Marilena Boccola
Una casa per due
Edizione 2017
Immagine di copertina Sherazade Graphics
Proprietà letteraria riservata a Marilena Boccola.
Opera protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
L’amore non ha casa, non ha un’orbita terrestre non risponde ai più banali meccanismi tra le forze, è un assetto societario in conflitto d’interesse l’amore non esiste…
Ma esistiamo io e te e la nostra ribellione alla statistica un abbraccio per proteggerci dal vento l’illusione di competere col tempo
L’amore non esiste – Fabi, Gazzé, Silvestri
UUID: 703a90ca-3bee-11e7-85de-49fbd00dc2aa
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write http://write.streetlib.com
1. UN UOMO NUDO SUL TERRAZZO
«Clara, non ci crederai, ma sulla terrazza sopra al garage c’è un uomo nudo!» «Come, un uomo nudo?» «Sì, è steso sul lettino a pancia in giù, ma… non indossa il costume da bagno… è nudo!» esclama Vittoria al telefono con l’amica, mentre da dietro la vetrata della mansarda osserva dall’alto la proprietà di cui ha appena preso possesso e il piccolo borgo di case bianche, strette le une alle altre, in cui è incastonata. Sullo sfondo, il mare scintillante al sole, nella luce della tarda mattinata, solcato da vele. «E com’è?» chiede l’amica, incuriosita «Ma che domande mi fai? La domanda giusta è: “chi è?”» risponde Vittoria, spazientita, senza poter fare a meno di posare lo sguardo sui glutei sodi e scolpiti dello sconosciuto, probabilmente addormentato. «Magari, quella terrazza fa parte di un’altra casa…» cerca di aiutarla a capire l’amica. «Non credo proprio! Quella è la terrazza della casa di zia Lucrezia, cioè di questa casa! Ho visto la planimetria proprio ieri dal notaio: non mi sbaglio di certo!» «Però, è strano… non può essere un ladro; non si è mai sentito che i ladri si mettano sul terrazzo degli altri a prendere il sole!» continua Clara. «Il cancelletto era aperto, magari è qualcuno che ha notato la casa disabitata da un po’ e ha pensato bene di farsi i propri comodi. In fondo, basta salire la scala esterna» riflette Vittoria ad alta voce, scostandosi di lato i lunghi capelli castano dorato. La ragazza sposta il cellulare all’orecchio sinistro e apre la finestra con la destra. Infine, si allunga fuori per scrutare meglio la terrazza, la cui balaustra in pietra è coperta di edera e di buganvillee color carminio.
«Che faccia tosta, adesso vado a dirgliene quattro!» comunica, irritata, all’amica, rientrando con il busto dalla finestra, non prima di aver lanciato uno sguardo estasiato tutt’intorno, sui muretti a secco che delimitano i giardini e gli orti vicini coltivati a limoni, ulivi e pomodori e ombreggiati da pergole rivestite di foglie di fico e di vite. «Ciao, cara! Tienimi aggiornata» la congeda Clara. Vittoria scende la scala a chiocciola che conduce al primo piano, lasciandosi alle spalle i mobili coperti da teli bianchi della mansarda; spostandosi nel corridoio, arriva infine al piano terra, decisa ad affrontare lo sconosciuto. Quando esce all’aria aperta, il sole è talmente abbagliante da ferirle gli occhi, costringendola a rientrare per afferrare al volo gli occhiali da sole stile Audrey Hepburn posati sul mobile all’ingresso e dirigersi poi, ad ampi i, verso il fondo del cortile, evidentemente trascurato, dove l’erba cresce alta, soffocando i fiori nati spontaneamente. Purtroppo, la pavimentazione dissestata frena improvvisamente l’avanzata a o di marcia della ragazza: un o falso la porta a perdere l’equilibrio e a cadere rovinosamente a terra, da dove lancia un istintivo urlo di dolore e disappunto. «E che cazzo!» impreca Riccardo, sobbalzando sul lettino e sollevando la testa per guardarsi attorno. Cos’era? Sembrava il verso di un gatto in amore!, pensa, infastidito. Comunque, ormai è tardi, meglio andare a cercare qualcosa da mangiare. Si siede, s’infila gli slip e le bermuda beige abbandonate a lato del vecchio lettino in vimini scolorito su cui si era steso, incapace di resistere al piacere di farsi accarezzare dal sole, completamente nudo. Fa scorrere sulla pelle abbronzata del torace muscoloso la semplice t-shirt bianca che estrae dallo zaino e s’incammina giù per le scale della terrazza, ciabattando incurante nelle infradito di corda e si dirigere verso il cancelletto in ferro coperto di vegetazione, sul retro della casa. Al lato opposto dell’abitazione, Vittoria, ancora stesa a terra, la caviglia dolorante, cerca faticosamente di alzarsi e, zoppicando, raggiunge infine la gradinata dalla quale si accede al tetto pianeggiante del garage, accorgendosi, con stupore, che ormai è deserto. Avvicinandosi alla balaustra per guardarsi attorno, scorge in lontananza, in fondo al viottolo che conduce al piccolo centro del paese, un uomo alto e scuro di capelli con uno zaino in spalla. Un vagabondo… - pensa - speriamo che non si faccia più vedere, altrimenti sarò
costretta a chiamare i carabinieri!, conclude fra sé con rabbia,decidendo d’impulso di andare a mangiare un boccone prima di recuperare le proprie valigie in macchina e mettersi al lavoro per sistemare la casa.
2. UN REGALO INATTESO
«È morta zia Lucrezia» le aveva detto sua madre al telefono circa un mese prima, chiamandola nel cuore della notte. «Zia Lucrezia?» aveva chiesto conferma in un sussurro, sedendosi di scatto nel letto, mentre una mano le afferrava lo stomaco; il naso aveva iniziato a pungere e gli occhi le si erano riempiti improvvisamente di lacrime, che avevano preso a scenderle silenziose lungo le guance. «Mi hanno appena chiamata dalla casa di riposo» aveva continuato Ines a mo’ di conferma. «Ormai non mi riconosceva più, però, quando andavo a trovarla, era dolce come lo è sempre stata, anche se mi chiamava signora e mi dava del lei… a me, capisci? A sua sorella…» aveva concluso con un sorriso triste che Vittoria aveva percepito anche attraverso il telefono. «Sarà possibile fargli visita dalle nove… ci vediamo là domani mattina, tesoro?» «Va bene, mamma…» aveva risposto con un filo di voce, tirando su con il naso, mentre cercava inutilmente un fazzoletto per asciugarsi le lacrime. I giorni del lutto si erano susseguiti confusi, tra il dolore e le necessarie incombenze per organizzare le esequie, fino al giorno del funerale, quando madre e figlia avevano stretto mani, baciato guance, incrociato timidi sorrisi di circostanza senza, in realtà, riconoscere nessuno tra i lontani parenti dal lato dello zio Gustavo, perché da parte di Lucrezia erano rimaste, ormai, solo loro due. Soltanto quando si era chinato su di lei quel ragazzo bruno aveva riconosciuto nel taglio allungato dei suoi occhi dorati, ombreggiati da lunghe ciglia, il ragazzino dispettoso – come si chiamava? Non lo ricordava più - con cui aveva giocato, estate dopo estate, nella casa al mare degli zii. «Hai visto Riccardo? Che bell’uomo è diventato» aveva esordito improvvisamente Ines qualche giorno dopo, mentre sistemavano i pochi vestiti della zia. «Chi è Riccardo?» aveva chiesto Vittoria poco interessata, continuando a piegare
un maglione in lana rosa cipria un po’ infeltrito. «Ma il nipote di zio Gustavo! Non te lo ricordi? Da bambini litigavate sempre…» «Sì… mi è sembrato di averlo riconosciuto» aveva confermato distrattamente «Non mi è mai stato simpatico…» «Chissà se si è sposato, dovrebbe avere almeno trentatré anni, ormai» «Mamma, chi se ne frega!» «Dicevo così per dire… zio Gustavo gli era affezionato almeno quanto zia Lucrezia lo era a te. Peccato che ci siamo persi di vista, ma suo padre lavorava all’estero e la sua famiglia ha sempre vissuto in giro per il mondo, anche se amavano la Liguria quanto noi». «Direi che forse è l’unica cosa che mi accomuna a uno così: mi tirava sempre i capelli e mi rincorreva nel giardino degli zii fingendo di essere un lupo cattivo… mi faceva una tale paura!» «Dai Vittoria, eravate due bambini!» «Sì, ma lui era più grande e finiva sempre per farmi piangere». «Era un bambino anche lui! Dovrebbe avere tre anni più di te… l’ultima volta che l’abbiamo visto, tu non l’hai nemmeno salutato, te ne sei rimasta chiusa in camera a leggere per tutto il tempo». «Ero un’adolescente, mamma». «Un’adolescente difficile!» aveva concluso piccata Ines, prima di cambiare discorso, mentre Vittoria pensava che, in realtà, era stata un’adolescente timida, alle prese con i primi turbamenti amorosi in quell’estate di quindici anni prima. «Ah! Quasi dimenticavo… Tesoro, siamo state convocate nello studio del notaio Lojodice per la lettura del testamento». «Addirittura!» aveva esclamato Vittoria, sollevando finalmente la testa da un mucchio di calzettoni colorati. «Ma se la zia non aveva più niente!»
«Sembra che qualche effetto personale le sia rimasto, anche se penso che il Comune abbia venduto tutte le sue proprietà per poter pagare la retta della casa di riposo». «Non stavano per niente male gli zii, vero? Economicamente, intendo» «Zio Gustavo proveniva da una famiglia benestante di commercianti e mia sorella ha sempre fatto la signora, anche se non ha mai voluto smettere di insegnare; era la maestra del paese, un’autorità all’epoca. Ricordo quando andavo a trovarla con i tuoi nonni: a me che ero ancora una bambina, sembrava una principessa!» «Era molto più grande di te, se non ricordo male». «Eh, sì! Aveva quasi vent’anni in più!» Vittoria aveva notato lo sguardo sognante della madre, immersa nei ricordi della propria infanzia, praticamente da figlia unica, con una sorella già grande e sposata. «È grazie alla zia se mi sono apionata tanto alla lettura. Ricordo quanto mi piaceva cercare tra gli scaffali dei suoi libri! La sua biblioteca personale era fornitissima! E quanti libri mi ha regalato: Il giardino segreto, Piccole donne, Il fantasma di Canterville, Il Piccolo principe, Peter pan, Il mago di Oz, Alice nel paese delle meraviglie...» «Basta, basta, cara! Magari è anche un po’ colpa della zia se hai scelto di laurearti in lettere» era intervenuta la madre, mettendo da parte una camicia gialla con delle improbabili ruches al collo. «Mamma, questo è un colpo basso… cosa vorresti dire?» Vittoria era decisamente irritata quando, puntando il viso verso la madre, l’aveva fulminata con gli occhi. «Niente, tesoro! Solo che è più difficile trovare un lavoro, tutto qua!» «Per tua conoscenza, sembra che a settembre mi rinnoveranno l’incarico come insegnante di italiano e, comunque» aveva sottolineato, alzando un po’ il tono della voce «negli ultimi tre anni sono sempre riuscita a fare l’intero anno scolastico». «Sì, ma non sei ancora di ruolo» aveva insistito Ines con pedanteria, tanto che
Vittoria si era alzata in piedi con un scatto di rabbia e, dicendo alla madre di farle sapere l’orario dell’appuntamento dal notaio, era uscita dalla stanzetta in cui la zia aveva ato gli ultimi anni della sua vita sbattendo la porta con forza. «Signore, prego, entrate!» il notaio Lojodice le aveva accolte ossequioso nel proprio studio, facendo accomodare madre e figlia sulle poltrone in cuoio di fronte alla propria elegante scrivania in radica. «Come sapete, siete qui per ascoltare le ultime volontà della signora Lucrezia Pedemonte». Il notaio aveva fatto una pausa guardando le due donne da sopra gli occhialini da presbite, per poi proseguire nella lettura. «Dunque, la signora ha stabilito nel proprio testamento, depositato presso il mio studio, di lasciare tutti i propri effetti personali alla sorella Ines Maria Pedemonte… » altra pausa durante la quale Ines e Vittoria si erano guardate scambiandosi un mesto sorriso a conferma delle proprie convinzioni. « …tranne la casa di La Serra posta nel Comune di Lerici, Provincia di La Spezia». «La casa di La Serra?! Ma non era stata venduta?» lo aveva interrotto Ines. « Tranne la casa di La Serra» aveva ripreso il notaio, il tono leggermente irritato «che, leggo testualmente, lascio con tutto il suo contenuto alla mia adorata nipote Vittoria e a mio nipote Riccardo, secondo le ultime volontà del mio amato marito Gustavo, a patto che vi abitino insieme per almeno un anno». «Cosa?!» aveva esclamato Vittoria, allibita. «Il Signor Riccardo Bacigalupi è stato nominato erede universale insieme a lei, signorina Costa. Pertanto, ha il suo stesso diritto sulla proprietà di La Serra che consta in un edificio su due piani più mansarda di poco più di 200 metri quadrati con annessi garage e giardino, disposti secondo la planimetria a sua disposizione» le aveva risposto seccamente il notaio, iniziando a dispiegare un ingombrante foglio di carta ingiallita. «Purtroppo, il Signor Bacigalupi, al momento, non è reperibile» aveva continuato il notaio, anticipando le domande di Vittoria. «Sembra che sia all’estero». «Ma potrebbe rinunciare?» aveva chiesto Ines, ansiosa. «Tutto è possibile» aveva risposto Lojodice, intrecciando placidamente le dita
delle mani sul ventre prominente e restando a fissare le due donne, il collo incassato nelle spalle, apparentemente ignaro dello scompiglio che, per suo tramite, il testamento della zia Lucrezia aveva creato.
3. INCONTRI RAVVICINATI
Ho sempre amato la piazzetta di Tellaro, pensa Vittoria guardandosi attorno soddisfatta, seduta all’ombra di una pergola, al tavolino di un bar all’aperto, tra il frinire delle cicale. Sta gustando un prosecco la cui freschezza s’indovina dal vetro appannato del calice che regge in mano, mentre spilucca appetitosi pezzi di focaccia ligure, grosse olive, fettine di salame piccante e colorate verdure in pinzimonio. Non ha potuto resistere alla tentazione di una pausa nei luoghi in cui ha ato le estati della sua infanzia e il piacere che prova nel farsi baciare dal sole che filtra tra le foglie è evidente dal sorriso che non riesce a togliersi dal volto, mentre pensa alle tante cose successe nell’ultimo mese e ai lavori da fare nella casa di zia Lucrezia – che ora le appartiene - là sulla collina. Finito di mangiare, ordina un caffè che assapora lentamente con gli occhi socchiusi, prima di incamminarsi verso il porticciolo, decisa a inerpicarsi sugli scogli neri per ammirare il mare blu sul quale volano in picchiata i gabbiani, come sfregi di tempera bianca sullo sfondo cobalto del cielo. Che meraviglia!, pensa, allargando le braccia come per afferrare tutto quello splendore davanti a sé. Dopo aver inspirato profondamente, si china per togliere dalla sacca un asciugamano che stende sugli scogli, cercando la posizione più confortevole e si spoglia velocemente, come un bambino che non può più resistere al desiderio di fare un tuffo in mare. Rimasta in costume, raccoglie i lunghi capelli sulla nuca con un fermaglio e s’incammina in precario equilibrio verso l’acqua che immagina fresca e ristoratrice, trattenendo qualche smorfia per il dolore alla caviglia che è tornato a farsi sentire. S’immerge adagio tra le onde che da vicino appaiono tendenti al verde, cercando di acclimatarsi, salvo irritarsi a causa di un uomo che sta posando tra le onde con troppa irruenza una canoa gialla a noleggio, finendo per schizzare inavvertitamente la pelle calda di Vittoria, non ancora pronta all’acqua fresca di giugno. Imprecando fra i denti un “ Cretino” rivolto allo sconosciuto, inizia a nuotare placidamente, allontanandosi dalla riva.
«Ahi!» All’improvviso, quando dopo la lunga nuotata ristoratrice stava già meditando di risalire a riva, la pala di una pagaja colpisce la ragazza alla testa, facendola finire sott’acqua, per riemergere tossendo poco dopo, i capelli completamente bagnati. «Mi scusi! Non l’avevo vista!» esclama, sporgendosi dalla canoa per verificare l’accaduto, quello che si rivela essere lo stesso uomo maldestro che l’aveva schizzata mezz’ora prima. «Stia attento!» ribatte seccata Vittoria, maledicendolo di nuovo tra sé. Quel cretino, ancora lui. Uffa! Non volevo bagnarmi i capelli… adesso, oltre al male alla caviglia, mi verrà anche un bel bernoccolo! Proprio oggi non è giornata, mugugna fulminandolo con lo sguardo. Eppure, quegli occhi mi ricordano vagamente qualcuno…, nota. «Spero di non averle fatto male…» mormora lui, assumendo un’aria dispiaciuta, mentre abbozza un sorriso arrendevole che gli illumina il bel viso abbronzato. Purtroppo, Vittoria è troppo seccata per apprezzare il suo tentativo di conciliazione, tanto più che si sente osservata con insistenza. Girandosi verso riva, riprende a nuotare, borbottando: «La prossima volta, stia più attento». Accidenti! Non ricordavo che fosse così ripida questa strada, riflette Vittoria, inerpicandosi sul sentiero che risale la collina, per raggiungere il paese di La Serra. Il viso arrossato e i capelli umidi in disordine, inizia a rimpiangere di non essere scesa al mare con l’auto, anche se non è facile trovare un parcheggio vicino a Tellaro. Questa caviglia, poi! Mi fa sempre più male, si dice sconsolata, chinandosi per evitare un argenteo ramo d’ulivo sporgente, mentre la calda luce del sole al tramonto illumina il muretto a secco che costeggia il sentiero. Se questo è l’inizio… continua a pensare, andando con il ricordo all’ultima volta in cui è stata in quei luoghi, quando ancora vi abitava zia Lucrezia, fino a lasciarsi prendere dal timore delle incombenze che l’eredità di una casa, non certo in ottime condizioni, comporta. E quella clausola poi… come farò con l’insegnamento? Quando finalmente sbuca nella stretta via principale del paese, la sua testa è ancora piena di pensieri preoccupati. Vittoria percorre l’acciottolato, fino a raggiungere il sagrato della chiesa che si affaccia sul mare, laggiù, incendiato dal
sole che piano piano vi affonda, sciogliendosi come un ghiacciolo all’arancia. L’immagine è talmente bella da spazzar via tutti i pensieri negativi che le hanno affollato la mente durante la salita; la giovane donna, posando le mani sulla balaustra davanti a sé, si lascia estasiare da tutto quell’oro in contrasto con le nuvole nere che si stanno addensando al lato opposto del cielo e inspira profondamente, restando a lungo in contemplazione. Rasserenata, ma leggermente zoppicante, si avvia poco più giù, dove ha lasciato l’auto quella mattina stessa. «Merda!» esclama, appena scorge un foglietto piegato sotto al tergicristallo del parabrezza. Accelera il o per avvicinarsi, ma una fitta alla caviglia le toglie il fiato costringendola a fermarsi. «Ci mancava solo una multa, per completare questa bella giornata!» sbotta, rabbiosa, appena ha conferma del suo presentimento. Guardandosi attorno, nota che, in effetti, sul cartello mezzo nascosto da una pianta di fichi è indicato chiaramente che quel parcheggio è riservato ai residenti. «Non è possibile! E adesso dove metto la macchina?» scuote la testa, contrariata, mentre cerca le chiavi nella sacca. Comunque, non finisce qui!, sbotta, salendo in macchina e sbattendo la portiera con forza, prima di partire sgommando alla ricerca di un altro posto. Ma quanto pesa! Meno male che è l’ultima. Vittoria sta trascinando la sua valigia più ingombrante lungo la scalinata a bassi gradoni che conduce alla casa della zia. Davanti alla porta è ammassato il resto dei suoi bagagli. Basta! Non ne posso più di questa giornata! Sempre più irritata, tira dentro tutte le sue cose, pregustando un bagno rilassante che le faccia ritrovare, anche solo momentaneamente, la perduta serenità. «Te l’ho detto, mamma, la casa è tutta da pulire e sistemare perché è rimasta come me la ricordavo quindici anni fa…» Sdraiata nella vasca del bagno al primo piano, Vittoria parla al telefono con la madre. «Per stanotte, in qualche modo mi arrangerò, però, da domani, mi devo dar da fare. Oggi non ho resistito e, alla fine, ho ato tutto il pomeriggio a Tellaro». «Ancora bella?»
«Bella, sì! Come sempre». «E cosa hai fatto?» Per un momento la voce di Ines viene coperta da un fragore assordante. «Mio Dio, che tuoni!» sobbalza Vittoria «Scusa mamma, ti devo lasciare, corro subito a chiudere le finestre». «Certo, vai tesoro, ma stai attenta!» «Sì, ciao!» Attenta a cosa? L’acqua, cosparsa di sali al profumo di rosa che ha trovato sul pensile in bagno, è ormai fredda. La ragazza, congedata velocemente la madre, si alza di scatto, spaventata, mentre la pioggia inizia a picchiare insistentemente contro i vetri. Dei rumori provenienti dalla porta al piano terra le fanno gelare il sangue nelle vene. Dev’essere qualcosa che sbatte, pensa per rincuorarsi, quando il rumore si ripete più forte. Allarmata, esce dalla vasca, afferra l’asciugamano e se lo avvolge attorno al corpo; infine, i capelli gocciolanti sulle spalle, si dirige verso la porta. Le sembra persino che qualcuno stia salendo le scale, ma… è impossibile! Dai Vittoria, stai tranquilla, ti stai facendo suggestionare dal temporale, si ripete ansimando, prima di ritrovarsi a urlare davanti alla sagoma scura, sbucata improvvisamente dalla porta del bagno rimasta socchiusa. In preda al terrore, tempesta di pugni il petto dello sconosciuto, senza rendersi conto che il telo che le avvolgeva il corpo le è scivolato ai piedi. «Ehi! Calma, calma!» sente dire da una voce profonda, mentre due mani forti le afferrano i polsi e lei non riesce a smettere di urlare e dimenarsi. Quando, finalmente, Vittoria mette a fuoco l’uomo davanti a lei, nota che ha qualcosa di familiare. Sentendosi addosso i suoi occhi allungati, prima beffardi sui suoi capelli sicuramente scarmigliati e poi eloquenti sui suoi seni turgidi, Vittoria si divincola con uno strattone e, chinandosi velocemente ad afferrare l’asciugamano caduto a terra, si copre con un gesto stizzito. «E tu cosa ci fai qui?!» urla infine, riconoscendo nel giovane davanti a sé quel cretino che le ha dato una botta in testa con la pagaja nel pomeriggio. «Vittoria! Mi sembrava, infatti… Sono Riccardo! Non ti ricordi di me?
4. UN INIZIO DIFFICILE
«Ero convinto che in casa non ci fosse nessuno» spiega Riccardo seduto sul divano del soggiorno dal quale ha tolto il telo bianco che lo copriva. Vittoria, ormai vestita, lo ascolta con le braccia conserte stando in piedi vicino al tavolo. «Mi sono spaventato anch’io, cosa credi? Prima non riuscivo ad aprire la porta d’ingresso – infatti, sono fradicio – poi, quando sono entrato, ho visto la luce filtrare dalla porta in cima alle scale e ho sentito dei rumori» fa una pausa, guardandola negli occhi «in più, i tuoni e i lampi hanno fatto il resto» conclude. «A parte il fatto che sarebbe meglio che tu ti togliessi quei vestiti bagnati». L’espressione maliziosa di lui costringe la ragazza a proseguire rapidamente il discorso «non dirmi che il notaio non ti ha avvisato che io ero già qui» risponde Vittoria, piccata. «Ti assicuro che non ne sapevo niente» Riccardo si alza di scatto afferrando Vittoria per le braccia, cercando di convincerla. Quel contatto imprevisto lascia entrambi come scottati; infatti, Vittoria si ritrae velocemente e Riccardo, come attraversato da una scossa elettrica, si lascia ricadere sul divano, amareggiato dalla fermezza che ha intravisto negli occhi azzurri di lei. «Va bene, pensa quel che vuoi» continua, sconfortato. «Sono ritornato in Italia tre giorni fa, ho ritirato in posta la raccomandata in cui si diceva che avevo ereditato questa casa e sono partito stamattina per arrivare qui a La Serra. Non l’ho nemmeno sentito il notaio». «E chi ti avrebbe dato le chiavi?» «Senti, Sherlock Holmes dei miei stivali, era un vecchio mazzo arrugginito di mia madre, va bene?» risponde prontamente, fissando la ragazza con ironia. Per un momento, le certezze di Vittoria sembrano vacillare, ma poi insiste, ostinata: «Ma scusa! Mi sembrava di averti intravisto al funerale della zia…»
«Infatti, c’ero! Soltanto che il giorno stesso sono partito per andare a trovare i miei genitori a Lione; non li vedevo da più di sei mesi. È stata mia mamma ad avvisarmi che la zia Lucrezia era morta, ma purtroppo non è potuta venire al funerale perché mio padre sta male…» «Mi dispiace per tuo padre». Riccardo scuote la testa, stringendo per un momento le labbra carnose: «È malato da tempo» chiarisce laconico, senza aggiungere altro. «Quindi non sai…» prosegue la ragazza, evidentemente non ancora del tutto convinta, dopo un attimo di silenzio. «Cosa dovrei sapere?» «Ad esempio, che anch’io ho ereditato questa casa». «Una parte, immagino…» «No, tutta la casa con annessi e connessi». «Ma se l’ho ereditata io!» «Sì, ma insieme a me!» «Va bene, ma credo che potremmo accordarci sulla divisione…» «Certo, come no! Da bambini andavamo d’amore e d’accordo!» ribatte Vittoria, sarcastica, guardandolo di sottecchi. «Perché, non è così?» le chiede Riccardo, ammiccando, mentre l’immagine di lei ragazzina che gli sfugge e lui che la rincorre ridendo gli balena per un attimo nella mente, suscitandogli un sorriso che manda visibilmente in bestia la sua interlocutrice. «Eh no…» risponde lei, fulminandolo con un lampo di antico odio. Impossibile sbagliarsi, considera Riccardo. «La cara zia Lucrezia ha disposto che la casa sia di entrambi a patto che ci abitiamo insieme… per almeno un anno» conclude con aria di sfida.
