del Partenone, fu obbligato a lasciare la propria città tra il 438 e il 437 a. C. E iniziò i lavori ad Olimpia poco dopo. La statua doveva essere realizzata in avorio e oro e l’architetto ateniese aveva in effetti studiato una tecnica di lavorazione ad hoc. Per cominciare andava creata una struttura in legno, poi sottili strati d’avorio venivano usati per le parti della statua dove si doveva vedere la pelle, mentre lamine di metallo prezioso erano usate per i drappeggi delle vesti. Secondo lo scrittore greco Pausania, che ci ha dato una descrizione molto precisa, la statua era poggiata su di un basamento alto più di un metro, era alta 13 metri e nonostante Zeus vi fosse raffigurato seduto, di fatto riempiva completamente l’altezza del tempio, al punto che dal basso era difficile scorgere bene la testa, forse fin troppo vicina al soffitto. Nella mano destra teneva una statua di Vittoria alata, mentre la sinistra reggeva uno scettro con appollaiato sopra un’aquila. Il trono era anch’esso ornato d’oro e gemme, con l’aggiunta di altre statue, una sfinge accucciata e figure di Apollo e Artemide sotto di essa. Date le dimensioni e il peso, la statua di Zeus dovette essere costruita all’esterno a pezzi e poi montata all’interno. Una curiosità: l’architetto era così importante che i suoi strumenti erano marchiati con la scritta “Appartengo a Fidia”. Più incerta, ma possibile, la storia che dice incisa sul dito di Zeus la frase “Pantarce è bello”, in onore del giovane amante di Fidia stesso. La statua di Zeus nei secoli successivi Dopo il completamento della statua, che pare avvenuto in 5 anni, la sua conservazione fu affidata ai brunitori che cospargevano la Statua d’olio d’oliva,
forse per cercare di ridurre le crepe che si formavano continuamente nell’avorio. Ciononostante nel II secolo a. C. fu necessario un forte lavoro di riparazione e consolidamento, compresa l’aggiunta di 4 nuove colonne sotto il sedile a scopo di rafforzamento strutturale. I lavori furono comunque ben fatti, se duecento anni dopo la statua era ancora in ottimo stato, tanto da indurre l’imperatore romano Caligola a fare di tutto per portare la statua stessa a Roma. Fallita l’operazione di smontaggio la statua di Zeus fu lasciata tranquilla per altri 350 anni, finché nel 391 d. C. Teodosio I (in quell’anno imperatore d’Oriente, prima di diventare l’anno successivo imperatore unico dei romani) mise al bando i culti pagani, portando alla chiusura del santuario e al suo abbandono. La statua di Zeus fu poi smontata e portata a Costantinopoli, a ornamento di un palazzo: questo la salvò ancora per un po’ di tempo, mentre lo stesso non si può dire per tutto il complesso del santuario, piombato nel fango anche a causa del cambiamento del corso del fiume Alfeo. La fine però era vicina. Mentre il tempio si sbriciolava a causa del tempo e dell’abbandono, la statua di Zeus fu distrutta nel 462 d. C. durante un incendio a Costantinopoli, dove bruciò il palazzo dove era custodita. A tutt’oggi della statua di Zeus, considerata la più imponente scultura classica, non ne sono state trovate tracce.
Il Partenone di Atene. Nel più famoso tempio dell’antica Grecia lavorò lo scultore Fidia, a cui fu commissionata la Statua di Zeus di Olimpia.
Olimpia. I ruderi della città di Olimpia, in Grecia, tra cui alcune resti attribuiti proprio al Tempio di Zeus. © Ryan Vinson - http://www.sxc.hu.
Monete greche. La Statua di Zeus è raffigurata sul verso di alcune monete greche di epoca imperiale. Nonostante i pochi dettagli, nell’illustrazione si intravede la Vittoria tenuta in una mano.
La Statua di Zeus. All’interno del tempio a Olimpia era posizionata la Statua dedicata a Zeus, in modo da occupare in altezza una grande parte del tempio stesso. Viste le dimensioni, la Statua ha dovuto essere portata a pezzi e poi assemblata all’interno del tempio. Disegno di Valentina Caruso.
Il Tempio di Zeus a Olimpia, con all’interno la Statua. Illustrazione di Marco Martis.
