Raimondo Carlin
L’ITALIA AGLI IRTI “MONTI” Come possiamo, o non possiamo, crescere
Abel Books
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Fin da bambino mia madre era solita ripetermi: “Credi che ti sgridi perché ti voglio male?”
Qualche nota introduttiva
Finalmente il miracolo è avvenuto! Ad un o dal baratro, ma ci siamo ancora dannatamente vicini, il presidente della Repubblica Giorgio Napoletano ha riconosciuto il pericolo e, con o senza il suggerimento della signora Merkel, ha rimosso l’inetto governo Berlusconi, che sull’orlo di quel baratro ci aveva portati e l’ha rimpiazzato col più autorevole e affidabile professor Monti; il quale, rimboccatesi le maniche, si è messo subito al lavoro nel tentativo di riparare i danni di colui che l’aveva preceduto. Danni, si dice, ben più gravi del previsto; e pare che saranno cavoli per tutti a uscirne fuori. Ma il neo presidente ha tutta l’aria di un brav’uomo, è capace e volitivo, ha carisma, quindi le carte in regola per far bella figura nel ciclopico incarico che il Presidente Napolitano gli ha affidato. E pur non essendo un politico di professione, conosce bene l’intricato sottobosco della politica nostrana e saprà districarsi con onore nell’arduo compito. Noi ce lo auguriamo! Il suo governo sprigiona vitalità da ogni poro e i frutti non tarderanno a maturare. Sempre che i soliti guastafeste, ossia i partiti, non gli infilino i soliti bastoni tra le ruote. Anch’io, pur nel mio ruolo di piccolo uomo della strada, voglio contribuire alla riscossa; e lo farò ricalcando in queste pagine, senza peli sulla penna, la mia modesta opinione. Spiegherò cosa, secondo la mia esperienza di giramondo ultrasettantenne, si può fare per rimettere in carreggiata la nostra disastrata economia e dare un importante spintone alla ripresa. Al termine di acute riflessioni, di valutazioni e confronti a livello europeo sono giunto alla conclusione che un rilevatore importante delle realtà di una nazione è la televisione. Ritengo la TV uno specchio pressoché fedele dei pregi e dei difetti di un popolo. TV, pubblica e commerciale. Radio e media in genere. Mi avvalgo di questa stima ato dall’esperienza dei miei quasi cinquant’anni trascorsi al Nordeuropea, della conoscenza che ho di quei Paesi. In Germania ci ho ato mezzo secolo, ho letto libri, giornali, conseguito un diploma, guardato la TV. E in virtù di queste conoscenze, credo di poter dare dei pareri e dei suggerimenti utili lungo queste pagine. Le TV nordeuropee, in particolare quella tedesca, sono radicalmente diversa
delle nostre. Sobrie, dirette, essenziali e istruttive, di grande utilità pubblica, non spennano i consumatori con fiumi di costosissima pubblicità, ma seguono una linea rigorosa e risparmiosa e rispettosa nei confronti di telespettatori e consumatori. Le TV nordeuropee, sia pubbliche che private, sono da posizionare agli antipodi rispetto alle nostre. In un confronto obiettivo tra le varie TV europee si ha la percezione, meglio la certezza, che le nostre non sappiano dove buttare i soldi e che di tutti i loro sprechi non debbano render conto ad alcuno. Le nostre TV sono scaltre, fregone e levantine. E’ in atto fra di loro una interminabile competizione all’ultimo sangue per l’accaparramento degli ascolti, quindi della pubblicità e si trovano pertanto in un perenne affanno per riuscire, ognuna più delle rivali, a metter le mani nelle tasche dei consumatori, imponendo loro masse di gravosa reclame, scaricandone i costi sui prezzi dei prodotti e riducendo in tal modo il già esiguo potere d’acquisto degli italiani. Si parla di un 30% di ricarico sui listini. Da vent’anni esse seguono questo corso e da vent’anni la nostra crescita si è arenata. La televisione italiana è dunque colpevole al pari del parassitismo, delle mafie, delle assunzioni clientelari, della dilagante corruzione, nonché dell’immensa lucrosa evasione fiscale, della carente meritocrazia e di tante altre prerogative tipicamente nostrane, ormai parti integranti del costume nazionale e tutte altamente tossiche, della nostra cronica crisi nella crisi, della nostra non crescita e della debolezza dei nostri Btp nei confronti dei Bund tedeschi. Allora è facile capire perché gli investitori esteri, vedendo gli sprechi delle nostre TV, la loro scarsa etica, le continue beghe tra le parti sociali che esse trasmettono dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina in infiniti e ridicoli TG, talk show e frivole trasmissioni, le scarse potenzialità del nostro potere d’acquisto (derivanti da tutto ciò), la fiacca e impotente opinione pubblica e tutte le altre pecche di cui sopra, ci riflettano per bene prima di investire nei nostri Btp e propendano alfine verso scelte meno remunerative, ma più sicure. E un’altra specificità tutta nostrana incide altrettanto negativamente sul giudizio degli osservatori e degli investitori esteri ed è quella che noi diamo più importanza alle chiacchiere nei vari inconcludenti dibattiti radio-TV che non ai fatti. Siamo il Paese delle chiacchiere e quello del chiacchierone è diventato uno dei pochi mestieri, assieme a quello delle mafie e dei pubblicitari, con cui ci si possa da noi ancora arricchire.
Catene di TG, catene di gr frammezzo a catene di incessanti e noiosissimi dibattimenti radio-TV, monotoni articoli sugli innumerevoli quotidiani finanziati dallo stato con i soldi dei contribuenti, giornalisti, i e politici che fanno a gara a chi la dice più grossa. Se producessimo fatti quanto parole saremmo degli extraterrestri! Da decenni stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità e per potercelo permettere abbiamo accumulato un debito pubblico (mostruoso!) di quasi 2.000 miliardi di euro, creando gli stipendi più bassi d’Europa e col più debole potere d’acquisto e gettando miliardi nella cancerogena e parassitica pubblicità come nessun altro. Il presidente Monti sembra intenzionato non solo a ridurre questa colossale cifra, ma altresì a fare quelle riforme che il governo Berlusconi, per non perdere voti, non ha voluto, o saputo, fare. La nostra speranza è che il governo Monti guarisca anche l’altro cancro italiano: l’evasione fiscale! Non a suon di spot pubblicitari, come ha fatto il precedente governo bruciando i soldi dei contribuenti e prendendoli in giro, ma con severe ed efficaci norme antievasione. Lo stesso dicasi per le televisioni, le più spendaccione e corrotte del mondo occidentale, per le mafie, il parassitismo, l’ormai metastatica pubblicità, appunto, che ci stritola come una piovra gigantesca, per la grottesca spesa pubblica e la perduta produttività e per tante altre nostre tipicità che saranno ampiamente descritte in questo libro. Tutti noi, a cominciare dai politici che sostengono il governo, dobbiamo renderci conto che la sagra è finita, e finita male, e che non possiamo più mangiare e bere a sbafo alzando ulteriormente il debito pubblico, come abbiamo fatto fino ad ora! E capire che di questo siamo debitori al precedente governo, che in tutta allegria, ci ha portati sull’orlo del baratro! E c’è davvero da stupirsi che quei signori siano ancora tra di noi e continuino a dettar legge e non vadano piuttosto a nascondere la vergogna dietro grosse foglie di fico per averci portati alla quasi bancarotta, ma insistano nella loro ottusità e prepotenza, rimanendo sulla scena! In qualsiasi Paese occidentale quei signori, a cominciare dal loro presidente, sarebbero tornati alle loro precedenti occupazioni a testa bassa, non senza aver prima chiesto scusa ai loro elettori, nonché a tutti i cittadini italiani, per la loro devastante gestione pubblica. Alla faccia dello spread impazzito tra i nostri btp e i bund tedeschi!
Premessa
L’idea di scrivere questo libro mi è nata una decina d’anni fa in una farmacia del Mare del Nord, Germania settentrionale. Avevo appena acquistato una confezione di aspirine e confrontato il prezzo con quello di una confezione simile acquistata in Trentino poco prima della partenza per le vacanze e poi dimenticata di portare, ero semplicemente allibito per l’enorme differenza di prezzo: 20% a favore dei tedeschi! E da quel momento, questa constatazione divenne per me una irremovibile ossessione e mi fu chiaro che per riacquistare la mia pace dovevo assolutamente scoprirne le ragioni! Poco dopo accompagnavo mia moglie a far la spesa in un vicino supermercato e davanti agli scaffali dei vini mi fermai a esaminarli. Molti erano italiani. C’era pure il mio vino preferito, quello che ero solito acquistare in Italia. Non avevo intenzione di comprarlo ora, in Germania bevevo birra, ma dopo la sorpresa delle aspirine decisi di esaminarne i prezzi: il mio vino preferito costava 80 centesimi alla bottiglia meno che in Italia! Anche la pasta, di produzione italiana, costava meno che da noi, i pelati, il formaggio, la verdura, le pizze surgelate, per non parlare della carne, dello scatolame, del burro. L’indomani ci recammo in un grosso emporio “Fai da te” e qui i prezzi superavano ogni pia immaginazione, naturalmente verso il basso! I pneumatici, la benzina, gli occhiali da sole, da vista, il bricolage. Ovunque i prezzi erano più bassi che da noi, spesso di molto. L’euro era entrato in vigore l’anno prima e era impossibile sbagliarsi. Ci rallegrammo al pensiero che le nostre vacanze sarebbero state meno care del previsto, pure ci chiedemmo: perché tanta differenza? Durante le vacanze visitammo molte città e vedendo le bacheche delle agenzie immobiliari (avevamo da poco acquistato casa in Italia) ci fermammo a esaminarle. Le foto erano invi-tanti e i prezzi lo erano anche di più: parevano appartenere ad altro pianeta! Villette e appartamenti costavano dal 50 al 100% in meno che in Italia!
Mia moglie e io conoscevamo bene la Germania. Ci eravamo conosciuti nel ‘65 a Stoccarda, dove eravamo emigrati per lavoro. Lei nel ’56 con i genitori, io, da solo, nel ’60. Nel 1974, dopo quindici anni di soggiorno lavorativo, sette di matrimonio e due bambini in età scolastica, avevamo deciso di tornare in patria. A quei tempi i prezzi tedeschi erano più alti dei nostri, ma già qualcuno cominciava a scendere al di sotto. La prima sera della nostra vacanza al Mare del Nord, nella nostra villetta affittata a 30 euro al giorno, più 2 euro di luce e pulizia (poi condonati), una barca per vogare nei numerosi canali della zona e le bici per pedalare sulle splendide piste ciclabili, ci gustammo un giallo mozzafiato sul primo canale della TV pubblica, l’ARD. L’anno prima avevamo trascorso le vacanze in una località poco distante, ospiti di uno zio di mia moglie, per questo non avevamo riscontrato queste differenze. Nel corso del film ci stupimmo per l’assenza di interruzioni pubblicitarie. In Italia eravamo abituati a vedere ovunque pubblicità: nei film, nei quiz, nei TG, negli eventi sportivi, nelle previsioni del tempo, dappertutto; e la cosa ci colpì. Già ai tempi del nostro ormai lontano soggiorno lavorativo la pubblicità era limitata, inesistente dopo le 19 e nei giorni festivi. Mi domandai se fosse quella la ragione, o una delle ragioni, dei prezzi così bassi rispetto ai nostri e degli stipendi più alti e con un maggior potere d’acquisto. Questi riscontri della realtà locale, così diversa dalla nostra, ravvivò in me la volontà di ricercarne le cause. E cominciai da lì! Ma le ricerche furono lunghe e difficili e le risposte arrivarono dopo anni. Come tutti gli italiani, anch’io ero a conoscenza che da più di un decennio ci trovavamo in una crisi nella crisi a causa della carenza di infrastrutture, della perduta competitività e della scarsa ricerca e non da ultimo per il fatto che eravamo diventati il Paese più corrotto dell’occidente, un Paese in cui se non fai il furbetto anche tu, ti assalgono dei pericolosi complessi. La nostra critica situazione economica mi portò a pensare che la modicità dei prezzi qui riscontrati non doveva essere del tutto estranea alla mancanza, o al minor volume, di pubblicità rispetto al nostro, considerando il fatto che la pubblicità non è affatto gratuita e che noi ne facciamo molto più uso di chiunque altro in Europa! Mi parve quasi di aver scoperto l’acqua calda; ma, come ho
detto, ce ne volle di tempo per arrivare alla conclusione che proprio la pubblicità era uno dei motivi della nostra cronica crisi nella crisi! Appuratene infine le cause, scrissi il libro. Lo inviai a un editore, che però mi freddò con questa frase: “Libro persino divertente. Ma non sono questi i temi che interessano la gente e che rendono un libro commerciabile!” E io mi domandai: se non sono questi i temi che interessano la gente, quali possono essere? Una medicina non si prende anche se amara e un arto infetto da cancrena non si amputa pur di sopravvivere?” Tuttavia lasciai la rilettura del testo e mi presi una pausa riflessiva. Il giorno dopo, complice la splendida giornata, indossai tuta e scarponi, riempii lo zaino di panini e di bevande e mi arrampicai sul cocuzzolo di una montagna da cui si godeva una vista mozzafiato! E mi lasciai andare al piacere di quella vista. Ogni tanto ripensavo al drastico giudizio dell’editore e mi chiedevo se la gente cui non interessavano quegli argomenti, davanti al panorama che stavo vedendo io ora, l’avesse visto nel mio stesso modo o in modo differente. Il giorno dopo inforcai la bici e imboccai la ciclabile che corre lungo il Brenta in un susseguirsi di paesaggi suggestivi e macinai chilometri su chilometri: sempre in balia di quei pensieri! Il terzo giorno nuotai in lungo e in largo per il lago vicino a cui abito e il quarto presi il treno che in poco più di un’ora mi portò sul Canal Grande e salii ponti e gradinate, risalii calli e visitai chiese e palazzi, sempre col pensiero al drastico giudizio dell’editore. Il quinto giorno infine, dopo tanti vagabondaggi e infinite riflessioni, mi convinsi che quei temi non erano affatto futili, e tanto meno ingenui come il tipo sosteneva, bensì utili e imprescindibili e ripresi la rilettura del testo. E, una volta ultimata, mi posi alla ricerca di un editore più ottimista!
Qualche annotazione per cominciare
L’Italia agli irti colli “Monti” è il titolo che ho voluto dare a questo libro. Forse un po’ troppo pessimisticamente avevo scelto come sottotitolo: e con la palla al piede. Ma il pessimismo non fa parte del mio DNA e ora che è arrivato il professor Monti, ci ho tolto la palla e ci ho messo: Come possiamo, o non possiamo, crescere, concetto più consono e attuale, che da qui in avanti sarà il tema prevalente di questo libro. Come ho accennato, negli ultimi decenni produciamo più chiacchiere di quanto i nostri competitori non producano sedie a dondolo o guarnizioni. La nostra italica inventiva ci ha suggerito di metter su un’industria divenuta assai fiorente, quella appunto delle chiacchiere, quasi per coprire con esse agli occhi degli investitori nazionali ed esteri il nostro gigantesco debito pubblico (in dette chiacchiere però quasi sempre assente) e ridurre in tal modo lo spread dei nostri titoli di stato. Chiacchiere alla radio, in TV, sui giornali, al bar, allo stadio, in fabbrica, in ufficio. E su quelle chiacchiere stiamo ora ruzzolando… come su delle bucce di banana! Pare quasi che con le chiacchiere vogliamo non già correggere o eliminare i difetti e gli sfaceli di cui esse son la causa, bensì mantenerli per timore che l’eventuale correzione non ci dia più occasioni di sfornarne ancora, ma che vogliamo mantenerli per non essere poi costretti, mancando il movente delle chiacchiere, ad occuparci di cose più serie, per esempio di dover andare a lavorare in un mondo produttivo. Ho molto riflettuto sul perché di quelle chiacchiere sterili e inconcludenti e alla fine ho scritto questo libro! Non me l’ha certo ordinato il medico e come pensionato avrei modo di are il tempo in maniera più piacevole, visto che per 40 anni non ho fatto altro che lavorare e pagare i contributi per la pensione, ma per l’amore che porto al mio Paese, ho voluto fare il mio dovere di cittadino, ricercando colpe e difetti ed esporli poi, nella speranza che vengano riconosciuti e corretti. E non posso fare altrimenti! Una forza dentro me mi spinge a ricercare in modo
fin tanto maniacale le parole che più si addicano allo scopo e a metterle indi nero su bianco. Guardando dalla finestra del mio studio vedo cerchia di monti dalle cime dentellate come creste di gallo e dai colori pressoché irreali che mi fissano inquisitori e uno specchio d’acqua nel quale riverbera la loro immagine riflessa: entrambi sembrano irridere alla mia caparbietà! E oltre quei monti e quel lago ci sono le splendide città d’arte del nord-est, il verde Adriatico, che paiono far loro eco. E invece che tendere le mani verso quel ben di Dio, che dopo tanti anni di contributi pagati, e non ancora ricambiati, mi sarei pure meritato, me ne sto inchiodato davanti al PC e cerco caparbiamente di portare avanti questo mio lavoro. Si dice che molti uomini, ati i sessant’anni, sentano il bisogno di raccontare le proprie esperienze. Evidentemente io non sono un’eccezione e da cinque anni sto ammassando appunti sopra appunti, che il mio vizio di osservare persone e cose e di trarne le debite considerazioni, mi spinge a fare! Di questi appunti ho dovuto farne una severa selezione, ma ne è pur sempre rimasta una ingente quantità sulla scrivania e appiccicati ai muri, che a leggerli mi fan girar la testa come una banderuola al vento e saranno cavoli a districarmi in questa giungla: ma gli appunti sono essenziali per chi scrive quanto i suonatori d’orchestra per il direttore e senza di essi non potrei eseguire il mio concerto. Vivo in una regione, il Trentino, con il quale madre natura non è stata tanto avara (cosa abbiamo fatto per meritarci tanto ben di Dio?) e il desiderio di piantare tutto e salire su quei monti che mi stringono d’attorno e tuffare lo sguardo nei loro panorami mozzafiato, si fa a volte incontenibile. Ma il pensiero dei 50 anni trascorsi errabondo per il mondo, quei 50 anni che mi hanno indotto a riempire quei biglietti, mi tiene incollato sulla sedia e fa crescere la mia creatura, con la speranza, ripeto, che ne possa scaturire qualche beneficio. Mi sono fermamente ripromesso di chiamare le cose col loro nome e cognome e raffrontarle con quelle dei Paesi vicini, che ben conosco, evidenziando pregi e difetti d’ambo i fronti. Per una questione di spazio parlerò più dei difetti. Questi Paesi sono nostri amici, ma anche nostri competitori e ci troviamo dunque a fare i conti anche con loro.
Retaggio di un’antica gioventù
Come ho detto, il motivo che mi ha spinto a riempire queste pagine con le mie opinioni di piccolo uomo della strada, è stata la scoperta fatta qualche anno fa, in parte ricercata, in parte casuale, delle cause della nostra crisi nella crisi, colpevoli, secondo me, di averci fatto perdere competitività nei confronti dei nostri concorrenti europei con cui viviamo in una unione che si fa sempre più stretta. Una gara in cui tanti vantaggi possiamo trarre se riusciamo a produrre idee buone quanto le loro, ma che ci può altresì distanziare da loro se non riusciremo a produrne altrettante pure noi. Ma per competere ad armi pari dobbiamo aggiornare vedute e strutture. Abbiamo perso competitività sui mercati nazionali, ma su quelli esteri ci difendiamo un po’ meglio. La perduta competitività sul mercati interni è da attribuire al fatto che negli ultimi decenni abbiamo dato corpo ad un vero e proprio fisco privato, che nulla ha in comune con quello dello stato, un fisco che neanche il più scaltro degli scaltri può evadere. Questo fisco preleva i suoi balzelli dalle tasche dei consumatori, alza i costi di produzione e impedisce a stipendi e pensioni di godere di livelli e di potere d’acquisto europei. Questo fisco ha un nome persino magico: pubblicità! Essa però è un cancro che corrode salari e pensioni e frena produzione e consumi. Questo male i nostri concorrenti non ce l’hanno e sono quindi molto avvantaggiati nei nostri confronti. I contribuenti e i consumatori italiani devono pertanto fare i conti con una zavorra che si ritrovano ai piedi (che gli altri non hanno) e che li fa essere ultimi nelle classifiche in cui sarebbe meglio esser primi e primi in quelle in cui sarebbe meglio esser ultimi. Se poi in quella zavorra ci aggiungiamo pure le chiacchiere e gli altri fattori negativi che ho elencato, viene fuori il perché della nostra catastrofica situazione.
Tutti gli elementi che gravano in quella zavorra rendono il nostro quadro economico e produttivo altamente esplosivo. Soprattutto quello appena citato: la pubblicità! Essa vi contribuisce in maniera devastante! La pubblicità ha assunto negli ultimi decenni dimensioni letali, incistandosi nel tessuto socio-economico con ingorda aggressività, ma esibendo le sembianze di un fenomeno naturale. Pochi sono in grado di riconoscere la pubblicità come nociva e di puntarle un dito contro, accusandola, non essendo a conoscenza della realtà europea. Questa accusa risulterà quindi incomprensibile ai più, tanto si è radicata nel costume nazionale. Dobbiamo assolutamente metterci mano, e ridurla drasticamente, se vogliamo tornare ad essere competitivi e ridare al nostro euro il valore che gli spetta. Questa riforma caà in un primo momento scompiglio nel mondo del lavoro, determinando effetti negativi, che si trasformeranno in seguito in effetti altamente positivi. Pur essendo questa operazione inevitabile, saranno in tanti a non volerla, nondimeno prima o poi, più prima che poi, dovremo farla, se vogliamo dare più consistenza ai nostri consumi e quindi alla ripresa. Più aspettiamo, come abbiamo fatto col debito pubblica, più l’operazione risulterà complicata e dolorosa.
Al di là degli orizzonti visivi
Non essendo io un personaggio famoso, ma, come ho già dichiarato, un semplice uomo della strada, vorrei dare a questo punto qualche informazione sulla mia persona. Sono nato tra i macelli e i calcinacci della seconda guerra mondiale, quando ancora si levavano le grida isteriche dei due dittatori che Charlot ha ridicolizzato nel film omonimo e tra gli inni di battaglia e le razioni di olio di ricino che gruppuscoli di seguaci dei due eroi gratuitamente dispensavano a chi non la pensava come loro, ma da cui si alzarono alfine, svaniti i sogni di conquista, le invocazioni di libertà degli altri individui. Riflettendo su quegli eventi sacrificali, mi viene naturale di pensare che essi non siano accaduti casualmente, ma per una necessità biologica dei tempi, come avviene per un’operazione di calcoli, al fine di reprimere i rigurgiti di cui essi erano vittime e giungere a un periodo di pace e di benessere. E’ stata quella per molti Paesi, tra cui il nostro, l’occasione su cui costruire la democrazia, che oggi mi permette di scrivere queste righe senza ricevere in cambio razioni d’olio di ricino e manganellate! Sono nato e cresciuto in un maso trentino (casa colonica con podere attiguo), adagiato sul versante di una valle ricoperta di prati e foreste, di vigneti e pometi, dove le montagne, alte e severe e le strade tortuose come serpi, non aiutano certo ad essere espansivi ed evoluti come chi è cresciuto in città; ma le cose sono cambiate e gli ostacoli di ieri sono diventati le fortune di oggi e anche di domani. A quei tempi le aspettative d’un ragazzo ansioso di scoprire il mondo non erano granché in quel luogo periferico, così sin da piccino ho fatto lavorare il cervello in una precisa direzione, alla ricerca, cioè, di possibili alternative. La prima opportunità di evasione l’ebbi allorché mia madre mi propose di entrare in un collegio. Vi rimasi fino alla fine del ginnasio, quando capii che neanche quella era la mia strada. Così tornai al maso e ripresi a fantasticare.
Continuai gli studi in città, ma ai libri di scuola preferivo i libri di avventure, i quotidiani sportivi e i rotocalchi e più che le aule scolastiche frequentavo le sale cinematografiche. A sedici anni, esaltato dai tanti film cui assistevo, tra cui La valle dell’Eden e Gioventù bruciata, maturai l’idea di diventare un nuovo James Dean e un bel giorno, con la valigia zeppa di questi sogni, salii sul treno per Roma, più che mai deciso a seguire le orme del mio idolo. E’ possibile tuttavia che il mio piano stellare fosse più un antidoto alla monotonia del maso, che i film di cui sopra e la lettura di riviste tipo Bolero e Novella alimentavano, al pari dei quotidiani sportivi che leggevo finché non sapevano di rancido, sicché i miei tentativi di sfondare nel cinema durarono sì quattro anni, ma con risultati inconcludenti. Alternavo periodi di soggiorno nella capitale a periodi di riflessione al maso e la colpa della disfatta fu solo mia. Le occasioni non mi mancarono. Molti registi mi consigliarono di insistere. Fellini stava preparando La dolce vita quando mi convocò a Cinecittà per un provino e dopo avermi studiato da capo a piedi mi raccomandò di tenermi a disposizione per una porticina che aveva in mente! In quei giorni però, un annuncio radiofonico per lavoratori italiani che volessero recarsi in Germania a lavorare mi cambiò le carte in tavola e anziché aspettare la sua chiamata, seguii l’invito della radio. Così Fellini girò quel film senza di me. Anche De Sica mi offrì una possibilità di gloria, un mattino presto che mi recai a casa sua a chiedergli di farmi lavorare in qualche suo film. L’affabile regista mi schiacciò una banconota da 10.000 lire nella mano, insieme al suo biglietto da visita, dicendomi di are di tanto in tanto nel suo studio: aveva in preparazione La ciociara. Invece, un paio di settimane dopo, mi trovavo già in Germania. E così anche lui fece quel film senza di me, e lo stesso fecero Dino Risi, Visconti, Lattuada e altri ancora. Agli inizi del mio soggiorno romano ero volitivo e battagliero. Aspettando le occasioni, mi guadagnavo da vivere in un laboratorio di pasticciere. Ma un mattino di buon’ora, mentre consegnavo il solito carico di pasticcini nei vari ministeri della capitale con una vecchia Ape furgonata dallo sterzo ingovernabile, mi capovolsi girando attorno al Colosseo. Il furgoncino si aprì e i pasticcini volarono tutt’intorno. Il veicolo risultò semi distrutto e io venni licenziato per incapacità nella guida.
Insomma i miei successi cinematografici non andarono al di là di qualche particina in filmetti di terz’ordine, filmetti che probabilmente nemmeno varcarono le mura di Cinecittà. Qualcosa di positivo, tuttavia, riuscii a realizzare. Poco prima della mia partenza per la Germania feci in tempo a sostenere gli esami d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia; ma del risultato venni a conoscenza anni dopo, quando i miei interessi erano radicalmente cambiati.
Popoli e razze, ma non solo
La decisione di lasciare Roma e i sogni di gloria proprio nel momento in cui stavo per realizzare, finalmente, qualcosa di concreto per andare in Germania a lavorare pur non essendovi costretto, posso esprimerlo con la seguente frase: quando il destino bussa alla tua porta… Da bambino mi struggevo dalla brama di sapere cosa vi fosse oltre la cerchia dei monti che circondavano la mia valle e mi chiedevo se il mondo fosse tutto lì e se oltreandoli si cadesse giù dal mondo. L’ansia di vedere di più di quello che vedevo mi tormentava sin da allora. Durante il mio lungo soggiorno lavorativo al Nordeuropea poi, il mio spirito di osservazione si acuì in maniera fintanto maniacale, costringendomi a pormi dei continui raffronti tra quel mondo e quello da cui venivo. La prima volta che arrivai in Germania, la prima cosa che mi colpì fu l’improvviso quieto scorrere del treno. Già in Austria v’erano state delle avvisaglie. A Monaco presi il treno per Ulma e ad Ulma traslocai su un locale per l’Algovia. Mi pareva di volare! Erano treni ben riscaldati e confortevoli e l’assordante sferragliare che recavo ancora nelle orecchie, divenne un pallido ricordo. Il paesaggio non mostrava cumuli di macerie prodotte dalla guerra da poco terminata, come mi aspettavo, bensì ameni paesini e bianche fattorie attorniate da giganteschi alberi svettanti verso il cielo, con stalle e fienili ricolmi di foraggio e prati con mandrie di mucche che brucavano l’erbetta della nascente primavera. Le case, le chiese e i campanili avevano i tetti appuntiti e rossi di tegole e i eggeri ci osservavano benevoli. Si respirava un’aria di benessere e di rassicuranti prospettive. E la gente, come ho detto, aveva un’aria tanto per bene e sorrideva volentieri. Pensai che non solo ci separasse la barriera delle Alpi, ma universi. La gentilezza delle persone strideva contro ciò che avevo letto e sentito sul loro conto e mi pareva fintanto impossibile che fossero, quelle, le medesime persone.
Non fu difficile ambientarmi in quel Paese. Anche perché, oltre che in Germania, mi pareva di trovarmi in Italia, con tutti i connazionali che mi trovavo attorno e le automobili con targa tedesca che mi ricordavano le lunghe e calde estati italiane, animate da file di automobili con quelle stesse targhe. Mi trovai talmente bene che protrassi la mia permanenza per più di quindici anni! I primi tempi tornavo spesso a casa e a tempo debito assolsi il servizio militare a Napoli, nei Bersaglieri. Finita la naja tornai di corsa in Germania e appena potei conseguii la patente di guida e acquistai l’automobile.
Pareri di un automobilista non proprio straniero
Di tutti i popoli europei, quello che conosco meglio è il popolo tedesco. E’ un popolo che ha sofferto per la sua estrema dedizione al dovere, ma che ad ogni disfatta ha trovato la forza per risorgere. Pio XXII ha imparato ad amarlo e stimarlo nei 12 anni che ha trascorso in quel Paese; io l’ho imparato… in una vita intera. E’ gente corretta e gentile, gente che conosce il significato delle parole rispetto e meritocrazia e li onora. Sin dai primi approcci sono rimasto affascinato dalle sue enormi potenzialità ed è stato amore a prima vista! Come molti altri connazionali del resto. In Germania ci ho vissuto quindici anni, come ho detto e altri trentacinque dopo il mio ritorno in patria, seppur saltuariamente come agente di commercio e vacanziere. Sia nella prima fase che nella seconda, ho avuto esempi e insegnamenti proficui, piacevoli e duraturi. I tedeschi sono della gran brava gente, quando a comandarli sono delle brave persone. Per loro il ato era ato ed evitavano di parlarne apertamente. Nessuno lo scordava, o lo negava, ma tutti pensavano al presente come prospettiva per il futuro. Acqua ata non macina più e ogni tedesco, pur essendo orgoglioso di esserlo, era altresì consapevole delle colpe ereditate. Potrei citare una sequela di casi a suffragio di questa tesi. Le generazioni più giovani pensavano che il mondo avesse avuto inizio con loro e ciò che era accaduto prima non li riguardasse in modo particolare. C’era un confine ben marcato tra le generazioni di Hitler e quelle nuove; ma sia i giovani che i meno giovani evitavano il contrasto, nessuno voleva lasciarsi trascinare in diatribe che causassero ulteriori incrinature, e tutti insieme erano occupati a fare in modo che il loro Paese ritornasse sulla cresta dell’onda e che le ferite dalla guerra si rimarginassero in fretta, non dimenticando tuttavia, che erano stati a un o dalla conquista del mondo (e chi lo scorderebbe?), ma tenendosi questa realtà per conto proprio. Una eccezione la fece un collega di lavoro durante la pausa per la colazione, agli inizi degli anni ’60. Aveva fatto la guerra dal primo all’ultimo colpo di fucile e a conclusione di una discussione sul forte afflusso di lavoratori stranieri nel Paese, sentenziò che entro sette anni tutto il mondo avrebbe parlato tedesco. Nessuno
però, abbracciò questa tesi e il discorso morì lì. La sua affermazione mi trovò in parte d’accordo, visto la tanta gente che affluiva da ogni parte del globo in quel momento e la più che decorosa sistemazione che gli riservavano; ciò che mi restò incompreso fu il numero 7. Dai tedeschi, come ho detto, ho imparato molte cose. Ho imparato ad amare il mio Paese in modo diverso da come avevo imparato ad amarlo in patria, intendendo come Paese la Heimat innanzitutto, ossia il focolare e la famiglia, il villaggio e il campanile, che formano poi il complesso Patria. Questo è il motivo per cui mi faccio rosso come un gambero arrostito quando vedo le nostre piazze, strade, vie, barbaramente imbrattate e invase dalle immondizie. E trovo anacronistico gridare ai quattro venti “sono fiero di essere italiano, io così, io colà” solo perché vinciamo il campionato del mondo di pallone e poi insudiciamo il patrio suolo in modo tanto indegno e incivile. E arrossisco quando una squadra di calcio italiana, tanto per restare in tema, è formata da soli giocatori stranieri, non certo per razzismo, ma per il modo in cui viene impedito ai calciatori nostrani di affermarsi e per le pazzie (con costi e danni) che si fanno per squadre del campionato italiano, che di italiano hanno solo i quattrini e potrebbero serenamente giocare nei campionati argentini e brasiliani. In questi casi vedo nero e giungo al punto di esplodere come una bomba atomica. L’amore per il mio Paese è anche la ragione che mi ha spinto a scrivere questo libro. Ho voluto evidenziare in modo chiaro e obiettivo i nostri mali, nella speranza che qualcuno venga estirpato. Utopia? Non credo! Non certo io, ma qualcuno dovrà pur farlo per il nostro bene e per quello dei nostri figli. Le mie denunce riguardano deficienze cui pochi, penso, vi prestano la debita attenzione, ma che sono in definitiva quelle che ci hanno messi in fuorigioco sui mercati interni ed esteri. A una di queste deficienze ho già accennato ed è la sanguisuga che salassa i consumatori italiani e che da noi va a gonfie vele sulla stampa, alla radio e in TV, sui campi di calcio, ovunque: la pubblicità! Io non potrò estirpare questo cancro, ma cercherò di metterlo a nudo evidenziandone i danni che essa provoca. Spiegherò in che modo i consumatori vengono spremuti dalla pubblicità e come non altro che prezzi gonfiati ricevano in cambio, come pure gli stipendi più bassi d’Europa e col minor potere d’acquisto e qualche film americano o tedesco. Nondimeno io coltivo un sogno ambizioso: che molti capiscano e si ravvedano. E pur se dette a fil di voce, queste cose, son sempre meglio che non dette, se è vero, come è vero, ciò che sosteneva Nietzsche, che il corpo di un uomo è la sua anima.
Se ci guardiamo d’attorno notiamo che non molti propendono per questo credo. Pare quasi che perché “noi siamo noi” cose come il buonismo, l’immondezza, la frode e la corruzione possano regnare indisturbati. Molti dei nostri guai derivano dalla carenza di disciplina, di rispetto per le persone, per l’ambiente e per la cosa pubblica e il motivo è la scarsa educazione e l’insufficiente istruzione che ci riserva la scuola. Riusciamo a immaginare una via pulita e senza buche, marciapiedi senza buche e cartacce, le facciate dei palazzi prive di graffiti e dipinte a nuovo, le strisce bianche ai lati delle strade ben visibili, i aggi pedonali visibili e rispettati, i cestini dei rifiuti riempiti e svuotati, i semafori rispettati, una piazza, una via, il letto d’un fiume rispettati e non insudiciati, e ritenere tali siti incancreniti dalla disoccupazione e dalla mafia, dagli scippi e dalla corruzione, dalla prostituzione e chi più ne ha più ne metta? Non credo, neanche con la più fervida fantasia! Ogni anno, non appena l’aria si impregna del profumo del Natale, prego il Bambin Gesù che faccia cadere una spanna di neve, non certo per coprire le piste di sci di cui la mia provincia abbonda, a questo ci pensano i cannoni, ma per celare alla vista degli uomini di buona volontà e di buon senso, almeno nel periodo più “pulito” dell’anno, l’immondezza che fa mostra di sé ai bordi di strade e autostrade, in modo che anche noi, come tutte le persone civili, possiamo circolare su strade pulite finché la neve non si sciolga. E a proposito di strade mi chiedo pure come mai noi italiani, con strade spesso dissestate e prive di segnaletica efficace, le utilizziamo come circuiti di Formula Uno mettendo a repentaglio la nostra e altrui incolumità, facendoci un baffo delle più elementari norme di educazione! Perché negli altri Paesi gli automobilisti rispettano senza vergogna (anche i miliardari) i segnali stradali? E’ vero, i segnali stradali degli altri Paesi sono più facili da rispettare perché più chiari e secondi alle caratteristiche del tratto; ma perché loro lo fanno e noi no? E perché insistiamo a comperare automobili con le frecce direzionali, se poi (quasi) nessuno le utilizza, soprattutto quelli che si trovano al volante di una vettura di grossa cilindrata? Cito due fatti emblematici accadutimi durante il conseguimento della patente di guida in Germania. Guidavo già con una certa abilità, quando mi trovai dinanzi a un segnale di stop. Guardai a destra a manca e non c’era anima viva (eravamo nel ‘62), così decisi di uscire sulla strada principale senza fermarmi, solo
rallentando. Non avevo superata la riga bianca dello stop che il rosso Maggiolino si bloccò, facendomi quasi sbattere il capo contro il parabrezza. “Non ha visto il segnale di stop?” disse l’istruttore. “Si ricordi che quel cartello va sempre rispettato, che vi siano o no automobili in arrivo!” L’altro fatto accadde una mattina presto, durante l’esame di guida. L’ingegnere mi invitò a parcheggiare tra due auto messe per il lungo in un tratto in salita. Nella notte aveva nevicato e la strada era innevata. Dovendo arretrare nel senso dell’ascesa fui costretto a correggere per due volte la traiettoria. Riuscii tuttavia a parcheggiare e accusai la neve delle mie difficoltà. L’ingegnere disse che la patente serve sia con la neve che senza. Dissi che non sempre avrei avuto lui alle spalle e lui disse che proprio per questo dovevo essere in grado di parcheggiare anche da solo; e aggiunse scherzoso: “Voi italiani avete una scusa per ogni eventualità!” Temetti di dover ripetere l'esame. Invece, a prova fatta, disse: “Senta, non ha per caso dei francobolli italiani a casa?” Dissi che mia madre mi scriveva spesso. Disse lui: “Allora li vada a prendere, se non le servono, nel frattempo vedo se ho ancora una patente a disposizione da prepararle…” Morale: se vi capita di vedere un’automobile che parcheggia dentro le righe bianche o che si ferma al segnale di stop, ci sono buone probabilità che alla guida ci sia io. Ma vorrei citare un altro esempio per meglio rendere l’idea di come all’estero la pensino in maniera differente da noi in fatto di costumi, non solo stradali. Era il 1963, e avendo riportato una leggera ammaccatura all’auto decisi di far da me la riparazione. Acquistato il necessario, un giorno che non si lavorava per via di una festività evangelica, mi recaai in un parcheggio fuori città, circondato da alberi e cespugli, per eseguire il lavoro. Stavo grattando la vernice, quando giunsero due poliziotti. “Cosa fa?” chiese uno. Glielo dissi. “Non sa che nei giorni festivi è vietato lavorare?” disse l’altro. Dissi che lo sapevo, ma trattandosi di una festività era evangelica ed essendo io cattolico, pensavo di poterlo fare. Disse il primo: “Gli evangelici rispettano le festività cattoliche, non crede che i cattolici debbano fare altrettanto?” Come ho detto, nei primi tempi del mio soggiorno tedesco, tornavo spesso a casa. Non mi impressionavano i 600 chilometri da percorrere, né il tempo per coprirli. L’autostrada del Brennero non era ancora terminata e arrivavo a casa il mattino presto, quando la gente andava a messa o al lavoro. Di tanto in tanto venivo superato da qualche Cinquecento, tanto rapidamente che mi pareva di
esser fermo. Non avendo io propositi di sfida, me ne stavo per i fatti miei. Rispettavo i segnali come mi era stato insegnato e com’era abitudine nel Paese in cui avevo conseguito la patente di guida. Nondimeno venivo continuamente superato da quelle miniature che spuntavano dal nulla come folletti e schizzavan via veloci come schegge. Io mi facevo da parte per facilitarli nel soro pensando che fossero in ritardo sul lavoro. Poi però, visto che la cosa persisteva e sentendomi un tantino preso in giro da quelle scatolette di sardine (io guidavo una VW 1500 lunga a doppio carburatore, una delle poche automobili non italiane che ho posseduto all’estero e se le chiedevo di correre... correva), pur senza desideri di rivalsa, rispolverai la mia (sopita) italica fierezza e mi posi in gioco. Accettai qualche sfida; ma… non ne vinsi una! Quelli filavano come dannati e le curve, per loro, parevano diritte. Tornando a casa dopo un lungo periodo di assenza, molte cose che prima sembravano normali, sembrano ora ridicole e insensate; mentre altre, valutate col nuovo modo di vedere, paiono mirabili e sensate. La mia fresca mentalità nordica mi faceva apparire buffi i cartelli stradali con limiti di velocità inverosimili, o verosimili cinquant’anni prima, limiti di 10-20 km/h per lavori in corso; ma essendo oramai abituato al rispetto dei segnali, riducevo la velocità a quanto indicato. A quel punto però, mi piombava alle spalle qualche assatanato strombazzando e facendomi capire che dovevo correre di più. Questo mi dava fastidio e altrettanto mi dava fastidio il fatto che pur in presenza di un cartello di divieto di soro, mi vedevo sfrecciare accanto quei bolidi a 100 all’ora e mi chiedevo che ragion di esistere avevano quei cartelli se venivano regolarmente trasgrediti. Non era piacevole guidare l’automobile in quel modo. E scuotendo il capo mi dicevo: l’ideatore di quei cartelli non deve avere tutte le rotelle a posto! Il primo viaggio in automobile che compii all’estero, ebbe come meta l’Olanda. Durante le vacanze estive in Italia avevo conosciuto una famiglia olandese con prole esclusivamente femminile, che mi invitò a are un fine settimana a casa loro. Poco prima di giungere a destinazione, vidi sul lato della strada un omino che sostituiva l’insegna del negozio e ne profittai per chiedergli ragguagli sul percorso. Non conoscendo l’olandese, glielo dissi in tedesco. Capii di non essergli simpatico (la guerra era finita da poco e avevo i capelli biondi e la targa tedesca), tuttavia l’omino mi fornì l’informazione richiesta. In cambio mi pregò di reggergli la scala. L’insegna dava al negozio un tono moderno e accattivante e convenni che quella operazione, a prima vista non tanto eccezionale, ne
acquistava a un tratto in quantità. Conclusi che ogni volta che avessi visto qualcuno cambiar l’insegna del negozio perché vecchia e obsoleta, avrei pensato: “Che Paese civile è questo!” Mentre dinanzi a un’insegna arrugginita e fatiscente, avrei pensato il contrario. Faccio un salto in avanti. Qualche estate fa aspettavo in coda a una fila d’auto per immettermi su una strada a traffico sostenuto, quando a un tratto vidi il finestrino dell’auto che mi precedeva aprirsi e un portacenere rovesciare le cicche sull’asfalto. Si procedeva a piccoli tratti e notai che quel gesto era comune: numerosi mucchietti di cicche giacevano per terra! Questa usanza pare oggi superata: le cicche vengono buttate dal finestrino durante la marcia, naturalmente accese! Alla faccia di tutti gli incendi di questo mondo. Pure non riesco a considerare tali persone responsabili dei loro atti: se nessuno gli insegna le buone maniere! Le statistiche dicono che abbiamo un insegnante ogni quattro alunni! Chi altri al mondo può contare su tanta grazia (che pare invece una disgrazia)? A proposito di buone maniere… sentite questa: stavo compiendo una eggiata sul lungolago, allorché incrocio una scolaresca di ritorno da una gita. Giungo in spiaggia, e cosa vedo? Ovunque cartacce: sul viale, sull’erba, sulla sabbia! Sacchetti di patatine vuoti, bottiglie… Pareva che avessero fatto a gara a chi butta di più. Ma sul chiosco, ancora chiuso, spiccava la scritta “Pace”. Ho qui a portata di mano un altro appunto sulla scuola. In un talk show un onorevole, ex comunista (di cui non ricordo il nome e me ne dispaccio!) ha detto che gli insegnanti italiani guadagnano solo 1500 euro al mese e che per insegnare di più aspettano che il governo aumenti loro lo stipendio. Io ho pensato che il governo aspetterà a sua volta che gli insegnanti gli diano contribuenti più onesti; così tutti aspettano e intanto affoghiamo nella corruzione e nella inciviltà.
Note “stonate” a briglia sciolta
Sarebbe divertente vedere le foto dei signori della RAI che hanno voluto onorare la partecipazione del cantante Cementano al festival di Sanremo con 300.000 euro a puntata (per 3 puntate uguale a 900.000 euro) non solo in una situazione come quella attuale, ma anche in una situazione normale, e guardarli negli occhi. E spiegare loro che chiediamo aiuto ai tedeschi per salvarci dal disastro! La Germania si sta avvicinando alla piena occupazione, noi alla piena… disoccupazione, specie dei giovani. D’accordo, loro non hanno avuto Berlusconi! Ma perché tutta quella gente che è stata al governo fino a ieri gira a testa alta per il parlamento, per le TV, le radio e sui giornali come se fossero degli eroi di ritorno da una guerra vittoriosa? Ovunque, nel mondo occidentale, quella gente avrebbe il pudore di non farsi più vedere e tornerebbe umilmente al proprio lavoro. Invece abbiamo visto in TV i volti stupefatti e increduli di chi non condivideva la scelta del governo di rinunciare, vista la grave situazione economica e il sicuro sforamento dei costi, alla candidatura per le olimpiadi del 2020. E sarebbe stato interessante vedere anche i volti delusi di coloro che speravano in una grande abbuffata di euro… Leggi a tal proposito la seguente barzelletta, sentita al carnevale di Colonia. Un imprenditore italiano ospita un imprenditore greco nella sua splendida villa con piscina. Chiede il greco: “Come hai fatto a costruirti una villa così bella?” “Ho fabbricato quel ponte laggiù con i contributi europei… ma invece che a quattro corsie l’ho fatto a due…” Giorni dopo è l’italiano a essere ospite del greco nella sua villa altrettanto bella, se non anche di più e gli chiede: “E tu come hai fatto a costruire la tua villa?” “Anch’io dovevo costruire un ponte con i contributi europei…” dice il greco. L’italiano si guarda attorno e dice: “E il ponte... dov’è?” E’ inaccettabile per i mercati nazionali ed esteri, che i politici che ci hanno portati sull’orlo del fallimento non vadano a nascondersi per la vergogna come fecero Adamo ed Eva, ma continuino a sguazzare nella politica come se non ne avessero combinate abbastanza e non si coprano almeno con una foglia di fico!
E io, piccolo uomo della strada, sobbalzo sulla sedia ogni volta che li vedo partecipare senza imbarazzo alcuno a continui talk show, come se fossero degli eroi ingiustamente scalzati dall’olimpo politico, con una faccia tosta che nemmeno i più bravi vincitori di Oscar riuscirebbero a sfoggiare. E riprovevole è anche il fatto che, volenti o nolenti, ci tocca foraggiare schiere di giornalisti, catene di giornali, schiere di i radio e TV, di veline, schiere di pubblico pagato, di divi che dalla sera alla mattina e dalla mattina alla sera altro non fanno che ciarlare e ciarlare, cercando lo scoop a tutti i costi e che per un pugno di ascolti in più, elevano disgrazie e povertà a spettacolo, facendoci vestire i panni di poveri cristi agli occhi del mondo. E sempre a proposito di radio e TV vien da chiedersi perché si è persa la buona abitudine di riservare le debite lezioni di dizione del bel tempo che fu a i, lettori di TG, gr e similari, in modo che si riesca a capire qualcosa di quel che tentano, spesso inutilmente, di dirci! E perché, quasi tutti, gridano a squarciagola ignorando che dinanzi a loro c’è un microfono funzionante e fanno a gara a chi corre di più? E perché ancora certuni pronunciano Pakistan con l’accento sulla prima a, altri sulla seconda, e lo stesso dicasi per Afghanistan…? Il governo Berlusconi ha reso celebre la frase: “Noi non mettiamo le mani nelle tasche degli italiani!” E per poco non ci mandava a gambe all’aria proprio per questo! Ma si consoli: gente che la pensa come lui non manca certo! Qualche nome? Eccone alcuni: radio, televisioni, stampa, pubblicitari, mafie, evasori fiscali, corruttori, parassiti d’ogni tipo, ecc., ecc… Gli ultimi governi della seconda repubblica diedero il via alla scalata del debito pubblico per guadagnare consensi elettorali. I governi che ne sono seguiti, sempre per motivi elettorali, lo hanno aumentato a dismisura, riuscendo nell’impresa di portarci sull’orlo della bancarotta. Ora il governo Monti, e con lui noi cittadini, le buschiamo per doverci mettere una pezza. Chi ci può spiegare come si fa ad avere crescita quando si usa come mezzo la pubblicità al posto della ricerca e quando si paga un cantante (Vecchioni a Napoli) 220.000 euro all’anno per dirigere un teatrino e un cantante (Celentano a Sanremo) 900.000 euro per tre serate per dire cretinate? Il Corriere della Sera si è chiesto, giustamente, come possiamo chiedere ai tedeschi ciò che nemmeno ci permetteremmo di chiedere al più generoso dei
nostri parenti… Abbiamo pochi soldi. Questi soldi hanno un potere d’acquisto più basso di quello dei nostri concorrenti e i nostri prezzi sono più alti dei loro. Che dobbiamo fare? Mille cose! Una di queste è la riduzione delle spese e degli sprechi, cominciando dalle varie televisioni che, confrontate con quelle nordeuropee, sono delle ineguagliabili spendaccione! Penso che farà sorridere la signora Merkel, nonché i potenziali investitori esteri, lo spot che il precedente governo ha comminato a radio, televisioni e carta stampata, quello che invita gli evasori fiscali a pagare le tasse! Ma non farà sorridere coloro che riusciranno a capire che quei governanti ci volevano spennare come polli! Ma davvero ci credevano tanto ottusi noi consumatori, contribuenti ed elettori? Tiro di nuovo in ballo la signora Merkel per dire che non credo che cambierebbe opinione sugli eurobond se sapesse quanto i nostri media sono spendaccioni, TV in primo luogo. La cancelliera è infatti convinta che gli eurobond siano un invito a nozze per i Paesi poco virtuosi. E c’è da crederle! Dobbiamo in ogni caso riconoscere ai tedeschi che hanno fatto un grande sforzo aiutandoci ad entrare nell’euro. Non era roba da poco! E possiamo aggiungere che tuttora fanno molto per noi dando lavoro, e buon lavoro, a 700.000 italiani, molti dei quali inviano regolarmente in patria fior di quattrini. A proposito di lavoratori italiani in Germania: anche il direttore dello Spiegel, il settimanale che ha criticato il comandante Schettino nella tragedia del Costa Concordia, è italiano, originario di Castellamare di Stabbia. Ma ce lo deve dire sempre l’Europa quello che dobbiamo o non dobbiamo, fare? Siamo dei minorati mentali? E per fortuna che ce lo dice… Non esiste un’opinione pubblica che si chieda cosa ci stia a fare tutta quella gente (politici, parapolitici, presidenti di qualcosa, frotte di giornalisti, di i, di pubblico pagato) che sgomita per entrare nei lussuosi studi TV tutto il santo giorno e gran parte della notte, capaci solo di sproloquiare li uni, e di applaudire gli altri? Ma non hanno altro da fare? Troppo spesso abbiamo motivo di chiederci se non siamo un popolo di frignoni. Nei confronti dell’Europa perché non interviene in nostro aiuto per gli arrivi
degli extracomunitari, nei confronti della Germania per la differenza tra i nostri btp e i loro bund, il cosiddetto spread (quasi che la colpa sia loro), per le nevicate davanti alle quali restiamo sorpresi e sbigottiti; e a fronte di tutto questo la cosa che ci riesce meglio di fare è di andare in TV e alla radio a litigare e a lamentarci per le incomplete previsioni del tempo… e della situazione economica. Non sarebbe più proficuo lagnarci, e soprattutto reagire, per i nostri prezzi, i più alti nell’UE, per le tasse le più alte, i servizi più scadenti, il potere d’acquisto più debole, complice la disumana mole pubblicitaria, la nostra scarsa produttività, le folli spese dello stato, i faraonici compensi di manager e presidenti, di dive e divi televisivi e via, via, via? Negli anni sessanta tornavo spesso in Italia (ogni 2-3 mesi) per arvi qualche giorno di vacanza e vedendo le condizioni in cui versavano le nostre strade, la fatiscenza di molti edifici pubblici e privati, e avendo nell’occhio una visione ben diversa, opposta, delle strade e delle case tedesche (e nordeuropee in genere), mi veniva automatico di pormi la seguente domanda: perché non facciamo pure noi una manutenzione continua e accurata per migliorarne l’aspetto e dare una spinta all’occupazione e alla produzione industriale? Oggi, guardandomi in giro vedo le stesse cose (graffiti, scrostazioni, buche nelle strade) e la domanda che mi viene da pormi è ancora la stessa. Si parla tanto del posto fisso, tutti vorrebbero averlo. Io sono del parere che il posto fisso, come il paradiso, ce lo dobbiamo guadagnare giorno dopo giorno, ripristinando la meritocrazia, così com’è consuetudine presso i nostri competitori; dobbiamo farlo se vogliamo tornare ad essere concorrenziali. Lo sapevate che al Nordeuropea anche le prostitute pagano le tasse? E lavorano in luoghi discreti, riservati e controllati e fuori dagli sguardi indiscreti? Perché non facciamo anche noi come molti Paesi occidentali, che limitano l’attività dei politici a due legislature? Avremmo nuove facce, nuova linfa, nuova voglia di fare e non dovendosi ricandidare farebbero anche ciò che i politici di carriera non faranno mai per non perdere voti? Abbiamo speso più di 300 milioni per la struttura del G 8 alla Maddalena, in Sardegna, poi è venuto il terremoto e abbiamo spostato la sede all’Aquila, allestendo un’ulteriore struttura con costi supplementari. La gente si chiede: non sarebbe stato più conveniente per i terremotati e i contribuenti, vista la crisi in
corso, investire quei milioni in più nella ricostruzione delle zone terremotate? E l’Europa sta a… guardare! Protestiamo perché fiumane di tunisini approdano a Lampedusa. Ma che ci stanno a fare i nostri parlamentari (i più pagati di tutti) nei vari dicasteri dell’UE? Noi abbiamo 47.000 rifugiati politici, la Germania ne ha 600.000, l’Inghilterra 250.000, la Francia 200.000, l’Olanda 80.000. Ci siamo preoccupati noi per loro? Se le innumerabili emittenti radio e TV, pubbliche e private, si occuero un po’ meno di pettegolezzi e più di cose serie, per esempio come si fa la raccolta differenziata e cose altrettanto utili, risaliremmo di varie posizioni le graduatorie internazionali che ci vedono regolarmente relegati agli ultimi posti, oppure ai primi, quando sarebbe meglio trovarsi agli ultimi. L’elefantiaco debito pubblico che ci ritroviamo in groppa, si potrebbe ammortizzare affibbiando multe a chi non rispetta il codice della strada. Soldi che contribuirebbero non solo a ridurre il debito in questione, ma soprattutto a ridurre il numero delle vittime sulle strade. Poi andiamo in giro per il mondo a predicare l’abolizione della pena di morte! Nel mezzo del cammin di nostra crisi… Seguendo i nostri media, radio, TV, carta stampata in generale si possono capire i motivi per cui siamo al primo posto nelle classifiche in cui sarebbe meglio essere ultimi e ultimi laddove sarebbe meglio essere primi. Nondimeno organizziamo super lussuosi e super costosi festival di Sanremo, invitando personaggi da tutto il mondo e dispensando compensi da nababbo; mentre i disoccupati vanno sui tetti a protestare per un posto di lavoro e molti, non solo anziani, vanno a cercare il cibo tra i rifiuti… Sempre a proposito di Sanremo. Invitiamo un sacco di gente, gente non proprio bisognosa e che col festival c’entra come i cavoli a merenda e la paghiamo a peso d’oro. Uno fra i tanti… Quel Benigni tanto osannato, arrivato su un cavallo bianco fra tripudi di folla per esibirsi in alcune marionettate. E questo fa parte del suo mestiere. L’assurdo è che proprio con quelle marionettate, della durata di mezz’ora, sì è beccato una cifra da capogiro: 250.000 euro! Quando un lavoratore italiano per arrivare a quell’ammonto deve faticare più di venti anni per otto ore al giorno, a volte di notte e di festa. E Celentano? 300.000 euro a puntata per 3 puntate! E chi paga? Noi! Noi contribuenti e consumatori, col canone, la pubblicità e i contributi statali! Volete un esempio di come stanno le
cose all’estero? In Germania il presentatore Thomas Gottschalk, partner della Hutzinger nella trasmissione “Scommettiamo che?”, dopo quasi 30 anni di trasmissione, si becca 100.000 euro a puntata! Restando in tema di lavoratori… Al Nordeuropea gli appartamenti costano la metà dei nostri e sono di qualità superiore. E’ chiaro che un individuo da 1.000 euro al mese si blocca acquistando un appartamento da 120.000 euro invece che da 60.000, e rimane bloccato tutta la vita! I prezzi si sono impennati dal 1995. Ha ragione la Banca d’Italia quando dice che siamo fermi da 20 anni. Quanto ci costano i bla bla televisivi di politici, sindacalisti, giornalisti, i in quanto a noia e soprattutto a soldoni? Segretarie, poliziotti, auto blu, elicotteri, sciami di guardie del corpo... E dove lo trovano il tempo, vien da chiedersi, quei signori, per fare ciò che ci avevano promesso in campagna elettorale e scrivere anche dei libri? E’ ridicola la protesta degli automobilisti per le multe che fioccano per eccesso di velocità da parte dei vigili urbani, accusati di far cassa. Ma sono i vigili che li obbligano a sfrecciare a 100 all’ora dove il limite è di 50, mettendo a rischio la loro e, soprattutto, l’altrui incolumità? Possibile che per essere credibili le nostre TV debbano avere sciami di divi e dive in ogni trasmissione e un pubblico pagato? Al Nordeuropa basta un conduttore o una conduttrice e spesso neanche quello, nei documentari per esempio; e poi non sono nemmeno divi, ma persone comuni, con stipendi comuni! Troppe cose in Italia, per essere di ordinaria amministrazione (par condicio, intercettazioni, privacy, ecc.) hanno bisogno di una legge. Dovremmo insegnare più senso civico, ovviamente a scuola. Abbiamo 1200 radio e 800 TV che per arricchirsi infilano quotidianamente la mano nella borsa della spesa di consumatori e contribuenti. Le aziende spendono milioni in pubblicità anziché in ricerca, togliendoli dai prezzi e dagli stipendi e sottoponendo poi i dipendenti ai lavori forzati e ai salti mortali. Non ne abbiamo abbastanza di macchiette, ci si doveva mettere anche il presidente del consiglio (ora ex)? Io sono un mangiatore di trippe in scatola. Negli ultimi tempi ho dovuto
sostituire la forchetta col cucchiaio! Quando ci si perde, è il caso di dire, in un bicchier d’acqua… Sarebbe una gran cosa se il concetto “pubblicità“ venisse compreso dal consumatore! La pubblicità preleva i suoi profitti dai prezzi dei prodotti, lo stato dalla tassazione. Entrambi lo fanno con bruta avidità. E questo è il motivo per cui abbiamo i prezzi più alti d’Europa, le tasse più alte e gli stipendi pure (ma solo quelli ai vertici). Una dimostrazione di come con i soldi del consumatore e del contribuente si possa fare ciò che si vuole, a cominciare dai pubblicitari, dagli evasori, dai parassiti e dai politici. Se riuscissimo a capirlo! Berlino è diventata la capitale d’Europa. Eppure un appartamento nelle zone centrali della città costa un quarto di quanto costa un appartamento nelle zone centrali di Roma. Italians furbettis: l’animatore Fiorello telefona (pare non invitato) al presentatore Mike Buongiorno (pace all’anima sua) durante l’elezione di una Miss Italia. Il presentatore finge (molto bene peraltro) di cadere dalle nuvole, facendo però infuriare come un ciclone la sua partner! Oh, reclame, recl… rec… Pure questa ce la deve dire il papa: i media stravolgono la realtà per fare più presa sulla gente e la gente la prende per vera. Insomma, se uno la dice grossa, l’altro la deve dire ancora più grossa. E l’onda s’ingrossa, s’ingrossa, s’ingrossa... Pubblicità televisiva al Festival di Sanremo: spot da 18 a 60 milioni di euro (non lire)! E noi paghiamo!!! Anche se del festival ce ne frega proprio un fico. I piloti Alitalia si beccavano il 30% in più dei loro colleghi europei lavorando meno, le hostess il 25% e c’erano 6000 esuberi; e noi contribuenti paghiamo i loro debiti (3500 milioni di euro). La Rai ha 13.000 dipendenti, di cui 4000 in esubero (più le partite IVA) e paghiamo anche i loro (debiti). Continua… Sto compiendo un’escursione in montagna con mia moglie. Questa montagna è stata teatro di titanici scontri fra italiani e austriaci durante la Grande Guerra. Il terreno è solcato di trincee! Sono trincee austriache. Più avanti ci sono altre trincee. Sono italiane. Sia gli uni che gli altri le hanno scavate per proteggersi. Molti le hanno scavate per morirci. Ma perché le hanno scavate sulle montagne? Bastava che gli italiani risalissero le valli e avrebbero tagliato fuori gli austriaci, o che questi le discendessero e si sarebbero ritrovati nella pianura padana. Il
prato è circondato da faggi e abeti, la montagna è maestosa, il colpo d’occhio superbo. Il prato è in fiore, l’erba alta e luccicante di rugiada. Percorriamo un sentiero ai margini del prato fra insetti che ronzano tra i fiori. Qualche rondine li insegue. Ci sediamo su una panca a riposare. Un cartello avverte: “Suolo sacro alla Patria. Rispettalo!”. Ci guardiamo attorno: siamo circondati da cartacce, giornali rosa, bicchieri di plastica! Ci alziamo e ci allontaniamo, neanche se d’un tratto fosse sbucato un manipolo di soldati nemici armati fino ai denti! Anni fa, per evitare i lavori come lo sgombero della neve, lo sfalcio dell’erba e guadagnare tempo per i miei hobby, ho lasciato la villetta dove abitavo in locazione e mi sono trasferito in condominio. Ma una cosa ebbi subito a lamentare: il parcheggio dello stabile, ingentilito da verdi aiuole e alberi di pregio, veniva costantemente insozzato con rifiuti di ogni genere dai clienti d’un vicino supermercato. Quel parcheggio fungeva da deposito d’immondizie! Poiché io nutro una forte avversione per simili sconcezze e son convinto che chi le sparge nel piazzale di un condominio le sparga anche nel campo in cui lavora, cercai di porvi rimedio raccogliendole io stesso. Mi alzavo alle quattro del mattino per non farmi notare e raccoglievo la sporcizia, nella speranza che i signori sporcaccioni si accorgessero di quanto fosse più bello il piazzale pulito e si astenessero così dall’imbrattarlo. Non ho avuto fortuna; ma ho continuato a raccogliere le immondizie alle quattro del mattino per non offendere nessuno e mettermi il cuore in pace. Tempo fa ho compiuto una gita sul monte Grappa in compagnia di mia moglie e di amici tedeschi. Allontanandoci dai mausolei, ottimamente curati e conservati, ci ritrovammo fra trincee e fortini, trasformati in… depositi di rifiuti! Mia moglie strillò: “Statene certi, di questo informerò il presidente Berlusconi (ora ex) con una lettera appropriata…!” E qui giungo a una conclusione più che scontata: quando avremo acquisito un grado di civiltà che ci preserverà da simili atti, avremo raggiunto un grado di benessere e una qualità di vita ben diversi di quelli attuali. Avrei dato non so cosa per capire le ragioni per cui, nonostante l’incombente fallimento, andavano sempre più di moda gli scioperi all’Alitalia. Scioperavano persino contro il fallimento, come se il colpevole fosse il fallimento stesso. La volevano vendere e nessuno la voleva comprare, men che meno gli stranieri. E’ troppo sindacalizzata, si lamentavano. Come sono da capire questi scioperi? Capirei piuttosto se lavorassero il doppio avendo come obiettivo il risanamento.