«Cazzo!» All’inaspettata rivelazione, Riccardo si lascia sfuggire un’imprecazione e, coprendosi la faccia con le mani, ricade, incredulo, con la testa all’indietro contro lo schienale del divano.
5. ACCORDI E DISACCORDI
Un raggio di sole filtra dalla finestra, riflettendosi proprio sul viso di Vittoria, stesa sul letto in una delle stanze al primo piano. La pioggia insistente della notte sembra aver lasciato il posto a quella che promette di essere una splendida giornata. Riccardo sale le scale reggendo un vassoio che diffonde nell’aria un irresistibile aroma di caffè appena fatto. Bussa alla porta ed entra senza attendere risposta. «Forza, svegliati dormigliona!» invita la ragazza senza troppi complimenti, posando il vassoio sul comò per aprire le persiane e lasciare che il suo sguardo venga rapito dall’acquarello che si disegna davanti ai suoi occhi, dalle case bianche in contrasto con l’azzurro del cielo e dalle cascate di buganvillee che scendono lungo il muro della casa. «È una giornata meravigliosa» dice, avvicinandosi a Vittoria che inizia a muoversi languida, stiracchiandosi e stropicciandosi gli occhi ancora chiusi. «Ma che cavolo…» esclama lei, sedendosi di scatto sul letto, improvvisamente conscia della situazione. «Ti ho portato il caffè e qualcosa da mangiare, visto che ieri sera non hai voluto dividere la mia cena…» spiega Riccardo, porgendole la tazzina, conciliante. «Senti, mettiamo subito in chiaro che abitare nello stesso posto non significa necessariamente fare delle cose insieme» risponde Vittoria, scontrosa, senza tuttavia rifiutare il caffè. «Quali cose?» chiede Riccardo, guardandola malizioso. «Tipo questa!» ribatte la giovane, alzando il tono della voce, ma allungando, al contempo, la mano per afferrare un biscotto, mentre lui la guarda soddisfatto, senza che lei sembri accorgersene. «Vedo che hai fame… hai fatto male ieri sera a non mangiare uno dei miei
panini». «Mi sarebbe andato di traverso!» esclama la donna, scendendo dal letto. «Ahi!» esclama subito dopo, una smorfia di dolore sul viso. «Che succede?» Vittoria sta per rispondere, ma evidentemente un pensiero le attraversa la mente ed esclama: «Oh, no! Non dirmi che eri tu anche quello che prendeva il sole ieri in terrazza!» Riccardo aggrotta le sopracciglia: «Come fai a saperlo?» «Ti ho… visto» spiega, arrossendo leggermente, e confermando così a Riccardo di averlo visto nudo, steso sul vecchio lettino in vimini della zia. «E questo cosa c’entra con la tua caviglia?» «Stavo venendo a dirtene quattro, pensando che fossi un vagabondo che si era introdotto nella proprietà, ma sono inciampata sulle pietre del vialetto e mi sono fatta male. Nel frattempo tu te ne sei andato». «Mi sembrava di aver sentito un urlo, infatti… Fammi vedere, dai» la invita rassicurante, facendola sedere di nuovo sul letto per afferrarle la caviglia gonfia ed esaminarla con attenzione. «Lasciami stare, non è niente» tenta di allontanarlo Vittoria. «Non mi sembra. Hai preso una bella slogatura, serve una fasciatura». «Ma cosa ne sai?» «Si dà il caso che sia un medico!» ribatte fissandola negli occhi «Ora, da brava, mi aspetti qui buona buona, mentre vado a prendere pomata e garze» conclude, serio. Le mani di Riccardo sono delicate, mentre le spalma la crema e le avvolge la caviglia con delle lunghe fasce bianche, tanto da farle salire un brivido lungo la schiena. Lei approfitta del suo capo chino e dello sguardo concentrato per osservare i suoi capelli mossi che gli ricadono un po’ lunghi sul collo; la pelle
liscia e abbronzata del viso rasato di fresco; le sopracciglia folte a incorniciare due occhi allungati, ombreggiati da lunghe ciglia che rappresentano il suo segno distintivo, quello che le fa riconoscere in lui il ragazzino dispettoso, fonte dei suoi crucci e turbamenti ai tempi in cui si ritrovavano d’estate a casa degli zii con i rispettivi genitori. D’un tratto Riccardo alza gli occhi e il suo sguardo interrogativo incontra quello sorpreso di lei. «Tutto bene?» le chiede, ignaro dei suoi pensieri «Ho stretto troppo?» si accerta. Vittoria distoglie lo sguardo, scuotendo il capo: «No…» sussurra incantata. «Mi dispiace essere stato la causa involontaria della tua distorsione, spero di non averti fatto male anche con la pagaja…» si scusa lui, ma Vittoria avrebbe giurato che gli stesse sfuggendo una risata. «Lasciamo perdere e diamoci da fare!» nel dubbio se lasciarsi intenerire dal suo atteggiamento conciliante o se prenderlo a sberle per la sua sfrontatezza, la ragazza chiude seccamente la parentesi alzandosi dal letto. «Come proponi di organizzarci?» chiede Riccardo. «Direi di dare un’occhiata in giro e decidere insieme cosa fare, visto che, a quanto pare, siamo comproprietari» suggerisce Vittoria, non troppo felice della situazione. «Affare fatto, bimba!» ribatte il giovane con entusiasmo, dandole quella che sembrerebbe un’affettuosa pacca sulla spalla, che lascia la ragazza impalata e perplessa. Bimba… ma come si permette?, rimugina tra sé, decidendo infine di lasciar perdere. «Senti, chiariamo una cosa: va bene che ci dovremo abitare insieme in questa casa, ma dividiamoci comunque gli spazi così poi potrò andare in bagno a vestirmi…» «Sono d’accordo. Io stanotte ho dormito nella camera in cui stavo con i miei genitori, così come hai fatto tu con quella che usavi con i tuoi…»
«Okay. Allora ognuno di noi si prenderà anche la stanzetta a fianco. Io, se non ti dispiace, ei il bagno sopra alle scale e tu quello a piano terra» prosegue Vittoria, vedendo Riccardo annuire «per quel che riguarda la mansarda in cui dormivano gli zii, ci penseremo...» «Va bene. Resta inteso che soggiorno e cucina saranno comuni». «Così come il garage e il giardino, ma ognuno di noi sarà libero. Non pensare che io mi metta a cucinare anche per te e che ti aspetti per mangiare» mette in chiaro Vittoria. Vedremo… sembra dire l’espressione di Riccardo. «E ora esci dalla mia stanza, per favore» la ragazza chiude il discorso, mettendogli una mano sul petto per spingerlo fuori, cercando di mostrarsi indifferente alla forza maschile che emana, anche se una volta uscito, appoggia la schiena alla porta e prende un bel respiro. Dopo gli scontri iniziali, le giornate trascorrono intense e laboriose, scandite dalle campane della chiesa che suonano a ogni ora. Pulire la casa da cima a fondo, rimuovere i teli che coprono i mobili, liberarla da quelli da buttare individuando i piccoli gioielli da restaurare, togliere le vecchie tende polverose mangiate dalle tarme, snidare ragni e roditori, fare qualche piccola riparazione, pulire a fondo bagni e cucina, lavare i numerosi servizi di tazze, tazzine, piatti, bicchieri e posate risalenti agli anni d’oro degli zii e rinfrescare i muri richiede tempo, sforzi e, soprattutto, collaborazione. Nonostante le resistenze di Vittoria, i due giovani sembrano lavorare di comune accordo, tanto che la ragazza si ritrova in piedi sulla scala, dopo che Riccardo ha dipinto le pareti della cucina di bianco, a completare la sua opera, tracciando un vezzoso profilo blu con un pennellino sottile, aiutata da due strisce parallele di scotch carta. «Accidenti!» impreca sottovoce, sentendo il cellulare vibrare nella tasca posteriore dei calzoncini che indossa. «Pronto?» risponde una volta scesa, ammirando soddisfatta l’esito del suo lavoro. «Ciao, tesoro, come sta andando?» «Ciao, mamma, procede tutto bene!»
«E con Riccardo?» «Mi sta aiutando a sistemare la casa, ma c’è tanto da fare» risponde vaga, imbarazzata dalla presenza dell’uomo. «Avete parlato della condizione che ha messo la zia?» «No, mamma, solo un accenno…» cerca di tagliare corto. «Ma lui lo sa che dovrete abitare insieme per un anno, altrimenti perderete tutti i diritti e la casa andrà al Comune?» «Insomma, mamma! Per adesso, la stiamo sistemando, poi vedremo…» « Vedremo, cosa?» s’intromette Riccardo, avendo senz’altro intuito l’argomento della conversazione. Vittoria lo fulmina con lo sguardo, senza poter evitare che la sua attenzione venga attratta dal torso nudo del giovane, lucido di sudore. «Mamma, devo andare. Ciao!» conclude bruscamente la telefonata, deglutendo. «Guarda che il testamento parla chiaro, io e te dobbiamo vivere qui… insieme» le dice lui, guardandola con serietà. «Ma come farò con il mio lavoro?» sbuffa Vittoria, facendo scorrere la mano tra i lunghi capelli per portarli all’indietro «Non so ancora dove mi assegneranno l’incarico» piagnucola. «L’incarico di cosa?» «Di insegnante… sono un’insegnante d’italiano… precaria» precisa infine, vergognandosi un po’. «Avrei dovuto capirlo… non facevi altro che leggere quando eravamo bambini!» commenta Riccardo, sorridendo dolcemente al ricordo. «Comunque» riprende con tono fermo «fino a settembre non ci sono problemi, poi speriamo che ti assegnino a qualche scuola qui vicino… dove insegnavi lo scorso anno?» «A Lucca dove ho la residenza, a circa un’ora da qui…» risponde Vittoria mestamente, lasciando Riccardo senza parole. «E tu? Non hai problemi con il lavoro?»
«Io devo valutare alcune proposte…» risponde vago. «Addirittura!» ribatte la ragazza con ironia, predisponendosi ad aspettare dei chiarimenti ma, visto che non arrivano, gli volta le spalle apprestandosi a uscire, impettita, dalla cucina. «Ehi!» la ferma Riccardo sulla soglia, afferrandola per un braccio «Guarda che io ci tengo a questa casa e non voglio perderla…» le sussurra, deciso, fissandola negli occhi. Vittoria si divincola e, senza rispondere, esce sbattendo la porta, diretta al piccolo centro del paese. Ma tu guarda che stronzo!, mormora tra sé, allontanandosi a i veloci. Quest’uomo ha la capacità di farmi arrabbiare adesso come ce l’aveva da bambino, pensa ando di fianco alla chiesa, mentre le campane non perdono l’occasione di scandire undici assordanti rintocchi. Raggiunta la piazzetta che, con il suo balcone, si affaccia sul mare, respira a fondo e il sorriso torna a illuminarle il viso. Adoro questo posto! «Grazie zia» sussurra alla brezza, mentre il naso inizia a pungere e gli occhi, al ricordo della tenera vecchietta, le si riempiono di lacrime. «Aprimi!» Entrambe le mani cariche delle buste della spesa, Vittoria grida alla finestra della cucina, ma Riccardo non la sente; in piedi sulla scala sta dipingendo le pareti ascoltando musica con gli auricolari nelle orecchie. «Riccardo!» lo chiama, rossa in viso e con i capelli che le ricadono in avanti, mentre le borse troppo piene le stanno praticamente segando le mani. Infine, la ragazza si decide a posarle sul terrazzo per cercare le chiavi nella borsetta, ma visto che le sfortune non arrivano mai da sole, una busta si piega di lato e il contenuto inizia a rotolare giù per i gradini. «Oh no!» si lamenta esasperata, afferrando al volo una bottiglia di vino bianco che altrimenti avrebbe fatto senz’altro una brutta fine. È una Vittoria di nuovo furiosa quella alla quale Riccardo, ignaro dell’accaduto, si rivolge fischiettando con un sorriso stampato in faccia che, alla vista dell’espressione della ragazza, gli muore subito sulle labbra. «Potevi anche aprirmi, eh!» inveisce lei appena dentro, le mani posate minacciosamente sui fianchi. «Scusa, non ti ho sentito!» le risponde candidamente lui, togliendosi un
auricolare. Vittoria non può far a meno di notare i suoi bicipiti muscolosi, mentre a torso nudo riprende a lavorare. Possibile che debba stare sempre senza maglietta?, si chiede arrabbiata persino con sé stessa per l’effetto che, nonostante tutto, il fisico atletico di Riccardo le suscita. Determinata a distogliersi dalla mente quell’immagine che, anche se non lo ammetterebbe mai, la turba un po’, sistema velocemente gli acquisti e sale le scale con l’intenzione di metter mano alla mansarda, finora rimasta come ai tempi in cui vi dormivano gli zii. «Non dirmi che non hai intenzione di venire giù a mangiare qualcosa!» esclama Riccardo, irrompendo nella mansarda. «Mi sembrava di aver messo in chiaro che vivere nella stessa casa non significa necessariamente fare le stesse cose» risponde Vittoria nel consueto modo piccato, alzando appena gli occhi dal voluminoso album rilegato in pelle che regge sulle ginocchia, mentre a gambe incrociate se ne sta seduta sul parquet polveroso della stanza in penombra. «Mangerò un panino più tardi, adesso non ho fame» aggiunge, tornando a concentrarsi sulle foto. «Cos’hai trovato? Fammi vedere» la invita lui, ignorando la sua risposta e sedendosi accanto a lei, senza badare all’espressione infastidita che ha assunto. «Sono solo vecchie foto…» sospira la ragazza. «Invece, devono essere molto interessanti, se non hai fatto altro che guardarle per l’intero pomeriggio!» le strizza l’occhio, espressione malandrina, volgendo lo sguardo tutt’intorno nella mansarda dove ancora niente è stato toccato se non per un cassetto del comò in noce ancora aperto in cui, presumibilmente, si trovava l’album. «Abbiamo qualcuno che ci rincorre?! Teoricamente, dovremo arci un anno in questa casa» sbotta Vittoria infastidita. «Almeno un anno!» precisa Riccardo. «Non so resistere alle cose che racchiudono emozioni e ricordi come le vecchie foto…» si giustifica infine lei più conciliante, mentre Riccardo, senza farle concludere la frase, le prende con irruenza l’album dalle mani per sfogliarne a sua volta le pagine.
Davanti ai loro occhi sfilano visi in bianco e nero vagamente noti, guance paffute e gonnelline a pieghe, musetti imbronciati e calzettoni ricamati, serissime persone anziane di cui si è persa la memoria e ridicole automobili squadrate che, oltre a sfidare le leggi dell’aerodinamica, sembra impossibile potessero contenere delle persone di statura normale. Nelle prime polaroid a colori, compaiono improbabili pullover gialli e pantaloni a zampa di elefante, foulard fantasia portati al collo o fermati in testa da grandi occhiali da sole e microabiti optical. «Questa è mia mamma!» nota Riccardo osservando il ritratto di una giovane donna dai lunghi capelli chiari con un cappello dalle larghe tese flosce in testa. «L’ho sempre trovata bellissima…» ammette Vittoria. «Da qualcuno devo pur aver preso!» «Spiritoso!» ribatte la donna, guardandolo di sottecchi, dovendo ammettere con sé stessa che, in effetti, i suoi tratti delicati assomigliano davvero a quelli raffinati della ragazza nel ritratto. «Ehi, ma questi siamo noi due!» esclama Riccardo. «Sì… l’avevo vista prima». «Che faccia seria avevi…» «Ero timida e tu non contribuivi certo a farmi sentire a mio agio!» scatta Vittoria sulla difensiva. «Senti chi parla! Eri tu a mettere a disagio me con la tua aria da saputella». «Infatti, qui hai proprio la faccia di un bambino imbarazzato!» Ironizza la giovane. «È inconfondibile il sorrisino da presa in giro che hai ancora oggi». «Devi saper vedere oltre… in realtà, quella è proprio l’espressione che assumo inconsciamente quando mi sento insicuro». «Se lo dici tu!» commenta la donna poco convinta, continuando a sfogliare l’album.
«Questa foto di gruppo la ricordo bene! Voi eravate già qui da qualche giorno quando siamo arrivati noi; zia Lucrezia mi aveva regalato un libro che mi piaceva tantissimo. Infatti, non me ne separavo mai, si vede anche qui, guarda!» Vittoria avvicina la testa a quella di Riccardo, sentendo il calore del suo corpo e un lieve profumo aromatico, ormai evaporato, che si confonde con l’odore della sua pelle. Uno strano rimescolamento l’assale, ma cerca di ricacciarlo giù, da dove è salito, indipendentemente dalla sua volontà. «Avevi sempre un libro con te…» ricorda l’uomo, guardandola negli occhi con un sorriso dolce sulle belle labbra e scostandole con naturalezza una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Vittoria, cercando di non badare al caldo che la sta assalendo, si concentra sui volti nella foto, fino a scorgere un uomo alto e distinto con la camicia a righe. «Papà…» sussurra come una ragazzina, mentre le lacrime, a quella vista inaspettata, le salgono agli occhi improvvisamente, iniziando a rotolare quiete lungo le guance. Dopo qualche attimo di silenzio, Riccardo, notando la commozione della ragazza le chiede con dolcezza: «Ehi, ma stai piangendo? Piccola, vieni qui» e così dicendo la costringe a voltarsi verso di lui e se la stringe al petto. «Mi manca tanto» mormora Vittoria scossa dai singhiozzi. «Se n’è andato così presto!» esplode in un pianto disperato, accomunando il rammarico per una perdita mai del tutto superata e il dolore per la recente scomparsa della zia alla quale era molto affezionata. «Piangi che ti fa bene» le sussurra Riccardo in un orecchio, continuando ad abbracciarla. «Anch’io, a volte, mi chiedo come sarà quando i miei genitori non ci saranno più, specialmente mio padre che convive con una metastasi ormai da tempo» si confida senza lasciarla staccare da sé. «Purtroppo, prima o poi, accade che le persone care ci lascino: è la vita…» «È un dolore che non puoi immaginare, quello di vivere ogni giorno sentendo la mancanza di una persona cara che ti ha visto nascere, ti ha cresciuto e ha sempre voluto il meglio per te, ma ti ha lasciato prima che tu fossi pronto a separartene…» spiega Vittoria, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano, mentre Riccardo la guarda con serietà. Anche Vittoria ricambia il suo sguardo, scoprendo quanto sia facile sentirsi annegare dentro ai suoi occhi ambrati da
tigre. «Quando mai si è pronti?» Quella di Riccardo è una domanda retorica e come tale ricade nel vuoto, prima che con finto tono severo l’uomo tenti di distogliere la ragazza dai pensieri mesti che l’hanno assalita. «Ma ora basta! Ti ordino di venire giù a mangiare!» afferma. «Ti farò le trenette al pesto più buone che tu abbia mai assaggiato» la invita con decisione. «Sono un cibo consolatore, non lo sai? Al pari del latte con i biscotti» conclude, strizzandole un occhio e assumendo così un’espressione talmente malandrina da farla sciogliere all’istante. «Dai, non mi prendere in giro come al solito!» sorride infine Vittoria, chiudendo l’album e lasciandosi finalmente condurre per mano giù dalle scale.