La Statua. Zeus era raffigurato seduto sul trono, con una vittoria alata sulla mano destra e uno scettro tenuto da quella sinistra. la statua era d’avorio con alcune parti d’oro e toccava quasi il soffitto con la testa. Esterno. Non ci sono certezze sull’aspetto della costruzione esterna. Sappiamo che la Statua di Zeus era in ombra, il che fa pensare che le colonne e i dipinti fossero numerosi, impedendo una visione chiara della Statua. I sacrifici venivano comunque svolti all’esterno, lasciando l’interno “al servizio” della Statua. Interno. All’interno del Tempio c’era probabilmente non solo un colonnato, ma anche dei dipinti a parete. Questi raffiguravano sia situazioni leggendarie, come le fatiche d’Ercole, sia eventi realmente esistiti, come la battaglia di Salamina.
Capitolo 5
Il Tempio di Artemide
Il Tempio di Artemide secondo Maerten van Heemskerck. Una struttura chiusa, come una cattedrale: così era dipinto il tempio greco secondo la fantasia dell’autore. Sappiamo però che non era così. Il Partenone di Atene è sicuramente il più famoso esempio di tempio greco, ma le sue pur importanti dimensioni sarebbero scomparse se fosse ancora visibile il tempio di Artemide. Realizzato sempre dai greci, il tempio è stata costruito a Efeso e si trova ora in territorio turco, nel più vasto sito archeologico della nazione, anche grazie alle costruzione di epoche romana e bizantina. La realizzazione del tempio Difficile datare con precisione la costruzione del Tempio di Artemide, visto che non è rimasto quasi nulla e sono pure presenti tracce di altri templi precedenti e successivi. O meglio, la zona vide più realizzazioni sovrapporsi, a partire almeno dal VII secolo a. C. e dedicate a culti vari, fino a che verso il 550 a. C. questi monumenti furono ricoperti da un tempio più grande, probabilmente voluto dal re Creso, l’ultimo re di Lidia. Questo tempio (all’interno del sito gli archeologi chiamano il tempio voluto da Creso Tempio D, per differenziarlo temporalmente dal tempi precedenti A, B e C e da quello successivo E) era dedicato alla dea Artemide, figlia di Zeus, e in particolare nella versione adorata ad Efeso, che non combacia con altre raffigurazioni di Artemide né tantomeno di Diana, versione romana di Artemide. La Artemide Efesia è infatti una statua rigida, raffigurata con molti seni, a garanzia di fertilità. Splendido mix di architettura greca e influenze del Vicino Oriente, il tempio volute da Creso e dedicato ad Artemide si trovava al centro di una vasta zona isolata con un cortile e un altare sacrificale, posto davanti al tempio vero e proprio, dove il sacerdote poteva celebrare il rito. Tutt’attorno al tempio c’erano degli scalini di marmo: il basamento era largo 78,5 metri e lungo 131. Secondo Plinio il Vecchio le colonne erano alte 20 metri, snelle e scanalate. Le basi erano particolarmente elaborate e realizzate in marmo; nel timpano sovrastante la facciata erano state realizzate tre finestre, di cui due occupate da statue di Amazzoni.
ato l’ingresso, appariva una miriade di colonne: sempre Plinio ne contava 127, il che ha fatto supporre che ce ne fossero file di 8 sul frontale e file di 9 sulla facciata posteriore. Al centro di questa “foresta” di colonne c’era il tempio vero e proprio, la cella dedicata ad Artemide. All’interno c’era sicuramente una statua dedicata alla dea, per quanto non ne sia rimasta traccia; per fortuna ne sono state realizzate delle copie in epoca romana, che ci fanno supporre il suo aspetto, caratterizzato dalle molteplici mammelle, dai rigidi vestiti e da tratti che la collegano ad altre raffigurazioni orientali. Il tempio nei secoli La fama del tempio crebbe col tempo e furono molti i visitatori, anche grazie al vicino porto sacro dove potevano attraccare le navi. I guai però non tardarono ad arrivare. Nel 356 a. C. il tempio voluto da Creso fu parzialmente distrutto ad opera di un mitomane che lo diede alle fiamme. Ricostruito, il tempio successivo fu visitato anche da un giovane Alessandro Magno, oltre che fungere da riparo per molte persone, grazie al “diritto d’asilo” concesso al suo interno. Tra le persone che vi entrarono per cercare di salvarsi possiamo rircodare la sorella di Cleopatra (a cui peraltro non servì). Nel tempio di Artemide trovò riparo il filosofo Eraclito, per “sfuggire all’umanità”, e fu scelto come rifugio dalle mitiche Amazzoni, forse sacerdotesse persiane. Il tempio e la città stessa di Efeso erano ancora in auge anche molto tempo dopo, se lo visitò persino San Paolo, peraltro comprensibilmente critico sugli idoli e sulla raffigurazione di Artemide dalle molte mammelle. Anche Giovanni visitò il tempio, ma nonostante la crescita della religione cristiana, pare che il culto di Artemide non scemò che molto più tardi (e fu ancora raffigurato in molte monete dell’epoca) non solo per il consolidarsi del cristianesimo, ma anche a causa della distruzione definitiva del tempio nel 262 d. C. da parte degli Ostrogoti. Si tentò di ricostruirlo verso la fine del III secolo, ma l’edificio era oramai “fuori tempo” e fu definitivamente fatto distruggere da san Giovanni Crisostomo nel 401 d. C. Dopo la distruzione tutta la zona fu praticamente abbandonata alle incurie del tempo e alla melma, finché nel 1870, agli inizi dell’era dell’archeologia, una spedizione inglese cominciò a scavare e trovarono la base di una colonna. A un secolo e mezzo di distanza, archeologi di varie nazioni stanno ancora scavando.