Per (loro) fortuna ci pensa il contribuente. I comuni mortali, il paradiso, lo trovano nell’aldilà dopo esserselo meritato nell’al di qua; all’Alitalia (e similari) lo trovano già nell’al di qua. Politici, giornalisti, sindacalisti, professori e professoresse in TV giorno e notte! Ma questi signori, vien da chiedersi, ce l’hanno una casa (e un lavoro) e dove trovano il tempo per scrivere anche dei libri? Riuscite a immaginare quanti soldi rubano le TV di stato, le TV di Berlusconi e tutte le altre TV commerciali, a noi consumatori (e siamo 60 milioni) con la reclame in cambio di un pugno di segatura, di TG e talk show? E poi facciamo la fila per acquistare i prodotti che reclamizzano! In Italia la pubblicità “pesa” sui prezzi molto più che altrove: si parla del 30%! Trovandomi in una spiaggia, in una via, davanti a un ministero e vedendo questi luoghi invasi da cartacce, erbacce e bottiglie di plastica, una forza invincibile mi spinge a chinarmi e raccoglierle, a costo di esser scambiato per matto. Altre volte sono tentato di procurarmi una scala, dello stucco, un pennello e stuccare e tinteggiare le case scrostate e fatiscenti che abbondano, a cominciare dagli edifici scolastici (cavoli, quanto lavoro ci sarebbe da fare in Italia!!!). Noi i problemi li “risolviamo” con retorici discorsi negli studi radio e TV tra politici e giornalisti a ogni ora del giorno e della notte; presso i nostri competitori si risolvono con i fatti e nei luoghi appropriati. Una bella differenza, no?! Il presidente se Sarkosy ha da tempo capito ciò che mi sto sforzando di spiegare io in queste pagine, c’est-à-dire che la pubblicità danneggia il consumatore e l’economia. Non per niente ne ha vietato l’uso sui canali pubblici. Davanti ai numerosi salotti TV tra politici e giornalisti vien da porsi la seguente domanda: ma questi signori sono al corrente del nostro debito pubblico e degli effetti che riserva alla nostra economia, visto che è un tema pressoché assente nelle loro chiacchierate, e nei loro emolumenti? I nostri stipendi e le nostre pensioni avrebbero un potere d’acquisto ben più alto se avessimo una vera concorrenza (vedi i nostri concorrenti) e ci fosse data la possibilità di acquistare prodotti non reclamizzati, o reclamizzati con minore crudeltà.
Per uscire del tutto dall’era feudale dobbiamo eliminare il corporativismo, il clientelismo, il parassitismo, ecc., ecc., ecc.! Metà anni sessanta. Vado a trascorrere il ponte di Pentecoste sulle rive del Mare del Nord. Lavoravo alla Borgward di Brema, la fabbrica d’auto che costruiva le splendide Isabella berlina e coupé, poi fallita. Stavo per giungere a destinazione, quando vedo un giovanotto sul ciglio della strada con lo zaino in spalla, che faceva l’autostop. Era un giapponese! Che ci faceva un giapponese sulle rive del mare del nord? E che ci facevo io? Intanto le nostre strade s’erano incrociate! Mi fermo e lo prendo su. Il mio aspetto è più nordico di un nordico e non lo aiuta certo a capire che sono italiano. Inizia così a dialogare in inglese, come se ogni tedesco conoscesse quella lingua. Gli faccio capire che non sono né inglese né tedesco, ma italiano e che non capisco un tubo di quel che dice. Lui mi fissa, riflette e dice: “Yu italian?! No gut italian, stop, please!” Questo lo capisco! Fermo e lo faccio scendere. Neanche mi saluta. Non voleva un aggio da un italiano che… sembrava un tedesco! Non ho mai preteso che il mondo intero ci amasse, ma nessun tedesco mi ha mai contestato di essere italiano. Al contrario, i tedeschi sono persone gentili e garbate e nei quindici anni che ho vissuto in mezzo a loro, una sola volta ho riscontrato dei commenti poco lusinghieri nei nostri confronti: e dovetti convenire che erano giustificati! Quella volta mi capitò di leggere il titolo a caratteri cubitali sulla Bild am Sonntag: Mafia, Analphabetismus. Italien macht uns krank! Tradotto: mafia, analfabetismo. L’Italia ci infetta. Conoscevo la parola analfabetismo e conoscevo molti connazionali analfabeti. Non conoscevo la parola mafia! Il giorno dopo un collega tedesco mi chiese cosa sia la mafia (doveva aver letto pure lui quel titolo) e io non seppi che rispondergli. Ero molto ignorante in materia, venivo da un maso solitario nelle Alpi Tridentine. E’ un piovoso pomeriggio domenicale e sto seduto davanti alla TV. Il figlio di Cousteau parla della critica situazione degli oceani. Una frase mi colpisce: “Venendo allo studio ho visto molti rifiuti sparsi a terra: anche quelli finiranno sul fondo degli oceani...” Nessun commento della bionda presentatrice… Sto andando in auto ad una USL e mi fermo in un parcheggio per rispondere al cellulare. Alla mia destra c’è un cestino per rifiuti quasi vuoto e mucchi di rifiuti giacciono sparsi a terra, tutt’intorno al cestino. La USL sorge in un parco di alberi secolari e è stata ristrutturata di recente. Da lontano ha l’aria pulita e rassicurante. Ma come entro nel viale che porta all’ingresso tutto cambia!
Spazzatura, seppur poco appariscente, mi accompagna fino all’entrata. Tornando a casa o davanti a un caseificio industriale. Lo conosco per la pubblicità e per il fatto che mia moglie acquista quei formaggi. Quel che vedo mi fa rizzare i capelli: dinanzi al cancello c’è un mare di immondizia! Proibisco a mia moglie di acquistare ancora quel formaggio; ma non potrò fare a meno della USL! Di tanto in tanto mi pongo la seguente domanda: cosa sarebbe se un giorno ci svegliassimo e trovassimo il mondo intorno a noi pulito e ordinato, strade, piazze, parcheggi puliti, cartelli stradali diritti e con grandi scritte come nelle fiabe… o come nei Paesi nostri concorrenti? Boooh… E’ arrivato il Natale e è caduta la neve. A fondovalle si è sciolta in fretta ma le cime dei monti sono ancora inzuccherate. Avevo pregato il Bambin Gesù di far nevicare per coprire, almeno per la sua festa, le file di rifiuti disseminati lungo le strade, che suonano come offese alle più elementari norme di decenza. Un altro Natale nella sporcizia! Un tempo ognuno puliva il tratto di strada davanti a casa e se non lo faceva veniva additato come fannullone e sporcaccione. Bei tempi andati! Nessuno vuol più fare i lavori di pulizia di strade e piazze e non c’è nulla di più evidente. Qualcuno avrebbe da obiettare se insegnassimo a scuola a non imbrattarle in modo tanto idiota? A volte c’è qualche spazzatrice in azione, macchine da centinaia di migliaia di euro ma che per compiere i lavori completi abbisognano della mano dell’uomo. Lo si nota agli angoli delle case, dei marciapiedi, dei paracarri, dove la sporcizia regna sovrana! Non utilizziamo più la scopa e il rastrello, attrezzi che appartengono alla storia. Male: perché, oltre che pulizia e civiltà, significherebbero pure fabbriche e posti di lavoro! Secondo me, molti dei lavori sia pubblici sia privati che noi riteniamo eseguiti ad arte e che paghiamo come tali (strasalati), al Nordeuropa non verrebbero pagati. Pare ormai scontato che la carenza di pulizia riscontrabile un po’ ovunque e il modo sciatto con cui si eseguono i lavori, soprattutto quelli pubblici, siano da attribuire ad un segno dei tempi e alla democrazia acquisita (in democrazia ognuno può fare ciò che gli garba). Sembra di vivere in un’era irreversibile dove l’individuo ha diritto di dire e fare tutto ciò che gli vien da dire e fare, fregandosene del rispetto per le persone e sperperando fiumi di danari, naturalmente pubblici. Per comodità e interesse e, appunto per democrazia, ci riserviamo il diritto di eludere le più elementari norme di civiltà e di buona
creanza. Fino a qualche decennio fa il 60% delle nostre attività era riservato alla produzione, oggi il 60% è riservato ai “servizi”. Vendiamo i nostri prodotti all’estero a prezzi più bassi che da noi, dovendo pagare tre volte la perduta competitività a causa della strafottente mole di pubblicità: una volta con la borsa della spesa, una con la solita finanziaria, la terza con gli stipendi più bassi d’Europa, per via dei profitti che vanno più in pubblicità che in busta paga. Feste, festini, banchetti, convegni, ricorrenze, conferenze, congressi, anniversari, meeting, commemorazioni e chi più ne ha più ne metta, sono ovunque all’ordine del giorno. Ogni scusa è buona per sarsela con i soldi del contribuente. E il debito pubblico aumenta, aumenta, aumenta! I nostri boschi non sono boschi ma boscaglie. Sulle nostre autostrade, sulle ferrovie e sui mari scorrono fiumi di TIR, di treni e di navi carichi di legname proveniente dall’estero. Perché fra i tanti bla bla bla radio-TV non si parla anche di questo? Devo togliermi il cappello davanti al tipo che mi supera in zona vietata (e senza freccia)… solo perché ha l’auto più grossa della mia, o posso dire anch’io la mia? E ancora: possiamo davvero permetterci di lasciare andare le cose a catafascio… solo perché noi siamo noi? Non sempre riserviamo la debita cura e attenzione all’esecuzione dei particolari: e questa è una concausa della nostra perduta competitività e della mancanza di apprendistato! Spesso, troppo, si sente dire: “E’ un’anomalia tutta italiana”. E a furia di anomalie tutte italiane ci siamo impantanati. Per far riprendere i consumi puntiamo sulla pubblicità. Così i costi salgono, i prezzi pure, i pubblicitari e i media fanno affari d’oro e i consumatori vengono sempre più spremuti, il loro potere d’acquisto si fa sempre più fiacco e i consumi invece di riprendere si riducono, per molti alla mera sussistenza.
Un articoletto di fondo sulla rivista amburghese Tina, che mia moglie acquista da decenni, dice che in Germania hanno ultimato un ponte di quasi 3 km che collega l’isola di Ruegen alla terraferma. Esiste già una strada di collegamento che corre sulla diga e la notizia riveste lo spazio di poche righe. Quando dicesi più di fatti che di parole! Georgia – Italia, ottobre 2006, eliminatoria per gli europei di calcio, Georgia – Italia, settembre 2009, qualificazioni mondiali. I tabelloni di bordo campo sono tappezzati di messaggi pubblicitari in italiano, diretti ai consumatori italiani. Nessuno capisce che la reclame costa, eccome! Per seguire la partita non mi restano che due possibilità: o pagare SCAY o accontentarmi del pessimo segnale della Rai (alla quale già pago un canone, dei contributi e la reclame). L’abbonamento della TV pubblica tedesca costa 240 euro, il doppio del nostro. In compenso il consumatore tedesco si ritrova a fine anno 2000 euro in tasca più di noi in virtù della minor mole di pubblicità (assente sui nazionali); il che vuol dire prezzi più bassi, più potere d’acquisto e un sacco di fastidi in meno. Altra tipicità nostrana: la Ferrari! E’ stata qualificata da una rivista specializzata come l’azienda europea che offre i posti di lavoro più confortevoli del continente. Io conosco la realtà lavorativa di alcuni magazzini di cernita mele tra le più rinomate d’Italia dove le aziende, per permettersi la pubblicità in TV, portano il riscaldamento a livelli di polmonite e i ritmi di lavoro a livelli molto più cinesi di quelli cinesi! L’ex ministro Gandolfi ha detto che la pubblicità è una grande ricchezza dell’Italia. Io, viceversa, sono convinto del contrario: la pubblicità affama l’Italia, frena le attività economiche, inflaziona i prezzi e deprezza i salari e le pensioni! Festa del cinema a Roma. Invitiamo i più famosi e cari (nel senso dei costi) divi di Hollywood spendendo capitali e ricavandone cosa?! Non sarebbe più riguardoso verso i contribuenti, gli automobilisti e i pedoni spendere quei soldi per coprire le buche nelle strade della capitale, rifare le strisce pedonali e raccogliere l’immondezza? E’ vero, si può evitare la molestia della pubblicità in TV cambiando canale; ma non si può evitarne i costi! Perché non viene consentito pure a noi, come a tutti gli europei, acquistare prodotti non reclamizzati risparmiando fino al 30% e
oltre? Dove più numerosi sono i cittadini onesti, produttivi e che pagano le tasse, più leggero è il carico fiscale e migliori sono i servizi che lo stato riserva loro. Lo sanno anche i sassi! L’handicap più grave che abbiamo nei confronti dei nostri competitori è la carenza di rigore, il buonismo, la mancanza di concorrenza e di meritocrazia. Noi consideriamo tutto questo come una conquista, in realtà è la causa prima della nostra debolezza e dei reati che dobbiamo poi drizzare con brutalità. Il mercato è un giudice incorruttibile e imparziale. Berlusconi: “Le mie aziende fanno vendere i prodotti alle altre aziende.” Le aziende degli altri Paesi vendono i loro prodotti più facilmente delle nostre perché sono più economici. E sono più economici perché non hanno delle aziende come le sue che le aiutano a vendere con la pubblicità. Prelevare i soldi dai prezzi dei prodotti come fa la pubblicità, senza nulla dare in cambio e senza domandare (chi non ci tiene a morire di fame, di sete e di freddo deve pur comprare) è un’altra delle nostre prerogative, tipo “o paghi o peggio per te”. I piccoli e medi illeciti sono ormai recepiti come normalità. Di questo o lo diverranno anche quelli gravi, poi quelli gravissimi. Paga, Abele! L’ex presidente della Fiat Montezemolo ha detto che in Italia lavora il 50% della popolazione, l’altro 50% mangia alle spalle dei primi. Io sono ancora più restrittivo e dico che se lavorasse la metà della popolazione saremmo il Paese più ricco del mondo! Un giornale tedesco, il Frankfurter Allgemeine, si chiedeva che Paese è un Paese che si fa condizionare politicamente da un comico. Almeno qualcuno che se lo chiede! Ci vergogniamo della buona musica classica, sinfonica e da camera per prediligere le canzonette, quasi tutte americane. Chiara stupidità e provincialismo! Dibattiti, dibattiti, dibattiti, e ancora dibattiti! Interminabili, improduttive, inutili ciarle radio-televisive. Per fortuna c’è… Radio Maria!
Imprenditori, professionisti e artigiani “investono” più in lussuose SUV che in infrastrutture per l’azienda e in... tasse!. Così anche i loro onorari risultano più bassi degli stipendi dei loro dipendenti! Da una trasmissione televisiva tedesca: i poliziotti tedeschi guadagnano 3.500 euro al mese netto… Meritocrazia? L’Europa ci cambierà, naturalmente in meglio, dicevo a un imprenditore prima del nostro ingresso nell’UE. Non credo affatto, ribatteva lui, saremo noi a cambiare l’Europa. Fanno più danni al Paese i continui battibecchi tra maggioranza e opposizione che i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Per fortuna è arrivato il professor Monti! TG 1 del 4 agosto 2008: frutta e verdura italiana meno cara del 20% in Germania che da noi… TG 1 del 10 settembre 2009: Berlusconi va da Zapatero e gli dice : “Io sono il miglior presidente del consiglio che l’Italia abbia mai avuto e non ho mai pagato per fare sesso…” Pompei: milioni di visitatori stranieri tra il dilagare dell’immondezza, la mancanza di servizi, di punti di ristoro e via di seguito, recitava un servizio televisivo. Cos’altro aggiungere? Il presidente della repubblica Napolitano si è detto sorpreso e rammaricato per la rinuncia del presidente della provincia autonoma di Bolzano Durnwalder di partecipare ai festeggiamenti del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Ma quel territorio, come pure quello della provincia di Trento, non è unito al territorio nazionale da 94 anni e non da 150? E io, trentino, farei la stessa cosa se la mia provincia fosse ancora parte dell’Austria, come lo è stata fino a 94 anni fa. Insomma, se gli austriaci mi invitassero a Vienna per un’analoga occasione, sentendomi italiano, non esiterei a prendere la stessa decisione. Politici, imprenditori, commercianti e professionisti, divi e giornalisti dispongono di tutto il territorio di cui bramano, complice la limitata efficacia regolatrice di un’opinione pubblica non compatta e poco obiettiva, poco severa e selezionatrice.
Radio 1, verso le 8,30 dell’8 settembre 2009: un ascoltatore telefona dicendo che ha acquistato in Germania un prodotto di cui ho capito solo il prezzo, ossia 15 euro e che in Italia, si è lamentato, ne costa 45! E gli stipendi tedeschi, ha detto, sono più del doppio dei nostri. A proposito di prezzi, risparmio e rispetto dei soldi del consumatorecontribuente, beccatevi pure questa: in molte trasmissioni televisive tedesche, chi intende parteciparvi come spettatore, è tenuto a pagare un ticket (mentre da noi il pubblico partecipante è pagato e spesato…). C’è da stupirsi se africani, asiatici e sudamericani seguendo a casa loro i programmi della TV italiana (un esempio per tutti: “L’Eredità”, piena di veline strapagate, strarifatte e strasfaccendate e i concorrenti tutti laureati, o quasi, impazienti di dire che sono fanatici dello shopping, dei viaggi e di infinite altre attività ludiche e ricreative) investano soldi, fatiche e rischi per giungere a ogni costo fino alle nostre coste? E’ bello che tanta gente ciarli notte e giorno alla radio e in TV e guadagni un sacco di soldi, mentre chi produce col duro lavoro si debba accontentare delle briciole? Poi ci lamentiamo se i nostri consumi sono la metà di quelli europei! In un talk show di un dopo ballottaggio 2011, uno dei politici partecipanti (non ricordo il suo nome e me ne scusa) ha detto che 30 anni fa stavamo parlando degli stessi problemi di cui parliamo oggi. E ha aggiunto: “E fra altri 30 saranno probabilmente ancora gli stessi”. Non tutti sanno che da almeno 3 decenni stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità dando sempre più forma al mastodontico debito pubblico di quasi 2.000 mld. di euro (di cui ho già scritto e di cui nessuno parla appunto perché pubblico) fino a giungere nell’ultimo trimestre 2011 davanti al baratro del fallimento. Poi la brusca, provvidenziale frenata del Capo dello Stato, l’arrivo del professor Monti al governo, l’allontanamento dal baratro e i sacrifici per porre rimedio alla “dolce vita” dei decenni precedenti. E con i sacrifici ecco naturalmente anche le proteste “giustificate” di chi di quei 2.000 mld. non ha profittato granché, o per nulla. Ma anche il più sprovveduto di economia può capire, almeno per il bene dei propri figli, che non c’è altra via per l’Italia che quella intrapresa dal presidente Monti: irta finché si vuole, ma inevitabile!
Quando si dice pane al pane
La mia memoria, seppur offuscata dal tempo e dalle intemperie dei miei tanti anni, mi invia delle immagini lontane. Sono immagini di un vecchio film di Ollio e Stanlio, nel quale i due amici evadono dal carcere con una grossa palla al piede, che rende la loro fuga incerta e problematica. Questo mi fa pensare che anche noi, in questi momenti di forte crisi, ci trasciniamo una pesante palla al piede, piena di cose negative! A quella palla ho già accennato, ora credo che sia giunto il momento di sezionarla e analizzarne il contenuto, che, come ho detto, è zeppo di cose negative! Ma una, più di tutte, influisce in modo devastante sulla qualità della nostra vita e della nostra economia: la pubblicità! Conosco bene l’Europa. L’ho conosciuta come lavoratore prima, poi come professionista. Conosco pure l’Italia, per la medesima ragione. La mia conoscenza dell’Italia e dell’Europa deriva da un periodo di tempo di più di mezzo secolo che vi ho trascorso! Conosco pregi e difetti e credo di poterne parlare con buona cognizione di causa. Parlerò più dei nostri difetti che dei nostri pregi. Questi ultimi si elogiano, i primi si criticano. Sarà dunque una critica benevola di un cittadino che ama il proprio Paese e che in virtù di questo sentimento dice le cose come le vede e le pensa, senza preconcetti, sapendo di dire pane al pane e vino al vino. Dirò, per cominciare, che noi italiani, in base alla conoscenza che ho dei popoli europei, per essere più competitivi nelle sfide continentali, dovremmo imparare a essere più europei. Dovremmo cambiare non poche delle usanze tipicamente nostrane. Per convenienza! Dovremmo essere meno provinciali e accettare con più obiettività i costumi dei nostri vicini, senza per questo abbandonare i nostri, ma europeizzandoli quel tanto. Così fan tutti. Per essere europei bisogna diventarlo. A fin di bene. I tempi lo esigono. I nostri politici devono smetterla con le beghe da osteria, non giovano ad alcuno, sono controproducenti e infantili, ossia senili (che fa rima con incivili) e dare il buon esempio ai cittadini che li hanno eletti. Fra i due litiganti il terzo gode; e chi gode se non il concorrente estero?
Non è normale, e tanto meno credibile, che ciò che dice l’uno sia giusto e ciò che dice l’altro sia sbagliato. Quando c’era la DC votavo DC. Era il partito più forte e pensavo che per questo doveva essere anche il migliore (ma se tutti l’avessero pensata come me...). Poi è sceso in campo Berlusconi, mi ha ispirato fiducia e ho votato lui. Alle ultime elezioni l’ho votato ancora. Lo voterei anche in futuro se raggiungesse la maturità che si addice alla sua età e al suo compito e riducesse, oltre alle tasse, anche la reclame (e di un bel po’)! Nel nostro Paese la pubblicità supera ogni ragionevolezza. E’ un vero e proprio fisco privato, che a differenza di quello statale non è nemmeno evadibile, perché riscuote i suoi profitti dai prezzi dei prodotti di cui ogni cittadino ha bisogno ancora prima della nascita. E con quei profitti, oltre ad arricchire se stesso a dismisura, fa funzionare le macchine “fabbricasoldi” che sono le TV pubbliche e private, le radio, la stampa, usando i divi milionari costruiti su misura per l’uopo. Quel danaro, tolto con la forza al consumatore, fa aumentare i costi, tiene bassi i salari e riduce il loro potere d’acquisto. Portando la pubblicità a livelli europei porteremmo i prezzi nella norma, i salari pure, i consumi riprenderebbero a tirare e con essi l’economia. Mi pare giusto però, e anche democratico, che non tutti la pensino come me. La democrazia è un bene che ci siamo guadagnati col sangue e ce la dobbiamo conservare con le unghie. Ogni nazione ha fasce di popolazione che se la ano bene e altre che se la ano meno bene. Milioni di individui vivono la quotidianità come uno scoglio difficile da superare e non tutti vi riescono. Altri vi riescono a prezzo di grossi sacrifici e il loro numero aumenta di giorno in giorno in modo esponenziale. Una famiglia su sei vive nell’indigenza. Una cifra che deve far riflettere in un Paese civile come il nostro. Ma perché se la a male questa gente? Le cause sono molteplici e sarebbe lungo elencarle tutte. La causa prima è la difficoltà per molti cittadini di accedere ai servizi essenziali e all’acquisto dei beni di prima necessità per via dei prezzi troppo alti e dei loro introiti troppo bassi. Pur essendo la nostra situazione economica non brillante per la perduta competitività sui mercati, specie su quelli interni per la iperbolica mole di pubblicità cui si è aggiunta la nostra crisi nella crisi, esiste una fascia di benessere che copre una parte importante della popolazione. Nessuno vieta a nessuno la facoltà di aspirare al benessere; contestabile è semmai il modo con cui tale facoltà viene applicata, ossia a spese dei più deboli.
L’avvento dell’euro è stato un fatto storico per i Paesi europei che ve ne fanno parte; ma l’euro, oltre a vantaggi, porta anche svantaggi. Gli svantaggi si avvertono di più, seppur di meno per numero. Di questi accusiamo la moneta, piuttosto che i profittatori. La speculazione sull’euro ha provocato l’aumento indiscriminato dei prezzi, da noi molto più che altrove. Paesi come la Germania e la Francia hanno perfino abbassato i prezzi. Eppure anche noi, al pari dei tedeschi, abbiamo beccato un cambio molto facile da calcolare. Mi indigna proprio il fatto che i tedeschi hanno pagato 2 marchi per 1 euro, noi 2.000 lire e se da noi i prezzi sono raddoppiati, da loro sono in buona parte diminuiti. Come al solito noi abbiamo fatto i furbetti e chi afferma il contrario non ha il coraggio della verità. Come scusante abbiamo tirato in ballo la mancanza delle banconote di piccolo taglio, da 1 e 2 euro. Io ho maneggiato il marco per 50 anni senza problemi e senza banconote da 1, 2 e 5 marchi, le banconote partivano da 10 marchi, ossia 5 euro e non facciamoci quindi oggetto di barzellette “europee”. Forse è più giusto accusare la nostra repulsione per l’aritmetica. Anche con l’euro infatti, tendiamo ad arrotondare, naturalmente verso su, dimenticando che 10 centesimi sono quasi 200 delle vecchie lire. La nostra economia arranca più delle altre. Tutti dicono che per farla ripartire bisogna far riprendere i consumi. Ma per far riprendere i consumi ci vogliono prezzi e stipendi più acconci, che accrescano il potere d’acquisto dei consumatori. La Francia e la Germania hanno incrementato le esportazioni pur in tempo di crisi, noi incrementiamo le importazioni. Fin che la barca va... I nostri prezzi, si dice, sono troppo alti e la gente ha pochi soldi da spendere, il mese ha una settimana di troppo, in molti casi anche due. Una ragione per cui i nostri prezzi sono alti e gli stipendi bassi è da imputare anche alle tasse! Ma perché paghiamo tante tasse? Perché viviamo al di sopra delle nostre possibilità, a cominciare dallo stato, e perché non tutti le pagano. Con la lira bastava svalutare e il problema era (momentaneamente) risolto. Oggi abbiamo l’euro, ma ne facciamo un uso troppo personale. La gara coi competitori esteri si è fatta serrata e bisogna essere competitivi, specie nei settori tecnologicamente avanzati e con alto valore aggiunto, e per essere competitivi dobbiamo ridurre gli sprechi, l’evasione fiscale, l’assistenzialismo politicoelettorale e il clientelismo, eliminare la criminalità organizzata (almeno ridurla),
incrementare la ricerca e porsi su una strada comune, pena il fallimento dei nostri sforzi. Le regole del mercato sono uguali per tutti e non basta la furbizia per tenere le piazze, ci rende solo antipatici. Gli investimenti dello stato non sempre sono produttivi e per quelli strutturali e per la ricerca non rimangono che gli spiccioli. Dobbiamo occuparci di più della produttività (è da lì che sgorga la ricchezza), meno della finanza (che ha prodotto questa crisi). Bisogna trasformare i parassiti in elementi produttivi. Il parassita è un ladro e va eliminato. E dobbiamo iniziare subito, questo processo richiede tempo e di tempo ne abbiamo sprecato anche fin troppo. La Germania ha programmato un mastodontico investimento nel campo dell’energia rinnovabile. Costruirà un gruppo di 2000 gigantesche pale eoliche, in parte sulla terraferma, in parte in mare, fornite alla sommità di piattaforme per l’atterraggio di elicotteri per la manutenzione. Una singola pala sarà in grado di fornire energia per 5000 abitazioni. Installerà inoltre nel Sahara una immensa distesa di pannelli solari e trasporterà l’energia ricavata via cavo fino al suo territorio. Da noi l’inflazione galoppa più che altrove e gli investimenti, specie nel campo energetico, sono scarsi. Ci sono pochi soldi perché non siamo produttivi quanto basta. Siamo tolleranti con gli evasori fiscali (i più numerosi al mondo), perché pensiamo che prima o poi anche noi potremo beneficiare di questa nostra specificità. Nei Paesi più evoluti chi danneggia il contribuente in maniera arbitraria viene perseguito e colpito senza pietà: noi la eleviamo spesso a modello. Non intendo addentrarmi troppo in questi meandri dai quali rischierei di non uscirne più, preferisco restare sul terreno solido e parlare di ciò che ognuno di noi può vedere con i propri occhi e toccare con le proprie mani. Le buche nelle strade, per esempio, nelle quali incappiamo più volte tutti i giorni. Credo che chi fa bene le cose semplici e visibili, fa altrettanto bene quelle difficili e invisibili. Il modo forse ingenuo, ma obiettivo, con cui mi esprimo farà anche sorridere, ma sono del parere che proprio là dove le cose sono semplici e trasparenti, il benessere si diffonde maggiormente tra la gente. Negli ultimi decenni siamo stati protagonisti di uno strano, quanto anomalo, fenomeno: l’Italia, da Paese che dava poco ai suoi cittadini, a Paese che dà troppo, spesso a chi non lo merita. La meritocrazia è una parola da rispolverare e riutilizzare, senza di essa accresciamo solo ulteriormente il nostro debito.
L’indigenza tra la popolazione aumenta (indipendentemente dalla crisi economica) e la gente non sa più che pesci pigliare. Troppe cose sono diventate un lusso a causa dei prezzi schizzati tanto furbescamente in alto. Possiamo analizzare la situazione da ogni prospettiva e cambiare a piacimento i fattori: il risultato non cambierà. La bilancia ha vari pesi, ma ciò che più la condiziona è l’onestà. L’onestà è figlia della pulizia interiore ed esteriore dell’individuo e del territorio e genera ciò che rende entrambi puliti ed evoluti. I benefici sono universali. Da questo principio non si scappa: è il principio del benessere collettivo che ha le sue radici nel singolo soggetto. E’ il mosaico cui nessuno può rifiutarsi di appartenere, pena lo scardinamento da ogni regola civile e il suo dissesto. Il firmamento umano ruoterà all’infinito su questi cardini.
Mafia, camorra, ‘ndrangheta e… boh
Per ragioni di logica e di etica, non dovrebbero far parte del pianeta civiltà le associazioni criminali organizzate, tanto prospere in Italia. Esse però vi fanno parte e vi fanno parte nella misura in cui ogni individuo glielo consente. Sezionando la palla che ci portiamo al piede, queste associazioni affiorano tra le prime, assieme alla pubblicità, all’evasione fiscale e al parassitismo. Per quanto ne capisco, sono organizzazioni criminali e basta. Io però, mi sono sempre rifiutato di approfondire le mie conoscenze in questo campo e non sono quindi in grado di parlarne con bastevole cognizione di causa, come la situazione lo richiede. Film, libri e discussioni relativi al tema mafia, camorra e ‘ndrangheta non hanno mai avuto posti di rilievo nella lista dei miei interessi e il significato di quelle parole rimane per me remoto, oscuro e rifiutato. Queste associazioni delinquenziali mi hanno sempre disgustato e ora che vorrei parlarne per completezza di cronaca, riesco a malapena a superarne la ripulsa. Vengo allora a patti con me stesso e convengo che è meglio lasciar parlare chi ne sa più di me. Il mio mondo è lontano anni luce. Direi solo baggianate e danneggerei la mia idea del bene e del male. Ho avuto molti amici tra la gente del sud, e ancora ne ho; ma ho sempre voluto pensare che anche loro ne sapessero quanto me. E’ certo tuttavia che, anche senza vederla, la mafia esiste. Non se ne conosce l’aspetto, forse per questo ci coinvolge di meno. Anche altre cose non vediamo direttamente, una religione, un governo. Ma queste hanno un capo e dei rappresentanti dei quali si conosce la figura e nei quali ci si può identificare. La mafia è niente e il niente è noia. Si pensa alla mafia quando si ha notizia di un fatto grave, come i delitti Falcone e Borsellino o quando un papa si scaglia contro di essa con inusitato vigore come nella Valle dei Templi o per l’eccidio di Duisburg. Ma nessuno di questi episodi ha causato uno scossone risolutivo e non si è cavato un ragno dal buco: la mafia procede imperterrita verso i suoi obiettivi! Molte sono state e molte saranno le vittime di quelle organizzazioni criminali e i
danni economici incalcolabili, ciononostante nessuno riesce a fermarle! E il motivo è semplice: hanno dalla loro il più potente degli alleati: la gente! Nessuno ci tiene a fare l’eroe e contribuire ad aumentare il numero dei morti ammazzati. Solo lo stato può far qualcosa e qualcosa sta facendo. Ma gli americani hanno detto che non fa abbastanza. So di non essere all’altezza per affrontare questo tema, ma vorrei citare un servizio della Rai sulla proliferazione delle discariche abusive in Campania, controllate da questi criminali. Queste discariche abusive, spiegava il cronista, riempite di rifiuti tossici e ricoperte da uno strato di terriccio, vengono destinate alla coltivazione di carciofi e pomodori. Si è scoperto che in quelle zone l’incidenza dei tumori è aumentata negli ultimi anni del 400 per cento. E citava le navi cariche di scorie radioattive affondate nel Tirreno dalla ‘ndrangheta. Perché una emittente pubblica manda in onda queste informazioni al mattino presto quando la gente dorme sonni tranquilli e non in ore più appropriate, di pomeriggio, al posto di quei ridicoli pettegolezzi di divi, dive e veline?! Booohhh... Quando si corre sul filo del rasoio. Ma parliamone, finalmente, dell’altra grande protagonista dei nostri tempi, dal nome suggestivo e, per noi italiani, persino magico: la pubblicità! Che ci fa la pubblicità in quella palla? Non è chiamata l’anima del commercio? Dovrebbe essere un aiuto, non un peso, a detta dei pubblicitari. Invece è davvero un peso. E che peso! La pubblicità è una furberia, ormai accettata da tutti. Essa stimola il consumatore ad acquistare un prodotto piuttosto che un altro, esaltandone qualità e convenienza in cambio di danaro. Di molto danaro. La pubblicità ci fa conoscere i prodotti che troviamo sul mercato. Quegli stessi che troviamo nei punti vendita e che potremo acquistare anche senza i suoi salatissimi consigli, risparmiandoci i suoi costi esorbitanti. Ma questo la pubblicità non ce lo consente! Essa infatti interviene inserendo i suoi balzelli nei listini prima ancora che i prodotti giungano sul mercato. La pubblicità ci incalza. Spesso si avvale di personaggi famosi, che traggono dalle loro prestazioni profumatissimi onorari. Per questo “servizio” essa esige dal consumatore una tangente che egli paga acquistando i beni di cui necessita. E
poiché non esiste da noi la vera concorrenza, trova nel mercato una miniera d’oro inesauribile! Gli utilizzatori della pubblicità sono le industrie, le aziende commerciali, gli enti pubblici e privati, gli esercizi pubblici tipo bar, ristoranti, cinema, negozi, rivenditori di beni mobili e immobili, i politici e tutti coloro che intendono far giungere un messaggio al cittadino-consumatore. I beneficiari sono i mezzi d’informazione: radio, televisione, stampa e, prima ancora, i pubblicitari stessi. E il consumatore che ruolo gioca in questa faccenda apparentemente naturale come la luce del sole, ma che invece tutto è tranne che naturale? Il consumatore ha il compito di rimpinguarla quanto più possibile, acquistando i prodotti che essa promuove e dei quali ha assoluta necessità. Se il consumatore non acquistasse i prodotti dentro cui sono nascosti i balzelli che essa impone, la pubblicità andrebbe incontro a morte certa. La pubblicità si mostra al consumatore come una cosa straordinaria che lo garantisce nelle scelte. Per chi la pratica invece è una fatina con la bacchetta magica che gli fa vendere i prodotti che le vengono affidati e gli fa guadagnare a dismisura. Ma, come tutte le cose, anch’essa ha il retro della medaglia: lì c’è il consumatore che paga i prodotti reclamizzati fino a un 30% e più del prezzo reale, ricevendo in cambio cartelloni pubblicitari cadenti a pezzi sui marciapiedi, noiosi spot promozionali radiofonici e televisivi, pagine di giornali e riviste ridondanti di reclame, volantini che marciscono a terra e che noi calpestiamo senza nemmeno esaminare! Se le cose stessero così anche per i nostri concorrenti, non sarebbe tanto grave! Il guaio è che solo noi italiani siamo costretti ad alimentare questa mastodontica e parassitica massa di reclame con la borsa della spesa, cosa che fa lievitare i prezzi in modo squilibrato, prezzi a cui già altre mani attingono senza nulla dare, strozzando i nostri stipendi e le nostre pensioni e rendendo il loro potere d’acquisto, già tra i più bassi d’Europa, sempre più fiacco. Mettiamoci poi l’inflazione, tra le più oppressive d’Europa e il gioco è fatto. Ecco perché l’indigenza continua ad aumentare, di pari o con i prezzi. I beni vengono reclamizzati varie volte prima di giungere al consumatore. Centinaia di TV pubbliche e commerciali, nazionali, regionali, provinciali e
comunali, non di rado rionali, la fanno da padrone. C’è poi la radio, la stampa, i cartelloni pubblicitari esposti in ogni dove... Il produttore reclamizza il suo prodotto su scala nazionale, lo vende ad un intermediario che lo reclamizza a sua volta su scala regionale, il quale lo vende al negoziante sotto casa che lo pubblicizza abbinato al suo esercizio. Gli intermediari sono numerosi e ad ogni aggio i suoi costi ricadono sui prezzi dei prodotti, gonfiandoli e gonfiandoli. Il pezzetto di formaggio che poniamo in tavola pronto a essere mangiato, è ato dieci volte e più attraverso i ghirigori delle promozioni prima di arrivare dove si trova. Quel pezzo di formaggio, che è costato al produttore 10, costerà a noi 4, 7, 10 volte tanto; sicché noi consumatori, oltre al costo del formaggio, alimentiamo i vari parassiti che vi succhiano come i porcellini dalla scrofa e che sono, come abbiamo visto, le TV pubbliche e commerciali, le radio, i giornali, le riviste, le agenzie pubblicitarie, i vari testimonial, più tutti quelli, e sono tanti, che riescono a metterci lo zampino. Se la pubblicità non l’avesse caricato in modo tanto esagerato, quel pezzo di formaggio ci costerebbe al massimo il doppio o il triplo del prezzo originario: se costava 10 uscendo dal caseificio, lo pagheremmo 20, 40, 60, non 100. E come se non bastasse, ci si mettono anche i vari governi a fare reclame e a dispensare contributi a destra e a manca: il governo nazionale, regionale, provinciale, comunale. Ovviamente con i soldi dei contribuenti. Mediaset è diventata la più grossa TV commerciale d’Europa. Bella impresa! Con 60 milioni di consumatori costretti a pagare una tangente su tutti i prodotti da essa pubblicizzati… quasi senza saperlo! La pubblicità ha una resa molto alta in termini di soldoni. Come abbiamo visto impone i suoi balzelli sui prezzi dei prodotti, a discapito dell’inerme consumatore. Non gli chiede certo se è d’accordo o meno. Deve pagare e stare zitto, al pari delle tasse: con la differenza che le tasse si possono evadere e qualcosa torna indietro al cittadino sotto forma di servizi, ma la pubblicità non si può evadere e non dà nulla in cambio, se non danni ai consumi, quindi all’economia e al potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Nessuno la può eludere, nemmeno se fosse sul punto di morir di fame! Una marca di pasta, un dentifricio, li scegliamo dallo scaffale secondo il prezzo e
la fiducia che ci ispirano. La reclame non ci permette una scelta: il suo costo è dentro il prezzo del prodotto che acquistiamo e al supermercato il prezzo non si tratta. Insieme al bene, paghiamo la reclame. E poiché non possiamo fare a meno della pasta e del formaggio, dell’olio e dei pomodori e non esiste una buon’anima che ci tuteli da simili soprusi (poco democratici e non ottimizzanti della qualità del prodotto e rei del suo rincaro), non ci rimane che pagare. La pubblicità ci costa un occhio. Anche due. E’ un cancro. Da noi è molto più aggressiva e costosa che altrove e questo va a favore dei nostri concorrenti. Ce la spiattellano ovunque, depredandoci e violentandoci. E’ la causa prima dei nostri prezzi stellari e la principale responsabile della nostra perduta competitività. Fosse così anche per i nostri competitori saremmo pari. Ma per nostra sfortuna loro hanno un carico di pubblicità di gran lunga inferiore al nostro, con una incidenza minore sui prezzi, quindi in grado di immettere sul mercato prodotti più economici e qualificati dei nostri, avendo al tempo stesso più mezzi per la ricerca. La pubblicità è inoltre fonte di inflazione, giacché trascina nel vortice anche i pochi prodotti non reclamizzati. La reclame rappresenta per l’Italia un vero fisco privato, che si affianca a quello statale e che fa razzia di introiti. Lo ripeto alla noia: questa situazione i nostri concorrenti non ce l’hanno, questo cappio al collo del nostro potere d’acquisto e della nostra economia. Questo secondo fisco che ci impone ulteriori oneri, dai quali non caviamo un ragno dal buco. E se tale situazione non rappresenta un problema per le fasce abbienti, per le altre lo rappresenta, eccome, ed è un problema non di rado insuperabile, che costringe milioni di individui, dipendenti e pensionati, a barcamenarsi con 400500 euro al mese, dovendo vivere e pagare bollette e affitto, e milioni d’altri a privarsi dei beni essenziali. Ogni consumatore potrebbe risparmiare dai 100 ai 200 euro al mese, se la pubblicità incidesse meno sui prezzi, se fosse più umana e razionale, come lo è per gli altri consumatori europei. Quante cose in più ci potremmo permettere se non avessimo in carico i pesanti oneri dell’allegra brigata pubblicità! Noi abbiamo una concezione tutta nostra della concorrenza, più generica e benevola di quella dei nostri competitori e ciò non induce certo i profittatori a più miti consigli. Nessuno, ripeto, può sottrarsi ai costi della pubblicità. Ogni mercante, forte d’una concorrenza tanto debole quasi inesistente, può imporci i costi delle sue campagne promozionali senza che possiamo muovere un dito per
difenderci o emettere un gemito per compiangerci. Perché, di tutto questo, non ce ne accorgiamo. Da noi dunque, molto più che altrove, trionfa il cancro della propaganda. Propaganda più costosa del 30% che altrove. I nostri pubblicitari non si accontentano di paesaggi, pur ameni e di testimonial pur simpatici ma ignoti al pubblico dei consumatori, ma assoldano personaggi famosi che costano milioni e che influiscono più pesantemente sui prezzi. Non si accontentano, ripeto, d’un panorama, d’un volto bello ma sconosciuto, per far colpo: tanto il conto lo paghiamo noi consumatori! Non hanno scrupoli a ingaggiare i più famosi big del cinema e del pallone, gente che già incassa cifre da capogiro e che non si accontenta delle briciole: alla faccia dei milioni di poveri cristi che sudano sangue per arrivare a sera. La reclame esercita su di noi italiani un ascendente mediatico praticamente illimitato e irresistibile. I signori di cui sopra lo sanno e ne approfittano per bombardarci di messaggi promozionali. Non è così, lo ripeto, presso gli altri consumatori europei. Nessuno di loro si lascia influenzare dagli spot al pari di noi, come i bambini dalle avventure di Pinocchio. Quei signori ne possono approfittare come più gli pare e gli piace. Ogni messaggio che arriva attraverso il magico gingillo della TV esercita su di noi un impatto emotivo trascinante, trasformando ogni cosa in oggetto del desiderio. Se poi l’ambasciata ci viene inviata da un divo della TV, del cinema (meglio se hollywoodiano) o della pedata e ci assicura che quella è l’auto più bella, il pneumatico più veloce e il detersivo che lava più bianco, il gioco è fatto: la pubblicità ha centrato in pieno il suo obiettivo! I miei ricordi in materia di pubblicità risalgono al periodo della mia infanzia. Nel primo dopoguerra, mio padre acquistò una radio usata. Reco ancora nella mente i nomi dei dentifrici, delle saponette e delle brillantine che quel magico giocattolo diffondeva nell’arco della giornata, tra canzonette, fischi di merli e giornaliradio. Ricordo pure le riviste degli anni ’50, nella fattispecie Bolero e Novella, di cui non perdevo un numero. Anche da quelle pagine ci veniva consigliato di acquistare questo o quel prodotto, come se fossimo degli allocchi e non in grado di superare la soglia di un negozio e comprare ciò ci serviva. A quei tempi tuttavia, la discrezione e la consistenza dei messaggi promozionali erano tali, da sembrare fintanto irrilevanti e non certo influenti sui prezzi come quelli d’oggidì.
Noi italiani prestiamo ai messaggi promozionali molta più attenzione di quel che si meritano e che essi assumono (seppure virtualmente) nel momento stesso in cui quei furbastri gestori di teleschermi, radio e carta stampata ce li riversano addosso. I nostri posti di lavoro si fanno sempre meno produttivi e sempre più parassitici rispetto a quelli degli altri Paesi con cui dobbiamo confrontarci sui mercati, costringendo gli imprenditori a espatriare per essere competitivi, così com’erano espatriati i nostri avi in cerca di lavoro e come ancora sono costretti a fare i nostri figli. L’Italia è un Paese buono per pochi. Per chi ci sa fare. Ci inventiamo lavori che non sono lavori. Come quelli della pubblicità. E questo non sarebbe neanche da deprezzare, se non fosse per i costi che ricadono sempre e solo sul povero (e sempre più povero) consumatore. Qualche esempio? Le costosissime e inutilissime veline sui nostri teleschermi a ogni ora del giorno e della notte, i costosi e chiacchieroni politici, molti di loro altrettanto inutili, strappati ai loro compiti istituzionali e trasbordati nei vari studi radio-televisivi insieme a schiere di gorilla su aerei di linea, privati e militari, elicotteri e auto blu, ospiti pagati, divi e dive fabbricati dalla TV per ammaliarci, campioni dello sport, costosissimi e superlussuosi studi televisivi, 4-5-7-10 presentatori per una trasmissione (e ogni giorno c’è qualcuno di nuovo che vi si infiltra), film della durata di un’ora che si trascinano per due ore, imbottiti come sono di spot promozionali. Rai e commerciali fanno a gara a chi è la più sfarzosa del reame per accaparrarsi la fetta più cospicua di pubblicità. Queste fabbriche di divi ci costano capitali e siamo proprio noi a far raggiunger loro queste dimensioni. E i relativi costi esigono una enorme raccolta di reclame, di conseguenza un forte ricarico sui prezzi. Questi balzelli sono una esclusività tutta nostrana. Non esistono altrove, non nella misura che esistono da noi. L’opinione pubblica, ossia contribuenti e consumatori, li rifiutano a priori, conscii dei costi e dei danni che cagionano ai consumi, quindi all’economia; così come rifiuterebbe di acquistare i prodotti reclamizzati dieci volte al giorno su dieci emittenti diverse per le ragioni che ho, spero in modo chiaro, più sopra esposte. Ho appena assistito a un film in prima serata (inizio ore 20) su un’emittente tedesca della durata di due ore. Ebbene, non vi è stata una, dico una, interruzione pubblicitaria. Da noi quel film sarebbe durato quattro ore, iniziando alle 21 e 30…! E c’è gente che al mattino va a lavorare. Questo è uno dei motivi
inoppugnabili per cui gli stipendi in quel Paese sono doppi rispetto ai nostri e con maggiore potere d’acquisto. Al Nordeuropa la concorrenza riveste un ruolo diverso che da noi. Essa regola il mercato. Ogni competitore aspira a vendere di più, proponendo prezzi più convenienti e qualità superiore. E lo fa riducendo la mole pubblicitaria e non aumentandola, dovendo poi forzatamente mantener bassi gli stipendi per arne i costi, riducendo in tal modo i potenziali compratori. Egli dà inoltre più spazio alla ricerca, più utile e meno dispendiosa della reclame. Lassù non vi sono intese più o meno sottaciute o concordate tra competitori e il nostro concetto di “prodotto reclamizzato uguale a prodotto di marca” significa sovente il contrario. Il prodotto si reclamizza da sé, vestendosi di qualità e convenienza. Naturalmente i nostri prezzi non sono alti solo a causa della pubblicità. Tasse, intermediari, impianti di produzione obsoleti, scarsa produttività, carenza di ricerca e di infrastrutture, taglieggiamenti, sono parimenti responsabili. Ho pagato una pizza Margherita più cara a Stoccarda che a Napoli; ma il cameriere aveva uno stipendio più elevato del suo collega partenopeo, il locale era molto chic e la pizza ottima. La pubblicità fa lievitare i prezzi. Inoltre rallenta i consumi, intacca l’economia e i mercati. Che i media e i pubblicitari se ne freghino di questo è facilmente comprensibile. Pare infatti ormai assodato che la pubblicità, a casa nostra, venga accettata dai consumatori al pari dell’aria che respirano. Non per nulla è l’unico settore, o uno dei pochi, che anche in tempo di crisi non conosce flessioni, ma impennate. Si nota infatti, come radio, TV e media in generale si fanno sempre più belli e pavoneggianti, adornandosi dei personaggi più in auge del momento, personaggi della politica, dello sport e dello spettacolo per far colpo sulla gente e accaparrarsi maggior raccolta pubblicitaria (tanto… pago io…). Questi costi supplementari (e parassitari) vanno poi a spalmarsi sui vari settori produttivi, dando origine agli stipendi più bassi e alle tassazioni più alte d’Europa, come pure agli stipendi più alti, ma… quelli ai vertici. Restando in tema di pubblicità televisiva, l’on. Santanché ha annunciato in una trasmissione TV che farà di tutto affinché il canone della Rai venga eliminato. Ciò che sostiene, dico io, è più che comprensibile visto che lei è titolare di
un’agenzia di pubblicità, così può accaparrarsi più contratti dalla Rai. E mentre la Germania sta vivendo un vero e proprio boom economico e si avvia verso la piena occupazione, noi, a furia di chiacchiere stiamo scivolando sempre più verso il basso. Berlusconi fa bene a cercare di tirar fuori il massimo dalle sue aziende pubblicitarie e televisive. Se da questo derivano poi i prezzi più alti d’Europa e gli stipendi più bassi e col più basso potere d’acquisto la colpa non è sua, ma di noi consumatori: che corriamo ad acquistare i prodotti che egli reclamizza, caricati di un bel 30% della sua pubblicità. Se egli può permettersi di organizzare feste da mille e una notte a casa sua e regalare buste con migliaia di euro dentro, affitti di appartamenti e automobili fiammanti alle signorine che vi partecipano, e esser uno degli uomini più ricchi del mondo, è perché queste cose le paghiamo noi, 60 milioni di consumatori, acquistando i prodotti che egli reclamizza. Il rimedio? Eccolo: entriamo nei negozi e scegliamo, come fanno al Nordeuropa, i prodotti non reclamizzati, o reclamizzati in maniera razionale e non ladresca. Solo così la pubblicità potrà incidere sui prezzi in modo più umano e potremo anche noi, come gli altri cittadini europei, gustarci in modo più piacevole il nostro aggio sul pianeta. Ma è conoscendo la realtà altrui, che riusciamo a conosce la nostra. Invece ci siamo rassegnati ad avere gli stipendi più bassi dei nostri colleghi europei e i prezzi più alti e ad avere di gran lunga la massa di pubblicità più furfantesca del mondo! Così come ci siamo abituati ad avere il calcio più bello del mondo (ma anche il più caro), negli stadi più brutti. Un consiglio? Guardiamo alla Germania senza timore! Cerchiamo di portare la nostra realtà ai livelli tedeschi. Per usare una metafora, abbandoniamo le zone tempestose in cui ci siamo adagiati e andiamo in zone di bonaccia tipo quelle tedesche. Come? Con rapporti interpersonali tra cittadini, politici e imprenditori più rispettosi e collaborativi e meno furbastri. Ne avremo tutti da guadagnare!