6. UNA PAUSA DALLE CONSEGUENZE INASPETTATE
Dopo settimane di lavoro, la casa inizia a cambiare aspetto: le pareti imbiancate di fresco danno ancora più luce alle stanze, invase dal sole che penetra dalle numerose finestre incorniciate da tendine chiare a piccoli fiori provenzali; le persiane riparate e verniciate di blu cobalto, come il cielo e il mare nei giorni sereni, conferiscono all’abitazione l’aspetto tipico delle case dei pescatori; la pavimentazione ripristinata in cortile e l’erba tagliata di fresco del piccolo giardino illuminato dal giallo dei cespugli di ginestra invitano a sedersi fuori, al tavolino dal ripiano in mosaico, abbinato alle sedie in ferro battuto, ripuliti dalla ruggine. Sul retro, un piccolo orto inizia a offrire succosi pomodori e tenera insalata, mentre nell’aria aleggia il profumo del basilico e delle erbe aromatiche tipiche del mediterraneo. La terrazza sopra al garage è stata attrezzata con un ombrellone e due lettini in tela grezza che hanno sostituito quello in vimini sul quale, un mese prima, Vittoria aveva scorto Riccardo, steso a prendere il sole in costume adamitico. Il muretto di pietre che delimita la proprietà è stato liberato dalle erbacce e sistemato nei punti in cui era crollato. All’interno, la casa appare un po’ spoglia, senza una parte dei vecchi mobili degli zii che, malandati e senza valore, sono stati portati via, assieme ai logori tappeti polverosi. Ora, i pavimenti, sebbene di foggia anni sessanta, sono lucenti, per quanto servirebbero nuovi battiscopa; le porte interne sono state dipinte anch’esse di blu e le maniglie lucidate; i lampadari puliti; le tende sostituite; i cassetti svuotati e rivestiti, così come i vani degli armadi. Solo la mansarda, troppo piena di libri e ricordi, richiede ancora molto lavoro. «Vieni a vedere cosa ho trovato!» esclama Riccardo, irrompendo in cucina, dove Vittoria, arrossata in viso, i capelli raccolti in un’alta coda di cavallo, una maglietta in origine bianca e dei corti calzoncini in jeans, sta pulendo le piastrelle bianche a disegni blu sopra al lavello in marmo di foggia antica. «Cosa c’è? Devo finire qui…» «Ti prego, vieni subito!» Riccardo la prende per mano, eccitato come un bambino, togliendole la spugna per lasciarla ricadere nella bacinella di acqua
insaponata. Di malavoglia, Vittoria si lascia trascinare dal suo entusiasmo giù dai pochi gradini, fino in cortile, alla porta malridotta del garage che non avevano ancora aperto. «Aspetta, aspetta… chiudi gli occhi!» la ferma all’ingresso, lasciandole la mano per allontanarsi di qualche o. «Adesso puoi aprirli!» le dice e, accennando un ampio gesto da prestigiatore, toglie un telo impolverato da quella che si rivela essere una moto d’epoca con l’inconfondibile scritta dorata, sormontata da un’aquila in volo, impressa sulla carrozzeria rosso fiammante. «Ta-tan!» esclama infine, esaltato. «È la moto Guzzi dello zio Gustavo! Non sapevo ce l’avesse ancora» sorride Vittoria, portandosi le mani al viso. «Me li vedo ancora lui e zia Lucrezia partire rombando su e giù per i tornanti verso Lerici» sussurra, lasciandosi andare al ricordo, mentre l’immagine degli zii sembra materializzarsi davanti ai loro occhi per qualche nostalgico istante. «Fantastica! Chissà se funziona ancora…» «Ne dubito! È ferma da troppi anni» ribatte Vittoria, girando su se stessa per tornare al proprio lavoro interrotto. «È un mese che non facciamo altro che lavorare» la ferma Riccardo, tirandole con dolcezza la coda di cavallo. «Non hai perso le cattive abitudini, eh?!» si spazientisce lei, fulminandolo con gli occhi e sottraendosi alla presa. «Dai, se riesco a farla ripartire, prometti che vieni a cena con me?» le chiede fissandola con quei suoi irresistibili occhi dorati dalla forma orientaleggiante. «Va bene» sospira Vittoria. «Tanto non ce la farai» conclude, scettica. «Vedremo!» Il sorriso di Riccardo è intriso di sfida. «Sempre ottimista, eh?!» aggiunge quasi tra sé, ma non abbastanza piano perché lei non senta e, di
conseguenza, si allontani sbuffando, spazientita. «Tieniti stretta!» grida Riccardo, dirigendosi oltre le colonnine bianche, collegate tra loro da una grossa catena arrugginita, che delimitano il centro di La Serra. Così dicendo, afferra un braccio di Vittoria e se lo mette in vita, poi imbocca la strada piena di curve sinuose che porta verso il mare. Un po’ imbarazzata, la ragazza lo stringe con entrambe le braccia, aderendo con il proprio corpo morbido a quello forte di lui, mentre la moto Guzzi di zio Gustavo corre scoppiettando giù per la discesa verso il sole, ormai al tramonto, e i suoi capelli svolazzano fuori dal casco antiquato che entrambi hanno indossato. La strada scorre davanti a loro come un lucente nastro d’argento sotto cascanti cespugli di buganvillee, costeggiando case in miracoloso equilibrio ai suoi lati e mostrando a tratti il mare scintillante del Golfo dei poeti. «Quello è Porto Venere!» si entusiasma Vittoria, estasiata dalle striature rossastre che incendiano il cielo, mentre con il braccio teso indica il filo dell’orizzonte, inebriata dall’aria salmastra che le sferza il viso. Tuttavia, il suo entusiasmo, all’improvviso, viene smorzato dal clacson di un autobus strombazzante che sale a tutta velocità, tagliando la curva a metà e costringendoli a fermarsi sul ciglio della strada. Riccardo si gira verso di lei, un po’ turbata, rivolgendole un sorriso rassicurante che squarcia l’abbronzatura del suo bel viso, mentre l’aura scura della barba ricresciuta ne rimarca il profilo. «Tutto bene?» le chiede, mentre sta già ripartendo e lei annuisce sospirando, sia per lo spavento che per qualche altro motivo che non riesce bene ad afferrare o forse non vuole ammettere nemmeno con se stessa. «Ci porta un altro litro di Vermentino, per favore?» chiede Riccardo al cameriere, allungandogli la caraffa ormai vuota. «Guarda che io sono già ubriaca, non ne bevo più» afferma Vittoria sorridendo incerta, mentre si porta alle labbra un calice appannato dal suo fresco contenuto che assapora socchiudendo gli occhi languida. «Vedo, infatti!» la canzona l’uomo seduto davanti a lei, guardandola evidentemente divertito. «Questo vino è così fresco e frizzante! Va giù che è un piacere» si giustifica, posando il bicchiere e apprestandosi ad arrotolare sulla forchetta gli spaghetti
con le vongole che ha ordinato. Seduti ai tavolini all’aperto di una trattoria, apparecchiati con le caratteristiche tovaglie a quadretti rossi e bianchi, si godono finalmente il primo momento di relax da quando zia Lucrezia ha fatto a entrambi il regalo della propria casa. Prima di arrivare al ristorante, hanno percorso la litoranea fino a Tellaro per ammirare dai suoi scogli il tramonto del sole che affonda nel mare e poi, gli occhi pieni di luce dorata, si sono diretti nell’aria fresca della sera verso il porto di Lerici. «Vedo che oltre a bere, mangi anche di gusto!» osserva Riccardo, compiaciuto. «Sono sempre stata una buongustaia. Infatti, da bambina ero cicciottella» ammette Vittoria, continuando a mangiare. «Cosa dici? Non è assolutamente vero!» la rimprovera lui. «Voi donne siete sempre troppo severe con voi stesse riguardo all’aspetto fisico. A me, ad esempio, le donne troppo magre non piacciono». «Non è a te che devo piacere». «Cosa c’entra? Volevo solo dire che tu stai bene così» spiega, improvvisamente accigliato. «Così come, scusa?» chiede Vittoria offesa, fissandolo a sua volta. «Dai, Vicky…» «E non chiamarmi Vicky!» «E va bene… Vittoria. Volevo solo dire che sei sempre stata bella, adesso come da bambina, soprattutto perché sei… » Riccardo lascia per un attimo la frase in sospeso cercando le parole, mentre il suo sguardo si fa eloquente. Vittoria ne segue la traiettoria, fino ad abbassare gli occhi sulla propria camicia bianca, lasciata aperta di qualche bottone, da cui si scorge l’incavo dei seni. «… morbida!» conclude lui nel frattempo. «Ah, sarei morbida! Che bell’eufemismo!» Con gli occhi lo sfida a ribattere. «Mi sei… mi sei sempre piaciuta così» ammette l’uomo candidamente,
stampandosi in faccia un sorriso che probabilmente vorrebbe essere soltanto conciliante, ma che agli occhi di Vittoria appare irresistibile. Infatti, rimane senza parole e torna ad abbassare lo sguardo sul proprio piatto. Quell’ammissione sicuramente non significa niente, è stata buttata lì con troppa leggerezza, pensa freneticamente la ragazza. «Ti sei sempre divertito a prendermi in giro, non fa niente dai… ora sto bene con me stessa, non ho più i complessi che avevo una volta» farfuglia infine, a disagio. «Pensala come vuoi…» sorride amaramente Riccardo e, probabilmente per rompere il silenzio imbarazzato che si è creato, propone un brindisi. «Dobbiamo brindare alla nostra casa!» dice, sollevando il bicchiere. «Già… alla nostra casa!» si accoda Vittoria, facendo tintinnare il suo calice contro quello di lui. «Certo che fa effetto dire: la nostra casa!» osserva la ragazza, mentre il cameriere le sfila il piatto ormai vuoto. «Grazie» gli sorride. «Anche perché non siamo assolutamente niente l’uno per l’altra» prosegue il discorso, dando più che altro voce ai suoi pensieri un po’ annebbiati dall’alcool. «Assolutamente niente, non direi! Abbiamo ato tutte le estati della nostra infanzia, fino all’adolescenza, insieme!» «Va be’, ma non vuol dir niente!» insiste. «Se lo dici tu… Comunque dovremmo parlare del fatto che il testamento richiede il trasferimento della nostra residenza nella casa degli zii per almeno un anno. È già un mese che ci abitiamo, ma dovremmo formalizzare la cosa perché sia valida». «È davvero un casino per me… è proprio obbligatorio?» «Certo che lo è!» risponde severo Riccardo. «È il volere di zia Lucrezia!» «Povera zia! Era tanto cara, ma negli ultimi tempi non c’era proprio con la testa».
«Il testamento è stato scritto quindici anni fa». «Davvero?» chiede Vittoria sbalordita. «Sì, l’ha depositato da Lojodice dopo la morte di zio Gustavo avvenuta nell’autunno dell’ultimo anno che ci siamo visti» si ferma un attimo prima di aggiungere «se così si può dire, dato che quell’estate mi hai evitato per tutto il tempo restandotene in camera o sotto la pergola a leggere senza degnarmi neppure di uno sguardo» «Ma se avevi quei tuoi amici con cui scendevi giù in spiaggia! Non dirmi che ti è mancata la mia compagnia!» ribatte Vittoria, sorpresa. «Mi è dispiaciuto che mi ignorassi in quel modo; non ne capivo il perché» I discorsi rimangono sospesi nell’aria per qualche minuto, mentre entrambi giocherellano con le posate e le molliche di pane, imbarazzati dall’emergere di quei ricordi lontani, legati al periodo emotivamente più difficile della vita di ognuno, finché Riccardo torna a sollevare la questione del cambio di residenza. «Comunque, dobbiamo trasferire la residenza a La Serra». «E se poi mi assegnano una cattedra troppo lontano?» «Rifiuterai l’incarico!» «Sì e mi manterrai tu?» «Può essere, oppure per quest’anno farai domanda in un istituto privato…» «Come, può essere? E tu che lavoro fai, scusa?» «Io sono un medico ortopedico». «Ah…» «Sono appena tornato da una missione; sono stato in Centrafrica due anni in tutto, ma adesso vorrei fermarmi. Ho mandato il mio curriculum in due cliniche private a Sarzana e a La Spezia… vedremo come andrà! Comunque, non ho fretta».
«Evidentemente, tu ti puoi permettere di stare senza un lavoro, io no! Anzi, visto che siamo in argomento, adesso siamo arrivati al punto di dover affrontare delle spese… oltre a pagare le bollette, è necessario chiamare un idraulico e un elettricista, serve una nuova lavatrice e, magari, anche una lavastoviglie» Vittoria prosegue nell’elenco, mentre Riccardo l’ascolta, sorseggiando un bicchiere di vino fino a quando lei non conclude, sconsolata: «Io non ho risparmi, dimmi tu come faremo» «Faremo un o alla volta: io qualcosa ho messo via… la settimana prossima tornerò a Parma a riprendere le mie cose…» «Abiti ancora lì con i tuoi?» lo interrompe Vittoria. «No, i miei vivono a Lione da tanti anni. Invece, io ho mantenuto la residenza a Parma quando si sono trasferiti a causa del lavoro di mio padre. E tu?» «Io vivo a Lucca con mia madre ed è lì che ho lavorato lo scorso anno scolastico, però è a un’ora da qui…» «Allora val la pena andare a prendere le cose che ci servono e poi far domanda di residenza in Comune a Lerici». «Se proprio dobbiamo…» ribatte Vittoria poco convinta. Dopo una breve pausa, gli chiede incuriosita: «Davvero sei stato in missione? Raccontami qualcosa, anche se sono poco lucida…» lo invita. Riccardo sembra sorridere a un ricordo lontano prima di rispondere: «Non dimenticherò mai gli sguardi e i sorrisi di quei bambini: mi hanno insegnato a riconoscere cosa è davvero importante…» dopo una breve pausa riprende: «Noi occidentali, chissà perché, tendiamo inconsciamente a pensare che le persone dei Paesi del cosiddetto Terzo Mondo siano abituate alla miseria, alla guerra, alle malattie, alle calamità naturali, alla fame; siano, in un certo senso, rassegnate a tutto questo. Invece, quando riesci a vedere le cose un po’ più da vicino, dal di dentro, ti accorgi che nessuno è mai abituato al dolore, che i bambini sono sempre fiduciosi e pieni di speranza e che i loro genitori li amano come noi ameremmo i nostri figli e non sopportano nemmeno loro di vederli maltrattati, affamati, ammalati, torturati, uccisi…» Vittoria ascolta Riccardo rapita, scorgendo nei suoi occhi un luccichio e, a sua volta, si commuove alle sue parole, mentre lui prosegue il racconto della sua
esperienza di medico in terre di frontiera. «Non possiamo più crescere alle spalle dei nostri fratelli…» interviene Vittoria, l’eloquenza del vino che le scorre nelle vene. «Non è più possibile che una piccola parte dell’umanità utilizzi tutte le risorse disponibili, non si può continuare a coltivare il proprio orticello restando indifferenti» continua apionata, mentre entrambi si rendono conto di pensarla allo stesso modo, almeno riguardo a questo argomento. Così, mentre il cielo si riempie di stelle, la serata prosegue tra amabili chiacchiere e qualche battibecco, fino a quando non arriva il momento di tornare a casa. Vittoria, stretta a Riccardo sul sellino della moto, fatica a tenere gli occhi aperti, mentre l’aria umida della notte l’avvolge, facendola rabbrividire. «Beviamo qualcosa prima di andare a letto?» le chiede Riccardo, una volta entrati in casa. «Direi che ho bevuto abbastanza per stasera, credo che mi trascinerò in camera». «Dai, beviamo un amaro giù in giardino, poi andiamo a nanna» insiste l’uomo prendendola per mano e riportandola fuori, ma lei inciampa sul gradino, rovinandogli addosso e finendo, così, col ritrovarsi abbracciata a Riccardo, sotto alla luce fioca che filtra dalla pergola. «Oddio, scusami! Sono proprio ubriaca» confessa Vittoria con le mani appoggiate al suo petto possente, incapace di distogliere lo sguardo dalle sue labbra così vicine. Anche Riccardo non dà cenni di voler lasciare la presa e continua a tenerla per la vita, stretta a sé, fissandola a sua volta. Dopo qualche istante di infinito silenzio, abbassa il capo come al rallentatore, fino a posarle prima un bacio tenero sulle labbra per poi arrivare a impossessarsi della sua bocca che dischiude dolcemente con la propria, iniziando a esplorarne l’interno con la lingua. Vittoria, stupita, non si sottrae, ma si lascia andare a quel bacio inaspettato aggrappandosi a Riccardo che le stringe il viso tra le mani e subito dopo inizia a percorrere il suo corpo, accarezzandole la schiena, fino ad afferrarle i glutei per sollevarla in un bacio sempre più apionato che lascia entrambi senza fiato. La testa di lui scende calda sul suo collo, lasciandole sulla pelle una scia umida che la fa rabbrividire. Riccardo continua a baciarla con foga, giungendo fino al seno, che emerge dai lembi aperti della camicetta di cui lui ha slacciato freneticamente i bottoni.
«Basta, fermati! Cosa stiamo facendo?» Spaventata da tanta ione, Vittoria si divincola. Evidentemente, le sue parole sono come una doccia fredda alle orecchie di Riccardo, tanto da far evaporare d’un tratto tutto l’ardore di poco prima. Rimane lì, a fissare Vittoria come stordito, le braccia a penzoloni lungo il corpo, dopo che sono state attraversate dalla corrente elettrica della ione. «Scusa» sussurra, infine. «Abbiamo bevuto troppo entrambi» si giustifica, mentre la ragazza evita i suoi occhi abbassando, sfuggenti, i propri. «Andiamo a letto, dai…» suggerisce Vittoria, risalendo i gradini per rientrare in casa. «Ognuno nel suo!» precisa, vedendo balenare un lampo malizioso negli occhi di Riccardo. Mentre sale traballante le scale che portano al piano superiore, si impone di tenere lo sguardo fisso sul pavimento per timore che lui possa scoprire dall’espressione confusa del suo viso quanto le siano piaciuti i momenti di ione appena vissuti insieme.
7. INGIUSTIFICATA GELOSIA
«Ehi, Bacigalupi! Ci apri?» Riccardo, svegliato all’improvviso dal trillo del camlo e da quelle urla provenienti dall’esterno, apre le persiane e si affaccia alla finestra, strizzando gli occhi per la luce improvvisa che irrompe nella stanza. Ancora annebbiato dall’alcool della sera prima e dal sonno, fatica a riconoscere le due figure al cancello che guardano verso di lui continuando a gridare. «Eccolo il bell’addormentato!» esclama uno dei due. «Allora, pensi di farci restare qui fino a mezzogiorno?» incalza l’altro, divertito «Va bene che ormai manca poco, però non ci sembra carino…» In quel momento, probabilmente svegliata dagli schiamazzi, anche Vittoria si affaccia alla finestra della sua stanza, incuriosita. All’uomo appare ancora assonnata, con i lunghi capelli spettinati e addosso soltanto una canotta dalle spalline sottili che sottolinea il suo seno tornito. Lo sguardo ammirato che le rivolge, senza che lei mostri di accorgersene, evidentemente non sfugge ai due tizi in giardino che si squadrano con eloquenza per un momento, prima di tornare a guardare verso l’alto. «Adesso abbiamo capito perché non ci vuoi far entrare!» urla il più robusto. «Non ci riconosci proprio?» aggiunge il secondo, all’espressione perplessa di Riccardo, mentre Vittoria si ritira all’interno. «Siamo Lorenzo e Mattia!» «Lorenzo! Mattia! Ma sì, siete proprio voi… scendo ad aprirvi!» Grida a sua volta Riccardo, portandosi la mano alla fronte come quando un ricordo riaffiora d’improvviso alla mente. Indossate un paio di bermuda, si precipita giù dalle scale senza maglietta e
incurante dei capelli arruffati. «Ragazzi, entrate! Ma cosa fate qui?!» Dopo averli abbracciati, scambiandosi vigorose manate sulle spalle, li fa accomodare in cucina. «Sai che qui si sa sempre tutto di tutti…» ammicca Mattia, il più magro e con il viso coperto di lentiggini, andosi una mano tra i folti capelli ricci tendenti al rossiccio. «Abbiamo saputo che eri tornato e siamo venuti a trovarti!» continua Lorenzo, interrompendo l’amico con la consueta irruenza che Riccardo ricorda perfettamente. «E avete fatto bene!» Li abbraccia di nuovo, contento della presenza dei due amici d’infanzia. «Sedetevi! Faccio un caffè» propone, iniziando ad armeggiare con la moka. «Volentieri, grazie!» gli sorride Mattia. «Senti, ma… » interviene Lorenzo con finto imbarazzo. «Te la fai con tua cugina?» conclude, facendogli l’occhiolino. «Macché cugina! Non è mia cugina…» si schermisce, ridendo. «Ah no? Ma non è… come si chiamava?» «Vittoria!» interviene Mattia. «Ma sì, è Vittoria però non è mia cugina» «Allora cos’è? La tua fidanzata?» insiste Lorenzo. «Ma no, non è niente, è una storia lunga…» replica Riccardo, ammutolendo imbarazzato appena si accorge della presenza della giovane donna ferma alle sue spalle. Senza dubbio, Vittoria ha sentito la sua risposta. Ma in fondo cos’ha detto di male? Perché quell’espressione amareggiata sul viso?, si chiede, studiandola, perplesso. Dopo un breve silenzio, in cui non può fare a meno di squadrarla da capo a piedi, realizzando che indossa soltanto un costume da bagno turchese sotto a una
camicia garzata semitrasparente che evidenzia le sue forme procaci e le lunghe gambe abbronzate, tergiversa: «Eccola! Vi ricordate di Vittoria, vero?» «Certo!» rispondono quasi in coro Lorenzo e Mattia, facendo a gara per stringerle la mano uno prima dell’altro, ossequiosi. «Ciao!» li saluta lei con un sorriso, prima di rivolgersi gelida a Riccardo: «Oggi ho intenzione di are l’intera giornata giù al mare» lo informa senza attendere repliche, mentre si appresta ad andarsene lasciandolo muto e un po’ offeso. «Ma no, dai! Vieni con noi!» interviene timidamente Mattia. «Sì! Abbiamo organizzato una gita in barca a vela a Porto Venere…» s’intromette Lorenzo. «Vieni Bacigalupi, vero?» chiede rivolto a Riccardo. «E anche tu Vicky! Non puoi rifiutare…» Riccardo lancia uno sguardo interrogativo a Vittoria: «Cosa fai, vieni?» Senza darle il tempo di rispondere, si rivolge nuovamente agli amici: «Ma sì, veniamo!» Poi, tornando a guardare eloquentemente Vittoria negli occhi, con un lampo di sfida le chiede di nuovo: «Cosa ne dici, Vicky?». La ragazza non fa in tempo a ribattere che le grida di entusiasmo di Lorenzo e Mattia si diffondono nella stanza, insieme all’invitante aroma del caffè. Mentre Vittoria versa il liquido scuro nelle tazzine in porcellana azzurra che ha preso dalla vetrinetta laccata di bianco, i discorsi dei tre amici riprendono allegri, cercando di colmare gli anni e le distanze. Ogni tanto Riccardo lancia un’occhiata furtiva alla ragazza, immaginando che, permalosa com’è, stia sicuramente rimuginando sulle sue parole di poco prima. «E così fai l’insegnante anche tu?» chiede Mattia avvicinandosi con o incerto a Vittoria, seduta a prua; gli occhi chiusi a godersi il vento tra i capelli e il profumo di salsedine nell’aria, mentre una scia di schiuma bianca, luccicante al sole, si apre ai lati della barca a vela che scivola silenziosa verso Porto Venere. Lorenzo, sicuro dietro ai suoi Rayban a specchio, sembra far volare sul pelo dell’acqua l’imbarcazione a vele spiegate, chiacchierando fitto con Riccardo e visibilmente deciso a trasferire le proprie competenze all’amico il quale esegue entusiasta gli ordini che gli vengono impartiti. Ogni tanto Vittoria sente lo sguardo di Riccardo su di sé, ma le appare troppo accigliato e distante rispetto alla vicinanza – forse sfuggita alla loro volontà – della sera prima.
