Mat Bono
Personal Segreto
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sommario
Presentazione 1°parte Ferie? 2°parte ...Se ti facevi i fatti tuoi... 3°parte Come ti compro la casa di campagna 4°parte Foto di gruppo 5°parte Trappola per topi 6°parte Boomerang 7°parte Un pozzo di prove 8°parte Pirata di... campagna 9°parte Chi trova un amico... trova un computer! 10°parte Il tempo stringe 11°parte: Cronisti non si nasce, ma si diventa!
Presentazione
PERSONAL SEGRETO … Anno 1986, la “bassa” ad Est di Bologna ha ancora il suo verde umido e nebbioso, le sue case di campagna con gli intonaci un po’ scrostati, e qualche problema in più per la gente socievole, che si dà da fare convinta di poter ancora migliorare il proprio futuro, risparmiando ancora in lire e senza bolletta del cellulare… Un uomo, impegnato in un lavoro a tecnologia avanzata, si concede una meritata settimana di ferie, ma non saranno giorni di riposo… Anche nella “bassa”, tra la gente simpatica e laboriosa, c’è il malaffare e la delinquenza?!?...
1°parte Ferie?
Marte trangugiò rapidamente il bicchiere di latte caldo; non gli piaceva senza caffé, ma quel mattino si era alzato con la stessa grigia indolenza del tempo che ovattava di fredda foschia il parco dabbasso. Quarant’ anni, un matrimonio fallito alle spalle ed una vita solitaria dedicata tutta al lavoro, sembravano pesare di più proprio ora, quando, dopo due anni di ricerche ed esperimenti ininterrotti, si era concesso un po’ di meritate ferie. Paradossalmente desiderò trovarsi nel solito laboratorio, greve di impegni, alle prese con i suoi computers. Amici?... Gli unici meritevoli di una visita erano ormai sparsi un po’ in tutto il mondo, irraggiungibili. Gli altri erano quelli che alle sette di sera scaldavano già le sedie del bar e che parlavano una lingua sconosciuta a lui, che seguiva poco il calcio, meno ancora l’automobilismo ed altre mondanità. Lasciò il letto sfatto e la tazza sul lavello ed uscì. Lo accolse una nube di smog stratificata e pungente: “maledetto Bernacca”, aveva colpito ancora! Alzò il bavero e si avviò all’edicola all’angolo del parco; comprò il primo quotidiano in mostra e vi affondò il naso, dribblando alla ceca i lampioni nel suo lento incedere. Alcuni bambini si rincorrevano più in là, distraendo un paio di cani tenuti a stento da altrettante coppie. Superò la vecchia fontanella che buttava ancora acqua, chissà per quale fortunata dimenticanza burocratica. Il giornale sembrava la copia della settimana precedente: inflazione, fiscal drag (nome inglese che sta a significare che gli italiani non capiscono un tubo di come stanno loro abbassando lo stipendio netto!), sciopero minacciato dai medici e vecchie promesse del nuovo ministro di far pagare le tasse equamente a tutti i contribuenti! Più realista, un suo collega si limitava ad annunciare l’introduzione di una nuova tassa sulla casa e l’aumento delle accise sui carburanti! Fin troppo varia e ricca era invece la cronaca nera... Girò con rabbia cercando la pagina sportiva e vide la donna col cane a pochi metri da lui: bella donna! Abitava nel suo stesso palazzo e la vedeva andare e venire periodicamente assieme all’ appiccicoso marito ed al cane; che attività svolgessero poi era un mistero. Marte pensò di approfittare dell’assenza del marito:
-Buongiorno signora, o lei così previdente, o è proprio incosciente!...- La donna salutò quasi controvoglia con un cenno del capo, e con una occhiata interdetta chiese spiegazione della battuta. -Oh, mi riferivo al fatto che tenere al guinzaglio una tal belva, o ci si è assicurati prima che non ci siano gatti nelle vicinanze, o si accettano rischi grossi!- La signora rise e Marte pensò di poter avvicinare il pastore tedesco facilmente, ora: tanto più che conosceva bene le reazioni di questi animali. Tuttavia gli ci vollero anche i due giorni seguenti per entrare in confidenza col cane, cosa che non gli riuscì con la donna, che sembrava addirittura infastidita da quelle attenzioni: tant’é che il sabato la attese inutilmente al parco. Ma la domenica mattina verso le dieci, Marte ancora in mutande, avvenne il fatto nuovo: qualcuno bussò alla porta: -Se è di ancora il “Geova”, parola... lo butto dalle scale!- Si infilò i pantaloni e inviperito, aprì e si trovò di fronte invece i coniugi Franci, completi di cappotti, valigie e cane; dalla fretta che dimostravano si poteva pensare che fossero inseguiti dalla tributaria... -Buongiorno, signor Trevi esordì la donna mentre il marito partecipava con un cenno del capo: -Lei ci scà, ma abbiamo un’urgenza improvvisa... non possiamo portarci Leone e non abbiamo nessuno a cui lasciarlo... non potrebbe tenerlo lei per un paio di giorni?... Le saremmo tanto grati… e per le spese…- -Con piacere, signora, io e Nerone ci divertiremo un sacco assieme!.. E non vi preoccupate di niente, so benissimo come cavarmela con lui, vero cagnone?- E assestò una bella manata sul cranio dell’animale, che non attendeva altro per rifarsi: addentò scherzosamente il polso dell’uomo e lo trascinò sul pianerottolo delle scale, come ordine di evacuazione verso il parco. Marte rise divertito, ma i signori Franci non avevano il tempo di partecipare: -… E il collare di riserva? Possibile che debba pensare a tutto io?- Brontolò lei: -Adesso come facciamo a riprendercelo?-Lascia perdere!- Grugnì il marito: -Non vorrai metterlo al collo tu, no?Poi, alzando la voce: -Allora noi la ringraziamo proprio tanto, signor Trevi… e tenga segnate le spese.. al ritorno naturalmente glie le rimborseremo.. Addio!- E sparirono senza dargli neppure il tempo di obiettare.
2°parte ...Se ti facevi i fatti tuoi...
Con Leone non c’era tempo per annoiarsi; prima che gli distruggesse casa, Marte decise di portarlo al parco. Piccolo Grande parco, che ricordi quel cortile in cui Marte era cresciuto, capelli al vento e torso nudo nelle chiare estati, con le piante dei piedi indurite dalle corse scalzi. Il pozzo dava acqua fresca, la confusione era sconosciuta e l’antico nonno gli cantava armoniose filastrocche dialettali, le “Zirudelle”, tramandate da chissà quante generazioni; l’aria era genuina come la modesta mensa e la gente era conosciuta. Tu invece, piccolo grande parco, potevi dare solo un po’ di spazio verde e grigio, pieno di gente confusa e sconosciuta che respirava lo scarico dei motocicli “pirata” che ti solcavano... ma eri meglio di niente... Sospirò e richiamò il cane, poi si girò e rimase immobile: lassù, al penultimo piano del suo palazzo, esattamente nell’appartamento dei Franci, un’ombra si era mossa furtiva nel vano della finestra. Il giovane si avviò deciso, richiamando l’animale: -Presto, Leone, c’è un ladro nel tuo appartamento, se mi dai una mano lo strapazziamo!- Sapeva benissimo che la città era troppo lontana per un rapido intervento del 113 e che i carabinieri non erano attrezzati per intervenire in tempi brevi; ma col suo attuale compagno si sentiva lui un leone. Presero il vialetto di corsa, il cane conscio unicamente che l’amico aveva bisogno ed entrarono dal retro del palazzo. Troppa fretta!.. Lo scontro con la portinaia, che stava portandosi la teglia di spezzatino dalla cantina in casa, fu inevitabile! Il risultato fu che lo spezzatino andò in malora, volando attraverso la porta di cantina semiaperta, il giovane andò a sbattere contro i vasi di fiori messi nel corridoio al riparo dalle intemperie, ma non dagli sbadati, e la vecchia andò prima a terra e poi in bestia, mentre la bestia si teneva in disparte, prevedendo il peggio col suo intuito canino. Non si sbagliava: quello che la donna scoprì sui giovani era degno del miglior Decamerone e forse non solo Leone imparò qualche vocabolo nuovo in quell’occasione. Marte si scusò sbrigativamente, richiamò il cane spazzolandosi le brache con le mani, poi riprese la scale di corsa. Quando giunse alla porta dell’appartamento, la trovò perfettamente chiusa. Si fermò
perplesso: se a questo punto avesse richiesto l’intervento dell’Ida, la portinaia, senza una valida ragione, c’era di che cambiare casa! In fin dei conti poteva essersi sbagliato là nel parco ...o no? Qualcuno scese lentamente dal piano superiore: aveva un cappello grigio ed un soprabito scuro col bavero tirato su. Lo superò con un cenno, girando il più possibile lontano dal cane che lo annusò sospettoso, per sparire dabbasso. Marte pensava vertiginosamente: no, non si era sbagliato! L’ombra intravista nel parco non era stata un’illusione ottica! Provò a spingere di nuovo la porta, ma questa non cedette; fu qui che avvertì l’odore di gas e cominciò a pensare che stava succedendo veramente qualcosa di strano... Strano?... Come quell’individuo del piano di sopra! Non poteva essere, per esempio, che, avvertito dal disastro combinato al piano di sotto, quell’uomo, incappellato nell’impermeabile, avesse pensato bene di salire al piano di sopra e poi scendere tranquillamente senza essere così sospettato? -Presto leone, vieni!- Si precipitò a rompicollo per le scale e, rischiando un nuovo scontro con la portinaia, ormai fuori dalle grazie divine, raggiunse la strada; l’uomo imbacuccato stava per salire su una mini rossa. -Ehi, voi, fermatevi!- Urlò Marte col fiato corto. L’uomo girò la testa, poi, rapidissimo, si infilò nell’auto a prezzo del cappello e, con una partenza degna del miglior Prost, rincuorò il gommista all’angolo della strada. Marte memorizzò velocemente il numero di targa, recuperò il cappello caduto e ritornò velocemente verso casa. -Che un accidente vi pigli e vi spacchi in due!...- Lo accolse la portinaia. -Calma donna!- Le urlò in faccia il giovane, ormai sicuro delle proprie ragioni: -Lassù dai Franci c’era un ladro, e deve aver lasciato il gas aperto!- -Ladro... Gas aperto?!... O mio Dio!- Piagnucolò la donna portandosi le mani alla bocca. -Chiami i carabinieri!- Gridò Marte, risalendo a salti le scale: giunto davanti alla porta dell’appartamento si maledisse per aver dimenticati di chiedere la chiave alla donna... Al diavolo le serrature, non sarebbe stato meglio non inventare i ladri? L’uomo si catapultò di spalle sulla porta, che si aprì con un tonfo sordo e l’odore aggressivo del gas lo accolse. Era tutto sottosopra, e sul mobile a fianco la finestra, con le tapparelle alzate, ma coi vetri chiusi, ardeva una candela accesa. Il sangue gli si raggelò nelle vene: tutto poteva saltare da un momento all’altro! Scattò deciso, raccolse il pesante posacenere e lo scagliò contro i vetri, quindi raggiunse la candela e vi fece volare anche quella. Avrebbe avuto del bello a convincere eventuali anti a prendersela coi soliti colombi!... Ma la casa era salva! Non gli rimase che chiudere i
rubinetti della stufa a gas. Coi carabinieri fu cosa breve; gli fecero un terzo grado su tutto ciò che aveva visto, lasciandolo poi nella convinzione che non avrebbero avuto tempo di occuparsi di uno dei tanti furti, anche perchè si capiva benissimo che i particolari dei rubinetti del gas aperto e della candela accesa non avevano scatenato nessuna curiosità. Rientrò mestamente nel suo appartamento, sperando che gli fosse rimasta da qualche parte un po’ di magnesia per calmare i morsi della gastrite eccitata da quella avventura. Per restare in tema con quel pomeriggio eccezionale la sera se ne andò al bar; alle dieci però s’era già stancato degli amici che non tentavano altro che di socializzare con un perplesso Leone. Rientrò col cane, lo sistemò sulla pedana di fianco al letto e cercò di dormire. Ma l’ agitazione non lo mollava: “Il ladro?.. E poi perchè il gas aperto e la candela accesa? Se non fosse intervenuto sarebbe presto saltato tutto in aria... Si addormentò pesantemente, per sognare i coniugi Franci: stavano su un aereo e dalla tasca della giacca di lui spuntavano i biglietti... Ecco cosa gli era rimasto impresso della mattina precedente! Realizzò Marte svegliandosi di soprassalto: quella specie di tessera che spuntava dalla tasca del soprabito del marito era un biglietto aereo e non un sogno! Accidenti, che urgenza quella dei signori Franci! Ma la sorpresa venne la mattina seguente: scende a comprare il giornale e che ci trova in fondo pagina? “AUTO URTATA DA UN MEZZO PESANTE SBANDA IN CURVA E FINISCE CONTRO UN PLATANO: MORTI I DUE OCCUPANTI” Marte, come preso da un presentimento, lesse l’articolo d’un fiato:“Mentre percorrevano la statale 64 direzione Ovest a bordo di una Fiat132 grigia, guidata dal marito, venivano presumibilmente urtati da un autocarro; l’auto sbandava, usciva di strada e cozzava violentemente contro un platano del boschetto che costeggia la strada. Gli occupanti, il signore e la signora Franci, decedevano in seguito alle ferite riportate durante il trasporto all’ospedale. Del mezzo pirata nessuna traccia” Rimase di sasso; con la mano libera prese istintivamente la testa del cane e se la strinse contro, come per consolarlo. Leone però, non sapendo leggere, non poteva capire e gli addentò scherzosamente la mano, che rimase immobile come l’uomo assorto nei suoi grigi pensieri. Si sedette sulla solita panchina o si rilesse l’articolo varie volte, cercandovi di capire se potesse esistere un collegamento con gli avvenimenti degli ultimi due giorni. Infine, infreddolito
e stanco, tornò a prendere l’auto e se ne andò a Medicina, ai “Tre scalini” , per consumarvi un frugale pasto. Rientrò di malumore, ma ormai la sua mente aveva partorito un’idea: voleva capire cosa il ladro avesse cercato nell’appartamento… Convincere la portinaia ad aprirgli fu impresa ardua e gli costò qualche complimento e la mancia: mezz’ora dopo aveva frugato ogni angolo dell’appartamento, ma l’unica cosa che lo aveva colpito era quanto fosse spoglio ed incolore. D’altra parte gli inquilini vi si fermavano tanto poco, spesso mancavano per settimane intere! L’Ida, dopo aver cambiato la gamba d’appoggio a mo’ di struzzo per la ennesima volta, le mani piazzate sui fianchi rotondi, cominciava a dar segni di nervosismo. Quando Marte uscì, permettendole di richiudere la porta, la donna si sfogò: -Spero che sia soddisfatto, ora! Cosa pensasse di trovare poi in un posto usato come un porto di mare da due sconosciuti, non so proprio! Mah, d’altra parte... se ognuno si fe i fatti propri...- Marte girò i tacchi senza rispondere e se ne tornò in casa. “Forse aveva ragione l’Ida, forse erano veramente fantasie le sue...” Il cane si accovacciò vicino al letto, dove il giovane si sdraiò per leggere distrattamente il giornale, costretto per fare ciò ad accendere l’abat-jour, ad integrare la fioca luce che entrava dalla finestra anche se erano solo le quattro pomeridiane. Gli articoli più interessanti erano sulla cronaca nera: “Colpo di scena al processo Marotta: il P.M. annuncia di non poter più presentare gli sconosciuti testimoni d’accusa annunciati come determinanti tre giorni fa e chiede il rinvio del processo, negatogli però dai giudici. Fra un paio di giorni si prevede la sentenza...”-Chi volete libero, Gesù o Barabba?... Barabba, Barabba!Brontolò Marte squadrando la foto di repertorio dell’ormai famoso Capomafia che appariva sorridente e sicuro. “Possibile che non si riesca a mettere il sale sulla coda a personaggi universalmente riconosciuti come delinquenti? Avessi combinato io un terzo di quello che ha fatto lui...” Girò pagina con rabbia, cercando di scacciare il senso di frustrazione: “Gioielliere gravemente ferito durante una rapina: si pensa che i rapinatori fossero tossicodipendenti. Il bottino ammonterebbe a poche centinaia di migliaia di lire...” Al diavolo, questo sembrava il solito vecchio copione stantio... Gettò un’occhiata speranzoso all’ultimo articolo di fondo pagina: “BAMBINO UNDICENNE SPARISCE ALL’ ARGENTARIO: Marco Pastore era in ferie assieme ai genitori. Anche se questi, i sig. Ennio e Maria Luisa, non sono particolarmente facoltosi, la polizia sembra orientata verso l’ipotesi del rapimento...” In che mondo si dovevano crescere i propri figli! Marte si scoprì quasi soddisfatto di non aver avuto tempo per pensare ad un erede durante il suo breve matrimonio. Gettò il giornale ed i suoi pensieri
tornarono automaticamente ai Franci: di loro nessuno sapeva nulla. Nemmeno l’Ida, quarta emittente radiofonica della zona dopo RAI 1 e2 e Canale 5, sapeva che vita conducessero al di fuori del loro appartamento, per cui... Si alzò con aria insoddisfatta, andò ai fornelli e cucinò una bistecca che accompagnò con una montagna di insalata, mista a fagioli, cipolline e cubetti di formaggio; quando si girò per mettere in tavola, il suo sguardo incontrò quello supplichevole di Leone. Accidenti! Doveva pur dare qualcosa anche a lui, sperando che si accontentasse di costargli meno di una Rolls! Si propose di fare un contratto col macellaio, l’indomani. In effetti il giorno seguente dovette convincere il suddetto a cedergli un po’ di scarti che non gli costassero un occhio, cosa che però non gli riuscì mezz’ora dopo dall’elettrauto, che gli dovette sostituire la batteria dell’auto che, proprio quella mattina, aveva fatto scena muta. Quando rientrò, più leggero nel fisico, ma non nel morale, si ritrovò nella buca delle lettere la bolletta del condominio assieme a quella del gas e dell’Enel. La portinaia invece lo attendeva sulle scale: Marte fece mente locale ripensando a cosa potesse aver fatto di male nelle ore precedenti... Il suo cuore ricominciò a battere regolarmente quando l’Ida, dopo avergli annunciato il funerale dei coniugi Franci per il pomeriggio seguente, si rintanò nella guardiola. Il pomeriggio seguente Marte portò leone alle esequie dei suoi vecchi padroni. C’erano in tutto altre cinque persone: Mario Franci, cugino del morto, assieme ad un ragazzotto impertinente, forse il figlio; un vecchio che, fattosi forte di una bottiglia di rosso, si era abbonato a consolare le pene dei funerali altrui in attesa del suo, ed una coppia di coniugi di mezza età, i signori Antonia e Dario Pastore. Dopo aver presentato le condoglianze, Marte chiese a tutti cosa intendessero fare del cane: mentre i coniugi si allontanavano senza risposta, Mario gli disse chiaramente che del cane non sapeva che farsene e che i defunti l’avevano lasciato a lui, quindi s’arrangiasse. Marte stava per rispondergli a tono, quando Leone, urtandolo con la sua delicata mole, gli ricordò che era l’unico amico rimastogli. Sorrise, tirò il guinzaglio e portò via l’animale: in fin dei conti anche lui aveva un amico a portata di mano, ora! Durante il ritorno a casa non fece altro che pensare allo squallore di quella cerimonia: possibile che i Franci non avessero nessun altro parente? Entrarono in casa e Leone si cercò la solita pedana, mentre l’uomo si faceva una delle sue rare sigarette, pensando al da farsi... Idea!