“Moin, Moin…”
Come ho già accennato, mia moglie e io trascorremmo nell’agosto 2002 le prime vacanze al Mare del Nord. Uno zio di mia moglie, giunto all’età della pensione, aveva acquistato una casetta nella Frisia orientale e ci aveva invitati per un periodo di relax. Aveva conosciuto quei luoghi prima della pensione, si era innamorato e aveva deciso di trascorrere lì il resto dei suoi giorni. L’acquisto gli costò 90 mila marchi (90 milioni di lire, 45.000 euro), ma era un po’ da sistemare. Ne spese altri 45.000 in restauri e la casetta si trasformò in una graziosa ed elegante villa in stile nordico. Quando ci propose di are lì da lui le vacanze estive, accettammo con riserva. Eravamo scettici sul tempo, ma poi ci ricredemmo. La casa era grande, costruita con mattoni rossi come tutte le case di lassù e aveva un bel giardino davanti e un fertilissimo orticello dietro. Durante il nostro soggiorno il tempo fu splendido e la distanza dalle altre abitazioni era tale da rendere in pieno il senso della quiete e del riserbo. La gente che incontravamo alle nostre uscite in paese era molto gentile. Ci salutava sorridendo e con un simpatico Moin, Moin. Noi rispondevamo Guten Morgen, pensando che fosse un diminutivo di quel saluto, poi lo zio ci spiegò che era il tipico saluto della zona. Durante la giornata compivamo delle lunghe e tonificanti eggiate nelle verdi praterie e nella dolce brughiera dei dintorni, allegre gite in barca nei numerosi canali, qualche salutare nuotata nelle splendide piscine adiacenti al mare e lunghe camminate in mare nelle ore di bassa marea, per migliorare la circolazione alle gambe. Ci pareva di vivere in un mondo fantastico. C’erano molti mulini a vento fuori esercizio, ma perfettamente conservati, alcuni trasformati in ristoranti, altri in negozi e numerosi laghetti abitati da anatre e cigni e ricchi di pesce. Folti gruppi di gigantesche pale eoliche per la produzione di energia elettrica popolavano il territorio, dandogli un tono di avveniristiche prospettive. Nelle nostre eggiate ci fermavamo ad osservare le gigantesche pale che ruotavano silenziose in cima ai tralicci, chiedendoci come fero a muoversi in apparente assenza di vento. Poi lo zio ci spiegò che essendo i tralicci alti 70-80 metri, più i 20 delle pale, lassù il vento spirava quasi sempre.
Una sera stavamo affacciati a una finestra che dava sulla strada a goderci quella pace regale, quando scorgemmo in lontananza, nel chiarore della notte nordica, un gruppo di persone che avanzava sulla statale conversando tra di loro. Udimmo altresì un rotolio come di palle metalliche sull’asfalto e capimmo che quei signori stavano giocando a bocce sulla strada. Il traffico a quell’ora era pressoché inesistente e in men che non si dica, bocce e giocatori ci sfilarono innanzi e scomparvero nella luce della notte. L’indomani lo zio ci disse che si trattava di un gioco di bocce disputato su 5 km di strada statale. Era praticato in tutta la regione, come nell’attigua Frisia olandese. Capitava che qualche automobile venisse ammaccata e che qualche giocatore si ferisse (c’erano stati anche incidenti mortali), ma per queste evenienze esistevano le assicurazioni. Fummo talmente entusiasti di quella vacanza che tornammo anche l’anno dopo, poi altre volte. Per non recare disturbo allo zio affittammo in seguito una villetta a 30 euro al giorno, più 2 di luce e pulizia, che ci vennero sempre condonati. Nel prezzo era compresa una barca, ancorata nel canale davanti a casa, due biciclette e il giardino con gazebo per la prima colazione e le grigliate serali. La padrona di casa era un’amabile vecchietta che abitava in una villa oltre il canale e che ogni 2 giorni ci riforniva di uova fresche per la colazione, posandole il mattino presto sul davanzale di cucina, pure queste gratis. Avevamo anche un televisore con antenna satellitare e poiché di notte io dormo poco e conosco il tedesco, ci avo davanti parte delle mie ore insonni. Ci colpì il fatto che di notte non venisse trasmesso alcun tipo di pubblicità e che di giorno lo spazio ad essa riservato fosse di gran lunga inferiore a quello cui eravamo abituati in Italia. La pubblicità sui canali privati era poca cosa e su quelli pubblici pressoché inesistente. Gli studi televisivi erano spartani, i i in numero limitato e non c’erano dibattiti politici, TG e quiz a premi a ogni ora del giorno e della notte. Tutto appariva economico e riposante. Era così anche ai tempi del nostro soggiorno lavorativo nella Germania meridionale, dal ‘60 al ‘75. Dopo le 19 ogni tipo di reclame cessava e era assente la domenica e nei giorni festivi. Sin dai primi giorni del nostro secondo soggiorno, come ho detto, fui sorpreso dalla modicità dei prezzi. Tutto costava meno che da noi e lo si notava in modo inconfutabile in virtù della moneta comune. Logico che mi chiesi perché. Mi venne subito naturale mettere in relazione prezzi e pubblicità e feci la seguente riflessione: da noi la pubblicità era cresciuta negli ultimi decenni a dismisura e di pari o erano cresciuti i prezzi e rallentata la crescita; qui invece la mole di
pubblicità era rimasta agli standard degli anni ’60-‘70, se non diminuita. Conclusi allora che la pubblicità doveva in qualche modo avere a che fare con l’aumento insensato dei nostri listini e la relativa stagnazione della crescita. Valutai il volume della pubblicità della TV, della radio e dei media tedeschi attorno al 70-80% inferiore al nostro, e quasi assente sui canali pubblici e abbinai tale situazione con la modicità dei prezzi. Era chiaro che radio e TV pubbliche non campavano grazie agli introiti della pubblicità e ai contributi statali, ma col canone. Le emittenti private attingevano invece alla reclame, ma in misura assai più limitata delle nostre. Capii, piano piano, l’influenza negativa che aveva la pubblicità sui prezzi. Lo spazio riservato alla reclame in TV era relegato negli orari di lavoro, non in quelli del riposo serale, notturno e festivo e non c’era la sensazione di trovarsi in un mercato infinito. V’erano trasmissioni d’ogni genere, delle quali era limpida l’utilità. E altrettanto era limpido il fatto che ci doveva essere un limite in questo, dettato dal buon senso, che prediligeva il comfort e la privacy del cittadinoconsumatore, nonché il suo portafogli. Probabilmente oltre quel limite ci sarebbe stata la rivolta, ossia il rifiuto di acquistare i prodotti reclamizzati. Esisteva inoltre la vera concorrenza, non quella concordata, e le emittenti che praticavano la vendita di beni, viaggi e chiromanzia erano botteghe autosufficienti. Mia moglie, tuttavia, si lamentava per l’assenza delle pause pubblicitarie in TV. Seguendo un intrigante film giallo non trovava il tempo, diceva, per andare alla toletta, per prendersi i cioccolatini, le sigarette. “I film con la pubblicità sono più rilassanti, ti puoi concedere di più!” Intanto erano cessati i suoi lamenti: “Uffa, ho mangiato troppo, questi dolci mi sfaldano la linea...” e facendo la spesa nei supermercati o acquistando le cartucce del PC, rimaneva sempre più stupita constatando che la stessa pasta (italiana) che acquistava in Italia costava 4-5 centesimi in meno, i pelati (italiani) meno ancora e il vino (pure italiano) aveva prezzi da liquidazione, che le medicine erano meno care, come pure la benzina e le imponenti autostrade non esigevano un pedaggio. Anche gli altri prodotti, locali ed esteri, avevano prezzi più accessibili, per non parlare dei prodotti non alimentari. “Non ti manca la pubblicità?” dicevo. “Pensavi forse che la pagasse il buon Dio?” Altre volte, per la verità, avevo riflettuto sui costi irrazionali della pubblicità, ricadenti sui prodotti, quindi sul consumatore. Mi mancava però il confronto diretto con i nostri concorrenti esteri per averne la riprova. Quanto alle emittenti
cosiddette commerciali anch’io, come tutti, le consideravo gratis e solo quelle pubbliche implicanti il pagamento del canone. Ora capivo come i film che mia moglie tanto amava, i quiz a premi, i pettegolezzi che le TV private e pubbliche tanto generosamente ci offrivano, li pagavamo, eccome, sui prodotti che ogni giorno, volenti o nolenti, eravamo costretti ad acquistare. Mia moglie, per giustificare la sua opinione, disse che anche in America c’era la pubblicità (anche lei fa sempre riferimento all’America, come se ogni cosa lì sia più logica) e che esisteva ai tempi dei romani. Dissi che in America vi sono 300 milioni di consumatori che pagano e non 60 come da noi, che hanno più soldi di noi e che la pubblicità è più misurata e che ai tempi dei romani non costava alcunché. Dissi pure che oltre ai prezzi e alle tasse più alti d’Europa, abbiamo gli stipendi più bassi e col minor potere d’acquisto, ma i nostri deputati al Parlamento europeo sono i più pagati con stipendi di 22.000 euro al mese, contro i 14.000 dei tedeschi, i 3.000 degli spagnoli, i 1.000 degli ungheresi e che il governatore della Banca d’Italia guadagna tre volte più del suo collega americano e quattro volte i suoi colleghi europei… E conclusi dicendo che era più umano e democratico non essere continuamente violentati, stressati e rapinati dalla pubblicità e che sarebbe una gran cosa se prendessimo lezione di etica e di rigore da quei signori, a cominciare dai nostri super pagati manager, governanti e personaggi TV e ribadii che non stavamo percorrendo la stessa strada dei nostri amici e competitori europei, ma che ci perdevamo in beghe e scandali senza che ce ne accorgessimo e che per questo abbiamo enormemente perso (38%) in competitività nei confronti della Germania. Per contenere questo handicap, abbiamo ridotto la lotta all’evasione fiscale, perché portatrice di disoccupazione e impopolarità. “Se il mio concorrente evade le tasse, devo evaderle anch’io”, si ragiona. Così fan tutti! E così si lascia fare. Meglio l’evasione delle tasse che la chiusura delle aziende… Altro paradosso nostrano. Si dice “Il calcio italiano… il campionato italiano…” quando di italiano ci sono solo i soldi, gli spettatori e… la pubblicità! Per invitare la gente a rinnovare il canone, i i della Rai si fanno in quattro. “Pagate” ci avvertono, “sono solo 112 euro, una piccolezza,
considerando ciò che vi offre la Rai!” Già, già! E la massa di pubblicità che la Rai pure ci “offre” chi la paga, lo Spirito Santo? Che poi, a dar retta alle chiacchiere dei talk show radio-televisivi, dovremmo essere i migliori del mondo in tutti i settori, o quasi; mentre invece, come ho detto, guardando le varie statistiche che sempre più di rado ci vengono mostrate (ed è più che comprensibile), siamo costantemente ultimi dove sarebbe meglio esser primi, e primi dove sarebbe meglio essere ultimi.
“Help, ci stanno affamando!”
Quando la maggior parte della gente dorme ancora sonni tranquilli, verso le quattro del mattino, scendo dal letto, vado in cucina e faccio colazione, poi mi metto al computer e scrivo fin le sei, sei e mezza. Dopodichè seguo una trasmissione su una TV privata del nord-est, dove un conduttore e quattro ospiti, nella fattispecie politici, giornalisti, sindacalisti e imprenditori, discutono sui fatti riportati dai giornali, mentre da casa interviene qualche telespettatore dicendo la sua. Un politico, di cui non ricordo il nome (e me ne scuso), disse che non c’era da essere tanto fieri della Ferrari, per quanto fosse una delle poche cose che funzionano in Italia. Il merito dei suoi trionfi, disse, era da attribuire agli stranieri: il materiale era tedesco, il direttore se, il progettista inglese, l’ingegnere capo australiano e ora hanno chiamato pure i giapponesi; il meccanico era vattelapesca, i piloti spagnolo e brasiliano; i soldi erano italiani. E concluse: “Ci stanno affamando!” A essere sincero un pensiero analogo mi aveva sfiorato in più di un’occasione, mai però ho avuto l’animo di accreditarmelo: quel nome... era più di un mito! L’asserzione di quel politico tuttavia, mi riportò alla mente un fatto avvenuto molti anni fa, quando la famosa Casa automobilistica era incorsa in una grave crisi di competitività dalla quale pareva non più in grado di venirne fuori. Fu allora ingaggiato un famoso progettista inglese, che accettò ad un patto: che il laboratorio di ricerche venisse installato in Inghilterra, non avendo egli intenzione di trasferirsi in Italia. Fu accontentato e il Corriere scrisse che quello sfizio costava alla Ferrari qualche centinaia di miliardi di lire. Fa un certo effetto sapere che in fatto di ricerca siamo gli ultimi in Europa per gli investimenti, che i soldi non ci sono o si spendono in settori più “proficui” e che lo stato ha bisogno di maggiori entrate per ridurre le spese. Ma le entrate non dipendono anche dalla ricerca? E non siamo già stracarichi di tasse, pubblicità, clientelismo, parassitismo e da un micidiale debito pubblico di cui nessuno parla, appunto perché pubblico e anche per questo in continuo aumento? Siamo in grado di sopportare ulteriori aggravi senza causare lo sfacelo dell’azienda Italia e
dei suoi cittadini? E se sì, per quanto tempo ancora? Riducendo della metà, o anche di un terzo, il volume della pubblicità si otterrebbero risultati strabilianti che ci permetterebbero di ridurre costi, prezzi e tasse, di alzare stipendi e pensioni, dando loro un più ampio potere d’acquisto. Ma una simile operazione, per quanto salutare, provocherebbe grandi ire, prime fra tutte quelle dei sindacati, poiché migliaia di posti di lavoro andrebbero perduti! Riflettendoci però, scopriremmo che questo è vero solo in parte. Diminuendo i prezzi infatti, salirebbe il potere d’acquisto di pensioni e salari, aumenterebbero di conseguenza i consumi e la produzione industriale, i lavoratori del settore pubblicitario in esubero troverebbero occupazione nel tessuto produttivo e da operatori improduttivi si trasformerebbero in operatori produttivi con tutti i vantaggi che ne deriverebbero e di cui abbiamo gran bisogno. La nostra crisi nella crisi dipende in gran parte dall’enorme e ingiustificato onere della pubblicità! Chiaro il concetto? Tale operazione porterebbe dunque grossi vantaggi a tutti i cittadini, che verrebbero messi in condizione di acquistare più beni: chi non può andare in vacanza ci potrebbero andare, chi non ha la casa se la potrebbe comprare e chi è in perenne affanno con la pagnotta quotidiana potrebbe tirare il fiato. E a questi vantaggi se ne aggiungerebbero molti altri! Si dice che la pubblicità sia l’anima del commercio. E in parte è vero; ma entro limiti ben precisi. Superati quei limiti sarà la morte del commercio. I prezzi salgono, diventano insostenibili e mettono in ginocchio consumatori e produttori. Noi ci troviamo davanti a questa probabilità. L’aumento dei prezzi comporta l’aumento dell’inflazione. I prezzi si gonfiano, il mercato li respinge. Anche i profitti delle aziende si riducono impedendoci di avere salari europei con un buon potere d’acquisto. E’ ciò che sta accadendo da noi oggi. Perciò la pubblicità è un’arma a doppio taglio: sarebbe a un taglio unico se anche i nostri concorrenti se ne servissero in pari misura. Invece siamo i soli a usarla in questo modo dissennato. Investendo una quota dei ricavi promozionali nella realizzazione di mastodontici pool radio-televisivi e cartacei e impinguando i più famosi e cari, nel senso dei costi, pubblicitari e testimonial del panorama internazionale, la pubblicità concede ben poco alla ricerca. Essa ingrassa i capi (pochi) e i dirigenti (tanti) rendendoli sempre più grassi e dimagrisce sempre di più i (moltissimi)
consumatori, il mercato è costretto ad assorbirne i costi, da cui sarà poi difficile, o impossibile, uscirne. Lo si capisce ogni volta che si pone il problema di sopprimere un canale TV, pubblico o privato. Scoppia l’insurrezione per i posti di lavoro e noi consumatori ce li troviamo a oltranza sulla nostra nota spese, dovendone accettare via via di nuovi, visto che in quel settore gli investimenti girano alla velocità del suono. Un esempio “plebeo” di come noi italiani ci fidiamo ciecamente dei consigli della pubblicità. In uno dei tanti quiz a premi su Rai 1 (L’Eredità), veniva chiesto al concorrente quale di queste motivazioni, secondo un’indagine europea, invoglia di più i genitori ad acquistare ai propri figli un giocattolo piuttosto che un altro: prezzo, qualità, pubblicità, desiderio dei figli o valore didattico. Il concorrente rispondeva “pubblicità”, così altri concorrenti interpellati e gran parte del pubblico. La risposta esatta invece era: “desiderio dei figli”! Come s’è visto la pubblicità porta l’acqua al proprio mulino. Essa assume il ruolo di un vero e proprio fisco privato, più esoso di quello dello stato, già più esoso di quello dei nostri concorrenti e ci stringe in una morsa micidiale con i suoi costi esorbitanti cui nessuno, volente o nolente, può sottrarsi. Siamo campioni del mondo di evasione fiscale, ma non riusciamo ad evadere i balzelli della pubblicità perché inclusi nei prezzi. E nessuno può rifiutarsi di acquistare quei prodotti, pena la sua sopravvivenza. Nessuno vuol morire di fame, di sete o di freddo per evitare di pagare le tangenti della pubblicità. Esistono, è vero, canali di vendita di prodotti non reclamizzati, o poco reclamizzati, quindi meno cari, gli hard discount, dove si trova il prodotto non reclamizzato a costi inferiori di quello reclamizzato; ma sono una goccia nel mare. I clienti sono pensionati e extra comunitari. Solo con l’arrivo della crisi si è aggiunta una buona fascia della classe media, anche se nessuno ci tiene ad esibire la propria debolezza economica acquistando prodotti non “di marca”. Mia moglie acquista molti prodotti di quel tipo e la sola differenza che notiamo rispetto a quelli “di marca” è il prezzo, assai più contenuto. Per il resto si può dire che molti di quei prodotti sono addirittura di qualità superiore di quelli farciti e strozzati di reclame. Noi italiani abbiamo invertito i fattori, scambiando la ricerca con la pubblicità; ma non è come in matematica dove il risultato non cambia: qui cambia, eccome! Se spendessimo più in ricerca e meno in pubblicità sborseremmo meno soldi verso l’estero, cui siamo costretti a ricorrere per colmare i nostri gap tecnologici,
elimineremmo una importante fetta di lavoro parassitario e creeremmo posti di lavoro produttivo aumentando il nostro prestigio, e soprattutto il nostro benessere, cui sarebbe giusto assegnare un valore superiore a quello della pubblicità. Tempo fa mi è capitato tra le mani un volantino distribuito da un’azienda alimentare ai propri dipendenti per informarli che avrebbe investito cinque milioni di euro in una campagna promozionale in TV. Si trattava di cinque sketch promozionali di pochi secondi l’uno, trasmessi da un’emittente commerciale di medie dimensioni. Il costo dell’operazione mi scioccò, così decisi di visionare quell’azienda. All’uscita degli operai calcolai in un centinaio di unità, più un centinaio in un’altra sede, il numero degli occupati. Trovai lo stabilimento piuttosto trascurato. L’insegna giaceva a terra, sghemba, come un pugile finito k.o. e la ruggine stava divorando la recinzione, il parcheggio era sterrato, le automobili bianche di polvere. Le aiuole dinanzi all’ingresso trasudavano incuria. I clienti non dovevano ricavarne un’impressione esaltante. Ma i 5 milioni per la pubblicità, l’azienda ce li aveva! Una dipendente, da me interpellata, disse che il ritmo e le condizioni di lavoro erano disumani. Pensai che presso i nostri concorrenti, soprattutto quelli nordici, una cosa simile sarebbe stata impensabile: prima viene la qualità del prodotto, dell’ambiente e del posto di lavoro, poi il resto (che non necessariamente è la pubblicità). Secondo me quell’azienda avrebbe fatto meglio a investire quei cinque milioni nella cura dello stabilimento e nella pulizia e destinare una parte della somma ai dipendenti come incentivo per il miglioramento del prodotto. Da ciò che è emerso fino ad ora, si può quindi desumere che la pubblicità arricchisce (a dismisura) i pochi che la creano e impoverisce i molti (60 milioni) che la subiscono, recando danni incalcolabili all’economia. Poi il governo di turno tenta (invano) di risanarla, senza capire, o senza voler capire, da che parte arrivino i guai. E’ da veri incompetenti voler far riprendere i consumi caricando i suoi costi sui consumatori. Si otterrà il contrario, si ridurrà ulteriormente il potere d’acquisto di salari e pensioni e di conseguenza i consumi! Chiunque si ponga in modo serio e intelligente il quesito pubblicità capirà la giustezza di questa affermazione. Il precedente governo Berlusconi ha tentato di far riprendere i consumi diminuendo le tasse. Il tentativo è stato lodevole, ma sbagliato. Di quel provvedimento erano interessati i redditi più alti, quelli degli imprenditori, che hanno invece incrementato la pubblicità soffiando come
mantici sui prezzi e spingendo il potere d’acquisto dei piccoli redditi sotto le suole; l’economia non ha avuto benefici e il parassitismo è aumentato. Personalmente avrei rinunciato ai pochi euro di aumento che mi ha dato quella manovra da 6 miliardi, e come me penso tanti altri, investendo piuttosto nella competitività e nella ricerca, pur riconoscendo che in quella critica situazione anche pochi euro di aumento erano meglio di nessun euro. Come ho detto non sono un esperto di economia e giudico le cose con la spontaneità e la praticità dell’uomo della strada. Secondo me la riduzione fiscale di cui sopra è valsa più come motivo inflazionistico e riduttore di servizi sociali, visto che da qualche parte i soldi dovevano pur saltar fuori, che come aiuto per l’economia e opportunità per ridurre sprechi e spese inutili e scovare gli evasori fiscali. Ma quale governo avrebbe il coraggio di assumersi l’impopolarità di un simile provvedimento? Sarebbe più onesto e fecondo ridurre la pubblicità che grava sui prezzi, quindi sul potere d’acquisto, quindi ancora sui costi di produzione, riducendoli, di modo che anche il consumatore meno abbiente, quello dei redditi bassi che non ha tratto alcun beneficio da tale operazione, fosse messo in condizioni di acquistare più beni, dando così un impulso ai consumi e di conseguenza alla ripresa produttiva. Fatta in questo modo la riduzione delle tasse ha riservato ben poco ai redditi bassi, a quei quindici milioni di indigenti che vivacchiano nel nostro Paese. Il loro contributo alla ripresa dei consumi è risultato pertanto irrilevante, se non nullo e altrettanto poco riserverà qualsiasi altra riduzione fiscale se non verrà accompagnata da una seria riduzione della pubblicità e dell’esercito dei parassiti. Dal punto di vista del bene comune e dell’economia sarebbe più logico e prolifico accordare i vantaggi fiscali a chi gli investimenti li fa davvero, soprattutto nella ricerca e nelle infrastrutture e non solo nella pubblicità. A proposito di investimenti mi viene istintiva questa considerazione. Durante una campagna elettorale per le elezioni regionali in Puglia la TV ha mostrato sovente il mastodontico Palazzo della Regione a Bari. Davanti all’edificio si erge un muro di circa sei metri per quattro su cui spiccano le scritte cubitali attestanti il nome del palazzo. Ma l’intonaco cadeva a pezzi, offrendo un’immagine deprimente dell’intero complesso. Con un investimento di 100 euro avrebbero ingaggiato un imbianchino che in mezza giornata di lavoro l’avrebbe rimesso a
nuovo, risparmiando a me questa osservazione, permettendo all’artigiano di guadagnarsi la giornata e facendo sì che le riprese televisive risultassero più telegeniche ed europee e meno da… terzo mondo.
“Terra, terraaa...!!!”
Non sono un viaggiatore intercontinentale, ma di tanto in tanto chiedo uno sforzo al portafoglio e mi concedo un giretto per l’Europa. Un giorno in un Paese, due in un altro. Il mio scopo, oltre a quello emotivo e affettivo di ritrovare amici e luoghi di un tempo che si fa sempre più lontano, è toccare con mano come cambiano gli altri rispetto a noi e capire quanto, come e in che modo ci siamo agganciati all’Europa. Mi piace analizzare lo standard di vita dei nostri vicini, il loro atteggiamento verso la moneta unica, pur essendo del parere che ogni popolo, anche nell’integrazione più completa, possa mantenere i propri usi e costumi, la propria cultura, evitando tuttavia di essere d’intralcio al percorso collettivo. Più che un turista mi sento pertanto un “osservatore”. Sono innamorato dell’Europa, dal Mare del Nord alla Sicilia, e me la “tengo sotto controllo”. Al Nordeuropa ci ho vissuto e lavorato 15 anni e per altri 20 ci sono andato spesso per lavoro, qualche volta per vacanza e da una decina d’anni ci vado come “osservatore”. Lassù la vita è semplice e ben articolata. Società e territorio offrono occasioni da non perdere. Si respira aria di democrazia, di progresso, pulizia e nonostante il forte sviluppo industriale degli ultimi cinquant’anni, di cui sono stato in parte testimone ed artefice, esistono tuttora foreste incontaminate, villaggi e città immersi in una natura quasi immacolata. Percorrendo le imponenti e super moderne autostrade tedesche, quasi tutte a tre e più corsie, senza pedaggio e limiti di velocità, se non in tratti particolari, si viene accompagnati da foreste e parcheggi con eggiate rilassanti, ristoranti, hotel. Gran parte del traffico pesante è stato spostato su rotaia e le foreste, omogenee e rigogliose, sembrano figlie di misteriosi artifici e la vegetazione, oltre a depurare l’aria, fornisce dell’ottimo legname. Si può dire che la natura regni sovrana e controlli, addomesticante, l’intenso sviluppo economico. Come ho più volte ricordato, madre natura mi ha dotato di uno spiccato senso di osservazione, o curiosità, assunto in parte da bambino scrutando dall’alto del mio maso solitario il mondo sovrastante e sottostante e ulteriormente sviluppato nel corso dei miei numerosi spostamenti di lavoro attraverso il continente, traendone le debite valutazioni. E’ mia abitudine osservare con occhio critico
tutto ciò che vedo e che la mia sensibilità è in grado di captare. Con le lingue mi destreggio quanto basta e quando mi trovo all’estero leggo i giornali, ascolto la radio, guardo la TV e discuto con le persone. La gente del nord, grazie al suo evoluto modo di vedere e di pensare, è molto aperta ai contatti personali e accetta il dialoga senza preconcetti. Quando incontro dei viandanti nelle eggiate attraverso le stupende foreste nordiche, intreccio degli scambi di opinioni con loro e mi informo sulle varie realtà del loro Paese. Leggo i giornali di lingua tedesca e seguo la TV sin dagli inizi degli anni sessanta, ai primordi del mio soggiorno lavorativo in quel Paese e l’ho fatto nel corso dei miei frequenti viaggi professionali. Oggi la seguo via satellite. Seguo molte TV estere perché, come ho detto, sono convinto che la TV offra un quadro chiaro e obiettivo della mentalità e della cultura di un popolo, nonché del suo standard di vita. Le TV nordeuropee sono sobrie, spartane, rigorose. Non c’è lotta tra le emittenti pubbliche e commerciali per il predominio della raccolta pubblicitaria, regolata, come abbiamo visto, dalla concorrenza di mercato a suon di qualità e convenienza. Esse esistono nella forma che ho descritto e non hanno quindi alcun motivo per farsi concorrenza. L’atmosfera è soft e rilassata. Niente stress da pubblicità, bombardamenti di TG, gridati da strilloni di giornali d’altri tempi a ogni ora del giorno e della notte, niente sfilate di politici che paiono aver trasferito gabinetti e aule negli studi TV, niente corride televisive tra maggioranza e opposizione, niente sgomitate tra i vari animatori del video, niente di tutto ciò, solo super civile comportamento. Il mondo viene presentato in modo chiaro e reale, pratico e credibile. Non esiste il mondo fantastico e fittizio, e caro, nel senso dei costi, dei vari divi nostrani tipo “oramimostroio”. Vi sono pochi partiti e pochi sindacati, ma potenti e ben organizzati e i personaggi della TV, ripeto, non sono divi strapagati, bensì gente normale che lavora senza ipnotizzare nessuno, ma guardando negli occhi i loro interlocutori e stando seduti insieme a loro senza girargli attorno come segugi. Perché ci fissano tanto i nostri? Mi vien da chiedermi. Che c’entriamo noi? Possiamo forse ribatter loro che le immagini sull’acqua si conservano giusto quel tanto?
Ricordo uno spot pubblicitario diffuso dalla Rai nel periodo natalizio, una trentina d’anni fa, che promuoveva una famosa marca di pasta. La sua natura mi portò sin d’allora a riflettere sull’effetto rapinante della pubblicità sul consumatore. Quella marca di pasta offriva una serie di sketch con un celebre divo di Hollywood, il povero Paul Neuman, camuffato da Babbo Natale. Per la sua prestazione, scrissero i giornali, gli avevano un assegno di cinque miliardi (di lire). Di quello sketch ricordo due particolari: che solo alla fine della scenetta il buon Paul si toglieva, per pochi attimi, barba e baffi e mostrava il suo volto (fino a quel momento avrebbe potuto esser stato chiunque) e che reclamizzava un bene sacro per gli italiani, la pasta, intascando quella cifra da capogiro! Trovai barbaro il suo compenso e disumano il fatto che anche la vecchietta con la pensione da fame veniva chiamata a contribuire col suo piatto di spaghetti quotidiano al pagamento dell’onorario del pur simpatico Paul. Cercai di immaginare la montagna di spaghetti che i consumatori italiani avrebbero dovuto ingozzare per saldare il suo onorario e mi vennero le vertigini! Quella cifra mi parve assurda e irrazionale e provai una fitta al cuore per la povera vecchietta costretta, suo malgrado, a rimpinguare il conto in banca, certamente già notevole, del divo dovendo rinunciare a cose che le sarebbero state più utili e indispensabili. Ciò mi indusse a vietare a mia moglie di acquistare ulteriormente quella marca di pasta e a distanza di decenni, vige ancora quel divieto. Fatti analoghi accadono oggi con stupefacente normalità e ne sono interessati i più svariati prodotti. Ed io, come allora, seguito a vietare a mia moglie di acquistare i prodotti così ferocemente reclamizzati e dai prezzi gonfiati, atti ad arricchire la gente già ricca, frenando l’economia e impoverendo sempre di più il nostro già povero potere d’acquisto. Anche la Fiat reclamizzava l’uscita di nuovi modelli ingaggiando i mostri sacri del firmamento hollywoodiano, tipo Harrison Ford e Richard Geere. Non ci è stato dato di conoscere i loro compensi. Anch’io avevo in programma di acquistare un’auto di quel tipo, ma quello spot, come già quello della pasta e altri ancora, produsse in me un effetto repellente che mi fece recedere dal mio proposito. Acquistai invece un’automobile straniera non reclamizzata, ma che sapevo di eccelse qualità. Evidentemente questa casa automobilistica i soldi li investiva più nella ricerca che nella reclame e a giudicare dal numero di auto di quelle Fiat che si videro sulle nostre strade, credo di non esser stato il solo a
pensarla così. Mi chiesi, e mi chiedo ancora, per quale motivo debba regalare mille euro ai pur bravi mimi per una vettura che comunque avrei acquistata e cosa davano loro a me in cambio dei miei soldi. Un altro miliardario attore americano, quel Kevin Costner che aveva ballato, bene peraltro, con i lupi, fu reclutato anni fa da un produttore di scarpe nostrano. Oltre agli spot nelle varie TV, vistose sagome del celebre “ballerino” furono poste davanti ai negozi che vendevano quella marca di scarpe; e parevano dire: su, entra, portami i tuoi soldi! E anche questo mi restò sul gozzo! Da tempo acquistavo quella marca di scarpe e decisi di cambiar marca. Non so se la marca che scelsi (con prezzi modicissimi) fosse inglese o italiana con un nome inglese; sta di fatto che mi trovai così bene che da allora è diventata la mia marca preferita; e lo sarà ancora finché anch’essa non dissiperà i miei euro assoldando qualche famoso divo e qualche famoso (e stracaro) press agent. Credo, e spero, di non essere il solo a pensarla in tal modo. Nella trasmissione mattutina di quella TV privata del nord-est, che ho più volte menzionata, ne ho avuta la riprova. Un pensionato, uno di quelli da 500 euro al mese, telefonò lamentandosi per la mole di pubblicità trasmessa, i cui costi, disse, rendono i prezzi sempre più inaccessibili a lui e a milioni di pensionati come lui. Cosa gli dà la pubblicità in cambio dei suoi soldi, chiese, non l’ha mica richiesta lui! Nei Paesi più evoluti e più democratici del nostro, tutto questo non succede. Nessuno si permette di profittare del consumatore in modo tanto arrogante, prepotente e impopolare, pena il suo declassamento e la sua espulsione dal mercato per merito della vera concorrenza. Divenuti maggiorenni e vaccinati, i propri acquisti si è in grado di farli laddove più ci aggrada e ci conviene. Nei Paesi di cui sopra, la pubblicità non ruba i soldi dalla borsa del consumatore, nessuno è costretto al mantenimento di un esercito di parassiti e profittatori pagando i costi sui prodotti che non può fare a meno di acquistare. Oltralpe la TV è un mezzo di intrattenimento e un dispensatore di nozioni utili, manuali e intellettuali, non una miniera d’oro da sfruttare a discapito dei cittadini e le emittenti che vendono dei beni si gestiscono coi ricavi delle vendite e non con la pubblicità selvaggia. Ecco perché negli altri Paesi i prezzi sono inferiori ai nostri dal 10 al 300% e i consumi di molto superiori! E’ la ricerca, quindi la qualità, che supera, nel tempo, in convenienza la
pubblicità sia per il produttore sia per il consumatore, giacché proprio essa è a lungo andare la miglior pubblicità. Noi ci lasciamo incantare dal luccichio degli sketch televisivi e accettiamo ad occhi chiusi la teoria che un prodotto reclamizzato è migliore di uno non reclamizzato, anche se più caro, anzi proprio per questo. C’è pur sempre, è vero, il solito dilemma. Eliminando la pubblicità, o anche solo riducendola, molti posti di lavoro andrebbero perduti e molti introiti ridotti. Nessuno sa a quanto ammonti il fatturato (e non fatturato) della pubblicità, ma si tratta di molti miliardi. Viene d’obbligo pertanto chiedersi cosa sarebbe se questi costi venissero ridotti e i prezzi assumessero una consistenza europea. Come abbiamo visto, molti posti di lavoro verrebbero a mancare. E questo è negativo. L’aspetto positivo arriva a lungo termine. Il consumatore verrebbe a trovarsi in una situazione di maggior favore, giacché i prezzi diminuirebbero, il potere d’acquisto di salari e pensioni salirebbe facendo aumentare i consumi, molti poveri cristi potrebbero permettersi dei beni che ora non possono permettersi, la produzione salirebbe creando molti posti di lavoro, quelli perduti nella pubblicità verrebbero assorbiti dalla produzione e i costi verrebbero ridotti con tutti i benefici che è facile immaginare. La soluzione del problema non sarà l’abolizione della pubblicità, bensì una riduzione e un uso più sensato e razionale di essa, come fanno i nostri concorrenti. E dovremo arrivare a quella soluzione se vogliamo risalire dal 48esimo posto nelle classifiche mondiali della competitività e far sì che la nostra economia possa reggere il confronto con la concorrenza estera. In altre parole, anche noi consumatori dobbiamo diventare più accorti e in grado di acquistare da soli, come fanno i nostri amici europei, i prodotti di cui necessitiamo, facendo a meno dei “consigli” della pubblicità. Industria e artigianato si facciano promotori di maggior qualità e di prezzi più adeguati attivando una ricerca di spessore come fanno i nostri competitori, la cui produttività (quella che genera ricchezza) è di gran lunga superiore alla nostra. E pensiamo all’alta percentuale di PIL che essi destinano alla ricerca e all’elevata percentuale dei loro posti di lavoro produttivi. E fosse solo questo il lato negativo della reclame! Per far fronte ai sui folli costi, le aziende che se ne servono devono forzare i ritmi di lavoro, spremendo gli operai e sorvolando sui più elementari concetti di qualità e sicurezza e riservare loro, e come può essere altrimenti?, gli stipendi più bassi d’Europa.
Il motto, dunque, non può che essere questo: “Meno pubblicità, più ricerca!” Con una ricerca tecnologicamente avanzata molti posti di lavoro verrebbero a crearsi nella produzione industriale, artigianale e dei servizi e la pubblicità risulterebbe in parte superflua e obsoleta, superata dai fatti, darebbe spazio a un universo di benefici e i nostri ricercatori non si vedrebbero costretti a fuggire all’estero. Ovviamente i Signori della pubblicità non saranno d’accordo su questa tesi. Allora siamo noi consumatori, e soprattutto quei 15 milioni di indigenti che aumentano di giorno in giorno, a dover cambiare la scelta degli acquisti, dando la preferenza ai prodotti meno reclamizzati, e tuttavia garanti di qualità, lasciando sullo scaffale quelli inzuppati di reclame. Sarebbe compito delle istituzioni disciplinare la pubblicità, specie ora col governo tecnico, ad esempio rendendo obbligatorio l’indicazione della sua incidenza sui prezzi, come si è fatto con le sigarette che recano sui pacchetti i danni che esse provocano. Ma soprattutto siamo noi consumatori a dover dirigere le nostre scelte verso prodotti poco infetti di pubblicità. Vorrei soffermarmi brevemente sul concetto di produzione produttiva e produzione improduttiva, nonché sui posti di lavoro produttivi e su quelli improduttivi. La produzione produttiva genera ricchezza, trasforma la materia prima di poco valore aggiunto in prodotto finito ad alto valore aggiunto. La produzione improduttiva, ossia parassitaria, dà anch’essa origine a un prodotto, ma di natura fittizia, succhiando la ricchezza dal tessuto produttivo. Essa non attinge la materia prima dal sottosuolo, dalla produzione agricola e forestale trasformandola in beni, ma preleva i suoi profitti dal portafogli del consumatore e dalle tasse del contribuente, ovvero da ricchezza già acquisita, dando in cambio solo fumo o, come si è visto, trasmissioni radio- televisive popolate da costosissimi divi e alimentate da imbecillità per forzare gli ascolti, infiniti TG, quiz a premi infarciti di veline e vecchi film americani, impoverendo consumatori e contribuenti. La pubblicità è un parassita e meno pubblicità vuol dire meno posti di lavoro parassitario e più posti di lavoro produttivo, quindi più prezzi equi: l’equilibrio necessario per riacquistare competitività! Ma cos’è il parassita? Il parassita è un ladro che prende senza dare, ciò che appartiene agli altri. Come può essere competitivo il concorrente infestato dai parassiti?
Meno parassitismo vuol dire meno tasse e meno tasse equivale a stipendi più alti e con maggior potere d’acquisto, dunque più ricchezza e migliore qualità della vita. E’ quel che avviene presso i nostri concorrenti. Un tema molto dibattuto tra me e mia moglie è l’euro. Anche lei ha utilizzato il marco tedesco per più di 30 anni e ci pare che l’euro, come praticità, si avvicini assai all’ex moneta tedesca, frutto della laboriosità e dell’onestà di un popolo. L’Europa non ha sbagliato adottando una moneta come l’euro. Il marco sarebbe stato altrettanto valido, se non di più, e noi italiani saremmo stati tra i maggiori beneficiari. Naturalmente una moneta di tal natura comporta un maggior rispetto di quello che destinavamo alla vecchia lira. L’euro ha un valore forte e va usato con i guanti bianchi. Il valore della moneta è dato, oltre che dalla produttività, dall’effetto bilanciante della concorrenza e dall’economia reale, dalla stabilità politica, non già dalle speculazioni finanziarie. L’euro ci chiede di rivedere i nostri costumi e di puntare più decisamente sulla concorrenza, quindi sulla competitività. Fino a una decina d’anni fa, la mia attività mi portava sovente in Alto Adige. Pur essendo il Trentino e l’Alto Adige una unica regione, le differenze sono sostanziali. Il Trentino è più mediterraneo, l’Alto Adige più mitteleuropeo. La mia conoscenza della lingua tedesca e la mia mentalità nordeuropea mi hanno facilitato l’intendimento con le persone di quello splendido lembo di terra. Tra una visita e l’altra ai miei clienti, per colmare il vuoto che a metà mattina mi si formava nello stomaco, entravo in un negozio e mi facevo confezionare un panino. Capitava, all’atto di pagare, che la cassiera mi chiedesse 5 o 10 lire per facilità di resto. Quelle monetine io le avevo, perché gli davo il giusto valore. Chi conosce l’Alto Adige sa che è una provincia tra le più prospere d’Italia, anzi d’Europa e il tenore di vita è molto alto. Il mio lavoro mi portava anche in altre regioni italiane, ma nessuna cassiera mi ha mai chiesto 5 lire per darmi il resto di un panino. Ecco un altro esempio del nostro modo disinvolto di maneggiare l’euro. In una trasmissione di cucina, un incaricato della TV girava per il mercato acquistando la materia prima. Quando il banconiere gli tornava il resto in centesimi, egli si rifiutava di prenderlo, dicendo: “Tenga, tenga, che, scherza?!” Ma con l’euro non si scherza. Potevamo farlo con le care lirette; ma per quanto
tempo avremmo potuto farlo ancora? E’ giunto quindi il momento di ragionare in termini di euro, a cominciare dai politici (molti dei quali ragionano ancora in lire, creando scompiglio tra la gente). Ragioniamo come i nostri concorrenti e, soprattutto, non scherziamo con i prezzi dando poi la colpa all’euro. Ovunque, con l’arrivo della nuova moneta, i prezzi sono diminuiti, da noi sono raddoppiati! Capita che discuta, ogni tanto, con un vicino sui nostri usi e costumi. Lui mi rinfaccia di essere troppo negativo. “Certo” dico io, “i difetti sono negativi, perciò ne parlo. Ma perché ci devono spennare come polli, a cominciare dallo stato? La radio e la TV poi, con la loro pubblicità, con manipoli di divi milionari che vi bazzicano intorno come mosche sul miele bloccando l’economia! Altrove si dovrebbero accontentare di onorari più umani e meritati, visto che i soldi proprio dalle nostre tasche arrivano!” Lui tace; e alla fine abbassa il capo.
Il secondo fisco d’Italia, anzi… il primissimo
(Parte prima)
Il mondo della pubblicità cresce vertiginosamente; ma una volta o l’altra, statene certi, scoppierà come un palloncino punto da uno spillo. Almeno da noi. In parte è già scoppiato: e di questo o scoppieremo pure noi consumatori! Non sarebbe grave, lo ripeto alla noia, se anche i nostri competitori fossero costretti a foraggiare una quantità abnorme di reclame come la nostra. Invece siamo i soli al mondo a dover sostenere una tale massa. Per questo la reclame è e sarà sempre più catastrofica per il nostro portafogli e quindi foriera, per noi e per la nostra economia, di disastri annunciati. La Germania ha vietato i messaggi pubblicitari su telefoni e telefonini e per i trasgressori vi è una multa fino a 50.000 euro. La pubblicità rappresenta per il consumatore italiano un vero e proprio fisco privato, più esigente di quello dello stato, perché i suoi balzelli stanno dentro i prezzi dei prodotti che acquistiamo e nulla ci dà in cambio dei nostri soldi se non prezzi gonfiati. Ed è un fisco non evadibile! Il fisco dello stato ci torna parte dei nostri soldi sotto forma di servizi, ma nessuno riceve qualcosa dal fisco della reclame. Dovremmo ripristinare il mercato nero e il contrabbando. Ricchi e poveri ne pagano i costi in egual misura e i suoi immensi proventi sono distribuiti tra pochissimi. I ricchi pagano senza accorgersene più di tanto, i poveri pagano (ma fin quando?) accorgendosene anche fin troppo, senza tuttavia capire a chi diavolo sia da imputare questa loro povertà d’acquisto. I pubblicitari sono individui scaltri e senza scrupoli. Ogni cosa è buona per far colpo sui consumatori e rubar loro tanti, ma tanti, soldi. Quando il precedente governo Berlusconi ha diminuito le tasse ai redditi più alti e alle aziende, i pubblicitari si sono sfregate le mani. Quei soldi, essi lo sapevano bene, sarebbero finiti nelle loro tasche; mentre i redditi più bassi avrebbero dovuto, una volta di più, sopportarne i costi. E i pochi euro destinati loro da quella riforma non sarebbero bastati a far fronte agli inevitabili rincari e all’inflazione. Così
l’economia, invece di ricevere ossigeno con l’aumento dei consumi, come s’era voluto far credere, ha ricevuto una ulteriore frenata. L’ex presidente della Camera Casini si lamentava in TV che in Francia e Spagna, dove s’era recato in vacanza, aveva acquistato alimenti per neonati che costavano, ahinoi, il 40 % meno in che da noi. E se si lamentava lui... A questo punto vorrei fare una considerazione tanto audace quanto maliziosa, ma obiettiva! Sessanta milioni di consumatori, tra italiani e stranieri, pagano ogni giorno una quota di pubblicità del 30% sui loro acquisti. Non occorre essere dei fenomeni in matematica per farsi un’idea, approssimativa finché si vuole, di ciò che essa incassa. Moltiplichiamo per 60 milioni la somma che ognuno di noi spende per campare e calcoliamone il 30%. Quello che ne esce è l’appannaggio della pubblicità! Si può quindi quantificare, pur con la debita approssimazione, ciò che si appropriano i signori della reclame dei nostri soldi, arricchendo se stessi e impoverendo noi consumatori, che paghiamo senza batter ciglio, ignari di ciò che ci viene indebitamente tolto. Ma anche se ne fossimo a conoscenza, cosa potremmo fare per difenderci? Non si può certo smettere di bere, di mangiare, di vestirci, di vivere… semplicemente perché i prezzi sono alti! Ci vorrebbe un’associazione in nostra difesa, capace di contrastare questi usurpatori legalizzati! Insomma: per migliorare la nostra situazione sociale ed economica dobbiamo ridurre l’aggravio della pubblicità a livelli europei; solo così eviteremo la sua funesta ricaduta sui consumi che riduce giorno dopo giorno il potere d’acquisto di salari e pensioni escludendoci dai mercati, specie da quelli interni. Per far questo abbiamo bisogno della vera concorrenza come esiste in tutta Europa. Ci vuole un mercato con prezzi concorrenziali e accessibili a tutti, atti a incrementare gli acquisti e vivacizzare la produzione. Intanto poniamoci questa domanda: è costituzionale che il cittadino debba pagare, oltre al valore della merce, anche ciò che gli speculatori vi aggiungono per i loro profitti personali? La pubblicità favorisce inoltre il parassitismo ed è quindi doppiamente dannosa. L’aumento della raccolta pubblicitaria accresce il fatturato che ricade sui prezzi, quindi sui consumi, quindi ancora su salari e pensioni, sul loro potere d’acquisto, riducendo i consumi e strozzando l’economia. La solita minestra! I divi creati dalla TV, dal cinema, dallo sport sono i padroni degli sketch pubblicitari e
influiscono con i loro onorari (spesso milionari) in maniera rovinosa sui prezzi al consumo. D’altra parte nessuno può sottrarsi al pagamento del balzello propagandistico, e questa è la causa per cui la pubblicità sta affamando un esercito di individui sempre più cospicuo (si parla di 20 milioni di persone in Italia)! Ci riempiamo forse la pancia con la reclame? Non sarebbe più morale applicare una scritta sulle confezioni (come si fa per le sigarette, dove si indica il pericolo di morte): “Prodotto soggetto a costi di pubblicità pari al 30% del suo valore” e mettere al contempo in commercio prodotti non reclamizzati, quindi più economici in modo che il consumatore possa fare le sue scelte in base alla sua volontà e disponibilità economica? Quello che ci dà la TV pubblica ci spetta col pagamento del canone, come accade in Francia e in Germania, senza l’aggiunta di pubblicità. In quei Paesi, e in molti altri, il consumatore non deve alimentare una massa di pubblicità come siam costretti a fare noi e può garantire ai propri cittadini stipendi di gran lunga superiori ai nostri e prezzi più equi, ponendo noi in fuori gioco con la facilità di un gioco da ragazzi. In virtù di quali diritti i signori della pubblicità si permettono di profittare a tal punto dell’indifeso consumatore, ossia di ogni cittadino? Non sarebbe compito delle istituzioni metterci in condizione di poter spendere i nostri soldi come più ci aggrada, come assistere o non assistere a una partita di pallone o di are il pomeriggio in casa? Perché non ci viene consentito di acquistare un prodotto non reclamizzato, quindi più economico, come avviene nel resto del mondo? Se facciamo un’escursione sul satellite ci possiamo rendere conto di come sia possibile (e rilassante!) are una serata di film, sport e spettacoli sulle TV estere senza essere costantemente molestati dalla pubblicità! E come poi, ritornando sui canali nazionali, questa atmosfera di pace e tranquillità venga brutalmente distrutta dagli sketch pubblicitari e si venga aggrediti dal consueto marasma della reclame, che ci attacca senza rispetto per la nostra privacy e per il nostro portafogli. In ragione di quale malefico destino, viene da chiedersi, ci vediamo costretti a rimpinguare con i nostri soldi centinaia di radio e TV, giornali e riviste, con costi dissennati, che un affollatissimo e costosissimo olimpo di divi e dive e altri speculatori ci rapinano a piene mani? Quel danaro ci viene tolto a viva forza,
nessun altro consumatore europeo viene derubato in modo tanto rozzo e iniquo! E pertanto mi richiedo: è democratico tutto questo? Io grido a viva voce: nooooo! E ripeto, anzi straripeto: fosse così anche per i nostri concorrenti non sarebbe grave; purtroppo è così solo per noi! Senza menar tanto il can per l’aia, cito un esempio. Anni fa un canale di Mediaset trasmise un’intervista del giornalista Emilio Fede con il povero Mike Bongiorno. Ambedue i personaggi, giunti alla notorietà attraverso la TV pubblica, furono in seguito assoldati dalle TV commerciali Mediaset, che li rese ricchi sfondati. Disse a un certo punto il buon Mike: “Sai, Emilio, quando fui ingaggiato da Mediaset mi offrirono 600 milioni. Chiesi per quanti anni avrei dovuto firmare e mi dissero… per un anno. Capisci, Emilio, per un anno!” E sorrideva, il Mike, beffardo e sornione, pensando forse a quanto avrebbe incassato in meno dalla TV pubblica e sentendosi finanche defraudato. Da ragazzo ammiravo Mike Buongiorno al pari di milioni d’altre persone. A quei tempi lavorava alla radio e girava l’Italia su un transatlantico americano presentando spettacoli musicali. Folle di ammiratori lo seguivano entusiasti, invocandolo come un dio sceso in terra a portar gioia e distrazione; poi i trionfi di Lascia o raddoppia, ecc. Nell’intervista con Fede non capiva il buon Mike che i tanti milioni dei suoi onorari, poi miliardi, di cui tanto si vantava, venivano tolti alla povera vecchietta con una pensione da fame e dati a lui perché li accantonasse in chissà quante banche italiane e magari anche svizzere. Quella poco elegante esternazione del pur bravo Mike mi lasciò dell’amaro in bocca e da quel momento egli mi parve un po’ più piccolo e un po’ meno bravo, pur tenendo conto della sua veneranda età e mi parve di capire che anche il Fede rimanesse un po’ stupito, e i tanti miliardi accumulati nella sua lunga carriera a suon di quiz e spot pubblicitari non mi fecero più invidia, bensì ripulsa. Pace all’anima Sua! Tornando alla faccenda dei balzelli che, volenti o nolenti, siamo costretti a pagare dai Signori della reclame, si può dire che qualche tentativo per alleggerire i costi ai poveri diavoli è stato compiuto con la realizzazione degli Hard Discount, che commercializzano prodotti pubblicizzati in modo soft, o affatto, quindi più economici; ma sono gocce nel mare e non tutte le persone anziane e bisognose possono attingervi, essendo questi esercizi solitamente relegati in
periferia. Questi distributori sono inoltre quasi tutti stranieri e stranieri sono molti dei prodotti che vengono venduti. E’ facile pertanto immaginare quali benefici ne tragga la nostra economia. Una miriade di aziende di pubblicità, grandi e piccine, sono state create e lanciate in orbita intorno al satellite pubblicità, ma chi fa la parte del leone è la TV. Almeno da noi. Pare che bastino poche, seppur salate, apparizioni sul piccolo schermo per dare un’immagine di convenienza ad un prodotto. Non a caso è stata scelta la parola “divo” per intendere colui che appare sul teleschermo e a quanto pare i prodotti non fanno eccezione. Nei Paesi più evoluti del nostro la gente non si lascia incantare dagli scimmiottamenti della pubblicità e il suo volume si regola di conseguenza. Il consumatore lo riduce rifiutando i prezzi ingiustificatamente alti e acquista prodotti non reclamizzati. In quei Paesi esiste inoltre la vera concorrenza, quella che funge da filtro della pubblicità e di altri parassiti e ne determina i prezzi. Da noi accade il contrario: la pubblicità disciplina la concorrenza facendo in modo che essa non esista, o che esista nella misura in cui non le dia noia. Davanti a me giacciono due settimanali: uno italiano, l’altro tedesco. Mia moglie acquista quelle riviste da trent’anni e sono tra le più vendute nei rispettivi Paesi. La prima ha un formato di 20,5x26,5 cm, 216 pagine e costa 1,30 euro, la seconda un formato di 23x29 cm, 80 pagine e costa 1,25 euro. Sulla rivista italiana la pubblicità occupa 86 pagine intere per una superficie di cmq 467.195, su quella tedesca 19 pagine per una superficie di cmq 126.730. La gente non ci fa caso e le compra. Gli editori sanno che la gente non ci fa caso e ne approfittano per guadagnarci fiumi di danaro! Una volta acquistai una macchina fotografica “usa e getta” con il flash incorporato in una località del Mare del Nord, pagandola 2,50 euro. Un mese dopo ne acquistai un’altra a Lignano, stessa marca ma senza flash… che mi costò 12,50 euro! Pare che non sia difficile metter su una emittente televisiva privata. Basta averne l’intenzione, i soldi, le debite conoscenze. Chi è in possesso di questi requisiti monta la struttura, organizza le trasmissioni con salotti politici, calcistici, quiz a premi, TG e pettegolezzi, rimpinza il tutto con sketch promozionali e il gioco è
fatto. Al suo sostentamento ci pensano i consumatori acquistando i prodotti che l’emittente reclamizza. Fa niente se qualche poveraccio telefona a una delle tante trasmissioni lagnandosi dei prezzi e dicendo che non ce la fa più ad arrivare a fine mese. Si nota chiaramente come la pubblicità aumenti di giorno in giorno, ora forse un po’ meno a causa della crisi. Sulle magliette dei calciatori è persino raddoppiata, in certi casi triplicata. In nessun Paese al mondo il calciatore viene pagato tanto come da noi ed è tanto sfruttato dalla pubblicità. I campi di gioco (e non solo) sono tappezzati di cartelloni pubblicitari, ora pure ruotanti e correnti, creando gioco nel gioco. Non a caso quando una squadra italiana gioca all’estero, si vedono a bordo campo quasi esclusivamente cartelloni pubblicitari nostrani, indirizzati ai consumatori italiani. Gli stadi sono proprietà dei comuni, che li affittano alle società di calcio. Queste società però non pagano l’affitto, lo paga il contribuente. Come paga le forze dell’ordine che accompagnano i tifosi e i relativi danni da loro compiuti. Non si può tuttavia negare, che la pubblicità sia una gran cosa. Quando è razionale. Quando è informazione. Quando è ricerca. Ma ci vuole più ricerca e meno pubblicità. La pubblicità svolge da noi il ruolo che svolge la ricerca presso i nostri concorrenti! Poi ci meravigliamo se i consumi non riprendono e la gente non ha soldi per comprare! Oppure li ha, ma gli vengono bruciati dai prezzi inflazionati dalla reclame, dal suo effetto deleterio e da altre anomalie tipicamente nostrane! Non si può comunque accollare tutta la colpa alla pubblicità. La società odierna offre cose invitanti di cui si desidera assaporarne il gusto: una bella casa, una bella auto, bei viaggi, bei vestiti. Ma pare che noi preferiamo spendere più in queste cose che investire laddove i risultati arrivano a lungo termine. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani… (vedi il debito pubblico!) La pubblicità genera introiti che noi nemmeno immaginiamo. Una nota dice che il gruppo Mediaset raccoglie da solo il 65% della pubblicità italiana. Mediaset è una società televisiva commerciale megagalattica che non esige il pagamento del canone. Ognuno è padrone di guardarla o non guardarla a secondo della simpatia o dell’antipatia che gli cagiona, senza spendere un centesimo. Fin qui tutto bene. I guai cominciano quando entriamo in un negozio a fare acquisti e ci troviamo dinanzi dei prezzi astronomici che le nostre esigenze
vitali ci costringono ad accettare. Non v’è luogo dove non arrivi la mano della pubblicità. Se quei baracconi fossero strutturati come nel resto d’Europa, con un carico di pubblicità inferiore a quello che abbiamo noi, ci ritroveremmo a fine anno almeno 2000 euro in tasca in più e potremmo anche noi, al pari dei nostri amici europei, onorare in maniera più piacevole il nostro fugace aggio sulla terra. E oltre al telefonino, che ci dà un illusorio senso di benessere, ci potremmo permettere qualcosa di più utile! I consumi riprenderebbero vigore, l’economia pure e ci toglieremmo di torno quel maledetto secondo fisco, anzi primissimo, non evadibile e forse anche illegale, che nulla ci dà in cambio dei soldi che ci prende, se non pubblicità e cinghia stretta. Il Meridione, eterno malato, potrebbe dare un maggiore impulso al turismo e all’agricoltura, risorse inesauribili. Ma la malavita organizzata e le infrastrutture arcaiche la fanno da padrone, l’analfabetismo dilaga e tutto ciò fa sì che la crescita sia utopia e mette in fuga la forza lavoro. E così sarà nei secoli dei secoli se non ci decidiamo una buona volta a mollare il nostro cronico immobilismo. Una recente statistica OCSE ci ha detto che i salari italiani lordi sono i più bassi d’Europa, il 32,3% sotto la media europea, agli ultimi posto su 30 Paesi. Guadagniamo il 44% in meno degli inglesi, il 32% degli irlandesi, il 28% dei tedeschi, il 18% dei si. Veniamo persino dietro la Spagna e le donne si devono accontentare di uno stipendio pari al 50% di quello di tutti i Paesi industrializzati. Ma siamo in testa per gli sprechi, gli stipendi dei politici e dei dirigenti, gli onorari dei divi e delle dive, dei calciatori, degli sportivi in genere… della mafia, ‘ndrangheta, camorra e dell’evasione fiscale… Il Corriere della Sera ci informa che anni fa, quando c’era ancora la lira, la velina Alba Pairetti ha rifiutato una offerta di Berlusconi di 9 miliardi per are a Mediaset! E i nostri politici non fanno che ripeterci dall’alto dei teleschermi che siamo i più bravi in questo e in quello, che usciremo prima degli altri dalla crisi, che le nostre banche sono le più forti, e così via. Si può mentire anche… a fin di bene? Lo possiamo verificare ora, con gli spread e tutto il resto! Se raffrontiamo le nostre TV con quelle estere l’impressione che si ricava è che, nonostante la grave crisi, le nostre TV, sia pubbliche sia private, non sappiano
dove buttare i (nostri) soldi. Quiz a premi a ogni ora del giorno, noiosissimi telegiornali e gr a raffica, asfissianti e ripetitivi, su tutti i canali, costosissime veline, strapagate star, legioni di cronisti e troupe in giro per l’Italia e per il mondo (non esistono più le agenzie di stampa?) e mi fermo qui perché l’elenco sarebbe ancora lungo! Gli interminabili contrasti tra governo e opposizione (col governo Monti un po’ meno) non assumono il ruolo di una “lotta” costruttiva e dialettica per il bene del Paese, sono solo il risultato degli infiniti salotti televisivi par condicio che ad altro non son buoni se non a fomentare tale lotta, fare scena e far sentire ai cittadini chi ha la voce più grossa (ma solo la voce). C’è da augurarsi che vi sia quanto prima, come il presidente Napolitano ripetutamente ci ricorda, un rinsavimento a tal proposito e che la politica produca anche fatti nei luoghi appropriati, ossia in Parlamento, e non solo chiacchiere, perché i cittadini pagano per questo tanti buoni soldoni e hanno quindi il diritto di avere alla loro guida gente seria e capace. Parlo troppo delle abitudini e dei costumi dei nordeuropei? Tempo fa è nevicato abbondantemente anche da noi e i treni hanno avuto difficoltà a funzionare. Ritardi ingiustificati, treni senza riscaldamento, furti ai bauli dalle auto dei eggeri. E mentre infuriava la bufera (di neve e di treni in avaria) il direttore delle ferrovie, se ne stava tranquillamente a Radio Anch’io a ciacolare. Era il 22 dicembre e dintorni, giornate campali per il flusso dei viaggiatori di Natale! Un ascoltatore telefona da casa che in Germania con i treni ci si può regolare l’orologio. Sempre quell’inverno, gli stadi italiani vengono chiusi per il maltempo (freddo e neve). Molti giornali scrivono che al Nordeuropa, nonostante il freddo e la neve di ben maggiore intensità, gli stadi sono perfettamente funzionanti, perché riscaldati e forniti di idonee attrezzature. Un grande handicap del nostro Paese è la mancanza di una autorevole opinione pubblica. Un esempio? All’estero i rappresentanti del precedente governo, dopo la disfatta, sarebbero ritornati al loro abituale lavoro, o quanto meno si metterebbero al riparo di una bella foglia di fico. Invece li vediamo pavonegguarsi da un talk show ad un altro, come degli eroi di ritorno da una trionfale campagna e magari ce li ritroviamo candidati alle prossime elezioni! Il ministero delle finanze tedesco acquista dalle banche svizzere le liste dei depositari dei conti correnti del loro Paese. Perché non lo facciamo anche noi? Magari al posto degli spot radio-televisivi che intendono dissuadere gli evasori
fiscali? Nessuno investe più in Italia? No, perché poi a comandare non sono le aziende, ma i sindacati. Sono consapevole che per intendere e legittimare le mie affermazioni sia necessario conoscere la mentalità dei Paesi cui mi riferisco, molto spesso agli antipodi rispetto alla nostra. Non a caso però, fascismo e nazismo si sono incrociati e hanno prolificato l’uno accanto all’altro.