«Sì, insegno italiano al liceo, ma non so dove sarò assegnata quest’anno». Strizzando gli occhi e spostandosi indietro i capelli mossi dal vento, Vittoria sorride al ragazzo in un moto di istintiva simpatia. «E tu?» «Io non sopportavo lo stress della precarietà e dall’anno scorso insegno diritto ed economia in un istituto privato di Sarzana». «Ah sì?! C’è una scuola privata a Sarzana?» «Sì, io non mi trovo male…» «Sai se cercano insegnanti d’italiano? Vista la clausola della zia, dovrei iniziare a pensare a questa possibilità» sospira, rassegnata. «Mi sembra di sì; una mia collega è appena andata in pensione e un’altra è entrata in maternità» risponde Mattia. «Però scusa, quale clausola?» chiede, infine, accompagnando la domanda con un’espressione interrogativa del viso. «Già, scusa; non ne sai niente. Io e Riccardo dovremmo vivere insieme a La Serra per almeno un anno, affinché la casa degli zii possa diventare a tutti gli effetti di nostra proprietà e, solo dopo, potremo procedere con la ripartizione dell’eredità». L’espressione del giovane si fa sempre più stupita, mentre guarda negli occhi Vittoria alla quale non sfugge l’ ammirazione nei suoi confronti. Già ai tempi in cui, adolescente del luogo, usciva con Riccardo quando loro due erano in vacanza dagli zii, si era accorta dell’interesse che Mattia provava per lei. «Ma… e la sua ragazza cosa dice? Va be’ che siete quasi parenti…» «Veramente non siamo parenti!» ribatte istintivamente Vittoria, mentre nella mente gli pulsa l’informazione appena ricevuta – Riccardo ha una ragazza – ma continua a spiegare con tono didattico, ignorando quella vocina insistente: «Zia Lucrezia era sorella di mia madre e zio Gustavo era fratello della madre di Riccardo» conclude, senza prendere minimamente in considerazione la domanda del ragazzo che, la camicia svolazzante e in precario equilibrio davanti a lei, continua a fissarla negli occhi in attesa di approfondire la questione che evidentemente gli sta a cuore. Vittoria, leggermente in imbarazzo, compie persino il tentativo di calarsi sul viso gli occhiali che aveva messo in testa per trattenere i capelli agitati dal vento, intenzionata a elevare una barriera simbolica
tra di loro che interrompa la conversazione, ma invano. «E Giulia è d’accordo?» incalza infatti Mattia, dopo un attimo in cui solo il vento attorno a loro ha parlato. «Verrà anche lei ad abitare qui?» «Sinceramente, non so niente di questa Giulia…» «L’ultima volta che ho visto Riccardo da queste parti, un anno fa, c’era anche lei» spiega «erano tornati in Italia per un mese. Mi sembra che sia medico come lui». Nonostante si sforzi di mantenere il sorriso sulle labbra e l’espressione imibile, un’inspiegabile fitta di gelosia trafigge il cuore di Vittoria, aumentando il suo risentimento nei confronti di Riccardo che, ancora intento a seguire le istruzioni di Lorenzo, ora le appare completamente indifferente nei suoi confronti. Eppure, gli inaspettati momenti di ione della sera prima non sono stati soltanto un sogno. Il ricordo dei loro baci è fin troppo vivido e le squarcia la mente, suscitandole emozioni contrastanti che non avrebbe mai immaginato di provare per lui. Un fremito la scuote fin nelle viscere, mentre si sofferma a assaporare le sensazioni provate. Come richiamato dai suoi pensieri, Vittoria vede Riccardo lanciarle un’occhiata, proprio nel momento in cui, sbilanciato da una virata repentina della barca, Mattia le cade addosso, abbracciandola. La ragazza non può evitare di aiutarlo a rimettersi in piedi, rivolgendogli un sorriso rassicurante che, però, sortisce l’effetto di trasformare l’espressione di Riccardo, la cui faccia è diventata improvvisamente una maschera di confusione e rabbia. «Adoro Porto Venere! È meravigliosa!» dichiara Vittoria, rapita, mentre scende dalla barca a vela, aiutata da Mattia che le afferra la mano trattenendola più del dovuto. L’occhiata inceneritrice che le lancia Riccardo testimonia che oltre a non essergli sfuggito il gesto dell’amico, lo ha anche infastidito. «Non per niente è patrimonio mondiale dell’umanità!» esclama Lorenzo con orgoglio, scendendo per ultimo, dopo aver ormeggiato la barca con maestria. Riccardo precede silenzioso Vittoria, divertita dalle attenzioni di Mattia e Lorenzo che l’affiancano e, mentre costeggiano alte e strette case colorate che si specchiano nell’acqua verde del porto, le illustrano il parco naturale circostante composto dalle isole di Tino, Tinetto e Palmaria, dalla lussureggiante
vegetazione, tra cui, in contrasto con le pareti rocciose, spiccano pini marittimi, lecci, mirti e corbezzoli, regalando scenari mozzafiato. I racconti degli attacchi saraceni, degli insediamenti monastici e la storia dell’eremita san Venario si sovrappongono a quella del tarantolino, il più piccolo geco italiano che si può trovare sui muretti a secco dell’isola del Tino. Le voci si sovrappongono come se fosse una gara a chi riesce ad interessare e affascinare di più la ragazza, fino a quando si ritrovano tutti e quattro ai piedi della scalinata che sale alla chiesa di San Pietro la quale, con la sua architettura gotica, a righe orizzontali bianche e nere, si staglia a picco sul mare, spingendosi audacemente tra i suoi flutti. «Qui sotto c’è la grotta di Lord Byron» spiega Mattia, mentre Vittoria sbircia, attraverso le aperture della fortificazione, gli scogli lambiti dalle onde su cui diversi turisti sono stesi a prendere il sole. L’ingresso nella frescura odorosa di salsedine della Chiesa acceca per qualche istante i quattro ragazzi che, toltisi gli occhiali da sole, iniziano ad abituarsi alla penombra, ammirando la semplicità dell’interno. Vittoria rimane per qualche minuto in piedi davanti all’altare, in raccoglimento, rivolgendo un pensiero al padre, che continua a mancarle come il primo giorno in cui se n’è andato, e a zia Lucrezia, grazie alla quale è tornata in questo angolo meraviglioso della Liguria che un giorno, nonostante le difficoltà, diventerà casa sua a tutti gli effetti, anche se lei l’ama come se lo fosse sempre stata. Il silenzio del luogo la invita a prolungare la preghiera, chiedendo aiuto a Dio anche per sé, soprattutto in riferimento al lavoro e alla convivenza forzata con Riccardo. Immersa nei propri pensieri, Vittoria non si accorge che gli altri sono già usciti per incamminarsi verso i vicoli del centro. «Ehi! Sono tornato indietro a chiamarti» si sente sussurrare a un tratto all’orecchio, mentre la mano di Riccardo le sfiora un braccio. «Scusa! Ho perso la cognizione del tempo!» si giustifica Vittoria riemergendo da uno spazio temporale parallelo in cui ha trovato momentaneamente rifugio. «Hai visto il balcone che si affaccia sul mare?» le chiede prendendola per mano, senza aspettare la sua risposta. Vittoria si lascia guidare docilmente su una terrazza intervallata da snelle colonne che si sporge sulle acque scintillanti al sole. Entrambi inspirano profondamente, assaporando la bellezza del luogo, senza che
le loro mani si stacchino. Sempre con lo sguardo rapito dal mare blu, Riccardo inizia a parlare: «Prima, quando sono rientrato in Chiesa, mi sei sembrata una sposa davanti all’altare» sorride al pensiero, in una sorta di tregua tra loro. «Non aspettavo certo te!» ribatte Vittoria, seccamente, ma solo per nascondere l’imbarazzo. «Peccato!» risponde Riccardo, sorprendendola. «Saresti sicuramente bellissima» conclude girandosi verso di lei, un sopracciglio inarcato e l’espressione provocatoria. Irresistibile… si ritrova a considerare la ragazza, infastidita dai suoi stessi pensieri. Vittoria, rendendosi conto di avere ancora la mano stretta nella sua, gliela sottrae di scatto. «Raggiungiamo gli altri!» aggiunge sottovoce, incamminandosi verso l’uscita seguita da Riccardo. Voltandosi un’ultima volta, nota il sorrisino divertito dipinto sul suo bel viso abbronzato e una nuova ondata di irritazione l’assale. «Eccoli!» esclama Lorenzo, girandosi a guardare Vittoria che si avvicina ad ampi i seguita da Riccardo. «Venite! Saliamo al santuario della Madonna Bianca!» li invita Mattia. I quattro amici attraversano le viuzze del centro storico, o caruggi come vengono chiamati dalla gente del posto, soffermandosi ad ammirare gli oggetti di artigianato nei negozi, i fiori sui balconi e gli scorci che a tratti li sorprendono. Mangiando della focaccia al pesto acquistata in un panificio, salgono fino al piazzale antistante la Chiesa romanica di San Lorenzo. «Questa Chiesa è stata dedicata alla Vergine Maria in seguito a un miracolo accaduto nel 1399» spiega Mattia. «Un certo Lucciardo pregò davanti all’immagine della Madonna affinché liberasse il borgo dalla peste. La leggenda narra che i colori del quadro si illuminarono miracolosamente, così che il dipinto venne posto nella Chiesa di San Lorenzo che divenne, così, luogo di devozione popolare» conclude con un sorriso rivolto a Vittoria che ricambia, grata della sua spiegazione. Con la coda dell’occhio nota l’ammiccare di Lorenzo verso Riccardo il quale scuote la testa, evidentemente divertito dall’interesse nei suoi confronti che Mattia non sta minimamente cercando di nascondere. «Vittoria, ricordi quella volta che da bambini siamo venuti alla processione della
Madonna Bianca con gli zii e con i nostri genitori?» le chiede Riccardo, come se fosse stato improvvisamente illuminato da un ricordo. «Era la festa in occasione della patrona? Ricordo le fiaccole di sera…» risponde Vittoria, sognante. «Eh sì, era proprio la fiaccolata del… diciassette agosto, vero Mattia?» chiede conferma all’amico che annuisce. «Ero molto piccola, ricordo solo l’atmosfera magica di quella notte». «Già, davvero magica» concorda Riccardo, anche lui visibilmente rapito dalla suggestione di quel lontano ricordo comune. «Saliamo al castello Doria, è qui vicino» li invita Mattia, interrompendo l’idillio tra loro. «Sì, c’è una vista magnifica da lassù!» rinforza Lorenzo, seguendolo. «Poi però ci fai rilassare un po’ sotto il sole, vero?» protesta Riccardo. «Davvero, grazie per la gita» continua ironico «ma sono settimane che non faccio altro che lavorare e avrei bisogno di un po’ di riposo!» conclude facendo l’occhiolino a Vittoria che, colta alla sprovvista, distoglie lo sguardo con un tuffo al cuore. Raggiunta l’isola di Palmaria in barca a vela, il pomeriggio trascorre veloce tra ricordi, scherzi e risate. Distesi su una spiaggia di ciottoli levigati ad ammirare il magnifico scenario naturale circostante, incontaminato e selvaggio, in cui spiccano le macchie gialle delle ginestre in contrasto con il turchese del mare, Vittoria e i suoi compagni si godono la calda carezza del sole sulla pelle. La ragazza assapora il momento magico che sta vivendo, cercando di non pensare all’incertezza del futuro e, gli occhi socchiusi, inspira profondamente il profumo del mare e della macchia mediterranea alle sue spalle. «Vieni a fare il bagno?» le chiede Mattia, mentre con il braccio teso verso di lei la copre con la propria ombra. Riportata bruscamente alla realtà, Vittoria reagisce alzandosi di scatto e afferrando la mano del giovane per seguirlo verso il mare cristallino e
trasparente. Mentre Mattia indossa delle scarpette da scoglio, Vittoria è a piedi nudi e lo segue lentamente per evitare di farsi male, fino a quando il ragazzo non la solleva galantemente tra le sue braccia per calarla dolcemente nell’acqua fresca. L’impatto improvviso la porta a stringersi al collo di Mattia che, chiaramente compiaciuto del gesto, la trattiene contro il proprio petto magro, fissandola con intensità. Imbarazzata dalle emozioni che vede scorrere negli occhi verdi del ragazzo, Vittoria si stacca da lui e inizia a nuotare ad ampie bracciate verso il largo. Seduto su uno scoglio in riva al mare, Riccardo non si è perso neppure un istante dell’intera scena, notando con disappunto di provare risentimento sia nei confronti dell’amico dell’adolescenza, ma soprattutto verso Vittoria che sembra alimentare con leggerezza l’interesse che Mattia le dimostra. Poco più in là, Lorenzo pare godersi senza pensieri la giornata di libertà. «Mattia ci sta provando schifosamente…» osserva con schiettezza. «Già» risponde Riccardo a denti stretti. «Le piaceva già quando avevamo diciassette anni». «Non me l’ha mai detto!» si stupisce Riccardo. «Perché pensava che pie a te» ribatte Lorenzo, placidamente. «E come mai non lo pensa più?» Riccardo, interessato alla risposta, si solleva un po’ sul gomito per sentire meglio le parole dell’amico. «Non mi sembra che scorra buon sangue tra di voi » afferma a mo’ di spiegazione. «Dev’essere dura essere costretti a vivere obbligatoriamente assieme …» «Non sai quanto!» afferma vago Riccardo, lo sguardo rapito dal corpo di Vittoria che riemerge dalle acque del mare, tra la spuma delle onde, come se fosse lei la Venere che ha dato il nome al borgo di fronte all’isola in cui si trovano. Non può
fare a meno di notare i capezzoli turgidi sotto al costume e le sue labbra carnose aperte in un sorriso rivolto a Mattia che cammina al suo fianco, così come non può evitare di provare un’inspiegabile fitta di gelosia quando i suoi occhi incrociano quelli azzurri di lei. Investito da un’improvvisa scarica elettrica, sarebbe disposto a giurare che la ragazza abbia provando la medesima sensazione. «Forza ragazzi, torniamo!» li invita Lorenzo, quando la luce del sole si fa dorata, rendendo morbido il profilo della Chiesa di San Pietro al di là delle bocche. «Vittoria, vieni ad aiutarmi! Vedrai quanto è bello governare la barca a vela al tramonto». Il sorriso affascinante che rivolge alla ragazza, chiamandola a sé, lascia a bocca aperta Riccardo e Mattia che, raccolte le loro cose, li seguono lanciandosi uno sguardo interrogativo. «Cosa gli è preso?» chiede Mattia, soffiandosi via dalla fronte una ciocca di ricci ribelli. «L’ultima boccata d’aria prima del rientro in cella?!» suggerisce Riccardo, scoppiando a ridere assieme all’amico e stemperando così la tensione creatasi tra loro a causa di Vittoria. Probabilmente nella mente di entrambi è balenata l’immagine della giovane moglie con la quale Lorenzo è sposato da poco più di un anno e, soprattutto, della coppia di terribili gemelli, loro croce e delizia. Eppure sanno bene che Lorenzo, nonostante la sua irruenza, ormai non potrebbe nemmeno più immaginare la sua vita senza di loro.
8. CONTINUI SCONTRI E… INCONTRI
«Lorenzo ci ha invitato a una festa in spiaggia, stasera. Vieni?» Vittoria, un cappello di paglia calcato in testa, china a sistemare il piccolo giardino tra il frinire assordante delle cicale, guarda verso Riccardo che incombe su di lei a torso nudo, turbandola un po’. «No, grazie!» risponde seccamente, infastidita dalle sua stessa reazione, tornando a posare lo sguardo sulle proprie mani sporche di terra. «Dai, vieni! Ci sarà anche sua moglie…» «Perché, Lorenzo è sposato?» chiede stupita, tornando ad alzare gli occhi verso Riccardo. «Sì, per stasera è riuscito a organizzarsi lasciando i gemelli alla nonna per cui ci teneva che ci fossi anche tu; vorrebbe presentarti Claudia». «I gemelli?» domanda ancora più stupita. «Non farti ingannare dal suo modo di fare; è fedelissimo a Claudia e innamoratissimo della sua famiglia». Vittoria annuisce e, senza parlare, torna a comprimere la terra dove ha appena trapiantato una piccola pianticella di arance di cui bagna le radici con un vecchio innaffiatoio di latta trovato nella rimessa degli zii. Quando Riccardo si inginocchia vicino a lei per dirle paziente: «Ci sarà anche Mattia», la ragazza nota i bei lineamenti del suo viso, lucidi di sudore per il sole caldo del pomeriggio, e di nuovo si sente rimescolare dentro, come già da qualche tempo le accade quando il giovane le è troppo vicino perché lei riesca a controllare le sue sensazioni. «Cosa ti fa pensare che questo basti a convincermi?» «Mi sembrava che ti pie…» osserva, cercando evidentemente di catturare il suo sguardo sfuggente.
«È davvero un caro ragazzo, molto carino e gentile» non nega Vittoria, suscitando in Riccardo uno strano sussulto «ma non ho voglia di uscire stasera» conclude, risoluta. «Perché ti fai sempre pregare? Di giorno non facciamo altro che lavorare e ogni sera ti rinchiudi in camera». Dopo una breve pausa, chiaramente spazientito dal silenzio della ragazza, l’uomo si alza per tornare alle proprie faccende. «Fai come vuoi!» lo sente gridare, mentre si allontana aggiungendo come fra sé, ma non abbastanza a bassa voce perché Vittoria non possa sentire: «Anche a me avrebbe fatto piacere che tu venissi…» La sera è davvero troppo calda per andare a letto presto. Insieme al frinire ininterrotto delle cicale, al quale si è aggiunto il canto dei grilli, sopraggiunge da lontano la musica proveniente dal piccolo stabilimento balneare di Fiascherino. Vittoria, seduta in terrazza a godersi la dolcezza della notte stellata, decide d’impulso di raggiungere gli altri alla festa. Indossati dei bassi sandali tempestati di strass e un tubino nero elasticizzato che aderisce alle sue curve morbide valorizzandole, come le conferma lo specchio dell’armadio, s’incammina verso il borgo sottostante, scendendo a piedi per il sentiero ripido e poco illuminato che collega i due centri abitati. Il volume della musica si fa sempre più alto, mano a mano che, attraverso la galleria di fitta vegetazione che scende al mare, si avvicina al cuore della festa. Non fa in tempo a sbucare al bar della spiaggia che subito Mattia la vede e, euforico, la invita a ballare trascinandola in pista, dove Lorenzo le presenta velocemente sua moglie, una ragazza mora con due occhioni da cerbiatta che le sorride dolcemente, prima di riprendere a muoversi sinuosa. Vittoria si abbandona al ritmo e, anche se inizialmente restia, lascia ben presto che la musica si impossessi del suo corpo, penetrandole sotto pelle per compiere quel miracolo che solo le arti espressive possono realizzare, cioè quello di regalare momenti di catarsi e di totale liberazione. Ormai fradicia, a causa della danza sfrenata in cui Mattia l’ha coinvolta e incapace di togliersi il sorriso dalle labbra, a un tratto la ragazza prova la sensazione di sentirsi osservata, come se una corrente elettrica la raggiungesse alle spalle. Girandosi, i suoi occhi vengono calamitati da quelli allungati di Riccardo che la fissa sornione, un gomito appoggiato sul bancone del bar e una
birra in mano. La camicia bianca slacciata sul petto e i jeans scoloriti, aderenti alle cosce muscolose, glielo fanno apparire irresistibile. D’improvviso, la musica si fa più calma e i tre amici si incamminano per scendere dalla pista, ma Riccardo, posato il bicchiere ormai vuoto, raggiunge in pochi i Vittoria e, afferratale una mano, la riconduce sul piccolo spazio pavimentato dove diverse coppie hanno già iniziato a ballare, strette in un lento. «Non scenderai proprio adesso?» le sussurra in un orecchio, attirandola a sé. «Non so ballare i lenti…» si giustifica, ancora ansimante per il ballo scatenato di poco prima. Perlomeno, questa è la spiegazione che dà a se stessa, pur consapevole del fatto che la vicinanza forzata di Riccardo potrebbe essere il motivo più attendibile. «Basta che segui me; ti insegno io» le dice lui, buttandosi le sue braccia sulle spalle, mentre la ragazza avverte le mani di lui scivolare, roventi, in fondo alla sua schiena, proprio là dove finisce la profonda scollatura dell’abito che indossa. Il respiro caldo di Riccardo sul collo le suscita un brivido, mentre il suo profumo di dopobarba e doccia schiuma le sale alle narici eccitandola, al di là della sua volontà razionale che la invita a resistere al fascino di lui. Ricordati che ha un’altra, le dice una vocina lontana, ma il potere della musica e dei sensi è troppo forte e prevale, costringendola, per una volta, a lasciarsi andare. «Sei stata un’imprudente a venire da sola a quest’ora» la rimprovera Riccardo dolcemente, mal celando la preoccupazione. «Sei sempre la solita, piccola testarda…» che mi fa impazzire, sorride fra sé, completando la frase solo nella sua mente e facendo aderire ancora di più il suo corpo a quello di lei che, finalmente docile, si lascia cullare dalle sue braccia, evidentemente illanguidita dalle sue carezze e dal ritmo rilassato della musica. Nella durata di un lento, è come se il tempo si fosse dilatato ed esistessero solo loro due, anime e corpi avvinti in un abbraccio intenso, lontani da tutto. Quando la musica finisce, Vittoria si stacca di colpo, come se riemergesse da un’apnea e, probabilmente imbarazzata per quello che i suoi occhi gli hanno lasciato intravedere, raggiunge subito gli altri, mentre Riccardo nota l’espressione un po’ imbronciata di Mattia, senz’altro insospettito dalle evidenti vibrazioni di poco
prima tra lui e Vittoria. «Sì, mamma, abbiamo fatto domanda giù in Comune a Lerici per il cambio di residenza, adesso dobbiamo aspettare che vengano i vigili» spiega Vittoria seduta al tavolo della cucina, sorseggiando un caffè. «I vigili?» chiede Ines, stupita, all’altro capo del telefono. «Sì, questa è la prassi, ma potrebbero are fino a quarantacinque giorni prima che vengano». «Insomma, state facendo un altro o nella direzione voluta dalla zia…» «Eh, già!» risponde Vittoria, rassegnata. «Se per avere la casa è necessario… però non immagini quanto mi costi fatica». «Ma se ti è sempre piaciuto stare a La Serra!» «Sì, ma non in convivenza forzata con Riccardo! Già non ci sopportavamo da bambini…» In quel momento, lupus in fabula, eccolo entrare silenzioso alle sue spalle e dirigersi scalzo, la camicia slacciata sul petto e i capelli arruffati, verso la moka sul fornello per versarsi il caffè ancora caldo e berlo in piedi appoggiato al ripiano, mentre Vittoria sente i suoi occhi beffardi su di sé. «Dai, non dire così…» «Va bene, mamma. Ti saluto, ho tanto da fare» taglia corto Vittoria, incapace di distogliere lo sguardo dai pettorali di Riccardo. «E con la scuola?» il tentativo di Ines di prolungare la conversazione telefonica fallisce miseramente alla lapidaria risposta della figlia che taglia corto: «Non so ancora niente. Ciao!» «Ciao tesoro». Il saluto della madre si perde nell’etere, mentre Riccardo interviene. «Ah, così non ci sopportavamo nemmeno da piccoli…» la sfida. Un sorriso irresistibile accende il suo viso stropicciato dalla recente dormita. «Mi sembrava evidente…» risponde lei, senza abbassare gli occhi.
«Io ero felice di rivederti di anno in anno…» «Forse perché ti divertiva tirarmi i sassi, rincorrermi e farmi scherzi di ogni genere…» «Sono stato così disgustoso?». La risata aperta che gli suscita quel lontano ricordo manda letteralmente in bestia la ragazza. «Sì! E non c’è nulla da ridere!» «Vicky, mi dispiace…» lo vede chinarsi verso di lei, probabilmente intenzionato a baciarle una guancia, ma qualcosa sembra turbarlo. Quando le sue labbra morbide la sfiorano, Vittoria non si sottrae e, inspirando il profumo del suo dopobarba, rimane immobile a guardare fuori dalla finestra il mare in lontananza, persa nel ricordo di quelle estati di tanti anni prima. «Voleva essere un ramoscello d’ulivo…» l’uomo protesta, imbronciato. «Un po’ tardivo!» «Ti chiedo scusa» così dicendo, le prende le mani, costringendola ad alzarsi. «È ato tanto tempo, non sono più quel bambino dispettoso». Le solleva il mento con un dito e i loro occhi si perdono gli uni negli occhi dell’altro, tanto che l’oro e l’azzurro paiono fondersi assieme, finché un brivido attraversa entrambi e le loro labbra iniziano ad attrarsi come poli opposti di una calamita. Per un momento eterno rimangono lì a fissarsi, fino a quando, contemporaneamente, si staccano, scossi. «Che strano effetto mi fai!» ammette Riccardo. «Non mi era mai successo di sentire questo strano fuoco nel petto» prosegue, chiaramente sconcertato, andosi una mano tra i capelli. «Non è niente» minimizza Vittoria, sperando che l’espressione sognante che probabilmente ha assunto non la tradisca. Imbarazzata, sale le scale, farfugliando di dover fare qualcosa. «Io oggi torno a Parma!» le arriva da dietro l’urlo di Riccardo. «Resterò via qualche giorno perché devo sistemare alcune cose…»
«Okay» risponde Vittoria, ma solo dopo essersi rifugiata in camera. «Vuoi dire che l’uomo che prendeva il sole nudo in terrazza è tuo cugino?» «Anche tu con questa storia! No, Clara, non è mio cugino!» sbuffa Vittoria. «Se mi hai appena detto tu che era Riccardo, quello con cui giocavi da piccola nella casa al mare di tua zia». «Sì, ma non siamo parenti…» «Meglio! Se dici che è anche figo…» «Insomma… diciamo che è un tipo… affascinante» «Appunto! E che effetto ti fa?» insiste l’amica al telefono. «Mi è sempre stato antipatico» ribatte Vittoria, forse troppo precipitosamente. «Mhm… non mi convinci, cara. Lasciamo stare, dai… Quando torni a Lucca?» «Adesso, Riccardo è a Parma per qualche giorno, ma stiamo aspettando la polizia municipale per il cambio di residenza, per cui, nel frattempo, puoi venire a trovarmi tu, se vuoi…» «Volentieri… mi organizzo e ti faccio sapere!» «Ciao, tesoro!» «Ciao Vicky e… lasciati andare!» Il suggerimento dell’amica sorprende Vittoria, ma non c’è più tempo per interrogarsi su cosa intendesse dire Clara, perché suona il camlo della porta e Vittoria si ritrova davanti Mattia, i limpidi occhi chiari e i ricci spettinati. «Ciao! Cosa ci fai qui?» domanda la ragazza, stupita. «Riccardo non c’è, è a Parma». «Non sono venuto per Riccardo» sorride imbarazzato. «Veramente, sono qui per te…» Vittoria lo guarda sorpresa, mentre lui spiega: «Volevo proporti una giornata in
spiaggia». «In spiaggia?» chiede lei perplessa. «C’è ancora tanto da fare qui» osserva, ma in realtà la proposta la tenta molto. «Guarda che è domenica! Sono sicuro che hai lavorato tutta settimana». «In effetti… » La ragazza si guarda attorno perplessa, mordendosi il labbro indecisa, spostandosi all’indietro i lunghi capelli setosi. «Allora, prendi l’occorrente e andiamo!» Dopo una breve esitazione, Vittoria sale le scale ripresentandosi poco dopo con una borsa da spiaggia in paglia, degli short bianchi e una semplice maglietta a righe che - l’ha notato allo specchio - valorizza il suo florido decolleté. Mattia le sorride chiaramente soddisfatto. «Non te ne pentirai…» mormora, gli occhi luccicanti, e prendendola per mano la trascina fuori. «Che giornata magnifica!» sospira Vittoria, abbassando sulle ginocchia il libro che sta leggendo. Semidistesa su uno scoglio, le rocce alle spalle e il mare blu delimitato dal profilo nero delle isole davanti, si guarda attorno, estasiata dalla bellezza dell’angolo di Liguria che riesce ad abbracciare con lo sguardo. Il sole, ormai al tramonto, infonde tutt’intorno una calda luce dorata che rende più morbide e invitanti tutte le cose. Mattia la guarda evidentemente ammirato, di sicuro pago anch’egli della giornata trascorsa assieme nuotando, chiacchierando, mangiando tramezzini e insalata al bar del piccolo stabilimento balneare di Fiascherino, leggendo e contemplando la natura. «Sono stata davvero bene con te, oggi» ammette la ragazza, girandosi verso Mattia, seduto su uno scoglio poco più indietro, con i piedi immersi nell’acqua trasparente. «Grazie, anch’io» risponde il giovane con entusiasmo, lanciando in acqua un piccolo sasso che fa volar via un gabbiano atterrato poco prima lì vicino. «Mi sento affine a te, forse dipende anche dal fatto che abbiamo gli stessi gusti letterari…» gli confida lei con sincerità. «O che facciamo lo stesso lavoro»
Al pensiero del lavoro, Vittoria fa una smorfia: «A proposito…» «Se vuoi, ti accompagno al mio istituto a far domanda di assunzione, la segreteria è aperta. Provare non costa nulla!» la anticipa lui. «Te ne sarei grata. Sarebbe davvero un bel problema se mi assegnassero a una scuola troppo lontana da qui». «Quindi, sei decisa a are un intero anno con Riccardo… come ti trovi con lui?» indaga Mattia, il tono disinvolto, cercando evidentemente di apparire disinteressato. «Ognuno fa la sua vita; non ci incrociamo più di tanto» risponde, vaga, Vittoria, tornando a guardare l’orizzonte alla ricerca della vera risposta alla domanda dell’amico. «Andiamo?» le chiede Mattia, quando ormai il sole si è liquefatto nel mare, distogliendola così dal pensiero di Riccardo che è riuscito a turbarla nonostante la distanza. «Sì, è meglio» si alza, iniziando a raccogliere le proprie cose. La sacca in spalla, accetta infine la mano di Mattia che stringe con forza la sua, guidandola verso i gradini che risalgono la scogliera. «Sì, ricordo quella volta! Che ridere!» È quello che Riccardo sente dire a Vittoria, seduta a tavola in terrazza di fronte a Mattia, scosso da una inarrestabile risata che coinvolge anche la ragazza. «Vedo che ci si diverte in mia assenza!» esclama, alzando un po’ il tono della voce per farsi sentire, mentre sale i gradini della casa degli zii, avvicinandosi ai due che, indubbiamente, si stanno godendo la cena al chiaro di luna nella calda sera estiva. Alle sue parole, li vede tornare seri, probabilmente sorpresi di trovarselo davanti, carico di bagagli. «Ciao! Non pensavo tornassi stasera…» osserva la ragazza. «È evidente!» si lascia sfuggire Riccardo.