3°parte Come ti compro la casa di campagna
... Si avvicinò al cane e cercò sul collare una qualsiasi sigla: il viso gli si illuminò di soddisfazione quando vi lesse il nome del negozio. Scese a rompicollo le scale, lasciando Leone a dormire e scelse la cabina allo angolo del parco, piuttosto che sopportare ancora la portinaia. Aprì l’elenco sulle ginocchia e cercò nelle pagine gialle della città: in paese, non era mai esistito un negozio di articoli per animali. “La bottega del cane” via Donati 6/b: consultò la cartina e si fece una idea della strada da fare. Era un quartiere nuovo, con pochi sensi unici... neppure mezz’ora di macchina… Controllò l’orologio: era ancora presto, nonostante fosse ormai buio. Ritornò a prendere Leone e lo caricò nella vecchia famigliare. Era la prima volta per l’animale e non sembrava molto soddisfatto di quel vano di carico sconosciuto. Con la batteria nuova l’auto rombò al primo colpo e Marte pensò soddisfatto che gli aveva dato ben poche grane in dieci anni di servizio. Si avviò senza pretendere troppo dal motore “freddo” e meno di mezz’ora dopo era sul posto. Il negoziante era un signore anziano, aria signorile, assorto nella pettinatura di un estroso pechinese; non vi erano altri clienti: -Buona sera...- Iniziò Marte. -Buonasera signore, dica!- L’uomo aveva un’aria sicuramente disponibile, anche se non interruppe la sua operazione. -Mi scusi…- Continuò Marte: -questo cane mi è stato consegnato da una coppia poi deceduta in un incidente stradale. Non so se avessero dei parenti.. sul collare comunque c’è il vostro distintivo!- Il negoziante appoggiò i pettine e si avvicinò a controllare il collare. Strano, Leone non si mosse, probabilmente perchè riconosceva in quel signore l’abitudine a trattare coi cani. -Sì, è vero, il collare è nostro, anche se è un modello che ormai si vende raramente...- Disse l’uomo: -...Ma, mi sembra.., sì, certo... questo è Leone perdiana, come sei cresciuto in un anno!- Ed accarezzò con tale felicità la testa del cane, che Marte capì facilmente come mai Leone fosse così tranquillo. -Certo, ora ricordo! Più di un anno fa abbiamo venduto collare e cane ad una coppia di coniugi di cui non ricordo però ora il nome... Sono i
morti di cui parlava?- -Sì,- Rispose Marte: -e pensavo che lei mi sapesse indicare qualche conoscente o parente dei Franci!Il vecchio pensò a lungo, poi si scusò: -Mi dispiace, ma tutto ciò che so è che volevano un pastore tedesco addestrato alla guardia personale. Dopo averlo acquistato sono riati sì e no un paio di volte per informazioni sul cibo e cure da fargli e basta... Non saprei che altro dirle...- -Okay, grazie lo stesso, lei è stato gentile comunque!- Concluse Marte deluso: -La lascio al suo lavoro… arrivederla!- -Arrivederla...- Gli fece eco il negoziante mentre usciva; poi d’improvviso: -... Ehi signore, un momento! Mi sono ricordato di un particolare….- Urlò l’anziano signore, rincorrendolo fuori: -...una volta la signora venne sola ed aveva con sé un pacco di vestiti che doveva portare alla pensione... Il nome non lo ricordo più...- Ed allargò le braccia in segno di scusa: -Mi sembra che fosse una pensione sui colli, ad est della città...Marte pensò in fretta, conosceva bene quella zona: ci abitava anche il suo amico Grillo, ex tennista, tanto simpatico, quanto impacciato con una racchetta in mano. -Villa Ortensia?- Chiese. -Sì, esatto, proprio Villa Ortensia!- Confermò il negoziante, felice. -Grazie, signore, lei è stato veramente utile!- Marte balzò in macchina al seguito dell’ormai ambientato Leone, senza nemmeno contraccambiare i saluti. Venti minuti dopo parcheggiava fra le siepi dei vialetti di Villa Ortensia. Era questa un’antica villa dispersa nel verde, ai piedi dell’Appennino; sul davanti un ampio parco, diviso da tanti viali di siepi, le conferiva una malinconica aria regale, confermata dai due padiglioni che racchiudevano ad angolo retto la facciata principale. Serramenti ed intonaci erano cadenti. Marte lasciò il cane in auto ed entrò deciso dalla portineria. All’interno si respirava ancora un’aria rinascimentale: pavimenti in marmo colorato, affreschi alle pareti, ampio uso di finiture in legno, che non era più solo antico, era proprio vecchio, lampadari in ferro battuto e mastino in divisa dietro la scrivania: -Il signore desidera?- Chiese serio. Marte però aveva studiato bene come farsi aprire le porte: -Cerco una persona che è vostro ospite, al quale ho il gradito compito di consegnare una piccola somma da parte dei coniugi Franci...- Ed estrasse una busta dalla tasca interna della giacca. -Se volete, posso farlo io!- Precisò il portiere, sorridendo ora. -No grazie, vorrei
salutare personalmente questa persona, visto che i suoi parenti sono partiti per un viaggio improvviso e non torneranno presto!- Rispose deciso Marte. Come volete!- L’uomo in divisa era un po’ contrariato ora, ma sapeva bene quanto ci tenesse la direzione ai regali in denaro ai pensionati: -Chiedete del signor Karl Wieren, primo piano!- Marte si mosse immediatamente, cercando di mascherare la sorpresa: “che diavolo di parentela ci poteva essere tra un Wieren ed i coniugi Franci?” Salì lo scalone e si trovò in un corridoio dai muri ingialliti e spogli: tutt’attorno le camere. Una infermiera gli ò vicino senza degnano di un’occhiata, al contrario dei vecchietti che lo sbirciavano con tutta la curiosità del tempo a loro concesso. -Infermiera, mi scusi...- Chiamò Marte. -Dica...- Si girò questa senza troppa educazione. -Cerco il signor Karl Wieren, da parte di parenti!- -Numero 7, e non è ora di visita!- Rispose seccata la donna e proseguì. Lui evitò sia di ringraziare che di obbedire e cercò il numero 7. La camera era in ordine, ma l’odore non era di pulito. -Il signor Wieren?... Karl Wieren?- Precisò ai tre anziani ospiti. -Sono io!- Mormorò uno di questi senza muoversi dalla finestra: guardava lontano, o forse era solo assente. -Potete essere così gentile da lasciarci un attimo soli?- Chiese Marte, allungando agli altri due un pacchetto di nazionali con filtro. I due vecchietti lo guardarono riconoscenti, come un bambino che riceva un regalo improvviso: bastava poco a farli contenti. Uno di loro prese il pacchetto, l’altro mormorò un “grazie!’ e se la filarono. Marte si avvicinò alla finestra, trasse la busta di tasca e la tese al vecchio; la lampada del corridoio fece riflettere la sagoma del portiere sul vetro. Marte finse di non vedere. -Mi hanno incaricato di consegnarvela i coniugi Franci, scusandosi per la modesta somma, ma hanno dovuto partire improvvisamente...- Mentì ancora. -Grazie...- Lo sguardo del vecchio era meno teso nel riporre in tasca la busta, ma la sua memoria sembrava avere delle pause: -... e il mio nipotino come sta?Marte rimase un attimo pensieroso, poi: -Dovete scusarmi, ma i signori non mi hanno nemmeno detto che parentela c’è tra voi. Abitiamo nello stesso palazzo, ma non è che abbiamo molta confidenza!- Il vecchio ora era anche deluso: aveva sperato che quel giovane fosse qualcosa di più di un amico occasionale: -Il mio nipotino fa di cognome Pastore, - Marte trasalì, aveva già udito quel nome. -ed è il figlio di mia figlia… la signora Franci è anche mia figlia...- Marte ragionava vertiginosamente: Pastore era il nome dei
coniugi al funerale, ma aveva la netta sensazione di averlo sentito anche in precedenza. Il vecchio intanto continuava, cantilenante: -Il mio nipotino è in ferie… Non ricordo dove…- Perbacco, il giornale del giorno prima, il bambino rapito durante le ferie all’Argentario! -...Oh, sì, è all’Argentario e sta benissimo!- Mentì di nuovo il giovane e così bene da meravigliare se stesso. Ma era una bugia a fin di bene ed il vecchio sorrise felice -Chiederò all’infermiera di comprargli una cioccolata per Natale!- Disse serenamente, toccandosi la tasca dove aveva riposto i soldi. -Vi vedrete per Natale?Insistette Marte. -Oh sì, mi vengono a prendere e mi portano alla casa della Borgatella… sapete, quella dopo l’incrocio con la provinciale, dopo il ponte. Mia figlia e suo marito vanno sempre lì quando non lavorano; per Natale è così bello...-E chi la tiene in ordine durante l’anno?- Incalzò Marte. -Oh, è Rodolfo, il cantoniere, quello della casa cantoniera prima della Borgatella: è lui che pensa a tutto, al prato, alle pulizie...Il vecchio fece due i e si abbandonò distrattamente su una sedia, con la mente ormai rivolta al Natale: viveva ormai forse per quei pochi giorni all’anno che non avrebbe più avuto! Marte provò un senso di colpa per averne approfittato così facilmente del povero vecchio! Poveretti, com’ era triste la vecchiaia da soli! Uscì quasi di corsa, dimenticando per un momento l’importanza di ciò che aveva saputo. Fuori era buio pesto e la nebbiolina fitta che bagnava i vetri della auto gli consigliò di guidare verso casa con cautela. Ma presto cominciò a rimuginare sugli elementi ottenuti ed il risultato fu una guida svagata, un gatto mancato per un pelo sulle “zebre” (con grande disappunto di Leone) e l’imbocco di un vicolo chiuso che portava ad un cimitero. Marte toccò ferro, cosa ancora possibile in un vecchio catorcio come il suo, manovrò, e, dopo alterne vicende, visto il traffico di quell’ora, riuscì a parcheggiare sotto casa! L’indomani di buonora ripartì con direzione Borgatella ed il rifornimento fatto a metà strada gli fece comprendere quanto gli potesse costare il giocare al detective. Ebbe fortuna, perchè trovò il cantoniere nel suo orticello intento a diradar cipolle; un tempo anche lui aveva respirato quegli odori! Ora però la cosa lo fece starnutire! Ciò nonostante si ripropose di chiederne un paio per il pranzo del giorno dopo... Non fu difficile familiarizzare con l’uomo, che di abbondante aveva la serena affabilità
tipica delle persone anziane di campagna. Marte lo ammirò: “Ecco gente che sa vivere, non come noi, nevrotici permanenti, presi da corse continue tra impegni vecchi e nuovi.. Fu altrettanto facile convincere l’uomo ad accompagnarlo in visita alla casetta dei Franci, adducendo la scusa di aver già contattato gli eredi per l’acquisto. Dopo averlo tranquillizzato a proposito di Leone, ormai di casa sul sedile posteriore, salirono insieme in auto. Giunsero alla villetta in meno di cinque minuti, durante i quali il cantoniere non perse di vista il cane, la mano stretta alla serratura dello sportello. La casa era appartata, su una laterale non asfaltata; denunciava non più di vent’anni, parzialmente grezza, coi pochi intonaci fuori posto, ma sicuramente solida. Al piano terra vi erano garage, cantina e sala termica, con a sud un piccolo portichetto; al piano superiore, salone, con a fianco cucina all’americana, bagno e camera. Vi si accedeva da una scala a chiocciola in legno che partiva da una rientranza del portichetto. Fecero il giro della casa e Marte si fece molto critico, come un autentico compratore. Trovò scadente la manutenzione degli esterni, un paio di macchie di umidità all’interno, il bagno da rimettere a nuovo, come pure gran parte dei serramenti, i pavimenti da levigare ed un non facile accesso al solaio. Il cantoniere fungeva automaticamente da controparte e rimase senza risposta quando l’improvvisato compratore gli menzionò l’impossibilità di allacciamento al ”metano città”, al telefono ed all’ acquedotto, visto che l’acqua del pozzo dietro casa non poteva dare garanzie antinquinamento in un futuro più o meno prossimo, dato che in zona si era iniziato a costruire. Quando salirono di nuovo in auto, Marte, conscio di aver messo l’uomo in difficoltà, tirò il colpo conclusivo: -Tutto sommato devo dire che il posto non mi dispiace, anche se non al prezzo che mi hanno anticipato gli eredi dei Franci ed a patto che lei continui ad occuparsene anche quando mia moglie ed io saremo in città..- Il cantoniere assentì immediatamente e Marte continuò: -Mi dispiace che mia moglie non abbia potuto accompagnarmi… benedetta donna, col negozio non ha orari, sa, fa la parrucchiera! Non è che riando casualmente lei mi possa lasciare le chiavi?... Giusto una mezz’oretta, sa com’è.. contente le mogli...- E rise; l’altro lo imitò di gusto: Lo dica a me che ho più anni di lei! Sa, sono sposato da trentacinque e abbiamo festeggiato le nozze d’argento l’altro mese!.. Accidenti, non è che abbia preso male, ma... che vuole... bisogna lasciarle dire... e poi noi uomini il nome l’abbiamo scritto fuori dalla porta di casa, mica dentro!- Questa
volta Marte rise di gusto, non per la vecchia battuta, ma perchè sollevato da quella tacita conferma. Riportato l’uomo a casa, corse a telefonare (accidenti s’era scordato di chiedergli le cipolle), desideroso solamente di procurarsi una moglie per quella sera. ( E non per scopi erotici, branco di maligni!) Telefonò al circolo del tennis, dove aveva dato lezione, fino a quando gli impegni glielo avevano permesso, e si fece dare il numero di casa di Nadia, la sua ultima allieva. Era un tipo estroverso e disponibile, oltre che un bel pezzo di figliola e, se dovette richiamare ben tre volte prima di trovarla, faticò molto meno a convincerla ad aiutarlo. Per contro quella sera, mentre andavano alla casa cantoniera, dovette spiegarle ogni dettaglio di quella indagine. Il cantoniere fu ben felice di consegnare le chiavi della villetta a quella bella signora, ma i due, eccitati dall’avventura, dovettero mordere il freno e sorbirsi due buoni bicchieri di bianco secco frizzante. Quando arrivarono alla villetta erano più allegri, ma meno lucidi di quello che servirebbe per una indagine. Tuttavia Marte fu un organizzatore perfetto: lasciò innanzitutto Leone libero di innaffiare ogni cosa verticale dei dintorni, poi chiese a Nadia di cercare nelle camere, in bagno ed in cucina, dove una donna si muove più a suo agio. Lui cercò prima in tinello, poi dabbasso. Alla fine non avevano trovato nulla di interessante, se non un soprammobile ed un paio di ninnoli di taglio orientale. Quando stavano per arrendersi, Nadia notò una cosa strana: Cosa sene fanno di un elenco telefonico in una casa senza telefono?- E lo sfilò di tra gli altri libri del mobile. Marte glie lo levò di mano speranzoso: Fa vedere!- Dapprima non trovò niente di strano; allora prese a sfogliarlo pagina per pagina: a metà elenco, fissato con nastro adesivo un foglietto con su scritto: “Chios-Antrakis 173 Niegos S. IZMIR... “ seguiva una strana sigla fatta di lettere orientali ed un numero.. 714. -Conosci qualcuno che sappia tradurlo?- Chiese alla ragazza. -Forse un mio ex professore dell’università: insegnava russo, ma questo mi sembra più Pakistano, o Arabo... Però IZMIR non mi è nuovo...- Cercò di ricordare, poi allargò le braccia sconsolata; Marte staccò il foglietto, lo ripose con cura in tasca e sostò pensieroso. Una strana, quasi irrazionale idea, cominciò a frullargli in testa: due persone, apparentemente senza occupazione, ma con un buon tenore li vita (solo il cane si mangiava metà del suo stipendio!), spesso in viaggio e con indirizzi orientali nascosti in un elenco inutile, rimangono uccise in un misterioso incidente stradale.... Ameno che... Ma, se fosse stato così, come avevano fatto col fiuto del cane?... Il pozzo! Scese di corsa, prese la torcia elettrica dall’auto e corse al pozzo seguito dalla