Il tempio sulle monete. Moneta romana, del periodo di Marco Antonio Gordiano III, raffigurante il Tempio di Artemide. Si vedono le 8 colonne anteriori e si intravede la statua della dea.
Spaccato dall’alto del Tempio di Artemide a Efeso.
Zona centrale. In mezzo al tempio era posizionata la statua della dea Artemide. L’interno. Secondo la descrizione data da Plinio il Vecchio, all’interno del tempio erano posizionate “...una foresta di colonne”. Si suppone ci fossero 8 colonne nella parte frontale e 9 nella parte finale. L’altare. Davanti al Tempio era posizionata un’ara sacrificale. Da qui il sacerdote faceva i sacrifici, guardando verso una finestra del frontone del tempio.
Statua di Artemide. Trovata originariamente vicino all’anfiteatro di Leptis Magna (Libia), ora custodita presso il Museo Nazionale di Tripoli. Fotografia di David Stanley, via Wikimedia Commons.
Efeso. Il sito archeologico di Efeso, in Turchia, oggi. In primo piano i pochissimi resti del Tempio di Efeso. L’unica colonna in piedi è stata ricostruita. Fotografia di Adam Carr, via Wikimedia Commons.
Ricostruzione in formato ridotto del Tempio di Efeso, visibile al Miniaturk Park di Istanbul in Turchia. Fotografia © 2007 VikiPicture, via Wikimedia Commons.
Raffigurazione del Tempio di Efeso con la Statua di Artemide al centro. Illustrazione di Alessia Piemonte.
Artemide. La statua era posizionata al centro, in una zona visibile anche dall’esterno grazie al foro nel tetto. Colonnato. All’interno erano presenti 127 colonne, seguendo il racconto fatto da Plinio il Vecchio. Frontale. Sul frontone erano ricavate tre finestre, forse anche per alleggerire il peso che gravitava sulle colonne anteriori. In questa zona erano probabilmente situate anche statue di amazzoni. Base. Il tempio era appoggiato su una base di scalini, su tutti e 4 i lati, come visibile sulle monete antiche.