Dopo un attimo di silenzio imbarazzato, Mattia si alza buttando il tovagliolo sul tavolo, per andare incontro all’amico: «Ehi, ti serve una mano?» gli chiede, affabile, afferrando una borsa, dopo avergli dato un’amichevole pacca sulla spalla. «Mi sembri stanco, vuoi unirti a noi?» gli chiede, dopo aver portato il bagaglio all’interno della casa. «Non vorrei disturbarvi» risponde, lanciando un’occhiata truce a Vittoria. «Non disturbi affatto» si affretta a chiarire lei, senza dar a vedere di aver colto la sua muta disapprovazione. «Siediti pure, è rimasta dell’insalata greca». Riccardo si accomoda e inizia a servirsi in silenzio. «Stavamo ricordando quella volta che hai preso di nascosto la moto dello zio Gustavo, pensando di salirci con Mattia e Lorenzo per scendere giù a Lerici» spiega Vittoria, portandosi alle labbra un calice di vino bianco. «E allora? Cosa c’è di tanto divertente?» risponde, un po’ scontroso. «Il fatto che hai perso il controllo della moto e siete andati a finire sopra al fico!» la ragazza scoppia di nuovo a ridere, trascinando nella risata anche Mattia. «E tu come fai a ricordarlo? Non c’eri nemmeno…» «Ho visto tutta la scena dalla finestra della mia stanza e non so come abbiate fatto a non sentirmi sghignazzare». «Allora ci spiavi!» ribatte Riccardo, il tono inquisitorio. «Evitavi i nostri inviti per poi guardarci di nascosto». «Perché facevi così, Vicky?» le chiede Mattia, evidentemente incuriosito dalla rivelazione. «Ero timida…» «Ma se ci conoscevamo fin da bambini!» la contesta Riccardo, continuando a mangiare, senza che gli sia sfuggito il fatto che tutti, fuorché lui, sembrano avere il permesso di chiamarla con il suo nomignolo. «Crescendo, le cose cambiano e poi… mi facevi paura!» lo accusa infine,
rivolgendosi a lui. «Ancora con questa storia! Io ti facevo paura? Per alcuni sassi e qualche tirata di capelli?» «Anche per le rane nel letto, per quella volta che ho rischiato di affogare perché mi hai trattenuto troppo tempo sott’acqua e per quell’altra che sono finita al pronto soccorso perché mi hai spinto e ho sbattuto la testa…» protesta la ragazza, accalorandosi. «In effetti…» osserva Mattia, volgendo il capo da Riccardo a Vittoria come se stesse assistendo a una partita di tennis. La serata prosegue, al canto dei grilli e delle cicale, tra ricordi e scaramucce, fino a quando tutti e tre, un po’ brilli per il vino bevuto, decidono che è arrivata l’ora di andare a dormire. «Ciao ragazzi, grazie di tutto!» si congeda Mattia, stringendo la mano a Riccardo. «Sono felice che siate tornati da queste parti!». Mentre Riccardo inizia a raccogliere i piatti da portare in cucina, Vittoria accompagna Mattia al cancelletto in fondo al giardino, illuminato solo dalla luna alta nel cielo. «Ho ato una bellissima giornata con te» le dice, tenendole le mani e guardandola negli occhi con intensità. «Anch’io! Grazie di essere venuto a prendermi». Mattia avvicina sempre più il viso a quello di Vittoria che prende lo slancio e lo bacia sulla guancia evitando, così, il bacio che Mattia avrebbe senz’altro voluto darle sulle labbra. «Buonanotte!» lo conceda, fingendo di non accorgersi della sua delusione. Dopo di ché, si allontana, decisa, sul vialetto per rientrare in casa. A capo chino, cammina riflettendo sul comportamento di Mattia. Stringendosi addosso le braccia, infreddolita dall’umidità della notte, finisce con l’andare a sbattere contro il corpo possente di Riccardo che, a gambe larghe, l’attendeva in mezzo al vialetto.
«Accidenti, che spavento!» «Visto che mi identifichi con l’Uomo Nero, sto iniziando ad entrare nella parte…» risponde lui, serio. «Non fare così, mi fai davvero paura!» Cerca di scansarlo, ma il giovane l’afferra per le braccia. «A che gioco stai giocando con Mattia?» le chiede, furioso. «A nessun gioco e comunque non ti riguarda!» «Vi siete baciati?» insiste, ignorando la sua risposta. «Ma cosa dici?» «Vi ho visti…» «L’ho baciato su una guancia, come un amico, se proprio vuoi saperlo». Vittoria alza lo sguardo verso di lui nella penombra, sfidandolo apertamente. «Attenta che a giocare con il fuoco ci si scotta!» la mette in guardia l’uomo, stringendola sempre di più a sé. Vittoria non ribatte, consapevole del fatto che Riccardo ha ragione: Mattia ha dimostrato di aspettarsi da lei più di una semplice amicizia. Che casino!, pensa, mentre tra le braccia di Riccardo si sente sciogliere al calore del suo petto, fin a quando cede alle labbra di lui che si posano inesorabilmente sulle sue, esigenti e rabbiose, come se volesse punirla. Il bacio si fa sempre più apionato, mentre le mani accarezzano, stringono, afferrano e, a occhi chiusi, le lingue si intrecciano ed esplorano a vicenda, fino a quando i due giovani cadono ansimanti sull’erba, rotolando come in una lotta in cui ciascuna delle parti voglia prevalere sull’altra. Sempre baciandola, Riccardo raggiunge il gancio del suo reggiseno sotto alla maglietta e libera i suoi seni, iniziando ad accarezzarli con voluttà e ad assaporare il piacere della loro rotondità sul palmo della mano. Poi, traccia una scia di baci sul suo collo, fino ad arrivare a succhiarle i capezzoli. «Mio Dio, Vicky, mi fai impazzire!» non smette di sussurrarle.
Vittoria, la mente sgombra da ogni pensiero se non quello del corpo muscolo di Riccardo sopra di sé, intento a darle piacere, ansima e geme, offrendosi generosamente ai suoi baci e alle sue carezze. Solo quando lui inizia a slacciarle i pantaloncini e a entrarvi con la mano, sentendo l’urgenza della sua ione sotto alla tela grezza delle sue bermuda, si irrigidisce, spaventata dall’intensità delle sensazioni che sta provando. Cosa stiamo facendo?, si chiede improvvisamente e, in preda al panico, inizia a sottrarsi ai suoi baci, mentre lui solleva il viso dal suo seno, chiaramente stupito. «Cosa succede?» le chiede. «Non è giusto… ci siamo fatti prendere la mano… è tutto sbagliato…» farfuglia confusa, cercando di ricomporsi. «Perché?» cerca di trattenerla lui. Stai con un’altra, vorrebbe dirgli, invece afferma: «È la situazione in cui ci ha messo la zia ad essere assurda!» Alzandosi in piedi, si allontana, dirigendosi di corsa verso le luci accese all’interno della casa. Riccardo, frustrato e rassegnato al contempo, si corica supino, le braccia aperte sull’erba profumata, cercando nella profondità del cielo e nello sguardo benevolo della luna le risposte che in quel momento sembrano sfuggirgli.
9. TORMENTI D’AMORE
Non è ancora l’alba quando Vittoria spalanca gli occhi decidendo di alzarsi, visto che si sta rigirando nel letto già da un po’, senza riuscire a dormire. Si veste frettolosamente e s’incammina giù per le scale, cercando di non far rumore. Infine, chiusasi piano la porta alle spalle, si dirige verso il mare. Appena fuori casa, si stupisce che lo splendido sole del giorno prima abbia lasciato il posto a un lunedì grigio e ventoso, perfettamente intonato con il suo umore: ha dormito poco e male, sognando prima il calore dei baci e degli abbracci di Riccardo e poi il gelo improvviso del suo distacco al quale ha contribuito lei stessa in modo decisivo. La giovane donna respira a pieni polmoni l’aria fresca del mattino, tirandosi su fino al mento la zip della felpa e, le mani nelle tasche dei jeans sfrangiati sulle cosce, attraversa le strade deserte del borgo, accompagnata soltanto da sei rintocchi di campana che rimbombano per le vie strette, rimbalzando sui muri vicinissimi delle case. Si sofferma per un po’ sul sagrato della Chiesa ad ammirare il mare laggiù, le cui onde grigie si infrangono spumeggianti sugli scogli neri e poi, uscita dal piccolo centro, cerca la stradina seminascosta dalla vegetazione che conduce alle località sottostanti. Immersa nei suoi pensieri, camminando di buon o per quasi un’ora, arriva fino alla piazzetta di Tellaro dove si concede un cremoso caffè, inebriandosi del suo aroma penetrante che assapora a occhi chiusi. Una fitta le trafigge il cuore, quando, dopo aver pagato e ringraziato con un sorriso il barista mezzo addormentato, l’assale di nuovo la consapevolezza della situazione che si è venuta a creare tra lei e Riccardo. Come possiamo stare nella stessa casa?, si domanda. Sono evidentemente solo un atempo per lui, eppure non riesco a resistergli… Arrogante e presuntuoso… non è per niente cambiato… Rimuginando sugli stessi pensieri, si avvia per i vicoli della roccaforte ripida e scoscesa, costruita per difendere dai pirati Saraceni un paese più a monte. Cammina rapida, nei piedi la memoria delle mille volte in cui da bambina ha
percorso quelle stesse strade. Sale e scende gradini in pietra, affacciandosi a scorci di mare e cielo incorniciati da fichi d’india e buganvillee, fino a raggiungere la Chiesetta dipinta di rosa le cui campane - narra la leggenda – pare siano state suonate a distesa da un polpo per salvare il paese attaccato dai pirati in una notte di tempesta, quando sembrava impensabile uno sbarco, dato il tempaccio, tanto che la sentinella messa di guardia era andata a dormire. Infine, si siede dietro la Chiesa, le ginocchia strette al petto e i capelli svolazzanti al vento. Lo sguardo perso ad ammirare i flutti che ricadono minacciosi sulle rocce, facendole arrivare qualche schizzo salato, Vittoria rivede nella possenza del mare le scene apionate della sera prima e un sottile dolore la invade. Se potessi, me ne andrei subito, ma mi sento in trappola, non posso scappare. È solo un anno, un anno soltanto e poi ognuno potrà andare per la sua strada… Quando Vittoria si decide a tornare a La Serra, mangiando della frutta fresca acquistata lungo la strada, qualche raggio di sole filtra attraverso il cielo livido, accompagnandola a casa. La mattinata solitaria ha fatto maturare in lei nuovi propositi: darsi da fare per finire i lavori più urgenti, cercando per quanto possibile di evitare Riccardo, e porre le basi per trovare un nuovo lavoro d’insegnante. Attraversando il giardino, la ragazza nota l’erba schiacciata laddove la sera prima si è lasciata andare con Riccardo, ma prosegue diritta verso l’ingresso della casa, cercando di non badare alla fitta ormai familiare che le afferra lo stomaco. Tuttavia, quando vede il giovane intento a riparare il portone della rimessa, la schiena muscolosa luccicante al sole ormai uscito dalle nubi, la stretta si fa più intensa, tanto da non riuscire più a ignorarla, visto che ora sembra scendere inesorabilmente verso l’inguine. Vittoria a alle spalle di Riccardo, impettita, senza degnarlo di uno sguardo, né salutarlo, ma nota con la coda dell’occhio che, per qualche minuto, lui la segue con lo sguardo e, di fronte alla sua manifesta indifferenza, riprende infine il proprio lavoro, accigliato. Mi faceva impazzire da bambino e continua a farmi impazzire adesso, pensa Riccardo, non riconoscendo in se stesso, di fronte alle reazioni che Vittoria gli suscita, l’uomo adulto che pensava di essere diventato. Vittoria si rifugia in mansarda dove la libreria, carica di vecchi libri, e i mobili
degli zii, pieni di foto e ricordi, richiedono di essere svuotati e sistemati, anche se farlo significa intraprendere un viaggio a ritroso nel tempo e nella profondità delle emozioni. Immersa per ore nel lavoro in cui ha messo tutte le proprie energie per non pensare a Riccardo, trasale quando lui entra di colpo nella stanza, stagliandosi sulla porta e incombendo su di lei, china a svuotare l’anta di un basso mobile dalla tipica foggia anni Sessanta. «Ti ho spaventata?» «Sì, ero concentrata». Stare impegnata l’ha aiutata a ritrovare un probabilmente fragile equilibrio, ma perlomeno le ha restituito un po’ di serenità. «Dovresti esserci abituata…» «A cosa?» chiede, già meno distesa. «Al fatto che ti faccio paura…» risponde lui, la voce un po’ roca. «Eppure, ieri sera ti sei lasciata andare…» «Senti, Riccardo, lasciamo stare. Va bene?» propone la ragazza, guardando in su, verso di lui. «Abbiamo avuto un momento di debolezza. Non volevo io e non volevi nemmeno tu». Cerca di assumere un atteggiamento saggio, anche se il cuore inizia a batterle all’impazzata, mentre Riccardo continua a fissarla dall’alto della sua posizione dominante. «Chi ti dice che io non volessi che accadesse?» «Riccardo, non sarebbe stato il caso; è già abbastanza complicato così» abbassa lo sguardo, mentre risponde con il fiato corto. «Come vuoi!» ribatte lui, chiaramente arrabbiato, voltandole le spalle e uscendo sbattendo la porta. «Ciao, Mattia!» Vittoria saluta subito l’amico, dopo aver riconosciuto il suo numero sul display del cellulare.
«Ti disturbo?» chiede timidamente la voce al telefono. «Per niente! Sto prendendo il sole sulla terrazza, non ne potevo più di sgobbare!» «Hai lavorato tutta settimana alla casa?» «Già». «Scusa se non mi sono più fatto sentire…» continua lui. «Non preoccuparti; è colpa mia» sospira Vittoria. «No, cosa dici?! Vittoria, tu mi piaci, ma… io non piaccio a te nello stesso modo» conclude tutto d’un fiato. «Meno male che siamo al telefono, altrimenti non ce l’avrei mai fatta!» ridacchia, evidentemente imbarazzato per l’ammissione. «Mi dispiace, sei davvero una persona speciale, ma…» «Ma ti interessa un altro!» conclude la sua frase Mattia. «No! Perché dici così?» «Certe cose si percepiscono… comunque non importa. Mi sento troppo in sintonia con te per rinunciare alla tua compagnia». «Sicuro! Possiamo restare amici!» lo rassicura Vittoria. «Ti avevo promesso di portarti a far domanda di lavoro nella scuola in cui insegno io…» «Si può ancora fare, no?» «Sì… vuoi che i a prenderti domani mattina?» «Va benissimo!» «Allora, a domani!» «Okay».
«Ah… grazie Vicky!» «Di cosa?» «Di esserci… la tua presenza mi rende felice!» «Anche la tua!» risponde serenamente Vittoria, chiudendo la conversazione con un sorriso. Nel frattempo, proprio dalla stessa finestra da cui tempo prima lei aveva visto uno sconosciuto prendere il sole nudo, Riccardo la sta guardando, amareggiato dal fatto che, ormai da giorni, lei lo stia evitando. Nonostante questa certezza lo renda furioso, sente il desiderio crescere in lui, mentre ammira il suo corpo, coperto solo da un minuscolo due pezzi bianco. Dopo aver chiuso una conversazione telefonica, la vede sdraiarsi di nuovo sul lettino e rituffarsi nella lettura di un libro, probabilmente appartenuto a zia Lucrezia. Non si può andare avanti così, pensa, stringendo i denti contrariato. Nel dormiveglia agitato, giunge a Vittoria il rombo della moto Guzzi di zio Gustavo farsi sempre più vicino, fino a spegnersi sotto casa. La ragazza si gira e rigira nel letto senza riuscire a riaddormentarsi, dopo che i sogni inquieti che ha fatto nella prima parte della nottata l’hanno lasciata in preda all’ansia e alla preoccupazione. Le lenzuola bagnate di sudore si appiccicano al suo corpo seminudo e nemmeno la finestra spalancata lascia are aria a sufficienza per conciliarle il sonno. Ormai definitivamente sveglia, dopo aver sentito i i di Riccardo salire le scale e dirigersi verso la sua camera da letto, al secondo rintocco delle campane della Chiesa, decide di alzarsi. Il buio crea mostri che al mattino, alla luce del giorno, evaporano come acqua al sole; eppure, a volte, nel cuore della notte, a Vittoria capita che le si scavi dentro un abisso di angoscia, una voragine dalla quale non riesce più a risalire. «Riccardo!» sussurra alla sua porta senza ricevere risposta. «Riccardo, dormi? Posso entrare?» insiste. Dopo un rumore improvviso, la porta si apre e sulla soglia compare Riccardo in
boxer e con gli occhi feriti dall’improvvisa luce che, dal corridoio, irrompe nella sua stanza avvolta nella penombra. «Cosa c’è? Non stai bene?» le chiede lui, allarmato. «Mhm… no…» la risposta della ragazza è incerta. «Cosa ti senti?» indaga, accigliato, tirandosi indietro i capelli dalla fronte. «Ho paura… sono angosciata» ammette Vittoria, esitante. «Cosa ti angustia, bimba?» le sorride, apparendole improvvisamente intenerito. Come mi sento stupida, avrà senz’altro capito che non è nulla, eppure… «Posso dormire con te?» trova il coraggio di chiedergli. «Con me?» senza attendere risposta, Riccardo l’attira fra le sue braccia, stringendola dolcemente. «Però, promettimi che dormiremo soltanto» puntualizza la ragazza, prima di abbandonarsi completamente. «Quello che faremo, non dipende solo da me» chiarisce lui, prendendola per mano e conducendola verso il suo letto nel quale lei entra raggomitolandosi di fianco a lui che la raggiunge subito dopo. Solo la stoffa leggera della sua corta camicia da notte separa la sua pelle da quella bollente di lui. Entrambi sembrano, improvvisamente, consci della loro vicinanza mentre, il respiro trattenuto, cercano la posizione migliore per dormire abbracciati. «Allora, cos’è successo?» le chiede l’uomo, rivolgendosi a lei con tenerezza. «Ho iniziato a pensare al lavoro e al fatto che la prima settimana di settembre ci saranno le chiamate del Provveditorato e chissà dove mi manderanno, e io non ho ancora portato nemmeno un curriculum in una scuola privata e…» inizia a elencare, piagnucolando. «Basta, basta! Domani ti sembrerà tutto meno nero e poi vedrai che troveremo una soluzione» la zittisce lui con un sussurro, stringendola più forte a sé, prima
di continuare: «Anche a me capitano delle notti così, notti in cui mi si insinua nella mente il pensiero della morte, che mi angoscia e non mi fa dormire... Paradossalmente, mi succede soprattutto quando mi sento pieno di vita e mi chiedo cosa ne sarà di tutti gli attimi vissuti quando io non ci sarò più e anche le persone che amo moriranno. In quelle notti penso a mio padre, alla sua malattia che progredisce inesorabilmente». Vittoria lo ascolta silenziosa, annuendo. «Adesso, basta tristezza! Ho una bella notizia da darti» le annuncia accarezzandole i capelli «quando sono tornato a Parma, ho trovato una lettera della clinica privata di La Spezia». «Davvero? Perché non me l’hai detto subito?» solleva il viso verso di lui, contenta della notizia. «Non mi sembra che ce ne sia stata occasione negli ultimi tempi…» le fa notare con tono risentito e, dopo un attimo di silenzio, forse in forza della nuova intimità che si è venuta a creare, prosegue, il tono speranzoso «domani mattina ho il colloquio, hai voglia di accompagnarmi?» Vittoria rimane in silenzio per un po’, dispiaciuta di dovergli dare una delusione. «Verrei volentieri, ma… domani mattina ho un impegno con Mattia». «E non puoi proprio rinunciare, vero?» la provoca, chiaramente irritato. Vittoria, sempre più consapevole del corpo di Riccardo stretto al suo, decide scaramanticamente di non dirgli di che impegno si tratta, pur sapendo di creare, così, un ulteriore motivo di incomprensione tra di loro. «No, non posso. Mi dispiace» ribatte, infatti. Riccardo smette di parlare, offeso, e nel silenzio sente Vittoria scivolare dolcemente nel sonno, rassicurata – beata lei - dalla vicinanza dei loro corpi, incollati come se fossero due cucchiai ordinatamente riposti in un cassetto. Il seno della ragazza si solleva al ritmo del suo respiro sempre più pesante, mentre la mano di Riccardo, poco sotto, trattiene il suo torace. Il profumo delicato dei suoi capelli gli si insinua nelle narici, risvegliandogli i sensi, tanto da suscitargli un’erezione, indipendente dalla sua volontà razionale. Vorrebbe svegliare Vittoria che si muove nel sonno tra le sue braccia e fare l’amore con lei per il resto della notte, ma non le importa niente di me, pensa amareggiato. Non prova
nei miei confronti le stesse emozioni che lei mi sta risvegliando… questa storia mi sta facendo impazzire, si tormenta, addormentandosi infine alle prime luci dell’alba. Il sole del mattino filtra dalle persiane, sorprendendo Vittoria addormentata con il capo sul petto di Riccardo che, steso supino, la stringe a sé con il braccio destro. Languida, la donna inizia a muoversi nel sonno, strusciandosi contro il corpo muscoloso di lui che risponde istintivamente, facendo scorrere la mano sulla sua schiena e sul suo sedere sodo, prima di volgersi, ancora addormentato, verso di lei per strofinare il viso sui suoi seni, mugolando. I loro corpi, come animati da vita propria, si intrecciano mimando gesti d’amore senza che i loro legittimi proprietari ne abbiano piena coscienza, tanto che le mani di Riccardo fanno scorrere lungo le sue cosce le mutandine di Vittoria che gemendo, subito dopo, libera a sua volta dai boxer il sesso fremente di Riccardo. È solo perché il camlo di casa inizia a suonare con insistenza, svegliandoli definitivamente, che non accade quello che i loro corpi desiderano dal primo momento in cui si sono rincontrati, prima ancora che la loro volontà sia pronta ad accettarlo. Come scottati, ciascuno dei due si ritira nella propria parte del letto, coprendosi con il lenzuolo, mentre si guardano negli occhi esterrefatti. «Scusami, non era mia intenzione…» si giustifica lui. «Scusami tu… stavo sognando» chiarisce lei, a sua volta. «Chi sognavi? Mattia?» le chiede con cattiveria, accecato da un guizzo di gelosia, ma Vittoria non fa in tempo a rispondere perché il camlo suona di nuovo e lei, afferrate le sue mutandine, fugge ad affacciarsi alla finestra della sua camera. «Mattia, arrivo! Scusami, ma sono riuscita ad addormentarmi tardissimo» la sente spiegare, trafelata. «Va bene, ti aspetto sul terrazzo, il cancelletto è aperto» la voce di Mattia penetra fin dentro la stanza di Riccardo, inducendolo ad assumere una smorfia beffarda al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere tra lui e Vittoria e di cui
l’amico è totalmente ignaro. Quando Vittoria scende le scale, dopo aver indossato un sobrio abitino a piccoli fiori rossi su fondo nero, Mattia sta bevendo un caffè seduto in cucina, mentre chiacchiera cordialmente con Riccardo che lo ascolta silenzioso. Lo sguardo di Vittoria è inevitabilmente attratto dall’eleganza del suo coinquilino, la cui abbronzatura e i capelli scuri, un po’ lunghi sul collo, risaltano nel contrasto con il candore della camicia che indossa sotto a una giacca blu. I loro occhi si incrociano per un attimo, fino a quando la ragazza si trova costretta ad abbassarli, incapace di sostenere la sfida che legge in quelli di lui. «Andiamo?» chiede rivolta a Mattia che si alza prontamente per seguirla. «In bocca al lupo per il tuo colloquio!» aggiunge, girandosi verso Riccardo con un sorriso timoroso. «Grazie…» risponde lui laconico, continuando a fissarla provocatorio, come se dietro quell’unica parola si celasse un intero discorso. «Bene! È stato un vero piacere conoscerla». L’occhialuta signora sessantenne, seduta dietro alla scrivania di fronte a Vittoria, congeda la ragazza con un sorriso gioviale, stringendole la mano. «Le farò sapere». Si alza, infine, accompagnandola alla porta a vetri piombati in stile liberty, così come l’intero edificio dove ha sede l’istituto privato di Sarzana in cui insegna Mattia. «Grazie. Arrivederci!» ricambia Vittoria con un sorriso anche se, appena fuori dalla stanza, di fronte allo sguardo interrogativo di Mattia seduto ad aspettarla, la invade l’amarezza. «Ha apprezzato il mio curriculum, ma dice che stanno valutando altre domande di lavoro…» risponde alla muta domanda dell’amico. «Coraggio! Sono sicuro che hai fatto un’ottima impressione» la rassicura, dandole un’affettuosa pacca sulla spalla. «Vedremo…» «Andiamo a mangiare qualcosa?» la invita speranzoso, andosi una mano tra i capelli perennemente spettinati.