ragazza, mentre Leone, imperterrito, faceva l’inventario a ritroso per assicurarsi di non aver dimenticato nulla. L’imbocco del vecchio pozzo era per metà coperto: l’altra metà serviva per la salita e la discesa del secchio, mosso da una catena che scorreva su una carrucola arrugginita che pendeva dal trave del tetto. -Fammi luce!- Chiese Marte porgendo la torcia a Nadia. Tolse il profilato di ferro da rotaia, liberando così le assi che coprivano parzialmente l’imbocco e, nonostante la scarsa illuminazione, vide: una corda pendeva da un chiodo arrugginito e scendeva fin nell’ acqua. L’uomo la tirò con foga, ansimando, ed apparve un contenitore impermeabile. Due cinghie di gomma ne garantivano la chiusura; gli ci volle qualche minuto per scioglierle a causa del tremito nervoso che gli era preso alle mani. Quando rovesciò il coperchio sul prato, ebbe la conferma dei suoi sospetti: all’interno sei bustine sigillate contenevano una fine polvere bianca. -Mio Dio!- Esclamò Nadia, facendo cadere la torcia. Marte ne aprì uno con aria da intenditore e ne annusò il contenuto. Ricordò di avere in auto il tubetto vuoto di un rullino fotografico: corse a prenderlo, lo riempì parzialmente di polvere bianca e lo infilò in tasca. Dopodichè richiuse la valigia, la calò al suo posto nel pozzo e ricoprì con le assi. -Abbiamo trovato quello che cercavamo! Ora filiamo e non farne parola con nessuno!- Dopo aver riportato le chiavi al cantoniere, ottenne dall’impaurita ragazza di seguirlo in casa; doveva tranquillizzarla e studiare la situazione. Leone era pure parecchio agitato e continuò ad annusarlo anche dopo che ebbe nascosto il tubetto con la droga sopra il coperchio dello sciacquone, in bagno. -Ora ascoltami bene, Nadia! Ti avevo chiesto di aiutarmi perchè non avevo idea di cosa ci fosse dietro questa storia: ora però voglio che tu ne rimanga fuori, tanto più che l’unico ad averti vista è il cantoniere, che non ha idea di chi tu sia realmente! L’unico favore che ti chiedo è di farti tradurre quel benedetto indirizzo, ostrogoto o arabo che sia! Lo metterai in una busta chiusa, indirizzata a me, e lo lascerai nella buca delle lettere del circolo... Non provare di rivedermi finché questa storia non sarà conclusa!- -Va bene,Rispose lei: -ma tu che farai?- -Per prima cosa, appena avrò il tuo biglietto, scriverò all’ambasciata della nazione in indirizzo per avere notizie esatte; poi andrò alla polizia, ammesso che abbia messo assieme abbastanza elementi per convincerli ad aprire un’indagine...-Non sarebbe meglio andarci subito?- Obiettò preoccupata Nadia. -Ormai non fa più notizia né un po’ di droga, né due morti accidentali, né un paio di viaggi in medio oriente! Penso che la polizia abbia bisogno di qualcosa di
più consistente... Comunque pensa a tradurmi il biglietto, poi dimenticati di tutto! Mi dispiace di averti implicato in questa storia, ma non è troppo tardi perché ne resti fuori! Vieni ora, ti accompagno a casa!- Lasciò il cane a caracollare nervosamente per casa, l’aiutò a mettersi il soprabito, quindi l’accompagnò all’auto tenendola per mano: avrebbe desiderato che lei restasse, ma non in quell’occasione, e poi chissà se lei ci stava! Non vide l’Ida che lo salutava, riparata nella guardiola.
4°parte Foto di gruppo
Il pomeriggio seguente Marte andò al circolo del tennis, dove l’anziano custode sembrava non aspettasse altro che lui per consegnargli una busta chiusa: “Al signor Marte Trevi”, c’era scritto sopra con chiara calligrafia femminile. -Ma i divorziati non dovrebbero godere degli stessi diritti degli scapoli?- Rise il custode, alludendo al fatto che ormai Marte avrebbe potuto farsele spedire a casa le lettere femminili. -Antiche abitudini, caro Enzo! Il giorno che le perdi, l’unica possibilità che ti resta è fare il custode al circolo del tennis!- Risero entrambi della battuta e si salutarono con un cenno. Appena in auto Marte lesse il contenuto: “IZMIR=SMIRNE (Turchia), seguivano nome ed indirizzo. L’uomo sorrise pensando alla facile traduzione di “IZMIR”, quindi prese carta e biro, preparata sul cruscotto ed iniziò a scrivere. Poco dopo si fermò al bar centrale del paese, l’unico ad avere il telefono con conta-scatti, anziché a gettone e, dopo aver fatto il 184 per ben tre volte, riuscì ad avere l’indirizzo dell’ambasciata turca. Ormai non poteva che attendere il mattino seguente per spedire la raccomandata, per cui non gli rimase, visto che nulla riusciva più a distrarlo dall’euforia di quella indagine, che tornarsene a casa, appendersi al guinzaglio di Leone e farsi trascinare a so per il parco. I tre giorni seguenti li ò in casa e, nell’attesa di una risposta dai Turchi, vi smaltì solo in parte il raffreddore procuratogli dalla fredda e penetrante nebbia di quel tardo pomeriggio. Leone, dal canto suo, fiducioso che il padrone gli riempisse stoicamente la ciotola per l’ennesima volta, se la sò un mondo, accucciato al caldo davanti alla TV, ad ammirare felicemente lo sfortunate gesta di gatto Silvestro. Il quarto giorno arrivò la raccomandata tanto attesa, ma non portò buone nuove; il testo diceva: “La ringraziamo per il suo zelo nel segnalare contatti di suoi connazionali con esponenti della malavita Turca e Greca. I suoi sospetti, probabilmente fondati per quello che ci è dato sapere, sono stati trasmessi alla nostra polizia, che assieme a quella Ellenica sta procedendo
alle indagini. Ulteriori sviluppi verranno prontamente comunicati alla polizia del suo paese, presso la quale la inviteremmo a rivolgersi per eventuali ulteriori sue segnalazioni. Grati del suo prezioso aiuto, la salutiamo distintamente” Seguiva la firma del segretario dell’ambasciata Turca, timbri vari, etc… Doveva aspettarselo! Aveva preteso di fare le veci perfino dell’Interpol ed ora si era meritato una bella tirata d’orecchi dal signor “mamma, li Turchi!” con l’invito di andare a rompere alla polizia italiana, che loro non avevano tempo da perdere! Ma per Marte era come ammettere il fallimento; invece lui alla polizia voleva andarci con elementi ben precisi. Uscì sbattendo la porta ed iniziò indagini per conto proprio. Alla fine della giornata aveva fatto il terzo grado all’Ida, ad una giovane e carina baby-sitter incrociata al supermercato della via centrale, dove sapeva benissimo che i coniugi Franci non andavano mai, ed un paio di ragazzi punk, prontamente offertisi come acquirenti del suo ex tubetto fotografico, ed alla anziana e grassa postina, che per poco non riuscì a riportarlo ad un rigoroso “cristianesimo osservante”. Dell’incontro con il venditore ambulante di materassi meglio non parlarne, visto che aveva perfino rischiato di buscarle! Finì la giornata al bar senza alcuna novità, se non la gastrite in subbuglio che gli rimbalzava in un acuto mal di testa ad ogni battito cardiaco. Si consolò al terzo brandy, pensando che in fondo era sempre stata dura anche per il suo”collega Philip Marlowe.” Disdegnando gli amici , che stavano festeggiando un Leone un po’ più socializzato, si diede un tono sfogliando il giornale del giorno prima: “Folle uccide la moglie e i due figli, poi tenta di togliersi la vita...” più sotto: “Grave incidente sull’Autosole: tre morti...” Questo era il tenore della cronaca: alla fine delle due facciate Marte contò 12 vittime, 15 feriti ed un numero non ben precisato di tentati omicidi da perpetrare l’indomani, avvalendosi delle indicazioni estremamente precise (…o presunte tali) degli articolisti. Tutto sommato la notizia meno brutta era la scarcerazione del mafioso di cui aveva letto qualche giorno prima, assolto al processo, non era chiaro, per mancanza di prove, o per decorrenza dei termini! La cosa non lo sollevò di molto; uno degli amici, mal sopportato da Leone, lo interpellò improvvisamente: -Ehi Marte, scommetto che nemmeno tu riesci ancora a togliere il collare a questa belva!- Marte restò pensieroso, cercando di mettere a fuoco cosa gli avesse fatto scattare nel cervello quella frase scherzosa... Alzò il bicchiere davanti agli occhi e nella dorata trasparenza del liquido cominciò ad avanzare e prendere corpo una speranza. Balzò dalla sedia, allungando cinquemila lire al barista, poi, dimenticando il resto,
salutò frettolosamente gli stupefatti amici e si portò via Leone. Appena in casa si inginocchiò davanti al cane e gli slacciò il collare; poi si portò sotto la lampada per avere più luce possibile: “Ma certo, il collare, quel prezioso collare che la signora Franci avrebbe voluto portare con sé quando gli avevano affidato il cane!” Lo rigirò e vide: sul lato interno il cuoio era tagliato a metà e fermato solo con nastro isolante da pacchi. Strappò il nastro, alzò il cuoio evi trovò un piccolo, sottilissimo involucro di plastica trasparente, sigillato con adesivo. Aprì ed il contenuto gli scivolò in mano! Anche se così com’ era non poteva svelargli alcun segreto, Mare toccò il cielo con un dito: sul negativo spiccavano chiaramente un’auto con due persone vicino ad un ponte, o qualcosa di molto simile. La prospettiva appariva già alterata: probabilmente, visto che il negativo era un 24x36, la foto era stata eseguita con una reflex dotata di teleobiettivo. Marte si congratulò con se stesso: questa volta aveva avuto un’intuizione degna di Nero Wolf! Riavvolse il negativo nella plastica e lo posò delicatamente nella tasca interna della giacca; rimise il collare a Leone e scesero di nuovo. Dopo quaranta minuti di strade sbagliate, causa i ricordi ormai svaniti nel tempo, di richieste di informazioni e di consultazioni di elenchi telefonici, giunse alla casa colonica del vecchio amico fotoamatore. Avevano seguito un corso fotografico assieme solamente ventidue anni prima, dal quale Marte aveva imparato tanto da decidere per un altro mestiere. L’amico Dante invece era diventato un esperto; negli ultimi anni era stato talmente ricercato da non avere più tempo per i soliti servizi matrimoniali. I loro incontri si erano fatto da allora casuali, ma entrambi sapevano dell’attività dell’altro e si stimavano a vicenda. Fu proprio Dante ad affacciarsi alla porta di casa, più preoccupato dei “ruggiti” della famigliare di Marte che dall’arrivo di un ospite inatteso: Salve, Marte!..- Lo accolse cordialmente: -.. credevo proprio di poter fare un servizio sugli UFO stavolta, invece é solo la tua fida carretta!- Perse la parola vedendo Leone che si avvicinava annusando l’aria, ma il cane si mise subito tranquillo quando vide i due stringersi la mano. -E quello dove l’hai trovato?- Chiese più sollevato il fotografo. -Era proprio di lui che volevo parlarti!- Rise Marte: -Lo psichiatra dice che soffre di narcisismo e l’unica cura utile è fargli un servizio fotografico tutto suo!- Dante si fece una grossa risata e lo invitò in casa. Marte spiegò che aveva bisogno di sviluppare immediatamente un negativo e l’amico non fece
alcuna obiezione, solo una condizione: -Nel tempo che servirà al bagno di fissaggio ti farò sentire l’ultimo prodotto della mia vigna!- Mezz’ ora dopo, a furia di chiacchiere e brindisi, Marte aveva mescolato un mezzo di bianco corposo ai brandy bevuti al bar ed era più allegro di un topo nella farina. Ma quando Dante si presentò con la foto ancora umida e glie la porse, non faticò a balzare dalla sedia. La foto era estremamente chiara: sullo sfondo vi era un ponte in pietra che probabilmente portava una ferrovia; sotto vi ava una strada sterrata, di fianco alla quale era ferma una Volvo 760 e più in là si intravedeva il posteriore di un’altra vettura, probabilmente una Mercedes. Due uomini sostavano vicino alla Volvo con atteggiamento circospetto: uno di loro, quello col vestito chiaro era Marotta, il mafioso assolto al processo di quei giorni. A Dante quella foto invece non diceva proprio nulla, per cui Marte lo salutò senza apprensioni. Rifacendo a ritroso la strada di campagna verso casa, tentò di mettere ordine tra gli elementi che si ritrovava per le mani: i Franci avevano fotografato il mafioso assieme ad un personaggio sconosciuto in una località appartata, poi avevano nascosto il negativo nel collare del cane. Tutto questo prima, o dopo aver prelevato alcuna dosi di droga in Turchia ed averle nascoste nel proprio pozzo... inoltre qualcuno aveva perquisito il loro appartamento, cercando di farlo saltare in aria. Non essendoci riusciti li avevano uccisi, altro che incidente stradale! Quella foto dunque era importantissima: chi era il secondo personaggio? Cambiò improvvisamente direzione: non si andava più a casa, ma al “Carlino”. Fermò l’auto nel parcheggio del giornale riservato agli ospiti, vi lasciò Leone a mo’ di antifurto, prese l’agenda e si avviò, speranzoso, a piedi. In portineria spiegò che desiderava consultare la cronaca dell’anno in corso; lo accompagnarono in una saletta attigua, gli spiegarono com’ erano archiviate le copie dei giornali, mese per mese, e lo lasciarono alla sua ricerca. Due ore gli ci vollero per sfogliare tutto, nella speranza che il personaggio della foto fosse anch’ egli apparso sui giornali; alla fine aveva gli occhi fuori dalle orbite e la testa che gli girava al punto che non avrebbe riconosciuto neppure sua madre. “Già, ma tua madre lo sa come perdi il tempo, anziché andarla a trovare?” Scosse la testa senza rispondersi, salutò e poi a casa. Vi giunse all’una e si infilò a letto senza neppure lavarsi i denti, affogando l’avvilimento nella filosofia discografica: “Domani è un altro giorno, si vedrà!”