Capitolo 6
Il Colosso di Rodi
Il Colosso di Rodi secondo Maerten van Heemskerck. La statua in bronzo, con le navi che le ano sotto, era semplicemente impossibile da costruire all’epoca. E l’imboccatura del porto era larga decine e decine di metri. La città di Rodi, nell’isola omonima, è stata fondata nel 408 a.C. dall’unione d’intenti di tre città preesistenti sull’isola, Ialiso, Lindo e Camiro, probabilmente a scopo commerciale. In effetti la posizione era ottima, situata com’era la città sulla punta settentrionale dell’isola, e la neonata città di Rodi grazie al suo fiorente porto crebbe rapidamente nei decenni successivi, fino a raggiungere una popolazione di oltre 60.000 abitanti. Da scavi archeologici recenti sappiamo che aveva pianta a reticolo e fino a cinque porti. Nel 377 a.C. La città si unì alla seconda Confederazione marittima fondata da Atene per contrastare la recente alleanza tra Persia e Sparta, ma ne uscì undici anni dopo e finì per sostenere la Persia. Dopo alterne prese di posizione, finì poi per stare dalla parte di Alessandro Magno. Negli anni successivi alla morte del re macedone, Rodi fu contesa tra due suoi successori, Tolomeo e Antigono. Proprio quest’ultimo nel 305 a.C. attaccò la città, circondandola con un grande esercito dotato delle più recenti macchine d’assedio, tra cui una possente torre. L’orgogliosa Rodi però resistette, grazie alla tenacia di tutta la sua popolazione schiavi compresi, e Antigono dovette rinunciare, abbandonando sul campo la sua attrezzatura più pesante. I Rodiesi vendettero poi il materiale bellico recuperato e con quei soldi decisero di festeggiare lo scampato pericolo costruendo una grande statua di bronzo, dedicata al loro patrono, Elio, dio del Sole. La realizzazione della statua La statua fu realizzata tra il 294 e il 282 a. C. ed era alta 32-33 metri. Purtroppo non sappiamo molto altro… visto che la statua resistette in piedi solo per circa settant’anni prima che un terribile terremoto la spezzasse all’altezza delle ginocchia nel 226 a. C. e non abbiamo fonti di quel periodo in grado di raccontarci com’era. Tutti gli scrittori che ne hanno scritto, infatti, sono vissuti molto tempo dopo, quando erano rimasti solo i vari pezzi per terra o quando addirittura la statua non c’era più. Secondo Plinio, che ne descrisse i resti oramai a terra, il Colosso aveva pollici che pochi uomini potevano abbracciare e aveva
cavità al suo interno riempite di pietra, per aumentarne e bilanciarne il peso. Stiamo comunque parlando della più grande statua di epoca greca e anche successiva: solo la statua della Libertà è sicuramente più alta, con i suoi 46 metri senza piedistallo, mentre potrebbe essere di dimensioni simili il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, alta circa 30 metri senza piedistallo. Paradossalmente il Colosso è stato citato molto più frequentemente nei secoli successivi e dal XV secolo hanno cominciato ad apparire le ipotesi sulla sua forma e le raffigurazioni pittoriche che tentavano di rappresentarlo, come quelle di Von Erlach e di Van Heemskerck. Possiamo però dire con ragionevole certezza che quest’ultime, che lo dipingono spesso con le gambe a cavallo dell’entrata del porto, sono di fantasia: la larghezza dell’entrata del porto (circa 400 metri) avrebbe reso impossibile la realizzazione. Per non parlare del quantitativo di bronzo che sarebbe stato necessario e della tecnica di fusione del bronzo di quell’epoca, non sufficientemente evolute per costruire una statua di quel tipo e di quell’altezza. È molto più probabile che il Colosso fosse appoggiato su uno dei lati del porto o più vicino alla città, magari in posizione sopraelevata in modo che fosse ben visibile da lontano e dal mare. Qualunque fosse stata la sua posizione, costruire un monumento del genere in bronzo con la tecnologia e gli strumenti di 2300 anni fa non deve essere stato facile! Secondo una fonte, Filone di Bisanzio, la statua fu realizzata poggiando prima i piedi e poi fondendo sopra le varie parti di bronzo, riempiendo poi l’interno cavo con pietre. Man mano che la statua saliva, i costruttori creavano un terrazzo di terra tutto interno, dove creare le nuove parti di bronzo e appoggiarle poi sulla statua, che rimaneva quindi invisibile dall’esterno. Alla fine la terra intorno fu rimossa, lasciando libera la statua. Il Colosso nei secoli successivi Dopo il terremoto del 226 a.C. Il Colosso sembra si fosse spezzato all’altezza delle ginocchia. L’offerta di Tolomeo III d’Egitto di ricostruirla non ebbe seguito, poiché la popolazione seguì i consigli di un oracolo che consigliava di non ricostruirla. I resti della statua giacquero per centinaia di anni lì sul posto, finché gli Arabi, nel 654 d.C. saccheggiarono la città e vendettero i resti a un mercante ebreo che, tradizione vuole, li trasportò in Siria a dorso di 900 cammelli. Vera o falsa che sia quest’ultima parte, da allora non se ne è saputo più nulla. Del resto, se fosse
vero, il mercante avrebbe certamente venduto il bronzo a piccoli pezzi, per massimizzare il profitto, e quindi i resti sarebbero stati fusi e inglobati in chissà quante altre realizzazioni. Una curiosità: la parola “Colosso” è di origine asiatica e significa semplicemente “statua”, anche di piccole dimensioni. La parola fu poi adottata con lo stesso significato dai Dori e dai Greci, mentre l’attuale significato di “statua molto grande” deriva proprio dal Colosso di Rodi, che diede un nuovo significato al termine.