«Preferirei tornare a casa… Scusami, ma non sono dell’umore adatto» si giustifica, ma il ragazzo insiste, tanto che si ritrovano a Lerici, seduti ai tavolini di un bar del porto, davanti a due toast. Guardandosi attorno, Vittoria scorge la graziosa trattoria in cui aveva cenato con Riccardo quella prima sera che avevano parlato tanto degli argomenti più svariati, ma anche di loro stessi, scoprendo di avere più cose in comune di quanto pensassero, e iniziando così a conoscersi un po’ di più rispetto al ricordo lontano che avevano l’uno dell’altra. Le immagini della notte precedente l’avvolgono come la dolce carezza del sole di fine agosto, mentre fissa il mare scintillante e le barche a vela all’orizzonte; il suono della voce di Mattia, ignaro della sua fuga, si fa sempre più lontano, confuso fra lo stridere dei gabbiani che volteggiano nel cielo blu . È mancato poco che fimo l’amore… È troppo forte l’attrazione che i nostri corpi provano l’uno per l’altro, è pericoloso… non voglio essere solo un gioco che butterà via alla fine di questo anno di convivenza forzata…
10. CONFIDENZE
«Ciao, Clara! Che piacere sentirti!» «Volevo sapere come stanno andando le chiamate per l’insegnamento». «Stamattina sono stata in Provveditorato, ma per ora ancora niente» sospira Vittoria, raccontando all’amica la sua esperienza tra una selva di insegnanti precari inviperiti, pronti a strapparsi l’un l’altro l’incarico apparentemente migliore. «Mi sembrava che mi avessi detto che sei stata a far domanda di lavoro anche in una scuola privata…» «Sì, la settimana scorsa Mattia mi ha accompagnata nella scuola in cui insegna lui». «E non ti hanno più chiamata?» «Ancora no, purtroppo…» «Però è stato carino questo Mattia; hai proprio tutti gli uomini ai tuoi piedi…» «Cosa dici?» Vittoria protesta di fronte alla provocazione maliziosa dell’amica. «All’inizio, forse, gli piacevo un po’, ma poi ci siamo chiariti e ora siamo diventati davvero buoni amici. Anzi! Se vieni a trovarmi te lo presento». «Ci speravo che me lo chiedessi! Avevo pensato di approfittare degli ultimi giorni di ferie, cosa ne dici?» «Vieni pure quando vuoi; non vedo l’ora!» Chiusa la conversazione, Vittoria torna a rovistare tra le foto, i libri e i ritagli di giornale conservati dalla cara zia Lucrezia nel comò in mansarda, non prima di aver lanciato un’occhiata furtiva giù in giardino, dove Riccardo, a torso nudo sotto il sole ormai al tramonto, sta finendo di riverniciare la cancellata
arrugginita. L’immagine conturbante dell’uomo, pur se non vorrebbe ammetterlo nemmeno con se stessa, rimane impressa a lunga nella sua mente anche quando torna ad occuparsi del lavoro che aveva lasciato in sospeso per rispondere alla telefonata dell’amica. «Hai fatto bene ad arrivare in treno, qui è sempre un casino parcheggiare». «Mi dispiace averti dato il disturbo di venirmi a prendere a La Spezia». «Ma no, figurati!» Vittoria abbraccia di nuovo l’amica Clara, felice di rivederla dopo mesi. «Ti accompagno subito a vedere la mia casa a La Serra e poi si va al mare! Si sta benissimo in questi primi giorni di settembre» sorride all’amica, ritrovando un po’ di serenità. «Guarda che giornata meravigliosa!» esclama, una volta uscite dalla stazione, indicando il cielo azzurro intenso. «Che posto stupendo!» osserva Clara, ammirando il paesaggio, mentre seduta sul lettino dello stabilimento balneare di Fiascherino, si lascia accarezzare i piedi nudi dalla sabbia grossa dello stretto arenile. «Anche la tua casa mi piace molto! Dicevi che non sei più tornata da queste parti da quando avevi quindici anni?» chiede stupita a Vittoria, lo sguardo ammirato rivolto alle onde verdi che si infrangono sugli scogli. «Non ce n’è più stata occasione. E poi…» cerca le parole in se stessa «da queste parti c’erano troppi ricordi dolorosi… i momenti felici con mio padre e la mia famiglia, gli zii… Riccardo…» «Riccardo?!» «Sì, mi ero presa una cotta spaventosa negli ultimi anni» ammette con un sorriso imbarazzato. «Ah, ma questo non me l’avevi mai detto…» «No, perché tanto non mi considerava nemmeno, a parte farmi continui scherzi…» «Be’, ma eravate ragazzi! Magari era il suo modo per attirare la tua attenzione…»
«Bel modo di attirare l’attenzione! Comunque, l’effetto era quello di costringermi a rinchiudermi in camera; stavo in giardino a leggere solo quando lui scendeva giù al mare con i suoi amici». «E adesso come sta andando?» «Lo evito!» «Ma non è possibile! Vivete assieme!» protesta Clara. «È da una settimana che praticamente non ci parliamo, se non quando è strettamente necessario». «Allora è quella la luce triste che vedo in fondo ai tuoi occhi?!» «Ma no…» Vittoria, lo sguardo fisso all’orizzonte, si schermisce. «Dipende anche dal lavoro, dall’incertezza complessiva della situazione…» «Non ti sarai innamorata ancora di lui, vero?» Le parole dell’amica concretizzano i pensieri che girano nella testa di Vittoria da tempo. «Non lo so…» risponde, dopo un lungo ed eloquente momento di silenzio. «Comunque, anche se fosse, lui ha la ragazza». «Come fai a saperlo, chi te l’ha detto?» «Me ne ha parlato per caso Mattia». «Magari non ce l’ha più ed eventualmente può sempre lasciarla!» semplifica l’amica, dandole di gomito per cercare la sua complicità. «Ma dimmi, piuttosto, è successo qualcosa? Confessa!» chiede Clara, ridendo. «Qualche bacio e poco più» Vittoria ammette la mezza verità, iniziando a sentir frullare lo stomaco al pensiero di quello che c’è stato. «Solo che, ogni volta che le cose si stavano spingendo troppo in là, mi sono sempre sottratta… ho paura che lui stia solo giocando con me, di essere un atempo momentaneo…» conclude, amara. «Perché dovrebbe essere così?»
Già. Perché dovrebbe essere così? Le parole e i pensieri delle due ragazze si disperdono nella brezza marina, mentre si stendono di nuovo sui rispettivi lettini per godersi l’ultimo sole dell’estate. Vittoria e Clara si chiudono, ridendo, il cancelletto alle spalle, piene di sole e vita, ancora immerse nei loro discorsi di amiche di lunga data. «Buonasera!» le saluta Riccardo in piedi sul terrazzo davanti alla casa, un pennello in mano. «Piacere, Clara». L’amica di Vittoria si presenta con un sorriso aperto che Riccardo ricambia cordialmente porgendogli il gomito, visto che ha le mani sporche di colore. «La mia amica si fermerà a cena e dormirà qui, ho invitato anche Mattia. Tu ti unisci a noi?» gli chiede Vittoria per pura cortesia. «Anche Mattia dormirà qui?» scherza, strizzando un occhio a Clara. «Spiritoso!» «Volentieri, per la cena! Almeno stasera parlerò con qualcuno…» ammicca rivolto ancora a Clara. La risposta di Riccardo è evidentemente una frecciatina nei confronti di Vittoria che finge di non coglierla. «Si cena alle otto» ribatte lei asciutta, invitando l’ospite a salire in camera a prepararsi. «Posso fare qualcosa?» le chiede Riccardo, una volta rimasti soli. Così dicendo, si avvicina alle spalle di Vittoria, in cucina, intenta ad armeggiare con le pentole. «Magari puoi preparare la tavola intanto che io mi cambio… per il resto è già tutto pronto, devo solo cuocere gli spaghetti». «Sei una donna dalle mille risorse!» la canzona, facendo percepire alla ragazza il suo alito tiepido sul collo. Vittoria si gira di scatto, infastidita, ritrovandoselo davanti e troppo vicino, le
mani sporche di colore sollevate in alto in segno di resa. Improvvisamente, una corrente elettrica sembra scorrere tra loro, facendo scattare l’attrazione che, più o meno consapevolmente, da sempre si scatena quando sono vicini. Lei avverte i suoi occhi fissarla con intensità per un lungo momento e, nello stesso istante, il suo cuore partire al galoppo. «Oh Vicky! Cosa mi fai…» sospira lui, leggendo sul viso della ragazza un miscuglio di emozioni che lo attraggono e respingono al contempo, in una lotta in cui non capisce quale sentimento, infine, prevarrà. Lui stesso, nel percepire il suo corpo così caldo e vicino al suo, si sente rimescolare fin dentro le viscere e la tentazione di eliminare del tutto la distanza tra loro e strapparle un bacio lo fa persino tremare. «Riccardo, lasciami stare!» lo liquida seccamente lei, facendo crollare in un attimo le sue intenzioni, eppure l’uomo avrebbe giurato di aver visto i suoi occhi riempirsi di lacrime, mentre si allontanava troppo velocemente, per salire le scale. Una collana di piccole luci bianche avvolge la pergola che scende spiovente sul terrazzo, regalando un’atmosfera magica alla tranquilla serata tra amici che vede Vittoria, Riccardo, Mattia e Clara riuniti a cena. I dialoghi scorrono fluidi e piacevoli, nonostante le occhiate fulminanti che ogni tanto si scambiano Vittoria e Riccardo, mentre Mattia e Clara, uniti da un inaspettato feeling, chiacchierano fitto fitto tra di loro, anche quando i padroni di casa si alzano per sparecchiare o servire in tavola nuove portate. «Mi sembra che vadano d’accordo!» osserva Vittoria, mentre al lavello in marmo della cucina sciacqua i piatti, prima di inserirli nella nuova lavastoviglie. «Direi proprio di sì!» risponde Riccardo, andole una padella sporca di sugo. «Ti dispiace?» le chiede, guardandola negli occhi con fare indagatore. «Ma cosa dici!» si schermisce lei, guardandolo esterrefatta. «Sono contenta per loro: se son rose fioriranno» aggiunge, allontanandosi verso l’esterno con l’insalata di mare in una mano e il polpo con le patate nell’altra. «Che meraviglia!» esclama Mattia alla vista della seconda portata. «Sei bravissima!» le dice, servendosi generosamente.
«Puoi ben dirlo!» si aggiunge anche Clara ai complimenti. «Vittoria ha sempre cucinato benissimo! Mi ricordo certi manicaretti quando eravamo nel nostro appartamento ai tempi dell’università!» racconta, mangiando di gusto. «Mi è sempre piaciuto cucinare» ammette Vittoria con modestia. «Mi ha insegnato mio papà, coinvolgendomi fin da piccola». «Perché non trasformi questa casa in un’osteria?» suggerisce Clara, illuminandosi improvvisamente. «Sì, che bell’idea!» approva Mattia, mentre Vittoria e Riccardo rimangono in silenzio a guardarsi poco convinti. «Oppure, potete fare un Bed&Breakfast!» si entusiasma ancora una volta Clara, comunicando ai presenti: «Vittoria è eccezionale anche a fare i dolci per la colazione!» «È un’idea!» sorride Riccardo. «La casa è grande, si potrebbero ricavare delle stanze con bagno separate dal resto». «Lo terremo presente, nel caso non ci fossero novità rispetto al lavoro» afferma Vittoria, indossando un sorriso mesto. «Allora, a questo punto, è necessario che faccia un annuncio» esordisce Riccardo lasciando tutti in attesa. «In alto i calici per brindare al mio nuovo lavoro!» solleva il bicchiere, mentre tutti gli occhi sono puntati su di lui. «Inizierò il primo ottobre presso una clinica ortopedica di La Spezia» conclude, sorridendo. Clara e Mattia si congratulano con lui, mentre Vittoria brinda, complimentandosi tiepidamente. Riccardo, probabilmente accortosi della sua freddezza, le chiede accigliato: «Non sei contenta?» «Da quanto tempo lo sai? Potevi dirmelo prima…» «Me l’hanno confermato dopo il colloquio di quindici giorni fa, ma non mi sei sembrata molto interessata a me negli ultimi tempi…» ribatte, chiaramente amareggiato. Mattia, indubbiamente accortosi della tensione creatasi tra i due, invita Clara a
concludere la serata con lui in un pub di Lerici, licenziandosi frettolosamente. Rimasti soli, Vittoria e Riccardo riordinano in silenzio, fino a quando non è lui a prenderla per un braccio e a chiederle arrabbiato: «Mi spieghi qual è il problema? Credevo fossi contenta, almeno uno dei due lavora, Cristo santo!» «Il problema è che mi sento offesa perché non mi hai ritenuto abbastanza importante da parlarmene» cerca di divincolarsi. «Se non ci fosse stata questa occasione, quando me l’avresti detto? Il giorno stesso?» lo fulmina. « Vittoria esco, vado al lavoro…» lo scimmiotta «Mi avresti detto così il primo ottobre?» gli chiede in preda a una crisi isterica, prima di scoppiare a piangere. Riccardo l’attira a sé, mentre lei continua a singhiozzare. «Piccola, sei così complicata! Non piangere…» sussurra, accarezzandole i capelli, evidentemente intenerito. «Sono successe troppe cose in questi pochi mesi… basta, calmati» mormora dolcemente al suo orecchio, riempiendola di brividi, fino a quando la donna non si tranquillizza e, staccandosi a malincuore dall’abbraccio rassicurante di Riccardo, si scusa imbarazzata. «Ora vado a letto, lascia tutto com’è, finirò di sistemare domani» aggiunge, il tono incolore. Turbata dall’inaspettata tenerezza che l’uomo davanti a lei ha saputo dimostrarle, Vittoria s’incammina senza forze verso le stanze del piano superiore.
11. INNOCENTI BUGIE
«Prego, entri pure» Riccardo si scosta di lato per lasciar are il pubblico ufficiale venuto a verificare l’abitualità della dimora, come previsto dalla Legge, al fine di poter trasferire la residenza. «Grazie». Il nuovo arrivato accenna un sorriso che non arriva agli occhi, togliendosi il cappello. «Lei è il signor Riccardo Bacigalupi?» chiede, sbirciando sui fogli che ha portato con sé. «Sì, piacere!» si presenta Riccardo, allungando la mano. «Visentini!» ricambia la stretta. «Dunque… lei conferma di aver chiesto il cambio di residenza da Parma in Via Mazzini, civico 13 a La Serra di Lerici in via Generale Zanelli numero 7?» «Sì, confermo» risponde Riccardo, compìto. «E la sua signora è in casa?» «Ehm…» il giovane ha un attimo di esitazione di fronte all’appellativo utilizzato, poi si riscuote e aggiunge: «Sì, la chiamo». Affacciandosi alle scale, rivolge la testa verso l’alto: «Vickyyyy! Tesoro, scendi!» «Come te lo devo dire di non chiamarmi…» Vittoria esce dalla sua stanza agguerrita come al solito, salvo lasciare la frase a metà appena si rende conto che all’ingresso, insieme a Riccardo, c’è un uomo in divisa. «C’è la polizia municipale per il cambio di residenza» chiarisce Riccardo, facendole dei cenni eloquenti con il capo e sgranando gli occhi nella sua direzione. «Va bene, scendo subito!»
«Ci scusi, siamo un po’ nervosi ultimamente… sa, la sistemazione di questa vecchia casa è più faticosa del previsto» Riccardo cerca di intrattenere l’uomo parlando del più e del meno, fino a quando Vittoria non arriva, porgendo a sua volta la mano al signor Visentini. Un fresco profumo fiorito si diffonde all’ingresso, arrivando alle narici del giovane e probabilmente anche a quelle del serio ufficiale di polizia. «Lei è la Signora Vittoria Costa?» «Sì, ma si sieda» lo invita lei, guidandolo in cucina. «Possiamo offrirle qualcosa?». «Niente, grazie» rifiuta il vigile, accomodandosi al tavolo della cucina, dove continua a leggere le carte che vi ha appoggiato. «Dunque lei si trasferisce da Lucca…» «Esatto!» la ragazza sorride soavemente. «Da quanto tempo abitate in questa casa?» Riccardo e Vittoria si guardano, prima di rispondere quasi in coro: «Due mesi e mezzo». «Sì… era metà giugno quando ci siamo trasferiti» specifica la ragazza seduta di fronte al vigile, intento a trascrivere le risposte sui propri moduli, mentre Riccardo posa le braccia sullo schienale della sua sedia cingendole le spalle confidenzialmente. L’effetto che ottiene è quello di far apparire sul viso della ragazza un’espressione stupita e evidentemente confusa dal suo atteggiamento. «Intendete trasferirvi definitivamente a La Serra?» «No». «Sì». Le risposte contraddittorie di Vittoria e Riccardo si sovrappongono, suscitando l’evidente perplessità del vigile che alza il capo verso di loro aspettando una spiegazione.
«Almeno per un anno…» tenta di chiarire Vittoria. «Io e la mia ragazza» la interrompe Riccardo, notando gli occhi sgranati di Vittoria alle sue parole «pensavamo di vivere qui per un anno sistemando la casa e poi… » non sapendo bene come rimediare, conclude «poi… valuteremo se sposarci!» La frase finale lascia chiaramente di sasso Vittoria la quale rimane ancor più interdetta e incapace di reagire quando Riccardo, per rendere più veritiera la propria affermazione, la bacia teneramente sul collo sentendola rabbrividire. «Vero, tesoro?» le chiede conferma, lanciandole uno sguardo eloquente, mentre il vigile è intento a scrivere. «Sicuramente» risponde lei incerta e, dopo una breve esitazione, aggiunge, abbassando gli occhi a disagio «… amore». «La mia Vicky!» Riccardo le prende la mano e, rivolgendosi al vigile, giustifica l’evidente imbarazzo della ragazza: «È un po’ timida, sa?» e, baciandole le dita, le sorride malizioso. Dalla luce fiammeggiante che vede balenare nei suoi occhi, il giovane acquisisce la certezza che la rabbia ribolle in lei come il magma in un vulcano che si sta lentamente risvegliando, ma la situazione è troppo divertente per porre fine alla messa in scena che lui stesso ha alimentato, tanto più che potrebbe andarci di mezzo la concessione della residenza. «Bene!» afferma l’incaricato comunale, soddisfatto, dopo aver finito di compilare i moduli. «Adesso dovrei visitare la casa e verificare che ci abitiate effettivamente». «Prego!» Riccardo lo precede, uscendo dalla cucina e salendo le scale. «Venga al piano superiore». «Avete stanze separate?» si stupisce Visentini, notando gli effetti personali femminili nella stanza di sinistra e quelli maschili nella stanza a destra. «Per ora, sì…» Riccardo cerca la complicità del vigile e, dandogli di gomito, aggiunge: «Fino al matrimonio… o almeno ci proviamo!»
«Bene!» ripete il pubblico ufficiale alla fine della sua accurata visita, durante la quale Riccardo ha continuato a recitare la parte del piccioncino innamorato nei confronti di una Vittoria sempre più fumante. «Direi che il requisito dell’abituale dimora è pienamente confermato, pertanto esprimerò parere positivo per il cambio di residenza e fra quindici giorni potrete ritirare il certificato presso l’ufficio anagrafe, oppure chiedere le credenziali per scaricarlo dal sito del Comune». Salutato il vigile e richiusasi la porta alle spalle, Riccardo percepisce che Vittoria sta per esplodere e, infatti, lei gli si scaglia contro aggredendolo verbalmente: «Che bisogno c’era di fare tutta questa sceneggiata?» «Non hai visto com’era sospettoso? Cosa potevamo dirgli?» «La verità, semplicemente!» «Sì, certo! Che la zia con l’Alzheimer ci ha lasciato la sua casa obbligandoci a viverci per un anno?» «Di fatto è così…» «E secondo te ci avrebbe dato la residenza? Che, tra l’altro, mi sembra sia una richiesta esplicita del testamento…» «Perché, no?» chiede Vittoria, mentre la rabbia inizialmente dipinta sul suo viso sembra sbollire, per lasciare il posto alle perplessità che Riccardo spera di aver suscitato in lei con le sue obiezioni. «Perché è assurdo che due estranei vivano insieme in una casa per volere di una vecchia zia» «È quello che ho sempre detto io!» ribatte Vittoria con veemenza, girandosi poi verso la finestra. «Ma no, non ti sarai mica offesa…» l’attira a sé. «Cos’hai capito, testona?» Riccardo le cinge la vita, abbracciandola da dietro. «Intendevo che può sembrare assurdo a un vigile, al punto di non darci la residenza qui». «Faresti carte false per avere questa casa…» lo accusa la ragazza con amarezza.
«Sì, ci tengo perché ci sono molto legato» afferma lui, deciso. «Io non così tanto. Te la lascio, se vuoi, e me ne torno a Lucca» lo provoca, ma Riccardo non si lascia ingannare, sa bene che Vittoria sta mentendo; ci tiene almeno quanto lui a quella vecchia casa piena di ricordi. «Dimentichi che se non rispettiamo il volere della zia, nessuno di noi due potrà avere questa casa». «Già…» ammette la ragazza, visibilmente scoraggiata. «Allora, fai lo sforzo di sopportarmi per altri dieci mesi». Così dicendo, la stringe più forte a sé e, inebriato dal suo profumo fiorito, si china a baciarle il collo, laddove è più tenero e tiepido. Il suo respiro si fa più affannoso, mentre le mani risalgono febbrilmente sotto alla maglietta, accarezzando la sua pelle vellutata, fin quasi al seno. Vittoria vorrebbe mettere da parte le armi e abbandonarsi a quelle effusioni che iniziano rischiosamente a scalfire la corazza che si è costruita nel corso degli anni, ma un lampo le si accende nella mente. «Giulia cosa direbbe di tutto questo?» chiede, girandosi verso Riccardo con aria di sfida, mentre dentro si sente tremare. L’uomo si blocca di colpo: «E tu cosa ne sai di Giulia?» ribatte, evidentemente impreparato alla domanda della ragazza.