Più che un altro giorno l’indomani fu ”un altro di quei giorni”... Dopo aver vagato per biblioteche e librerie, essersi rivolto a varie associazioni con gli alibi più impensati ed aver interrogato anche un barbiere (secondo il vecchio detto che “se non sai qualcosa chiedilo a figaro”), Marte riportò a casa i piedi gonfi, senza aver aggiunto un solo elemento alle proprie indagini. Anzi, uno in verità c’era: era un foglietto verde, infilato fra tergi e parabrezza della sua “famigliare”, sul quale un buontempone di vigile ricordava al signor Trevi di essere debitore al comune di £.12000 per “ parcheggio non regolamentare”. Considerando i fatti, e cioè che riusciva a collezionare multe nonostante la sua meticolosità (e nonostante ciò che si vedeva in giro) Marte pensò che l’unica salvezza fosse la vecchia bici di suo padre, abbastanza robusta ed anonima da superare qualsiasi “lavori in corso” e senza targa, così da sfuggire agli avvistamenti dei vigili. Quando poi rientrò in casa, dove aveva lasciato Leone rinchiuso per tutto il giorno, lo ritrovò scatenato e bisognoso di spazio ed amicizia più del pane. L’uomo dette un po’ di tutto al cane e finì per dimenticare le sue pene. E fu forse questo che gli diede la lucidità necessaria a partorire una idea un po’ stupida e un po’ geniale: “Chissà, e se quel maledetto fosse così idiota da caderci?” Si infilò un paio di scarpe da ginnastica, e la solita, ma comoda, giacca a vento, dopo di ché si provò ad uscire di casa lasciando di nuovo il cane solo. Dovette rinunciarvi: i guaiti disperati della bestia rischiavano di coalizzargli contro tutto il condominio! Marte dovette farlo uscire e manovrare di buona lena con l’Ida perchè glie lo tenesse per qualche ora, ed il tutto senza scucirle un soldo... stava diventando bravo! Salendo in auto si rammentò della serratura della quinta porta bloccata e del fatto che si era ripromesso di aggiustarla durante le ferie: al diavolo, doveva pur capire cosa gli stesse succedendo attorno, altrimenti cosa li aveva letti a fare tutti quei racconti di George Simemon? Uscì dal paese e prese la strada per la ”boscosa”. Sapeva bene dove l”onorato Marotta” era stato confinato... E pensare che aveva ascoltato con le proprie orecchie la gente della località contadina lamentarsi per avere tra loro un tal personaggio!.. “Possibile che la legge, così severa col cittadino onesto che dimentica di pagare il canone TV, non solo sia disarmata contro i delinquenti, ma addirittura pretenda di inserire la mela marcia nel tessuto sociale sano...” Pronunciò il concetto a voce alta, imboccando con rabbia l’ultimo tratto di strada che correva parallelo al canale. Tre chilometri più avanti rallentò decisamente: alla sua destra, a circa settanta metri dalla strada, si distinguevano le luci della casa del capomafia.
5°parte Trappola per topi
Marte proseguì lentamente, superandola per più di un chilometro, quindi manovrò per tornare sul percorso già fatto, in modo da avere le costruzioni proprio dal suo lato di guida. Sembrava tutto tranquillo: davanti a casa un’auto bianca, pareva una Mercedes, denunciava la presenza di qualcuno all’ interno. Un paio di chilometri più avanti, vicino alla chiesa, c’era la cabina telefonica. Parcheggiò l’auto in modo da nasconderla il più possibile alla vista di altre macchine in arrivo, si infilò i gettoni nella tasca più comoda ed il fazzoletto in mano e scese. Entrò deciso nella cabina, richiuse la porta e , dopo aver ricontrollato che non vi fosse anima viva nella campagna circostante, trovò il numero sull’elenco e lo compose. Dovette rifarlo tre volte perchè qualcuno sollevasse il ricevitore e dicesse: “Pronto!” Era una voce dura, maschile, dominata da un accento meridionale che denotava abitudine al comando. -Il Don?- Sussurrò Marte, coprendo il ricevitore col fazzoletto. -Sono io !- Rispose l’altro con sicurezza. Il tono ora importante: Marte inghiottì per vincere il nervosismo e continuò: -Ricordate il ponte?- E senza attendere risposta, sussurrò le parole attraverso il fazzoletto, sperando che l’altro fosse più costretto ad indovinare che a capire: -Sono io! Ho bisogno di vedervi subito! A casa mia fra un’ora... Non richiamate, sono in un posto pubblico! Temo che il mio telefono sia sotto controllo!- L’altro sbuffò; stava pensando -Ma non sarebbe meglio in un…- Tentò di contraddirlo. -No!-. Ribadì secco Marte: .-E’ cosa grave, c’è il capo quì!- E senza attendere risposta, convinto d’aver già messo abbastanza pepe, Riattaccò. Respirò a fondo varie volte per calmarsi, controllò di non dimenticare nulla, riportò in macchina la gastrite eritornò indietro velocemente. Quando riò davanti alla fattoria, la Mercedes bianca era ancora là, ma la lampada esterna della casa era accesa. Proseguì per circa duecento metri e ci fermò su un sentiero sterrato che si immetteva nella strada. Di lì,
seguendo i fari, poteva scorgere la macchina uscire dalla fattoria senza essere visto; se poi fosse venuta da quella parte, sarebbe bastato non farsi trovare dai fari in posizione verticale, per essere scambiato per una delle tante coppiette in cerca di intimità. Trascorsero un paio di minuti eterni, poi un fascio di luci solcò il buio, muovendosi verso la provinciale; l’auto la imboccò, girò a sinistra e si allontanò velocemente. Marte accese il motore con la marcia già inserita e partì deciso, sperando che per una volta la “vecchia carretta” gli perdonasse le maniere brusche. Non accese i fari, non voleva essere avvistato: tanto più che conosceva quella strada buia meglio dei suoi computers. Quante volte vi era transitato in bici da bambino, prima che il vecchio nonno morisse e l’antica fattoria (tre Km. più fuori) diventasse un rudere abbandonato. Nonostante l’azione ebbe un attimo di malinconia: pensò che tutto il ”progresso” di quegli anni non era servito ad altro che allontanarlo sempre più dagli unici luoghi in cui era stato felice. Attenzione! Le luci della Mercedes girarono a destra, lontane, dirigendosi verso il paese: doveva avvicinarsi, prima che si confondessero col traffico locale. Pigiò sull’acceleratore per prendere (con circa un minuto di ritardo, quasi un giro per Prost!...) la curva su due ruote: “Semel in anno licet insavire!” Così dicevano i latini, no? Marte sorrise, godendo di quella manovra e del motore che cantava intonato. Attese l’ultima semicurva prima del paese ed accese i fari nell’ attimo in cui i platani del viale lo nascondevano ad un eventuale controllo dei “compari” La Mercedes continuò verso il centro, quindi , dopo aver preso una laterale a sinistra, girò alla prima a destra, poi ancora a sinistra, imboccando una via a senso unico. Marte si aspettava qualcosa del genere: volevano garantirsi di non essere inseguiti! Continuò per un isolato, girò a sinistra nella “parallela”, poi ancora a sinistra per attraversare la strada presa dalla Mercedes. Anche questa aveva sicuramente girato a sinistra dopo un isolato, cosicché ora non gli restava che accelerare per raggiungerla di nuovo. Ma l’imprevisto era dietro l’angolo: l’auto bianca prese per un vicolo cieco, chiuso in fondo da un portico ad archi che non era altro che il proseguimento naturale del vecchio convento, ora usato come ospizio. Arrivata in fondo frenò con decisione, abbordò il basso gradino del portico, attraversò uno degli archi e sfociò nella piazzetta adiacente. Marte frenò bruscamente all’altezza dell’ultima traversa prima del portico ed imprecò a denti stretti: se avesse attraversato anch’egli il portico sarebbe stato notato dal “Don”; se non l’avesse fatto l’avrebbe perduto. Si impose la calma e pensò ad una soluzione: uscire da quella parte significava, a rigor di logica,
non doversi fermare in paese. Considerando che erano venuti da Est e dovendo escludere dalla scelta la strada in uscita verso Nord, perchè gli avrebbe garantito stradine con minori probabilità di seminare eventuali inseguitori, doveva pensare che il mafioso era diretto alla Sud, o alla Ovest… Ritornando velocemente sui propri i aveva la possibilità di controllare la “Sud” prima dell’arrivo della Mercedes bianca. Calcolando che questa poteva tardare al massimo mezzo minuto, avrebbe atteso qui un intero minuto; se entro quel tempo non fosse arrivata, avrebbe preso la strada della stazione ferroviaria, che, dopo circa due km., attraversava il ponte sul fiume e si immetteva sulla Ovest. Considerato che, se l’amico Marotta avesse optato per questa, avrebbe dovuto fare un percorso ben più lungo per arrivare a quell’incrocio, lui avrebbe avuto tutto il tempo per recuperare il tempo perduto. Sperò di averla pensata giusta; innestò la prima e girò a destra, accelerando per quel che gli consentiva un motore da 150.000 Km., evitò per un soffio un paio di accidenti” inviati da un distratto aspirante suicida che aveva scelto il momento sbagliato per uscire casa, continuò per tre isolati senza rispettare un paio di STOP e girò ancora a destra, imboccando il viale, nella speranza di trovarsi davanti il semaforo verde. E fu così che il “maledetto giallo”, che l’aveva atteso al varco con ostinata perspicacia fin dal primo avvento del semaforo, pensò bene di scioperare; Marte sfrecciò veloce sul “pavè”, girò a sinistra fregandosene delle precedenze e rallentò solo in vista della immissione nella statale. Parcheggiò sotto il viale senza spegnere il motore. Meticolosamente alzò il polso con l’orologio, mettendolo vicino allo specchietto retrovisore, in modo da controllate sia il trascorrere dei secondi, che chi gli giungesse alle spalle. Per sicurezza lasciò trascorrere un minuto e dieci secondi senza veder transitare la Mercedes bianca. Una sola speranza ormai gli rimaneva; innestò la marcia, avanzò direttamente sotto il viale per evitare di dover attendere il transito di una utilitaria proveniente dal paese e girò a destra per 1a stradina della stazione. Superò anche questa e si lanciò fuori paese, nel buio rotto solo dalla luce dei suoi fari. Quando, più avanti, Attraversò il ponte sul fiume, un leggero vapore iniziò a riflettere la luce degli abbaglianti: maledizione, la nebbia! E quando mai non c’era nebbia in quella zona? Optò per gli anabbaglianti, ma non rallentò l’andatura; due minuti più tardi giungeva allo STOP che immetteva nella provinciale in uscita OVEST dal paese. Non aveva nessuno alle spalle, quindi poteva attendere, fermo sull’incrocio l’arrivo della Mercedes. Accese il fanale rosso posteriore (con la nebbia non si scherza, meglio farsi vedere!) e cominciò a rimuginare i primi dubbi: e se quelli fossero veramente ritornati sui loro
i? ò un lungo minuto senza vedere anima viva... O se avessero avuto appuntamento sulla prima parte del viale Sud, che egli aveva trascurato?... C’era anche la possibilità che l’interlocutore del mafioso abitasse lungo la Ovest, prima del crocevia dove stava aspettando... anzi, non aveva considerato la via che portava alla “Pieve”, dove erano stati confinati un paio di altri “meridionali” in soggiorno obbligato! E se poi, durante la corsa in auto, avessero subodorato la trappola? Gli si cominciava a seccare la lingua: tanto lavoro per niente, senza un solo elemento in più! Controllò l’orologio; due fari rotondi si facevano strada nella nebbia alla sua destra... Un minuto e mezzo… Era quella l’ultima speranza!... La Mercedes bianca entrò nel suo raggio visivo per allontanarsi rapidamente nella nebbia; dietro però aveva anch’essa, ben visibile, il faro rosso . Marte sgommò per non perderlo di vista, conscio di poterlo scorgere ancora da una distanza tale da non essere notato. Fu tutto facile, tanto più che il mafioso guidava tranquillo, ormai convinto di non avere inseguitori. Si immisero nella statale dopo una decina di Km. e girarono verso la città; giunti ai primi palazzi della periferia, la Mercedes annunciò con tanto di freccia regolamentare di voler fermarsi a destra! Marte proseguì con calma, osservandola dallo specchietto retrovisore. La vide entrare nel cortile di un grosso condominio. Frenò, parcheggiò sul marciapiedi, strappò le chiavi dal cruscotto o balzò a terra, temendo di perdere troppo tempo. In pochi secondi era nel cortile del palazzo adiacente ad osservare le mosse dei suoi “amici”. Erano in tre, autista, “cane da guardia” e “Don”; superarono la prima scala per fermarsi alla seconda. Il “cane da guardia “ premette ripetutamente quello che gli parve il penultimo pulsante in alto: pochi secondi e sentì il “tiro” alla porta, che permise ai tre di scomparire rapidamente sulle scale, mentre la molla “Mab” richiudeva alle loro spalle. Marte uscì dall’ombra per correre in quella direzione; bisognava trovare una scusa per farsi aprire da qualcuno. Dopo aver superato la prima scala senza averne inventato una scusa plausibile, data l’ora, notò la discesa dei garages: sperò che qualcuno non avesse richiuso la porta che dalle autorimesse da’ all’interno del palazzo, come succede poco urbanamente nella maggior parte dei condomini. Gli andò bene, e dopo pochi secondi sbucò all’interno, proprio davanti alla porta dell’ascensore che si stava fermando in quel momento all’ultimo piano. Marte lo richiamò spingendo il bottone (non quello della giacca!), vi si accomodò all’interno e spinse il pulsante numero 8, corrispondente al penultimo piano. Quando l’ascensore si fermò, scese, tese l’orecchio nel
buio, nell’attesa che gli occhi vi si abituassero e, evitando perfino di cercare l’interruttore delle “luci scala”, salì silenziosamente all’ultimo piano: teneva comunque con se la piccola torcia elettrica che, in caso di bisogno, gli avrebbe permesso comunque una fuga non alla cieca. Arrivato al pianerottolo , si avvicinò alla prima porta: all’interno si distingueva la voce di uno speaker televisivo, poi echeggiò improvviso il grido... Il fanciullo doveva essere caduto, o comunque essersi procurato qualche piccolo infortunio; seguirono altri strilli, poi una voce di donna preoccupata, forse la madre e infine quella di un padre scocciato che, a casa stanco, dopo una giornata faticosa, non può ascoltare il telegiornale, causa un figlio disastroso e “rompiglioni”. Marte sorrise e cambiò porta: all’interno una radio col volume troppo alto e mal sintonizzata lo insospettì. Appoggiò l’orecchio alla porta: la musica diventò ancor più stridula, ma, anche se non distingueva le parole, sentì benissimo un sottofondo di voci basse e nervose che si rampognavano aspramente: una aveva una cadenza meridionale.. Era senza altro la porta giusta! Marte estrasse la piccola torcia elettrica e cercò il camlo, ma prima ancora, vide luccicare la targa d’ottone sulla porta: “STUDIO LEGALE Avv. CUCCIANI”. Spense la torcia di riflesso pensieroso: “Ma cosa diavolo stava scoprendo? Prima un mafioso... e i, ma un principe del foro poi!” Non sapeva chi fosse l’avvocato, ma l’intreccio cominciava a non piacergli. Riaccese la torcia e rilesse la targa per sincerarsi di non aver preso un abbaglio, ma la scritta era sempre lì, lo guardava austera ed infingarda. Un rumore di sedia trascinata sul pavimento superò la musica per un attimo. Poteva essere un segnale di pericolo; Marte girò la torcia verso le scale e scattò silenziosamente, discendendo i gradini a due a due in punta di piedi. Dietro però non successe nulla; nessuno aprì la porta, o accese le “luci scala”. Ai piedi del neo-investigatore però veleggiavano le ali della fifa; scatenate, lo portarono prima all’aperto e poi sull’auto, che per poco non si ingolfò all’accensione, prima volta in dieci anni, dispettosamente ostile ai modi bruschi del padrone. Ma a Marte sembrava dì avere dieci occhi puntati addosso nell’ombra. Puntò sulla prima laterale per girare indietro sulla statale, strada talmente frequentata da dargli l’impressione di potersi celare nella moltitudine. Ma la moltitudine sembrava piena di Mercedes bianche! Quando arrivò a casa, per chiudersi nel suo appartamento, era madido di sudore nonostante il freddo. Avrebbe sudato ancora di più se avesse udito l’epilogo del dialogo nell’ appartamento prima spiato: l’avvocato era furente col mafioso che aveva di
fronte, abbandonato da autista e gorilla che si erano rifugiati in un angolo della stanza: -Ho telefonato al capo che mi ha appena assicurato l’attuale disinteresse della polizia per noi. Chi l’ha raggirata così bene, signor Marotta, deve essere un detective privato, oppure un buon dilettante...Il mafioso si sentiva in colpa, per cui azzardò: -Forse chi tiene le indagini sul ragazzo... -No!..- Lo interruppe l’avvocato: Da quella parte abbiamo le nostre protezioni... e comunque al ragazzo lasci che pensiamo noi! Lei pensi a non comportarsi più come uno stupido sbarbatello che si fa abbindolare dalla prima puttanella che a!- Il professionista era adirato per il timore di poter essere stato individuato a causa del pressappochismo del suo interlocutore; l’altro, da uomo d’onore qual era, si sentiva offeso dalla tirata d’orecchi. Eppure tacque, consapevole non solo che il legale aveva ragione, ma anche che era un gradino più alto del suo nella scala del crimine. L’avvocato pensò al da farsi, eggiando nervosamente per un paio di minuti: nella stanza si udivano solamente le note opprimenti e stonate della radio, accesa solo per coprire la loro conversazione. Improvvisamente l’uomo si fermò davanti a Marotta: -Ora mi ascolti bene, e veda di non fare altre stupidaggini, se non vuole che il capo cambi idea sulla sua persona...La chiara minaccia fece impallidire l’uomo: -...Lei ora indagherà sui Franci… Scopra chi è andato al loro funerale, se qualche parente si è fermato in paese, a chi ano i loro beni e se qualcuno ha già preso possesso di una qualsiasi delle loro cose! Potrebbe essere la stessa persona che, collegando i coniugi a lei, le ha tirato questo “bidone” per scoprire da chi riceveva ordini.- Poi la sua voce si fece dura: -.. A quel punto lei ha carta bianca: lo impaurisca, lo compri, lo faccia sparire!.. Ma, attento! Quella persona va fermata, o un anello della nostra organizzazione si spezzerà e non sarò io quell’anello! Il capo le da’ due giorni di tempo!.. Ora sparisca!Il tono non ammetteva repliche: Marotta fece un cenno al proprio autista che gli porse il cappello e lo aiutò ad infilare il cappotto, quindi gli aprì la porta di ingresso, per precederlo sulle scale, buon ultimo il”gorilla”. Non vi furono saluti, solo la radio tacque improvvisamente ed il silenzio calò nel locale. "Un silenzio di tomba” pensò Marotta, mentre entravano nell’ ascensore, se non avesse accontentato il capo nel tempo stabilito. E così quella notte fu insonne per molta gente, ma qualcuno, se non altro, aveva le
idee abbastanza chiare da prepararsi un piano. La mattina seguente l’Ida vide uscire Marte di buonora assieme al cane. Teneva una borsa sportiva dove aveva messo la colazione al sacco per sé e qualcosa anche per il suo compagno: ma l’Ida non lo sapeva: “Andiamo al tennis a caccia di ragazze, eh!” Pensò. E l’uomo era talmente assorto nei suoi pensieri da non rispondere al suo cenno di saluto. -Presuntuoso!- Brontolò la donna: -Come se lui donne ne avesse in tutti i buchi... Nemmeno la moglie ha saputo tenersi!- Commentò, pensando a quanto poco fosse bastato al suo povero marito per tenersela ben stretta a rammendare calzini e lavargli mutande finch’é non se n’era andato in cielo! Restò assorta in quei pensieri a lungo; nel frattempo si pettinò con cura civettuola i capelli. Poi vide il giovane avvicinarsi, con un pacco sottobraccio ed un simpatico sorriso sotto la tesa del cappello marron, incorniciato di fitti e corti capelli corvini. Era alto, o sicuro ed il fine ed attillato cappotto gli conferiva un’aria distinta.