Rodi medievale. Illustrazione tratta dal Liber chronicorum di Hartmann Schedel, 1493. Si vede il porto di Rodi, ma non c’è più traccia del Colosso.
San Nicola. Il forte di San Nicola, all’imboccatura del porto di Rodi. È possibile che il Colosso fosse situato nella stessa posizione.
La statua. Il principale studio sul Colosso rimane a tutt’oggi quello realizzato dallo studioso se Albert Gabriel nel 1932. Qui vediamo una ricostruzione della statua. A. Gabriel, La construction, l’attitude et l’emplacement du Colosse de Rhodes, Bulletin de correspondance hellénique, 1932, Vol. 56, pp. 331-359.
I lavori. Sempre da Gabriel, ipotesi di come avrebbero potuto procedere i lavori attorno alla statua. A. Gabriel, La construction, l’attitude et l’emplacement du Colosse de Rhodes, cit.
Pianta della città di Rodi e ipotesi di posizionamento del Colosso.
Rodi attuale. In nero, il contorno della città di Rodi, adesso. Comprende anche un porto di dimensioni maggiori. Forte S. Nicola. In questa posizione fu realizzato dai Cavalieri di San Giovanni la chiesa di S. Nicola, poi diventata il Forte omonimo. Sappiamo anche che nel forte è inglobato materiale da costruzione antico. È possibile che il Colosso stesso fosse qui, in una posizione ben visibile da lontano. Porto piccolo. Il porto piccolo, o porto militare Mandraki, era quello meglio difeso. Porto grande. Questo era nell’antichità il porto principale commerciale della città. La Rodi medievale. In rosso, il contorno della Rodi medievale, ai tempi dei cavalieri. Quartiere medievale. In quest’area è presente il Palazzo del Gran Maestro, la via dei cavalieri e altre costruzioni dell’epoca medievale.
Se il Colosso fosse stato posizionato sulla punta della penisola, tra i due porti, sarebbe stato visibile da molto lontano. Illustrazione di Alessia Piemonte.
Capitolo 7
Il Faro di Alessandria
Il Faro di Alessandria secondo Maerten van Heemskerck. Una scala a spirale, una roccia scoscesa, fumo che esce dalla sommità... e dietro le montagne: il Faro (e l’Egitto) dipinto da van Heemskerck è decisamente di fantasia. Delle Sette Meraviglie del Mondo Antico, il Faro di Alessandria è il più recente, come del resto lo è la città di Alessandria, fondata da Alessandro Magno nel 332 a. C. Il luogo era perfetto per farci un porto importante, anche grazie alla presenza di una piccola isola, stretta e lunga, parallela alla costa, dove già esisteva un porticciolo. L'isola, citata anche nell'Odissea di Omero, era chiamata Faro (Pharos) e, dopo essere stata collegata alla terraferma da un molo, creava insieme ad esso due porti separati, uno a occidente e uno a oriente, permettendo quindi l'arrivo e la partenza con ogni condizione di vento. L’idea del Faro La città di Alessandria crebbe velocemente e divenne famosa anche per alcuni importanti opere, come il Museo, o tempio delle Muse, e la Biblioteca, che sembra contenesse cinquecentomila papiri. Per la sicurezza del porto e delle navi che vi entravano e vista la mancanza di rilievi e punti di riferimento che potessero in qualche modo identificare il porto venendo dal mare, venne l'idea di creare una torre di segnalazione visibile da lontano. Il luogo prescelto era proprio sull'isola di Faro e dedicata al dio Zeus Soter (Zeus Salvatore). I lavori iniziarono presto, probabilmente durante il regno di Tolomeo I (305-282 a.C.) e durarono parecchi anni. Finanziatore fu forse Sostrato, se è vera la ricostruzione di Strabone che ricorda la dedica scritta sul Faro “Sostrato di Cnido, amico dei sovrani, ha dedicato questo edificio, per la sicurezza dei naviganti”. Altre fonti aggiungono il nome di Zeus Soter, ovvero di Zeus Salvatore: non solo vi era dedicato il Faro, ma una sua statua spiccava in cima al Faro stesso. La costruzione Non ci sono notizie certe sulle dimensioni finali del Faro di Alessandria, e le poche che esistono sono certamente esagerate oltre che discordanti. Anche la sua visibilità da lontano non ci aiuta: secondo lo storico romano Giuseppe Flavio era visibile da 300 stadi (oltre 50 chilometri), mentre lo scrittore greco Luciano di Samosata moltiplica per dieci questa distanza. Attualmente si ritiene che la torre