Considerazioni… a rotta di collo
75 miliardi di euro è la cifra che paghiamo ogni anno per gli interessi del debito pubblico, in continua e inarrestabile ascesa e di cui nessuno parla. Perché non si fa nulla per ridurlo? Troppe aziende vengono tacciate di investire i loro profitti non nel rinnovamento tecnologico e nella ricerca, bensì nel mercato immobiliare… Domanda: a cosa servono i libri come La casta e similari? Risposta: a fare scuola! A insegnare a tutti a fare i furbetti! Le nostre infrastrutture, sia pubbliche sia private, sono indietro anni luce rispetto a quelle dei nostri concorrenti; nondimeno preferiamo sostenere le aziende sfaccendate, diceva l’ex ministro Brunetta, tipo Alitalia, FS e tante altre pagando ai manager di turno stipendi d’oro e ai dipendenti stipendi da fame… piuttosto che ammodernarsi! Professionisti, industriali e artigiani fanno a gara a esibire la SUV più lunga, più grossa e più lussuosa, alla faccia del contribuente che paga poi al fisco quello che non pagano loro. Non esiste una TV estera che inizi le trasmissioni giornaliere parlando di ciò che non va, le prosegua parlando di ciò che non va e le finisca parlando di ciò che non va, come fanno le nostre, fingendo di non capire che sono loro stesse le prime a non andare e tra le prime responsabili delle nostra critica situazione. Per attirare l’attenzione della gente, che altrimenti non riuscirebbero ad attirare, qualsiasi mezzo è lecito per i media, anche superare ogni limite di decenza e di buon senso. Il lupo, si dice, perde il pelo ma non il vizio. Anche questa l’ho sentita in TV: i Savoia sono fuggiti lasciandoci in balia degli ex alleati tedeschi e dei neo fascisti; i politici d’oggi ci lasciano in balia dei mafiosi, dei prezzi impossibili causati dalla pubblicità, degli immigrati clandestini per fini criminali.
Bisogna intendersi su questa crisi: c’è la crisi mondiale che interessa molti Paesi, compreso il nostro e c’è la nostra crisi, all’interno di quella stessa crisi. Muoiono gli operai nelle fabbriche e nei cantieri (si parla di una media di 4 al giorno) e se ne parla poco e malvolentieri, o affatto. Si parla di tanto in tanto della Thiessen-Krupp, poi tutto rimane uguale a prima. Perché non vanno i nostri esperti della sicurezza sul lavoro a dare un’occhiata alle realtà europee e alle loro statistiche e ne fanno poi tesoro? Fermo restando che le fatalità non potranno mai essere fermate. L’ex ministro degli Interni Maroni ha detto che la linea dura sull’emigrazione e sulla criminalità organizzata, funziona. Non sarebbe il caso allora di estenderla altresì alle scuole insegnando ai ragazzi con più incisività e severità l’educazione civica, senza durezza, ma con fermezza? Ogni tema che si discuta, straripa di cose che non vanno, o che vanno male. E più ci si inoltra nel tema, più lo straripamento assume forme catastrofiche. Ma finché se ne parla… Importa qualcosa ai ricchi se vi sono 15 milioni di indigenti nel nostro Paese? Proprio un fico! E’ un motivo in più per godere della propria ricchezza e dell’invidia che essa suscita ad esibirla. Realtà brutale, ma attuale! Perciò, signori: acquistiamo prodotti non reclamizzati! Acquistiamo prodotti non reclamizzati! Acquistiamo prodotti non reclamizzati! Perché esistono mafia, ‘ndrangheta e camorra? Si chiederà qualcuno. Risposta: perché sono più forti delle istituzioni! Ce lo meritiamo davvero questo bombardamento di TG e gr strillati e sbraitati, senza punti, virgole, punti e virgole, sempre più stressanti e nauseanti, talk show che ci snervano più di 50 martelli pneumatici e quel che ci costano in termini di dané…? Perché non si insegna loro, come un tempo, la debita dizione? Troppo spesso chiediamo che non i colpevoli vengano puniti, ma gli incolpevoli! Nessuno tocchi Caino! Più gente innocente riusciamo a rendere impunita, più ci sentiamo “umani”? Più pubblicità, più vendite? Vero il contrario! La pubblicità gonfia i prezzi rendendo impossibile l’accesso ai bassi redditi e stronca l’economia.
Ci stiamo scazzottando per una trasmissione televisiva che è stata spostata di un paio di giorni in favore di un’altra e rimaniamo indifferenti alle buche nelle strade, agli eccessi di velocità sulle strade, autostrade e in città, alle righe bianche e le zebre da tempo non visibili e tanto meno rispettate, ai lavori eseguiti trascurando le più elementari norme di sicurezza… alle navi affondate dalla mafia e giacenti sui fondali del mare nostrum e trasudanti radioattività… Il nostro nemico numero 1 è l’immobilismo. Ci sono frotte di signorotti feudali in circolazione che non ci permettono di ammodernarci per timore di perdere i loro “diritti”. Il governatore della Banca d’Italia si becca un’onorario ben quattro volte superiore a quello del suo collega americano. Poi ci stupiamo se i nostri stipendi sono i più bassi d’Europa! Gli immigrati continuano ad approdare alle nostre coste; ma perché le rondini hanno cessato di arrivare nei nostri villaggi? Perché abbiamo tolto loro i fili delle linee elettriche a sbalzo sulle case e sui piloni e li abbiamo sotterrati! Le autostrade nordeuropee sembrano essere schizzate fuori dalla natura che le circonda, così come le aere di servizio, i parcheggi, gli hotel... e per di più sono anche gratis… Ovunque si posi lo sguardo, su qualsivoglia manufatto, si trova qualcosa da ridire, se non subito, col tempo. Ma si ritrova pure qualcosa di arcaico e primordiale, dunque prezioso, che non si trova altrove, cancellato dal progresso assoluto. Molti emigrati italiani al Nordeuropea agli inizi degli anni ‘60, vivevano nelle baracche. Ciò veniva criticato dai nostri media. Io le ho conosciute, quelle baracche, ci ho anche abitato: erano pulite, attrezzate, riscaldate, insomma confortevoli! Quando vedo dove vivono oggi da noi moltissimi immigrati, mi si drizzano e capelli! Cosa dovrebbero scrivere i giornali dei loro Paesi di provenienza? E’ matematicamente provato: più pubblicità uguale a meno competitività! La corsa alla pubblicità inoltre, condiziona e stravolge non solo i media nostrani, ma pure la vita politica ed economica. Sembra quasi che la politica si faccia per poterne discutere nei vari salotti TV, alla radio, scriverne sui giornali, non per risolvere i problemi della gente. Come partite di calcio.
Al posto di trasmissioni tipo Il Grande Fratello, La Fattoria, L’Isola dei famosi, ecc. la TV tedesca ne propone di ben altro tipo. Una di queste si chiama Vuoi diventare cancelliere? I concorrenti si misurano su ciò che farebbero se fossero al posto della signora Merkel. Il miglior proponente vince l’equivalente di un mese di stipendio della cancelliera: 15.832,79 euro! Una trovata furbetta della Rai e di alcune TV commerciali per spillare ulteriore danaro ai telespettatori è di proporre nel corso delle trasmissioni di maggior ascolto, quelle da 5 milioni di audience, delle domandine cui anche un ragazzino delle elementari è in grado di rispondere. Le risposte vanno inviate via sms al costo di un euro. Al vincitore viene corrisposto un buono acquisto in alimenti pari a 1000 euro. Si può immaginare, con i tempi che corrono, come centinaia di migliaia di persone, forse milioni, aderiscano a questi mini quiz a pagamento, facendo incassare milioni ai furbacchioni in cambio di un buono di 1000 euro! Ai giochi a premi delle nostre TV, con domande che richiedono risposte da indovini e non da competenti, potrebbero partecipare anche gli analfabeti, non sono solo i laureati! Mi permetto queste critiche perché io pago il canone della RAI. Quando il 50% degli italiani, ce lo ha detto Berlusconi, non lo paga. E pago pure le tasse (da cui arrivano i contributi statali a Mamma Rai) e acquisto (per forza di cose) i prodotti che essa pubblicizza. Da un gr del 19.04.2010: “La Rai, Radio, Televisione italiana, è l’emittente pubblica più ricca d’Europa!” Qualcuno ha forse dei dubbi? Con tutta la pubblicità che ci fa pagare… Camionisti e operai, impiegati e artigiani, persino imprenditori del Nordeuropa, si portano il panino da casa e la bevanda del supermercato per la colazione di mezzogiorno, che comporta un costo di 4-5 euro contro i 15-20 euro del ristorante di noi italiani. Così loro si ritrovano a fine mese 200-300 euro in tasca in più di noi, 2400-3000 euro l’anno! Da noi l’informazione è controllata dai potenti e gli extracomunitari sono la concorrenza (spesso sana) dei nostri operai. La TV ci ha informati che la più grande azienda del Paese è la mafia con 120 miliardi di fatturato (si fa per dire) all’anno.
Oltre ai prezzi dei beni di consumo, mobili e immobili più alti d’Europa (a Berlino, la nuova capitale d’Europa, un appartamento costa ¼ di quanto ne costa uno analogo a Roma, la capitale di ieri, anzi dell’altro ieri), abbiamo anche i tassi di interesse più alti. Perché? Perché i bancari sono in esubero, sono i più inefficienti d’Europa e i più pagati e vengono assunti con metodi clientelari, com’è costume anche in molti altri settori. Ecco una mini lista di lavori tipicamente nostrani: 35.000 forestali in Sicilia, 38.000 in Calabria, 34.000 in Puglia… 300 (trecento) in Veneto… 2200 spazzini a Napoli… Seguendo prima le radio e le TV europee, poi le nostre (o viceversa), si ha la sensazione, ripeto, che le nostre non sappiano dove buttare i soldi (di contribuenti e consumatori). Eppure registriamo una recessione del PIL del 5,2%; ma di questo le nostre radio e TV non sono evidentemente informate! Una sgarberia dei nostri i radio-TV è quella di interrompere l’interpellato mentre sta ancora dicendo la sua. Dare la preferenza alla forma più che alla sostanza? E’ ciò che accade in TV. Allestiamo gli studi più lussuosi e costosi del mondo con frotte di presentatori sparsi nelle varie trasmissioni e frotte di giornalisti sparsi ovunque nel mondo (ci sarebbero le più economiche agenzie di stampa) e frotte di spettatori pagati e frotte di veline fatte e rifatte a qualsiasi ora del giorno e della notte e feste e anniversari tutti i giorni per ricordare eventi che nessuno ricorda (ma ve ne sono anche di importanti). Non si potrebbe arrangiare qualcosa di più utile e meno costoso per favorire il consumatore e spendere meglio i soldi del contribuente? Pare quasi assodato che da noi le parole abbiano suoni e significati diversi che nel resto del pianeta, soprattutto in TV, sui giornali, alla radio, nei bar, nella politica. Cantate, gridate o sussurrate sono le più belle e suggestive di tutte: peccato che il vento se le porti… appena dette! Non v’è Paese occidentale dove il premier venga rieletto a distanza di legislature. Viene rieletto a fine mandato se l’elettore lo ritiene meritevole, altrimenti sparisce dalla circolazione e se ne torna buono buono alla professione originaria. E’ mia opinione che Berlusconi possa essere Berlusconi, sia come imprenditore che come politico, solo in Italia; come Hitler ha potuto essere Hitler in
Germania, Napoleone in Francia. E in particolari momenti storici. Se come premier Berlusconi può esser considerato un buon premier, a seconda dei punti di vista naturalmente, come imprenditore può esser considerato un profittatore? Certo! Anche qui “a seconda dei punti di vista”! Perché? Perché per alimentare il suo impero mediatico (radio, televisione, editoria) sta rastrellando miliardi di euro di salatissima pubblicità (è comunque in buona compagnia), che viene pagata in egual misura con la borsa della spesa sia dal milionario che dalla vecchietta con pensione di 350 euro al mese! Perché è possibile questo? Perché da noi non esiste la vera concorrenza e ancor meno la vera opinione pubblica e i prezzi dei prodotti si prestano pertanto a qualsiasi prelievo! Dall’assiduità con cui molti politici presenziano ai talk show (molti di loro escono da un salotto per infilarsi subito in un altro), sembra che siano stati eletti per questo scopo… o che non posseggano una casa dove andare. In uno degli innumerevoli dibattiti televisivi cui partecipano politici e giornalisti, una giovane giornalista araba, da anni in Italia, in merito all’affermazione dell’on. Fini che “la polizia non può fare di più per la mancanza di fondi”, ribatte: “Basterebbe ridurre i costi della politica, così ci sarebbero i soldi per la polizia.” Come tutti coloro che seguivano il dibattito, presumo, anch’io fremevo di conoscere la risposta del politico; risposta, però, che l’interpellato ha preferito tenere per sé. Sempre a proposito di dibattiti radio-TV e dell’invasione sempre più massiccia dei politici, il presidente Napoletano ha detto che questo fenomeno comporta una perdita di dignità della politica. Parole, parol…, par…, pa... Beghe e liti, liti e beghe. Liti e beghe tra maggioranza e opposizione, tra partiti di coalizione, tra correnti di partito. Dalle 6 del mattino a notte fonda, dalle nostre innumerevoli TV, dalle pagine degli innumerevoli giornali finanziati dal contribuente non si assiste ad altro. Politici di ogni colore, di governo e opposizione, se le danno di santa ragione: uno spettacolo penoso! Cambierà? Speriamo! Abbiamo toccato il fondo… “Sono imbarazzato, non so come chiamarla: segretaria, segretario…” disse il e alla segretaria della CGIL Camusso, che partecipava alla sua trasmissione e che sorrideva altrettanto imbarazzata. Ci voleva tanto a chiamarla signora Camusso?
Ogni anno in Italia più di 1.000 pedoni vengono spediti al Creatore mentre usano le strisce pedonali (di solito pressoché invisibili)! Poi andiamo in giro per il mondo a predicare la moratoria della pena di morte per gli assassini… Dobbiamo ridurre le spese della stato, si sente flebilmente sussurrare ogni tanto. Ma nessuno ha il coraggio di metterci mano e assumersi la responsabilità di trasformare i parassiti in disoccupati, mettendo in forse voti e popolarità. Con quel che ci costa un canale TV, con tutti quei divi pagati e strapagati, veline strapagate, abiti di famosi stilisti e chi più ne ha più ne metta, all’estero ne finanziano 10 di canali, molto più educativi e divertenti dei nostri. Mandiamo migliaia di soldati in missione all’estero e poi non abbiamo i soldi per comprare la benzina alla polizia, per coprire le buche delle strade, per… per… per… Il clientelismo in TV è più evidente che in altri settori. Si nota benissimo come i e giornalisti, attori e direttori ne facciano uso e abuso. Io do una mano a te, tu dai una mano a me. Siamo troppo provinciali? Può darsi! Sta di fatto che non siamo in grado, complice il solito metastatico buonismo e perbenismo, di creare privacy, rispetto e rigore sociale e dare vita a un’opinione pubblica autorevole e decisionale. Qualche esempio dalla TV: presentatori che si muovono girando attorno agli ospiti come inquisitori, che si pongono alle loro spalle, che entrano in scena come primedonne quando tutti hanno già preso posto, 3-4-5-6 e più i per trasmissioni senza pretese che danno del “tu” a tutti, dibattiti politici tra due fronti, di qua l’opposizione, di là la maggioranza e che arrivano inevitabilmente al battibecco come galli in un pollaio. E ci perdiamo in chiacchiere senza senso fino a notte alta… pur di dire qualcosa, trascurando alla resa dei conti le cose importanti. Attenzione: noi stiamo ancora discutendo se adottare impianti di smaltimento rifiuti di terza o quarta generazione! In Germania, dove esportiamo parte della nostra immondizia, sono giunti alla conclusione che il tipo di raccolta differenziata eseguito fino ad ora non offre alcun vantaggio, che è sufficiente dividere secco e umido. Ed è già in funzione a Kassel un impianto campione di questo tipo. Frankfurter Zeitung, novembre 2008, a proposito dei commenti del presidente
Napoletano sulla battaglia di Al Alamein, combattuta da italiani e tedeschi 65 anni fa fianco a fianco e ormai fuori luogo secondo il quotidiano tedesco; che commenta: “Per qualcuno la seconda guerra mondiale non è ancora terminata!” I ricordi sono una parte importante della nostra vita; ma non sarebbe più saggio tenerceli dentro e citare preferibilmente eventi a noi più vicini e attuali e più utili per il cittadino? Portare un ministro, o altri personaggi famosi, ad un telegiornale per pochi secondi, come si usa (e abusa) va di moda, ma il risultato è quello di sprecare i soldi dell’utente! Un bello shock ha causato, un anno fa, al e televisivo Corrado Augias di Rai 3 una tabella riportata dal Sole 24 Ore e discussa nella sua trasmissione col direttore del quotidiano stesso. La tabella divideva in tre gruppi i Paesi dell’UE, secondo la loro posizione politica, economica, culturale e scolastica. Nel primo gruppo figuravano i soliti virtuosi, Germania, Francia e Regno Unito. In loro compagnia c’era pure la Spagna; e fu proprio questo a suscitare lo stupore del dott. Augias, giacché “fino a qualche tempo fa”, disse, “la Spagna ci seguiva a distanza e con affanno”. L’Italia stava non nel secondo gruppo, bensì nel terzo, insieme a Grecia e Portogallo. Con tutto il rispetto per i due Paesi citati, penso che la nostra posizione abbia shockato non solo il dott. Augias, ma molti altri italiani. Mi pare scontato che con la crisi in atto, le mie considerazioni (stipendi e pensioni bassi e con basso potere d’acquisto, prezzi esorbitanti, pubblicità, ecc.) facciano alzare sì e no qualche sopracciglio e nascer qualche sorrisino sotto i baffi (anche a chi non li ha). Ma la speranza è l’ultima a morire e a volte anche considerazioni ingenue e lacrimose come le mie possono ottenere, più di quel che si pensa, effetti incisivi come una cannonata. Volli, volli, volli, fortemente volli… Una legge, da poco varata, stabilisce che la presenza dell’Autovelox sulle strade deve essere segnalata almeno 400 metri prima del punto in cui esso si trova. Ma in 400 metri non può un’automobile fermarsi e invertire la marcia oppure, se viaggia a 200 all’ora, ridurre la velocità fino al limite consentito? A che serve l’Autovelox a questo punto? Sarebbe bello saperlo! A me non costa nulla metter la freccia quando cambio direzione di marcia perché mi hanno insegnato che così si fa, e basta. Mi costa invece una bella incavolata
quando non la mettono gli altri, perché creano il rischio di sbattergli contro. Ho fatto una verifica sulle infrazioni che vengono compiute dagli automobilisti circa i limiti di velocità e i divieti di soro, percorrendo un tratto di strada a quattro corsie di una ventina di chilometri, andata e ritorno e a pendenza quasi zero. La velocità consentita era di 90 km/h, eccetto in due brevi tratti che scendeva a 70 km/h e io rispettavo con la massima precisione i limiti indicati. Ebbene, mi spiace dirlo, ma non un’automobile, che sia una, è rimasta a lungo nella mia scia! Spesso citiamo il Sudamerica come termine di paragone negativo. Ma è davvero un paragone a misura? Un paio d’anni fa ho acquistato una confezione da tre fiale per delle infiltrazioni alle ginocchia di mia moglie e l’ho pagata 54,60 euro. Il prezzo mi parve alto e per la mia tranquillità ho consultato per telefono una farmacia austriaca: la stessa confezione costava 44,20 euro. Ho consultato anche una farmacia tedesca dove la stessa confezione costava 42,10 euro! Siccome di quelle confezioni me ne serviranno in futuro molte altre, ho concluso che mi converrebbe compiere qualche gita (scontata dal costo delle fiale) in quei Paesi. L’Italia, nella sua corsa verso il benessere generalizzato, ha bisogno del federalismo. Ogni singola regione deve essere posta in una situazione di sana competizione, in modo che tutte possano imparare a camminare con le proprie gambe in una efficiente autonomia. Lo stivale è lungo, ogni regione conosce meglio degli altri le proprie caratteristiche e sa come giostrare i propri interventi, dovendo muoversi entri i limiti del relativo budget. Solo così si riuscirà a eliminare le mafie, l’assistenzialismo e il clientelismo e gli sprechi di danaro pubblico. Ancora non ci importa, come telespettatori, se i politici, oltre che apparire in TV, facciano anche il loro lavoro, perché proprio la TV, col prestigio che noi le conferiamo, giustifica il loro atteggiamento. Ma un giorno, come elettori, potremmo anche chiederci: “Ma questi signori, non hanno altro da fare che andare in TV?” Anno 2011. L’immondizia di Napoli raggiunge più volte i piani superiori delle case e infuria la lotta dei dimostranti contro la polizia. La TV ci trasmette alla nausea quelle scene. Ci trasmette alla nausea pure l’omicidio della povera Sarah,
dei pettegolezzi e dei flirt, presunti o veri, di dive e divi. Sui canali tedeschi mi imbatto in una trasmissione, guarda caso, che tratta di rifiuti. Mostrano quel che si fa in Germania coi rifiuti. Ci ricavano energia elettrica, bottiglie di plastica, materiale tessile (in Cina ci fanno poi dei maglioni che ritornano in Germania), con le gomme d’auto dismesse (molte delle quali sono ancora utilizzabili) fanno tappeti, piastrelle e molte altre cose utili, col vetro, tra le tante cose possibili, fanno le righe bianche stradali riflettenti. Ma perché, mi chiedo, non facciamo noi altrettanto? Perché non trasformiamo anche noi i nostri rifiuti da costi salatissimi in guadagno sonante? Misteri nostrani! Settembre 2011: il Corriere della sera ci ha fa sapere che, da come girano le cose, noi italiani siamo schiavi del Nordeuropa. Certo, se iamo le giornate a ciarlare in TV, alla radio e sui giornali della Libia, di Strauss-Kahn, di Deborah solo per perder tempo, spender soldi e riempire gli spazi mediatici, lo saremo di sicuro! Ma c’è davvero da meravigliarsi? Un consiglio della cancelliera tedesca Merkel per evitare che le donne delle pulizie vengano violentate: impiegare donne al posto di quei tipi di uomini, esse non violentano le donne. Una barzelletta su Strauss-Kahn. Egli non può più diventare presidente se? E’ vero; ma può aspirare a diventare il successore di Berlusconi. Oggi in Italia ogni cosa ruota attorno ai mass media. Alla faccia di chi paga la pubblicità e le tasse, ossia dei consumatori e dei contribuenti. Pur nella crisi l’esportazione un poco tira, ma il mercato interno è paralizzato! La gente non ha soldi e i prezzi sono fuori della loro portata. C’è una sola via di salvezza: eliminare l’incidenza della pubblicità, o gran parte di essa, sui prodotti! Siamo fermi da più di 20 anni! E ci meravigliamo? Siamo davvero in troppi a mangiare e in troppo pochi a produrre. Cambiamo i fattori e cambieranno le cose! Troppi sono i profittatori che fanno dell’informazione (indiscrezioni, curiosità, gossip, cronache, ecc.) la loro redditizia attività (spesso ata da contributi statali), con i costi che sempre e solo sui consumatori ricadono. Via Crucis al Colosseo. Stupenda cornice di storia e di folla, davvero! Ma ridicoli e innaturali, e pesci fuor d’acqua, i lettori professionisti che si
avvicendano nella lettura del testo evangelico. Semplicemente teatrali! E chissà quanto si beccano dalla Rai… visti gli onorari degli ospiti a Sanremo e altrove!
Schermo, teleschermo delle mie brame!
Come abbiamo visto da noi la pubblicità ha facile credito, quindi facile cammino. Scorre su binari d’oro perfettamente assistiti e oleati. Spesso è la mistificazione di persone e cose a discapito della qualità, della tecnologia, della convenienza e dell’etica. Ho osservato e studiato per oltre cinquanta anni i nostri vicini e competitori, ho letto di loro, li ho ascoltati, seguiti con l’occhio e l’orecchio del giudice imparziale e sono giunto alla conclusione che hanno ben poche affinità con noi. E noi con loro. Modi di vedere e di pensare diversi, sovente opposti. Non si tratta di veder nero a tutti i costi; ma se vogliamo esser competitivi, qualcosa dovremo cambiare noi… o far cambiare a loro. Guardiamo un attimo alla pubblicità. Noi, lo ripeto alla noia, ne movimentiamo una massa molto più grande della loro e su tutti i mezzi d’informazione. La pubblicità fa lievitare i costi, quindi i prezzi, riducendo il potere d’acquisto di stipendi e pensioni, frenando la crescita, spesso bloccandola. Ciò avviene ormai da venti anni, da quando la pubblicità ha subito una furiosa impennata! Se vogliamo rimettere in moto l’economia dobbiamo ridurla drasticamente. E già le nostre armi si sono spuntate, si sono fatte antiquate e inefficaci. Con armi simili non sì è mai combinato granché, men che meno in tempi di magra come quelli attuali. Siam scesi al 43esimo posto nella competitività e nella classifica dei Paesi più corrotti siamo davanti a molti Paesi africani. Nel resto d’Europa la pubblicità riveste un ruolo molto più marginale che da noi e viene considerata per quello che è. Essa incide molto meno che da noi sui costi, quindi sui prezzi, che sono determinati dalla concorrenza, dall’oculatezza del consumatore e dal costo reale del prodotto. Non esistono ovunque tabelloni inneggianti a questo o a quel prodotto e i media sembrano rami secchi rispetto a come sono rigogliosi i nostri. La reclame, fuori dai nostri confini, viene giudicata più rischiosa di un boomerang, che pochi hanno il coraggio o l’ottusità di lanciare per non rischiare di prenderselo sul naso. Da noi poi, sketch e campagne promozionali sono ate da costosissimi testimonials che dilagano con disarmante normalità, tanto che il consumatore indaffarato e poco attento, e soprattutto senza problemi di portafogli, nemmeno
ne avverte l’esistenza. L’avverte invece, eccome!, colui che i problemi di portafogli ce li ha e tuttavia non riesce a rendersi conto da che parte essi provengano. Da quel che si può intravedere, si può dedurre che da noi la pubblicità ha libertà di fare e disfare la tela a proprio totale piacimento. Può tramare contro di noi puntandoci i riflettori negli occhi e nasconderci le sue mire mostrandoci immagini fallaci e fuorvianti e facendoci capire che vuole il nostro bene. E se un giorno la sua voracità arrivasse a occupare ogni spazio della TV, della radio e dei giornali, se le case e i palazzi venissero tappezzati come arlecchini di cartelloni inneggianti a questo o a quel prodotto, nessuno ci troverebbe da ridire, nemmeno se i prezzi raddoppiassero e i poveri cristi triplicassero. Siamo brava gente e seguiteremmo ad esserlo, acquistando magari un po’ meno, ma facendolo fino all’ultimo respiro. Nessuna associazione di qualcosa verrebbe in nostro aiuto, fino a che caterve di cadaveri, frutto della pubblicità, non si ergessero come montagne nelle nostre strade e nelle nostre piazze e nessuno ci ringrazierebbe per il nostro sacrificio, ma con una pedata ben assestata nel di dietro ci toglierebbe di mezzo e continuerebbe a farlo, come si fa con le cose fattesi inutili, fino a che cadaveri non diventerebbero pure loro! E’ troppo radicato in noi il convincimento che un prodotto per esser di qualità e venir preso in considerazione debba apparire almeno venti volte in TV e che la sua comparsa sul piccolo schermo garantisca più del prezzo e del marchio di qualità. Tale modo di pensare filosofico andrebbe estirpato in nome della competitività e della convenienza, come si è fatto con le ideologie totalitarie, denazifizzando, defascisticizzando e decomunistifizzando chi era cresciuto e maturato con quei dogmi impiantati nel cervello. Dunque, per avere stipendi più alti e prezzi più bassi e far sì che la nostra crisi nella crisi finalmente cessi, non ci rimane che depubblicizzare! E questo si può fare solo così: cessando di acquistare i prodotti troppo reclamizzati! Tutto noi vogliamo far are attraverso la “magia” del teleschermo per dargli quella patina di credibilità e notorietà che ci pare indispensabile. E se un prodotto già noto, quindi già caro, cessasse di fare propaganda e riducesse i prezzi, molti si asterrebbero dal comprarlo temendo un calo di qualità, se non la bancarotta del produttore.
La reclame introduce il prodotto sul mercato quando nasce e lo segue per tutta la sua durata commerciale per evitare che si crei sconcerto nel consumatore sulla sua validità e ne pregiudichi l’acquisto, rendendolo sempre più caro. Della pubblicità si può dunque dire, anzi ribadire, che arricchisca pochi e affami molti. La mia semplicità di uomo della strada mi porta a essere ripetitivo e batto spesso e di proposito su questo tasto. Ma voglio essere compreso nelle mie affermazioni. Siamo in pochi a produrre e in troppi a campare alle spalle di chi produce. Pensiamo di esser furbi e lo siamo meno di quel che pensiamo. Siamo tanto buoni da ammirare più chi non paga un centesimo di tasse, di chi le paga fino all’ultimo, che riteniamo stupidotto). Non è nei miei intenti demonizzare la pubblicità. Ma sono del parere che sia dannoso e disonesto farne un uso indiscriminato approfittando dell’attrazione che subiamo per essa. E dunque, per i motivi che ho più volte detti e ridetti, ribadisco che il suo abuso non è affatto utile, bensì dannoso. Il teleschermo, sempre più farcito di sketch promozionali, ci gioca dei brutti scherzi. Oltre a rubarci i soldi, ci porta in casa milioni di emigranti; i quali, ammirando a casa loro gli effimeri mondi della nostra TV e ritenendoli realtà, lasciano casa e famiglia e al termine di costosissimi e rischiosissimi viaggi per terra e per mare approdano alle coste del bel Paese, dipinto dalla pubblicità come il luogo delle fate e dei bengodi. Chi non si è lasciato incantare dai nostri teleschermi, scendendo a frotte nelle nostre contrade abbagliati dai lustrini della reclame, sono stati i popoli nordici. Essi non si sono lasciati incantare neppure dai loro propri teleschermi correndo ad acquistare ciò che gli veniva proposto, contenendo in tal modo, a differenza di noi, la peste pubblicitaria. Per convincere quella brava gente ad acquistare un prodotto ci vuole ben altro che un divo del cinema o del pallone. Ci vuole qualità e convenienza e la certezza che siano contenute nel prodotto. Questa certezza si acquisisce conoscendo le proprie qualità e capacità produttive, fattori che valgono più di un’asserzione propagandistica. E pur con questo la reclame di ragioni per esistere ne possiede in quantità. Introducendo, ad esempio, le novità sul mercato; quando è informazione; quando non ci bombarda di slogan e messaggi fino allo stordimento per indurci ad acquistare ciò per cui è stata assoldata; quando non è violenza come stuprare una donna o torturare un prigioniero; quando non ci alleggerisce il portafogli contro
la nostra volontà; quando non profitta della nostra debolezza mantenendo i costi entro limiti di decenza e non ci spreme come un limone; quando ci dà possibilità di scelta; quando è democrazia; quando non trasforma il messaggio promozionale in uno specchio delle proprie e, soprattutto, delle altrui brame.*** Sto sfogliando quella rivista amburghese per signore di cui ho già accennato e che mia moglie acquista ormai da anni e non trovo un accenno, che sia uno, alla vita privata di divi e calciatori, di politici e miliardari, di cui le nostre riviste abbondano. In cambio ci sono pagine di pubblica utilità per la donna e il suo benessere, per la cura del suo corpo, esperienze di vita di persone comuni narrate dalle stesse, ricette di cucina, informazioni sulle nuove tecnologie. Pochissima pubblicità. In terza pagina un breve articolo dà notizia dell’inaugurazione di una gigantesca pala eolica nella Frisia orientale, di gran lunga la più grande del mondo. Misura 183 metri in altezza e il blocco-dinamo ha una superficie di 100 metri quadri con piazzola d’atterraggio per l’elicottero della manutenzione. Essa è in grado di soddisfare il fabbisogno di elettricità per 5000 appartamenti. “Siamo impressionati”, commenta l’articolista, naturalmente donna. Onestamente lo sono anch’io e preferisco tralasciare ogni commento. Le TV pubbliche nordeuropee sono sostenute dal canone di abbonamento, che è più caro del nostro di circa 100 euro, ma che in cambio risparmia il telespettatore dal supplizio della pubblicità. Le emittenti commerciali campano come le nostre con i proventi della pubblicità, in dosi tuttavia molto più ridotte. Ci sono anche le emittenti che vendono beni, viaggi, maghi e sesso come normalissimi negozi, sostenendosi con i propri introiti. Chi vuole qualcosa di speciale, paga. Non si scaricano i costi sui consumatori. Esiste inoltre la vera concorrenza e nessuno, ripeto, è obbligato a pagare le emittenti pubbliche con la borsa della spesa e poco anche le private, non essendovi competitività tra di loro, cosa che permette una maggior qualità dei palinsesti e più obiettività. L’azione della pubblicità sarà anche a norma di legge, ma non ci aiuta certo ad essere competitivi nei confronti dei nostri concorrenti; che non sono chiamati come noi a contribuire a questo fisco privato, più caro di quello statale, che in cambio null’altro ci offre se non i prezzi più alti d’Europa, gli stipendi e le pensioni più bassi, tranne quelli agli alti livelli (scandalosamente più alti), il tutto con il minor potere d’acquisto. Fisco insaziabile, consapevole di avere a disposizione una miniera d’oro inesauribile che può sfruttare a piacimento col tacito, o ignaro, consenso del
consumatore. Solo una forte opinione pubblica potrebbe contrastarlo come succede altrove; ma questa forza comune non esiste nella nostra realtà e nemmeno esiste una istituzione pubblica di qualche cosa col compito, e il coraggio, di intervenire regolando questa ruberia legalizzata, facendo sì che il consumatore sia protetto dalle rapine di questo fisco privato in continuo e inarrestabile sviluppo. E in continuo aumento è il suo volume propagandistico che scarica indiscriminatamente i suoi balzelli sulle spalle dei consumatori, rallentando sempre più i consumi e incoraggiando i suoi utilizzatori a servirsene in sempre maggior misura, scarnificando qualità e ricerca e portando l’economia del Paese allo spasimo. Chissà che con questa grave crisi in atto qualcuno non se ne ravveda e intervenga con forza e decisione! L’idea di creare le TV commerciali è stata senza dubbio un’idea geniale; ma chi l’ha concepita non aveva certo a cuore la competitività dei prezzi e la loro sostenibilità da parte del consumatore, bensì il proprio unico interesse. E le istituzioni che ne hanno autorizzato l’attuazione non si sono certo poste il problema di chi, la pubblicità, doveva finanziarla. Nessuno si è preoccupato della voracità dei cacciatori di frequenze controllando quel paradossale giro parassitico a carico del consumatore, formato dalle TV commerciali. Non sarà facile uscirne fuori. Le TV commerciali ci sono e vivono di pubblicità. Sono le sanguisughe dei prezzi, una realtà con migliaia di posti di lavoro. E ce le dobbiamo “ciucciare”; anche se la ragione, e soprattutto la logica, suggerirebbero di eliminarne una buona parte in favore della competitività delle nostre aziende, soprattutto sul mercato interno, attuando una ragionevole riduzione dei prezzi. Il mercato interno assorbe il 75% della produzione e decide della nostra ripresa o non ripresa, dei nostri bassi salari e del loro potere d’acquisto. La TV pubblica è quindi doppiamente truffaldina. Oltre ai soldi del canone, incassa i miliardi della pubblicità e i contributi dello stato e si adopra in una spietata concorrenza con le TV private con tutte le conseguenze che ne conseguono in termini di costi e qualità. La TV di stato dovrebbe avere più rispetto per chi la sostiene finanziariamente. Il 2007 è stato un anno record d’incassi in pubblicità per la Rai, il 2008 lo è stato anche di più e pare che lo sia pure il 2009, il 2010 e il 2011, in barba alla crisi in atto. Così i costi salgono a livelli sempre più alti, ricadono poi sui prezzi e soffocando impietosamente l’economia.
Nei Paesi d’oltralpe gli stipendi sono più elevati che da noi, quelli ai vertici più bassi, i prezzi al consumo più retti, spesso, come abbiamo visto, in notevole misura e il potere d’acquisto in molti casi di gran lunga superiore al nostro. Non ci è dato di conoscere gli introiti (reali) della pubblicità di radio, TV pubbliche e private e media in generale: ci verrebbero le traveggole, pur contando sul fatto che a sostenerli siamo 60 milioni di consumatori. L’idea di creare questi carrozzoni televisivi avvalendosi dei proventi della pubblicità è stata certamente ingegnosa, ma al tempo stesso piratesca e ladresca. L’idea è stata degli americani, noi l’abbiamo copiata a modo nostro. Ma in America la gente, oltre a essere più ricca, paga pure le tasse, è cinque volte più numerosa e gli sprechi di danaro pubblico sono meno fattibili che da noi. L’ISTAT ci fa sapere a tal proposito che i nostri sprechi di danaro pubblico ammontano a 49 miliardi di euro l’anno. Per uno spot TV si pagano anche 200 milioni di euro e in taluni casi miliardi. Lascio alla facoltà di intendere e volere di chi mi legge ogni debita conclusione e una volta di più lascio da parte ogni commento. Se avessimo una visione più chiara di come sono organizzati gli altri Paesi dell’EU in fatto di infrastrutture pubbliche e private, una cosa ci sorprenderebbe: la quasi totale mancanza da noi di grandi opere pubbliche e private di recente realizzazione e quelle che esistono sono robe d’altri tempi. Siamo statici e impotenti e i governi prediligono le spese che portano voti. La nostra competitività è andata a farsi friggere e questa è una delle ragioni della nostra crisi nella crisi; e lo sarà sempre di più se non ci decidiamo a metterci una pezza. Del primo governo Berlusconi ho apprezzata la volontà di fare e costruire. Mi ha colpito la sua affermazione: “Vorrei trasformare l’Italia in un grande cantiere”. Ma non lo ha fatto! E non lo ha fatto neanche in seguito quando ne ha avuta di nuovo la possibilità. Così le statistiche insistono a dirci che siamo gli ultimi dove sarebbe meglio essere i primi e i primi dove sarebbe meglio essere gli ultimi. Tornando alla pubblicità e ai suoi costi irrazionali, non posso che ribadire quanto appena detto: che riducendo la pubblicità anche di una piccola percentuale, e riducendo di conseguenza i prezzi, i consumi tornerebbero a salire, l’economia migliorerebbe, l’occupazione pure, i quattrini tornerebbero allo scoperto come acqua che sgorga dalle rocce e le finanziarie ci presenterebbero conti meno salati. E a quel punto anche le opere pubbliche, come il ponte sullo stretto e le
infrastrutture per arrivarci, sarebbero realizzabili! Ma i signori della pubblicità non la pensano certo come me. Troppo ingenti e facili sono i loro introiti per potervi rinunciare, seppur in minima parte. Quegli introiti sono a dir poco inimmaginabili per noi, uomini della strada. La reclame conduce azioni a largo raggio senza scrupoli e 60 milioni di consumatori, volenti o nolenti, contribuiscono a riempire le sue casse. Un giorno la corda si spezzerà; ma intanto molti avranno spezzato la cinghia dei pantaloni a furia di tirarla... E fosse solo questo il lato negativo della faccenda! Gran parte dei proventi della reclame vanno all’estero per l’acquisto di attrezzature, film, materiali, modelle e modelli (non devono essere troppo nostrani) e solo una piccola parte ci viene tornata sotto forma di programmi TV che, come abbiamo visto, ci costano dai 2000 ai 3000 euro l’anno a testa e che ognuno di noi è chiamato a pagare con la borsa della spesa e con gli stipendi più bassi d’Europa. Sommiamoci pure gli onorari spropositati dei vip che bazzicano all’interno di quei carrozzoni e che le varie emittenti si confezionano su misura e si contendono poi a suon di milioni e la frittata è fatta. E che frittata! L’Olimpo degli dèi della reclame è assolutamente irrispettoso verso chi lotta strenuamente per arrivare a fine mese; ed è vergognoso che proliferi tanto in un Paese civile, o presunto tale. Le autorità competenti dovrebbero intervenire! Considerando le super eleganti, super pagate e super inutili presentatrici televisive e le innumerevoli veline che con la sola presenza, o girando un paio di volte sui tacchi in un’ora o poco più di apparizione si beccano ingaggi da nababbo in totale dispregio per la moderatezza che richiederebbe la difficile situazione economica del momento, ci vien da vomitare! I responsabili dovrebbero avvertire atroci sensi di colpa pensando ai milioni di poveri cristi che con 400-500 euro al mese di pensione devono non solo campare, ma altresì contribuire ai costi di quei pazzeschi ingaggi! Per amor di chiarezza affronterò più compiutamente la pubblicità televisiva, quella che più grava sul consumatore, non dimenticando tuttavia quella delle numerose radio e TV locali che reclamizzano il ristorante del quartiere, il negozio sotto casa, la sagra rionale e il centro commerciale, quella dei giornali, delle riviste, dei cartelloni. Ma chi ha occhi per vedere e orecchie per sentire queste cose le vede e le sente quanto me e può farsi quindi un’idea di quanto il tema in questione sia ampio e articolato, e preoccupante, e di quanta gente siamo
costretti ad arricchire. E quivi giunti mi sento nuovamente in dovere di ribadire la solita, noiosa litania: non sarebbe tanto grave se anche i nostri concorrenti si trovassero in una situazione simile alla nostra; loro invece questi aggravi non li hanno e i loro costi di produzione, e di conseguenza i prezzi, sono più concorrenziali dei nostri, gli stipendi più alti e con maggior potere d’acquisto. Se si dovesse creare al Nordeuropa una situazione come la nostra, ci sarebbe la rivolta! Si rivolterebbero i più nelle tombe, gli Enti di protezione dei consumatori, i consumatori stessi, rifiutandosi di acquistare prodotti tanto reclamizzati e si rivolgerebbero a prodotti meno, o affatto, reclamizzati, che spunterebbero ovunque come funghi, perché lassù il vocabolo concorrenza significa ancora concorrenza. Un altro punto a nostro discapito sul tema pubblicità è il seguente: per una questione di competitività le aziende divulgatrici dei messaggi promozionali si vedono costrette a distribuirli su più emittenti, così i costi crescono ulteriormente di una, due, venti volte. E questa è un’altra concausa del minor potere d’acquisto del nostro euro, della disparità di rendimento dei nostri btp rispetto ai bund tedeschi, dell’inflazione più alta che altrove e motivo della protesta dei pensionati, costretti a scendere in piazza in mutande a protestare contro il continuo deprezzamento delle pensioni. Applicando la par condicio sia ai consumi che ai consumatori si dovrebbe poter reperire sul mercato, oltre alla fascia di prodotti altamente reclamizzati, anche una fascia di prodotti non reclamizzati, almeno quelli di prima necessità, in modo che ognuno possa scegliere secondo le proprie possibilità. E dovrebbero esserci, lo ripeto alla noia, degli organismi a difesa del consumatore, che già paga un pesante tributo fiscale all’erario, il più alto d’Europa, con un ritorno tra i più poveri e scadenti. Non serve essere dei draghi del pensiero per giungere a queste considerazioni: osserviamo le nostre strade, autostrade, scuole e ospedali (e qui mi fermo per questioni di spazio) e facciamo un confronto con la situazione dei nostri vicini. Non basta essere tra i fondatori dell’Unione europea per essere europei a tutti gli effetti, bisogna esserlo anche in queste cose. Nei Paesi d’Oltralpe tutto ha un aspetto diverso del nostro, un aspetto lindo e pulito. La gente attraversa le strade sulle strisce pedonali (sempre ben visibili e rispettate) senza il rischio di venire ammazzata (800 pedoni ammazzati ogni
anno sulle zebre) e rispettati sono i segnali di stop e i semafori. L’impressione che si ricava è di trovarsi in Paesi da favola. Ciò che vedono i nostri occhi ci pare fintanto incredibile e non ci resta che stropicciarli per convincerci che non stiamo sognando. In quei Paesi vengono riservate delle sonore sanzioni a chi le merita, a chi infrange le regole del vivere civile, evasori fiscali compresi (anche ai nomi importanti), che gli fanno ar la voglia, o gran parte di essa, di trasgredire ulteriormente, umiliando, col loro iniquo comportamento, il cittadino onesto. Non è per meschino pessimismo o per buffa ironia che mi esprimo in questo modo, ma per ribadire che se vogliamo restare nell’euro, crescere e diventare competitivi non ci rimane altro che seguire la strada che percorrono anche gli altri. Per completare il concetto opinione pubblica vorrei ricordare che nei Paesi nordeuropei essa ha un potere persuasivo e dissuasivo assolutamente risolutore, sia nell’economia che nella politica. E’ il deterrente inibitore di situazioni repellenti, come l’eccessiva pubblicità, i bassi stipendi per le fasce basse e da capogiro per quelle alte, l’iniquità delle pensioni. Il basso livello e la scarsa qualità d’istruzione dei ceti deboli, gli scarsi intrecci d’intesa a propria difesa tra i cittadini, uniti all’atteggiamento spesso scorretto dei nostri dirigenti e alla loro disinvolta etica professionale e politica, sono la causa della debolezza della nostra opinione pubblica e il nostro inossidabile immobilismo ci rende il resto. Il presidente Berlusconi, quand’era ancora in carica, ha detto che Roma è una città africana (notizia suffragata da numerose foto documentanti mucchi di immondezza qua e là per la capitale, centro incluso, erbacce, fatiscenza degli edifici). Il sindaco della capitale ha girato la responsabilità all’amministrazione precedente, che ha chiuso l’esercizio due anni addietro. E il suo governo ha stanziato a tal uopo ben 600.000 euro! La parola “africana” mi ricorda una trasmissione di Porta a Porta del settembre 2009 in cui proprio l’Africa, l’Africa islamica, era coinvolta. Vi partecipavano, da postazioni esterne, gruppi di nordafricani accompagnati da capi religiosi, nello studio importanti personaggi del mondo islamico residenti in Italia. Vi partecipavano inoltre la ex ministra per le Pari Opportunità Mara Carfagna e per
la par condicio un’altra ex, Livia Turco. Leit motiv della discussione era l’uccisione della figlia da parte del padre marocchino a causa dell’atteggiamento troppo occidentale della ragazza. Il conduttore accusava gli islamici di limitata libertà per le loro donne (ma sono davvero le nostre esempio di libertà acquisita?), sottoponendoli a un sorta di giudizio sommario. Ma non era questo il clou della serata! Il clou della serata si ebbe verso la fine della trasmissione. Le due esponenti politiche si infiammarono come autentici galletti, togliendo spazio con i loro alterchi al conduttore, e ancor più agli altri ospiti (quasi tutti islamici), che sgranarono gli occhi pensando forse che il conduttore, più che a loro, il suo severo giudizio sulle donne doveva muoverlo alle nostre ministre! Un’altra considerazione che voglio fare, analizzando le eterne, irrisolvibili vicissitudini dei nostri governi, è la seguente: che i nostri politici, sia di destra sia di sinistra, non mettano l’interesse dei cittadini e degli elettori al primo posto delle priorità, come sarebbe giusto aspettarsi da chi paga le tasse, bensì il loro proprio, in barba a tutti gli accordi programmatici comuni della campagna elettorale. Possibile che non riusciamo a stare insieme una volta, che sia una, fino alla fine del percorso, tanto in una guerra che in una legislatura di governo? A tal proposito vorrei citare una farse dell’ex cancelliere tedesco Gerhard Schoeder, intervistato dal conduttore di Ballarò a fine aprile 2012 e che il conduttore chiamava ridicolmente “Mister” Schroeder, come se fosse inglese o americano, piuttosto che “Signor” o “Herr”. Ad ogni modo questo ha detto l’ex cancelliere: “Quando sono stato io capo del governo ho sempre pensato prima al Paese, poi al partito…!” Chi ha orecchie…
Valigie di cartone, spaghetti e mandolino
Fino a non molto tempo fa anche noi italiani emigravamo in cerca di lavoro. Ci portavamo appresso quelle storiche valigie di cartone piene di spaghetti e pecorino. Ben 30 milioni di italiani sono sparsi per il globo. Pare che ora l’esodo sia ripreso, se mai fosse cessato. Oggi però, lo sforzo di portarsi dietro tante valigie di alimenti risulta inutile, poiché gli stessi spaghetti e lo stesso pecorino si possono trovare in qualsiasi posto, tali e quali, spesso a prezzi inferiori, come ho accennato! E non solo gli spaghetti costano meno all’estero che da noi, ma tante altre cose: la benzina (da noi sempre più cara), le autostrade (non esistono pedaggi se non in determinati tratti), la carne, il latte, le medicine, le case e via dicendo, a dispetto di ciò che noi pensiamo. Sicché la calata dei nordici nel Bel Paese non è certo da accreditare, come si vuole a volte fare credere, ai prezzi particolarmente favorevoli, ma piuttosto all’attrazione che il nostro Paese esercita in maniera universale. Anche se in ato, per quanto riguarda i carburanti, per favorire la loro venuta e per dar loro l’impressione di non spennarli come polli, avevamo introdotto i famosi coupon che riducevano drasticamente il prezzo della benzina. Anch’io sono stato un emigrante. Uno dei principi che ho seguito sin dall’inizio della mia vita emigratoria al fine di instaurare una buona intesa coi nativi, è stato quello di non limitarmi ad osservare le persone e le cose secondo il mio modo di vedere originario, ma usare una visione locale, cercando di calarmi il più possibile in quel modo di vedere. Che mi assicurava una maggiore obiettività di giudizio sulla realtà del luogo, come pure il beneficio di poter apprezzare al meglio le nostre e le loro qualità e riconoscere le reciproche magagne. In questo modo la mia visione delle cose si modificò via via quasi senza rendermene conto. Me ne accorgevo tornando in patria e discutendo con amici e conoscenti. Le nostre vedute non convergevano più come una volta e difendevo a spada tratta il mio nuovo modo di pensare. Alla fine, per evitare continui e antipatici contrasti, mi limitavo a risposte diplomatiche. Misuravo la realtà con un altro metro. Traevo le mie considerazione raffrontando la nostra situazione con quella del Paese che mi ospitava, della quale io ero a conoscenza, ma di cui essi erano all’oscuro. Questa nuova veduta tuttavia, mi faceva sentire sempre
uno straniero… in patria. Ma il mio spirito di osservazione si rafforzava sempre più, trovando continui motivi di riferimento e condizionando i miei giudizi. Anche nelle discussioni con i connazionali emigrati, il mio punto di vista convergeva sempre meno con il loro, non tanto per questioni di nord o sud, bensì per il fatto che io mi avvalevo di stime più obiettive, giudicando la nuova realtà non come scontata e quasi logica, come se cadesse dal cielo bell’e pronta e confezionata, bensì come creata dall’individuo col lavoro razionale, la disciplina sociale, l’osservanza rigorosa delle regole comuni, qualità che creano una civiltà avanzata, considerata da molti emigranti naturale, poiché non ata da imparzialità di vedute. Raramente gli emigranti, pur dinanzi a prove inconfutabili, avevano la capacità di riconoscere la bontà della nuova situazione, che pure consentiva loro un buon miglioramento della vita, avendo radicati nella mente i luoghi comuni e i pregiudizi dei paesi d’origine, difficili da estirpare. Nonostante i confronti tra la situazione originaria e quella nuova fossero a favore della seconda, tali da convincere il più scettico degli scettici, molti mantenevano inalterata la loro mentalità, disapprovando questo e criticando quello, pur essendo i meriti della nuova assai tangibili, in quanto assicuravano loro quel benessere che altrimenti neanche nella più rosea delle aspettative avrebbero potuto ottenere nei luoghi natii. Per ciò che mi riguardava, assimilavo con facilità la mentalità del luogo, avendo alle spalle altre realtà sempre un po’ diverse dalla mia originaria. Imparai in fretta la lingua, essendomi chiaro che per coltivare delle amicizie e avere dei rapporti costruttivi coi colleghi di lavoro dovevo anzitutto esser in grado di dialogare con loro. Mi creai una cerchia di amicizie non solo tra gli emigrati ma anche tra i nativi, instaurando rapporti da cui traevo motivi di raffronto e apprendimento. E visto che lì le cose funzionavano, diciamo pure alla perfezione, ne ricavavo dei giudizi obiettivi, individuando non solo i difetti ma pure i pregi. In fondo eravamo noi ad andare da loro e non viceversa. Molti emigranti riconoscevano a se stessi, non del tutto a torto, meriti altrettanto validi sostenendo che il conseguimento di tale prosperità non sarebbe stato possibile senza il loro apporto; ma pochi capivano che era vero anche il contrario. I primi tempi, tornando a casa in vacanza, me ne stavo col naso incollato al finestrino del treno e osservavo ciò che Dio aveva creato e ciò che l’uomo aveva
costruito. Scendendo verso sud, mutava non solo ciò che aveva creato Dio, ma anche ciò che aveva costruito l’uomo, sia in qualità che in quantità, arrivando a delle logiche conclusioni. Pure la mia obiettività mi suggeriva che se avessi compiuto quel percorso 2000 anni prima, le mie valutazioni avrebbero preso un’altra piega. Le mie peregrinazioni lavorative attraverso l’Italia prima, l’Europa poi, hanno avuto inizio più di mezzo secolo fa. Credo quindi di poter dire che mai un proverbio mi è parso più azzeccato di quello che assicura che ogni medaglia ha il suo rovescio. Ogni nazione, ogni regione, ogni provincia vantano un costume di vita proprio dal quale traggono vantaggi e svantaggi. Per ricavarne un giudizio imparziale tuttavia, bisogna valutare sia i primi che i secondi. Per esperienza personale posso aggiungere che sommando i pro e i contro delle due facce e dividendo per due, si ottiene sempre un risultato pari. In qualsiasi Paese ci capiti di soggiornare, per scelta o per bisogno, avremo inizialmente dei contrasti tra la nostra mentalità e la mentalità di chi ci è ancora estraneo; ma col tempo ci faremo l'abitudine e accetteremo la nuova realtà. La conferma l’avremo ritornando nei luoghi natii e trovandoci ad affrontare delle difficoltà di riadattamento; e non sempre riusciremo a recuperare le vedute e le abitudini di un tempo. Sul concetto di obiettività e maturità vorrei citare un fatto emblematico e drammatico: la tragedia delle acciaierie Thiessen-Krupp di Torino! Si ricorda in pompa magna l’anniversario di quel disastro pur essendoci stati nel frattempo migliaia di nuovi morti sul lavoro. Proprio in una di tali occasione i parenti delle vittime non Krupp, hanno protestato denunciando il mancato ricordo dei loro morti e domandandosi se solo quelli della Thiessen-Krupp fossero meritevoli di attenzione. Cerchiamo di creare dei divi anche tra le morti bianche? Spettacolarizzazione ueber alles! Pare proprio che ogni mezzo sia valido per far colpo sull’uomo della strada. Non sarebbe il caso di riacquisire la debita imparzialità?