6°parte Boomerang
L’Ida arretrò dalla finestra quel tanto da raggiungere la porta che le stava alle spalle e richiuderla: non sarebbe stato bello lasciare in mostra la sfoglia ancora fresca che aveva mesco a“seccare” sullo stenditoio pieghevole... Si riavvicinò alla finestra della guardiola; “bell’uomo..” E si riassestò di nuovo i capelli, inconsapevolmente speranzosa. Ebbe un balzo al cuore, quando questi si avvicinò e mise il suo più bel sorriso: -Buongiorno, gentile signora!Disse, toccandosi il cappello con indice e pollice in segno di rispettoso saluto: -Mi saprebbe dire dove trovare i coniugi Franci?- -Buongiorno…- Esordì la donna che, non sapendo con chi parlava, era rimasta interdetta su come spiegarsi: -...Con chi parlo, scusi?- -Mi chiamo Ricci... Piacere, cara signora!- E tese la mano attraverso la finestra che la donna aveva socchiuso: -Vengo dalla città ed un amico mi ha chiesto di fargli questa commissione…- Ed indicò il pacco che teneva sottobraccio: -…E’ materiale che i Franci gli avevano ordinato!- -Ah, capisco…Commentò sollevata la donna: -…lei non è dunque un parente!- -Oh no, conoscevo i signori solo perché qualche volta ci trovavamo dal nostro amico a giocare a poker!- Mentì l’uomo; se fosse stata meno imbambolata a mangiarselo con gli occhi, l’Ida, che era tutto men che stupida, avrebbe avvertito la sospetta coniugazione del verbo “conoscevo”… -Purtroppo, caro giovane,devo darle una notizia triste: una dozzina di giorni fa... Oh, aspetti...- La donna si girò e controllò nel calendario affisso a fianco la finestra: -…esattamente.. - Fece una notevole fatica a leggere, senza occhiali, il numero a fianco della croce nera, ma resistette all’istinto di inforcarli; in fin dei conti lei era ancora giovane e piacente!: -…Ecco, undici giorni fa, i signori Franci hanno avuto un grave incidente d’auto: ci hanno lasciato entrambi… Poveretti, era proprio il loro momento no! - Proseguì
imperterrita: -Lo stesso giorno i ladri gli avevano visitato l’appartamento!-Dio mio, che notizia!.. Poveretti, mi dispiace proprio tanto, erano così brave persone!- Cominciò il giovane: -Chissà cosa potrei farne di questo...- Ed indicò il pacco: -Non so neppure cosa contenga! Non sa se abbiano parenti qui vicino… qualcuno, tanto da sapere se vogliono tenerselo, o se debbo proprio riportarlo... Io, fra l’altro, dovrei proseguire per Ancona e mi è estremamente scomodo rientrare in città per riportare indietro il pacco!-E’ proprio un guaio, signor Ricci,- Sproloquiò la donna, gesticolando con le mani: -glie lo terrei io quel pacco, ma non esiste proprio nessun parente o amico dei Franci qui in paese… Sa, erano persone tanto a modo e riservate! Si figuri,- Si interruppe, controllò che nessuno sentisse, sporgendosi dalla finestra e proseguì con tono più cauto e complice: -…si figuri, che, per tutto il tempo che il marito è stato lontano, il signor Trevi, sa… uno di quei quarantenni divorziati che credono di essere dei playboy solo perchè non hanno di meglio da fare, ha dato la caccia alla signora giorno e notte… E lei? Stupenda, mai che sia stata scortese: semplicemente non gli ha mai dato corda, un’autentica signora, poveretta! Alla fine il giovanotto s’è tenuto poi il cane, per ricordo forse, o forse non ha trovato dove piazzarlo... Oh, è stato lui a scoprire il furto in casa dei Franci, a forza di fare la guardia!- -Il signor Trevi, ha detto?..- Attese la conferma dell’Ida per proseguire:-... Non sarà quel signore alto, ben piantato, capelli nero ed argento?- -Sì, proprio lui, lo conosce?- -Sì, una sera c’era anche lui a giocare casa del mio amico ...- Mentì ancora il giovane: -...E così è stato lui a scoprire il furto?- -Già ed ha voluto perquisire tutto l’appartamento: nemmeno i carabinieri sono arrivati a tanto!- Il giovane indicò il pacco: -Che lui sapesse cosa attendevano i signori Franci?-Oh, non credo!- Rispose la donna: -E poi quello ormai s’è dimenticato della povera signora! Ha già una nuova fiamma: queste giovani d’oggi ci mettono poco....Visto che lui non è uscito da molto e a giudicare dalla poca corda che lei gli dà, potrebbero essere ora tutti e due al tennis...- -Perbacco, non mi potrebbe indicare la strada per arrivarci?- Prese la palla al balzo l’uomo: Se non è lontano, potrei comunque chiedere consiglio al signor Trevi!-Oh, ma certo!- L’Ida indicò la strada col dito: -Ecco: lei vada fino alla
strada principale, prenda a destra e prosegua per 1 Km. circa; si troverà davanti il muro di recinzione dello stadio… Giri a sinistra costeggiandolo sempre, fino a portarsi alle spalle dello ingresso principale: troverà un ampio parcheggio e la portineria del tennis!.. Non può sbagliare!Il giovane la gratificò di un sorriso a doppia dentatura che fece sciogliere il ghiaccio nel frigidaire dell’Ida che, con una espressione alla “Greta Garbo”, strinse quella mano giovanile che ora le porgeva l’addio: -Cara signora, lei è stata di una gentilezza squisita, ma ora devo correre... il tempo è tiranno! La ringrazio di cuore, tante cose, addio!- La donna farfugliò un saluto, emozionata, e rimase con la mano orfana, aperta e tesa, mentre il giovane spariva dietro l’angolo dell’abitazione con la stessa leggerezza con la quale si era presentato. Due ore dopo l’Ida non rimase altrettanto estasiata del colloquio con Marte che rientrava in casa. Quando poi questa chiese all’uomo se lo avessero trovato al circolo, lui si fece sospettoso; la donna allora gli raccontò del giovane che lo aveva cercato. Marte intuì subito il pericolo!.. Qualcuno l’aveva individuato ed aveva individuato anche Nadia: doveva avvisarla immediatamente! Girò sui tacchi, inseguito dal cane senza nemmeno salutare la portinaia, abbassando così sotto il livello di guardia la sua quotazione, per correre alla solita cabina telefonica del parco. Fece il numero di telefono del circolo del tennis: gli rispose il solito custode. -Qualcuno ha chiesto di me o di Nadia?- Chiese Marte. -Sì, un bel ragazzo, una mezz’oretta fa!.. Concorrenza spietata, eh?-. Rise il custode. Marte andò subito oltre: -Gli hai dato l’indirizzo della ragazza, per caso?- -Sì, ma per riguardo a te, carissimo, e anche perché mi era antipatico, mi sono confuso e gli ho dato la via giusta ed il numero sbagliato! Che ne dici?.. Come vado?-Sei una forza, amico mio!- Si risollevò Marte: -Se tu avessi boccoli lunghi e biondi, con due bei paraurti sul davanti e sul di dietro e trent’ anni in meno, ti meriteresti un bel bacio in bocca!- Risero entrambi di gusto e si salutarono. Quel vecchio ed inimitabile compagnone di Enzo, senza saperlo, aveva momentaneamente forse salvato Nadia! Marte compose a memoria il numero di casa della ragazza; aveva sempre avuto buona memoria per i numeri ed in particolare per ”certi numeri”! -
Pronto?- Rispose la sua voce. -Nadia, sei sola?- Si preoccupò lui immediatamente. -Certo, e con chi sennò?- Rispose lei, sorpresa. -Ascoltami bene e fai come ti dico senza obiettare, che può essere cosa grave: ti spiego poi tutto a voce fra un po’! Trovati fra dieci minuti davanti alla scuola... - Pensò che, data l’ora, lì poteva confondersi con la bolgia di ragazzi ed insegnanti in uscita e nessuno l’avrebbe notata: -... Portati l’occorrente per star fuori un paio di giorni, sbrigati!-Ma...- Tentò di obiettare la ragazza. -Nessun ma!- Tagliò corto l’uomo: -E’ cosa molto grave, poi ti spiego, ma ora, per l’ amor di Dio, sbrigati e non dar retta a nessuno: e se qualcuno ti chiede chi sei, digli...che so... che sei la Navratilova, ma non farti riconoscere… fa presto!- -Va bene!- Rispose la ragazza, che ora sembrava convinta e spaventata; lui riattaccò, poi raggiunse la sua famigliare, fece salire il cane dietro, e si avviò alla volta della scuola. Raggiunse il parcheggio del padiglione nuovo in pochi minuti e si fermò in macchina ad aspettare. Si concesse qualche attimo di nostalgia lasciando che il pensiero andasse alla vecchia ala della scuola, ora seminascosta dalla nuova, dove aveva frequentato da bambino e gli sovvenne della vecchia maestra, austera nella sua “divisa nera” di vedova. Lo scosse l’uscita gioiosa della prima classe; ragazzi e ragazze gli arono di corsa vicino e si sentì osservato, pur sapendo di non averne motivo. Si accese nervosamente una delle poche “Sax” che si concedeva nella giornata e cercò, senza risultato, di imporsi la calma. Era almeno la trentesima volta che controllava l’ora, quando vide Nadia; la ragazza girò attorno lo sguardo e, non potendo non riconoscere l’auto, sì avvicinò quasi di corsa, mescolandosi così all’ ennesima scolaresca in uscita. Salì in macchina e chiese ansiosa: - Allora?- Marte le fece cenno di tacere, mise in moto e si avviò nel traffico verso l’uscita sud del paese; diresse verso la città, tenendo la statale. Quando ritenne di potersi rilassare, iniziò un racconto particolareggiato di tutto ciò che gli era successo: alla fine si ritrovò, a racconto concluso, nel traffico caotico della città con la ragazza accanto che tremava come una foglia. -Hai qualche persona di fiducia con la quale puoi andare ad abitare per qualche tempo?- Chiese il giovane. -Potrei tornare a casa da mia madre,
oppure da mia cugina a...- Ma l’uomo la interruppe spazientito: -Per l’amor di Dio, Nadia!.. Questi saranno i primi posti dove ti cercheranno! Devi andare da qualcuno a loro sconosciuto, al quale non possano risalire.. che so... un’amica dell’università, per esempio!- La ragazza rimase in silenzio a pensare; poi lo ripagò del consiglio: -Alcuni anni fa, in ferie, avevo stretto amicizia con una ragazza di Torino! Sono anni che mi invita da lei, potrei cogliere l’occasione…-Lettere o indirizzi di questa amica?- Chiese Marte speranzoso. -Oh, ci siamo sempre solo sentite per telefono: lei odia scrivere quanto me! Il suo numero di telefono poi è nell’ agenda che tengo in borsa, qui- E batté la mano sull’ elegante oggetto di pelle marron che teneva in grembo. Ottimo!- Concluse Marte, convinto; fermò l’auto nel parcheggio antistante la stazione ferroviaria: -Ora ascoltami bene: prendi il primo treno per Torino e sparisci!- La ragazza contraccambiò lo sguardo, non ancora completamente convinta: Veramente io dovevo cominciare a lavorare la settimana prossima... sai quanto ho sudato per trovare quell’ impiego?-Non si tratta dell’impiego, ma della pelle, Nadia!- La redarguì Marte, calcando sull’ultima parola: -Va dalla tua amica e... ecco...- Estrasse dalla tasca della giacca a vento il blocchetto degli assegni, lo appoggiò al volante e ne firmò uno, che staccò e porse alla ragazza: -...questo per le spese. Non calcare troppo la mano o mi troverai sull’ elenco dei protesti!... Comprati ogni giorno “Il Resto del Carlino”: se la soluzione di questo mistero dovesse per qualche motivo are sotto silenzio, metterò un’inserzione tra gli annunci economici per dirti di tornare a casa!- -Tu che farai, ora?- Chiese lei, preoccupata. -Sta tranquilla!- Sentenziò lui: -Torno a casa, prendo le foto ed il tubetto con la droga,vado alla polizia, spiattello tutto e che se la sbrighino loro! Questa storia sta diventando troppo grossa per me!- Guardò la ragazza dritto negli occhi e ne anticipò la domanda: -Tu devi andare comunque, Nadia! Se ti trovassero, riuscirebbero a fermarmi... Ci tengo a te!Lei le porse la mano e lui glie la strinse forte: le luccicavano gli occhi. Ma Marte sapeva di dover rompere con decisione:
-Arrivederci, Nadia!- E le aprì la portiera. -Arrivederci, Marte!- La ragazza scese dall’auto e si avviò, per sparire, rapida e leggera da sportiva quale era, all’interno della stazione. Marte riavviò e la diresse verso la periferia, mentre Leone, dietro, dava segni di impazienza. Doveva tornare a casa svelto, recuperare le prove ed andare alla polizia! Si sentiva tranquillo per aver messo al sicuro Nadia, ma la tranquillità, ora che poteva pensare con calma, durò pochi minuti: quel tipo che lo aveva cercato al tennis doveva essersi ormai accorto della mancanza di Nadia, per cui ora avrebbe sicuramente cercato lui! Maledetto stupido, che si era fatto prendere dall’orgasmo e non aveva pensato a portarsi subito foto, droga ed indirizzi la mattina, dopo aver telefonato!.. Ora doveva tornare a casa per forza! Accelerò l’andatura, pensando al da farsi. Dopo mezzora parcheggiò nel viale antistante il parco, lo attraversò a piedi, seguito dal cane ed entrò nel palazzo dalla porta posteriore, scavalcando le assi e i tubi di un ponteggio smontato e lasciato lì da almeno una settimana, dopo la riparazione di un cornicione. La fretta gli fece dimenticare perfino di imprecare; sgattaiolò non visto e salì a due a due i gradini della scala con o felpato.