possa essere stata alta tra i 100 e i 120 metri e sappiamo che era divisa in tre piani: nonostante la scarsità di informazioni scritte, per fortuna la torre di Faro fu infatti raffigurata più volte nel verso di monete di epoca romana e greca, a confermare l'eccezionalità del monumento. Nonostante i disegni sulle monete siano necessariamente stilizzati, in tutti è possibile intravedere una struttura a più piani, con una primo piano alto e massiccio e due parti più piccole, che terminano con una statua. In basso sembra esserci un grossa ingresso alla fine di alcuni scalini e, sempre nel primo piano, si possono intravedere varie finestre. Quello che le monete non possono dirci è come potesse funzionare la luce in cima, ammesso che ci fosse. L'idea originale che ci fosse un fuoco sempre (che fosse in cima o riflesso) è però poco plausibile, non fosse altro che per la scarsità di legno o carbone presente in Egitto. È più probabile che il fuoco fosse accesso solo in determinate circostanze, o che la luce fosse creata con degli specchi in grado di riflettere i raggi del Sole. Il Faro nei secoli successivi Il Faro di Alessandria resistette alla fine degli imperi che lo avevano costruito e raffigurato. In epoca romana la costruzione era talmente nota che divenne d'uso chiamare Faro qualunque torre di segnalazione marina, abitudine che continua ancora oggi. Il Faro continuò a svolgere il suo ruolo per molto tempo, finché subì danni durante un terremoto nel 956 d.C. e poi ancora durante il XIV secolo. In un restauro avvenuto sotto il dominio islamico, forse successivo a un terremoto, sembra vi fu costruito in cima una piccola moschea in miniatura, che prese quindi il posto della statua di Zeus. I resoconti arabi narrano più volte dello stato del Faro, che sembra in buono stato di conservazione nel 1166, ancora accessibile nel 1326 e talmente rovinato da non poterci entrare nel 1349. Sulle sue rovine e probabilmente anche con le sue macerie, come era d'uso in ato, gli arabi costruirono un forte, la cittadella di Kait Bay (o Qaitbay), visibile tutt’oggi. Del Faro non esistono più tracce.
Alessandria. La città raffigurata all’interno del volume Kitab-i Baribie (1521-1526) dell’ammiraglio turco Piri Reis, altrettanto e forse più famoso come geografo e cartografo. Nella posizione occupata una volta dal Faro si intravede ora una struttura fortificata, il forte di Kait Bay, costruito nel ‘400 proprio sulle rovine del Faro.
Il Faro. Altra rappresentazione pittorica del faro, in una stampa del 1770. L’autore, G.B. Probst, si è chiaramente ispirato alle illustrazioni di van Heemskerck. (Bibliotèque Nationale de ).
Il Centre d’Etudes Alexandrines effettua da anni scavi archeologici e marini alla ricerca di testimonianze della Alessandria antica. Recentemente sono stati portati alla luce alcuni reperti riconducibili probabilmente al Faro.
Piantina della città di Alessandria. Realizzazione di Valentina Caruso.
Il Faro. Costruito sulla punta dell’isola, il Faro permetteva di entrare con più facilità in porto, anche con condizioni del mare avverse. I porti. La realizzazione del molo tra la terraferma e l’isola di Pharos creò due porti separati, uno a levante e uno a ponente. L’isola di Pharos. Prima di diventare parte del porto attrezzato, Pharos era una semplice isola, collegata alla terraferma da un molo, visibile nel disegno come una linea di congiunzione con la terraferma. Alessandria antica. All’interno del bordo rosso è visibile, in colore più scuro, il tracciato della città antica. Alessandria oggi. In marrone chiaro, si possono vedere i contorni della città attuale.
Ipotesi sull’aspetto del Faro di Alessandria. Illustrazione di Marco Martis.