Dimensione zero: quando l’occhio scivola sul critico
Chiunque, ribadisco, torni a casa dopo un lungo periodo di soggiorno all’estero, troverà delle differenze sostanziali, sia in positivo che in negativo, nei confronti dell’ambito natio. Queste differenze non le avrebbe mai riscontrate senza quella esperienza. Si può quindi confermare che chi tale esperienza non ce l’ha, ha vedute differenti rispetto a chi ce l’ha. Non tutti, però, hanno l’obiettività di riconoscere le cose positive e mantengono pertanto inalterate le loro opinioni primitive. Ai tempi del mio soggiorno romano, trovandomi a corto di danari, saltavo sul treno e tornavo a casa. Mi facevo rifinanziare da mamman e tornavo alla carica. Viaggiavo sempre di notte e del paesaggio non vedevo granché, solo finestre illuminate e piccole stazioni che fuggivano via quasi spaventate all’arrivo del treno. A casa, tuttavia, percepivo chiara le diversità del luogo nativo. Molti anni dopo, tornando a casa dal Nordeuropea, osservavo i villaggi, i paesaggi e le città, le infrastrutture e le campagne e intrecciavo paragoni tra le varie realtà traendone un’opinione, seppur approssimativa, della gente che ci viveva. La prima volta che andai all’estero, le differenze rispetto al mio ambito non mi parvero granché. Lo divennero in seguito, man mano che entravo nell’ottica delle realtà locali. Di ritorno a casa, superata la barriera delle Alpi, mi trovavo nel Sudtirolo, di marca mitteleuropea, che precedeva l’arrivo della mia provincia di marca mediterranea, nonostante la secolare appartenenza all’Impero austro-ungarico e la presenza di montagne innevate e verdi valli, che assumevano la funzione di confini non solo tra il nord e il sud d’Europa, ma tra due mondi ben distinti: quello germanico e quello latino. Il contrasto tra le due culture era stridente e lo avvertivo in mille sfumature. Lo potrei paragonare a quello che esiste tra la destra e la sinistra della politica italiana, così distanti tra di loro da trovare in questa diversità ben pochi punti in comune.
Visitando le città italiane, tra le più belle che avessi mai vedutoo, a differenza di un tempo, vi trovavo non pochi motivi di conflitto. Quelli che qui più attengono sono l’incuria dell’ambiente e la pessima qualità dei manufatti moderni. Osservando le condizioni delle strade, dei marciapiedi, dei parcheggi, dei aggi pedonali arrivavo alla conclusione che al Nordeuropa molte di queste opere non troverebbero ragioni di esistere. Per l’amore che porto al mio Paese fremevo dalla brama di porvi qualche rimedio; viceversa dovevo accontentarmi di raccogliere qualche cartaccia qua e là, un pacchetto di sigarette vuoto e riporli nel cestino, quando c’era, o spingerli in parte con un calcio senza dar nell’occhio per evitare che il mio gesto apparisse offensivo verso chi la pensava diversamente da me. Nei tempi andati, venivano esposti nelle osterie dei paesi, nei bar delle città, nelle locande e nei luoghi pubblici, cartelli di questo tipo: “La persona civile non sputa per terra e non bestemmia!” Oggi non esistono più, forse per rispetto verso le persone civili che pure esistono, come ancora esistono quelle incivili, che richiamerebbero urgentemente l’esposizione di quei cartelli. Non si vedono più neanche i vecchietti sputare sotto il tavolo durante la partita a carte o a morra e si sente bestemmiare sempre meno. Forse l’aspetto a volte rinnovato dei locali li inibisce e il crescente benessere permette loro l’uso di fazzoletti. Tutto questo ha generato un minor risentimento nei confronti del Padreterno, dei nostri occhi e delle nostre orecchie. Di quei cartelli non è rimasta traccia; ma sarebbe una gran cosa, per i motivi che ho più volte esposto, se riapparissero sui muri dei locali pubblici, ai lati delle strade che quotidianamente percorriamo, alle fermate degli autobus: siti che danno il senso di un infinito immondezzaio! Nondimeno sarebbe utile applicarli nelle piazze dei paesi, delle città, nei negozi e nei parcheggi, ovunque essere umano metta piede, sulle spiagge, sui sentieri di montagna e sarebbe anche auspicabile che tali regole di civiltà venissero insegnate nelle scuole materne, elementari, medie e superiori al pari della storia, della matematica e di Pinocchio. Si dovrebbe, tuttavia, apporvi qualche modifica, tipo: ”La persona civile non sputa per terra e non getta cartacce, cicche accese, lattine, bottiglie di plastica e di vetro dai finestrini delle auto e dei treni, non deposita frigoriferi dismessi, televisori fuori uso, pneumatici usurati, borse di plastica gonfie di rifiuti, cartacce d’ogni genere, taniche di kerosene, tazze di cesso nei parcheggi stradali
e sulle spiagge e ovunque gli faccia comodo e non svuota i portacicche dell’auto sull’asfalto mentre aspetta di uscire sulla strada principale…” e stampare questa lista di vergogna, che qui tronco per motivi di spazio e per non schifare troppo chi mi legge, a caratteri cubitali che si possano leggere anche a 150 all’ora e oltre e non nei soliti caratterini ridicoli e sparagnini che si usano per le indicazioni e che per decifrare si dovrebbe fermarsi sulla carreggiata e inforcare occhiali con fondi di bottiglia, e il cui senso sia comprensibile a tutti prima di venir ammazzati da chi ti sfreccia accanto a 180, dove il cartello indica 90. Questi cartelli dovremmo esporli ai bordi di strade e autostrade, nelle pubbliche vie e sulle rive di mari, laghi e fiumi, lungo le strade boschive, sui sentieri tra le rocce, alle fermate degli autobus, intorno e dentro gli stadi, insomma ovunque si posi, ripeto, piede umano e magari, ripeto anche questo, insegnarle a scuola, all’asilo, nelle famiglie. Dovremmo insomma, ripristinare il senso civico e l’educazione di base che in virtù del benessere e di un fasullo progresso, sono stati tolti alle persone civili cui competono. Ogni anno, con l’arrivo del Natale, si accumulano in un angolo del mio studio i soliti regali per figli e nipoti, nuore e amici. Un pomeriggio della vigilia mia moglie ha voluto tornare in città per ulteriori acquisti. Ci siamo rituffati nella bolgia natalizia, nel traffico dei vacanzieri e dei compratori ritardatari di regali. Trenta chilometri di strada statale, ora provinciale, fino al capoluogo. Era meglio non andarci! Trenta chilometri di incavolate! Dover are la vigilia di Natale tra due ali di monnezza hanno scosso il mio sistema nervoso più di quanto siano riusciti a fare la torma della gente e i prezzi disumani dei negozi che, con la scusa dell’euro, sono stati catapultati a livelli di usura (scoppiassero come palloncini!). Me la sono presa persino col Bambin Gesù perché una volta di più ha disatteso le mie preghiere, quelle di far cadere un po’ di neve, bastavano una ventina di centimetri, gli avevo detto, per nascondere simili vergogne in occasione della sua festa e risparmiare alla gente civile ed educata lo stress di un simile spettacolo. E la neve è caduta, ma in montagna. Renderà innevate le numerose piste della zona, ma porrà in evidenza ciò che ho appena detto: cime immacolate in alto e deprimenti depositi di rifiuti in basso, lungo le trafficate strade di Natale. Ho imprecato come uno scaricatore di porto lungo tutto il percorso. Accipicchia, picchia, picchia, sbraitavo, fosse venuta la neve fino a fondovalle come quando si era bambini! Se il Bambin Gesù avesse esaudito le mie preghiere facendo cadere la neve che gli avevo chiesto e che avrebbe coperto quel degrado regalandoci un Natale pulito! Poi ho pensato che se non l’ha fatto ci sarà bene
una ragione. Un tempo nevicava senza chiederglielo. Altri tempi! Nessuno allora insudiciava le strade in modo tanto osceno. Sono, tuttavia, debitore di una precisazione: da quando le strade sono ate a gestione provinciale, la situazione è notevolmente migliorata. Questo sudiciume mi ricorda la vecchia maestra dei miei primi anni di scuola. Si dannava a spiegarci che dovevamo essere puliti e ordinati fuori se volevamo esserlo anche dentro e che non si gettano le carte a terra. Ma aveva un bel dire lei, quando le cartacce le buttavano altri, coloro ai quali queste cose non erano state insegnate e lo facevano senza infrangere le regole… perché di quelle regole non erano a conoscenza. Può anche darsi però, che la colpa di questa situazione stia nel fatto che nessuno sente più il proprio Paese tanto proprio da esimersi dall’insudiciarlo in modo tanto indecente, non conoscendo forse, come abbiamo visto, altre realtà di riferimento. Ad ogni buon conto, io il mio parere l’ho espresso. Chiedo comprensione per l’insistenza, ma una volta di più vorrei ribadire quanto sarebbe opportuno esporre dei cartelli lungo le strade con scritte cubitali, che facciano capire a chi vi sfreccia accanto a 180 all’ora, quanto è incivile gettare porcheria dai finestrini o abbandonarla nei parcheggi, disattendendo le più elementari regole di educazione. E una volta ancora mi domando (furente) perché queste cose non vengano insegnate a scuola! Riguardo alle bottiglie di plastica e alle lattine, si potrebbe fare come nei Paesi del Nordeuropa: far pagare il vuoto 25 centesimi all’acquisto e restituirli al recupero. 25 centesimi sono 500 delle vecchie lire e non si butterebbero dai finestrini né si abbandonerebbero ovunque faccia comodo. E se pure succedesse, ci sarebbe sempre qualcuno, con i tempi che corrono, pronto a raccoglierle e restituirle per arrotondare le entrate. In tal modo si porrebbe fine, o almeno un limite, all’offesa dell’ambiente e di chi, l’ambiente, ancora lo ama e lo rispetta. Dirò tuttavia, in tutta onestà, che è possibile che io veda le cose in questo modo perché sono maturato al Nordeuropa, dove comportarsi civilmente è cosa normale. E pur con questo porto ancora impressa nella mente, la sensazione di disgusto che mi faceva da ragazzino il degrado in cui versava un istituto religioso milanese, situato sulla collina nei dintorni di casa mia. Io ero piccolo allora, ma mi si rivoltavano le budella vedendo come da quei sacri casamenti
ruzzolavano in continuazione giù per il pendio fin quasi sulla strada che percorrevo per andare a scuola, barattoli vuoti di conserve, cartoni vuoti, avanzi di alimenti e quant’altro, ricoprendo il boschetto e liberando nell’aria un lezzo insopportabile. Ciò che intendo esporre ora c’entra poco con quanto appena detto, ma voglio riferirlo lo stesso. Per come concepisco io il senso della parola democrazia, mi pare di poter dire che ai tempi del duce, i suoi proseliti gli riconoscevano quasi esclusivamente pregi. Pare che questa caratteristica non abbia ancora perso smalto, bensì si sia mantenuta pressoché immutata e la si possa riferire, sputata, ai politici d’oggi e ai loro simpatizzanti. L’onorevole Di Pietro ha detto che i politici usano aerei, automobili e treni dello Stato per recarsi alle partite di pallone e ai Grand Prix e nessuno ha alcunché da ridire. Secondo me nessuno ha alcunché da ridire perché sa bene che al loro posto farebbe pure lui la stessa cosa.
Uno sguardo di là del teleschermo
Nella società odierna la TV occupa un posto di prim’ordine, da noi molto più che altrove. Ma osservando quello che ci mostra il teleschermo, pare che i responsabili dei palinsesti non se ne rendano conto. Pure la qualità delle trasmissioni parla chiaro. E’ una questione di gusti e di cultura? Non credo. Pare piuttosto che i signori di cui sopra considerino la TV non un veicolo di pubblica utilità, ma una sorta di bacchetta magica da impugnare a quattro mani per far profitti! In special modo le cosiddette emittenti commerciali che, non esigendo un canone, si sentono in qualche modo esentate dal rispetto dell’etica. Così la pubblicità la fa da padrone. Il mercato richiede un prodotto e la produzione glielo confeziona. Poi la TV lo promuove secondo le debite esigenze commerciali e le proposte reclamistiche, affondando le mani nelle tasche dei consumatori. All’estero, sia la TV pubblica che privata, hanno un ruolo sociale assai più importante che da noi. La pubblicità non ha creato costosi carrozzoni televisivi come da noi, agganciandoli a quelli pubblici dove la pubblicità era già presente e ingaggiando furibonde lotte concorrenziali per prevalere, e riuscendovi anche, se non a livello culturale, di battage. Al Nordeuropa nessuna TV ficca le mani tanto furbescamente nelle tasche del consumatore per arricchirsi a suo discapito. La TV pubblica si regge col pagamento di un canone e le private vendendo prodotti e servizi con poca pubblicità, senza scarnificare il consumatore. In molti casi sono dei veri negozi, senza divi, film e quiz milionari, e campano sui ricavi delle vendite. Per i nostri amici e competitori europei un contesto televisivo come il nostro sarebbe improponibile: troppo parassitario e opportunista e troppo evidente apparirebbe la speculazione a spese del consumatore. I colossi televisivi basati sui proventi pubblicitari verrebbero considerati dei veri scippatori, al pari di chi organizzasse un fisco per conto proprio, un esercito o un governo e il consumatore li rifiuterebbe. Il fisco dello stato ci dà un ritorno in forma di servizi, l’esercito ci assicura sicurezza, il governo emana leggi e le fa rispettare. Ma cosa ci dà la pubblicità in cambio dei nostri soldi? Prezzi gonfiati, inflazione, rallentamento dei consumi, stipendi bassi e con basso potere d’acquisto, quindi difficoltà per l’economia che ha bisogno dei consumi!
La reclame è un elemento negativo nella palla che ci portiamo al piede, una zavorra ulteriore che ci impedisce di camminare verso il benessere e il progresso, di spendere i nostri soldi come vorremo e com’è nostro diritto. E’ un fisco intransigente che prende senza dare. Il fisco dello stato si può evadere, molti lo fanno, parzialmente o totalmente secondo la loro bravura e di quel che gli consente l’autorità; ma il fisco della reclame non si evade. Provateci e sarete dei falliti! In Germania, dove il fisco della reclame è meno oneroso che da noi, nel pieno della loro crisi, i prezzi erano scesi del 20-30% e i consumi saliti dell’8%! Quella volta che quella buon’anima di Paul Newman si agghindò da Babbo Natale per promuovere una marca di pasta e incassò cinque miliardi (di lire), ci rimasi di stucco. Uno mostra il viso per pochi secondi e incassa cifre da capogiro; altri lavorano una vita come somari e non si beccano un decimo di quel malloppo, bensì devono contribuire al suo pagamento. Tralascio ogni commento. Nessuno esige l’uguaglianza tra la gente o frittelle simili, cose rancide e superate; ma un po’ di buon senso e rispetto per le persone che lavorano seriamente e che pure, senza voler fare i missionari, vantano diritti in quanto tali, si potrebbe e si dovrebbe recuperare. Anche per non soffocare l’economia agendo in modo tanto rovinoso sui costi e riducendo all’osso il potere d’acquisto dei salari, i salari stessi, ostacolando la ripresa dei consumi. In altri termini il colpaccio del buon Paul, e di molti suoi colleghi, mi diede da pensare. Ma solo dopo anni di riflessioni sono giunto alla conclusione che c’è un solo modo per difendersi da simili soprusi: evitare di acquistare i prodotti reclamizzati in modo selvaggio, preferendo quelli poco reclamizzati! Io la mia parte l’ho fatta con la pasta di Paul Newman e con tutti i casi analoghi. Ho smesso di acquistare pasta, scarpe, automobili ogni volta che un personaggio miliardario mi invitava a farlo, rivolgendomi ad altri prodotti altrettanto validi. Così possiamo difenderci dalle rapine della pubblicità. Non trovo affatto corretto, e tanto meno democratico, esser costretti a pagare lo stesso prodotto il 20, 30, 50, 100 o 500% in più rispetto ai consumatori nordeuropei in cambio di un esercito di veline, di vecchi film, di giochi a premi che distribuiscono milioni di euro a ogni ora a pochi eletti, di affollati salotti di giornalisti e politici che pare abbiano traslocato i gabinetti e le abitazioni negli
studi televisivi e che da lì ci bombardano con inconcludenti e costosi bla bla bla. Molti capiranno ciò che intendo, altri no. Ma lo ripeto alla noia: se la nostra economia non marcia come dovrebbe e se milioni di persone, e non solo pensionati, non arrivano alla terza settimana del mese, la colpa è dei nostri prezzi, più alti di quelli dei nostri amici europei. Chi conosce la mentalità nordeuropea, sa bene che quei simpatici furbacchioni non acquisterebbero un chiodo se fosse reclamizzato come lo è da noi, i responsabili lo sanno e non corrono dei rischi. Quando è nata la Rai ero presente al suo parto. Reco ancora nella mente i suoi vagiti. Sono stato testimone dell’evento. Non avevo ancora quindici anni e vagavo per le strade di Roma alla ricerca di incerti allori. Via Teulada era per me, e per altri perditempo come me, un luogo di ritrovo, un diversivo per ravvivare le pigre giornate romane. Lì c’era la Rai, lì si poteva assistere al continuo andirivieni di personaggi noti, o che sTVano lì lì per diventarlo. Sin d’allora l’importanza della TV era straripante. Chiunque appariva sul teleschermo diventava un personaggio: una comparsa in uno sceneggiato, un concorrente in un gioco a quiz, un giornalista che esprimeva un’opinione. Ognuno diventava oggetto dell’interesse collettivo. Chi sostava in via Teulada per vederli fugacemente transitare, gli batteva le mani, io per primo. Chiunque appariva in TV diventava un eroe e questo accadeva non solo alle persone, ma pure alle cose. E non era una novità. Accadeva da decenni col cinema, con la radio, coi giornali e prima ancora col teatro e la musica. Solo che per la TV, in ragione della maggior diffusione, il fenomeno si dilatò in breve a dismisura. Che la TV poteva essere un affare lo capirono i dirigenti, i fabbricanti, i commercianti, i politici, persino la chiesa. Bastava apparire pochi istanti sul piccolo schermo o farvi apparire un prodotto abbinato a un messaggio per alcune volte e su più canali caricando i costi sui prezzi e l’umano si trasformava in divino, il bene in oggetto del desiderio, con tutti i vantaggi che ne derivavano per gli individui di sui sopra. Il copywriter guadagnava soldi a palate e la TV pure. Questo fenomeno avrebbe generato il miracolo economico italiano, dando vita al consumismo. Ai tempi a cui mi riferisco, metà anni 50, la pubblicità aveva ancora dimensioni umane e
non influiva su prezzi, stipendi e pensioni quanto oggi. Ma la gente acquistava il prodotto, abbagliata dalla magia del teleschermo: il connubio divo-prodotto garantiva successo e qualità! Anche gli antichi romani si servivano della pubblicità come veicolo trainante per il mercato. Essi dipingevano sulle facciate delle case prodotti e servizi dando una importante informazione al compratore, così come succede oggi in TV. Basta avere delle idee, la capacità e la possibilità di trasformarle in immagini e parole e irradiarle nell’etere. La nostra mente, di idee, ne contiene in quantità. Le pareti del mio studio sono tappezzate di biglietti stracarichi di idee e la mia scrivania ne è sommersa: paiono la mia mente sezionata! Ogni biglietto aspetta il suo turno, ma pare ansioso d’esser notato per primo. Quando mi sorge un’idea nel cervello, e mi pare una buona idea, prima che si dilegui, la annoto su un foglietto. Se mi trovo in mezzo al traffico o sulla poltrona del dentista, la ripeto mentalmente finché non trovo modo di scriverla, magari sul palmo della mano. Ogni idea è utile perché dà luogo ad altre. E’ un’onda nel mare dei pensieri, ne trascina altri, è una palla di neve che genera una valanga. Qualcuna si perde per strada, non senza però averne originate altre, parenti tra di loro. Mai la sindrome da TV fu luogo comune. A decenni dalla nascita, la televisione di stato ha dato lo spunto ai privati per crearne di simili, sostenendole con gli introiti della pubblicità. Le nuove nate si sono subito affermate, ingaggiando una spietata lotta con la genitrice e influenzando i palinsesti per costume e qualità, e soprattutto per etica. Per metter su una emittente propria bastava avere soldi, le giuste conoscenze e il gioco era fatto. Molte cose, altrove irrealizzabili, sono da noi facilmente realizzabili. Io do una mano a te, tu dai una mano a me. Quando tornai in patria eravamo a metà degli anni 70, e le TV private erano già una realtà. Pur non avendo precise motivazioni per andare a fondo della cosa, trovai piuttosto strano che chiunque lo volesse potesse metter su un’emittente propria. Consideravo la TV una pertinenza dello stato, come le ferrovie, la compagnia di bandiera, le forze armate, il fisco: la mia visione condizionata dalla mentalità nordeuropea. Nemmeno capivo il pedaggio delle autostrade, il pagamento del dentista, la possibilità di frequentare o meno la scuola. Le capivo prima. Per
questo mi pareva fuori luogo che i bambini sedessero a qualsiasi ora del giorno davanti alla TV, a tutto volume, a guardare film western e cartoni e ascoltare canzonette. I film erano datati e senza pretese, ma i ragazzini ne erano estasiati. Si diceva inoltre che quelle emittenti fossero gratis. Ma prestandoci un po’ di attenzione si notava come quei film e quei cartoni venivano spesso interrotti da sketch pubblicitari, magari divertenti quanto i film, in modo da non annoiare i piccoli telespettatori e si capiva pure che era per la madre l’occasione per portare la merendina al figlioletto, merendina che appariva sul teleschermo, o per il figlioletto di strappare alla madre la promessa di un mangiadischi che veniva reclamizzato subito dopo le brioche. Naturalmente né alla madre, e tanto meno al figlioletto, ava per la mente che quei film e quei cartoon erano tutt’altro chee gratis, come si diceva, e che proprio loro li pagavano acquistando le brioche e il mangiadischi. Ma ancora sopra di noi era il sereno. Il cielo si abbuiò man mano che le emittenti cosiddette commerciali aumentavano di numero e consistenza e aumentava di conseguenza la reclame, ricadendo sempre più pesantemente sui prezzi e gli stipendi fino a giungere agli estremi d’oggidì, che riducono sempre più il numero delle madri che le richieste dei loro piccini possono soddisfare, poiché i prezzi sempre più salgono e gli stipendi sempre più perdono potere d’acquisto. Oggi la pubblicità non disturba più nessuno. Ci abbiamo fatto il callo e ci pare naturale quanto lo sciogliersi delle nevi a primavera o come leggere l’oroscopo al mattino prima di uscire di casa. Anch’io la trovavo normale. Finché ho notato la differenza tra i nostri prezzi e quelli degli altri Paesi europei marcati con l’euro e ho voluto studiarne le ragioni. La prima cosa che notai fu la difformità della mole pubblicitaria tra il nostro Paese e gli altri Paesi europei e non ebbi più dubbio alcuno nel ravvisare in questo la principale responsabile, anche se non l’unica, dei nostri prezzi tanto alti rispetto ai loro. Gli enormi costi della pubblicità infieriscono in maniera devastante sulla nostra competitività, sulla produttività e sugli stipendi, i più bassi d’Europa e quelli col minor potere d’acquisto. E qui mi preme citare un altro esempio. Non molti anni fa ho assistito a uno spicchio di partita tra lo Stoccarda e il Parma, trasmessa da un’emittente commerciale. Questo incontro mi interessava per due motivi. Primo: l’affezione
che ancora mi legava alla città ospitante, essendovi lì vissuto per dieci anni; secondo: osservare i cartelloni pubblicitari a bordo campo. Il motivo che qui attiene è il secondo e ciò che ho visto a bordo campo mi ha turbato: il 95% dei cartelloni pubblicitari erano intestati ad aziende italiane! Conoscendo quella piazza, sapevo che non una briciola di quella pubblicità era destinata ai consumatori tedeschi ma a quelli italiani. Ecco una causa, pensai, per cui gli stipendi tedeschi sono doppi o tripli dei nostri, tranne quelli ai vertici e che molto più alto è anche il loro potere d’acquisto. Ma qui vorrei fare una precisazione: le TV private non sono le sole a bombardarci di pubblicità, lo fa anche la TV pubblica, che già sosteniamo con un canone d’abbonamento, con contributi statali e con la pubblicità appunto. Pur se il grosso della raccolta pubblicitaria (il 65%) va al gruppo Mediaset. Ad un vertice europeo di TV di stato tenuto a Madrid qualche anno fa, l’allora direttore della Rai ha dichiarato che il futuro della televisione sta nella pubblicità. Non si sa come si siano espressi a tal proposito i suoi corrispettivi europei, ma credo che ben pochi di loro abbiano condiviso il suo parere. Come abbiamo visto la pubblicità ha assunto il ruolo di una vera e propria tassazione forzata, racchiusa nei listini; tasse che nessuno può esimersi dal pagare. Non la nonnina da 500 euro al mese, non il più scaltro degli evasori fiscali. Il conduttore di un quiz a premi di una TV privata, dal volto allegro e rubicondo, interpellato da uno spettatore circa i costi della pubblicità, ha risposto che non siamo noi a pagarla, ma l’azienda che la richiede. E’ un costo che rientra nel suo budget, ha detto. Sarà pure come ha detto il buon uomo in un momento di comprensibile autodifesa, ma il budget, quell’azienda, non lo realizza con i soldi dei prodotti nei cui prezzi tali costi sono inclusi? O le aziende, il budget, lo ottengono per grazia divina, come gli ebrei ottennero da Dio la manna? La pubblicità comporta un altro fattore altamente negativo per la nostra economia: gran parte del danaro raccolto finisce all’estero per l’acquisto di film, telefilm e attrezzature varie che noi non produciamo e per gli ingaggi di modelli e modelle, di ospiti stranieri. E quei soldi, che non vengono da prodotti collocati sui mercati esteri ma nazionali, producono ricchezza altrove, togliendola a noi. Se togliessimo dai prezzi il costo della reclame (30% e più in molti casi),
recupereremmo il 30% del potere d’acquisto. Serve in gran fretta una sana ed efficace concorrenza di tipo europeo, oppure il gioco è perduto! Si può quindi immaginare come a molti consumatori, vedendo scorrere su 5, 6, 8, 10 e più canali e più volte al giorno la pubblicità di prodotti di prima necessità che giornalmente sono costretti ad acquistare, gli si torcano le budella nella pancia! Ma non hanno scelta: o acquistare i prodotti con i costi della pubblicità dentro i prezzi senza dire baff, o non acquistarli affatto e lasciarsi andare a morte certa. Le istituzioni dovrebbero assicurare un’alternativa: invece siamo un gregge allo sbando! E per non correre il rischio di rotolare nella casta sottostante, politici e vip, stilisti e imprenditori, fanno a gara a chi è più bravo a fare incetta di biglietti omaggio per lo stadio, il teatro e spettacoli d’ogni genere. E chi non approfitta delle famose auto blu con autista, di aeroplani delle Forze Armate, di treni e navi, il tutto a spese dell’indifeso e bistrattato contribuente? Per non rischiare di perdere “popolarità” ministri e deputati, senatori e politici d’ogni rango e colore si affannano ad apparire a ogni ora del giorno e della notte in trasmissioni radio e TV, a feste, anniversari, congressi e ricorrenze e chi più ne ha più ne metta (molti danno l’impressione d’essere muniti di divina onnipresenza, non solo per la frequenza con cui appaiono in dette trasmissioni, ma per come a volte li si può vedere anche in più trasmissioni contemporaneamente), caschi pure il mondo. Tanto per citare un esempio il ministro della Difesa La Russa, nei giorni e nelle notti, in cui infuriava nei cieli libici la battaglia per riportare il colonnello Gheddafi alla ragione, se ne stava bello bello a trasmissioni televisive tipo Porta a Porta e Ballarò a discutere su cosa avrebbe escogitato per combattere il dittatore. Per quanto io segua molte TV estere, non mi è capitato di vedere dei suoi colleghi che abbiano fatto altrettanto.
Pane, amore e… televisione
Già da un po’ sto cercando di riportare il discorso sulla TV, il più importante elettrodomestico del terzo millennio; ma per quanto moltiplichi gli sforzi non riesco ad uscire dal vorticoso mondo della reclame. E’ un sassolino nella scarpa che mi duole, e che duole a molti altri, anche se pochi sono in grado di capire da dove cavolo esso venga. Il discorso TV è importante per milioni di consumatori; per questo penso che non sia sprecato il tempo che o davanti al PC nel tentativo di illustrare cosa sia la pubblicità e come, dove e perché influisca tanto rovinosamente sulla nostra economia e sul portafogli di noi tutti. Allora parliamone, di questa TV! E’ un miracolo che da noi non sia ancora stata portata agli onori degli altari. Io conosco un paio di lingue straniere e oltre alle emettenti nazionali, regionali e provinciali, e fintanto rionali, seguo via satellite varie TV europee e mi sento quindi ben afferrato in materia. Ed è in virtù di questo che cercherò di valutare e soppesare ciò che ci danno i nostri teleschermi in cambio dei nostri soldi, avendo come termine di paragone i teleschermi altrui. Ciò che più colpisce delle nostre emittenti TV, sia pubbliche sia commerciali, è lo sperpero di danaro. Sembra che non sappiano dove buttare i soldi. Subito dopo colpisce la banalità dei temi, le battute idiote e ordinarie, la sconcezza del linguaggio e delle immagini, la carenza di etica, la mancanza di educazione dei personaggi che si muovono al suo interno, il poco rispetto verso le autorità civili ed ecclesiastiche, in nome di una satira che a satira ha ridotto anche fin troppi principi morali. Satira da osteria. Ce n’è quanto basta per rimanerne esterrefatti. E è chiaro che non esiste una opinione pubblica autorevole che sappia imporsi per regolare, o attenuare, questo fenomeno. Ci troviamo in un marasma di idee in cui il più spregiudicato degli operatori può aprirsi varchi a piacimento senza doverne rendere conto ad alcuno, nemmeno alla propria coscienza. Si è perso il concetto del pudore, il bandolo della matassa, non si distinguono più i limiti del buon senso, né dell’autocensura. Tutto questo si è riversato sul tessuto sociale, infettandolo e intricandolo. Guardandoci attorno con un pizzico di obiettività si capisce che abbiamo perso il contatto con la realtà, nostra ed europea. Ambiente e società non sono più da vecchio continente ma da repubblica delle banane e la corruzione e l’inganno la
fanno da padrone: la TV ne è lo specchio fedele! Le nostre TV tutto stanno a dimostrare, opulenza, spreco, dispregio della decenza, della buona educazione, tranne la realtà. Ci troviamo in una profonda crisi economica e la TV non mostra alcun rispetto per chi tali emittenti le sostiene con i propri soldi, vale a dire per contribuenti e consumatori. Fino a qualche tempo fa il calcio la faceva da padrone. Da padrone lo fa ancora; ma da qualche anno gli si è affiancata la politica, superandolo. In nessun’altra TV al mondo, come abbiamo visto, si ha il privilegio di vedere tanti politici a qualsiasi ora del giorno e della notte… che se le cantano di santa ragione. I talk show sono i nuovi luoghi decisionali della politica. A qualsiasi ora di qualsiasi giorno e di qualsiasi notte, fuori la pausa estiva, vi pullulano fior di politici di serie A, B e C e anche di D, a seconda dell’importanza dell’emittente. Pare che non abbiano altro da fare i nostri politici e giornalisti se non riempirci le orecchie di sterilissimi bla bla. Mentre le buche nelle strade si fanno sempre più profonde, gli stranieri continuano ad arrivare indisturbati sebbene non abbiamo granché da offrire loro e il debito pubblico continua a salire e salire, e a salire continuano pure le spese di gestione dell’Azienda Italia. Ogni emittente fa a gara ad assicurarsi un numero di politici il più alto possibile, di rango naturalmente, esibendoli come prede prelibate alle telecamere. Abbiamo 1200 radio, 800 TV e una giungla infinita di giornali e riviste (che pochi leggono) che debbono riempire di qualcosa i giorni e le notti e ogni riga, con questa prassi che ci costa miliardi! Politici e giornalisti, conduttori e sportivi sono i divi indiscussi del momento. Sono più divi dei divi, più ammirati o più odiati di loro. Sono i più assidui frequentatori degli studi televisivi, più assidui dei big dello spettacolo. Qualcuno è più costante di altri, ma bisogna tener conto dell’affollamento che non ha, ripeto, eguali al mondo e del fatto che le campagne elettorali non finiscono più. Con le ultime elezioni c’è stata la svolta, i partitini sono stati spazzati via dagli elettori e molti battibecchi tra coalizioni cessati. Ma la guerra tra maggioranza e opposizione continua. Così come è ripresa la nascita di nuovi partiti. Anche il politico ha trovato fertile terreno in TV, al pari della pubblicità e dei pettegolezzi; ma la democrazia è un lusso e i lussi si pagano. Ai posteri l’ardua sentenza, o meglio agli elettori, ossia ai telespettatori.
Chiunque ha il diritto di imporsi come miglior prodotto per ottenere il maggior numero di voti. Chi è più bravo a convincerci della bontà delle sue affermazioni, ottiene i nostri favori. Per questo i dibattiti sono sempre accesi e coinvolgenti come… una partita di calcio e anche di più. E non può essere altrimenti visto che se la notte per l’uno è buia, per l’altro sarà radiosa e non importa se a volte ci pare di essere dei mammalucchi per come lor signori riescono a stravolgerci le idee: il divertimento rimane comunque assicurato! Quasi sempre un provvedimento da poco approvato è secondo il governo un toccasana, per l’opposizione un vero disastro. E noi, poveri cristi, che ci eravamo rallegrati per quanto di buono ci aveva prospettato il primo, ci becchiamo una mazzata sulla zucca non appena apre la bocca il secondo. A questo punto vien voglia di cambiar canale nella speranza di trovare qualcuno che abbia pietà di noi, poveri mortali, alle prese col solito problema della pagnotta quotidiana. Ma nessuno pecca in generosità, come noi ci aspetteremmo e prima di chiudere la nostra serata televisiva e infilarci sotto le coperte con qualche aspettativa in più (dalla TV, come dai santi, ci si aspetta sempre miracoli), ci dedichiamo ai film americani o tedeschi o alle prodezze di Candelì o Candela (che si pronuncia con l’accento sulla a) e domani chissà di chi; oppure ci affidiamo al primo venditore di ambi e terni o materassi, finché anche quelli non ci rifilano a loro volta della pubblicità nella pubblicità e allora, assolutamente stomacati, ci affidiamo all’amico letto. Ho ancora viva nella memoria la reazione di Berlusconi al parlamento europeo, quando egli, preso in contropiede dalla domanda un po’ provocatoria ma pertinente di un parlamentare socialista tedesco nei primi giorni della presidenza italiana, gli chiese se intendeva portare anche in Europa un certo emendamento sulla giustizia che era stato da poco approvato in Italia e che molti reputavano a suo favore. La domanda colpì l’orgoglio del nostro premier, che gli rispose per le rime. Disse che proprio lui poteva risparmiarsi simili illazioni e che per tipi come lui c’era l’opportunità di partecipare a un film sui nazisti di prossima realizzazione in Italia. Non capii cosa c’entrassero i nazisti con il tipo che era socialista e di un’altra generazione (ma non eravamo anche noi fascisti a suo tempo?). E poi, signor (ex) presidente, non ne abbiamo abbastanza di attori stranieri nei nostri film, perché non riserviamo qualche particina anche agli attori nostrani? E perché, signor (ex) presidente del consiglio di un Paese tuttora afflitto da una forte emigrazione (il nostro), non ha avuto invece un pensierino di gratitudine per le centinaia di migliaia di nostri emigranti che ancora vivono e lavorano nel Paese di quel deputato, emigranti che mandano al paesello miliardi
di preziosissimi euro che tornano utili all’intera comunità, come pure al suo governo? L’improvvida sortita di Berlusconi mi costò alcuni rifiuti in quanto italiano, allorché mi apprestai a prenotare l’appartamento per le vacanze al Mare del Nord (poi risolti dall’abilità diplomatica dello zio di mia moglie). Nessuno vuol toglier niente a nessuno, ma anche i presidenti farebbero una migliore figura a controllare le proprie reazioni per non creare il sospetto che la ragione stia poi dalla parte di chi li contesta. La TV esercita dei magici poteri non solo sui telespettatori, ma ancor più su chi la frequenta come protagonista. Si spiega così la seduzione che irradia sui politici a parteciparvi sempre più assiduamente per fini elettorali e non. E’ in corso una gara a chi riesce a comparire di più nei salotti e nei notiziari. La legge della “par condicio” stabilisce che ai dibattiti politici partecipino in ugual numero rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione. Per questo i nervi si scaldano e poi saltano, come ai galli nel pollaio. Ma la disponibilità di detti personaggi è colta come una manna dal cielo da TG e salotti vari che, senza badare tanto a spese, li fanno intervenire anche per pochi secondi a dir la loro, in cambio del prestigio che gliene deriva. Senza entrar nel merito del provvedimento con cui Berlusconi in un precedente governo riduceva le tasse ai ricchi che, per quanto se ne sapeva, poteva anche esser valido ed efficace, mi ha fatto un certo effetto leggere le tabelle di chi ne ha beneficiato e notare come chi guadagnava di più sia stato alleggerito delle imposte con cifre consistenti, mentre chi guadagnava meno si è dovuto accontentare delle briciole. E’ vero che il meccanismo si regolava in base al reddito e era quindi “giusto” così; ciò non toglie che sia stato visto dal popolo dei redditi bassi (15 milioni di cittadini), come un’ingiustizia e lo dimostrano i risultati delle elezioni che cambiano ogni volta colore. In un talk show imperniato su detta legge, un esponente della maggioranza si affannava a spiegare in che modo essa portava vantaggi ai contribuenti, indicando dove e come, e chi seguiva il dibattito si sentiva in obbligo di credergli. Poi però interveniva l’esponente dell’opposizione con un giudizio contrapposto, spiegando anche lui dove e perché fosse vero il contrario, come se una giornata piovosa possa esser al tempo stesso soleggiata. E’ difficile adeguarsi alla logica della politica, pensando con la ragione della logica.
Un risultato tuttavia, questa situazione, per noi apparentemente assurda e irrazionale, ce lo assicura. Conferma la nostra totale impossibilità di porre qualsiasi rimedio alle scelte di coloro cui abbiamo affidato il nostro voto, l’impotenza della nostra opinione al di là del voto. Se poi i nostri politici, invece di dispensare tanti soldoni a chi non fa nulla, tipo medici e infermieri in soprannumero negli ospedali, insegnanti e bidelli nelle scuole altrettanto in soprannumero e forestali nelle foreste che non esistono li desse a chi i soldi li investisse davvero, o creasse dei posti di lavoro utili tipo spazzini, controllori di cantieri, di alvei di fiumi, della circolazione stradale, ecc. ecc. ecc… non farebbero altro che dare una mano a migliorare la nostra criticissima situazione in quegli ambiti e ad evitare morti inutili e danni ingenti.
Uno, due… trenta, quaranta… basta per l’amo di Dio!
Qualche anno fa siamo giunti alla conclusione che in Italia c’erano troppi partiti! Chiunque fosse stato in grado di contare non avrebbe potuto che concordare. Non sto scoprendo l’acqua calda, ma questa particolarità tutta nostrana implicava dei costi salatissimi, e soprattutto l’impossibilità di governare bene e stabilmente. Quando sono in pochi a comandare ci sarà anche chi è contento e chi non lo è, ma quando a comandare sono in 62... Sì perché dal partito fascista unico, siamo arrivati ai 62 di oggi. Neanche una bomba atomica avrebbe potuto disgregare tanto. Caduto il governo Prodi, qualsiasi politico avrebbe potuto capire che prima di andare alle elezioni sarebbe stato opportuno modificare la legge elettorale. L’ha capito l’elettore! Per tener testa ai nostri competitori abbiamo bisogno di un governo forte e legiferante. Che senso ha votare un uomo o un partito che alla prova dei fatti non può governare? Bisognava semplificare. La semplicità facilita le cose e garantisce buoni risultati. La nostra politica era agli antipodi. In America ci sono due partiti che si alternano al potere, come pure in molti Paesi europei. Era ora che molti partitini “mettipalitraleruote” sparissero anche da noi (pur se negli ultimi tempi la proliferazione di partitini è ripresa in maniera preoccupante)! L’esempio dei nostri vicini, visto che proprio con loro ci dobbiamo confrontare nella conquista e nella tenuta dei mercati, è rassicurante. C’era bisogno di una soluzione che ci fe uscire dal medioevo: e stavolta la soluzione c’è stata! Un grande partito di centro-destra era ciò che voleva Berlusconi. La sinistra c’è arrivata prima fondando il Partito Democratico, ma a ognuno dei due siamo debitori di un applauso! All’ex presidente del consiglio non gli si può negare neanche il magico potere di far apparire bello e positivo anche ciò che non lo è, come, ad esempio, ha fatto con l’attuale crisi. Dobbiamo fare nostro il concetto della semplificazione e della modernizzazione
amministrativa, che ci faccia uscire dall’arretratezza. E poiché le cose semplici sono le più difficili da realizzare, speriamo di non doverci tenere per sempre quelle complicate, più comode , e per molti anche più convenienti. Semplificando la macchina statale, le cui spese ammontano a 800 mld. di euro, si riducono i costi, ma si incontra l’identico problema della riduzione della pubblicità. Saremmo di fronte a un esubero di personale, a cominciare dai politici e dal loro indotto. La soluzione tuttavia è la stessa. Verrebbe a mancare una fetta importante di parassitismo e clientelismo ma ci scopriremo più soldi nelle casse da destinare agli investimenti produttivi e strutturali, il prodotto interno lordo aumenterebbe, consentendoci di diminuire le tasse e di aumentare gli stipendi e si creerebbero i presupposti per assorbire politici e indotto in esubero, stavolta in un contesto produttivo. Nelle indagini per gli appalti unti in quel di Napoli, il magistrato che coordina le indagini ha detto che “in Italia sta avvenendo il sistematico saccheggio delle risorse pubbliche da parte di imprenditori senza scrupoli e della malavita organizzata”. Serve dunque con urgenza una legge anti corruzione, aumentata negli ultimi tempi del 400%! Dobbiamo smetterla di produrre solo chiacchiere (alla radio, in TV, sui posti di lavoro, nelle piazze) e produrre più fatti. Qualche chiacchiera, tuttavia, qualche risvolto positivo lo può anche dare. In questi tempi di profonda crisi infatti, si è sentito affermare da economisti e politici che la “la nostra arretratezza ci preserva in qualche modo da mali peggiori….” A proposito di chiacchiere… I tedeschi hanno realizzato la riunificazione del loro Paese nel volgere di un fine settimana! Credo che noi saremmo ancora lì a discuterne a Porta a Porta e in altre trasmissioni di quel genere, ma comunque a discuterne. Si fa ogni tanto accenno alle migliaia di tonnellate di pane e di molti altri prodotti alimentari che finiscono nel bidone delle immondizie. Mi permetto di dare un consiglio anticrisi a produttori e commercianti di beni di durata limitata: vendete i prodotti invecchianti, come il pane invenduto al mattino, i dolci, certi tipi di verdura, il pesce, a metà prezzo al pomeriggio come si fa senza vergogna al Nordeuropa! E ancora: che ce ne facciamo di 162 quotidiani (tanti sono i giornali
sovvenzionati dallo stato, ossia dal contribuente), gran parte dei quali prendono la via del macero senza esser letti? Al Nordeuropa pacchi di quotidiani vengono depositati di primo mattino davanti all’entrata di fabbriche e uffici. Accanto c’è una cassa nella quale chi prende il giornale ci butta la monetina! Fantascienza? Per noi sì! Anche questa mi preme dirla. Riguarda il XXV aprile, festa della liberazione. Seguo sempre con interesse questa manifestazione, che viene onorata in pompa magna. Di una cosa, però, riscontro puntualmente la mancanza: ricordiamo l’apporto dei partigiani e scordiamo il contributo degli alleati. Senza le loro centinaia di migliaia di caduti, le cose sarebbero andate diversamente, all’opposto. E allora diciamo pure: grazie, alleati!
Quando il pensiero sfarfalla a proprio agio
Tornando dai miei viaggi al Nordeuropa, sempre più rari in verità a misura che l’età avanza e la pensione aumenta (di tasse) e regredisce (di valore), un’altra particolarità che mi sconcerta guardando la TV, oltre allo sperpero di danaro derivato dal canone, dalla pubblicità e dai contributi statali per la TV pubblica, dalla pubblicità selvaggia per le TV commerciali, è il comportamento di conduttori e ospiti, così lontano da quello dei loro colleghi europei. Mi stupiscono i primi per l’affanno che profondono per entrare forzosamente in una sfera di famigliarità con i secondi, neanche se ci dovessero andare a letto assieme, i secondi per come si adattano di buon grado a ricevere e ricambiare le mellifluità dei primi. Mettere a proprio agio l’ospite è una forma di cortesia, ma bisogna proprio dare del tu a chiunque per farci quattro chiacchiere? Son rimasto annichilito dall’intervista di un cronista Rai al portavoce vaticano Navarro Vals in occasione del funerale di papa Woytila. Il cronista non ha resistito dal dare del tu all’illustre personaggio dinanzi alle telecamere, sperando di ricavarne chissà che benefici. A me quel tu ha fatto l’effetto di farlo ruzzolare di vari gradini sulla scala su cui l’avevo collocato. Fa una brutta sensazione sentire i conduttori radio e TV, personaggi certamente colti, rivolgersi all’ospite con il tu, sia al magistrato di 75 anni, sia al ministro o al comico del momento, pur dopo averne chiesta l’autorizzazione davanti a milioni di telespettatori. Per come vedo io le cose, quei signori possono essere nella vita i più grandi amici del pianeta, ed è quindi normale che si diano del tu, ma trovo più educativo e rispettoso verso chi li guarda e di buon esempio ai giovani, se in occasione delle loro apparizioni TV utilizzassero il più deferente lei! Sulla questione del tu e del lei, vorrei riportare un fatto del tutto personale. Ho conosciuto mia moglie in Germania verso la metà degli anni sessanta. Era italiana, diciottenne e aveva frequentato le scuole tedesche dalle elementari in su. Bene, per quanto ingenuo possa sembrare, ci siam dati del lei fino a molti mesi dopo che ci frequentavamo. E sempre a tal proposito dirò che dalle mie parti, fino a non molti decenni fa, vigeva l’usanza di dare del voi a genitori, nonni e zii e agli anziani in genere.
La facilità con cui oggi ci si dà del tu è stupefacente. Specie in TV. Trovo questa consuetudine provinciale, arretrata e irriguardosa. Solo pochi personaggi della TV, ormai avanti negli anni e qualcuno già scomparso, conservano le buone maniere rimanendo rigidi di fronte a tali ineleganti atteggiamenti e usano ancora il lei e il Signore senza alcun timore. Si ha l’impressione che questi termini siano stati radiati dal vocabolario dei i radio-TV e delle persone poco istruite. Pare anzi che questa moda sia considerata una conquista sociale e che rivolgersi agli interlocutori col semplice nome, cognome o titolo: “Rossi, Mario, ministro, presidente, sindaco, giudice” ecc., snobbando il signore e dando un esempio di maleducazione e arroganza, sia più che normale. Questo approccio sa di rancido, ammuffito provincialismo e mette in imbarazzo i cittadini educati che pure non scarseggiano. Questo voler distruggere ogni barriera discrezionale tra le persone, stralciando una regola di buona creanza come l’uso del lei e del signore, mi mette in imbarazzo come cittadino, dandomi un senso di disagio e di vergogna in presenza di amici stranieri e mi fa sentire un po’ cafone. Ripensando ai miei trascorsi nordeuropei, ricordo con nostalgia come gli insegnanti (ho frequentato una scuola tecnica tedesca) si rivolgevano a noi studenti (stranieri) con il lei e il signore. E quando gli alunni delle elementari superavano il dodicesimo anno di età, gli insegnanti si rivolgevano loro con il lei. Perché non lo facciamo anche noi? Il rispetto reciproco tra le persone non ha mai infettato nessuno! Anche tra colleghi di lavoro ci si dava del lei, pur dopo anni di lavoro fianco a fianco. Al mattino, ritrovandosi per la nuova giornata, ci si salutava con una stretta di mano e con un cordiale “Come va?”, usando con chiunque, e senza complessi, il Signore. Ricordo ancora una festa in casa di una signora austriaca di cui mia moglie era diventata amica dopo il nostro rientro in Italia. Quella festa ebbe luogo dopo due anni di frequentazione e voleva festeggiare la loro decisione di darsi del tu. Di queste norme di buona creanza si sente oggi la mancanza. Si nota chiaramente come nei Paesi dove il grado di educazione è alto, anche i riflessi sulla vita sociale ed economica sono alti e non c’è settore che non venga beneficiato.