7°parte Un pozzo di prove
Giunto sul pianerottolo si guardò attorno, orecchie tese, alla ricerca di qualche rumore sospetto.Estrasse le chiavi di tasca e le infilò nella toppa. La pur lieve spinta fece socchiudere la porta e solo allora l’uomo vide i segni della forzatura: il sangue gli si gelò nelle vene! Fu Leone a prendere l’iniziativa, spingendo decisamente la porta ed entrando; poi si mise ad annusare con attenzione. All’ interno uno spettacolo deprimente: tutto era stato messo a soqquadro, perfino le tende erano state strappate ed un cassonetto di una finestra era stato aperto. La TV era rovesciata a terra ed il pannello posteriore era stato letteralmente sradicato.Il divanetto era rovesciato e così pure il tavolo; della cucina meglio non parlarne! Marte rimase come in coma nel vedere come gli avevano conciato il mobilio: e pensare quanto sudore era costato!.. Una rabbia sorda lo prese e gli fece abbandonare qualsiasi difesa. Corse in bagno, salì sul W.C. e cercò il tubetto sullo sciacquone: sparito!.. Maledizione! Se avevano trovato quello, che fine potevano aver fatto foto, indirizzi e corrispondenza, che, non giudicandoli pericolosi, aveva semplicemente riposto nel comodino, in camera? Si precipitò nel locale e dovette sfoggiare tutta la prestanza atletica rimastagli, per schivare materassi e indumenti che gli si paravano davanti. I cassetti del comodino erano rovesciati sul letto; i pezzi della sveglia erano sul pavimento, ma di ciò che gli premeva nemmeno l’ombra! Tutto gli avevano preso, maledetti! Ed ora che fare?.. Senza il becco di un indizio andare alla polizia voleva dire essere internato in un ospedale psichiatrico! Il cane gli si parò davanti con aria interrogativa, aspettandosi da lui, che era un “homo sapiens”, una soluzione a quel caso. La cosa lo fece riflettere: “Perbacco, il pozzo della casa di campagna!” -Vieni, Leone!- Uscì di corsa, senza nemmeno chiudere la porta, tanto, peggio di così.. Il campanile suonò le tre; Marte salì in auto e la avviò deciso verso la villetta di campagna che era stata dei Franci. Dopo alcuni chilometri aveva notato la BMW che lo seguiva costantemente; rallentò: l’auto lo superò e sparì nella foschia bassa ed umida. Con una stagione del genere fra poco più di
un’ora avrebbe fatto buio, cosa che gli avrebbe fatto comodo, sia per controllare di non essere seguito, che per non essere visto casualmente se avesse trovato droga. Superò perciò la stradina che portava alla casa di campagna e continuò fino alla borgata. Si fermò al bar, pensando come far are la prossima ora; gli rispose lo stomaco che gli ricordò improvvisamente di aver saltato il pasto. Ordinò tre toast, uno per il cane, ed una birra alla spina, ma non riuscì a gustare nulla. La carica nervosa accumulata gli fece ”buttar giù tutto a mò di pattumiera” nel giro di un paio di minuti ed il risultato non si fece attendere: l’ulcera gli diede un paio di calci nello stomaco da meritare il cartellino rosso! A giudicare dallo sguardo languido di Leone invece, sembrava che a lui il toast fosse sì e no servito da dentifricio. Marte cercò un motivo di distrazione: nella sala attigua, attorno ad un tavolo imbandito con ogni ben di Dio, una chiassosa compagnia stava sfogando il buon umore di campagna. Li contò distrattamente: -Tredici!.. E’ proprio vero che il tredici a tavola porta male... ma solo se non c’è niente da mangiare!- Sorrise il giovane, ricordando il proverbio corretto dal suo saggio nonno Remo tanti anni prima. Con aria svagata si avvicinò alla porta a vetri che dava sulla strada, fece trascorrere un altro pò di tempo, quindi, più rilassato, uscì e ritornò indietro. Dopo un quarto d’ora erano alla villetta. La foschia era diventata nebbia, una nebbia fitta e penetrante. Scesero; si diresse al pozzo, mentre Leone “concimava” ad una, ad una le piante del cortile. Tolse faticosamente il pezzo di rotaia e le assi e, senza nemmeno farsi luce con la torcia, trovò la fune appesa al chiodo; tirò deciso e la corda non gli fece alcuna resistenza: quando, al colmo dell’eccitazione, ne tenne l’altro capo in mano non vi trovò proprio nulla appeso! -Che c’é, manca qualcosa?- L’ironica voce alle spalle lo fece trasalire e, nel girarsi di scatto, rischiò di cadere, inciampando nel metro di rotaia che aveva appena buttato a terra. Di fronte a lui stava il giovane alto, vestito elegante, con i capelli corvini incorniciati da un cappello marron. Unica nota stonata, una “Beretta7.65corto” nella mago destra. Storse la bocca mentre parlava con un’ironia cattiva: -Se cerchi la droga, sarà ormai sul mercato, credo... Se cerchi invece le foto, potresti trovarle fra la cenere, ammesso che tu abbia ancora il tempo di trovare qualcosa, a parte un lungo e meritato riposo!E soppesò la pistola che teneva in mano. Marte si impose la calma e pensò in fretta. Aveva un’unica possibilità di cavarsela: prendere tempo e sperare nell’ arrivo di Leone, insospettito dalle voci.
-Ti senti sicuro vero?- Esordì: -Scommetto che hai trovato anche la ragazza, o no?- Era il tasto giusto: sul viso del giovane il sorriso svanì. -La ragazza avrà una fifa tale che non uscirà da dove l’hai nascosta per un bel pezzo e comunque non ci darà tante noie come te!... e poi lei non ha prove!Marte si diede dell’idiota: se avesse riposto almeno i negativi delle foto, anziché fissarle dietro le stesse con l’adesivo!.. E se il bel tipo che gli stava davanti, preoccupato solo di distruggere non se n’era accorto!?.. Valeva la pena tentare il bluff... -Tu dici,amico? Hai mai pensato che delle foto esiste anche un negativo?- L’ultima parola stordì il killer: forse aveva davvero bruciato i negativi assieme alle foto senza accorgersene! Marte pensò di rincarare la dose: -Certo, lei ha solo quello, ma non é poi poco, visto che l’ho istruita come spedirlo alla polizia se non mi faccio vivo tutti i giorni alla stessa ora!- “Faccia d’angelo”sembrava davvero meno sicuro, ora. Ma non fu questo a rincuorare Marte: Leone era spuntato silenziosamente alle spalle del malvivente e la sua espressione curiosa si stava trasformando in aggressiva; guardò Marte, i muscoli del corpo tesi, pronto all’ assalto. -Dai, Leone!- Gridò questi. Il killer si girò rapidissimo, proprio mentre il cane gli piombava addosso, ed il colpo di pistola echeggiò una frazione di secondo prima che le fauci dell’animale gli spezzassero il polso, facendogli rotolare l’ arma a terra; purtroppo, mentre il giovane fece dolorosamente per rialzarsi, il cane rimase immobile. -Leone!- Urlò Marte, disperato; una rabbia sorda, incontrollabile lo prese e, mentre il malvivente tentava di raccogliere con la sinistra la pistola, prese da terra la pesante rotaia, la alzò sulla testa come fosse un fuscello e, urlando tutto il suo furore, balzò in avanti. Come in un film rallentato, vide il giovane raccattare la pistola, alzarla e girarsi con l’indice sul grilletto. Ma la rabbia era troppa per provare paura: stringendo la trave, fin con le unghie, incurante delle dita che si stavano spaccando nello sforzo, calò la pesante arma, che schiacciò il cappello e staccò di netto la metà sinistra della testa del killer, facendo schizzare sangue e cervella tutt’ attorno. Corpo e rotaia, scivolata di mano a Marte, rotolarono a terra, l’uno sull’ altro, lasciando l’uomo ad assistere immobile a quell’ orrendo spettacolo per un lungo attimo, inebetito da quella violenza. Scosse la testa, sperando di sognare, ma non era un sogno. Allora si girò verso Leone: si inginocchiò e gli prese la testa tra le mani, singhiozzando. La povera bestia era ormai fredda: Marte si accorse solo allora quanto fosse affezionato a quel silenzioso amico che, in cambio di un pasto al giorno ed una carezza, non aveva esitato ad offrire la vita. Lo sollevò e lo ripose nel bagagliaio della famigliare; poi tornò indietro, si lavò le mani insanguinate con l’acqua del
pozzo e raccolse la Beretta del killer. Si sentiva solo, senza via d’uscita ed aveva appena ucciso una persona: Marotta doveva pagarla cara per tutto questo! Infilò la pistola nella cintura, salì in auto e si diresse verso la“Borgatella”. La superò di alcuni chilometri, poi prese la strada provinciale a sinistra che costeggiava il canale. Tre quarti d’ora dopo, dopo aver cambiato strade e stradine per altre tre volte, svoltava nella strada comunale che portava alla “Boscosa”. Quando giunse in vista della casa colonica del “mafioso” a fari spenti, spense anche il motore e lasciò che l’auto in folle scivolasse lentamente lungo la china antistante la casa; girò a sinistra e parcheggiò nel buio del prato che fiancheggiava l’ abitazione. Sul davanti era ferma la Mercedes bianca. Per un attimo l’uomo ebbe coscienza di ciò che stava facendo e si meravigliò di non provare alcuna paura. Ma la decisione, ormai completamente maturata, di farsi giustizia da sé scacciò decisamente quei pensieri troppo normali! Scese dall’auto accostando lo sportello senza richiudere, per non far rumore, in una mano la pistola, nell’altra la torcia. Quando svoltò l’angolo per accedere all’ingresso, vide che dalla porta socchiusa sprigionava un sottile raggio di luce: nessun rumore. Si fermò perplesso, poi s’allontanò dal muro per piombare sulla porta in piena corsa: questa cedette con troppa facilità e l’uomo si trovò improvvisamente nella sala. Si girò attorno col dito sul grilletto, pronto ad iniziare una di quelle sparatorie che nei film sono tanto cruente, ma non ce ne fu bisogno: qualcuno ci aveva già pensato... Vicino al caminetto, scomposti ed insanguinati, giacevano l’avvocato e Marotta. In un angolo, quasi a simboleggiare tutto un suo sistema di vita, giaceva l’autista: il braccio destro copriva ancora il volto, disperato tentativo di una difesa inutile. Nell’ angolo opposto una vecchia in nero aveva finito il suo lutto. Sembrava di essere su un campo di battaglia; Marte cercò di non guardare quei corpi, perché la vista gli dava allo stomaco, ma nel tempo stesso frugò tutta la casa, cercando qualcosa che potesse interessarlo; non trovò nulla. Stava per andarsene, quando gli parve di udire un rantolo: era l’autista. Marte gli si avvicinò, gli si inginocchiò accanto e gli sollevò la testa; l’uomo lo guardò con gli occhi socchiusi, forse neanche lo vedeva. Respirava
ancora, ma ne aveva per poco. -Camion... mio... cu... gino...- Rantolò, vomitando una boccata di sangue che lo stava soffocando: -Salva... tore... Bagnarola!...-Cosa c’è a Bagnarola?- Chiese Marte che non capiva. L’uomo spalancò gli occhi e la bocca, ma non emise alcun suono: quello era stato ìl suo ultimo respiro. Marte lo adagiò piano e ritornò alla macchina. Prese il corpo di Leone dal baule e, servendosi di una pala trovata vicino alla stalla, lo seppellì con cura nel campo dietro casa. Poi, a capo chino, esausto, chiedendosi come, anziché cedergli i nervi, stesse arrivando alla soglia dell’indifferenza, ripartì. A casa, dopo aver puntellato la porta con l’unica sedia rimastagli tale, buttò i vestiti, sì gettò sotto la doccia e poi a letto: ripensò per poco alle parole dell’autista di Marotta, che, dopo pochi minuti, un sonno pesante lo colse di sorpresa. Il mattino seguente si svegliò di umore nero; lentamente, cominciò a mettere insieme le parole bisbigliate dall’autista la sera prima in punto di morte. Nel frattempo si sforzò di fare un’abbondante colazione, visto che non poteva permettersi di saltare i pasti tutti i giorni. Alla fine, insieme all’appetito, gli venne un’idea brillante: se il suo intuito aveva visto giusto, poteva avere la soluzione a portata di mano! Scese per telefonare all’ associazione autotrasportatori: -Dovrei trovare un certo Salvatore… Mi hanno detto che fa l’autotrasportatore e che abita a Bagnarola... non è per caso un vostro socio?-Non sa come si chiama di cognome?- Chiese la voce anonima dell’impiegata all’altro capo del telefono. -No, purtroppo!- Mentì Marte: Sa com’è tra amici del bar... Ma non credo che a Bagnarola ce ne siano tanti di camionisti!..- -Un attimo!- Rispose seccata la donna. A dire il vero arono un attimo e due caffé prima che si rife viva; finalmente: Ecco, Salvatore Cervone, Via Armiggia 14/3!-Grazie, lei mi è stata molto utile!- Concluse Marte: ma la donna aveva già riattaccato. Uscì dalla cabina, si toccò la cintura per assicurarsi che la pistola fosse dove l’aveva messa e salì in auto. Attraversò il paese e si
diresse a nord, per imboccare la strada che portava a Bagnarola.
8°parte Pirata di... campagna
Quando vi giunse la trovò intatta come l’aveva vista l’ultima volta, più di quindici anni prima: quattro case, una piccola industria ortofrutticola al limitare nord del paese, che dava lavoro a chi non voleva andar per campi, a Ovest un’officina per compressori stradali e, a sud, la bella borgata rinascimentale, con le sue ville cadenti e un silenzioso asilo… per chi voleva che i figli imparassero l’arte della meditazione. Si diresse in Via Armiggia e individuò il 14/3; parcheggiò l’auto in uno dei tanti vialetti e scese. Ritornò sul fianco dell’abitazione e si trovò davanti un ampio porticato, sotto il quale dimorava un vecchio “tre assi alleato”: l’uomo gli girò attorno con attenzione e,dopo averlo ispezionato palmo a palmo, scoprì una minuscola traccia di vernice, più lucida e di diverso colore dal camion, (che di lucido aveva proprio poco!) sul parafango destro. Era vernice grigia metallizzata, come l’auto dei Franci!.. Ormai non vi potevano essere più dubbi: aveva scoperto l’assassino dei suoi condomini! Ritornò indietro e cercò l’ingresso della casa. Il numero civico stava proprio sopra la prima porta di legno marcio e sverniciato che trovò; provò a girare la maniglia, ma era chiusa a chiave. Ispezionò allora il lato destro della casa; alte erbacce costeggiavano un muro ormai in rovina che sembrava tenuto in piedi dalle finestre con gli scuri chiusi. L’ultimo però sembrava ancor meno stabile degli altri. Marte scavalcò le erbacce e provò a far scivolare la mano all’ interno della parte inferiore degli scuri: marci com’ erano, si erano gonfiati di acqua ed evidentemente solo il gancio superiore riusciva ancora a chiudere. In fondo al prato, a ridosso delle alte siepi, c’era un mucchio di pietrisco e materiali di scarto. Marte vi raccolse un grosso catenaccio ed un ritaglio di lamiera da lattoniere; col primo forzò al limite della rottura la parte inferiore delle imposte, quindi infilò la seconda sotto la serratura centrale. Mollando il catenaccio e facendo leva sulla cerniera, le imposte si aprirono, scoprendo un’inferriata già parzialmente divelta; si guardò di nuovo attorno, ricontrollò la posizione della pistola e, usando il grosso catenaccio
come un piccone, smosse le poche pietre che tenevano l’inferriata ai lati e sotto. Poi mollò il tutto, si afferrò con ambo le mani all’inferriata e, spingendocon i piedi contro il muro, la tirò verso l’esterno. Non ci volle gran ché: le pietre rimaste cedettero e l’uomo dovette buttarsi di fianco, per non essere travolto. Raccolse il tutto metodicamente e lo portò sul mucchio di pietrisco, dove nessuno l’avrebbe notato; poi scavalcò il davanzale, si calò nella stanza e richiuse le imposte. Attese di abituarsi al buio, quindi si mosse con la pistola in una mano e la torcia nell’ altra. Il giro d’ispezione fu abbastanza lungo: scoprì due granai, un deposito di ferri da giardiniere in disuso ed un locale che doveva servire da gabinetto, a giudicare almeno dagli efficaci odori alimentati da ciò che ricopriva quasi completamente una “turca” e da un lavello sporco ed otturato. Riscoprì la luce del sole per un attimo attraversando un piccolo orto interno pieno di erbacce, e si ritrovò sotto la cappa umida di un porticato; girò la maniglia della porta, ma questa era chiusa a chiave!.. Ma se questa era l’abitazione non poteva non accedere al bagno di prima!.. Tornò sui suoi i e all’interno di questo notò la porta interna che prima, nell’oscurità, gli era sfuggita. La spinse e si trovò davanti un vano adibito a monolocale: in un angolo una cucina americana, fatta con pezzi diversi, nell’ altro un letto sfatto, seminascosto da una tenda, nel mezzo un tavolo quadrato con quattro sedie ed in fondo uno scaffale con un pò di tutto, dalle medicine al fucile da caccia. Marte prese una sedia, la appoggiò alla zona di muro nascosta a chi avesse aperto la porta, si sedette appoggiando la pistola sulle ginocchia ed attese. Fu cosa lunga, ma non vana: erano le tre del pomeriggio quando una chiave girò nella toppa, la porta si aprì, sfregando sul pavimento, ed un uomo basso in un vecchio cappotto e “coppola” in testa si stagliò nel raggio di luce che invase il locale. Richiuse la porta stancamente, senza girarsi, ed avanzò fino al tavolo per appoggiarvi il copricapo; fu allora che si accorse dell’intruso. - Le mani sulla testa, bellezza!- Grugnì Marte, che cominciava ad immedesimarsi nella parte del duro; poi, vedendo che il tipo obbediva, però guardandosi disperatamente attorno: -Non ti consiglio di fare scherzi, se non vuoi fare la fine dei tuoi padroni! Siedi e tieni le mani sulla testa!-
L’uomo, che doveva aver superato ampiamente la cinquantina, obbedì; Marte continuò: -Noi non ci siamo mai visti prima, ma so che lavoravamo per gli stessi padroni... qualcuno li ha fatti fuori stanotte...- L’uomo sbarrò gli occhi, sorpreso e gli si lesse il terrore. -… Io stesso mi sono salvato per un pelo. Credo che qualcuno voglia eliminarci tutti! Forse tu ne sai più di me, ed insieme potremo salvare la pelle!Salvatore rimase ancora muto, ma si capiva che l’aveva bevuta e che stava cercando rapidamente un motivo di collaborazione: - Mio Dio, il capo morto!...- Sussurrò, incredulo: -E l’avvocato, ha provato di parlare con l’avvocato?- -Idem con patate!- Chiuse subito l’argomento Marte: -Anche lui si sta facendo sforacchiare le chiappe da Lucifero, che vuol vedere se è cotto !-Mio Dio, mio Dio!..- Ora l’uomo compiangeva chiaramente se stesso come una bestia in trappola: -Che faccio, ora?- -Chi c’era sopra Marotta e l’avvocato?- Chiese Marte a bruciapelo.-Non so... Non ne so proprio niente! Io ho sempre preso ordini solo da loro o da Ricci!- -Un giovane alto e bruno?- Chiese Marte. -Sì, lui!- Confermò speranzoso Salvatore. -Anche lui non darà più ordini a nessuno!- Tagliò corto Marte. Il camionista guardò il suo interlocutore con occhi imploranti: -Che facciamo ora del bambino?- Marte ragionò in fretta: “Ma di quale bambino parlava, dannazione?”… Improvvisamente la lampadina a duecentoventi Volt gli illuminò ilcervello: se la sua intuizione era esatta, doveva mettersi di fronte allo specchio e darsi dello stupido per almeno trecentottanta Volt!.. “E chi sennò: Il bambino… il nipote del vecchio dell’ospizio… quello doveva essere il collegamento...” -Non ho partecipato alla faccenda del bambino, Pastore si chiama, no?- Tentò Marte. -Sì...- Rispose Salvatore: -...Del rapimento si dev’essere interessato Ricci e poi mi ha imposto di tenerlo nascosto… io non volevo… ma non ho potuto...- Allargò le mani in segno di impotenza.