12. A PROPOSITO DI GIULIA
Riccardo aveva imboccato l’autostrada Parma-La Spezia in direzione Parma e aveva guidato immerso nei suoi pensieri, lasciando scorrere il nastro sinuoso dell’autostrada davanti a sé, su è giù per gli Appennini, tra altissimi viadotti, borghi isolati e castelli abbarbicati sulle alture. Aveva ripensato a Vittoria, al bacio apionato che si erano scambiati, entrambi un po’ brilli, quella sera speciale in cui con la vecchia moto dello zio erano andati a cena a Lerici e avevano parlato a lungo di loro stessi, scoprendo di avere, in fondo, nonostante la diversità di carattere, molte cose in comune. Mentre guidava, l’immagine di lei bambina, timida e schiva, inconsapevole del magnetismo dei suoi occhi azzurri in cui, già allora, era facile perdersi, si era sovrapposta a quella di Vittoria adulta, sbocciata in tutta la sua bellezza, ma sempre scontrosa e scostante nei suoi confronti. Aveva meditato a lungo anche sulla giornata ata insieme agli amici dell’adolescenza e una fitta di gelosia lo aveva nuovamente invaso al ricordo delle attenzioni che Mattia aveva rivolto alla ragazza e che lei sembrava apprezzare, ricambiando il suo interesse. Non si spiegava perché lo infastidisse così tanto; in fondo, cosa siamo l’uno per l’altra?, si era chiesto. Davvero, poco più che conoscenti, eppure non riesco a togliermela dalla testa, così come il pensiero di lei non mi abbandonava per mesi dopo il ritorno dalla casa degli zii… Il ricordo delle estati dell’infanzia, ate insieme alla sua famiglia e a quella di Vittoria nella casa di La Serra, gli aveva fatto tornare in mente suo padre e d’istinto aveva telefonato a sua madre: «Ciao, mamma!» aveva esordito, indossando l’auricolare. «Ciao, caro!» Nel suo saluto caloroso, Riccardo aveva colto tutto l’amore che la donna provava per lui. «Come sta papà?»
«Non molto bene, purtroppo» aveva sospirato Felicita. «Ma è stabile o sta peggiorando?» «Purtroppo, dobbiamo prepararci al peggio…» Riccardo era ammutolito. Pur essendo un medico, non si era ancora abituato all’idea che le malattie non sempre si possano sconfiggere. «Quando vieni a trovarci?» sua madre aveva interrotto il silenzio, il tono apprensivo. «Faccio il possibile per venire presto, ma adesso sto tornando a Parma per sistemare alcune cose e poi devo restare a La Serra fino a quando non ci daranno la residenza» le aveva spiegato. «E con Vittoria, come sta andando?» «Bene…» aveva risposto lui, vago. «È sempre carina come una volta?» «Direi di sì…» aveva continuato, mantenendo lo stesso tono monocorde, nel tentativo di tenere a bada l’istinto che gli avrebbe fatto dire che, se possibile, era diventata ancor più bella. «Hai sempre avuto un debole per lei, anche se non hai mai voluto ammetterlo!» «Dai, mamma! Sono ati tanti anni…» «Non volevi ammetterlo perché il tuo orgoglio non poteva accettare che lei ti resistesse, che ti fosse indifferente, nonostante tutti i dispetti che le facevi per attirare la sua attenzione…» aveva continuato sua madre, ridendo, con l’effetto di irritarlo sempre più. «Da quando in qua fai la psicologa?» le aveva chiesto, seccato. «Tesoro, lo hai detto tu, è ato tanto tempo, perché ti danno così fastidio le mie parole?» Già, perché?, si era chiesto Riccardo, chiudendo la conversazione con la
promessa di andare a trovare la famiglia a Lione prima possibile. «Giulia!» Riccardo l’aveva chiamata vedendola da lontano guardarsi attorno, il trolley alla mano, mentre gli aerei dietro le grandi vetrate luminose decollavano sulla pista. Quando la ragazza si era girata verso di lui con un sorriso, che alla luce del suo senso di colpa gli era parso fiducioso, il coraggio che pensava di aver acquisito durante il viaggio in auto, ripetendo ad alta voce il discorso che voleva farle, gli era venuto un po’ meno. «Ciao!» si erano detti all’unisono, restando un attimo più del dovuto a guardarsi negli occhi, esitanti, prima di scambiarsi un fuggevole bacio sulle labbra, un po’ imbarazzati. Riccardo aveva afferrato galantemente la sua valigia e, insieme, si erano incamminati verso l’uscita. «Come stai?» le aveva chiesto lui, iniziando a sondare il terreno. «Bene! Stanchissima, ma bene!» aveva sospirato Giulia. «E tu?» «Anch’io…» aveva risposto semplicemente Riccardo e, senza volerlo, il viso di Vittoria, illuminato dai suoi espressivi occhi azzurri, gli era balenato per un attimo nella mente. Prendiamo un caffè?» aveva chiesto per distrarsi da quell’immagine e, seguito docilmente da Giulia, si era avvicinato ai tavolini di un bar dell’aeroporto. «Come sta andando a Banguì?» Alla sua domanda, un velo di tristezza era calato sul volto di Giulia, ormai intenta a sorseggiare il suo cappuccino. «Va un po’ meglio dopo l’arrivo dei caschi blu dell’ONU, però resta sempre un inferno... Non è cambiato molto da quando sei partito tu». «Mi porto sempre, dentro, gli occhi di quei bambini e di quelle madri impotenti…» aveva ammesso Riccardo, mentre il ricordo della sua esperienza di medico nella Repubblica Centrafricana era riemerso, vivido, dalle brume della memoria.
«Anch’io! Non penso ad altro…» «Quanto hai intenzione di fermarti?» «Non più di due mesi» gli aveva risposto lei con decisione, mentre una luce indecifrabile le era balenata negli occhi. «Giulia…» «Riccardo…» I loro nomi, pronunciati contemporaneamente, si erano accavallati. «Prima tu!» lui le aveva ceduto la parola con un sorriso. «Riccardo io…» aveva iniziato lei, vaga. «Giulia, io non posso tornare in Africa con te!» l’aveva interrotta, parlando tutto d’un fiato, incapace di attendere oltre. Si erano guardati a lungo, stupiti, prima che Giulia proseguisse: «Non preoccuparti, non è questo che voglio» e, posando la sua mano su quella di Riccardo, aveva proseguito in un sussurro, guardandolo negli occhi. «Mi sono innamorata di un altro». Emozioni contrastanti si erano alternate in Riccardo. Da un lato provava il sollievo di liberarsi da una storia che si stava ormai trascinando da tempo, in cui a far da collante erano rimasti la stessa professione, l’interesse comune per gli interventi umanitari e l’affetto che li legava; d’altro canto, percepiva un senso di perdita per una storia nata ai tempi dell’Università che si stava ormai concludendo. «Di chi?» aveva indagato con un residuo lampo di gelosia. «Di Daniel, te lo ricordi?» «Il ginecologo inglese?» «Sì…» aveva risposto incerta, attendendo, probabilmente, che esplodesse la sua reazione.
«Giulia… sono felice per te!» A giudicare dall’espressione stupita della ragazza, le sue parole l’avevano sorpresa. Anche se parte del mio cuore è in Africa, ora voglio provare a costruire la mia vita in Italia, a La Serra, dove prenderò la residenza…» aveva iniziato a spiegarle. «È vero che hai ereditato la casa di tua zia! Non ti ho più chiesto niente…» «Sì, ho sempre amato quella casa, era l’unico punto fisso della mia infanzia, visti i continui spostamenti per lavoro di mio padre. Voglio provare a mettere radici e sento che quello è il mio posto» parlando, si era infervorato. «E poi…» si era fermato, incerto se parlarle di Vittoria, ma infine aveva ammesso «e poi, a La Serra c’è Vittoria». «Tua cugina?» Giulia aveva sgranato gli occhi. «Non è mia cugina!» aveva ribattuto, lievemente spazientito. «Comunque, non capisco ancora cosa provo per lei, è una sensazione strana…» Per delicatezza, visto che si trovava di fronte a quella che stava per diventare la sua ex ragazza, aveva evitato di parlarle dell’attrazione folle che provava per lei e dell’incapacità di resisterle, anche se erano proprio quelle le sensazioni che lo attraversavano quando pensava ai baci apionati che si erano scambiati e, se fosse dipeso da lui, non si sarebbe di certo limitato solo a quelli. «Forse ti stai innamorando anche tu!» aveva osservato Giulia, riportandolo alla realtà di quel tavolino d’acciaio in un bar dell’aeroporto, tra chiamate di voli, viaggiatori che partivano e arrivavano con i loro bagagli, incontri e addii.
13. VICINANZE
Cosa ne so io di Giulia?, si chiede Vittoria, in piedi davanti a Riccardo, tremante per l’emozione di affrontare finalmente quell’argomento così spinoso, sul quale ha rimuginato per settimane. Il vigile Visentini, ignaro dello scompiglio che ha scatenato in lei, probabilmente non è ancora arrivato in fondo alla strada. «So che Giulia è la tua ragazza, me lo ha detto Mattia… » sussurra senza fiato «…e so anche che non voglio essere un atempo per te, durante questo anno in cui saremo obbligati a vivere assieme». Ecco, lo aveva detto e quasi tutto d’un fiato, pensò, sentendosi già più sollevata. «Preferiresti stare con il caro, innocuo, Mattia, vero?» contrattacca Riccardo. «Anche se mi sembra che adesso ci stia provando con la tua amica, visto che non è nemmeno tornata a dormire qui l’altra volta…» aggiunge, ironico, evidentemente intenzionato a ferirla. «Io e Mattia siamo solo amici e sono felice per lui se sta bene con Clara» protesta Vittoria. «Il problema è che tu sei già impegnato, ma non disdegni di tormentarmi come facevi da ragazzino» lo sfida, fissandolo negli occhi. «Di tormentarti?» esclama, spazientito, afferrandola per le braccia e avvicinando pericolosamente il viso a quello della ragazza. «Stai scherzando, vero? Detto così, sembra che ti abbia fatto violenza, invece non mi sembravi così restìa…» Vittoria si lascia scuotere, restando muta davanti alla sua furia, senza riuscire ad ammettere di desiderare con tutta se stessa le sue attenzioni a patto che per lui non siano solo un gioco. Amareggiato, Riccardo la lascia infine andare: «Scusami» lo vede arsi una mano tra i capelli, nervoso. «Non so cosa mi sia preso. Hai la capacità di risvegliare una parte di me che sfugge al mio controllo» sospira, un sorriso rassegnato. «E pensare che io…» sbuffa, senza completare la frase. Chi pensa che io sia? Uno che ci prova con la prima che si ritrova in casa?, si domanda rattristato, ferito dalla sfiducia che Vittoria non perde occasione di
dimostrargli. Troppo orgoglioso per confidargli di aver lasciato Giulia, esce sbattendo la porta, desideroso soltanto di rinfrescarsi le idee con una corsa nell’aria tiepida del tramonto in sella a quella che ormai è diventata la sua moto. La notte settembrina è ancora piacevolmente calda. Vittoria si rigira nel letto in un dormiveglia agitato, popolato di sogni e incubi, in cui la consapevolezza della presenza di Riccardo prevale su tutto. Improvvisamente, la porta della sua stanza si apre e l’ombra di un uomo si disegna nel rettangolo luminoso creato dalla luce del corridoio. La ragazza sobbalza, spaventata, ritraendosi verso la testiera. «Vittoria!» la chiama Riccardo, la voce biascicata. «Non puoi ridurmi così…» aggiunge, abbassando la voce e avvicinandosi al letto. «Vai via! Hai bevuto». «Non poi così tanto…» risponde l’uomo, quasi come se parlasse con se stesso. «Sei tu che mi inebri…» sospira, fissandola con espressione irriverente. La ragazza lo vede spostare le lenzuola con un gesto rapido che la scopre completamente, lasciandola immobile nella penombra. Subito dopo, le braccia tese e le mani posate sul letto, percepisce il suo corpo avvicinarsi sempre più, le labbra puntate verso le sue. Avverte il suo alito caldo e profumato, una leggera nota alcolica in sottofondo, e si sente sciogliere di desiderio. Con uno scatto felino, come di leone che si avventa sulla preda, lui le afferra il viso con una mano e lo avvicina al proprio, inesorabilmente. All'istante, scatta la familiare scossa elettrica che, ogni volta che i loro corpi sono troppo vicini, colpisce Vittoria allo stomaco, diffondendosi piano verso i lombi. Scrutando Riccardo, la ragazza ha la certezza che la stessa cosa stia succedendo anche a lui. Infine, le sue labbra si posano su quelle di Vittoria, schiudendole con forza. Nonostante la resistenza iniziale, la ragazza si arrende ben presto alla lingua di lui che si insinua nella sua bocca con tocchi rapidi e veloci, alternati a momenti in cui ne lecca l’interno con ione e dolcezza contemporaneamente, tanto che Vittoria si lascia andare senza più riserve, alzando le braccia sul collo di lui, per ricambiare meglio il suo bacio, dimentica di ogni cosa che non sia il momento unico e irripetibile che sta vivendo, fuori dal mondo, lontano da tutto e da tutti,
anche dal tarlo di Giulia che l’ha ossessionata nelle ultime settimane. Sempre baciandola, Riccardo la sospinge sul letto, sdraiandosi al suo fianco, mentre con una mano inizia ad accarezzarle le cosce, soffermandosi sulle natiche solcate dal filo sottile di un perizoma che la sua mano sposta per insinuarsi nel piccolo triangolo che copre la parte più intima e segreta di lei. La sua bocca umida si posa sulla pelle sensibile del collo, vicino al lobo di un orecchio, per scendere sotto la gola con piccoli morsi che le strappano mugugni e gemiti. Vittoria, audacemente, insinua una mano sotto alla maglietta di lui, accarezzandogli l’ampio petto muscoloso coperto di una corta peluria, mentre con le dita gli accarezza i piccoli capezzoli piatti, soddisfatta di sentirli irrigidirsi al suo tocco. Sente la corta camicia da notte sollevarsi, fino a scoprire il seno sul quale Riccardo si tuffa, assaporandone la morbidezza con una mano e posandovi le labbra, come incapace di resistere al richiamo dei suoi capezzoli turgidi che mordicchia e succhia con voluttà, confondendo i reciproci sospiri, mentre con l’altra mano continua ad accarezzare l’interno delle sue cosce. «Ti prego, non sottrarti stavolta» le sussurra il giovane in un orecchio, provocandole un brivido. «Non sai quanto ti desidero…» «Anch’io ti desidero» si arrende anche lei all’evidenza, cercando i suoi occhi luminosi nell’oscurità. Per un breve istante, i loro sguardi si incatenano, attraversati da un’emozione che a Vittoria pare sovrastarli e di nuovo travolgerli, in un vortice di ione in cui niente esiste più, se non la consapevolezza dei loro rispettivi corpi, assetati di baci, carezze e desiderio di appagamento. Dopo aver spogliato completamente la ragazza, Riccardo si toglie a sua volta i jeans e la maglietta, sospirando, incredulo di trovarsi così vicino a Vittoria, nuda e di nuovo tra le sue braccia. «Sei bellissima» le sussurra in un orecchio, sentendola rabbrividire, prima di are a tempestarle il viso di baci e tornare a impossessarsi della sua bocca, coprendole il corpo con il proprio. Le mani di Vittoria che gli accarezzano la schiena sono una tortura per lui, tanto che, quando le sente scivolare nei suoi boxer fino a sfilarglieli lentamente, non riesce a trattenere un gemito rauco. Sente il sesso durissimo, pronto a scoppiare, mentre sfiora le cosce della ragazza, trovando infine il percorso naturale tra le sue gambe, al centro delle quali
affonda con disperata urgenza, suscitandole un singulto soffocato. Ritrovandosi con Riccardo dentro, Vittoria viene assalita da un senso di vertigine che probabilmente anche lui avverte, tanto da fermarsi per un attimo, a sua volta emozionato almeno quanto lei: «Tutto bene?» le chiede con dolcezza e solo quando lei annuisce, fissandolo negli occhi con intensità, riprende a muoversi senza fretta, dandole modo di assaporare la sensazione della sua pelle che aderisce a quella di lui, offrendo reciproco piacere. «Non ho preservativi… io come medico sono controllato…» si giustifica. «Oddio!» geme Vittoria, ormai sulla soglia dell’orgasmo. «Non fermarti proprio adesso» lo implora. Riccardo, rotolando improvvisamente su se stesso, si stende supino, portando la ragazza a cavalcioni su di sé. La testa buttata all’indietro e gli occhi socchiusi, Vittoria inizia a muoversi, inseguendo il piacere che sente salirle dentro, mentre Riccardo, le mani posate sui suoi fianchi, le detta il ritmo. «Vieni, piccola, vieni…» le sussurra dolcemente, invitandola a lasciarsi andare. Come se non aspettasse altro, la ragazza inizia a gemere sempre più forte, arrivando a urlare di piacere, sconvolta dall’intensità delle sensazioni che sta provando. Con un sussulto e un mugugno soffocato, anche Riccardo dà segni di aver raggiunto l’apice. Dopo un momento di muta estasi, attira Vittoria verso di sé, stringendosela al petto, visibilmente appagato. «Tesoro…» le sue labbra si posano sulla sua fronte umida di sudore e lei, incredula, si lascia cullare, decisa a non pensare a niente, per non rovinare il momento meraviglioso che sta vivendo. La vibrazione insistente sveglia Riccardo nel cuore della notte, mentre è ancora abbracciato a Vittoria che dorme serena, il viso appoggiato sul suo petto. Con delicatezza, la scosta di lato e scende dal letto alla ricerca dei suoi jeans, nella cui tasca ha lasciato il cellulare. Quando vede la scritta che compare sul display, si sente soffocare dalla preoccupazione e, senza far rumore, raccoglie in fretta i vestiti sparsi sul pavimento ed esce dalla stanza chiudendosi piano la porta alle spalle. «Mamma!» risponde, dirigendosi verso la propria camera.
«Tesoro! Finalmente…» «È successo qualcosa a papà?» chiede Riccardo, angosciato. «È entrato in coma! I medici ci hanno detto che siamo alla fine… riesci a venire a Lione?» domanda Felicita, concitata. «Parto subito!» la rassicura Riccardo, mentre si sente invadere dai sensi di colpa per non essere più tornato a trovare suo padre. Salutata la madre, prepara in fretta lo stretto necessario e, dopo aver lasciato sul tavolo della cucina un breve messaggio per Vittoria, esce nell’alba profumata di salsedine. Per tutta la durata del viaggio, sente un dolore sordo annidato nel petto, nonostante i continui flashback dei momenti di intimità vissuti insieme alla ragazza si affaccino con insistenza alla sua mente. Non ho mai provato niente di simile, pensa guidando sull’autostrada sgombra, le mascelle serrate e la fronte aggrottata, superando di gran lunga il limite di velocità consentito.
14. LONTANANZE
Gli uccellini cinguettano oltre gli scuri socchiusi e una lama di sole entra nella stanza, illuminando il letto sfatto, campo di battaglia che più volte, durante la notte appena trascorsa, ha visto i corpi di Vittoria e Riccardo cercarsi nell’oscurità, fra gemiti, baci e carezze, nella reciproca urgenza di trasferirsi emozioni intense, sensazioni mai provate e umori, nella ricerca di un piacere che, senza dubbio, ha travalicato quello meramente fisico. Vittoria, stesa a pancia in giù e mezza addormentata, i tratti del viso distesi e rilassati, tende un braccio alla ricerca del contatto con Riccardo ma, quando sente che l’altro lato del letto è freddo e vuoto, si sveglia di colpo e si siede. I lunghi capelli buttati all’indietro, si guarda attorno, stranita, scoprendo immediatamente che l’uomo che le ha fatto raggiungere vette mai esplorate prima non vi è alcuna traccia. Non può essere stato solo un sogno… Un’improvvisa sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco l’assale mentre, disperata, si dà della stupida per essersi lasciata andare senza riserve, mettendo a nudo non solo il proprio corpo, ma addirittura la propria anima. «Clara, non ce l’ho fatta a restare… ho buttato l’essenziale in valigia e adesso sto tornando a Lucca» spiega Vittoria, al telefono con l’amica, gli occhi fissi sulla strada. «Magari era andato a comprare le brioches per la colazione…» «No, non c’era la macchina» ribatte Vittoria, sicura. «A prendere le brioches ci sarebbe andato a piedi o con la moto». «Comunque, secondo me hai sbagliato a scappare via così, ci deve essere una spiegazione». «Si è pentito ed è tornato da Giulia! È l’unica spiegazione possibile…» «Come sei precipitosa! Questa è la voce delle tue paure… da quello che mi hai detto, ieri sera era molto preso da te, altroché Giulia!» osserva l’amica.
«Per me prova senza dubbio attrazione fisica, però, probabilmente, è Giulia che ama davvero…» ribatte, sentendosi morire dentro. «Vicky, la devi smettere di avere così poca fiducia in lui, non mi è sembrato una persona così leggera come lo fai apparire tu» la rimprovera dolcemente Clara. «Te l’ho già detto una volta: lasciati andare e abbi fiducia!» «Non è così semplice, ma non voglio tediarti troppo… Dimmi di te, come sta andando con Mattia?» «Ci stiamo frequentando…» replica Clara, inizialmente vaga, prima di aggiungere, incapace di frenare l’entusiasmo: «È dolcissimo! Sento che è l’uomo che aspettavo da sempre!» «Sono davvero felice per voi». «Anche tu potresti essere felice se solo lo volessi, se non ti complicassi inutilmente la vita con le tue elucubrazioni mentali…» Vittoria si rifugia nell’appartamento che ha condiviso con la madre fino a pochi mesi prima, cercando di ritrovare nelle vecchie abitudini un po’ di serenità. Troppo orgogliosa per telefonare a Riccardo, continua a rimuginare, lasciando che la rabbia nei suoi confronti monti dentro di lei sempre più. Che stronzo! Si è preso quello che voleva e se n’è andato senza più farsi sentire. «Cara, non puoi startene sempre chiusa in casa con queste belle giornate! Esci, vai a farti un giro… » la invita ogni giorno Ines, preoccupata per le occhiaie violacee della figlia, rannicchiata sul divano con un libro aperto e lo sguardo fisso di chi sta inseguendo immagini e pensieri che vanno oltre le pagine. «Stamattina c’è la convocazione in Provveditorato» annuncia Vittoria, dopo quasi una settimana dal suo ritorno a Lucca, entrando in cucina e dirigendosi verso la moka fumante. «In bocca al lupo, tesoro!» «Grazie mamma, ne ho davvero bisogno…» «Cosa pensi di fare se dovessero assegnarti cattedre troppo lontane da La
Serra?» le chiede la madre, preoccupata. «Sarò costretta a rifiutare… purtroppo!» «Pensi di tornare nella casa della zia?» «Sì… mi sono presa un impegno e intendo rispettarlo, anche se non so che intenzioni abbia Riccardo» «Non l’hai più sentito?» «No, mamma!» risponde seccamente la ragazza, infastidita dalle domande incalzanti di Ines. «Come ti manterrai?» «Insomma, mamma! Non lo so, non so più niente…» sbotta infine, uscendo di corsa per inforcare la sua vecchia bicicletta olandese e perdersi tra le strade della città, mentre lacrime amare le pungono gli occhi. «C’era una cattedra d’italiano a Pisa, un tempo pieno» geme Vittoria, seduta insieme a Clara al tavolino di un bar nella caratteristica piazza ovale del centro storico di Lucca. L’aria della sera al tramonto avvolge le due ragazze, rendendo dorata la loro pelle ancora abbronzata dall’estate che sta finendo. «E non l’hai presa?» si stupisce l’amica. «Come facevo? Pisa è troppo lontana da Lerici…» «Hai ancora intenzione di tornare in Liguria?» «Sì, e se Riccardo tiene alla casa della zia, tornerà anche lui...» Clara non commenta, anche se Vittoria capisce dal suo sguardo che ha colto nelle sue parole il desiderio irrefrenabile di rincontrare l’uomo che l’ha fatta innamorare, anche se lei stessa non vuole ammetterlo, accecata dal risentimento nei suoi confronti. «Come farai con il lavoro?» le chiede con apparente noncuranza, avvicinando il bicchiere di spritz alle labbra e allungando una mano per afferrare una patatina.
«Oh, no! Anche tu!» sbotta, spazientita. «Non-lo-so!» scandisce, spostandosi all’indietro i capelli che, nella foga, le sono scivolati sul viso. «Scusami…» aggiunge subito dopo, cercando gli occhi dell’amica. «Sono molto tesa, ultimamente» si giustifica, esitante. «Oddio Clara, ho paura di essere incinta» confessa infine, tutto d’un fiato. «Incinta?!» «Sai… non abbiamo usato niente quella notte» ammette, tremante. «Vittoria, che disastro!» Clara allunga una mano per stringere la sua. «magari è solo un ritardo… tutto si aggiusterà, vedrai» cerca di rassicurarla. Vittoria pedala verso. Il sole sta calando oltre le mura che circondano la città, sopra la cui pista ciclabile la ragazza corre veloce, i capelli nel vento, mentre le ruote della bicicletta fanno scrocchiare le prime foglie accartocciate e l’aria umida di settembre dona l’ultima illusione di libertà che solo l’estate sa regalare veramente. Tutto si aggiusterà, si ripete. Vorrebbe con tutte le sue forze credere alle parole che l’amica le ha detto poco prima di salutarsi, dopo un aperitivo bevuto insieme, circondate dalle case sorte proprio sopra a un antico anfiteatro romano, ma il timore di aver commesso uno sbaglio irrimediabile non l’abbandona, tanto più che la sensazione di essersi irrimediabilmente innamorata di Riccardo si fa sempre più tangibile in lei. Riccardo…, sospira pensando all’uomo che, dopo una notte d’amore indimenticabile, è sparito senza farsi più sentire. Il telefono squilla nella tasca del lungo cardigan che indossa, scuotendo Vittoria dai suoi pensieri e costringendola a frenare di colpo, rischiando di cadere. Senza nemmeno guardare di chi si tratta, risponde alla chiamata, la voce ansante. «Pronto?» «Parlo con la professoressa Costa?» chiede una voce femminile. «Sì, sono io». «La chiamo dall’Istituto Tecnico Eugenio Montale di Sarzana, la Preside vorrebbe fissare un appuntamento con lei nei prossimi giorni».