Basamento. Secondo una descrizione, il basamento era alto 6,5 metri, ed era inclinato. Parte centrale. Il corpo principale del Faro, dove c’era anche l’ingresso, era alto in tutto 57 metri circa. Parte superiore. La parte più in alto era di forma ottogonale ed era alta circa 27,5 metri. Luce. Infine, la parte finale (circa 7,5 metri) con lo spazio per la luce e la statua di Zeus a chiudere il Faro in cima.
Capitolo 8
Il Mausoleo di Alicarnasso
Il Mausoleo di Alicarnasso nelle tavole di Maerten van Heemskerck. La ricostruzione cinquecentesca è sempre di grande fantasia, con una parte inferiore riccamente decorata e due grandi zone spioventi a gradini. Le 4 colonne esterne, agli angoli della piramide, si trovano in varie raffigurazioni, ma non ci sono certezze sulla loro presenza nella realtà. Anche il termine attuale "mausoleo", allo stesso modo di "faro" e "colosso", deriva da una delle 7 Meraviglie del Mondo Antico e furono i romani, che fecero in tempo a vedere l’opera, a diffondere l’abitudine di chiamare mausoleo qualunque tomba particolarmente notevole. Mausolo era il signore e governatore della Caria, una regione costiera dell'Anatolia facente parte dell'impero persiano. La capitale del suo regno era Milasa, ma Mausolo la spostò alla città costiera di Alicarnasso, l’attuale Bodrum in Turchia, che rifondò e abbellì. Lì viveva insieme alla propria sposa, che incidentalmente era anche sua sorella. Una tomba da ricordare Benchè Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis historia, scriva che fu la moglie/sorella di Mausolo, Artemisia, a costruire il monumento funebre in memoria del marito, è plausibile che il Mausoleo fosse iniziato con Mausolo ancora in vita, visto che tra la morte di entrambi non arono che due anni, decisamente troppo pochi per realizzare un’opera così grande e complessa, anche prendendo per buona l’affermazione che gli scultori lavorano alle rifiniture anche dopo la morte di lei. Possiamo quindi immaginare che Mausolo cominciò a costruire il proprio monumento sepolcrale tra il 370 e il 360 a.C. fino alla sua morte, avvenuta nel 353 a.C. Negli ultimi anni, come detto, fu con tutta probabilità la moglie Artemisia, che morì due anni dopo il marito, a farsi carico della conclusione dei lavori. Il Mausoleo fu costruito non lontano dal porto, in posizione leggermente sopraelevata, vicino all'attuale moschea. Per avere una prima idea della forma e delle dimensioni che doveva avere l'importante monumento, possiamo avvalerci del resoconto che ne fece Vitruvio attorno al 25-30 a. C. e quello che fece intorno al 75 d. C. Plinio il Vecchio. Da
questi racconti sembra che fosse un rettangolo di circa 38 metri per 32 metri, alto circa 48 metri. Era composto da un basamento su cui erano poggiate 36 colonne; sopra di esse era presente un tetto piramidale a gradini, con in cima una piattaforma finale sormontata da una statua raffigurante una quadriga. Al Mausoleo ci lavorarono quattro tra i più famosi artisti dell'epoca, che si divisero le sculture sui quattro lati dell'edificio. Gli autori classici non si dilungano sul basamento, ma gli scavi recenti fanno supporre che fosse molto alto, diviso forse su tre livelli, ognuno circondato da statue di tipo diverso. Le sculture e le decorazioni dovettero essere veramente incredibili, sia come numero sia come qualità, perché è soprattutto su di esse che puntano il dito i resoconti dell’epoca. Il corpo di Mausolo fu probabilmente cremato e, una volta avvolto in drappi d’oro, collocato nella cripta, dentro a un sarcofago d’alabastro, di cui si sono trovati alcuni resti. La distruzione del Mausoleo Dai resoconti scritti di greci e romani sappiamo che il Mausoleo era ancora in ottimo stato di conservazione al loro tempo e probabilmente resistette ancora per parecchi secoli, fino ad arrivare al XIII secolo, quando venne distrutto forse per un terremoto, piuttosto frequenti in quella zona, come abbiamo visto anche con il Colosso di Rodi e il Faro di Alessandria. Ne rimasero forse intatte alcune parti, compreso parte del basamento, fino all'arrivo dei Cavalieri di San Giovanni (più conosciuti come Ospedalieri o come Cavalieri di Malta), che decisero di prenderne i robusti resti per fortificare il loro castello, posizionato a controllo del porto e tuttora visibile. Alcune parti delle mura del castello sono, infatti, costruite con blocchi di pietra verde vulcanica prelevati dal mausoleo, mentre le statue furono rotte e bruciate per ricavare calcina. L'opera di demolizione durò parecchi anni, fino ad arrivare alle fondamenta. I resti attuali Gli scavi archeologici, cominciati nel 1857, delimitarono la pianta del sito e riuscirono comunque a recuperare alcuni pezzi importanti, come un pezzo di uno dei 4 cavalli della quadriga posizionata sulla sommità del Mausoleo. Quattro pezzi di sculture raffiguranti animali (leoni e leopardi) furono anch’essi ritrovati, inseriti nelle mura del castello, e ora sono custodite nella stanza 21 del British Museum, a Londra. Un pezzo di un fregio d’angolo raffigurante le
Amazzoni e ritrovato nel 1975 ha fatto supporre gli archeologi che questo potesse correre tutto attorno al Mausoleo, mentre altri ritrovamenti, come un intero gradino angolare del tetto a piramide, hanno permesso di delimitare con maggior precisione le dimensioni del Mausoleo.