-Tieni su le mani, per ora!- Ordinò Marte, gelandolo. -Beh, vecchio mio, con questa confessione hai incastrato anche me! Credo che l’unica possibilità di salvare la pelle sia liberare il bambino e sparire!-Ma io sono in soggiorno obbligato!- Si lamentò il camionista. - Già, ma questo lo sa anche chi ti sta cercando per chiuderti la bocca!- Lo redarguì Marte. L’uomo divenne bianco come uno straccio. -Va bene,Sussurrò: -credo che tu abbia ragione! Puoi procurarmi dei documenti falsi?-In questo momento non mi presenterei neppure a mia madre, figurati se vado a cercarti dei documenti falsi!- Ribatté secco Marte: -Ora mi porti dal bambino, lo liberiamo, poi ognuno per sé e Dio per tutti!- L’uomo annuì ancora, ormai completamente soggiogato. - Andiamo allora!- Mormorò: -Ti porto dal bambino!-E’ solo?- Chiese Marte. -Sì!- Rispose con voce rassegnata l’altro. Marte lo perquisì e trasferì nelle sue tasche il pesante coltello a serramanico: non voleva correre rischi! Si avviarono assieme all’ auto ed uscirono sulla strada provinciale; 4 chilometri dopo si immisero sulla statale nord per filare verso la città. Ormai il camionista aveva mollato e non fu difficile farsi dire come era iniziata la storia. I coniugi Franci avevano fatto a lungo i corrieri della droga per Marotta, che però li aveva scaricati perchè colpevoli di “scarso rendimento”. I due erano però riusciti a fotografarlo assieme all’avvocato e ne avevano tentato il ricatto proprio in occasione della prima comparsa in tribunale del mafioso. “...I fantomatici testimoni d’accusa annunciati dal Pubblico ministero” Ricordò Marte. A questo punto l’avvocato era corso in aiuto del mafioso facendo rapire il nipote dei Franci per estorcere foto e negativi; era stato troppo deciso nel farli uccidere prima della consegna, senza aver prima controllato che i coniugi avessero veramente con loro le foto. Così si spiegavano le perquisizioni negli appartamenti e l’inizio di quella brutta storia. Salvatore precisò che il bambino era nascosto a pochi i dalla stazione nord, in una caserma dell’esercito in disuso da un ventennio ormai. Il
fabbricato era a poca distanza dalle linee appena istituite del metrò di superficie, che in quel punto giravano basse sotto il terrapieno che delimitava la zona militare: per essere certi di non essere visti conveniva andarci di sera. Si fermarono in un bar latteria poco lontano e arono oltre un’ora a giocarci a carte, Marte ne approfittò per farsi un paio di toast ed un pò di dolci, il tutto condito con succo di frutta. Appena fu buio si mossero, lasciando l’auto parcheggiata davanti al bar, e si diressero a piedi verso la stazione. Prima di giungervi scavalcarono una barriera, attraversarono un deposito di materiale rotabile all’ aperto e, dopo aver controllato che non vi fossero treni o ferrovieri in giro, attraversarono furtivamente le linee ferroviarie, ben lontano dalla zona illuminata. Giunti al terrapieno, Marte vi si issò con un balzo, quindi si inginocchiò per tendere la mano a Salvatore; appena salito, fu questo a fare strada. Dopo essersi addentrati per cinquanta metri nel boschetto di sterpaglie, si trovarono sul retro di un capannone: Salvatore estrasse di tasca una chiave ed aprì il lucchetto che bloccava la porta. Marte trasalì: gli era sembrato di udire un altro rumore oltre a quello della serratura che si apriva, ma forse era solo la tensione... Ad ogni buon conto si armò della pistola e seguì il camionista, che faceva luce ai propri i con la torcia. Lo portò proprio nel centro della caserma,occupato da un residuato bellico di un M.113. Salvatore aprì la porta posteriore del mezzo corazzato e la torcia, sul pavimento di nuda lamiera, illuminò gli occhi imploranti e terrorizzati del piccolo, mentre un acre puzzo di piscio ne denunciava l’assurda condizione di detenzione: di fronte a quella visione il dito di Marte si contrasse sul grilletto e fu dura frenare il desiderio di punire immediatamente Salvatore dei suoi misfatti, ma riuscì a trattenersi. Tolsero al bambino bavagli e legacci. -Sta tranquillo, piccolo... -Scandì Marte con voce pacata: -.. ora ti portiamo a casa dalla mamma…- Il bambino scoppiò in un pianto dirotto e gli si aggrappò ad una gamba come fosse un’ancora di salvezza. Un groppo prese alla gola Marte, che reagì lanciando una torva occhiata al camionista: -Forza bastardo, tranquillizzalo e portiamolo fuori!L’uomo fece del suo meglio; quando il bambino si calmò, lo prese per mano lo avviò all’ uscita. Marte rimase immobile a guardarsi attorno non si sentiva per niente tranquillo … Fu allora che scattarono le luci accecanti delle fotoelettriche ai lati opposti del capannone. -Polizia, mani in alto e niente scherzi!- Li investì la voce al megafono: -Ehi tu, manda avanti il bambino!.. Sei sotto tiro!-
“Maledizione, la polizia, ma come diavolo aveva fatto?”…Salvatore mollò la mano del piccolo che corse verso la porta e si girò con sguardo implorante verso Marte: -Il capo grosso, il boss ci ha fregato… deve essere stato lui per forza!- Piagnucolò, come per scusarsi: -... Ma io non so davvero chi sia, giuro sulla Madonna!- Marte realizzò che doveva proprio essere andata così: al boss dell’organizzazione era probabilmente bastata una telefonata anonima per spezzare l’ultimo anello di una catena che gli stava diventando pericolosa. Era stato troppo zelante nel cercare di scoprire qualcosa di nuovo, aveva sognato il momento in cui poter andare alla polizia come un eroe, ed invece… in che guai si era messo!.. Per la polizia ora era complice nel sequestro di un bambino, che non è cosa da poco: alla gente puoi pure portar via la moglie, ma non puoi toccargli i bambini e i soldi! Aveva notato il piccolo varco delimitato da pietre smosse alla sinistra del capannone, aggio forse di giochi di bambini: sperando che non fosse stato notato pure dalla polizia, scattò improvvisamente, percorrendo in pochi secondi la distanza che lo separava dalla parete, quindi si buttò in tuffo nell’apertura. Urtò con le spalle e coi fianchi, facendo cadere alcune pietre malferme, finendo malconcio e dolorante fra i cespugli all’esterno. Dall’interno rimbombarono urla e i concitati; Marte si rialzò ed iniziò a correre a mò di lepre, saltando le sterpaglie, anche se un ginocchio gli doleva in maniera particolare. Era quasi al limitare dei terrapieno, verso la stazione, quando le luci lo cercarono nella la boscaglia: se fosse riuscito a mescolarsi tra i pendolari di quell’ ora serale, avrebbe avuto una possibilità!.. Il ringhio lo raggiunse alla sprovvista e si sentì perduto: i cani poliziotto!.. Continuò comunque a correre, respirando a fatica con la bocca spalancata, saltando gli ultimi ostacoli prima del balzo sulla ferrovia; le gambe si facevano sempre più pesanti, e comunque non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere la stazione coi cani alle calcagna... Sulla sinistra spuntarono i fari del convoglio in arrivo. Un’idea gli balenò in testa: era l’ultima alternativa, visto che il terrapieno lo innalzava rispetto alle rotaie di un buon metro. Continuò a correre parallelo alla linea; il metrò, nel rallentamento che precedeva la stazione, lo stava superando. Marte girò un attimo la testa e vide il cane che stava rapidamente avvicinandosi...Ora! Descrisse un leggero semicerchio verso destra, per riavvicinarsi in corsa al convoglio: al tempo stesso cercò di richiamare le regole del “ventrale”, il sistema di salto in alto che, in auge ai tempi dell’istituto, gli aveva donato qualche soddisfazione. Compì il balzo a meno di un metro dalla carrozza di
coda: in alto il braccio, sgambò con violenza la destra verso l’alto, mentre la gamba sinistra si addossava la spinta maggiore. A questo punto inarcò il colpo di reni ed allungò la mano destra, sperando di trovare la parte isolata del “trollei”, che, se avesse afferrato la parte che prendeva corrente dalla linea elettrica, addio Marte! Trovò qualcosa: con uno sforzo disperato riuscì ad agganciare anche la altra mano. La velocità ancora elevata del convoglio lo scaraventò all’ indietro e per un attimo l’uomo pensò di non farcela a reggersi con le sole mani: pedalò disperatamente per aiutarsi, mai suoi piedi non trovavano alcun appoggio… per fortuna, in quel momento il convoglio rallentò ancora e l’uomo poté finalmente prendere un lungo respiro e capire che, fra pochi attimi, la decelerazione sarebbe stata altrettanto violenta. Si girò in avanti, incastrò le gambe fra il traliccio del trollei, si sdraiò e si attaccò con entrambi le mani, poi si sdraiò in attesa; così preparato non ebbe problemi a resistere alla frenata del metrò, che si fermò sotto la pensilina centrale della stazione. Si girò e vide con sollievo che i suoi inseguitori avevano appena saltato il terrapieno: poteva farcela! Balzò dal treno, rotolando nel bel mezzo del marciapiede fra la gente poco più che incuriosita; si rialzò non abbastanza intontito da perdersi in spiegazioni e filò verso l’uscita. Appena all’ esterno, anziché prendere l’unica strada possibile che lo portava verso la città, e che non presentava sbocchi per tutto il rione, girò a destra, percorse poche decine di metri, entrò nel cortile di un condominio, saltò la recinzione di fondo e si trovò nella parte dei magazzini coperti della stazione, nella zona più lontana ai suoi inseguitori. Sapeva che in fondo vi era un cancelletto di servizio per i ferrovieri che dava sui viali di circonvallazione della città, vietato, ma soprattutto sconosciuto al pubblico, e che, in pratica, fin dai vecchi tempi dell’istituto, era sempre servito ai più svegli per accorciare la propria “routine” giornaliera di quasi un chilometro. Era quello lo spazio che contava di mettere tra sé ed i poliziotti, che lo avrebbero cercato sicuramente sull’unica strada a loro conosciuta. Trovò il cancello, che si aprì cigolando e si trovò sul viale. Più avanti un autobus stava caricando alla fermata, diretto verso il centro. Gli stava bene: lo prese al volo e rimase ansimante attaccato al mancorrente del montatoio per tutto il tragitto fino in centro. Non aveva naturalmente il biglietto e, sporco, lacero e sudato com’ era, sperò che non salisse il
controllore, ma nessuno s’interessò a lui e questo gli fece capire che, per male che gli andasse, avrebbe potuto mimetizzarsi facilmente nella bolgia dei sottoaggi dei grandi magazzini, o fra i punk della scalinata nord della cattedrale. Ai punks preferì il sottoaggio: gli odori delle materie plastiche che si confondevano con quelli umani erano pur sempre preferibili al vento pungente ed umido di nebbia che veniva dal nord. Si sedette, esausto, in un angolo e cominciò a pensare dove poter andare. Le avvisaglie di esigenze corporali e la testa che gli girava per gli sforzi fisici e psicologici delle ultime ore erano uno sprone in più per ragionare velocemente. Uscire di città era da escludere: qualcuno avrebbe prima o poi notato il suo appartamento straziato, la mancanza sua e del cane, il cadavere nella casa di campagna dei Franci, al nipote ritrovato e all’identikit che gli avrebbe fatto la polizia nel giro di un paio d’ore!.. In città contava uno zio, che avrebbe potuto raggiungere facilmente, ma dove lo avrebbero ben presto cercato… Un vecchio amico nella zona periferica, in uno di quei rioni dove si conoscono tutti però e poi chi non ricordava in paese come un tempo fossero inseparabili lui e Lorenzo?.. Gli ex compagni di scuola si erano tutti sposati, presto o tardi, meno uno... il buon Carlo! Chissà se non avesse cambiato casa? Abitava in una zona centrale, con la mamma ed il papà e basta... Tanto più che questi dovevano essere vecchi bacucchi ormai, quindi non si sarebbero nemmeno insospettiti! Ricordò come l’amico cambiasse sempre il meno possibile delle proprie abitudini e sperò che non avesse, in tanti anni, nemmeno cambiato casa. Corse alla prima cabina pubblica per consultare l’elenco telefonico, ma le pagine come al solito erano strappate! Cercò un tabaccaio, comprò il tesserino per l’autobus e risalì in superficie: con una sola corsa sarebbe giunto proprio davanti all’ abitazione dell’ amico… Guardò l’ora: erano le sette, ora di cena… perfetto! Nascosto dietro una colonna, nel timore che asse un’auto della polizia, fu più lungo il tempo dell’attesa che la corsa. Mezz’ ora dopo scendeva nella via poco frequentata. Guardò verso l’alto: nell’ angolo sud, dietro le persiane, vide la luce accesa. Incrociò le dita e suonò: dopo pochi attimi una nota voce maschile lo rincuorò al citofono!
9°parte Chi trova un amico... trova un computer!