Chiunque, credo, si trovi a transitare per un villaggio pulito, le cui case siano ordinate le une alle altre e non sparse alla rinfusa e tinteggiate e le vie pavimentate e pulite e i bordi spazzati e le insegne ben conservate e non corrose dalla ruggine e poste in cima a un’asta eternamente inclinata o girate in senso opposto da qualche bontempone e così lasciate per anni nonostante chi avrebbe il dovere di intervenire ci i dinanzi tutti i giorni e le automobili che rispettino i segnali stradali e i pedoni e questi ultimi che usino i marciapiedi e si spostino da un lato all’altro della strada utilizzando le strisce pedonali ben tracciate e vedendo una cartaccia o una cicca a terra si chinino a raccoglierle e le depositino negli appositi cestini e vedendo tante altre cose che sarebbe lungo qui elencare, intervengano con senso civico sistemandole, non potrebbe che esclamare: “Che simpatico villaggio è questo e che cittadini ordinati e disciplinati vivono qui!” Ma dirà il contrario di un villaggio e dei suoi abitanti che si trovino in una situazione opposta. Nel villaggio pulito e ordinato non si vedranno mai cinque automobili parcheggiate in qualche modo davanti al tabacchino col motore a due i dall’ufficio del sindaco, con venti posti liberi nel parcheggio dieci metri più in là. Queste cose non avrebbero ragione di esistere e a quel villaggio non verrà di sicuro il fiatone a competere col villaggio vicino. Per documentarmi e poter scrivere queste pagine con oggettività ed equilibrio ho seguito le trasmissioni pomeridiane della TV di stato. Armato di pazienza, di carta e di matita mi son seduto davanti alla TV e ho guardato i suoi programmi. Da anni non guardavo la TV nei pomeriggi feriali e ciò che ho visto mi ha fatto rizzare i capelli! Si discuteva con enfatico trasporto degli amori, o presunti tali, di attricette, di veline e di altri personaggi. Se ne parlava con grande serietà ed enfasi, neanche se il nostro pane quotidiano dipendesse dall’evolversi di quegli avvenimenti, in barba alla crisi che ci stava strozzando. Per avere la certezza di vederci bene ho ripetuto le mie sedute per vari giorni e confermo di non aver lavorato affatto di fantasia. Un mondo di frivolezze! E per poterci offrire tutto questo, la TV di stato ci chiede il pagamento del canone, chiede alla nazione milioni in contributi e fa salire i prezzi alle stelle con l’abnorme massa di pubblicità con cui ci inonda. Nei titoli di fondo che scorrevano in uno dei numerosissimi TG (cosa abbiamo fatto per meritarci notiziari ogni mezz’ora su ogni canale radio e TV?), l’ex presidente di Fiat e Confindustria Montezemolo dichiarava che “l’Italia è ultima in troppi settori” e l’ex presidente Ciampi replicava che “l’Italia può dare di più
e tornare ad essere competitiva”. Voci spazzate via dal vento di un radicato disinteresse generale. Poi ci lamentiamo se questo non va, l’altro nemmeno e l’altro ancora meno! Non ci dovremmo meravigliare piuttosto del contrario? Ma l’eterno parlare delle questioni spinose e impellenti del nostro Paese non è il modo migliore per rinviare all’infinito la loro soluzione, dando tuttavia l’impressione di avere l’intento di risolverle? Finché se ne parla... Una cosa che fa male a chi non annega nell’oro è dover assistere impotente all’ostentazione di sfarzi da mille e una notte da parte delle varie TV pubbliche e private nella loro incessante contesa per la palma di più bella del reame (che vuol dire più raccolta di reclame), continuando a mettere sfacciatamente le mani nella borsa della spesa dei consumatori! E come se non bastasse ingaggi milionari a divi e dive per festival e sketch reclamistici, cifre orribili che ci vengono rivelate dai giornali e da internet, studi televisivi super lussuosi, spettacoli in eterna competizione tra loro senza badare a spese (e a qualità ed etica), veline super pagate, super svestite e super ritoccate (e super inutili) a qualsiasi ora del dì e della notte, ospiti stranieri e nostrani strapagati per parteciparvi, conduttrici che sfoggiano abiti da migliaia di euro quando milioni di persone non possono permettersi straccetti da due soldi, pubblico pagato per far scena, quiz a premi che dispensano capitali facendo a gara a chi dà di più (anche al Nordeuropa ci sono i quiz, ma senza veline e una volta, due alla settimana o al mese e i conduttori non si beccano centinaia di migliaia o milioni di euro come i nostri, bensì stipendi da impiegati) e numerosi altri sprechi il cui elenco sarebbe lungo e ingeneroso rivelare verso chi, appunto, non annega nell’oro, ma fatica ad arrivare (vivo) a fine mese. Ed è di non molto tempo fa la notizia che ben 3,5 milioni di cittadini non hanno cibo a sufficienza! E tuttavia si deve spezzare una lancia in favore della TV pubblica per la situazione in cui si trova dovuta all’arrivo delle TV commerciali, aggressive, sfrontate e spudorate. Le TV private non badano all’etica, ma al profitto, e la TV pubblica le deve fronteggiare. Ecco perché ci dà trasmissioni altrettanto frivole e banali. Le TV pubbliche europee non sono condizionate dalle TV private come lo è la Rai e risultano quindi meno sciupone. A dirla tutta la TV pubblica non fa la TV pubblica come dovrebbe, sovvenzionata com’è dal danaro pubblico, dal canone e foraggiata dalla pubblicità. Con la scusa della concorrenza fa grassi affari, come le TV private,
seguendo le tendenze dei telespettatori da queste fuorviati per il maggior ascolto, coltivando pure lei un pollaio di galline dalle uova d’oro. Raramente la TV di stato offre programmi di pubblica utilità, ma contribuisce come loro, con la massiccia raccolta pubblicitaria, a inflazionare i prezzi e a rallentare i consumi, tenendo bassi gli stipendi e smorzando il potere d’acquisto, intralciando lo sviluppo economico e sociale e rendendo la vita sempre più difficile a quei 15 milioni di cittadini ormai in stato di indigenza. C’è ansia e preoccupazione per la crisi in atto, ma dalle TV si ricava l’impressione di trovarsi in pieno boom economico. La gente deve pur mangiare e per mangiare deve comprare i prodotti gonfiati dalla sua pubblicità. O no? La nostra situazione non ha riscontri in Europa; dove l’opinione pubblica è forte e autorevole e il rispetto del danaro altrui è di primaria importanza. Col colossale debito pubblico che ci ritroviamo sulle spalle, con i prezzi e la tassazione più alti d’Europa e gli stipendi più bassi (ai vertici i più alti), la pesante palla al piede dell’assistenzialismo e di tutti gli altri sprechi di danaro pubblico possibili e immaginabili (si parla di 60 miliardi l’anno), ci permettiamo queste bizzarrie televisive! Ma sprecare il danaro del contribuente non è un’esclusività della TV. Chi non ricorda le peripezie di un governo Berlusconi che, dovendo ridurre la spesa pubblica per far fronte alla riduzione fiscale, voleva tagliare 11.000 posti alle guardie forestali in Calabria, su un totale di 35.000? Gli interessati han reagito danneggiando e distruggendo ciò che trovavano sul loro cammino, inclusi centinaia di migliaia di voti, forse milioni e annullando pure il rischio che altri venissero trattati allo stesso modo, aggiungendo costi ai costi. Così il governo ha ingranato la marcia indietro ed è tornato sulle posizioni di partenza. Chi avrebbe immaginato che in una regione come la Calabria, non proprio ricoperta di foreste, potessero operare 35.000 forestali? Numeri da forze armate che non tutte le nazioni possono vantare. Diceva un ospite in un salotto TV: “Con tutta quella gente sul territorio non ci dovrebbe essere un filo d’erba fuori posto, e ancor meno l’ombra della ‘ndrangheta! In realtà non ci sono alberi sufficienti per proteggerli dal solleone...” La Calabria è una regione bellissima: ogni volta che ci vado ne rimango affascinato! Ma pure sconvolto. La sporcizia tracima sugli splendidi litorali! Alla notizia dei 35.000 forestali non ho potuto fare a meno di pensare: con tutta
quella gente pagata dal contribuente, se venissero forniti loro vanga, scopa e rastrello potrebbero portare il territorio a livelli di una terra promessa, di una Florida e risolvere i secolari problemi di occupazione; invece, ogni volta, come la prima, mi devo sdraiare su spiagge incantevoli avendo alle spalle una parata infinita di frigoriferi arrugginiti, televisori, mobili dimessi ed altro, che mettono in imbarazzo, oltre a me, sciami di turisti nordici e nostrani che si aggirano su dette rive stropicciandosi gli occhi per lo stupore, laddove dolci e carezzevoli arrivavano le onde del mare nostrum nel vano tentativo di celare quella vergogna. E vien da chiedersi: non sarebbe una buona occasione per la TV di stato di mostrare al contribuente dove finisce parte dei suoi soldi, sacrificando per una volta sull’altare della responsabilità e dell’etica, i folli amori di qualche divetta o divetto? Nondimeno i costi dell’azienda Italia continuano a salire, qualsiasi governo si succeda. L’economia ristagna a causa dei consumi che non riprendono, complici i bassi stipendi strozzati dai costi della pubblicità, dalla galoppante tassazione, dagli onorari vergognosamente alti ai vertici. Ci dobbiamo confrontare con competitori che non scherzano e i tempi in cui potevamo difenderci a colpi di svalutazioni e debito pubblico sono ati da un pezzo (e li stiamo ora pagando con gli interessi). Dobbiamo quindi sintonizzarci sulla loro lunghezza d’onda se non vogliamo affondare (siamo già pericolosamente inclinati)! I nostri concorrenti non hanno il fisco della pubblicità e della mafia a beneficio della loro competitività. Il mercato non guarda in faccia nessuno e tra lo spendere e l’investire c’è sempre stata una differenza sostanziale. Ora che ci troviamo a tu per tu con i nostri concorrenti non riusciamo più a essere concorrenziali. Il confronto diretto ci paralizza. Se potessimo combattere ad armi pari… Se non buttassimo tanti soldi nella reclame… Se non sprecassimo tanti soldi (pubblici) per mantenere posti di lavoro che non producono, giornali che non vendono… se rispolverassimo la meritocrazia… cesseremo di farci del male e troveremmo finalmente i fondi per la ricerca e per le opere pubbliche essenziali, di cui accusiamo pesantemente la mancanza. Da quando è nata, la TV è stata appannaggio della politica. E i politici più influenti vengono invitati nei vari talk show per assicurarsene i favori. Pure un
rincoglionito se n’accorge. Uomini di destra, di sinistra, di centro e di periferia alla ricerca di comode poltrone a spese del contribuente in nome di una pluralità che viene celebrata come retorica, ne approfittano in maniera fintanto sciocca. La stretta non è oggi meno asfissiante di ieri e resta sempre più influente di quella degli altri Paesi europei, appesantendo la palla che ci trasciniamo al piede. La lotta all’arma bianca fra TV pubbliche e commerciali per la raccolta pubblicitaria, lotta che non viene condotta a colpi di cultura e di etica ma di chiacchiere, futilità e veline, campioni della pedata e usignoli della canzone, insomma di sperperi, ci costa un occhio e di questo o anche due. Si rimane allibiti dallo sfarzo che ci sciorinano le varie emittenti nell’allestimento degli studi e nella trasmissione di costosissimi show imbottiti di personaggi strapagati per mostrarsi ognuna più forte dell’altra, sempre a spese del consumatore, sempre per l’audience e sempre per la maggior raccolta pubblicitaria. E sempre più soldi ci vengono tolti senza nulla darci in cambio. Sarebbe bello conoscere il pensiero di quei 15 milioni di indigenti italiani e vedere la loro reazione se per una improbabile magia riuscissero a capire in che modo gli viene continuamente e sfacciatamente infilata la mano nelle tasche dai signori della pubblicità; ma anche il più semplice dei semplici, leggendo queste righe, lo potrà capire! In simili frangenti non posso non pensare che anche Hitler avrebbe vinto la sua guerra se avesse avuto a disposizione un PC, come quello che sto usando io e milioni d’altri! La reclame televisiva, oltre a toglierci tanti quattrini, ci crea pure confusione. Seguendo un programma di nostro interesse, non appena arriva uno spot pubblicitario cominciamo a premere i tasti del telecomando finché non ne troviamo un altro che ci cattura nuovamente l’attenzione e lo seguiamo dimenticandoci del primo. Ma anche questo subirà la stessa sorte, allorché ci verrà imposto un altro intermezzo promozionale. E quando la nostra giornata televisiva volgerà al termine, avremo seguito venti programmi senza averne goduto uno appieno. Per ovviare a questi inconvenienti, i padroni dei teleschermi hanno escogitato validi rimedi, accaparrandosi a suon di milioni le più belle e appariscenti presentatrici e veline, dive e giornaliste e spettatrici di bell’aspetto e sguinzagliandole a ogni ora del giorno, e spesso della notte, in una sorta di
infinita sagra paesana, nonché i più accattivanti conduttori di giochi a premi, giornalisti e politici, assegnando loro il compito di contenere la fuga dei telespettatori dovuta alla stomachevole pubblicità. Siamo sempre più assediati da schiere di belle ragazze che ci sorridono ammiccanti, esibendo ridottissimi costumi e enormi seni al silicone e fissandoci con occhi languidi come se esistessimo solo noi maschietti, e da conduttori e conduttrici che ci propongono temi erotici sempre più scabrosi e privi di tabù. Rispetto a qualche decennio fa, quando la pubblicità faceva la pubblicità e la TV faceva la TV, tante cose sono cambiate. I i e i lettori di TG urlano sempre più forte (nell’era dello stereo), novelli strilloni di giornali sempre più giullari, fissandoci negli occhi quasi che potessimo ribatter loro chissà che! Dove sono finiti i comati ed eleganti signori tipo Mike Buongiorno ed Enzo Tortora, pace all’anima loro? D’altra parte sono queste le regole del gioco e come tali vanno rispettate, pena l’espulsione dall’ambito come calciatori indisciplinati. Purtroppo, ripeto purtroppo, queste cose le scopriamo solo facendo un confronto diretto e obiettivo con le TV estere: senza questo confronto tutto ci sembrerà normalità! E pur con questo molti big della TV hanno modi accattivanti e colpiscono nel segno. Anche se i colpiti si difendono sempre più utilizzando il telecomando, e quei signori farebbero bene a stare attenti, a lungo andare la corda si può spezzare. Ma è anche vero che usando i toni confidenziali e misurati dei loro colleghi europei non avrebbero lunga vita da noi e ancor meno l’effetto desiderato. Nei dibattiti salottieri poi, si nota con grande disappunto come gli interventi prematuri e impertinenti del e tendano a spazzar via ciò che di valido l’interpellato sta esponendo, cancellandone il senso. Quanto più una emittente acquista spettatori, tanto più può esigere quattrini dai suoi spazi pubblicitari. Le azioni imbonitrici di cui sopra favoriscono le TV commerciali che, non avendo un canone da riscuotere, si sentono legittimate a incrementare gli stacchi promozionali nei loro programmi e a rendere più allettanti i programmi stessi! Film della durata di un’ora e mezza, si prolungano per 3 ore, imbottiti come sono di reclame. I canali esteri si possono seguire per ore senza incorrere in un accenno di
pubblicità; ma appena rientriamo sui nazionali, veniamo brutalmente aggrediti dai “consigli” per gli acquisti, che ci riportano, senza tanti complimenti, alla realtà! TV e pubblicità si tengono amichevolmente per mano; solo che la seconda ha i soldi e conduce la prima. Non occorre essere degli smaliziati critici televisivi per capire che entrambi ci stanno menando per il naso come, quando e quanto vogliono, derubandoci senza riguardo dei nostri soldi. Il mondo della reclame reca nel suo intrinseco di tutto e di più. Politica, imprenditoria, affarismo, religione, terrorismo, avventurismo. E’ un enorme calderone senza fondo le cui potenzialità non sono ancora completamente sfruttate e le cui possibilità (consumatori permettendo) sono quasi illimitate: basta avere il coraggio, meglio ancora la sfrontatezza, di sfruttarle: qualità che non difettano a molti, troppi imprenditori. Si può ben affermare che da noi ben pochi produttori di qualcosa si trovano a doversi confrontare con dei veri concorrente sul mercato interno e con un’opinione pubblica autorevole come succede altrove. Così i signori della TV e della reclame seguitano ad arricchirsi senza intralci, mentre contribuenti e consumatori seguitano a impoverirsi. La TV è uno scatolone (magico) dentro il quale prospera la propaganda. E’ la madre terra, la fattrice bonaria e condiscendente, ma anche esigente e intransigente: per questo l’una non può prescindere dall’altra. Questa è davvero cattiva, ma non mi trattengo dal dirla: più conosco le nostre emittenti radio e TV, pubbliche e private e la stampa in generale, più convengo che non sono tanto ingiuste le classifiche che ci pongono ai primi posti dove sarebbe auspicabile esser ultimi e ultimi dove sarebbe meglio esser primi! Una domanda mi assilla negli ultimi tempi notando la frequenza con cui politici e giornalisti si pongono con grande assiduità alla nostra attenzione nei numerosi talk show, nelle feste che seguono alle feste, nei meeting, congressi, anniversari e ricorrenze d’ogni tipo: dove trovano il tempo, questi signori, per svolgere il loro lavoro e per scrivere persino dei libri? E già che ci siamo mi permetto anche questa. Il regista Ugo Gregoretti ha detto alla radio che in Germania gli insegnanti picchiano sulle mani con una bacchetta gli scolari indisciplinati e con quella bacchetta girano per le strade e se beccano
un loro scolaro che si comporta da indisciplinato, lo picchiano ancora. Io ho frequentato 3 anni di scuole tecniche in Germania e non sono mai stato picchiato e mia moglie fa fatto 8 anni di scuole elementari e nemmeno lei è stata picchiata. Ricordo bene però, che la mia insegnante di prima e seconda elementare (era appena finita la guerra), la bacchetta la teneva davvero nascosta dietro la schiena e quand’era necessario la utilizzava. E qui mi viene da fare una riflessione: non sarebbe forse il caso che questa usanza venga recuperata da chi di dovere, pur ricorrendovi solo in determinati casi? Non sarebbe meglio una bacchettata sulle mani oggi che un delinquente in più domani? Penso che in pochi Paesi al mondo basti presentare un festival di canzonette, tipo Sanremo, per potersi permettere di vivere di rendita per il resto della vita. I miracoli di Santa Televisione e la strapotenza della reclame! E non mi è affatto chiaro il motivo per cui un annunciatore della Rai, dall’accento meridionale, debba darci i titoli dei TG regionali. Non perché mi sia antipatico l’accento meridionale, un tempo lo parlavo pure io, ma quel TG è già imbottito di speaker sempre con quell’accento e stona un po’ sentire le notizie locali con cadenze così diverse. Non è ingerenza nei costumi del luogo? Lasciateci questo ambito allo stato naturale! E ancora sulla Rai. Visto che noi telespettatori paghiamo un canone di abbonamento, paghiamo i contributi che essa riceve dallo stato e compriamo i prodotti che essa promuove, non sarebbe auspicabile che nelle trasmissioni (quiz a premi, ecc.) che vanno in onda dalla mattina alla sera vengano poste delle domande un po’ più acconce, più educative e meritocratiche di quelle che comunemente sentiamo (e che ci fanno rizzare i capelli), almeno per un minimo di rispetto verso i bambini che a quell’ora siedono in gran numero davanti al televisore?
Luci ed ombre della ribalta natalizia
Il periodo natalizio è il momento in cui ci sentiamo più propensi a spendere i nostri soldi. Ci sentiamo buoni e generosi e facciamo regali a destra e a manca, incoraggiati anche dal fatto che abbiamo appena intascato la tredicesima. Proprio la vigilia di Natale di qualche anno fa, ricevemmo una telefonata dallo zio di mia moglie, quello che ha scelto di are il resto dei suoi giorni nelle brumose lande del Mare del Nord. Ci chiamava per gli auguri, ma appariva turbato. Ci chiese se andava tutto bene e avuta risposta affermativa parve quasi non crederci. Chiedemmo se anche lui stava bene e disse che da loro grossi problemi non ve n’erano, a parte qualche brinata mattutina che rendeva le strade scivolose, ma alla cui soluzione ci ponevano rimedio i diligenti stradini locali e che comunque rendevano il paesaggio ancora più tipicamente natalizio. Lo preoccupava la nostra situazione. Era opinione lassù che l’Italia si trovasse in una brutta situazione e insisteva per sapere se davvero stavamo bene come sostenevamo. Di nuovo lo rassicurammo, dicendo che la sua affermazione ci giungeva nuova. Non avevamo la sensazione di trovarci sull’orlo della bancarotta, anzi, ci pareva di non aver mai goduto di tanto benessere e altrettanto ci pareva di poter dire degli altri a giudicare da com’erano affollati i negozi e piene le borse della spesa. Che si mettesse il cuore in pace e si apprestasse a festeggiare un felice Natale, come lo avremmo fatto pure noi. Ma, riposta la cornetta, mia moglie restò assorta. Ogni chiacchiera, disse, contiene un fondo di verità. Se lo zio diceva quelle cose, un motivo ci sarà. Per fugare le sue apprensioni riprese in mano la cornetta e parlò coi figli. Chiese loro se le cose andavano per il verso giusto e se avevano incassato la tredicesima. Avuta risposta positiva, ci rituffammo nel dolce clima natalizio da cui lo zio ci aveva bruscamente strappati. Negli ultimi tempi la TV ostentava un’opulenza senza pari, ma al contempo ci informava di colossi industriali che “bancarottavano” come castelli di carta. Il Natale di qualche anno fa mi ha riservato una grossa delusione: lo sciopero Alitalia! Non che mi servisse l’aereo: tuttavia mi chiesi: ma che gente è questa? Sono sull’orlo della bancarotta e hanno la faccia tosta di lasciare a noi poveri
cristi un debito di 4,5 miliardi di euro (oltre ai miliardi che abbiamo pagato in ato) e metter su scioperi a raffica in un periodo così delicato, danneggiando proprio coloro che ancora una volta sono chiamati a pagare i loro debiti! Da ragazzo ero molto apionato di sport. Di tutti gli sport, fuori il calcio e l’ippica. Seguivo col cuore in gola le battaglie a colpi di pedale di Bartali e Coppi e mi piaceva la boxe e l’atletica, la pallanuoto e la pallacanestro. Porto ancora nella mente i volti ammaccati di Aimonti e Cavicchi, Loy e D’Agata e molti altri, quello sfigurato di quel Charly Gaul, faccia d’angelo, emerso dallo scatenarsi della natura (ero presente sotto la bufera di neve al suo volo solitario sul Bondone in quella tappa da tregenda) e non ho scordato la Pro Recco, la Canottieri Napoli, Zatopek, Dordoni e molti altri, di cui seguivo i risultati a Radiosera. Ogni giorno acquistavo La Gazzetta dello Sport che leggevo sino all’ultima parola, esclusi calcio e ippica, e non di rado integravo la mia sete di sapere acquistando e bevendo anche Tuttosport. Del calcio ricordo Virgili della Fiorentina, forse infatuato dal nome e Montuori per il volto corrucciato e cattivo e pochi altri e non perdevo un numero di Sport Illustrato. Nella mia avversione verso il calcio ero comunque una rarità. A volte assistevo a una partita del campionato regionale per stare con gli amici. Solo dopo anni di soggiorno al Nordeuropa mi sono apionato al pallone: tifavo per la Roma e la Nazionale. Quando battemmo la Germania ai mondiali in Messico, fui tra le centinaia di migliaia di italiani che uscirono per le strade a festeggiare. Una marea di gente festosa e chiassosa invase paesi e città, moderni conquistatori di allori pallonari. Urlammo fino a notte alta per la storica vittoria e irridemmo gli sconfitti. Molti di loro neanche sapevano ciò che era accaduto e si affacciavano alle finestre pensando più a una rivolta degli emigrati che a una vittoria di pallone. Agli inizi degli anni ’70 giocò in notturna, a Stoccarda, il Napoli di Zoff e Altafini. Mia moglie e io urlammo all’inverosimile, incitando il Napoli. Mia moglie urlò tanto che perse la voce. L’indomani eravamo in Italia per una visita ai miei e per tutto il tempo che fummo da loro non riuscì a proferire parola. Spiegai loro che non ce l’aveva con loro come poteva sembrare, che aveva perduto la voce incitando il Napoli contro lo Stoccarda. Credo non capissero! Chiesero cosa avessimo noi contro la città di Stoccarda e a favore di quella di Napoli per gridare fino a perdere la voce. Rimpatriando portai nel cuore la ione per il calcio, che raggiunse i massimi
livelli ai mondiali ’82. Più di una volta fui sull’orlo dell’infarto. Mia moglie si affannava a prepararmi cuccume di camomilla. Poi la ione scemò, fino a cessare del tutto, complici le esagerazioni d’ogni genere che presero il sopravvento in questo sport. Considerando il mio patriottismo, nel senso buono del termine e recependo lo sport come una realtà nazionale e notando che non solo nel calcio ma anche negli sport meno noti, le squadre vengono sempre più imbottite di giocatori esteri di ogni provenienza, penso che sia un gioco da ragazzi comprendere il motivo del mio voltafaccia. Oggi mi sento come liberato da un fastidioso raggio di luce e mi chiedo come abbia potuto apionarmi tanto ad avvenimenti verso cui nutro ora tanta indifferenza, forse avversione. Si deve superare i settanta per scoprire mari e monti, città ed altro e capire che non esiste solo il calcio? In queste esagerazioni la TV ha una grande responsabilità. Abbiamo più telegiornali di chiunque altro al mondo (quaranta, cinquanta, cento al giorno?), ognuno dei quali aspira ad essere il più seguito del reame e che per questo cerca lo scoop ad ogni costo a discapito dell’obiettività e della vera informazione. I TG vengono imbottiti d’ogni sorta di notizie e ognuno somiglia all’altro, partigianeria politica a parte. L’esasperata ricerca del dissimile che esca dagli schemi e faccia colpo a tutti i costi, li rende sempliciotti e provinciali, spesso noiosi; ma pare che vadano a segno: ed è ciò che conta…
Veline, veline, veline…
Il telecomando è uno strumento a difesa del telespettatore, violentato dalla pubblicità. Senza il telecomando il nostro atteggiamento nei confronti della TV sarebbe sicuramente meno tollerante. Ho posseduto un apparecchio di quel tipo in Germania sin dagli anni sessanta, alla nascita del terzo canale. Era collegato al televisore tramite un grosso cavo bianco e risparmiava il fastidio di doversi alzare dalla poltrona per cambiar canale e regolare volume e contrasto. Oggi, oltre alle funzioni per cui è stato ideato, ha lo scopo, dicevo, di difenderci dalle aggressioni della pubblicità, dalla nausea degli infiniti TG e da altre assurdità sempre più dispotiche e dilaganti nelle nostre TV, sia commerciali che di stato, visto che anche i personaggi che le animano si fanno sempre più aggressivi e sfacciati, al pari dei molti venditori che ci forzano di acquistare questo o quel prodotto con la promessa che è quanto di meglio e di più conveniente ci offra il mercato. Da anni i nostri consumi sono la metà della media europea e uno dei motivi di questa deficienza è certamente da addebitare alla pubblicità. Lo dimostra il fatto che pur nel mezzo di una profonda crisi mondiale le esportazioni sono aumentate, non essendo oberate dall’aggravio della pubblicità, mentre sono calati i consumi interni, sovraccarichi della stessa. E il 75% della nostra produzione è destinato al mercato interno! Sui nostri teleschermi si vende e si promuove di tutto e di più. Spesso sono i conduttori a improvvisarsi venditori, resi forse più credibili dal ruolo che rivestono in quel momento. E sempre più frequente vengono abbinati prodotti e servizi a programmi come le previsioni del tempo, telegiornali e telefilm, a personaggi pubblici e uomini politici, persino ad assicurazioni statali (INAIL) e all’evasione fiscale (?!). Siamo sopraffatti dalla pubblicità, dai venditori, dai lottologi e dai maghi come nessun altro popolo al mondo, stuprati, seviziati, martirizzati; per questo il telecomando è il nostro mezzo di difesa più accreditato e garantito. La pubblicità ha estromesso finanche l’etica. E’ un campo di battaglia con
sempre più analogie con quello della droga e non si ferma davanti a nulla. Due esempi per tutti: un’agenzia voleva utilizzare per degli sketch pubblicitari lo zingaro che ha investito e ucciso col furgone 5 persone e un’altra il tunisino spacciatore della strage di Erba. Al Nordeuropa ci sono canali che praticano esclusivamente le televendite e sono dei veri negozi mediatici. Esistono anche le vendite per corrispondenza tramite cataloghi che contengono migliaia di articoli d’ogni genere (ho sottomano un catalogo tedesco formato da ben 1392 pagine!) e la merce risulta garantita perché effettuata da aziende di grandi dimensioni. Come abbiamo visto, persone e cose che ano attraverso il teleschermo, assurgono agli onori dell’Olimpo. Anche presso i nostri concorrenti esistono emittenti televisive commerciali che campano grazie alla raccolta pubblicitaria, ma con una mole di gran lunga inferiore alla nostra. L’arte di arrangiarsi fa da noi molti proseliti, e in un certo senso questo è positivo; ma non sempre quest’arte è produttiva, spesso si nutre come i parassiti di ciò che producono gli altri. E se da un lato la nostra inventiva può essere considerata un patrimonio, dall’altro ci rende deboli, perché si nutre con la linfa della nostra laboriosità produttiva. E’ il motivo primario per cui nelle varie classifiche europee e mondiali ci troviamo spesso agli ultimi posti dove sarebbe meglio esser primi e ai primi dove sarebbe meglio esser ultimi. La solita litania! Negli ultimi vent’anni siamo cresciuti la metà della media europea e spesso non siamo cresciuti affatto. Il nostro Paese ha delle forti contraddizioni: in certi settori siamo tra i più evoluti al mondo, in altri tra i più arretrati. La TV è un caso emblematico e, come ho detto, in gran parte responsabile di questa situazione. L’efferata concorrenza spinge la TV di stato a disattendere il suo compito di servizio pubblico e a scendere a patti con le TV commerciali che non badano certo a qualità ed etica. Pur dovendo riconoscere alla TV pubblica dei meriti, pur limitati, a volte anacronistici, a volte a o coi tempi e magari uno davanti, si deve al tempo stesso riconoscerle una gestione sempliciotta e farisea, non di rado di facciata, laddove i fatti non sempre rispecchiano la realtà (TG 1). Consumatori e contribuenti sostengono la TV pubblica col pagamento di un canone, con contributi statali e con la pubblicità, che pagano sui prodotti che acquistano per vivere; le TV commerciali si mantengono con la sola pubblicità.
Ambedue traggono danaro dai prodotti e dai servizi che noi consumatori, volenti o nolenti, siamo costretti a comperare, se non ci teniamo a morire di fame, di sete e di freddo, essendo il costo della pubblicità incorporato nei prezzi. Con questi proventi le TV si rimpinguano a dismisura. Pur stando di qua del teleschermo si capisce che la TV comanda la politica e la politica la TV, che si tengono per mano, mungendosi a vicenda. Chiunque possegga un po’ di buon senso può notare gli incredibili sprechi delle TV pubbliche e private, soprattutto in questi tempi di crisi economica. Ma nessuno se ne preoccupa, pensando che questo spendere e spandere sia proprio delle TV di tutto il mondo. Ma non è così! Questi sprechi sono frutto della concorrenza tra le emittenti per rubarsi l’audience e avere più raccolta di reclame. Costi che ritroviamo poi nei prezzi dei prodotti che ogni giorno siamo costretti ad acquistare e nelle tasse che paghiamo. Come ho già notato, e come ancora farò, le tasse si possono evadere, i costi della pubblicità no! In uno dei numerosi talk show ormai tanto in voga nel nostro Paese, il presidente di Mediaset Gonfalonieri, in risposta all’ex ministro delle Comunicazioni Gentiloni che evangelizzava la Rai come servizio pubblico, gli ribatteva che anche Mediaset può fare servizio pubblico. Allora ci si chiede: non lo fanno già abbastanza tutt’e due il servizio pubblico a discapito di noi consumatori, alleggerendoci il portafogli a suon di battage pubblicitari, riservandoci in cambio null’altro che manciate di spazzatura? Notiziari che si sovrappongono ai notiziari, o che si precedono di poco per rubare ascoltatori, altri che cercano spazi vuoti. La lotta è totale e senza esclusione di colpi e gli sfarzi e le dizioni ridicole che esibiscono sono da bollino rosso. Nel corso della medesima giornata, le medesime notizie vengono dette e ridette decine di volte in decine e decine di TG e di gr e scritte sulle pagine dei giornali e non c’è da stupirsi se il consumo di polli subisce un improvviso crollo per l’aviaria o se ci si sogna di notte (e a volte anche di giorno) dei delitti di Cogne, Perugia, Morlasco e di Sarah e dello spread tra btp e bund. C’è poi l’uso, anzi l’abuso, delle cosiddette veline, le ragazze che hanno il ruolo di uccellini, pardon uccelline, da richiamo. Di questo ho già parlato e non posso che ripetermi. Le veline sono ragazze graziose, rifatte e profumatamente pagate, col fine di rendere la trasmissione più pepata e seguita. In molte trasmissioni
vengono posizionate nei punti cruciali ripresi dalle telecamere, o mischiate al pubblico. Sono dei veri soprammobili e hanno la funzione di catturare spettatori (naturalmente maschi, in barba alla discriminazione). Queste sontuose esibizioni di bellezze in fiore farà anche piacere a molti (sempre maschi), ma i costi sono unisex. E ci sono le aziende che forniscono abiti e gioielli ai personaggi della TV in cambio della loro citazione nei titoli di coda, costi che sempre e solo sul consumatore ricadono. Un osservatore americano ha detto che in Italia ogni giorno è festa! Di tutti i TG che le 1200 TV e 800 radio ci sfornano a raffica in nome della pluralità d’informazione, molti potrebbero esserci risparmiati. E’ antidemocratico, irresponsabile e antieconomico chiamare senza sosta il consumatore a pagare i salatissimi costi della concorrenza tra le emittenti pubbliche e private, e ingiusto. Ci vorrebbe un comitato di difesa contro la sopraffazione dell’informazione e della pubblicità, una sorta di Protezione Civile per i danni che comportano al cittadino-consumatore. Ma chi ha il coraggio, e la convenienza, di crearlo? I consumi potrebbero riprendere riducendo gli sprechi della reclame, di conseguenza i costi! In tal modo i prezzi potrebbero scendere di molto! Possiamo permetterci di avere i prezzi più alti dei nostri concorrenti solo per sovvenzionare radio e TV, partiti e parassiti d’ogni genere e pagarne poi il prezzo sulla competitività, e sull’indigenza della popolazione? Dovendo essere competitivi (e possiamo permetterci di non esserlo?) dobbiamo toglierci questa palla al piede zeppa di cose superflue e negative, dobbiamo ridurre questo secondo fisco che è la pubblicità e tutto ciò che grava su stipendi e pensioni, come il debito pubblico, gli sprechi, il parassitismo, gli stipendi corporativi sproporzionati ai risultati, le tasse e l’evasione fiscale e ridare alla meritocrazia il valore che le compete. Ecco dunque l’occasione per il governo Monti che vorrebbe ridurre la pressione fiscale e non può farlo per mancanza di fondi. Al posto delle tasse riduca la pressione pubblicitaria di un bel 50% e i risultati saranno sorprendentemente positivi, più ancora della riduzione delle tasse. Per questa soluzione non servono fondi, ma buona volontà e coraggio e ci avvicinerebbe di un bel o all’Europa.
Seguo spesso, di mattina presto, una TV privata del nord-est che propone due ore di discussione tra politici e imprenditori e telefonicamente con gli telespettatori. Il e propone temi trattati dai giornali, gli altri commentano. Proprio i telespettatori lamentano sovente la differenza, a nostro sfavore, tra i prezzi del resto d’Europa ed i nostri e non di rado, ci assicurano, i nostri risultano 2-3-56...10 volte e anche più superiori ai loro. Ciò conferma quanto vado sostenendo in queste pagine. Sarebbe bello poter creare dei posti di lavoro semplicemente prelevando i finanziamenti dai prezzi dei prodotti, già così spolpati dalla pubblicità, dalle tasse e dai parassiti. Chi non lo farebbe? Ma il mercato ha le sue leggi e ne esige il rispetto, pena l’espulsione dal mercato per chi le disattende. La concorrenza non perdona e prima o poi schiaccia chi troppo approfitta dei costi di cui sto parlando a iosa. Noi, purtroppo, ci troviamo in questa situazione. E ci siamo dentro a tal punto, complici la pubblicità, le tasse, il parassitismo, il debito pubblico, il buonismo, l’emigrazione, le mafie, le faraoniche infrastrutture radio-televisive, l’Alitalia, le Ferrovie, ecc., “aziende” con migliaia di posti di lavoro che traggono le loro risorse finanziarie dalle tasche dei consumatori, che uscirne fuori, se mai ne saremo capaci, sarà una impresa da titani. Ciò che noi (consumatori) possiamo fare per rendere almeno il fisco della reclame più leggero, è evitare di acquistare, o acquistare il meno possibile, i prodotti che essa tanto sfacciatamente, e antidemocraticamente, ci costringe ad acquistare. E’ nostro diritto avere pure noi beni e servizi con il 20-30-50% in meno, come i nostri vicini europei. Ma a causa di questo dissennato settore parassitario siamo costretti ad addossarci un mare di costi in più. Senza questa anomalia tipicamente nostrana, potremmo investire di più nella ricerca. Invece dobbiamo importare tecnologia dai Paesi di cui sopra, nei quali i nostri cervelli sono obbligati ad emigrare, Paesi che sono poi i nostri più diretti competitori. Come milioni di italiani ammiravo e stimavo il presidente Berlusconi. Poi è esplosa la bomba Ruby e mi sono reso conto che egli non è mai stato il presidente che faceva per noi. Certo, ha fatto ciò che nessun altro politico italiano è riuscito a fare: governare per una intera legislatura! Non gli perdono il suo inelegante atteggiamento verso i suoi colleghi esteri, una nota stonata per il
nostro Paese e per l’atavica, antipatica e fastidiosa insistenza nel denunciare i mali altrui, senza tener conto dei propri. E c’è poco da ritenersi offesi se poi la signora Merkel e Sarkosy rispondono a sorrisini alle domande dei giornalisti su Berlusconi. Il quale non trascura alcun incontro coi colleghi europei e mondiali per offrire loro penosissime macchiette, comportamento inaccettabile per un presidente del consiglio. Ma chi è senza peccato scagli la prima pietra! E’ facile, ma sbagliato, cercare la colpa dei nostri guai nell’euro e nell’operato dell’opposizione. L’opposizione rappresenta una grossa fetta di cittadini italiani e va quindi rispettata con una dialettica adeguata. La ripresa ce la dobbiamo guadagnare a suon di meriti, non di parole. Purtroppo oggi produciamo tante chiacchiere e pochi fatti. Politici, imprenditori e giornalisti se le danno di santa ragione a suon di interminabili bla bla bla, alla radio, in TV, sui giornali. L’euro è una moneta impegnativa, ma lo è anche per i nostri concorrenti. Dobbiamo investire di più nelle infrastrutture, nella ricerca, nella qualità; meno in vacanze all’estero, in lussuose SUV, in calciatori e veline e far sì che anche le nostre donne ci diano una mano: sono ultime in classifica in fatto di occupazione! Ripeto, è comodo, ma truffaldino, continuare ad attingere dai prezzi dei beni cui 60 milioni di consumatori sono forzatamente costretti a far ricorso e dalle tasse, di gran lunga le più oppressive dell’UE. La solita solfa: allentando la morsa pubblicitaria i prezzi potrebbero scendere, i consumi salire, riprenderebbe la produzione, il parassitismo diminuirebbe e i posti di lavoro perduti nella pubblicità verrebbero assorbiti dalla produzione, così anche il nostro euro si guadagnerebbe il giusto valore. Avremmo una migliore qualità della vita e una condizione sociale più equa e democratica, come avviene nel resto d’Europa. Non c’è bisogno di sopprimere le radio e le TV private, esistono in tutto il mondo. Basta strutturarle in maniera più razionale ed economica, eliminando ciò che è di troppo. Dobbiamo liberare i consumatori dal giogo dello sfruttamento coatto. Bisogna assolutamente far sì che la pubblicità non sia la causa prima delle nostre persistenti crisi, specie se è in corso una crisi mondiale. Abbassiamone la mole almeno del 50%!
Le TV private potrebbero autofinanziarsi introducendo un canone facoltativo o vendendo beni e servizi come fanno i normali negozi (senza tanti divi come testimonial, ma con persone normali come succede altrove), incentivando così la concorrenza. Avremmo una situazione sociale più equa e la gente sarebbe in grado di acquistare i prodotti più rispondenti alle loro necessità, come andare a teatro, al cinema o allo stadio e la qualità della vita diverrebbe più piacevole per tutti.
Quando dicesi di chiari sottintesi
Ciò che più colpisce delle TV nordeuropee è la sobrietà e l’etica, dovute ai minori introiti pubblicitari, al rispetto per il denaro altrui, all’oculata concorrenza tra le emittenti e alla onestà. La quasi totale mancanza pubblicità nella TV pubblica e lo scarso impiego in quelle private (cui non si disconosce tuttavia una funzione di fronzolo e seduzione per programmi altrimenti scarni e incolori), la mancanza di veline, di divi e di altri sperperi, si nota in modo esponenziale, con fantastici vantaggi per la borsa della spesa, stipendi e pensioni e per utilità pubblica. E’ palpabile come gli sprechi e gli sfarzi esagerati vengano banditi con un’ottica diversa dalla nostra e come vengono respinti, e se è il caso denunciati, dai consumatori che condannano senza appello chi di tali sperperi si renda responsabile. In altre parole se una emittente televisiva spendesse per una trasmissione di scarsa qualità delle cifre inopportune, il popolo dei telespettatori, non solo cambierebbe canale, ma si rivolterebbe in massa contro i responsabili, inducendoli a rivedere il loro operato. E’ dunque naturale che tale eventualità, vista in quest’ottica, venga giudicata e condannata a priori e subito scartata. In tal modo le TV che campano col canone contengono gli sprechi e le TV che non hanno il canone fanno trasmissioni adeguate ai propri mezzi. Chiaro, pertanto, che i responsabili dei palinsesti cerchino di fare audience non solo offrendo buoni programmi, ma offrendo al tempo stesso contenuti di pubblica utilità e di informazione educativa. Gli sprechi vengono combattuti senza mezzi termini a tutti i livelli, denunciati dall’uomo della strada e dai media ed evitati da chi di dovere. Questo è uno dei motivi per cui al Nordeuropa sono in grado di investire molto più di noi nelle opere pubbliche e nella ricerca e assicurare stipendi e pensioni molto più alti dei nostri, spesso del 100% e con un potere d’acquisto più elevato. Nei Paesi nordici il denaro del contribuente è sacro e quello del consumatore viene rispettato e speso con la massima coscienziosità. Gli amministratori disonesti sono i primi a essere penalizzati da una gestione scorretta e tale atteggiamento vige in tutti i settore della vita sociale, economica e produttiva.
Guardando con occhio critico le nostre emittenti radio e TV, sia pubbliche sia commerciali e confrontandole con quelle nordeuropee, la prima cosa che salta all’occhio è che non sappiano dare il giusto valore ai soldi dei cittadini: 4-5-6-7 10 e più presentatori per una trasmissione, 4-5 e più cronisti per una partita di calcio, se giochiamo all’estero ci portiamo le telecamere pur essendoci quelle ufficiali del Paese ospitante, giochi a premi dalla mattina alla sera e nella notte, costosissimi divi e dive per addobbo, orde di veline superpagate, dispendiose sedi all’estero, frotte di cronisti e troupe in giro per il mondo pur potendo usufruire delle più economiche agenzie d’informazione, troupe di cronisti sguinzagliate per l’Italia nonostante l’esistenza delle sedi regionali. E così si fa sempre più ricorso ai soldi della pubblicità, soldi tolti ai consumatori. Come si può impedire in questa bolgia che i prezzi non aumentino a dismisura e di pari o non aumenti la gente che non sa più come arrivare a fine mese e non aumenti la crisi sia economica sia sociale? Prima che si venisse a conoscenza del Bunga Bunga e delle ormai famose cenette, Berlusconi ha detto che i poveri in Italia sono in continuo aumento. E come può essere altrimenti quando tanti parassiti, a cominciare da lui, si arricchiscono succhiando proprio il loro sangue (leggere soldi, prego)? Nei Paesi più evoluti del nostro chi sbaglia paga, come è giusto che sia. Se è stato rubato un elefante, non ci si affanna attorno al furto di uno spillo. L’etica di un popolo, la sua visione delle cose, variano come le lingue e i dialetti da nazione a nazione, da regione a regione, da città a città, spesso da villaggio a villaggio. Ma anche l’insieme di differenti mentalità può produrre risultati positivi quando le regole, soprattutto quelle sottintese, quelle che ogni individuo sa di dover rispettare, vengono osservate dalla maggior parte dei cittadini. Basta allora coi favoritismi, è giunta l’ora, imprescindibile, d’introdurre e valorizzare anche da noi, come altrove, la meritocrazia, non possiamo fare diversamente se vogliamo tornare ad essere un Paese competitivo e al o con i tempi. Basta con i politici che racimolano milioni solo perché sono politici e sanno parlare, basta con i manager che incassano milioni solo perché sono manager e sanno sgomitare, basta con personaggi televisivi che si beccano milioni solo perché sono personaggi televisivi e fanno introitare miliardi alla TV con la pubblicità. Bisogna porre fine a queste parzialità nocive per i cittadini e far sì
che anche quei signori si guadagnino la pagnotta con i meriti e non con le chiacchiere e assegnino stipendi più adeguati ai dipendenti e pensioni meno tassate ai pensionati, in modo che i consumi riprendano e con essi l’economia. Purtroppo, o per fortuna, noi non abbiamo frontiere dirette con i nostri vicini, se non in qualche breve tratto di confine. A nord ci separa la barriera delle Alpi, lo stivale è una penisola dentro il mare, le isole sono isole e non possiamo osservare i nostri vicini e influenzarli o esserne influenzati. Ci sentiamo al riparo dagli sguardi indiscreti e un po’ ne approfittiamo. Paesi come la Germania, la Francia, l’Olanda, il Belgio non hanno barriere naturali per confini, basta varcare un ponticello, a volte neanche quello e si è dall’altra parte. Nel corso dei secoli questi Paesi hanno avuto modo di studiarsi e di copiarsi a vicenda e sono culturalmente e strutturalmente simili. Ma è altrettanto vero che il nostro isolamento naturale non ci ha riservato solo svantaggi. Abbiamo avuto modo di forgiare la nostra cultura come meglio ci calzava, secondo le nostre caratteristiche ambientali e le numerose opere d’arte presenti nel Paese lo stanno a dimostrare. Il nostro ingegno viene universalmente riconosciuto. Molte di queste prerogative tuttavia, sono andate scemando nel corso dei secoli e sarebbe il caso di recuperarle a colpi di orgoglio, di amor patrio e convenienza. Ecco dove la TV pubblica potrebbe giocare un ruolo importante, che sarebbe uno dei suoi compiti. Viceversa è costretta a investire mezzi e risorse per combattere la concorrenza delle TV commerciali a suon di veline, di squallide tematiche, di scarsa etica e quiz milionari, ed è pertanto quasi normale che la gente si rifaccia a ciò che gli viene tanto sfacciatamente sbandierato. Le trasmissioni culturali sono pezzi da museo. Dalla TV di stato ci si può aspettare ben altro in termini di formazione e informazione. In realtà le trasmissioni di tal fatta non mancano del tutto, ma hanno luogo a notte alta quando la gente dorme sonni tranquilli. Poi il timore di perdere audience ha la meglio su ogni altra priorità, e utilità, ed ecco i risultati. Le TV commerciali per contro, sentendosi libere da impegni culturali e soprattutto etici, si aprono la strada a sgomitate senza guardare in faccia nessuno. E’ vero che nessuno ci costringe a guardarle. Ma è altrettanto vero che ci costringono a pagare le tangenti sui prodotti che acquistiamo. Ogni emittente
televisiva si è assunta il ruolo di mungitrice automatica (autorizzata) del consumatore. Secondo le regole del mercato la concorrenza si fa a colpi di prezzi e qualità, non di pubblicità e ci dovrebbe essere chi queste regole le fa osservare. Invece tutto questo è tabù e la nostra situazione economica e sociale lo sta a dimostrare. Non abbiamo un’opinione pubblica con capacità decisionali. La massiccia presenza di emittenti televisive e private viene (furbescamente) giustificata col pluralismo d’informazione. Secondo la mia visione invece, c’entra di più l’occasione che gli si offre di infilare le dita nel portafogli del consumatore e di togliere ciò che gli fa comodo, senza chiedere il permesso e senza nulla dare in cambio. Ed è triste assistere a tante trasmissioni frivole e banali, e costosissime, nelle ore di maggior ascolto, senza un pizzico di utilità e buon senso. Riconosco tuttavia, che è sin troppo facile e scontato giudicare le cose in questo modo per chi, come me, ha vissuto tanto tempo in Paesi all’avanguardia della tecnologia e dell’evoluzione sociale e produttiva, con vedute spesso agli antipodi rispetto alle nostre. La TV è la riprova più attendibile che in Italia non esiste un’opinione pubblica autorevole. Non riesco a immaginare i politici inglesi, si o tedeschi che fanno a gara a chi compare più frequentemente in televisione, piuttosto che star seduti sulle proprie poltrone ad assolvere i compiti per cui la gente li ha prescelti! I politici inglesi, si e tedeschi tremerebbero al pensiero di ciò che ipotizzerebbero i loro elettori vedendoli occhieggiare per 4, 5, 10 volte al giorno dai teleschermi. Nel piccolo villaggio di montagna dove ho avuto i natali non era insolito sentirsi rivolgere da insegnanti e genitori frasi di questo tipo: “Comportati bene, che la gente chiacchiera!” Oppure: “Fallo a modo quel lavoro, non far ridere la gente!” E ancora: “Prendi la scopa e pulisci la strada davanti a casa, cosa deve dire la gente?!” La gente, ovvero l’opinione pubblica, era un concetto che contava molto e il cui giudizio tutti temevano e rispettavano. Chi lo eludeva veniva etichettato di cattivo credito, con riflessi nei settori sociali. Per non sollevare le chiacchiere della gente si assumeva un comportamento esemplare, seguendo
scrupolosamente le regole. Il negoziante invitava il commesso a pulire l’esercizio dentro e fuori, il falegname faceva altrettanto col garzone e così gli altri, di modo che la gente non avesse nulla da ridire. C’erano pure le eccezioni: ma erano appunto eccezioni e non normalità. Questa era un tempo, ormai ato, l’opinione pubblica: una istituzione sottaciuta, formata di valori morali ed etici, una sorta di tribunale popolare virtuale, rispettato e temuto. Oggi invece, a giudicare da quel che si vede, nessuno fa più sorridere nessuno e anche se lo fe non gliene importerebbe un fico: vedi la sporcizia ai bordi delle strade, nei piazzali delle case, dei negozi, dei ristoranti, degli uffici pubblici e privati, le loro facciate fatiscenti, il modo disinvolto di atteggiarsi al riguardo. La maleducazione si è talmente radicata nei costumi da sembrare quasi una virtù, o una necessità. E così, ciò che dovrebbe apparire un segno di progresso e di democrazia, si trasforma in un segno di regresso e inciviltà, un voler dire “qui comando io, se vi piace buon per voi, se non vi piace… tanto peggio!” E non si può certo obiettare che questo modo di pensare e di agire sia una concausa, seppure indiretta, per cui una famiglia italiana su cinque arranca per arrivare a fine mese. Da noi vige ancora la legge del più forte: il signorotto dispotico e “arraffatutto”, che lascia agli altri solo le briciole e non accetta critiche. E che è all’origine dei nostri prezzi assurdi, delle tassazioni elevate, dei bassi stipendi, ma vergognosamente alti ai vertici, che ci fanno andare a fondo senza tuttavia mai raggiungerlo del tutto… in virtù, appunto, delle briciole. A proposito della legge del più forte, non mi pare fuori luogo spendere qualche parola sulla posizione della donna italiana. Se da noi si discute di quote rosa, in Norvegia, ad esempio, si discute di quote azzurre. Lembi estremi di una Europa unita sì, ma con enormi divari, peraltro storici. Da noi la donna è quasi assente in politica, nel mondo imprenditoriale e nel tessuto sociale e poco presente nel mondo del lavoro. E’ più adatta all’attività di casalinga? Anche nei vari salotti televisivi chi la fa la parte del padrone è sempre e solo il signor Maschio. Alla donna calza meglio il ruolo di velina, di annunciatrice, giornalista e ancor
più, ripeto, di casalinga. Negli ultimi tempi si è fatta strada qualche eccezione: donne dirigenti in Confindustria, nelle Forze Armate, qualche ministra in più. Questo fa ben sperare, si inizia sempre dal poco. Ma, come per tanti altri argomenti, se ne discute animatamente, soprattutto in TV. Si cerca una giustificazione, più che una soluzione, che dia la sensazione di aver fatto a sufficienza. Può anche darsi che via via la situazione migliori, e lo speriamo vivamente, pur se a o di lumaca.
Sì può unire l’utile al dilettevole…?
Riempire di contenuti intelligenti e razionali le trasmissioni radio e TV per 24 ore al giorno, tutti i giorni, le pagine dei giornali, le riviste, non è cosa da poco. Ciò che sconcerta guardando la TV, ascoltando la radio, leggendo i giornali è l’impossibilità sempre maggiore di poter leggere, sentire e vedere cose serie e sensate. I titoli si fanno sempre più forti per scardinare la resistenza dei cittadini e fare breccia. Non importa se il soggetto da formica diventa elefante. Ciò che conta è l’effetto. Alla faccia dell’obiettività! Un tempo valeva il detto: “Poco, ma buono” e quel significato aveva un peso. Oggi pare d’obbligo il contrario: riempire gli spazi di pettegolezzi e pubblicità per fare centro. Questo incide in modo deleterio sulla qualità dei contenuti e sui costi e non occorre essere dei geni per capirlo. In una trasmissione di un’ora e mezza si dicono più cose che sarebbe meglio non dire, di quante sarebbe meglio dire, sprecando tempo e risorse che sarebbe meglio non sprecare e impiegare in modo più intelligente. Ma dovendo riempire gli spazi si cerca il pelo nell’uovo, la futilità, al posto delle cose serie. E invece che centrare l’obiettivo dimostrando quanto sia giusta l’una o l’altra affermazione, si scivola nel banale. Stando di qua del teleschermo si capisce quanto siano mediocri e partigiani gli atteggiamenti di i e ospiti e ancora meglio lo si capisce se di tanto in tanto si fa una carrellata sul satellite e si raffronta le nostre TV con quelle estere, anche senza conoscerne la lingua. Ma non potendo i telespettatori porvi altro rimedio se non quello di cambiar canale, rischiando di beccarne uno ancora peggiore, si finisce per accettare tutto come vangelo. A giudicare da quel che si vede sul piccolo schermo si ricava l’impressione di un bello sgomitare tra i personaggi che lo affollano, giornalisti, star, ospiti, pubblico pagato e politici, per accaparrarsi la frequenza nella rete. Pare che politici e giornalisti, giudici e psicologi, un po’ meno i prelati, poco altro abbiano da fare se non mettersi a ciarlare e ciarlare nei vari salotti, confortati del fatto che basta poco, attraverso la televisione, conquistare l’attenzione della gente. Ogni emittente che si rispetti trasmette giornalmente varie trasmissione di questo
tipo e non di rado si possono ammirare i protagonisti in contemporanea su più canali. E par quasi che ci dicano: “Pensavi di avermi fregato, eh?” Vanità delle vanità! E’ certo invece che all’estero si preferiscano i fatti alle parole! Per ogni comune mortale la vita è una battaglia. E’ quindi giusto che ognuno si assicuri la sopravvivenza lottando come il gladiatore nell’arena. Peccato che ciò avvenga quasi esclusivamente a discapito del più debole. Sarebbe bello poter dire che la TV pubblica avverta più della privata la responsabilità dei compiti e dei doveri, di tipo formativo e informativo. Viceversa, poiché la concorrenza incalza e le trasmissioni educative e culturali non sono tra le preferite dal pubblico televisivo, cede anch’essa la priorità alla spazzatura. E qui mi assale un dubbio: quello di parlare troppo della TV, in termini peraltro tanto critici, e troppo poco di altri argomenti altrettanto importanti! Ma il mio atteggiamento ha una ragion d’essere precisa e si rifà al fatto che io, questa TV, l’ho vista nascere e vagire ed è quindi naturale che la veda in una luce di paterna benevolenza, senza per questo dover rinunciare a delle logiche aspettative. Quando, pur di dire qualcosa, si dicono tante baggianate che neanche l’oceano più capiente sarebbe in grado di contenere, se non si dissolvessero subito nell’aria… Altra speculazione della TV pubblica nostrana. Ai mondiali di calcio 2006 in Germania, e in parte a quelli del 2010 in Sudafrica, non ho potuto vedere una partita, che sia una, trasmessa dalla Rai. Nella mia zona la ricezione del primo canale era di pessima qualità e la Rai aveva oscurato la ricezione delle partite via satellite. Non le hanno invece oscurate le altre TV europee! Ho potuto seguire tutte le partite del mondiale via satellite sulla TV tedesca e austriaca, trasmissioni di eccelsa qualità, senza l’esborso di un centesimo e senza interruzioni pubblicitarie. Aggiungo che al sostentamento della Rai contribuisco pure io, non solo pagando il canone, ma pagando altresì la pubblicità sui prodotti che acquisto e pagando le tasse per i contributi statali che essa riceve; mentre per le TV tedesche, svizzere e austriache non sborso il becco di un quattrino! Ecco quindi il mio giudizio: è giunta l’ora che anche noi la concorrenza la facciamo a colpi di prezzi e qualità, e non solo di sketch pubblicitari! E non sarebbe immorale proporre trasmissioni con offerte di lavoro, corsi per
computer, esempi pratici di come si può fare la manutenzione della propria abitazione, dell’automobile, di come va costruita e mantenuta una strada, una via, una piazza, una spiaggia, l’orto dietro casa e il giardino davanti, rubando esempi ai nostri competitori e far notare come sia antiestetico e incivile scrivere sui muri, abbandonare porcherie ai bordi delle strade, sui sentieri di montagna, sui litorali, in modo che anche il nostro habitat possa avere parvenze civili e confortevoli e ci tolga dal dubbio di trovarci in un Paese civile. Ed è triste sentire in tempi di profonda crisi economica affermazioni tipo: il turismo italiano per tornare a essere competitivo ha bisogno di questo e ha bisogno di quello. Io credo che il turismo italiano abbia bisogno di poche e semplici cose, il resto ce lo dà madre natura. Ha bisogno di pulizia dell’ambiente, di prezzi onesti e competitivi, di servizi di qualità! Il turista straniero che arriva in Italia, oltre all’arte, alle bellezze urbane e naturali di cui può godere, forse come in nessun altro Paese al mondo, ha bisogno di relax. Invece trova parcheggi striminziti (quando esistono) e cosparsi di rifiuti, prezzi grassi e servizi magri, musichette rompiscatole a tutto volume dappertutto e un sacco di casino. Logico che se ne torni a casa stomacato e se mai ritornerà, sarà quanto meno premunito. Non può essere il centro storico un’isola bella e pulita in mezzo a un mare di immondezza! Di tanto in tanto mi ritrovo su una strada a scorrimento veloce di recente costruzione che porta ad un famoso centro termale veneto e ad importanti centri produttivi. A distanza di 50 metri l’un dall’altro vi sono dei mini parcheggi. La carreggiata è di discreta qualità, ma i parcheggi hanno perso la loro qualifica e sono dei veri depositi di rifiuti! Quella strada è percorsa da turisti nordeuropei e da TIR provenienti da ogni dove. Dinanzi a tale scempio mi viene naturale una domanda: come possiamo essere competitivi vantando tali oscenità? Penso alle strade dei nostri vicini che paiono uscite da un libro di favole per bimbi! Tornando alla TV, vorrei capire il criterio con cui si dà la precedenza ad una notizia rispetto a un’altra nei vari TG. A meno che non si tratti di uno tsunami o di una discesa sulla luna, a me, piccolo uomo della strada, sembrerebbe logico che, trovandoci in Italia, le notizie che ci riguardano vengano dette per prime. Come avviene dappertutto. Invece, proprio le notizie che ci riguardano, vengono dopo quelle che non ci riguardano più di tanto, purché accaduto all’estero. Ci vergogniamo delle cose di casa nostra?
Come ho già accennato, solo nelle occasioni in cui il presidente della repubblica, del consiglio, della camera o del senato si recano all’estero ci prende una impennata di nazionalismo e i vari cronisti al seguito, piuttosto che chieder loro gli obiettivi della visita e i risultati ottenuti, chiedono dettagli di politica interna. Ma bisogna andare in Polonia, in Cina o al polo nord per parlare senza imbarazzo degli affari nostri? Ricordo un reportage trasmesso anni fa da un TG della Rai la sera di un dì di festa. Le immagini mostravano gruppi di turisti stranieri, molti dei quali con occhi a mandorla e macchine fotografiche a tracolla, altri con abbronzature non proprio europee, che raccoglievano immondezze d’ogni genere nelle nostre città. Mi colpì il fatto che essi non apparivano per niente irritati, bensì divertiti, quasi che stessero giocando a golf o raccogliendo funghi! E sorridevano comprensivi agli operatori TV che li riprendevano increduli. Non ricordo che ordine di apparizione fu dato a questo evento, ma sarebbe stata una gran cosa se lo avessero messo al primo posto. Quando è bene unire l’utile al dilettevole… Sovente si sente parlare di fasce deboli, intendendo con ciò i lavoratori. Questa popolazione, non v’è dubbio, si dibatte in perenne difficoltà con l’avversa situazione. Ma coloro che così la definiscono, non capiscono, o fingono di non capire, che proprio da lì arriva la ricchezza, ricchezza che loro, appartenenti alle fasce forti, si possono accaparrare con facilità e in larga misura, lasciando le briciole a quelle deboli e rischiando in tal modo di pregiudicare la loro stessa sopravvivenza. I tedeschi, i si e gli inglesi sono più previdenti di noi, riservano alle fasce deboli retribuzioni più sostanziose, rafforzando in tal modo il loro futuro e quello degli altri. All’estero si riciclano gli scarti di produzione, così come gli stessi rifiuti umidi, da imballo e di ricambio. La Germania usa da anni senza complessi la carta riciclata per produrre carta, i rifiuti per produrre energia, il vento per generare energia elettrica, pur essendo un Paese ricco e fortunato. E sempre in Germania la spesa pubblica è del 7% del PIL e tutto funziona a meraviglia, quando da noi è dell’11% e tutto funziona come tutti noi sappiamo. Nessuno ci batte nell’andare alla radio e in TV a parlare. Ciance, ciance, ciance… e ancora ciance! Fiumi di parole per lasciare poi tutto uguale a prima, anzi peggio: le buche nelle strade, i fiumi e i torrenti abbandonati a se stessi, case che crollano, rifiuti sparsi ovunque! Chiacchiere, chiacchiere e ancora
chiacchiere! Parole in serie illimitata, come altrove si producono sedie e guarnizioni. Oramai ci stanno superando tutti, fra non molto ci supererà anche l’Africa! Il sindacalista Bonanni ha detto che i dirigenti hanno introiti di 40-50 volte superiori agli stipendi di impiegati e operai e che bisogna far qualcosa per ridurre lo squilibrio. Ma non ha precisato cosa. La Rai sta recuperando, o tenendosi stretti, arcaici personaggi e arcaici figlioli prodighi, che dovrebbero essere in pensione da lustri e che con la loro insaziabile avidità rubano il posto ai giovani, più meritevoli e preparati di loro. Dobbiamo ricostruire un’opinione pubblica forte e decisionale, dobbiamo reintrodurre la meritocrazia in ogni settore della vita pubblica e privata, nella politica, nell’economia, nei servizi. Le “battute” non certo eleganti e tanto meno diplomatiche di Berlusconi erano una patetica riprova che la nostra opinione pubblica andava recuperata. E questo, almeno, è stato fatto!