Mausolo. Statua in marmo del 350 a. C. circa che raffigura Mausolo, satrapo persiano della Caria. È stata scoperta sul luogo degli scavi del mausoleo, nell’odierna Bodrum, in Turchia. È custodita al British Museum.
Alicarnasso. I resti del mausoleo sono all’interno di una zona archeologica che comprende anche resti di costruzioni successive. Purtroppo solo pochi resti furono ritrovati, tra cui capitelli e una parte di uno dei cavalli della quadriga posta in cima.
Piantina della città di Alicarnasso / Bodrum. Realizzazione di Valentina Caruso.
Il porto. Mausolo scelse Alicarnasso come nuova capitale al posto della precedente Milasa anche grazie alla presenza di un importante porto. Le porte. Le due porte principali della città erano a occidente (Myndus) e oriente (Mylasa). Molti monumenti erano disposti su quest’asse stradale. Alicarnasso antica. Il contorno rosso evidenzia la città antica, con le sue porte. Il castello. Il porto è dominato dal castello dei cavalieri di San Giovanni, eretto nel XV secolo. Per costruirlo furono utilizzate anche parti del Mausoleo, che era in parte crollato nel XIII secolo. Il Mausoleo. Costruito nella zona centrale della città, lungo l’asse longitudinale e vicino all’Agorà, il Mausoleo dominava la città con i suoi quasi 50 metri di altezza.
Raffigurazione del Mausoleo di Alicarnasso. Illustrazione di Alessia Piemonte.
Basamento. La base era su tre livelli, con statue su ogni piano. I pochi resti ritrovati sono custoditi al British Museum. Colonnato. Nella parte centrale erano presenti 36 colonne, 11 sul lato lungo e 9 sul lato corto, contando per due le colonne d’angolo. Tetto. Il tetto piramidale aveva 24 gradini ed era sormontato da una piattaforma, dove poggiava una quadriga.
Le 7 Meraviglie del Mondo Antico… in 30 minuti Illustrazioni di: Marco Martis, Alessia Piemonte, Valentina Caruso. Tutte le cartine e le piantine sono di progettazione dell’autore. Anno di pubblicazione: 2014 Copyright: 2014 Marco Crespiatico Tutti i diritti sono riservati a norma di legge e a norma di convenzioni internazionali www.saggiando.it Per contattare l’autore
[email protected] Marco Crespiatico nasce a Milano nel 1962. Studia Scienze Politiche e Storia all’Università di Milano, seguendo gli insegnamenti della Scuola delle Annales, la metodologia storica che privilegia il lungo periodo. Negli anni successivi diventa giornalista e divulgatore, scrivendo anche di tecnologia e fotografia,
senza per questo mai abbandonare gli studi storici e l’aggiornamento continuo in questo settore. È responsabile del sito www.saggistorici.it. Per quanto riguarda il settore storico, ha pubblicato La Lega Lombarda e il Barbarossa: La battaglia di Legnano, 2013, dBooks, 3,99 euro. Il mini-saggio gratuito Le 7 Meraviglie del Mondo Antico... in 15 minuti, piccola “anteprima” di questo saggio dal testo ridotto, senza illustrazioni e fotografie, è stato il saggio storico gratuito più scaricato di iTunes del 2013 e del 2014.
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