-Chi è?- Anche se erano ati tanti anni dal diploma, Marte, col cuore che pulsava sempre più forte, riconobbe subito quella voce: -Quinta C elettromeccanici, sono il “Piscione”!- E trovò la forza di ridere, scandendo il soprannome che gli aveva affibbiato il “prof” d’italiano a causa dei suoi temi, qualche volta sgrammaticati, ma pur sempre quantitativamente molto sostenuti. -Marte, sei tu, perdiana!- Esclamò prontamente la voce al citofono. A Marte sembrò troppo bello, gli parve di sognare: il buon vecchio Carlo era ancora là, solido e sicuro come uno scoglio. -Vieni su,dai,vediamo se riesci ancora a fare le scale in ventotto secondi netti, come ai tempi dell’istituto!- Lo sfidò l’amico, ricordandogli con ironia i vent’ anni trascorsi da allora; mentre infilava le scale di corsa, spolverandosi i vestiti con le mani e ravviandosi i capelli per rendersi presentabile, gli si riempirono gli occhi di lacrime... Di corsa fino all’ultimo piano... Carlo lo attendeva sulla soglia; gli strinse la mano e gli diede (vecchia abitudine) alcune amichevoli manate sulle spalle, del tipo ammazzabue, tanto per intendersi: -Carissimo Marte, che bella sorpresa...- Marte lo spinse dentro con poca cortesia: non voleva che tutti i condomini venissero a sapere che c’era un Marte nel palazzo! -...Vieni dentro, entra... dì... noi stiamo mangiando: naturalmente resti a cena, sennò mi arrabbio!- E chiuse la porta. -OK. vecchio!- Rispose Marte, alquanto sollevato: -Chi c’è tuo padre, tua madre, o qualche signora?...-Oh, solo mia madre,- Spiegò Carlo: -mio padre se n’è andato dieci anni fa, e lei è rimasta talmente attaccata a me, da non lasciarmi molto tempo da dedicare alle signore!- Sorrise; non aveva mai avuto un sorriso troppo allegro, ma si capiva che era felice così: per lui la felicità era mantenere le abitudini di sempre. Entrarono in tinello. L’anziana signora sembrava rincitrullita sul piatto della minestra, eppure esplose in un grido di gioia quando il figlio le ricordò chi fosse lo amico: -Signor Trevi, lei... quanti anni, eh?- Marte ricordò come fosse, ai tempi dell’istituto, il preferito della
signora tra gli amici del figlio: -Quanto tempo dall’ultima volta che è venuto a trovarci!.. Dovrei essere arrabbiata con lei! Oh, ma si sieda, naturalmente resta a cena da noi...- E sparì in cucina per recuperare le stoviglie. Fu la prima serata distensiva da un bel pò di tempo per Marte. Quando l’anziana signora se ne andò a letto, non perse tempo e raccontò tutta la sua maledetta storia a Carlo : nonostante gli anni trascorsi, era sicuro di potersi fidare ciecamente. L’amico restò per un pò muto, a riflettere, poi lo confortò: -Pensavo a come poterti aiutare... Naturalmente per ora starai qui da noi, tappato nella camera che era di mia sorella: qui sei al sicuro! Io intanto vedrò di andare un pò a fondo della cosa al giornale: ah, dimenticavo di dirti che faccio il giornalista!- -Il giornalista?!- Si meravigliò Marte: -E da quando in qua?-Da ben tredici anni, caro Marte!- Si vantò Carlo: -Anzi, ora coordino la nostra sezione radiofonica... Sai, quella all’ inizio della nuova zona industriale Est...- E si accompagnò con un vago cenno della mano. Accidenti, complimenti Carlo!- Fece eco Marte: -so dov’ é il posto, tant’ è che vi ho tenuto un corso di aggiornamento computers un paio di anni fa, quando la vostra sezione stava nascendo! Ma lì, ora, trasmettono solo notiziari!- -No certo, anzi ora abbiamo in programma una serie di trasmissioni con un pò di tutto... politica, attualità, racconti... - Precisò Carlo: -Siamo, nel nostro piccolo, quelli con le apparecchiature più moderne! Anzi, mi dicevi di aver tenuto corsi coi computers, quindi anche programmazione...- Attese il gesto d’assenso dell’amico e continuò: -... Mi piacerebbe che un giorno venissi con me, per avere un parere. Si comincia già dall’esterno, con l’apertura dei cancelli possibile solo con un telecomando che emette un codice segreto tramite frequenze elevatissime, ottenibili solo con apparecchiature speciali:- E gli indicò l’oggetto appoggiato sul mobile: -all’ interno poi, è tutto computerizzato! Una volta al giorno, io ed il programmatore, codifichiamo i programmi sull’ elaboratore centrale, preparando sulle varie uscite i programmi registrati, che lui poi gestisce a seconda di come li ho codificati... - su floppy disk, o su nastro?- Lo interruppe Marte. -Oh, no, il floppy disk è senz’altro migliore del nastro, ma ci costringerebbe
ad usare macchinari impossibili nelle interviste esterne! Preferiamo registrare su nastro, anche perché da noi la ricerca d’archivio è poco frequente!- -E non c’è nessuno di controllo?- Chiese Marte. -C’ é solo un portiere, che ha la sua camera con tanto di consolle con tante spie, per un controllo costante del funzionamento delle apparecchiature. Noi lo chiamiamo il disk Joker!- La battuta interruppe la spiegazione con una bella risata, per continuare la discussione su quel piano per tutta la serata e per quelle seguenti. Bastò ”far saltare” volutamente alla madre di Carlo, che per altro non usciva mai di casa, tutti i telegiornali, perché lei non avesse alcun sospetto sull’ ospite. Marte si fece una cultura su come funzionava il centro radiofonico e, forte della sua esperienza, poté dare qualche consiglio interessante all’ amico, particolarmente euforico perché la settimana seguente iniziava l’emissione di un giallo in due puntate, che lui stesso aveva scritto. Marte intanto non se n’era stato con le mani in mano. Si era registrato o, o, la propria avventura su uno dei tanti dispositivi che popolavano l’abitazione dall’ amico; poi l’aveva riveduto e corretto, aveva aggiunto considerazioni che fin qui gli erano sfuggite, sfrondando il racconto di tutto ciò che era superfluo, ma per quanto ci studiasse sopra non gli riusciva di trovare una conclusione… Quella sera Carlo finì di mangiare, attese che sua madre fosse in cucina e spiegò a Marte di dover uscire, perché aveva in vista una novità per il suo caso; quindi infilò cappotto e cappello ed uscì. Marte si distese sul divanetto a leggere il giornale, dove ebbe purtroppo conferma di essere diventato popolare; la vecchia signora diede presto la buonanotte e sparì in camera. Buttò il giornale ed accese la TV; due ore dopo era ancora alla ricerca di un programma decente, ma si sentiva talmente depresso da non desiderare di dormire. Lo squillo improvviso del telefono lo fece sobbalzare; ora che fare? Rispondere poteva voler dire scoprirsi, non rispondere... poteva essere cosa importante! -Sì?- Disse solo, riservandosi un bel ”ha sbagliato numero!”, se la conversazione fosse diventata pericolosa. -Sono io, Marte... Ho delle novità che puoi incominciare a registrare!- Lo sfotté Carlo all’altro capo del filo: -Ricordi cinque anni fa il “crack” della
“Finanziaria immobiliare”? Fu l’atomica del mondo finanziario, che coinvolse anche parecchi politici ed esponenti dell’alta finanza... - Non attese la conferma di Marte e proseguì: -Ne era presidente Sandoni, che riuscì ad uscire più o meno indenne dal pasticciaccio, mentre vicepresidente ed amministratore delegato non furono più ritrovati... Spariti! Qualcuno dice in Sud America col ”frutto dei debiti”, qualcosa come 800 miliardi di lire; qualcun altro sostiene invece che in Sud America ci siano andate solo le lire, su un conto corrente fittizio, e che i due siano a far da armatura a qualche pilastro di cemento dei quartieri popolari!.. E adesso viene il bello!.. Sai chi ne fu il curatore fallimentare?... L’egregio amico tuo… l’avvocato Cucciani!Marte sobbalzò come se l’avesse morso una tarantola, rischiando di trascinare a terra il telefono: -Maledizione, ci sei Carlo!- Esclamò: -Sputa il resto!- -Il resto non è gran che, per ora, amico mio!- Rispose Carlo: -Ma se pensi che ora Sandoni è l’eminenza grigia di una multinazionale che attinge parte dei suoi utili dall’ import-export di surgelati, un prodotto che si presta ad essere poco controllato, così in mezzo ci puoi nascondere altra merce e che Marotta ha subito il processo per commercio “in nero” di prodotti analoghi...- Si beò della reazione quasi esplosiva di Marte e continuò: -...Non ti preoccupare comunque, ho un appuntamento con un personaggio dell’ambiente che mi porterà delle prove di questo, dopo di ché potrai andare alla polizia con tanto di fanfara al seguito!- La lampadina si accese immediatamente in testa a Marte: con tutti i guai che aveva combinato ultimamente ormai era in grado di fiutarli da lontano. -Ferma il tempo, Carlo! Sento puzza di bruciato!.. Qualcuno potrebbe essersi accorto della tua indagine e questa potrebbe essere una trappola… Quella gente non ci mette niente a farti due scarpe di cemento!-Non ti preoccupare, ti dico!- Ribatté l’amico: -Conosco da tempo la persona: è un pesce piccolo che va a grana e che si è spaventato di quello che sta succedendo...- -Ma è proprio per questo...- Cercò di interromperlo Marte. -Oh no, senti,- Si spazientì Carlo: -non mi mettere i bastoni fra le ruote proprio ora che sto per fare il colpo giornalistico del secolo! E poi è il mio
mestiere, o no?.. A presto, vecchio!- E riattaccò. Marte avrebbe voluto dirgli tante cose per convincerlo, ma come si fa a convincere una persona quando ti sbatte il telefono in faccia? Quello andava a farsi ammazzare e lui non poteva evitarlo in nessun modo! Guardò il telefono: la polizia?.. E poi che gli raccontava?.. Che l’amico di un ricercato, chissà dove, chissà quando, doveva incontrarsi con chissà chi, per una storia di fantascienza?.. Come sempre nei momenti di maggior tensione, lo stomaco cominciò a contrarsi: strano per lui, aveva le mani sudate.
10°parte Il tempo stringe
Cercò di scaricare la tensione girando attorno al tavolo e riflettendo con calma; ma al ventitreesimo giro sembrava che l’ulcera gli scoppiasse. Un’idea improvvisa... ma certo, forse un modo c’era! Corse in camera dalla vecchia signora, la svegliò e la convinse a farsi accompagnare da una delle sorelle che abitava ad una decina di chilometri. Mentre la donna si vestiva, si infilò in tasca una forchetta, il telecomando speciale, recuperò il registratore col suo nastro, che portò in posizione, gli montò tre pile nuove che aveva trovato nel mobile e recuperò i cavi di collegamento. Controllò che questi fossero compatibili con quelli del computer: OK! Allora cercò l’agenda dell’amico; nella prima pagina c’erano tutti i dati che lo riguardavano: lo strappò e se la mise in tasca. La madre di Carlo uscì di camera non ancora del tutto convinta, ma Marte non le diede il tempo di obiettare: la prese sottobraccio e se la trascinò lungo le scale fino dabbasso. Non c’era il tempo per trovare un taxi per farsi accompagnare dalle parti della stazione e recuperare la sua famigliare. Dalla finestra della sua camera aveva notato la vecchia ‘500’ parcheggiata sempre nello stesso punto, lì sotto: con quella sapeva come fare. Si guardò attorno, furtivamente e, resistendo alle domande meravigliate della donna, aprì prima il deflettore, servendosi della forchetta piegata, poi introdusse la mano per togliere la sicura, quindi trascinò la signora in auto. Staccò i cavi di corrente, li arrotolò insieme, dopo di ché tirò la leva di accensione: l’utilitaria borbottò, scodinzolò, sputacchiò, denunciando tutti i suoi anni di intemperie, poi, conscia di essersi lagnata a sufficienza, rombò decisa. Marte si sentì fiero… l’esperienza di quando, adolescenti, avevano rimesso in funzione un’utilitaria, abbandonata alla demolizione, per costruirsi un “Desert rat” (topo del deserto, ovvero un economico fuoristrada), che avevano scatenato per le umide campagne locali a dispetto degli agricoltori, serviva a qualcosa ora! Afferrò deciso il volante con entrambe le mani e sterzò di scatto: il secco rumore metallico annunciò la rottura del “bloster”, ultimo ostacolo
alla partenza. Venti minuti dopo Marte aveva scaricato la madre di Carlo dalla sorella e, guidando alla “Ayrton Senna” piuttosto che alla “Niki Lauda”, raccolto in un abitacolo per lui più angusto di una “formula uno”, si diresse verso la zona industriale est. Guidò come un pazzo, urlando al registratore il “suo finale”; e se nessuno di coloro che lo incrociarono quella sera, scambiandolo per pericoloso, telefonò al “113”, fu solo per la pigra e rassegnata abitudine a tutto che governa le genti moderne. Impiegò altri venti minuti per giungere a destinazione: erano le dieci e trenta. Scese dall’ auto con registratore e cavi nella mano destra e telecomando nella sinistra e lo puntò contro il cancello. “I codici sono fatti per essere decodificati...” Disse fra sé e sé nell’ estrarre la pagina strappata dell’ agenda di Carlo dalla tasca: “...Si comincia con l’assumere la data di nascita e le iniziali e farne un bel pasticcio... tipo codice fiscale...” Provò, ma non funzionava. Riprovò con lo stesso numero di codice fiscale integro, ma nemmeno quello andava. Fece la stessa cosa con tutto ciò che trovò sul foglio, ma i cancelli rimanevano immobili. Marte cominciò a sudare freddo: dannazione, ma cosa diavolo aveva codificato l’amico?.. “Un momento!” Si agitò speranzoso: “Questo maledetto codice devono usarlo in tre: Carlo, il suo amico programmatore ed il portiere, per cui non può essere una cosa personale, ma una cosa in comune a tutti e tre... ma cosa? Di fianco al cancello faceva bella mostra una targa in ottone con la data di apertura del centro. “E se fosse questo il codice?” Si chiese Marte…
11°parte: Cronisti non si nasce, ma si diventa!
”… Non si corre certo il rischio di dimenticarlo! Però potrebbe anche essere troppo elementare: chiunque, dotato di un telecomando ad alta frequenza, potrebbe comporlo per prova!.. A meno che non lo si traduca con il linguaggio di programmazione… Con il codice binario, per esempio, facile da insegnare anche al portiere!” Marte provò immediatamente e compose sulla tastiera un numero fatto di zero e di uno: “Zero, uno, zero, uno, zero, uno, zero, zero, zero... uno, uno, uno!”. Un ronzio ed i cancelli cominciarono ad aprirsi lentamente. Per sfogare silenziosamente la tensione accumulata in quei minuti eterni, Marte diede un balzo di gioia che avrebbe fatto invidia a Maradona. Si infilò il telecomando in tasca e, appena l’apertura dei cancelli fu grande abbastanza da are, s’infilò e penetrò nel prefabbricato di cemento. Imboccò un lungo corridoio laterale che dava accesso a varie sale. Aprì la prima, sperando che non fosse quella del portiere: era l’archivio. Dai racconti di Carlo, la sala di trasmissione doveva essere attigua! Aprì la porta che aveva di fronte e ne ebbe soddisfazione: sulla parete ventilata di destra c’era il “cervellone”, mentre sul fondo c’era la trasmittente. Sulla sinistra un contenitore di bobine ed il nucleo registratori formavano una parete, divisi fra loro solo da un minuscolo robot di montaggio che, comandato dal cervellone, toglieva dal tal registratore il tal nastro e ne introduceva un altro. Un’altra uscita temporizzata del computer azionava il registratore, mandando in onda quella registrazione. Spiccavano poi i vari sensori per il controllo sia dei registratori dei trasmettitori. Marte si avvicinò al computer e batté sulla tastiera a mò di chiave lo stesso numero di codice che aveva aperto i cancelli: sullo schermo apparve immediatamente il titolo del programma in onda, il numero del registratore che lo trasmetteva ed il numero d’ archivio del nastro. Richiamò il programma seguente: andava inonda solo fra un’ora sul registratore numero 4 e la posizione d’archivio del nastro era la 14. Staccò i collegamenti del nr.4 ed inserì alimentazione ed uscita suono del suo registratore, controllando che il nastro fosse a zero. Poi si concentrò sulla
tastiera del computer: dapprima escluse il robot di montaggio, poi richiamò il “list” dei programmi. Ora doveva modificare il tempo di fine programma 3-13, ed anticipare quello d’inizio del programma 4-14. Con la sua esperienza fu un gioco da ragazzi. M arte, esausto per la tensione, si accese una sigaretta, sperando che all’amico non fosse ancora successo niente. Una volta che la cosa fosse stata di dominio pubblico, non avrebbero più avuto motivo di nuocergli, anzi avrebbero avuto ben altro a cui pensare!.. E se poi al clamore immediato di quel pasticciaccio fosse seguito, poco tempo dopo, il solito fuggi fuggi dalle carceri di mafiosi malati, o pentiti, quelli non erano più affari suoi! Due minuti dopo Marte dovette sopportare la sua voce, un pò roca, bassa, poco musicale e condita con un locale accento dialettale, andare in onda: Signore e signori, in seguito ad insistenti richieste del nostro affezionato pubblico, abbiamo deciso di anticipare la data di inizio trasmissione della nostra rubrica dedicata al giallo! Ricordiamo ai nostri ascoltatori che chi manderà la soluzione del giallo prima della seconda e conclusiva puntata, vincerà come premio un prestigioso Hi-fi, offerto dalla Pioner..Marte sì beò dell’invenzione: sapeva benissimo che quella promessa avrebbe fatto aumentare l’indice di ascolto ed i tentativi di soluzione... La registrazione continuò: -Naturalmente possono partecipare anche le forse di polizia... - Risata scarsa come la battuta, che Marte si perdonò sfacciatamente: -… Il titolo del giallo di questa sera è: “Personal segreto!” Il vostro amico Carlo viaugura buon ascolto!Qualche attimo di silenzio, poi il racconto cominciò così: - Stralciato dal “RESTO del CARLINO” del 28 novembre scorso: “AUTO URTATA DA UN MEZZO PESANTE, SBANDA INCURVA E FINISCE CONTRO UN PLATANO…- Marte si trovò una poltroncina e si mise comodo: ce n’era per un’ora buona, e lui voleva proprio sentire com’ era venuta la registrazione...