Quello sciagurato secondo fisco, anzi primissimo
(Seconda parte)
Quello sciagurato secondo fisco, anzi primissimo! Quell’ammazza poveridiavoli di secondo fisco della pubblicità che, volenti o nolenti, siamo costretti ad onorare e che ci costa uno sproposito in termini di prestigio, di reputazione e di danaro: questo mi viene da dire di getto e senza indugio! Quella maledetta palla al piede, quel colossale battage che difficilmente riusciremo più a toglierci di dosso, se non altro per il fatto che pare esser diventato un arto del nostro corpo, tanto siamo abituati a sentircelo addosso. Un arto però, infetto da cancrena che dobbiamo amputare se vogliamo far riprendere i consumi, quindi l’economia e se vogliamo stipendi e pensioni più alti e con più potere d’acquisto! Questa analisi può apparire crudele al pari della notizia di una brutta malattia, ma i fatti e i misfatti testimoniano la sua gravità e se non lo facciamo noi, lo farà il mercato. E la considerazione più logica che mi viene da fare è quanto di più spontaneo e istintivo si possa immaginare e al tempo stesso di più ardito e intricato: per rendere i prezzi più accessibili, gli stipendi più europei, le pensioni più umane non si danno 40 euro al mese ai poveri per aiutarli a sopravvivere, ma li si mette in grado di acquistare i beni di cui necessitano con i soldi che già posseggono. Come? Togliendo dai prezzi stessi, almeno per loro uso personale, il peso assurdo e antidemocratico della pubblicità, riducendoli del 20-30%! Da noi la pubblicità incide il 30% sui prezzi al consumo e i 40 euro del governo sono circa il 10% della pensione di chi ha diritto a riceverli e vengono tolti al contribuente, che ne risentirà. Se diminuissimo la pubblicità del 20% anche i prezzi potrebbero diminuire (in teoria) di quella percentuale e il potere d’acquisto salire di 20 punti, che sarebbe ben più dei 40 euro che dà il governo. In tal modo non verrebbe tolto nulla al contribuente e tutti, consumatori,
contribuenti e pensionati ne beneficerebbero, i consumi riprenderebbero, la produzione pure. Il mercato interno assorbe il 75 % della produzione nazionale ed è di gran lunga più importante dell’esportazione. Non è stato facile per me identificare quel secondo fisco. Ci sono riuscito dopo anni di ricerche, di riflessioni e di confronti con le varie realtà dei nostri competitori e la sua esistenza ne è venuta fuori forse più per casualità che per mia bravura. Come ho già notato, la lampadina che mi ha fatto scoprire l’esistenza di quel fisco privato che tanto ci penalizza e ci danneggia nei confronti dei nostri concorrenti, che tale ostacolo non hanno e che frena la nostra economia, mi si è accesa in occasione della seconda vacanza che mia moglie ed io abbiamo trascorso al Mare del Nord. La prima volta eravamo stati ospiti dello zio di mia moglie e le spese le aveva sostenuto lui. La seconda volta, per non essergli di peso, avevamo affittato una villetta. L’euro, da poco entrato in vigore, favoriva il confronto dei prezzi. E la differenza, come abbiamo visto, era tutta a nostro sfavore (di questo ho già parlato e mi scuso per la ripetizione, ma la ritengo necessaria). Gli scaffali dei negozi ostentavano una variegata opulenza. Numerosi prodotti italiani di cui facevamo largo uso a casa nostra e dei quali mia moglie conosceva i prezzi a menadito, facevano bella mostra di sé. Il fatto di trovare quei prodotti a quelle latitudini stuzzicò il nostro orgoglio nazionale, ma la differenza dei prezzi ci scioccò! Gli stessi prodotti che acquistavamo a casa qui costavano meno che da noi e in maniera significativa, pur avendo alle spalle un tragitto di 1500-3000 km. Si trattava di pasta delle marche più note, pomodori pelati, vino, brioche, frutta fresca e formaggi, insaccati e altri prodotti. Anche i prodotti locali costavano meno dei nostri in Italia. La verdura, disse mia moglie, costava la metà. Avevamo portato allo zio scatole di tortellini, bottiglie di vino, grappa, mortadelle, bibite e caffè e ora ci ritrovavamo gli stessi prodotti a un palmo dal naso a prezzi inferiori a quelli da noi pagati. Ci chiedemmo perché. Mia moglie e io conoscevamo bene la Germania. Ci avevamo vissuto negli anni 60 e 70. Lei era arrivata con i suoi nel ’56, io da solo nel ’60. Lei aveva
frequentato le scuole dell’obbligo a Stoccarda, io mi ero diplomato alle scuole tecniche statali nella stessa città. Proprio nel capoluogo svevo ci eravamo stabiliti dopo il matrimonio. Nel ‘75 eravamo rimpatriati, affinché i nostri figli frequentassero le scuole italiane. Da allora erano ati più di 30 anni e le cose erano cambiate e di molto! A quei tempi i prodotti italiani si trovavano quasi esclusivamente nei negozi gestiti dai nostri emigranti e costavano di più che in Italia; ma il marco era forte e si potevano acquistare. Nel ‘60 ci volevano 135 lire per acquistare un marco, quando ce ne andammo 750 e i prezzi erano ancora un po’ più alti che da noi. Ma già il burro e la carne costavano di meno, per non parlare delle autostrade (gratis, e che autostrade!) e della benzina. Tornando in Patria per le vacanze potevamo acquistare i coupons per la benzina, che ci facevano risparmiare un 30-40% sul prezzo italiano. In seguito la situazione si era ribaltata. L’inflazione era quasi inesistente in quel Paese e la concorrenza era molto efficiente. E c’erano mille altre ragioni nel tessuto sociale e produttivo che determinavano la modicità dei prezzi, sulle quali stavo ancora indagando. Ora però, non esistevano più il marco forte e la lira debole, ma l’euro comune che avrebbe dovuto, in teoria, avere un valore uguale per tutti. Ma così non era: come a suo tempo il marco nei confronti della lira, ora anche l’euro tedesco era più forte dell’euro italiano. Nei primi giorni di vacanza, nonostante l’afa, girammo per negozi e ristoranti e consultammo prezzi e offerta e alla sera andavamo a fare quattro salti (sotto nessun cielo a due cose mia moglie non rinuncia: agli spaghetti e al ballo). Visitammo l’Olanda e la Danimarca e esaminammo i prezzi. Pure lì erano più bassi che da noi, spesso di molto e gli stipendi più alti, tranne ai vertici. Uno zainetto per la scuola costava un terzo di quanto l’avevamo pagato pochi giorni prima in Italia per il nostro nipotino e la qualità ci pareva ottima, pur se non firmato da chissà che famosissimo stilista C’era sicuramente una spiegazione per tutto questo; ma era come cercare un ago in un pagliaio. Ne parlammo con lo zio, ma neanche lui fu in grado di fornirci chiarimenti adeguati. Disse che i formaggi italiani erano più stagionati dei locali, i salumi pure, il vino non temeva confronti e le camicie più fini. Poteva essere questa la causa della differenza. A me parve una buona spiegazione, ma con qualche riserva. Anche a noi il formaggio italiano pareva più saporito di quello tedesco, olandese e danese. Ma perché il nostro stesso formaggio era a più buon prezzo che in Italia, il vino pure e anche le automobili? E i televisori, i trapani elettrici, le macchine fotografiche, le cartucce per il computer, le aspirine e via,
via, via? Questa faccenda pareva più ingarbugliata di un piatto di tagliatelle! Mi spremevo le meningi per scoprirne le ragioni, ma non ne venivo a capo di nulla. Le spiegazioni potevano essere molteplici e di varia natura. D’accordo, il nostro prosciutto era più stagionato del loro, il formaggio pure, quindi con un costo di produzione superiore, le nostre scarpe erano disegnate da illustri designer, le camice pure. Ma il resto? I prodotti non sottoposti a stagionatura, quelli che contenevano tecnologia e che erano ugualmente più economici? E perché gli stipendi che servivano ad acquistare quei prodotti erano più alti dei nostri del 30, 50, 100 %? Perché un operaio specializzato guadagnava 2000-3000-5000 euro e più, contro i nostri 1000-1500? Trovai la soluzione nel bel mezzo di una notte insonne, come sono quasi tutte le mie notti. Mia moglie dice che confondo la notte con il giorno. Le o davanti alla TV, al PC o a leggere un libro di cui non ricordo mai il titolo né l’autore e di giorno mi addormento sul divano. Non di rado il mio letto rimane inutilizzato. Credo sia un’abitudine comune a tanti pensionati. Proprio davanti alla TV ho trovato il bandolo della matassa. Secondo il mio punto di vista. Ne ho capito i motivi a furia di confrontare le nostre trasmissioni con quelle del luogo: dapprima in modo incerto, via via sempre più chiaro, infine chiarissimo! Ho capito perché i nostri prezzi sono così alti, spesso i più alti, a volte di molto (specie degli immobili che trovano qui una menzione a parte), di ogni altro Paese europeo. Ho capito che da noi chi vuol fare soldi li preleva semplicemente dai prezzi dei prodotti inserendosi nella filiera, soprattutto di quelli di maggior consumo, quelli di cui nessuno può rinunciare, ovvero quelli di largo consumo. Lo fa il fisco per le tasse, l’industria per produrli, la pubblicità per arricchirsi. L’idraulico lo fa per permettersi la SUV di lusso, così come il muratore, il falegname, l’elettricista. Le loro prestazioni sono le più care d’Europa e spesso le più scadenti. Lo fanno i commercianti, i produttori, gli albergatori, i ristoratori. Anche al Nordeuropa lo fanno, ma in misura più equa e pagando le tasse. E, lo ripeto alla noia, lassù esiste pere la vera concorrenza. Da noi la pubblicità preleva soldi dai prezzi in una maniera criminale. Gli esperti dicono che partecipa a quel prelievo (o banchetto) nella misura del 30%, a volte
di più. Le TV nordeuropee sono strutturate in modo diverso delle nostre. Sono più democratiche e razionali e più rispettose del danaro altrui. La pubblicità sui canali pubblici è quasi inesistente e non vi sono giochi a premi imbottiti di veline, TG e salotti a tutte le ore del giorno e della notte, e la vendita di beni, gli astrologhi e le ragazze-porno hanno canali propri (notturni), si finanziano con i loro proventi e non coi soldi del consumatore. E l’ostentazione sfrenata di lussi, divi e frivolezze che umiliano e impoveriscono milioni di persone è praticamente sconosciuta. Prevale la misura, la razionalità, la sobrietà. E’ stata la quasi totale assenza di pubblicità, posta in relazione con i prezzi, che mi ha fatto capire ciò che non capivo, ossia che i loro prezzi erano più bassi dei nostri e gli stipendi più alti, spesso di molto, grazie alla meritocrazia e all’onestà. Poiché la pubblicità, come si è visto, costa un occhio e chi la paga è il consumatore, mi è parso logico ricondurre ad essa la causa della modicità dei prezzi al Nordeuropa. Un altro fatto contribuisce poi a mantenerla bassa, qualcosa che noi non abbiamo e di cui ho appena detto: la concorrenza, quella vera, scevra da accordi più o meno taciti e da ricatti! Son così giunto alla conclusione che la pubblicità attuata in maniera tanto massiccia dalle nostre TV, dalle radio e dai media in genere, oltre a doverla subire senza il nostro consenso, ci costa un accidente poiché ricade come un macigno sui prezzi: che frenano i consumi e ci tolgono competitività! Poi ci vengono servite finanziarie di svariati miliardi con cui paghiamo una volta ancora perché non cresciamo. Altro che emittenti commerciali gratis perché non fanno pagare il canone! Le paghiamo con la borsa della spesa e con le finanziarie… e pure salate! Trent’anni fa, quando il simpatico Paul Neuman si vestì per pochi secondi da Babbo Natale ricevendo in cambio ben cinque miliardi di lire, per promuovere la pasta che mia moglie già da tempo acquistava, fui sul punto di capire che la pubblicità ci sottraeva i soldi dalla borsa della spesa, ma allora pensavo che la stessa cosa accadesse pure agli altri consumatori europei e le mie considerazioni morirono lì. A quei tempi i prezzi al Nord-europa erano più alti dei nostri e la pubblicità veniva praticata, seppur in modo più misurato, anche da loro, mentre oggi, come abbiamo visto, da noi si è rafforzata diventando particolarmente aggressiva, mentre da loro è quasi sparita.
Tornando alla mia vacanza al Mare del Nord di cui stavo parlando, dirò che mia moglie si rimpinzò di gialli alla TV tedesca, sempre lagnandosi per la mancanza di intervalli promozionali perché non trovava il tempo per andare in bagno, per prendersi qualcosa da sgranocchiare. Io ribattevo che in cambio poteva acquistare i prodotti a prezzi più convenienti che da noi, come avevamo constatato. Disse tuttavia, che trovava la pubblicità non male “perché ci tiene informati su ciò che offre il mercato”. Ancora non capiva l’effetto devastante che aveva sulla borsa della spesa e nemmeno capiva che i prodotti si trovano comunque nei negozi, reclamizzati o no, basta andarli a scegliere e poi comperare come si fa nel resto d’Europa. Aggiunsi che in tal caso non si doveva lagnare dei prezzi, perché proprio con quei prezzi lei pagava gli intervalli pubblicitari per potere andare al bagno e a prendersi dei dolci. Lei insisté dicendo che i costi pubblicitari rientravano nei budget delle aziende, lo aveva detto il presentatore di una TV commerciale. Non eravamo noi a pagare la pubblicità, aveva detto il buon uomo, ma le aziende: i costi rientravano nel budget. Sì, avevo detto io, ma i loro budget li finanzia lo spirito santo o li finanzi tu acquistando i prodotti che il buon uomo promuove? Intanto avevamo riscontrato che la reclame lassù era quasi inesistente, o molto meno presente che da noi. Ne parlammo con lo zio e lui disse che l’uso della pubblicità era meno praticato perché consumatori e concorrenza ne determinavano la quantità. Tradotto: un prodotto eccessivamente reclamizzato ha più svantaggi che vantaggi perché la gente prima di acquistarlo controlla prezzo e qualità e la pubblicità non è sinonimo di qualità e tanto meno di convenienza. In altre parole ancora è il consumatore che muove la bacchetta del direttore d’orchestra, snobbando i prodotti che la pubblicità rincara senza alcun vantaggio per lui, se non quello di doversi sorbire più reclame e di doverne pagare pure i costi. Un tempo anche lassù la pubblicità era molto diffusa, poi si è capito che la miglior pubblicità è la qualità perché parla da sé, si reclamizza senza costi aggiuntivi e i beni li possiamo toccare con mano e valutare nei negozi dove sono in vendita. Lui sapeva che la causa dei nostri prezzi tanto alti non era da addebitare solo alla stagionatura di formaggi e prosciutti, ma al ricorso esagerato alla pubblicità. Il suo ragionamento non faceva una grinza. E mentre lo zio ingoiava un interminabile sorso di birra da un enorme boccale in spessa ceramica grigia, feci mentalmente dei conti: se ogni individuo spendesse per vivere 500 euro al mese, togliendo il 30%, il costo ipotizzato per la pubblicità e aggiungendo un
ragionevole 10% per la stessa, quel tale risparmierebbe 135 euro al mese, ossia 1.600 euro ca. in un anno. Si può quindi supporre che 60 milioni di consumatori avrebbero a disposizione in 12 mesi una somma di danaro incredibile in più da spendere per i propri acquisti (97 mld ca.). Pur dando a questa cifra un larghissimo e generoso beneficio d’inventario, si può tuttavia capire quante cose in più ci si potrebbe acquistare, dando un notevole impulso ai consumi, di conseguenza all’economia, nonché al proprio benessere! Come ho già detto, riducendo la pubblicità il sistema occupazionale non subirebbe perdite, come può sembrare, giacché i posti di lavoro perduti nella pubblicità verrebbero assorbiti dall’industria, la quale, potendo ridurre i costi del 20-30%, riceverebbe una forte spinta dall’aumento dei consumi e dell’indotto e molti nuovi posti di lavoro verrebbero a crearsi. La produzione industriale, avendo una maggiore disponibilità finanziaria derivata dalla riduzione della pubblicità, subirebbe un incremento, portando benessere e giustizia e stipendi più alti, e lo Stato stesso ne trarrebbe dei grossi benefici. In tal modo si potrebbero aumentare gli investimenti nella ricerca (che ammontano a meno della metà della media europea), sempre più essenziali per la competitività, dando più “voce” ai prodotti che si promuoverebbero anche da sé a suon di qualità e innovazione. Si può quindi capire che non possiamo fare altrimenti se vogliamo tornare a essere competitivi. Soprattutto sul mercato interno, come abbiamo visto, dobbiamo essere più concorrenziali poiché assorbe i 3/4 della produzione nazionale! Ma come riusciamo ad esserlo con tutti gli aggravi che ci comporta l’uso indiscriminato della reclame? Tempo fa il TG 1 ci ha informati che la Rai è la TV pubblica più florida d’Europa e il TG 1 il notiziario più seguito. Ma quale TV non sarebbe altrettanto florida raccogliendo una quantità di pubblicità pari a quella della Rai (consumatori permettendo), più il canone d’abbonamento, più i contributi statali? Qui vorrei aprire una parentesi, per quanto ripetitiva. Se il governo, non potendosi permettere in questo momento di ridurre le tasse, riducesse la pubblicità, farebbe una gran cosa, equa ed efficace. Darebbe una spinta vitale all’economia, guadagnerebbe consensi e ci aiuterebbe a superare più facilmente la crisi. Potrebbe inoltre ridurre le tasse a chi gli investimenti li fa nel
rinnovamento tecnologico e nella ricerca, e non solo nella reclame! Vi pare poco? E la cosa è semplice e fattibile! Chiusa parentesi. Si dice che la pubblicità è l’anima del commercio. Ma senza una gestione intelligente essa si trasformerà in un boomerang maligno che colpirà sul naso noi consumatori, rompendocelo. E già lo stiamo sperimentando. La pubblicità si prende i soldi di cui abbisogna (e molti di più) dai prezzi dei prodotti che nessuno può evitare di comprare. Questo è sicuramente un atto odioso e truffaldino, cui i consumatori europei non sono assoggettati (per nostra sfortuna), o lo sono in misura assai inferiore alla nostra. E questo è uno dei motivi per cui il loro euro vale più del nostro e il loro potere d’acquisto è superiore al nostro e i loro stipendi sono più alti. Ma se agli alti stipendi, alle alte pensioni e al loro alto potere d’acquisto preferiamo questo oceano di pubblicità, bene: siamo maggiorenni e vaccinati e possiamo farlo! Se invece alla pubblicità preferiamo stipendi europei, pensioni europee e potere d’acquisto europeo, cerchiamo di acquistare prodotti privi di pubblicità, o con quantità razionali. Per ogni cittadino europeo l’Unione è un’opportunità d’oro. Ma per noi sarà difficile reggerne il confronto, complice questo “secondo fisco” che ci impone forzatamente la reclame, dispettoso fisco che non ci consente di batterci ad armi pari con la concorrenza, sicuramente non sul mercato interno. La mentalità genera il sistema e diventare più europei è un’esigenza assoluta, un obiettivo da raggiungere a ogni costo. In una orchestra di svariati elementi ognuno deve eseguire la stessa sinfonia, pur suonando col proprio strumento, pena uscir fuori dal concerto. Per risolvere questa situazione di crisi bisogna adeguare le entrate dei consumatori alle richieste del mercato, o il mercato alle loro entrate, rivedendo in parte il nostro sistema imprenditoriale e affinché esso funzioni in modo ottimale dobbiamo far sì che i ricchi siano un po’ meno ricchi e i poveri un po’ meno poveri. Non è una visione utopistica del motore capitalistico, ma una necessità e l’autorità competente deve prendersi le sue responsabilità, stabilendo le debite direttive. Chi pensa ancora che si debba essere per forza comunisti per aspirare all’equità e
alla giustizia sociali, si ricreda! Si può esser tanto di destra che di sinistra: vedi i nostri competitori! Si parla di libertà di stampa limitata. Ma perché allora i media si buttano tutti sulle stesse notizie come mosche sul miele. Non è un luogo comune questa limitata libertà di stampa? So che mi sto ripetendo a raffica su dei temi già trattati, cosa che non rientra certo nell’ortodossia dello scrivere. Ma poiché io non mi reputo affatto uno scrittore, mi permetto di farlo per una questione di incisività e chiarezza. Spero con la comprensione di chi mi legge. Sempre a proposito di libertà di stampa, in questo caso di parola, mi vengono in mente i commenti dell’ex capo della protezione civile Bertolaso nella sua visita ad Haiti nel dopo terremoto, commenti sugli aiuti americani. Ognuno può dire e pensare ciò che crede, ma non sarebbe auspicabile che anche i nostri politici imparino a muoversi nei limiti del buon senso e dalla discrezionalità? E poi, che ci è andato a fare ad Haiti, a creare caos nel caos? E a spese di chi? Se poi in Italia non c’è abbastanza libertà di stampa (come qualcuno si lamenta), c’è sicuramente libertà di evasione fiscale e di tante altre cose che altrove non ci sono! Perché non usiamo anche noi, come fanno all’estero, la debita severità con questi signorotti parassitari? E a proposito di estero e di salotti televisivi: domenica sera, 1° maggio 2011, ho assistito a un dibattito sul secondo canale della TV tedesca, lo ZDF. Tema del dibattito: il lavoro. Vi partecipavano un sociologo, uno scrittore, un sindacalista, una giornalista e naturalmente un conduttore. Tutti stavano seduti attorno a un tavolo, con un bicchier d’acqua davanti. Lo studio era spartano, le voci dei partecipanti gentili e pacate, mai alterate dalla discussione. Niente a che vedere con i nostri sfarzosissimi, numerosissimi e agitatissimi talk show. Trasmissione monotona? No, anzi! Perché una frase tra le tante, semplice, chiara e rassicurante, del sindacalista mi ha colpito come mai, credo, mi colpirà in un salotto nostrano! Questa: “Ora possiamo dirci vicini alla piena occupazione!” Lo credo bene: hanno un milione di posti di lavoro vacanti!
Qualità e organizzazione teutoniche: così semplici, che più semplici non si può!
Era il 1960 e avevo diciott’anni, quando un annuncio radiofonico per lavoratori italiani che volessero emigrare in Germania a lavorare mi incantò a tal punto, che decisi di lasciare famiglia, studi e paesello e di recarmi in quel Paese. Il viaggio avvenne di notte, con partenza da Verona, su dei vagoni ferroviari per soli emigranti. La notte non dormii per l’emozione. Superato il confine tedesco, mi colpì l’improvviso silenzioso scorrere del treno. Già in Austria v’erano state delle avvisaglie, un sensibile miglioramento al comfort del viaggio in virtù della migliore qualità del convoglio e dei binari. Nei miei numerosi andirivieni da Roma a casa mia, avevo assunto un concetto diverso del viaggiare in treno. A Monaco di Baviera salimmo su un convoglio tedesco e più che viaggiare in treno, mi parve a un tratto di volare. La prima considerazione che feci fu che lì le cose (oltre che le ruote) dovevano girare in modo diverso che da noi. E mi chiesi perché. Sulle nostre strade ferrate (il riferimento è agli anni cinquanta) era come trovarsi al centro di un furibondo fortunale, mentre qui pareva prevalere la bonaccia. La risposta l’ebbi durante la mia permanenza in quel Paese. Via via che approfondivo la conoscenza della mentalità locale, mi rendevo sempre più conto che per raggiungere quei livelli di eccellenza non ci voleva poi molto, bastava poco, tanto poco che per scoprirlo ci voleva un microscopio. Lo capii ancora meglio frequentando le scuole tecniche tedesche. L’esempio delle ferrovie si può estendere a ogni altro settore produttivo, sociale ed economico tedesco. Ho imparato che chi fa bene una cosa, fa bene anche le altre e ho capito che per eguagliare gli standard di qualità nordeuropei, nella fattispecie quelli tedeschi, non solo bastava poco, ma quel poco si poteva pure realizzare facilmente. Meticolosità, semplicità, buon senso e amor proprio (e patrio) radicati in tutti i cittadini formavano una catena dagli anelli indistruttibili. Per meglio rendere l’idea citerò un esempio di una banalità assoluta, che si estende però in ogni settore. Dunque: se mi sto dedicando alla rifinitura della
carreggiata di una strada per procedere poi alla sua asfaltatura e mi accorgo che mancano due badili di ghiaia per coprire una buca, e poi un’altra e un’altra ancora, non devo far finta di non vederle o limitarmi a buttarvi sbadatamente un pugno di ghiaia e così lasciarvela; bensì devo eseguire in modo perfetto anche questa piccola e apparentemente insignificante operazione, perché anche questa piccola negligenza inciderà, insieme a tutte le altre che sicuramente compirò nella logica di quest’ottica, sulla qualità finale del manufatto. Dovrò quindi utilizzare più ghiaia e usare anche il rastrello per spianarla, così che pure questo dettaglio venga realizzato ad arte. In tal modo anche lo Stato avrà investito bene i soldi dei contribuenti e questi ultimi beneficeranno dei relativi vantaggi nel momento in cui percorreranno quella strada. Altro esempio. Alla fine degli anni sessanta lavoravo in una azienda sveva che produceva dispositivi di misurazione, controllo e assemblaggio d’alta precisione per l’industria meccanica: i clienti erano, per intenderci, Porsche, Bosch, Mercedes, Opel, Siemens e molti altri. Avevo conseguito il diploma di perito meccanico in una scuola statale tedesca di Stoccarda e operavo a fianco dei migliori specialisti dell’azienda. Per la lavorazione usavamo il meglio delle macchine utensili reperibili sul mercato e gli operatori erano usciti dalle migliori scuole professionali tedesche. Costoro, oltre alla scuola specialistica e all’apprendistato, avevano alle spalle anni di pratica nel settore. Essendo impossibile una produzione in serie, ognuno teneva dinanzi a sé il disegno relativo al pezzo da realizzare. Ciò che sto per dire potrà anche far sorridere, invece è una cosa molto seria ed essenziale! Eccola: dopo aver regolato la macchina con l’apposita apparecchiatura ottica e prima di procedere alla lavorazione del pezzo, anche i più esperti operatori, per avere la certezza, è il caso di dire matematica, di ottenere una esecuzione perfetta del pezzo, rifacevano i calcoli con carta e matita; solo dopo tale operazione di verifica si apprestavano alla lavorazione. A me veniva da ridere per tanta pignoleria! Ma una volta che lo dissi a un collega, replicò: “Caro amico, è questa la qualità tedesca!” Aveva ragioni da vendere! La conferma mi veniva dal fatto che a me, che non facevo quelle operazioni con carta e penna, capitava ogni tanto di eseguire qualche pezzo non perfetto (che dovevo rifare), mentre a loro non capitava mai. Insomma, non basta avere dei buoni ingegneri per ottenere un buon prodotto, ci vogliono pure degli esecutori altrettanto validi. E ancora: nella scuola statale tedesca in cui mi sono diplomato, eseguivamo
degli esercizi realizzando dei pezzi su disegno, con tolleranze minime, con il solo ausilio di lima e trapano e capitava che con una ata di lima in più si scendesse sotto la tolleranza consentita. La mia italica arte di arrangiarmi mi suggeriva di correggere l’errore apportandovi uno strato di saldatura e aggiustarlo con la lima. Ma l’insegnante non approvava il mio pur ingegnoso modo di correre ai ripari e mi invitava a buttare il pezzo e a rifarne un’altro. Tornando alle ferrovie tedesche, per completare il concetto qualità, dirò, anzi ripeterò, che per eguagliare la qualità teutonica, e in genere quella nordeuropea, non servono cose strabilianti, basta usare la debita cura nell’esecuzione dei lavori, soprattutto nei dettagli e un’adeguata ricerca dei materiali. Il risultato verrà da sé. Semplice, no? In teoria sì, in pratica meno. Insomma il raggiungimento di livelli di qualità elevati non è prerogativa esclusiva dei popoli nordici, ma chiunque, muovendosi nello stesso modo, ci può arrivare. E domande come quella rivolta da un cronista all’ex presidente Fiat Montezemolo in occasione della presentazione della Cinquecento se “non vedremo più automobili Fiat sulle strade col cofano tristemente alzato verso il cielo”, non avrebbero più ragion d’essere. Tornando al nostro tema, pare che anche in Italia si debba approvare la norma dei licenziamenti utili, come già succede nel resto d’Europa e che proprio l’Europa, causa la nostra inerzia, ci ha imposto. Mi diceva un imprenditore tedesco: “Chi fa il suo dovere non teme i licenziamenti! Un’azienda non si priverà mai di un collaboratore esperto e coscienzioso, sarebbe essa stessa la prima a dolersene!” Se rifiutiamo i “consigli” dell’Europa, non saremo mai all’altezza degli altri europei e dovremo galleggiare come sempre, facendo ricorso alle nostre caratteristiche, che, come si è visto in questa crisi, non sono esattamente quelle che ci aiutano a risanare la nostra economia. A questo riguardo faccio rilevare una differenza sostanziale tra noi e i nordeuropei, e i tedeschi in particolare. Loro affrontano e realizzano gli impegni con l’intendimento di fare in seguito i profitti. Noi, per contro, i soldi li vogliamo fare subito, e in che modo lo sappiamo tutti. Il corrispondente da Roma del quotidiano Frankfurter Zeitung, ospite a Porta a Porta, interpellato in merito dal e della trasmissione, ha detto che in
Germania i nominativi dei licenziandi vengono decisi dai sindacati dell’azienda. I licenziati ricevono poi il 68% dello stipendio per 18 mesi. In tal modo vengono tagliati i rami secchi e i licenziati saranno poi riassorbiti da altre aziende bisognose di mano d’opera. “Fantascienza da noi”, è stato il commento del conduttore. A questo punto non posso che ribadire ciò a cui ho fatto cenno in apertura e che si innesta perfettamente a quanto riferitoci dal giornalista. Maggio 2012: disoccupazione ai minimi storici, con oltre un milione di posti di lavoro vacanti. Lo dice l’Istituto Tedesco di Ricerca sul Mercato del Lavoro, specificando che ricercati sono soprattutto gli ingegneri. E prosegue specificando che i candidati più graditi sarebbero proprio gli italiani. Questo a fronte della preoccupante disoccupazione giovanile che ha ormai raggiunto da noi il 32% e i sindacati che pensano più agli scioperi per l’articolo 18! Sveglia, ragazzi!!!
Riflessioni spicce, vecchie e nuove
Superenalotto: 187 milioni di euro ai sei (360 miliardi di lire, quanto costò la creazione dell’Alfasud di Pomigliano) e 13 (tredici) euro ai tre (25.000 lire)! Che se ne fa il primo di 187 milioni e l’altro di 13 euro? Neanche in questo caso ci smentiamo: ai primi esageratamente tanto, agli ultimi le briciole! Perché non limitare i numeri a 50 in modo che le vincite siano più fattibili e numerose, più umane ed eque e vadano distribuite a favore di più individui? Alitalia (& Company): sarebbe stata una cosa splendida se qualche buon’anima, il responsabile dell’azienda o chi per lui (magari i sindacati), avessero spiegato ai signori dipendenti che per evitare una nuova bancarotta bisognava anche produrre e non solo pretendere scioperando! Dopo pochi giorni di attività della nuova compagnia… già uno sciopero! E che qualche altra buon’anima spiegasse a noi contribuenti, visto che si inietta in continuazione danaro pubblico in aziende di quel tipo, perché molte società europee dello stesso settore sono in grado di comprarle, quando le nostre non riescono a evitare il fallimento nonostante l’allegra elargizione di danari pubblici e che ci spiegasse inoltre il perché degli stipendi stratosferici dei loro piloti, dirigenti, ecc., di gran lunga superiori a quelli dei loro colleghi europei, molto più produttivi di loro?! Mi sto gustando il piacere di una eggiata lungo il letto di un torrente dalle acque limpide e riottose, quando scorgo nell’alveo delle cose che mi fanno rizzare i capelli! Borse di plastica bianche, rosse e gialle, bottiglie di vetro, di plastica, lattine, una vecchia bicicletta per bambini. Un sentimento di pietà per quel corso d’acqua mi punge l’animo e per chi, come me, è costretto a subire quella vista. Fra le nostre tradizioni più discutibili vi sono sicuramente i fischi dell’inno nazionale dei nostri avversari nelle partite internazionali di pallone, i battimani ai funerali (non li capisco proprio) e le interviste ai moribondi negli ospedali. Anche il caso Bonolis, anni fa, per citare uno dei tanti, ha fatto scalpore. Il mimo ha lasciato la TV pubblica avendogli Mediaset offerto il doppio (ossia 8 milioni di euro l’anno in piena stagnazione economica). Poi, di nuovo la Rai, gli dà un milione per presentare il festival di Sanremo. Un’altra conferma che la pubblicità rende più del fisco, non dovendo dare nulla in cambio dei soldi che ci prende, se
non prezzi alti, giochi a premi e veline che ci costano un occhio e che ognuno di noi paga dal primo battito del suo cuore fino all’ultimo. L’opinione di un calciatore, di un divo del cinema, della TV, del gossip, insomma di un personaggio noto, è da noi più accreditata (e più pagata) dell’opinione di un esperto. Vedendo lo stato in cui versano strade, case, edifici pubblici, fabbricati industriali e altro e avendo io negli occhi la realtà nordeuropea, non posso fare a meno di chiedermi: come abbiamo fatto, come facciamo e come faremo a essere competitivi? Se fimo una seria manutenzione di tutte quelle cose, faremo bella figura coi competitori esteri, daremo un bell’apporto alla produzione e all’edilizia e i turisti non verrebbero solo ad ammirare le rovine e… le immondizie! Considerando certe situazioni d’oggidì, tipo mode, comportamenti, eventi, ecc., vien quasi da pensare che la natura, in seguito a qualche stramba coercizione, sia uscita di senno: che i peri diano mele, i meli peri e i fiumi scorrano reflui e che accortezza e consapevolezza appartengano al ato. Un politico, di cui non ricordo il nome, ha detto in TV che il contribuente italiano ha comprato la Fiat almeno dieci volte; e ha ammonito: quando uno ha fame non gli si dà il pesce, gli si insegna a pescare. Non sempre, anzi assai di rado, riesco ad afferrare il senso degli scioperi, che con stupefacente oleosità imperversano nel nostro Paese. Da un decennio siamo in crisi, ora in una crisi nella crisi, i costi dello stato continuano a salire e la nostra competitività è andata a farsi benedire e pur con questo gli scioperi si susseguano agli scioperi, le rivendicazioni sindacali alle rivendicazioni sindacali e la Fiat ha perso qualche anno fa 50.000 autovetture a causa di uno sciopero! Scioperiamo persino per la... competitività! E la concorrenza si sfrega le mani! Tra le nostre fortune certe vi sono le rimesse degli emigranti! Ce ne sono a milioni sparsi per il globo e molti di loro non hanno perso il vizio tipicamente nostrano di inviare soldi a casa. E speriamo che non lo perdano mai! Il contribuente italiano ha comprato più di una volta anche l’Alitalia, le Ferrovie dello Stato e molte altre aziende. Eppure anche in queste aziende gli scioperi imperano e il contribuente-utente, oltre a vedersi costretto a finanziare tali aziende, deve subire i disagi degli scioperi. Per quanto ne sappiamo la manna è
caduta una sola volta dal cielo, ma come in tutte le cose vi sono sempre le eccezioni. Abbiamo scoperto di avere la benzina più cara d’Europa. Ma l’abbiamo sempre avuta! E fosse solo la benzina! In uno stato clientelare e assistenzialista come il nostro, parassitario e sommerso di sommerso, non si può paragonare il nostro tasso di disoccupazione a quello degli altri Paesi europei, come sono soliti fare i nostri politici per propaganda e per nascondere la verità! Tempo fa ho visto all’opera una squadra di spazzini (da tanto non ne vedevo una e chissà quanto erà prima che ne possa vedere un’altra); ma parevano talmente goffi e impacciati da avere quasi il timore di sciupare le scope. Se fossimo in grado di produrre tanti fatti quanto chiacchiere (basterebbe una piccola parte) saremmo degli extraterrestri. Una delle nostre pecche più gravi è la scarsa cura che riserviamo ai particolari. Ci paiono insignificanti, invece sono importantissimi. Sono un apionato di quiz a premi in TV, non tanto per l’interesse ai quiz stessi, ma perché mi fanno sobbalzare sulla sedia le risposte dei concorrenti, quasi tutti laureati o laureandi. Non di rado hanno compiti importanti nella vita professionale e non di rado, ripeto, sobbalzo sulla sedia per le risposte strampalate che danno, pur a fronte di domande elementari! E mi sento in imbarazzo per loro. Ora pare che gli autori abbiano ovviato a questa lacuna proponendo domande per le quali non serve una conoscenza specifica, ma basta tirare a indovinare… Non riesco, ripeto, ad afferrare il senso dei battimani ai funerali. Se quei poveretti i battimani se li meritavano davvero, non avremmo dovuto riservarglieli quand’erano ancora tra di noi, a suon di meriti? A che servono ora? L’Italia deve crescere, si grida a destra e a manca visto che da almeno un decennio cresciamo meno dei nostri concorrenti, o non cresciamo affatto. Per crescere però, bisogna dare stipendi e pensioni più consoni all’uopo e con più potere d’acquisto. Ma poiché la situazione attuale non permette una riduzione delle tasse, che accrescerebbe il potere d’acquisto, una ripresa della produzione industriale e dei consumi, la sola operazione possibile per alzare il potere
d’acquisto è l’abbassamento della massa pubblicitaria! Di tanto in tanto mi capita di percorrere una strada a scorrimento veloce di recente costruzione nel Veneto del miracolo economico. A distanza di 50 metri l’un dall’altro vi sono dei piccoli parcheggi su ambo i lati della carreggiata. Più che parcheggi sono immondezzai. Pneumatici usurati, borse di plastica gonfie di rifiuti, porcherie d’ogni sorta giacciono a mucchi. Da quelle parti ano frotte di turisti stranieri (e italiani), uomini d’affari. A quella vista, e a quel pensiero, un senso di vergogna, misto a rabbia, mi serra la gola! I Paesi da cui viene quella gente si chiamano Germania, Austria, Svizzera, Olanda, Francia. So che a casa loro la situazione è diversa. E mi sorge la solita domanda: come possiamo competere con loro con queste negligenze, seppur stradali? Se un bel mattino ci svegliassimo decisi a riordinare le cose più disastrate, come la segnaletica viaria, la pulizia delle strade, delle spiagge e dei fiumi, abbasseremmo di molto l’incidenza delle inondazioni con i soliti morti e i soliti danni milionari. Si rimane esterrefatti vedendo il brulichio della prostituzione sulle nostre strade e viene da chiedersi se sia utopia sperare in un governo, che sia uno, armato del proposito di toglierla da lì e portarla in luoghi adeguati come avviene nei Paesi civili, ridando decenza all’ambiente e dignità alle donnine che hanno scelto quel mestiere (e far pagare loro le tasse) e risparmiando ai nostri figlioletti l’indecenza di tale vista! E’ un’assolata giornata di giugno e sto raggiungendo una spiaggetta del lago vicino a cui abito; quando trovo la strada d’accesso (400 metri) chiusa per lavori. Poiché quella strada ha bisogno di essere sistemata, rinuncio volentieri a proseguire la eggiata. Macchine operatrici sostano sulla carreggiata e alcuni operatori stanno discutendo tra loro (è lunedì). Con un simile dispiegamento di uomini e mezzi immagino che la strada venga rimessa a nuovo. Concedo loro un paio di giorni, poi torno a vedere. I lavori sono terminati, uomini e mezzi sono andati. Osservo la strada… e mi prende un accidente: hanno ricoperto qualche buca qua e là (le più grosse), il resto è rimasto uguale a prima. Lancio un’imprecazione! E mi chiedo: non sarebbe stato più economico nel tempo e più estetico utilizzare una camionata di asfalto in più e ricoprire tutta la carreggiata? E’ autunno inoltrato. Un camion per la pulizia delle strade sta spazzando le foglie di un gigantesco noce sul lato della strada. La strada è stretta, la macchina
costa centinaia di migliaia di euro. A causa dello spazio angusto la macchina ci impiega molto tempo e molte manovre per ripulire quel po’ di fogliame. Un addetto osserva il lavoro della macchina. Concludo: con qualche colpo di scopa l’uomo a terra avrebbe impiegato un decimo del tempo che ha impiegato la macchina, avrebbe pulito meglio e con minor spesa per le tasche del contribuente! Capita di notare dei lavori che paiono essere ultimati a breve. E’ una impressione fallace: se riiamo l’anno dopo nulla sarà cambiato. Pare che da noi nulla sia più definitivo di una cosa provvisoria. In una trasmissione su Rai Uno a fine agosto 2009 verso l’una di notte viene mostrato come vivono migliaia di nordafricani nelle campagne del meridione d’Italia (prima di Rosarno). Neanche all’inferno starebbero peggio! Un altro servizio mostra le condizioni delle spiagge in Sicilia. Roba da quarto mondo, se non peggio! E mi chiedo: perché non piazziamo sulle spiagge da cui essi partono, dei giganteschi poster che mostrino loro cosa li aspetta da noi? Non vi sarebbe deterrente più efficace per fargli cambiare idea! Che senso ha, ci si chiede, collocare dei cartelli con limiti di velocità, di stop, di divieto di soro e via dicendo, quando non c’è un cristiano che li osserva? E come può una persona che disattende le più elementari norme del vivere civile, svolgere il proprio compito in modo onesto ed esemplare? A proposito di segnaletica stradale… Penso che la sistematica inosservanza di essa alimenti l’assuefazione dei cittadini al dispregio e all’inosservanza delle altre regole del vivere civile! Una deficienza da noi acquisita negli ultimi decenni è l’incapacità, ma anche la non volontà, di creare uno spazio di garanzia tra noi e il nostro prossimo, interponendovi quelle qualità che volgarmente vengono chiamate rispetto e discrezione. Mi disse un’anziana signora sveva (comunista convinta ai tempi di Hitler e per questo internata nel lager di Dachau), presso la quale fui in locazione negli anni 60, a proposito dei suoi connazionali: “Tu non conosci i tedeschi, prima o poi cercheranno la rivincita!” E difatti la rivincita l’hanno cercata, e anche trovata: quella economica stavolta, più conveniente e più appagante di quella bellica. Vedi lo spread btb-bund!
Se la Francia, a cavallo tra la prima e la seconda guerra mondiale, avesse avuto un Napoleone o la Germania un Adenauer, la storia avrebbe preso un altro corso. I soliti se… Conosco i tedeschi fin da ragazzo e posso dire che non sembrano neanche lontani parenti dei tedeschi di Hitler. La sola cosa che li lega al Fuehrer è la vista di un volto sfigurato, la mancanza di un braccio, di una gamba. La vigilia di Natale del 1961 rincasavo sotto una forte nevicata, in compagnia dei miei padroni di casa, i signori Maurer, da una cena in città. Attraversando un centro abitato il signor Maurer prese male una curva a gomito (pur con i suoi occhiali con fondi di bottiglia) e sbatté contro una birreria. Ma la Ford era robusta, il muro del locale pure, la velocità ridotta e ci fu solo il colpo dell’impatto. I clienti della birreria uscirono per rendersi conto dell’accaduto e notando lo sguardo ebete del signor Maurer, nonché la sua rispettabile età, uno di loro gli fece notare che non dovrebbe guidare l’automobile se non si sente in grado di farlo, per di più con le strade innevate. Si segnò il numero della targa e lo consigliò di presentarsi quanto prima per una verifica a un test di guida. Il signor Wolff acconsentì e il giorno dopo fu la prima cosa che espletò. Perché da noi non si fanno le riforme “impopolari”, ma necessarie? Perché tolgono voti. Altrove le fanno comunque perché, terminata la legislatura, se ne tornano al proprio lavoro. E non sempre causano la perdita di voti, anzi! Si dice che per fermare l’immigrazione clandestina si dovrebbe creare dei posti di lavoro nei Paesi da cui essa proviene. L’affermazione è almeno pretenziosa, se non altro per il fatto che non riusciamo nemmeno a fermare la nostra propria, creando nelle regioni disagiate i posti di lavoro di cui necessitano. Quando nel 1960 emigrai in Germania avevo 18 anni e una delle prime domande che mi posi, una volta giunto in quel Paese, fu questa: “Perché i tedeschi sono in grado di dar lavoro a se stessi e a milioni di stranieri e noi non riusciamo a darlo a noi stessi?” La risposta si trova spalmata in queste pagine! Diventato presidente del consiglio per la seconda volta, Berlusconi disse ai tedeschi: “Anch’io lavoro forte come voi!” Per come conosco io i tedeschi non lavorano tanto forte, ma molto intelligentemente e onestamente e… tutti! So di avere un grande vantaggio rispetto ad altri che scrivono libri: quello di chi può esprimere il proprio pensiero, perché ancora non sa se mai avrà un lettore a
cui dover rispondere. A quindici anni me ne andai a Roma per diventare un divo dello schermo. La guerra era da poco terminata, io ero biondo e timido e parlavo col duro accento dei montanari trentini e venivo scambiato per tedesco. Quando sostenni gli esami di ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia mi fecero mimare un soldato tedesco con l’espressione, mi dissero, la più feroce di cui fossi capace. Io ce la misi tutta e superai l’esame. Una giornalista della Rai chiede a un gruppo di turisti stranieri, nel centro di Roma, cosa pensano dell’Italia. Tutti assicurano che l’Italia è meravigliosa. Ma una ragazza spagnola dice: “A me, per la verità, sembra tutto così vecchio e trasandato…” Non riusciamo più a essere competitivi. Siamo in troppi a mangiar la torta e in troppo pochi a metterla insieme. C’è in Italia una irrazionale esasperazione dei fatti, un dilatamento della realtà, una ripetizione forzata degli avvenimenti, che è tutto e il contrario di tutto. Essa è certamente da imputare alla stratosferica quantità dei media che, per galleggiare, sono costretti allo scoop obbligato. Alitalia, estate 2007: ci sono migliaia di esuberi di personale e il governo è costretto a fornire loro 80 ausiliari (pagati dal contribuente) per lo smaltimento dei bagagli. L’impiego di personale negli enti pubblici è talmente superiore al fabbisogno e le disponibilità finanziarie dello stato tanto scarse, che molti sono costretti a portarsi la carta igienica da casa. Ma è anche vero che gli stessi, d’inverno, se ne stanno in ufficio con le finestre aperte e il riscaldamento a pieno regime. Poi la provvidenza ci aveva mandato il ministro Brunetta… Osservando le condizioni in cui versano le strade di Roma, risulta difficile immaginare che 2000 anni fa esse venivano conservate con maggior cura di adesso. A proposito di Roma: un esperto del traffico ha dichiarato che la causa degli ingorghi nella città eterna è da attribuire alle soste in seconda e terza fila. Ma, buon Dio, non è vietato a Roma parcheggiare in quel modo? E se sì, dov’è il problema?
“Tutto quello che non so”, ha detto un tale, “l’ho imparato dalla scuola.” Con un insegnante ogni 4 scolari… Ci siamo inteneriti per le “torture” americane ai prigionieri iracheni e per l’uccisione di Bin Laden e non ci scandalizziamo per i 900-1000 pedoni che ogni anno uccidiamo con le nostre automobili sulle strisce pedonali (delle quali raramente si vede traccia) e ai semafori rossi e dei 1200 morti sul lavoro... Non si capisce perché da noi ogni idea debba avere per forza un colore politico. Non può l’individuo avere idee proprie, sensazioni, opinioni, al di là del colore politico? Nel 1961 lavoravo in una fabbrica di macchine fotografiche nella Selva Nera come elettricista assieme a un collega russo. Un tipo simpatico. Ma nei lavori aveva idee tutte sue. Egli fissava i cavi elettrici a vista non in posizione orizzontale o verticale come l’occhio e la tecnica di montaggio richiedevano, bensì come gli veniva più facile fare. “Anche un cavo obliquo” diceva “è in grado di condurre la corrente.” Se eseguendo un compito che ci è stato assegnato, una statistica, un marciapiede, il recapito di una lettera, riceviamo in cambio il debito compenso, parrebbe giusto, e pure onesto, dover render conto del nostro operato a chi ci paga. O no? Un certo prof. Weiler (anche questa si è sentita in TV) ha detto che le università italiane sono da terzo mondo… Si può andare in Europa a predicare che l’omosessualità è immorale e al contempo tollerare la varietà e l’abbondanza dell’offerta erotico-mercenaria sulle nostre strade e marciapiedi? Un manufatto conserva più a lungo valore e durata se eseguito a regola d’arte sin dall’origine. Per questo credo che molti dei lavorati che noi riteniamo tali, e che paghiamo, al Nordeuropa non verrebbero pagati. Non riesco a celare un certo imbarazzo davanti all’enfasi smodata di certi cronisti e critici di calcio alla radio e in TV. Mi fanno pensare che la loro foga ad altro non aspiri se non ad abbindolare i poveri cristi e far carriera a loro spese. Nell’arco della mia quarantennale attività lavorativa non ho fatto un giorno, che sia uno, di sciopero e in malattia ci sono stato 3 (tre) volte (questa è fortuna). Di
questo non mi vanto, ma nemmeno mi vergogno; anche se sarò uno dei pochi italiani a potermi fregiare di tale esclusività. Credo che noi italiani siamo detentori di un record mondiale in materia di svincoli stradali: lo stesso snodo infatti, può appartenere in una certa misura ai comuni, in un’altra alle province, in un’altra ancora allo stato. Ce ne sono altri che appartengono a privati e non mancano quelli che non appartengono a nessuno: ciò si deduce dal modo in cui viene falciata l'erba, diciamo a turni e dalla manutenzione eseguita pure a turni, se mai queste operazioni vengono eseguite. Durante il mio quindicennale soggiorno lavorativo al Nordeuropa ho difeso a spada tratta il mio Paese in ogni discussione in cui venivo coinvolto, rispondendo, se necessario, per le rime. A tal punto che un collega tedesco mi disse: “Ti dovrebbero dare una medaglia, i tuoi connazionali...” Mi disse un collega siciliano, davanti a un boccale di birra in un accogliente locale svevo: “Se non fossi italiano, vorrei essere tedesco. Questi sono uomini! Potrei esserne fiero. Che grinta, ragazzi!” Aveva i capelli grigi e era un poco brillo, ma lo conoscevo come una persona ordinata e puntuale. Prima che in Germania aveva lavorato nelle ferrovie svizzere. Campionati europei di calcio 2004: il giocatore Totti sputa in faccia a un giocatore danese e viene soprannominato lama. Lo cacciano dal campo e gli vietano di giocare. “Dobbiamo essergli grati per i momenti di bel gioco che ci ha regalato” tuonano i nostri cronisti, sportivi e non. Facciamo arrivare i migliori avvocati dall’Italia. Invano, l’onta dello sputo è indelebile, come indelebile rimane il divieto per il lama di giocare! Non abbiamo vinto l’europeo, ma sarebbe stato come vincerlo se avessimo noi stessi allontanato il giocatore dal torneo! Uomini dei più svariati colori politici si avvicendano sulla poltrona di sindaco di Roma. Ma a giudicare dalla situazione in cui versa la città eterna pare che più che la città a essere eterna, siano i suoi malanni e sorge il dubbio che vi sia, o vi sia mai stato, un sindaco... Molta gente, troppa, pensa che le persone educate e civili debbano essere per forza anche idiote. Anche questa l’ha detta la TV: le banche italiane sono le più “clientelari”
d’Europa, i bancari i più pagati e i meno efficienti. Mi disse una volta un tale: “Sai, socio, so che quella cosa non dovrei farla, ma la faccio ugualmente”. Eravamo seduti in una confortevole locanda sveva, avevamo bevuto cinque birre a testa e eravamo in vena di confidenze. Oh cara, vecchia Svevia, terra di Schiller e di Hesse, come mi mancano i tuoi comodi Gasthaus , gli interlocutori di quel tipo e la tua birra! Compio spesso delle lunghe e tonificanti eggiate attraverso i boschi della valle, lungo le spiagge del lago, sui sentieri di montagna. Quando trovo una pietra sui sentieri, una cartaccia sulla spiaggia, una canaletta per la pioggia intasata di fogliame, non posso fare a meno di togliere il sasso, la cartaccia, il fogliame, facendo di tutto per non farmi notare. Berlusconi ha detto che le sue aziende aiutano altre aziende a vendere i loro prodotti. Sarà originale la sua uscita, ma tale “aiuto” comporta un forte aggravio sui prezzi al consumo, sui salari, sulle pensioni: prezzi che sono tra i più alti d’Europa, salari e pensioni tra i più bassi e con il minor potere d’acquisto! E non solo i prezzi si allungano! Anche i film della TV si allungano, sempre più imbottiti di reclame: da un’ora e mezza di durata originaria a tre ore; e la gente al mattino si deve alzare per la pagnotta quotidiana! Le aziende che da noi tirano anche nella crisi sono le aziende pubblicitarie e l’indotto della pubblicità. E più tirano quelle, meno tirano le altre e più tiriamo noi… la cinghia. Scuole: siamo ultimi. Gli studenti italiani non reggono il confronto con l’Europa, ci dicono i TG. L’handicap più grave nei confronti dei nostri competitori è la carenza di disciplina, rigore e preparazione, che ha riflessi negativi sulla loro formazione e sul loro modo di affrontare l’attività lavorativa. Per restare in tema, al Nordeuropea anche la manovalanza edile è tenuta a frequentare le scuole professionali! E lo si nota ad ogni piè sospinto. Rai e Mediaset raccolgono il 95% della pubblicità nazionale, di questo il 60% va a Mediaset. Ne aveva ben donde l’ex ministro Gentiloni di avercela con le due emittenti, quando cercò di far partecipare al banchetto anche le emittenti più piccine. E chi si preoccupa di noi consumatori? Siamo i soli in Europa a essere sfruttati, anzi rapinati, in maniera tanto sfacciata e antidemocratica dalla reclame,
in barba alla competitività che paghiamo due volte: con le solite finanziarie, con le pensioni e gli stipendi più bassi d’Europa e col minor potere d’acquisto. C’era una stradina che correva tra cespugli fioriti ed erba verde che portava al lago. Dei pensionati la curavano. Quella stradina c’è ancora, ma non ci sono più i cespugli fioriti e l’erbetta non viene più tagliata; e non ci saranno più i pensionati che la curavano. C’era una volta (bis) una bella pista ciclabile immersa in una natura pressoché incontaminata. Sì, quella pista c’è ancora, ma immersa nei cartelloni pubblicitari! Non a giorno che non vi sia una ricorrenza di qualcosa, qualcuna trasmessa o annunciata da TV e stampa. Cinquantenario di questo, centenario di quello, meeting di partiti, anniversari bellici. Quelle feste si moltiplicano poi per x, estendendosi a regioni, province e comuni. Inutile chiedersi chi le paga. In tutta la faccenda dei rifiuti di Napoli e in Campania (e in tutto il Paese), non si è alzata una voce (spero mi sia sfuggita) che dicesse che sarebbe utile, anzi indispensabile, trattare questo tema anche, e soprattutto, nelle scuole. Non sempre riusciamo a capire (e accettare) che possiamo avere anche mille ragioni con la nostra ottica, ma che con l’ottica altrui possiamo avere anche mille torti. L’ex presidente Berlusconi ha detto, ridetto e ribadito, che la Rai non è degna di un Paese civile! Credo non si possa che concordare. E le sue televisioni? Se producessimo il 10% di beni di quello che produciamo in chiacchiere, avremmo dei seri problemi a reperire gli spazi necessari per sistemarveli. Un tempo anche i cronisti della radio e della TV, i lettori dei TG e i i, usavano staccare i titoli da quello che veniva dopo, rispettavano i punti, i punti e virgola e le virgole nella cadenza e non gridavano al punto di seviziare i timpani degli ascoltatori. Non esistono più i buoni corsi di dizione? Festival di Sanremo: vi sono sempre più sprechi da parte della Rai per questa obsoleta manifestazione, sprechi che sono fuori da ogni logica e razionalità. Alla barba dei 15 milioni di cittadini che si trovano in difficoltà finanziarie e che aumentano di giorno in giorno! Quando dicesi di crassi tornaconti…
E sempre a proposito del Festival di Sanremo e dei suoi costi inutili e insensati… Quante buche nelle strade, pericolose, oltre che antiestetiche, potremmo aggiustare impiegando i soldi di quella banale manifestazione?! Tante! Seguo sempre con patriottica partecipazione la sfilata del 2 giugno (Festa della Repubblica) alla TV e mi commuovo quando ano i bersaglieri (anch’io ho partecipato come bersagliere a quella sfilata). Poi però, vedendo le righe bianche del Viale dei Fori Imperiali e di Piazza Venezia scolorite e quasi invisibili e pensando ai suoi costi e vedendo lo sperpero di soldi (Ciampi l’aveva abolita per questo), la mia commozione si trasforma in lacrime di sconforto... Perché non mandiamo in pensione i divi della TV che hanno superato i 65 anni, come pure i politici e facciamo posto ai giovani. Le cose cambieranno di molto…e in meglio! Parliamo ora di stranieri nel nostro campionato di calcio e di molti altri sport di squadra. Abbiamo le squadre imbottite di giocatori, allenatori, massaggiatori e riserve stranieri per quanto i soldi e gli spettatori siano italiani. Credo che in altri Paesi la gente avrebbe snobbato da un pezzo le partite, pensando: “Quelli si beccano i milioni e io mi devo privare di una fetta del mio stipendio per darla a loro?!” Concerto di Natale “Boccelli 2010” al senato. Con il nostro mastodontico debito pubblico, le spesi di gestione del Paese in continuo aumento e i conti in rosso della Rai, c’era proprio bisogno anche di un presentatore (Pippo Baudo) per poter fare quel concerto? Perché ci permettiamo queste esagerazioni? Radio Rai: fiumi di sterili parole, gridate senza punti e virgole, dalla sera alla mattina e dalla mattina alla sera, gr a ogni ora (che noia!), qualche canzonetta americana. Che ci son venuti a fare al mondo uomini come Mozart e Puccini? La TV mostra spesso aule parlamentari semivuote. Sorge il dubbio (legittimo) che le persone cui spetterebbe di affollarle (per il bene del Paese e da noi elette) si trovino impegnate ad animare (a battibecchi per la par condicio) qualche talk show radio o TV o qualche redazione di giornale. Miriamo molto allo spettacolo (cerimonie articolate, anniversari di cui nessuno ricorda la motivazione, commemorazioni di eventi appartenenti a traati remoti…), invece che pensare un poco di più alla sostanza, decisamente più importante.
Troppo facilmente dimentichiamo che è il mercato a dirigere l’orchestra e chi esce fuori è perduto! Mi si è inchiodata nella mente una frase che si sente ripetere spesso dai politici dell’opposizione di turno: “Il nostro compito è di mandare a casa il governo.“ E quando avranno mandato a casa il governo… manderanno a casa il prossimo… poi quello dopo… e così via? Allora noi contribuenti li paghiamo per mandare a casa tutti i governi che verranno? Quel dare del “tu” a tutti, alla radio, in TV, sui giornali, per strada, al bar… suona come un’offesa alla buona creanza di chi ancora ce l’ha e ci fa sentire dei servi della gleba. L’immondezza non regna (come si pensa) solo a Napoli, ma in gran parte d’Italia. Sentite questa! Una trasmissione televisiva tedesca mostrava due attempati e comati signori che giravano per Francoforte alla ricerca di fumatori che gettavano a terra la cicca e chi veniva pizzicato sul fatto veniva “onorato” di una multa di 25 euro. Vien da chiedersi: se oltre a calciatori, allenatori e tante cose inutili, importassimo dall’estero anche usanze di questo tipo? Oggi i figli chiamano ricatto la promessa dei genitori di comprar loro il motorino solo se promossi. Ai miei tempi quel ricatto si chiamava merito. Un altro caso ove la parola merito è stata cancellata dai vocabolari e dall’uso corrente. La concorrenza fra TV pubbliche e private e fra private e private, oltre a spingere i prezzi sempre più in alto, causa costi maggiori per l’ingaggio dei personaggi famosi, per studi più sfarzosi e causa quindi la necessità di una maggiore raccolta pubblicitaria per far fronte alle spese. Questo spinge il livello culturale delle trasmissioni verso il basso, perché sempre più imbottite di donnine, di linguaggi osceni, di gossip, di ciance inconcludenti e di venditori di fumo. E i prezzi più alti frenano la ripresa e riducono il potere d’acquisto di stipendi e pensioni. Ho sempre considerato Berlusconi un imprenditore di successo e per questo che gli ho sempre riservato la mia preferenza elettorale. Finché non è scoppiato il caso Ruby, i bunga bunga, i soldi a Ruby e a gruppi di altre donzelle che frequentavano il gineceo della sua villa, che mi hanno fatto aprire gli occhi. Ho capito che quei soldi, e molti altri ancora, provenivano dalle tasche dei
consumatori italiani attraverso la pubblicità delle sue TV; e la cosa mi ha fatto bruscamente cambiare idea. Mettiamoci poi le leggi ad personam che si è fatte come presidente del consiglio, ed ecco la frittata. E, in pieno accordo con la mia coscienza, non lo voterò mai più! E mentre noi ci dibattiamo in quel marasma di bisticci e pasticci politici e non, la Germania si sta avviando alla piena occupazione e a crescite record! E la signora Merkel annuncia che ridurrà le tasse di circa 6 miliardi e aumenterà i contributi per l’assistenza ai bisognosi. Noi potremmo ridurre almeno la massa di pubblicità, con i tempi che corrono, invece la aumentiamo. Così anche i prezzi aumentano con essa, bruciando stipendi e pensioni e relativo potere d’acquisto. Si grida a gran voce che siamo un popolo di risparmiatori. Ma perché risparmiamo tanto? Perché abbiamo poca fiducia nel futuro. E, comunque, anche il troppo risparmio non aiuta mica l’economia a crescere, per farla crescere i soldi li dobbiamo investire nei consumi, solo così daremo brio alla produzione, di conseguenza all’economia e all’occupazione. Anche in quanto a disciplina siamo allo sbando. Un servizio TV mostrava come poliziotti, carabinieri e vigili urbani parcheggino le lo auto ovunque capiti, pur non essendo impegnati in interventi: non dovrebbero dare il buon esempio? Finalmente siamo sotto la protezione degli emissari UE e dell’FMI! Il loro intervento sarà anche umiliante, ma, al pari della moneta unica, ci porterà un mare di benefici con i loro “consigli” che dovremo eseguire! Per il nostro bene! I sorrisini di Sarkosy al vertice franco-tedesco seguivano la domanda di una giornalista italiana che gli chiedeva se avesse ancora fiducia nel presidente del consiglio italiano Berlusconi e se gli avevano dovuto imporre quelle direttive…
Quegli specchietti per le allodole
Dopo il lucro, l’obiettivo dei signori della pubblicità è di rendere i prodotti il più appetibili possibile agli occhi del consumatore per convincerlo a preferirli ad altri similari. Li incoronano di aureole fittizie accecando il compratore di intensa e, spesso falsa, luce. In termini più tecnici collocano ovunque si renda fattibile dei veri e propri specchietti per le allodole. In questo contesto la battaglia è all’ultimo sangue e i loro messaggi promozionali lo fanno chiaramente capire. La gente vede sul teleschermo o sulle pagine di giornali e riviste un tipo di abbigliamento, un’acconciatura, un luogo per le vacanze, li ritiene rispondenti alle proprie aspettative, ne rimane condizionata e corre ad acquistarli. Ma la scelta non è libera e ragionata, bensì influenzata dalla reclame. La pubblicità ci mostra dunque una realtà fittizia in una luce di sfarzo, di abbondanza e convenienza come nelle fiabe per bambini ed è quindi tendenziosa e ipocrita. Oltre a noi consumatori, ne sanno qualcosa gli immigrati. Anche per loro la pubblicità è stata, e lo è tuttora, un richiamo menzognero, una distorsione della realtà che troveranno. Non è accettabile che un Paese civile ove disoccupazione e sfruttamento sono situazioni imperiture e il parassitismo (in primis la stessa pubblicità), l’assistenzialismo e il clientelismo, spesso per fini elettorali, strozzano l’economia e la produzione ostacolandone la crescita e ci mette in fuori gioco sui mercati per i costi eccessivi che ne derivano, togliendoci competitività e rendendo i nostri salari sempre più leggeri, accetti ivamente tutto questo. A Brusselles ci considerano il ventre molle d’Europa, perché non riusciamo ad arginare il flusso migratorio. I nostri politici ribattono che per contenere gli arrivi clandestini ci serve l’aiuto dell’Europa. Questa affermazione fa rabbrividire: se non riusciamo a fermare individui inermi, mezzi morti di fame e di stenti, disarmati, che arrivano su imbarcazioni fatiscenti, cosa sarebbe se un qualsiasi Paese, Malta, per esempio, si presentasse davanti alle nostre coste con un paio di navi da guerra e sbarcasse qualche centinaio di soldati armati sulle nostre coste o se il Liechtenstein si presentasse ai nostri confini con un paio di carri armati? Verremo invasi dalle Alpi alla Sicilia o dalla Sicilia alle Alpi senza riuscire a muovere un dito?
Una decina di anni fa una nave carica di emigranti clandestini si presentò al largo delle coste australiane con l’intento di sbarcarli. Ma il governo reagì in maniera forte facendoli ritornare là dov’erano partiti. Li fermò in mare finché non rinunciarono al loro proposito. Da allora non si è più sentito di navi di emigranti che abbiano tentato di approdare a quelle rive! Tornando alla questione pubblicità, si può aggiungere che non sempre il prodotto reclamizzato ha il successo che il produttore e il pubblicista si prefiggono. Un prodotto, per ottenere il debito riscontro nelle campagne promozionali, deve avere qualità, prezzo conveniente e ispirare fiducia al compratore; ma non sempre queste prerogative sono riscontrabili. La Fiat lo ha più volte sperimentato sulla propria pelle. Le sue campagne promozionali sono state spesso disastrose, e i capitali spesi avrebbero dato frutti migliori se investiti in altro modo, c’est-a-dire in qualità e tecnologia. Negli anni ‘60 e ‘70 la Fiat otteneva buoni risultati sui mercati europei. A quei tempi molti emigrati italiani al Nordeuropa acquistavano l’automobile italiana, io per primo. Chi prediligeva l’auto straniera veniva considerato un fuoriuscito. Acquistavamo pure la pasta, il pomodoro, la mortadella e il formaggio dal negozio italiano, anche se fuori mano e più cari rispetto agli altri. Anche le scarpe e i vestiti dovevano essere Made in Italy. Questo era per noi un buon biglietto da visita e ci dava la sensazione che la nostra condizione di emigranti venisse riscattata dalla scelta dei prodotti nazionali. Osservando il parco macchine europeo mi ero fatto un’idea dei gusti dei clienti in fatto di design. Analizzavo attentamente le marche e i modelli prevalenti e cercavo di interpretare obiettivamente le ragioni per cui un modello prevaleva su un altro. Negli anni settanta, quando la vendita di auto italiane cominciò a perder colpi sui mercati europei, credetti di capirne le ragioni: l’industria italiana imponeva il proprio stile al compratore, gli altri seguivano i gusti degli acquirenti. Quella della Fiat fu una politica scellerata e le conseguenze furono devastanti. Le auto italiane si fecero sempre più rare sulle strade europee e sempre più frequentemente si notavano ferme sulle strade col cofano tristemente alzato verso il cielo. A questo si aggiunse pure la conflittualità di cui non v’erano paragoni in Europa. I tempi di consegna si allungarono, i prezzi pure e così
l’inflazione. Si aggiunga la scarsa presa di seduzione dei modelli e la competitività prese a vacillare. Si corse ai ripari facendo uso, e abuso, della svalutazione. Le automobili italiane difettavano in tecnologia, qualità e design. Quest’ultimo risultava sempliciotto e provinciale, non più rispondente ai gusti internazionalizzati della clientela. I nuovi modelli perdevano sempre più consensi. Ma nessuno se ne preoccupava; forse per non nuocere a coloro che quei modelli progettavano. Nella mia infinita ingenuità, derivata dai tanti anni ati al Nord-europa, vedevo le cose in maniera più realistica, fintanto irriverente e la mia caparbietà nel voler toccare con mano i punti deboli, e magari correggerli, si faceva sempre più maniacale. A quei tempi ero spesso in viaggio per l’Europa per conto di un’azienda italiana interessata a entrare in quei mercati. La clientela potenziale era vasta e interessata, ma due cose ci penalizzavano: l’inflazione e la conflittualità sindacale. Un giorno mi trovavo in un hotel di Amburgo, di ritorno da un viaggio di lavoro in Scandinavia. Avevo notato come lassù le auto italiane fossero scarse. Tedeschi e si la facevano da padroni e la cosa mi prudeva. Sentivo di capirne le ragioni. Se avessi potuto dire la mia a chi di dovere, gli avrei detto che il design delle auto in questione non rispondeva più ai gusti europei, fuori qualche eccezione e la qualità non era migliore del design: l’handicap stava lì. Se un’auto è accattivante nell’estetica le si perdona altre pecche, ma un po’ di qualità, buon Dio, deve pur averla! Decisi di scrivere quella sera stessa una lettera alla Fiat per esprimerle il mio punto di vista. Annullai la visita a St. Pauli e misi, nero su bianco, le mie opinioni sul suo conto. Usai carta e busta col marchio dell’Hotel, nella speranza che mi dessero una mano ed esposi a chiare lettere le mie idee e le ragioni che le motivavano. Secondo il mio modo di vedere, scrissi, stavano sbagliando sia lo stile delle auto che la politica di vendita! Il mio convincimento, continuai, derivava dal fatto che trovandomi tutti i giorni in mezzo al traffico europeo, credevo di aver capito dove stavano “steccando” e tale convinzione era avvalorata nel constatare che sempre più rare si facevano le
loro auto sulle strade europee. Conclusi dicendo che avrei fatto con piacere un salto giù da loro per discutere le linee che mi parevano più indicate. Mi rendevo perfettamente conto che la mia presunzione avrebbe fatto sorridere più d’un responsabile e indispettito qualche santone del design. Corsi ai ripari dicendo che il mio parere era sionato e personale, frutto del mio girovagare e del mio spirito d’osservazione e che i miei interventi erano a titolo gratuito, che era l’amore per la bandiera a spingermi a tanto. Non ebbi mai una risposta; né a quella né ad altre lettere che inviai in seguito. La mia “smania di collaborare” era figlia della mentalità nordeuropea e restò incompresa. Come si permetteva quell’individuo di esprimere certi giudizi, solo perché osservava le auto che vedeva sulle strade nordeuropee? A nulla era valso dire loro che avevo sempre acquistato auto di loro produzione, tranne una Ford e una Volkswagen e che non era vangelo ciò che sostenevo. Loro mi mostravano gli schizzi dei futuri modelli e io esprimevo il mio parere. Conoscevo le realtà del settore, scrissi pure, ad esempio Porsche e Mercedes, con le quali avevo collaborato eseguendo apparecchiature di controllo, di misurazione e di assemblaggio e che ci capivo qualcosa di tecnologia. Ma, come ho detto, a nulla servì. Alla fine lasciai perdere! In fondo non erano fatti miei e loro non erano i soli a costruire automobili e nemmeno ne pretendevo una fatta su misura per me. Al Nordeuropa è normalissimo che un montatore suggerisca migliorie ai sistemi di assemblaggio, migliorie acquisite nell’esperienza giornaliera e che venga poi premiato con somme di danaro anche importanti. Io non pretendevo un compenso, intendevo solo esprimere un’opinione sionata. Durante il mio soggiorno lavorativo al Nordeuropa, ho sempre acquistato le automobili col cuore e tutte, tranne un paio, erano italiane. Oggi queste scelte vengono fatte con gli occhi e sempre più spesso cadono su marche estere. Osservando le auto che circolano sulle nostre strade… mi assale una tristezza! La Fiat vuole vendere le proprie auto con l’aiuto dei più famosi (e costosi!) personaggi di Hollywood, che risultano alla fine più dannosi che utili. In America vende pochissimo di auto made in Italy e i divi di Hollywood non migliorano la qualità del prodotto, ne deturpano solo l’immagine! C’è poi la Ferrari. La Ferrari potrebbe essere un buon veicolo pubblicitario per la
nostra industria, ma se non c’è niente da trainare, o poco… Pur vincendo su tutti i circuiti non può aiutarci a vendere i nostri prodotti sui mercati nazionali ed esteri, dove stiamo cedendo terreno su tutti i fronti, soprattutto negli ultimi 15-20 anni. La Ferrari è un mito ed i miti sono al di sopra delle nazionalità. Ma se vogliamo essere obiettivi, il mito Ferrari l’hanno creato in gran parte gli stranieri. C’è poco di italiano, oltre ai soldi. Direttori, piloti, meccanici e ingegneri, pneumatici (ora si è tornati al nazionale) e parti meccaniche, tutto ciò che fa grande un’auto da competizione, tutto è tranne che italiano; quindi, più che un’immagine positiva per la nostra industria, lo è per le industrie straniere che vi collaborano, giacché a loro vanno gran parte dei meriti. I vantaggi per noi sono teorici, ossia nulli, ed esclusivamente sportivi. Noi ci gonfiamo la pancia di gloria! Un po’ come le squadre di calcio, di ciclismo e pallacanestro, dove l’atleta italiano sta scomparendo, scalzato dallo straniero perché più apprezzato. E’ triste, ma è la realtà! La bravura negli sport di squadra è sempre più proporzionale alla potenzialità finanziaria dei presidenti delle squadre e non pochi vedono nelle gesta dei campioni non già un simbolo nazionale, ma un campanile. Sicché i benefici reclamistici vanno, come nel caso della Ferrari, ai Paesi d’origine di atleti e allenatori. Vista l’importanza che il consumatore italiano attribuisce alla pubblicità, è scontato che anche gli imprenditori prestino più attenzione ad essa che alla qualità, alla tecnologia e alla convenienza. Ma è un concetto che il compratore apprezzerà sempre meno (con i tempi che corrono poi…) e sempre meno si lascerà incantare dalle chiacchiere della reclame. Egli esigerà fatti, ossia qualità e prezzi bassi, ciò che essa non garantisce più. Ed è da stupidi lasciarsi poi andare a slogan tipo “i tedeschi ringraziano, i giapponesi ringraziano”. Ringraziano anche i si, gli spagnoli, i coreani, gli inglesi e gli americani. Anche noi dobbiamo tornare a essere competitivi. Siamo, in Europa, quelli con i prezzi più alti e gli stipendi più bassi e col minor potere d’acquisto, i meno concorrenziali e coloro che hanno il minor ritorno in benefici dal pagamento delle tasse, le più alte di tutti i nostri concorrenti. In più abbiamo “l’imposizione” della pubblicità! Ci aveva pensato l’ex ministro Gentiloni a “disciplinarla”, almeno in TV. Poi il tonfo.
Il consumatore italiano non ha soldi da spendere, si dice e il suo potere d’acquisto continua a scendere. Diminuiamo la pubblicità: i soldi da spendere aumenteranno, aumenterà il potere d’acquisto di stipendi e pensioni (dal 10 al 30%) e la ruota tornerà a girare per il verso giusto. Provare per credere! Sono i faraonici e costosissimi carrozzoni mediatici e pubblicitari, primi fra tutti radio e TV, che noi consumatori siamo chiamati a sostenere con la borsa della spesa e che, come abbiamo visto, agiscono da vero e proprio fisco privato, che stanno uccidendo la nostra economia, rendendo gravosa la vita a milioni di persone, al pari del parassitismo, dell’assistenzialismo, della evasione fiscale e della malavita organizzata, che succhiano dai prezzi prima ancora che il bene sia venduto. Siamo i soli in Europa ad avere un “fisco” di questo genere e in misura tanto gravosa! La pubblicità fa enormi profitti, ma crea pochi posti di lavoro e il suo ritorno in fatto di pubblica utilità è limitato. I posti di lavoro che crea non producono ricchezza, ma la sottraggono là dove essa già esiste: quei profittatori sono dei veri parassiti! Nei Paesi occidentali più evoluti la pubblicità non riveste più l’importanza che riveste da noi. Le cose sono cambiate. Negli anni ’70 vivevo in Germania e acquistavo regolarmente il settimanale Stern. Ma col tempo si ingrossava sempre più, diventando grosso come un libro. E il 50% era pubblicità! Era una noia sfogliarlo, e smisi di acquistarlo. Oggi si è ridotto della metà e non contiene più pubblicità. Ogni tanto lo ricompro. Al Nordeuropa non esiste il mito dello schermo, del teleschermo e del divismo esasperato e sfruttato come esiste da noi, e che ci costa un occhio. Esiste invece la vera concorrenza, quella che si batte a suon di prezzi e qualità per conquistare i mercati, non fatta di chiacchiere inconcludenti che generano solo risultati negativi per il consumatore, ma di fatti. Sono troppi quelli che cercano con ogni mezzo il business nel marasma della reclame, già affollata come un autobus metropolitano nelle ore di punta. Per i motivi che ho più volte richiamati, gli affari sono più facili e redditizi in questo settore che in altri. E più forte è la crisi, più le aziende investono in pubblicità (+ 5-6% annuo) e più sfruttano la mano d’opera riservando ad essa i salari più bassi d’Europa ed esigendo in cambio prestazioni da schiavi.
Siamo sbilanciati. Abbiamo molta gente che mangia a sbafo e poca che produce. Per i primi la pubblicità è una miniera d’oro da sfruttare senza limiti e i lussi e gli eccessi che ci esibiscono dall’alto dei teleschermi per acchiappare telespettatori e impressionare i competitori, ne sono la conferma; per i secondi è un dissanguamento continuo a scapito dei consumi, della ricerca e delle infrastrutture. Film, eventi sportivi, talk show e telegiornali vengono sempre più sfruttati dalla pubblicità e gonfiati come panini Mc Donald’s. E vien da chiedersi fin quando il consumatore riuscirà a rimpinguarli con la sua borsa della spesa. E’ ragionevole pensare che tutto questo abbia un limite: lo conferma pure il fatto che la nostra economia è entrata nuovamente in una fase recessiva. Pubblicità, parassitismo, clientelismo e pazze spese dello stato non trovano riscontri nel mondo occidentale: i risultati sono prezzi alle stelle e gente sempre più in affanno. Nella trasmissione televisiva del nord-est di mattina presto cui ho più volte accennato, un pensionato concludeva il suo intervento telefonico con questa supplica: “Basta con tutta questa pubblicità, non possiamo più comprarci da mangiare!” Ma la sua richiesta cadde nel vuoto, nessuno dei presenti, primo fra tutti il conduttore, ebbe il coraggio di esprimere uno straccio di commento a quanto l’uomo giustamente sosteneva. I pensionati non hanno voce in capitolo. Le loro invocazioni trovano posto in trasmissioni di piccole emittenti non organizzate per filtrare le telefonate e hanno quindi il tempo che trovano e i conduttori le tagliano alle prime battute. Questi poveri cristi, vittime sacrificali del profitto reclamistico! Questi appelli nei salotti televisivi! Ma che ci possono fare divi e i, visto che essi proprio di pubblicità campano! Questi legittimi lamenti vengono “elegantemente” dribblati dai media, primi fra tutti la TV, perché non producono audience, ma danni. Quel pensionato che levava la sua supplica alle sei del mattino tramite quella piccola TV commerciale, apparteneva alla schiera dei 15 milioni di indigenti che non solo non vengono considerati da chi di dovere, ma vengono ignorati di proposito in modo che i telespettatori-consumatori, indigenti e non, non comprendano che la causa prima della loro misera condizione è proprio frutto della tanto declamata promotion. Si deve tuttavia riconoscere a Berlusconi il “merito” di aver fatto qualcosa
contro l’indigenza avendo portato le pensioni a 500 euro al mese, dando la possibilità a molti poveri diavoli (che magari non hanno colpe per aver eluso il pagamento dei contributi) di acquistare qualche bene reclamizzato in più. I primi contatti che ho avuto con i popoli nordeuropei risalgono alla mia giovinezza, con turisti tedeschi. Contatti che non si sono più interrotti. Ancora oggi ho rapporti telefonici ed epistolari con vecchi amici di lassù e quando la situazione economica me lo consente, approfitto della loro ospitalità e disponibilità e anziché recarmi in Marocco o alle Maldive, imbocco l’autostrada, direzione nord e vado a far loro visita: italiani, tedeschi, si, olandesi. La conoscenza che ho della mentalità nordeuropea, maturata sul campo, mi spinge a dire che la moderatrice di una trasmissione TV ha fatto male a interrompere la telefonata di un pensionato che denunciava la nostra mentalità non proprio europea e si lamentava per la troppa pubblicità: quel tema, secondo me, andava assolutamente sviluppato dai politici presenti col suo patrocinio! E poi, chi ha detto che una mentalità diversa da quella degli altri debba per forza esser peggiore? Non si dice che ogni medaglia ha il suo rovescio? Riusciamo a immaginarci cosa sarebbe se d’un tratto le nostre emittenti commerciali svanissero nel nulla e la TV di stato portasse a livelli europei, ovvero quasi a zero, la sua quota di pubblicità? I soldi che ci vengono tolti dalla borsa della spesa da quegli insaziabili carrozzoni televisivi, ce li ritroveremmo (in teoria) nelle nostre tasche e avremmo (sempre in teoria, ma con grossa possibilità) molti più soldi da spendere per le nostre necessità. A quel punto l’economia assumerebbe un andamento più sostenuto e noi consumatori saremmo i primi a beneficiarne, beneficiandone pure come contribuenti, poiché avremmo tasse meno salate e anche i meno abbienti potrebbero rendere più piacevole il loro aggio sulla terra, senza dover per forza attendere il paradiso. Qualcuno obietterà che per evitare la pubblicità basta usare il telecomando (mia moglie me lo ricorda a ogni pié sospinto, ora che ha compreso il vizioso meccanismo della pubblicità); e questo è vero. Resta, però, il fatto che quando acquistiamo un prodotto reclamizzato, o andiamo al cinema, allo stadio, a teatro, i costi della pubblicità ce li troviamo sempre dentro i prezzi, a meno che non smettiamo di acquistare le cose indispensabili, perché non ci importa un fico di morir di fame, di sete o di freddo, di stenti e malattie, o che ci adattiamo a vivere senza cibo, sport, cinema e cultura.
Poi ci sentiamo dire dall’ex sindaco di Milano Albertini, in uno dei tanti sterili e inutili talk show, che Berlusconi non ha fatto le riforme perché non voleva imporci dei sacrifici. Ciò che noi consumatori possiamo fare a nostra difesa, specie quelli che non arrivano a fine mese, o alla terza settimana, è di seguire l’esempio dei consumatori europei, in questo frangente assai più accorti di noi, preferendo i prodotti non reclamizzati, o reclamizzati in misura ragionevole. Non sempre ciò è possibile, ma spesso lo è. E possiamo altresì orientare le nostre scelte verso prodotti similari. In tal modo riusciremo a mettere in moto una vera concorrenza, in grado di incidere e selezionare, cosa che da noi non esiste, ma che ci darà i benefici di cui necessitiamo. La concorrenza, così come la democrazia, ce la dobbiamo guadagnare a suon di meriti. Avremo così anche noi una maggioranza e un’opposizione nel settore dell’economia, come in quello politico, ingredienti, questi sì, che sono l’anima del commercio e della democrazia! Il divario tra noi e i nordeuropei in questo campo è abissale. Come lo è nel campo della ricerca. I nostri scienziati fuggono all’estero per disperazione. E ne hanno ben donde. In Italia si devono contentare di stipendi da 1000 euro al mese, quando va bene, 1200 con 20 anni di attività, quando in Francia, ad esempio, ne prendono più di 2000 sin dall’inizio. Noi li manteniamo fino al conseguimento della laurea, poi ce li lasciamo soffiare dal miglior “offerente” estero. Noi, però, vantiamo gli stipendi più alti d’Europa ai vertici! I soldi che mancano per gli stipendi bassi vanno lassù, nella pancia di quelli alti! Esempio lampante: il finanziamento pubblico ai partiti (ribattezzato dagli stessi “rimborso elettorale” giacché il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito con referendum popolare nel 1992) è di 615 milioni, 4 volte quello della Germania e superiore a quelli di Francia e Germania messi insieme. E se vogliamo crescere dobbiamo ridurre, e di brutto, anche la spesa pubblica, che sta allegramente correndo verso gli 800 miliardi. E se noi stiamo licenziando a tutto spiano, la Germania sta assumendo a tutto spiano. A maggio 2012 la Germania offre più di un milione di posti di lavoro liberi, soprattutto per ingegneri e un’associazione di aziende tedesche ha specificato che sono molto graditi gli italiani. L’Italia è come un antico palazzo, nobile e prezioso finché si vuole, ma non più rispondente alle esigenze moderne. E come nelle vecchie costruzioni, se si vuol
fare una miglioria, ne saltano fuori mille altre d’altra natura. La soluzione ottimale è allora di abbatterlo e sostituirlo con una costruzione nuova, oppure mantenerlo e farne un bel museo e lasciarvi i vecchi inquilini col compito di custodi, e fare un palazzo nuovo e moderno altrove e mettervi inquilini nuovi e giovani.
Ancora note… sparpagliate
Una grande operazione di pulizia e risanamento delle strade, piazze, vie e marciapiedi, corsi d’acqua, spiagge, stadi, parchi, colline, montagne, fiumi, edifici statali e privati, scuole, locali pubblici, facciate varie, parcheggi, abitazioni, ecc. ecc., ci darebbe più benefici di una grande operazione di polizia, ma anche questa risulta di tanto in tanto indispensabile! Mi domando spesso in virtù di quale sortilegio i popoli del nord lavorano con meno lena e affanno di noi e producono di più, e sovente meglio e non trovo altra risposta se non quella che pare la più facile, scontata e logica, soprattutto ai nostri giorni: perché loro, al contrario di noi, producono più fatti che parole! Perché non proviamo ad imitarli? L’ho già scritto, ma mi piace ripeterlo: le aziende italiane che risentono meno della crisi sono quelle che operano nella pubblicità. Esse procedono imperterrite con aumenti annui del 5-6%. Perché? Perché 60 milioni di consumatori pagano quotidianamente una quota (obbligatoria) per la pubblicità compresa nei prezzi dei prodotti. Neanche il fisco dello stato può vantare tanti contribuenti attivi! Perché il fisco della pubblicità non si può evadere… neanche di un centesimo! Verso la metà degli anni ’60 lavoravo nel laboratorio di una fabbrica di macchine utensili nella Selva Nera, Germania meridionale e avevo molti amici tedeschi, miei coetanei, tra i colleghi di lavoro. Loro avevano alle spalle un lungo apprendistato con relativo tirocinio, io avevo fatto qualche anno di ginnasio, ma già mi destreggiavo piuttosto bene con la lingua. Lavoravo alla produzione e all’assemblaggio di apparecchiature speciali, ma a causa della mia inesperienza mi capitava di eseguire delle operazione improprie, che non sfuggivano agli occhi esperti e vigili dei miei amici: i quali, con garbo, mi facevano notare l’errore. “Dobbiamo difendere il Made in ” dicevano, “solo in questo modo ci garantiremo il posto di lavoro anche per il futuro!” E io non potevo fare a meno di pensare: “Già, già, non per niente sono tedeschi!” Mi puzza molto di patetico identificare una nazione con una squadra di calcio, seppur nazionale. Da uno dei tanti TG della nostra TV: “L’Italia è arrivata alla Malpensa...” Io speriamo che… si tratti di una minoranza e pure eggera.
Stavo raccogliendo dei rifiuti abbandonati da qualche gitante domenicale su un sentiero che attraversava un’abetaia, quando mi raggiunse da dietro un guardaboschi. Pensò che stessi raccogliendo funghi e che i rifiuti li avessi buttati io; e decise di multarmi! Ho avuto un bel daffare a convincerlo che avevo ato tre quarti della mia vita al Nordeuropa e che lassù avevo imparato che i rifiuti non si spargono nei boschi.… Non si conosce il fatturato esatto, e soprattutto il non fatturato, della pubblicità in Italia. C’è chi parla di 20 miliardi di euro, ma io sarei più cauto. Però mi domando: perché non portiamo la pubblicità nella media europea, diciamo sui 5 miliardi e il resto lo investiamo in cose di pubblica utilità, cose che gli altri europei già si possono permettere e noi no (asili nido, infrastrutture industriali e pubbliche e via dicendo)? La pubblicità non si combatte a colpi di zapping, ma acquistando prodotti non reclamizzati, o razionalmente reclamizzati. Come cambierebbe la nostra vita (in meglio) se d’un tratto alla radio, in TV, per strada, nelle scuole, sui posti di lavoro ci si rivolgesse ai nostri interlocutori con il “lei” e col “signor”, al posto del provincialissimo “tu” e del semplice cognome. Riacquisteremmo il debito rispetto per il prossimo, di conseguenza il relativo comportamento nei suoi confronti! Al Nordeuropea si inizia la giornata di lavoro stringendosi la mano tra colleghi e scambiandosi un cordiale “come va?” e si dà del “lei” e del “signore” non solo a dirigenti e a superiori, ma pure ai colleghi di lavoro e ai lavoratori stranieri. Qualche anno fa era ospite di una trasmissione della radio pubblica una giornalista se di nome Padovani, di chiara origine italiana, che il e chiamava Padovanì, con l’accento sulla i (come Platinì) e le dava del tu. A un certo punto la giornalista, irritata da questa gratuita licenza e dal fatto che non le venisse riconosciuto il titolo di “signora” o “signorina” come premessa al suo cognome, reagì riprendendo il conduttore e facendogli osservare che era una maleducazione tipicamente italiana quella di rivolgersi alle persone che non si conoscono con il “tu” e tralasciare il titolo di “signora” o “signore”. Nessun commento da parte del conduttore. Dobbiamo riumanizzare le retribuzioni di politici, manager, calciatori e personaggi radio-televisivi, così come il loro numero e riportarli tra noi mortali. Perché non mettiamo i loro compensi nei titoli di coda delle trasmissioni a cui
partecipano (che potrebbe essere un valido deterrente)? Purtroppo da noi questi squilibri non si regolano come altrove a colpi di buon senso e di opinione pubblica! Sto aspettando l’autobus davanti a una villa della capitale che dire splendida è dir poco. Ma il muro di cinta si sta scrostando e il marciapiede è un vero immondezzaio. Il terriccio, portato dal vento ai piedi del muro e mai rimosso, fa crescere le erbacce alte fino a un metro. E di colpo quella villa, pur splendida, mi pare un po’ meno splendida e i proprietari un po’ meno nobili. Il concetto di “qualità” varia a seconda del modo di pensare e di vedere delle persone, che varia a seconda della latitudine e della situazione climatica e fisica. In Europa ci sono forme di giudizio tanto dissimili tra loro che fanno pensare non a Paesi diversi, bensì a pianeti diversi. Vip, sindaci e imprenditori, ministri e amici degli amici si affannano a fare incetta di biglietti omaggio per le partite di pallone, per recite teatrali e manifestazioni varie. Che ineleganza, c’è proprio da arrossire! Non sarebbe appropriazione indebita dei soldi del contribuente? Sempre di più si evince l’impressione che medici, insegnanti e giornalisti nutrano la certezza che una cosa che loro conoscono, debbano per forza conoscerla anche gli altri. Sto ammirando una splendida città del nord-est dall’alto di una collina. La città declina verso il mare, il mare è blu cobalto. Eppure, a costo di sembrare uno che vede sporcizia anche nel proprio piatto, non posso fare a meno di annotare come i tombini e canalaletti laterali per la pioggia della strada che mi ha condotto fin lassù, siano ricoperti di erbacce, lattine, stracci e bottiglie. Poi ci meravigliamo se il primo serio acquazzone ci riempie le cantine (naturalmente d’acqua)! Se vedo le cose nel modo in cui le descrivo, il merito, o il demerito, non è mio, ma dal fatto che ho vissuto tanto tempo al Nordeuropa e lassù ho imparato che quello che è, è, e quello vuol dire. Non esiste un modo di vedere e interpretare diverso, se non quello della realtà, che è uno solo, ovvero quello che si vede. C’est-à-dire: se un cartello indica 50 all’ora, si va a 50 all’ora, se una norma di buona creanza (pur sottintesa) vieta di gettare le carte a terra, le carte a terra non si gettano. E così via e via… all’infinito! Che noia questi talk show! Non si fa che litigare: colpa della par condicio!
D’altra parte che devono fare tanti galli in un pollaio… e a volte anche qualche gallina? Se un famoso politico, un divo del cinema, della TV o del pallone commette un illecito, lo perdoniamo perché lui è lui. Se l’illecito lo commette il nostro vicino di casa, sia pur la birichinata più innocente, la tramutiamo in reato. Oggi la pulizia delle città viene eseguita (quando viene eseguita) con mezzi meccanici, non si usa più la scopa e il badile. Ma esiste ancora, anzi resiste, l’incuria. I soldi pubblici, appunto perché pubblici, vengono spesi con disinvoltura e spesso senza mira da chi abbiamo votato. Titolo di prima pagina del Corriere della Sera, non molti anni-luce fa: “In tutta Europa ripartono i consumi, tranne che in Italia”. E io ribadisco: riportiamo i prezzi a livelli europei riducendo la pubblicità, il clientelismo, il parassitismo e la malavita organizzata (la solita nenia) e introduciamo la meritocrazia, ripeto, la meritocrazia! E i consumi ripartiranno anche da noi quando ripartono negli altri Paesi e forse anche prima! Un giornalista in un talk show mattutino su una TV privata: “Si stava meglio 2025 anni fa!” Certo, con i quasi 2.000 miliardi di debito che abbiamo accumulato fino ad ora… Non afferro in pieno il senso della frase che fa sua ogni opposizione di governo: il nostro compito è di mandare a casa il governo! Ma i cittadini non hanno votato tanto gli uni quanto gli altri per il conseguimento del loro benessere? Allora non si può collaborare con i vincitori, almeno nelle decisioni di pubblico interesse, anche perdendo? Non saranno mica tutte sbagliate le politiche degli altri… semplicemente perché sono degli altri! Ciò che stupisce dei quiz televisivi a premi, oltre agli studi super sfarzosi, alle super costose, super costruite e super inutili veline e ai tantissimi soldi (dei consumatori) che vengono dati in premio (chiedo scusa per i tanti super), sono le risposte strampalate dei concorrenti, quasi tutti laureati. Pur essendo le domande formulate più per indovini che per gente dalla cultura accademica, si sentono risposte che nemmeno i bambini delle elementari sbaglierebbero. Poi ci meravigliamo se tanti poveri cristi approdano fiduciosi sulle nostre coste!
L’ho detto e lo ridico per l’ennesima volta: i salari italiani sono i più bassi d’Europa e quelli ai vertici i più alti (e di gran lunga), gli ultimi perché i destinatari se li possono imbastire a proprio piacere. E in tutto questo la quasi totale mancanza di meritocrazia! Anche i prezzi dei beni di consumo sono i più alti. Le cause? Sempre le stesse: la massa di pubblicità, il clientelismo, il parassitismo, lo spreco di danaro pubblico per stipendi da nababbi, i festeggiamenti quotidiani di qualcosa, gli anniversari, i meeting, i congressi e chi più ne ha più ne metta. I prezzi d’acquisto degli immobili al Nordeuropa sono sovente la metà dei nostri, a volte anche un quarto, la qualità di gran lunga superiore e gli stipendi tripli. Una trasmissione alla TV tedesca mostrava come la polizia cerchi di far sì che le trasgressioni degli automobilisti possano trasformarsi in tragedie. Nei tratti pericolosi, segnalati con limiti di velocità, i poliziotti si nascondono tra gli alberi o al riparo di un cespuglio e con speciali strumenti riprendono gli automobilisti indisciplinati. Altri poliziotti, appostati più avanti, ricevono le informazioni e li bloccano. E sono multe salate. Ma salvano vite umane! Vi pare poco? Noi invece, poniamo la segnalazione degli apparecchi di controllo 400 metri prima del punto dove essi si trovano per evitare, si dice, che i comuni, o chi di competenza, raccolgano le multe per far cassa. Vorrei capire, se quando uno supera il limite di velocità e viene multato, il colpevole è il comune piuttosto che il trasgressore? E se uno vede il segnale 400 metri prima del controllo, non gli rimane tutto il tempo che vuole per scendere alla velocità consentita? Da quando è accaduta la tragedia della Thyssen-Krupp di Torino ci sono state altre migliaia di morti, una media di 3-4 al giorno, circa 1200 all’anno; ma pare che contino solo quelli della Thyssen (vedi anche le condanne inflitte ai manager). Gli altri sono morti di serie B, raramente vengono citati nei TG e il giorno dopo sono già nell’oblio. Per questa discriminazione c’è stata la protesta dei famigliari. Possibile, viene da chiedersi, che un Paese come il nostro non riesca a controllare più da vicino il dilagare della droga che si sta espandendo in modo assolutamente esponenziale? Mentre Rai Uno trasmetteva i pettegolezzi di divi e dive, un canale tedesco mostrava (ai contribuenti innanzitutto) in che modo i poliziotti di Lipsia acciuffavano gli spacciatori nei parchi della città, dove pure non v’era l’ombra di una siringa.
Molti esercizi pubblici devono pensare che facendo musica a tutto volume nei bar, nei negozi, nei supermercati e nei ristoranti, i guadagni aumentino in rapporto al frastuono. Piuttosto aumenta il nostro stress, sommandosi a quello che, inutilmente, stiamo cercando di lasciarci alle spalle. Anche la radio con le sue musichette prima, durante e dopo gli infiniti spot pubblicitari, le pochissime trasmissioni di qualità e gli infiniti gr, è tornata ad essere una fabbrica di soldi. Ovviamente a spese del consumatore! Politici e televisione: quante volte dobbiamo stropicciarci gli occhi per convincerci di veder chiaro e cercar di capire ciò che sta accadendo sul teleschermo! Uomini politici in un ininterrotto dibattito, o scontro, a ogni ora del giorno e della notte su qualsiasi emittente commerciale e pubblica, giornalisti, spettatori pagati! Pare che abbiano traslocato le aule parlamentari e i gabinetti dei ministri negli studi televisivi, i primi, le redazioni dei giornali i secondi, i salotti di casa i terzi. Ogni partito santifica lo stato sociale perché porta voti. Ma lo stato sociale ha le sue esigenze e per sostenerlo ci vogliono i soldi e i soldi si fanno producendo ricchezza e bandendo il parassitismo! Ben venga allora lo stato sociale ma, a rigor di logica, venga prima lo stato produttivo. Un portavoce del governo ha annunciato che i costi della gestione dello stato verranno ridotti fino a raggiungere la media europea. Questa notizia giunge a proposito, poiché tempo addietro ci avevano comunicato che il Quirinale costa quattro volte quel che costa la regina Elisabetta ai contribuenti inglesi. Seguo i talk show tra politici e giornalisti da una trentina d’anni. Mi ero rallegrato notando che venivano a galla le nostre pecche peggiori e le nostre furbizie e avevo pensato che c’eravamo finalmente ravveduti dei nostri errori e avremmo cercato di correggerli. Invece, da allora, ben poco è cambiato, forse nulla! I dibattiti si sono moltiplicati e le denunce di allora sono le denunce di oggi, anzi, a queste se ne sono aggiunte altre! E così sarà anche in futuro. Non ci resta che considerare e accettare questi inconcludenti talk show, come recite teatrali; che rabbia, ragazzi! Ma c’è ancora qualcuno che li segue? Berlusconi ha detto che le sue aziende aiutano altre aziende a vendere i loro prodotti (con la pubblicità). Ma perché nei Paesi dove le aziende come le sue sono di gran lunga inferiori sia nel numero che nell’arroganza di mettere le mani
nella borsa della spesa dei consumatori, i consumi sono più alti che da noi e i prezzi più bassi? La risposta è semplice e sempre la stessa: perché c’è il ricarico della reclame nei prezzi e le gente è in grado di acquistare ciò di cui abbisogna… anche da sola! Oltralpe infatti, chi vuole acquistare del tè va al supermercato, lo prende dagli scaffali in base alla conoscenza che ha del prodotto e lo compra. Lo stesso vale per la marmellata, il formaggio, il materasso, il detersivo, l’automobile, l’adesivo per la dentiera. Nessuno rimane sfornito dei beni di cui necessita, pur non avendo perennemente il fiato al collo della promotion mediatica, che si arricchisce infilando le mani nella nostra borsa della spesa. Non possiamo fare lo stesso pure noi? Siamo più stupidi di loro? Dobbiamo per forza sorbirci l’infinita litania di detti prodotti in TV, alla radio, sui giornali e dover pagare per questo “servizio” il 30% e oltre in più di quello che pagano gli altri per acquistare detti beni? Una rivista automobilistica riporta la notizia che la Mercedes-Benz, più che gli sponsor, favorisce la beneficenza effondendo milioni per i poveri di tutto il mondo. Perché? Perché la sua qualità è universalmente riconosciuta senza bisogno di essere continuamente ricordata dalla reclame. Non sarebbe una gran cosa insegnare nelle scuole, se ancora vi è qualcuno in grado di farlo, la forza della discrezionalità e i limiti della decenza tra i cittadini per risolvere, o almeno attenuare, i nostri cronici problemi, primi fra tutti i pettegolezzi della politica (con cui facciamo sorridere gratis tutto il mondo), l’immortalità della ditta Mafia & C., dei rifiuti di Napoli e di molte altre città… ed altri ancora? A’ propos di Napoli… un tempo si diceva: “Vedi Napoli e poi muori…” intendendo che quando si sono viste le bellezze di quella città si ha visto tutto. Ma si aggiungeva: “Dalla puzza che ci trovi…” A Napoli ho fatto il servizio militare nel ’62 e in certi posti della città, si doveva fare attenzione a non danneggiare scarpe e pantaloni. A questo punto verrebe spontanea la seguente domanda, pur se un poco idiota: “Perché al posto di calciatori (e giocatori d’altri sport), veline ed escort, non importiamo spazzini, dirigenti d’azienda e insegnanti… magari dal Nordeuropa? Si insiste tanto nel dire che i costi dell’azienda Italia sono troppo alti e che
bisogna portarli a livelli europei. Per quanto ancora possiamo permetterci di dircelo? La flebile autorità delle istituzioni, la scarsa disciplina individuale e la poca sensibilità del senso civico ed etico sono il miglior concime per la proliferazione dei nostri cronici problemi che restano sempre più irrisolti, come pure delle tante mafie sempre più aggressive e onnipresenti. Secondo la mia visione delle cose, la TV pubblica o abolisce il canone e fa pubblicità, o mantiene il canone e toglie la pubblicità, come succede altrove. Meglio che tolga la pubblicità! Un tempo si diceva: “A carnevale ogni scherzo vale!” Pare che oggi questo detto sia valido per tutto l’anno, quaresima inclusa. Se non ricordo male, i politici che abbiamo eletto alle ultime elezioni amministrative… non li avevamo bocciati, seppur per poco, alle elezioni precedenti? Perché insisto tanto nei confronti tra noi e i popoli nordici, tedeschi in testa? Perché è con loro che dobbiamo vivere e soprattutto competere! Le rate dei nostri mutui sono le più care d’Europa, nonostante il tasso di crescita più basso, o recessivo. Morale: siamo sempre noi, piccoli uomini della strada, ad essere fregati! Confesso che dinanzi ai fasti smodati dei nostri studi televisivi, ai numerosi quiz che dispensano centinaia di migliaia di euro, se non milioni, in premi come se fossero noccioline, alle svestitissime, salatissime e inutilissime veline, alle frotte sempre più serrate di presentatori e presentatrici che affollano gli studi, agli infiniti, interminabili e barbosi TG delle innumerevoli emittenti radio e TV che spargono schiere di cronisti e croniste in giro per il globo, quando esistono le più economiche agenzie d’informazione, alle resse di politici e altri personaggi che sgomitano per partecipare a sterili e dispendiosi talk show e dovendomi sorbire, come tutti del resto, le altrettanto sterili ciance che ci vengono scodellate dalla mattina alla sera dalle TV pubbliche e private e pensando alle montagne di rifiuti che sommergono le strade e le piazze d’Italia e alla nostra crisi nella crisi e a tante, tantissime altre cose di cui non abbiamo necessità ma che prosperano nella misura in cui la crisi si aggrava, e non viceversa, fremo più che a venire arrostito vivo su una graticola rovente.
Sentite questa, e non è una barzelletta! Andiamo in giro per il mondo a chiedere la moratoria della pena di morte e restiamo indifferenti di fronte alle donne, ai bambini, agli uomini di casa nostra che muoiono a causa dei rifiuti nocivi sparsi e bruciati un po’ dovunque, ai aggi pedonali violati… (siamo in testa alle classifiche dei morti ammazzati dalle auto e dalle moto sulle strisce pedonali), ai 1200 lavoratori che cadono annualmente vittime della mancanza di sicurezza sul lavoro, ai morti ammazzati dalla criminalità organizzata e dalla mala sanità! Tutto questo non ci dovrebbe far riflettere e non solo? Ce lo deve dire proprio il papa che Roma è una città sporca e fatiscente e che bisogna porci rimedio? E fosse solo Roma… Concorrenza debole equivale a opinione pubblica debole. Da noi esiste la concorrenza fra le centinaia di emittenti TV pubbliche e private per raccogliere più pubblicità (e condotta con i soldi del consumatore) e non quella più importante tra i beni di consumo. E l’opinione pubblica, che pure esisteva, è stata uccisa e seppellita da decenni da quella lotta “fratricida”. La meritocrazia è un sistema di riconoscimenti e compensi basati sui meriti individuali, poco conosciuta e valorizzata nel nostro Paese. Significa pure assegnazione di prestigio e potere, attribuiti sulla base di criteri di merito, da cui un Paese moderno e competitivo non può prescindere. Non mi pare cosa sprecata riportare altri esempi per meglio rendere l’idea di come al Nordeuropa la TV segua criteri di pubblica utilità ben diversi dai nostri. In una trasmissione della TV tedesca, le telecamere seguono o o delle persone che si accingono a comprar casa. Le seguono dalle prime battute fino a trattativa conclusa e a trasloco avvenuto. Le case vengono mostrate nei dettagli, dentro e fuori, i prezzi resi noti. Anche lo sconto concesso in ogni trattativa viene reso noto, in modo che i parametri più importanti del mercato immobiliare siano di pubblico dominio. Così i cittadini interessati ad un acquisto, sono in grado di capire se stanno facendo un buon affare o se vengono fregati. E’ questo uno dei motivi per cui da quelle parti i prezzi degli immobili sono spesso il 50% e oltre più bassi dei nostri, la qualità delle case di alto livello e costruite con le tecnologie più avanzate. E l’acquirente viene informato dalla TV che esistono dei corsi formativi per chi si prepara ad acquistar casa. In un’altra trasmissione le telecamere girano per alberghi e ristoranti, esercizi pubblici e mense filmando cuochi e cucine, piatti e prezzi, pulizia e qualità, servizi e cortesia. E queste trasmissione vanno in onda nelle ore di maggior ascolto e non a notte fonda.
Mi ha sorpreso la rabbiosa reazione del precedente governo nei confronti del ministro tedesco del lavoro nella trattativa Fiat-Opel. Il ministro esprimeva perplessità sulla trattativa, avendo la Fiat stessa 14,5 miliardi di debiti e temendo per questo una possibile riduzione delle forze lavoro per l’azienda tedesca. Credo che ogni persona di buon senso al posto suo avrebbe preso simili precauzioni in un’analoga situazione. Strano, ma vero! E’ incredibile quanto spesso venga schernito colui che rispetta la legge: chi rispetta il codice della strada, chi paga le tasse, chi getta le cartacce nell’apposito cestino, chi pulisce la strada davanti a casa, chi lascia l’auto nel parcheggio a 100 metri dal punto in cui si deve recare… Libertà di stampa e democrazia. Un’agenzia americana che studia tali fenomeni ha retrocesso nel 2011 l’Italia, unico Paese europeo, nel gruppo delle nazioni in cui la libertà di stampa e la democrazia reale non esistono, o esistono in maniera rozza e buffa. Causa prima della retrocessione è stato l’immenso potere mediatico dell’ex presidente del consiglio Berlusconi, che tiene nelle sue mani TV pubbliche e private, giornali, editoria e può quindi condizionare a suo piacimento politica ed elettorato. Il terremoto in Abruzzo ha dato un’altra riprova, purtroppo drammatica, di come vengano disattese ancora oggi in Italia le più elementari regole di costruzione contro simili eventi. Molti edifici pubblici e privati, ci hanno spiegato gli esperti, potrebbero essere ancora in piedi se le leggi antisismiche fossero state rispettate (poi andiamo ad Haiti a gridare ai quattro venti che gli aiuti americani all’isola sono da dilettanti…). I quotidiani italiani si beccano 150 milioni di euro l’anno di contributi statali. Ma forse è il caso di dire… si beccavano! Pare infatti che tale cifra, causa la crisi, venga ridimensionata dal presidente Monti. Non è che abbia fatto capolino la maga Meritocrazia? Le imposte sul lavoro ammontano da noi al 44% del costo, le più alte d’Europa. La media europea è del 34%! E come può essere altrimenti con le spese da nababbi che la nostra allegra gestione dei soldi pubblici comporta? Le apparizioni in TV di politici e giornalisti e altri personaggi della vita pubblica italiana si sono talmente infittite che, più che interesse, producono noia; a questo punto chi ci guadagna in popolarità è chi non vi appare affatto.
C’è un tale svolazzare di cornacchie (d’ogni genere) attorno a radio, TV e stampa, da far gelare i 60 milioni di italiani, più gli stranieri, che giornalmente contribuiscono a sostenerle con la borsa della spesa. Purtroppo noi italiani, più che nella ricerca e nelle infrastrutture, preferiamo investire nella reclame. Abbiamo sostituito la pubblicità alla ricerca, poi ci meravigliamo (fingendo naturalmente) se i nostri scienziati fuggono in Germania, Francia, America! La celebre trans brasiliana Natalie del caso Marrazzo ha confessato che si trovava in Italia da 12 anni e che è clandestina. Dalla TV si è pure saputo che a Roma di personaggi come lei ve ne sono a migliaia nelle sue stesse condizioni. Ma questo lo sanno i carabinieri (non solo quelli deviati), i finanzieri (affitti non dichiarati dai proprietari dei condomini e guadagni delle trans ancora meno dichiarati), lo sa il Ministero degli Interni, il Comune di Roma, i governi, le opposizioni… Come è possibile tutto questo, vien da chiedersi, in un Paese civile? Quando ho iniziato a buttar giù queste righe, mi ero riproposto di essere diplomatico e “riguardoso” nelle mie esternazioni e di evitare indiscrezioni e giudizi mirati e capziosi. E ero altresì intenzionato a non ricorrere troppo, pur se ai fini dell’incisività e dell’efficacia, alle ripetizioni di temi già trattati. Sarebbe stato anche più comodo e rassicurante parlare più dei nostri pregi che dei nostri difetti. Ma la mia coscienza non mi ha lasciato alternative: o quel che pensi… o niente! Anche le donne italiane andranno in pensione a 65 anni. L’ordine è venuto dall’Europa che, giustamente, difende la parità tra i sessi. Ma l’Europa avrebbe dovuto dare l’ordine anche agli uomini italiani, sempre per la parità dei diritti tra i sessi, di prestare un po’ più di aiuto alle loro donne nei lavori e nei compiti domestici e familiari, come è ormai costume presso i popoli del nord. E sarebbe stato assai normale che questo tema fosse stato discusso nei vari talk show; invece, su questo argomento, tabù assoluto. Spero tanto che mi sia sfuggito! E’ preoccupante che aumenti il numero di chi cerca lavori parassitari (più leggeri e remunerativi, come la pubblicità, l’informazione, i media in genere) a scapito di quelli produttivi (più pesanti e meno retribuiti, come l’industria e l’artigianato) e non bastano i milioni di extracomunitari a compensare la
situazione. Mentre i nostri competitori sono in controtendenza. Germania, agosto 2010: all’industria manifatturiera urgeva manodopera e molti addetti erano in ferie. I sindacati allora hanno invitato a rientrare dalle ferie chi era indispensabile per portare avanti la produzione. Tutti i richiamati hanno aderito all’invito dei sindacati e sono rientrati nelle aziende! Molti personaggi politici e non, troppi, si aggrappano oggi ai treni della Shoah, della liberazione e dell’antifascismo, e ancorché dell’Unità d’Italia, per farsi “trainare”. Sono treni molto comodi e confortevoli, ma poco realistici e poco credibili. Chi mai, guardando la TV, non ricava l’impressione che molti dei nostri politici, giornalisti e opinionisti non indossino l’abito a pezze colorate di Arlecchino solo per soddisfare la loro smania di popolarità e di protagonismo? E ancora: ”Ma quando lavorano, se lavorano, quei signori? E ce l’hanno una abitazione ed un ufficio?” Gli americani, e non solo loro, si meravigliavano che gli italiani non reagivano all’”affare” Berlusconi. Non avremmo dovuto meravigliarci noi prima di loro? L’ex direttore del Corriere della Sera, ora presidente della RCS Libri, Paolo Mieli, nel suo intervento nel bel mezzo della trasmissione Ballarò, esordisce lamentandosi che nessuno ha ancora ricordato l’alpino morto quel giorno in Afganistan, pur avendolo già fatto mille volte nel corso della giornata gli innumerevoli gr, TG, giornali vari e internet… Ma lo sa, il signor Mieli, che ogni giorno muoiono 3-4 operatori nel compimento del loro dovere lavorativo, altre 3-4 persone ci lasciano le penne sulle strisce pedonali, altre migliaia di esseri umani esalano l’ultimo respiro causa l’inquinamento ambientale, altri per colpa di delinquenti che sparano nella pubblica via e altri ancora per la totale mancanza di disciplina di molti automobilisti? Non sarebbero morti da ricordare quelli (spazio permettendo)? Poiché c’è gente che al mattino si deve alzare di buon’ora per recarsi al lavoro, non potrebbe la TV anticipare le trasmissioni di maggior ascolto a orari più consoni, come facevasi un tempo e come si fa ancora oggi al Nordeuropea? Tra mafie, rifiuti (e fossero solo quelli di Napoli!) e un presidente del consiglio come Berlusconi (ora ex, per fortuna!) che possiede radio, TV e giornali e che pratica il Bunga Bunga a sbafo (infilando la mano nella borsa della spesa di 60
milioni di consumatori italiani per imbottire di pubblicità i sunnominati mass media) e le sue ricorrenti barzellette, il mondo ne ha avuto, e ne ha ancora, da ridere, e al tempo stesso da… sorridere! Da noi si becca di più un e della TV che fa una trasmissione alla settimana, che un capo di stato estero, 10 volte e più di un operaio che lavora 8 ore al giorno, producendo ricchezza. E’ vero, l’operaio non può pretendere molto di più per non togliere competitività alla sua azienda, ma il e può avere di meno, e molto, senza far correre lo stesso rischio alla sua azienda; anche per una questione di etica! O no? Come ho detto, da quando Berlusconi s’è messo in politica, io l’ho votato ogni volta, credendolo un imprenditore serio, un buon padre di famiglia e un possibile ottimo premier. Oggi, dopo 16 anni di non crescita, di consumi ridotti alla metà della media europea, di cronica disoccupazione, di infantili beghe con l’opposizione, di bunga bunga, la mia coscienza si rivolta, e pure il mio stomaco, impedendomi già sin d’ora, se mai si dovesse ripresentare alle elezioni, di rivotarlo. Peccato che l’industria automobilistica italiana non produca più modelli di automobili piacevoli e concorrenziali, perché i tedeschi amano l’Italia e ne acquisterebbero parecchie! Permettetemi di dire: Germania, altro pianeta! A conclusione di questo mio lavoro vorrei riportare il commento di un politico, di cui non ricordo il nome (e me ne dolgo), in uno dei tantissimi salotti televisivi sempre più in voga e sempre più evangelici nel nostro Paese: “Noi italiani non riusciamo a dimenticare ciò che è stato e a guardare a ciò che è e soprattutto che sarà…” Come si può, alla luce dei fatti, non condividere questo giudizio, pur anonimo? Siamo perennemente volti al ato e sarebbe ora che ci volgessimo di più al presente e soprattutto al futuro! Acqua ata non macina più…
Indice
Qualche nota introduttiva Premessa Qualche annotazione per cominciare Retaggio di un’antica gioventù Al di là degli orizzonti visivi Popoli e razze, ma non solo Pareri di un automobilista non proprio straniero Note “stonate” a briglia sciolta Quando si dice pane al pane Mafia, camorra, ‘ndrangheta e… boh “Moin, Moin…” “Help, ci stanno affamando!” “Terra, terraaa...!!!” Il secondo fisco d’Italia, anzi… il primissimo Considerazioni… a rotta di collo Schermo, teleschermo delle mie brame! Valigie di cartone, spaghetti e mandolino Dimensione zero: quando l’occhio scivola sul critico
Uno sguardo di là del teleschermo Pane, amore e… televisione Uno, due… trenta, quaranta… basta per l’amo di Dio! Quando il pensiero sfarfalla a proprio agio Luci ed ombre della ribalta natalizia Veline, veline, veline… Quando dicesi di chiari sottintesi Sì può unire l’utile al dilettevole…? Quello sciagurato secondo fisco, anzi primissimo Qualità e organizzazione teutoniche: così semplici, che più semplici non si può! Riflessioni spicce, vecchie e nuove Quegli specchietti per le allodole Ancora note… sparpagliate