«Ah!» esclama Vittoria, restando a bocca aperta per la sorpresa. «…a patto che sia ancora disponibile a sostituire la maternità della professoressa Ranieri» indaga la segretaria. «La scuola riaprirà fra pochi giorni». «Sì, certo!» si affretta a rispondere, incredula alla notizia che si stia aprendo una nuova opportunità, quando le sembrava che il mondo le stesse crollando addosso, in tutti i sensi. «Al momento, sono fuori città, ma posso venire anche domani!» aggiunge, temendo di svegliarsi all’improvviso e scoprire che quanto sta accadendo non è altro che il frutto della sua immaginazione. «Direi che va bene! A che ora riesce ad arrivare?» «Per le dieci?» «D’accordo, lo segno sull’agenda della Preside. Buona serata!» «Grazie, anche a lei!» Quando riparte, il sole rosso del tramonto in faccia, si sente come se una lama di fuoco l’avesse trafitta, scaldandole una piccola porzione di cuore, mentre l’altra parte rimane stretta nella morsa di gelo in cui è racchiuso da quando, al suo risveglio, non ha trovato Riccardo accanto a sé. «Vittoria?!» È la voce un po’ affannata di Riccardo quella che, al telefono, pronuncia incerta il nome della ragazza, come se non riuscisse a trattenere del tutto l’emozione. «Riccardo…» Seduta sul letto della sua camera, Vittoria ripete quasi solo a se stessa il nome dell’uomo che negli ultimi giorni l’ha ossessionata, mentre l’oscurità è scesa oltre il vetro della finestra. «Scusami se non ti ho chiamata prima, sono stati giorni frenetici qui a Lione…» «A Lione?!» «Sì, ho raggiunto mio padre… » Riccardo inizia a spiegare, ma poi improvvisamente si ferma e chiede, stupito: «Scusa, non hai letto il messaggio che ti ho lasciato?»
«No… quale messaggio?» alle parole del giovane, percepisce tutte le proprie ostinate certezze franare. «Dove pensavi che fossi finito?» il tono di Riccardo è chiaramente incredulo e irritato. «Aspetta un momento, tu non sapevi che ero corso a Lione perché mio padre stava male e, nonostante questo, non hai mai cercato di metterti in contatto con me… » «Credevo fossi tornato… da Giulia…» balbetta Vittoria, rendendosi improvvisamente conto della sua stupidità. «Mi sembra una conclusione un po’ troppo precipitosa, non trovi? Dopo quello che c’è stato tra di noi, tu pensavi che io fossi tornato da Giulia?!» l’uomo urla, ormai, all’altro capo del telefono. «Sei proprio una bambina…» sospira, esasperato. «la stessa bambina di una volta che, per sfuggire alle emozioni che non riusciva a giustificare nemmeno a se stessa, si rinchiudeva nelle proprie convinzioni, senza neppure cercare di capire chi le stesse realmente di fronte» conclude, amareggiato. Vittoria non ha il coraggio di ribattere e rimane muta, il telefono appoggiato all’orecchio. «Adesso come sta tuo padre?» chiede, infine, esitante, dopo un lungo e imbarazzato silenzio che ha consentito a Riccardo di calmarsi e a lei di lasciare che calde e silenziose lacrime le solcassero le guance. «Meglio, ma abbiamo temuto che stavolta non ce l’avrebbe fatta. In realtà, si trattava di un’infezione che lo ha debilitato al punto di ridurlo in coma, ma che per fortuna i medici sono riusciti a curare con gli antibiotici. Per ora, il pericolo è superato…». Dopo una piccola pausa, aggiunge: «Nei prossimi giorni tornerò a La Serra… abbiamo bisogno di parlare io e te» conclude calmo, ma risoluto, suscitandole un brivido lungo la schiena.
15. VERSO CASA
Quando Vittoria sospinge il cancelletto della casa di zia Lucrezia, il cielo è grigio e coperto di nubi gravide di pioggia. Una raffica improvvisa di vento le solleva i capelli e la gonna del sobrio abito color tabacco che ha indossato per il colloquio con la preside della scuola di Sarzana, dove aspira a insegnare. L’umore nero, trascina rumorosamente la valigia sul vialetto fin sopra alla gradinata e poi in casa, imprecando tra i denti quando si incastra nella porta. Finalmente dentro, si ferma a guardarsi attorno: è ancora tutto come l’ha lasciato più di una settimana prima, anche se sembra sia ato un secolo, eppure quella casa le è ormai così maledettamente familiare. Dopo un’intera estate ata a La Serra, si rende conto di essere davvero nel suo posto, quello in cui sente di dover stare. Sistemate le proprie cose, entra in cucina per un caffè, prima di andare all’appuntamento, ed è lì, sul tavolo, che vede un foglio a quadretti strappato in malo modo su cui campeggiano due frasi scritte in fretta. Mio padre sta male, corro da lui. Sei un sogno, non svegliarmi! Appena letto il messaggio di Riccardo, si sente come se stesse scendendo dalle montagne russe a tutta velocità, mentre il cuore le rimbalza nel petto, e ancora una volta capisce quanto le sue paure l’abbiano portata a travisare ogni cosa, interpretando a suo modo l’insperata realtà che ora gli si svela davanti agli occhi, lasciandola ancora una volta incredula e timorosa. Dopotutto, cosa può significare? Ha ato una notte piacevole e vorrebbe ripeterla, non è detto che significhi nulla di più, tenta di convincersi, mentre si chiude la porta alle spalle, rifugiandosi ancora una volta nelle sue contraddizioni e soffocando i suoi veri desideri nel dubbio. In piedi dietro la chiesa rosa di Tellaro, le mani strette al parapetto, Vittoria lascia che la forza della natura entri in lei, attraverso l’odore salato del mare, le
cui onde si alzano altissime e spumose sugli scogli neri, cancellando inesorabilmente il ricordo delle recenti giornate estive. Anche se ha ancora la sensazione di avere una pietra che le comprime il petto, dentro di lei esulta per l’esito del secondo colloquio presso la scuola di Sarzana: anche per l’anno scolastico che sta iniziando avrà un lavoro. Ha già avuto modo di parlarne con Mattia, incontrato per caso in tarda mattinata nei corridoi dell’istituto e con il quale ha condiviso un panino al bar. «Mamma mia che brutta cera che hai! Scusami... sei sempre bellissima, ma hai lo sguardo spento, l’aspetto sciupato» aveva cercato di correggersi subito dopo. «Non preoccuparti, non mi offendo…» «Non è andato bene il colloquio?» «Oh, quello è andato benissimo, inizierò dopo domani!» «Allora, cosa c’è che non va?» «Clara non ti ha detto niente?» Vittoria aveva visto comparire una luce maliziosa negli occhi del ragazzo. «Sai di noi?» le aveva chiesto. La conversazione si era spostata sulla nuova coppia appena costituitasi e anche il morale di Vittoria si era risollevato, pensando ad altro che non fosse Riccardo e gioendo della felicità dei suoi amici che, semplicemente, si erano innamorati. «Ma dimmi di te, quell’espressione triste ha a che fare con Riccardo, vero?» era tornato sull’argomento Mattia. Vittoria aveva annuito semplicemente. «Conosco Riccardo da una vita e forse, inconsciamente, ho sempre saputo che aveva un debole per te, come ce l’avevo io, in fondo…» aveva ammesso, evidentemente ancora imbarazzato per quell’ammissione che ormai non contava più nulla, visto che Clara era entrata nella sua vita con tutto il suo entusiasmo, conquistandolo definitivamente. «L’unica a non accorgersi di tutto questo sei sempre stata tu» aveva cercato i suoi occhi, fissandola intensamente.
«Avevo paura… ho paura!» «Di cosa?!» «Paura di soffrire, di perdere le persone che amo come è accaduto con mio padre…» Vittoria aveva esplicitato a parole il pensiero che ancora non era riuscita a formulare nemmeno con se stessa. «Tuo padre, purtroppo, è morto prematuramente, ma non si può evitare di vivere e questo comporta mettersi in gioco, provare emozioni positive o negative che siano, significa anche rischiare… ma vivere!» Vivere comporta mettersi in gioco… le parole di Mattia le risuonano dentro ora, mentre il suo sguardo volge su quel piccolo borgo tanto amato di case colorate, che degrada verso il piccolo porticciolo, racchiuso tra gli scogli battuti dalle onde. Questo è il posto in cui voglio stare, anche quando cambia completamente faccia rispetto all’idillio dei giorni di sole, pensa guardandosi attorno, mentre grosse gocce di pioggia iniziano a caderle sul viso, schiaffeggiato dai lunghi capelli sciolti al vento. È qui che voglio ricominciare a vivere. «Grazie zia!» sussurra, grata, incamminandosi infine verso casa. Quando nel tardo pomeriggio Vittoria entra in casa, si accorge subito di non essere sola. Lo scroscio dell’acqua nella doccia del bagno a pianterreno l’attira verso la porta socchiusa ma, quando si avvicina, il getto si interrompe e lei non può evitare di vedere Riccardo uscire nudo e gocciolante dalla cabina, per indossare l’accappatoio candido appeso lì vicino, togliendole, così, dalla vista i glutei sodi che avevano calamitato il suo sguardo. Nel momento in cui lui si gira, ignaro della presenza della ragazza alle sue spalle, Vittoria si ritrae, indietreggiando nel corridoio, ma non abbastanza in fretta per non ritrovarselo davanti, i capelli bagnati e il familiare sorriso beffardo sulle labbra, proprio nel momento in cui lui si appresta a uscire dal bagno. I due si fissano in silenzio per un lungo istante, sufficiente a mostrare a Vittoria la strana luce sofferente presente negli occhi di lui, nonostante il noto sorrisino da schiaffi disegnato sulla bocca.
«Mi stavi spiando?» «No… certo che no… ho sentito un rumore…» la ragazza cerca di giustificarsi, confusa. «Sono felice che tu sia tornato!» aggiunge in un soffio, dopo una breve pausa. «Se eri così ansiosa di rivedermi, potevi interessarti a dov’ero finito, dato che non hai visto il mio biglietto…» ribatte Riccardo acido, avvicinandosi a lei che si sente improvvisamente inebriare dal profumo del suo doccia schiuma. «Io…» balbetta Vittoria, tremante per la tensione e per i vestiti umidi ancora addosso. «Tu, cosa?!» l’incalza, provocatorio. «Io… te l’ho detto, pensavo fossi tornato da Giulia…» «Ah, tu pensavi…» e poi alzando il tono di voce «tu pensi troppo! Insegui i pensieri nella tua mente e ti stacchi completamente dalla realtà… chissà cosa rimugini in quella tua testolina da piccola saccente che crede sempre di sapere tutto…» Vittoria vede Riccardo infuriarsi, ma ascolta il suo sfogo in silenzio, senza smettere di tremare, mentre fuori e dentro casa la tempesta imperversa. «Invece non sai niente, né tantomeno cosa sia la fiducia…» abbassa di nuovo la voce che si fa più roca e sensuale e le afferra le guance con una mano, attirando, sdegnato, il suo viso vicinissimo al proprio. «Chi credi che io sia? Uno che non aspetta altro che scopare con la prima che incontra?» si interrompe, fissandola negli occhi. «Proprio non hai capito niente…» osserva, amaro. Così dicendo, si impossessa delle sue labbra, racchiudendola in un abbraccio intenso in cui Vittoria si rifugia, rabbrividendo. Le mani di lui percorrono il corpo della ragazza febbrili, togliendole il vestito bagnato, mentre la bocca si posa sul suo viso, sugli occhi, sul collo, nell’incavo tra i seni e poi, una volta liberati dal reggiseno, sui capezzoli irrigiditi e giù, sul ventre vellutato. Anche gli slip vengono tolti senza che Vittoria riesca a opporre resistenza all’assalto amoroso di Riccardo, le cui dita frugano eccitanti fra le sue cosce, strappandole lunghi gemiti di piacere, fino a quando, afferratala con forza dalle natiche, l’uomo la solleva senza sforzo, facendole aderire la schiena alla
parete e, l’accappatoio ormai aperto, la penetra con un sospiro. Visibilmente ancora troppo arrabbiato per aspettare il piacere di lei, con pochi colpi raggiunge l’orgasmo ed emettendo un verso rauco si stringe a Vittoria le cui guance sono, ormai, solcate di lacrime, prima ancora che sopraggiungano sordi singhiozzi a squassarle il petto. In silenzio, Riccardo la porta in braccio fin nel proprio letto e, facendo aderire i loro corpi nudi in un abbraccio stretto, consola il suo pianto: «Piccola non piangere…» le sussurra teneramente all’orecchio, accarezzandole i capelli. «Vittoria, scusami… mi hai fatto perdere la testa» si giustifica, ricoprendole il viso di piccoli baci bagnati dalle lacrime di lei. «Mi hai sempre fatto impazzire…» Le bocche si cercano nuovamente, intrecciando le lingue, senza l’urgenza di poco prima, in lunghi estenuanti baci che sciolgono la tensione, mentre le mani di entrambi percorrono i corpi dell’uno e dell’altra in dolci carezze che suscitano brividi e sfarfallii nello stomaco. Sempre tenendola stretta a sé, Riccardo rotola sopra Vittoria che, senza resistenze, allarga le gambe per accogliere il suo sesso turgido dentro di sé, fino a soccombere ai colpi lenti di lui e agli sfregamenti nella zona più erogena del suo corpo, tanto da urlare di piacere quando anche Riccardo, con un sussulto, si lascia andare a un lamento soffocato, raggiungendo, a sua volta, la piena soddisfazione. Una lama di luce entra dalle persiane posandosi sul letto sfatto. Vittoria apre gli occhi, svegliata dalla sensazione di essere osservata e, infatti, incontra gli occhi allungati di Riccardo, posati su di lei, adoranti. Ancora stretta all’uomo in un abbraccio durato tutta la notte, fatica a credere a quello che lui le ha lasciato intendere, più con i gesti che con le parole arrabbiate della sera prima. Un po’ imbarazzata dalla nuova intimità che si è creata tra loro, si stringe a Riccardo, lasciando che sia lui il primo a parlare. «Da dove ricominciamo?» le chiede con dolcezza. «Magari, col dirmi cosa provi per me esattamente, ad esempio…» sussurra lei, languida.
«E tu cosa provi per me?» «Io so solo che non smetto mai di pensare a te e che nell’ultima settimana mi sembrava di essere stata risucchiata in un abisso…» risponde, semplicemente, la ragazza «Anche tu mi hai fatto star male, perché non hai voluto vedere in me l’uomo che sono diventato…» si infervora di nuovo, ma senza smettere di accarezzarla adagio. «Non sono più il ragazzino pestifero al quale hai continuato a sforzarti di farmi corrispondere e, se avessi saputo guardare al di là dei tuoi convincimenti, già allora ti saresti accorta che provavo qualcosa per te, non so nemmeno io cosa, ma mi piaceva guardarti, spiarti e attirare la tua attenzione con i miei scherzi, affinché mi prendessi in considerazione, perché non sapevo in che altro modo esprimerti i miei sentimenti». «Scusami… sono stata una stupida! Anch’io avevo preso una cotta terribile per te» ammette Vittoria. «Anche tu?! Non me ne sono mai accorto…» «Sono sempre stata brava a nascondere i miei sentimenti, ma già quando ci siamo rivisti, dopo anni, ho sentito che quello che provavo per te era ancora lì». «Perché l’hai contrastato, allora?» «Perché avevo paura di soffrire e, a maggior ragione, perché Mattia mi aveva detto di Giulia». «Che sciocca sei! Io e Giulia ci siamo lasciati quando sono tornato a Parma, dopo il primo bacio tra di noi. Se me lo avessi permesso, te lo avrei detto subito, invece mi hai fatto arrabbiare con la tua assoluta sfiducia nei miei confronti ed è prevalso l’orgoglio» spiega. «La zia ha visto lontano» osserva Vittoria, crogiolandosi nelle reciproche confessioni amorose. «Eh sì, ci ha donato la casa in cui tutto è iniziato, sperando che continuasse… ma sai che non sarebbe una brutta idea nemmeno quella di ricavarne un Bed&Breakfast?»
«Ci ho ripensato anch’io, dopo quella volta che ne abbiamo parlato con Mattia e Clara, ma servirebbero troppi soldi per ristrutturarla». «Possiamo comunque provarci nel corso dell’inverno, così in primavera sarebbe pronto» si entusiasma Riccardo. «Chiediamo un prestito! Io un lavoro ce l’ho, adesso…» «Anch’io!» «Davvero?!» la ragazza si sente stringere tra le braccia rassicuranti di Riccardo, sul cui volto legge la gioia sincera per la notizia che gli ha appena dato. «Dopo mi racconti meglio». «In effetti, durante l’anno scolastico potrei lavorare come insegnante e d’estate gestire qui a La Serra il Bed&Breakfast» si eccita Vittoria al pensiero del nuovo progetto, immaginando già come modificare la casa. «Avrò bisogno del tuo aiuto, però!» aggiunge, cercando conferma nei suoi occhi, seria. «Ma certo, amore!» Quella parola inaspettata, pronunciata da Riccardo, la riempie di rassicurante soddisfazione, tanto da spingerla a confessargli: «Sai che ho persino temuto di essere incinta?» «Invece?» chiede Riccardo, sollevandosi improvvisamente su un gomito, irresistibile con il ciuffo di capelli neri che gli ricade sugli occhi, in attesa della sua risposta. «Invece è stato un falso allarme, ma ero disperata». «Perché?» «Come, perché? Credevo di essere incinta e tu, dal mio punto di vista, eri sparito nel nulla!» Riccardo sospira, stringendola più forte a sé: «Quando sarà il momento, mi piacerebbe avere un bambino con te… magari una femminuccia con le fossette sulle guance come le tue» le dice sfiorandole delicatamente le gote con un dito, gli occhi negli occhi.
«Davvero?» gli sorride Vittoria, sentendosi ormai perdutamente innamorata. «Se non prenderemo qualche precauzione, credo che quel momento arriverà fin troppo presto!» ribatte, ridendo. «Hai ragione, ma davvero mi fai impazzire e non smetterò mai di dirtelo e di dimostrartelo» le sussurra malizioso in un orecchio, facendola rabbrividire, mentre nei suoi occhi Vittoria vede nascere nuovamente il fuoco della ione.
16. NELLA GIOIA E NEL DOLORE
Vittoria è in piedi davanti all’altare della Chiesa di San Pietro, a Porto Venere, come quasi un anno prima, ma stavolta indossa un tubino color crema di raso lucido, mentre dai capelli raccolti sulla nuca parte un lungo velo che si posa dolcemente sul pavimento marmoreo. Dal terrazzino alla destra dell’altare, oltre la quadrifora che lo incornicia, scorge il mare azzurro intenso, tutt’uno con il cielo, illuminato dal sole caldo del mattino di fine giugno. Si sente raggiante mentre, aspirando il profumo di salsedine di cui l’aria è carica, volge lo sguardo verso l’uomo al suo fianco, i lineamenti vagamente orientaleggianti, messi in risalto dalla camicia candida sotto al completo scuro. Vede Riccardo, in piedi accanto a lei, fissare serio il prete, permettendo a Vittoria di osservarlo indisturbata, ancora incapace di credere che il ragazzino dispettoso che incontrava nelle lunghe estati a casa degli zii ora stia per legarsi a lei in matrimonio. Durante l’anno appena trascorso, ha imparato a conoscerlo meglio, amando sempre più i suoi lati positivi e accettando i suoi difetti, così come Riccardo ha fatto con lei, nonostante scontri e piccoli battibecchi continuino a caratterizzare il loro rapporto. Ormai, Vittoria ha capito – e sulla sua pelle - quanto sia pericoloso proiettare le proprie paure, invece di affrontarle; ora è convinta che valga sempre la pena accettare il rischio di viverle, ma anche quello di amare e lasciarsi amare. L’anno scolastico nell’istituto di Sarzana è stato entusiasmante, ma faticoso, così come per Riccardo lo sono stati i mesi trascorsi nella nuova clinica ortopedica. Soprattutto, per il fatto di dover conciliare il lavoro con l’impegno di seguire la ristrutturazione della casa di zia Lucrezia, al fine di ricavarne quattro graziose camere con bagno e ingresso indipendente da quello dei padroni di casa, non più obbligati solo da un testamento ad abitare insieme, ma dalla loro stessa volontà, ormai incapace di tenerli separati. Il sogno di aprire un Bed&Breakfast in quell’angolo paradisiaco di Liguria, che entrambi hanno imparato ad amare fin da bambini, piano piano ha preso piede
nella loro immaginazione, fino a realizzarsi veramente, anche se a costo di grandi sacrifici economici, molto al di sopra delle loro possibilità. Tuttavia, ora tutto appare perfetto a Vittoria che si guarda attorno incrociando gli occhi dei presenti: quelli sfavillanti di Clara, la sua testimone di nozze; di Mattia, poco distante dalla sua futura sposa; delle mamme, Ines, incapace di trattenere la commozione e Felicita nei cui occhi si leggono, contemporaneamente, la gioia per la felicità del figlio e la tristezza per la mancanza del marito, la cui morte le ha lasciato visibilmente un grande vuoto nel cuore. In fondo alla navata, Lorenzo e Claudia, mimetizzati tra pochi altri amici e alcuni nuovi colleghi degli sposi, trattengono a fatica l’irruenza dei gemelli, un maschietto e una femminuccia dai lineamenti angelici, ma capaci di diavolerie impensabili, ora impazienti di portare le fedi nuziali all’altare. Quando il sacerdote riprende a parlare, l’attenzione di tutti si concentra sulla sua voce pacata che dà inizio al fatidico rituale: «Riccardo e Vittoria, siete venuti insieme nella casa del Padre perché la vostra decisione di unirvi in matrimonio riceva il suo sigillo e la sua consacrazione davanti al ministro della Chiesa e davanti alla comunità...» Completata la premessa e le domande agli sposi, Riccardo pronuncia per primo la frase di rito, tenendo la mano sinistra di Vittoria nella propria, senza distogliere lo sguardo dal viso della donna che – è evidente - ama: «Io, Riccardo, accolgo te Vittoria, come mia sposa. Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Un’emozione fortissima attraversa Vittoria che, la voce dapprima incerta e tremante e poi, via via, sempre più sicura e chiara, ripete a sua volta le parole che mai avrebbe immaginato di pronunciare, né tantomeno dirette all’uomo affascinante al suo fianco che le sta regalando i momenti più belli che abbia mai vissuto in vita sua. «L’uomo non osi separare, ciò che Dio unisce» chiosa solennemente il sacerdote , prima di procedere allo scambio degli anelli, simbolo di amore e fedeltà. «Non vedo l’ora di consumare il matrimonio…» le parole maliziose di Riccardo giungono all’orecchio di Vittoria in un sussurro, inducendo la neo moglie, davanti al suo sorriso irresistibile, a sciogliersi d’amore.
17. EPILOGO
«Signori, buongiorno!» Il sorriso sornione, il notaio Lojodice accoglie nel suo studio i coniugi Bacigalupi, un po’ stupiti della convocazione. «Prego, accomodatevi! Finalmente riesco a vedervi assieme! Felicitazioni! Ho saputo che vi siete sposati…» si complimenta. «E anche per questo siete qui» continua mellifluo, dopo una pausa, fissandoli con i suoi piccoli occhi da faina, seduto alla scrivania, le mani intrecciate sul ventre prominente. «L’anno di coabitazione sta per scadere e, visto il cambio di residenza e gli altri documenti agli atti, a maggior ragione ora che avete convolato a giuste nozze, vi confermo che sarà possibile procedere con l’intestazione della casa a entrambi, secondo il volere della signora Lucrezia Pedemonte, ai cui adempimenti vi siete liberamente attenuti». Vittoria e Riccardo si stringono la mano, scambiandosi un sorriso. «Tuttavia…» La congiunzione avversativa usata dal notaio induce i componenti della coppia appena formatasi ad aggrottare la fronte, lanciandosi uno sguardo interrogativo. «Tuttavia, dicevo, la signora Pedemonte aveva previsto una seconda condizione al suo testamento…» «Una seconda condizione?!» lo interrompono quasi in coro i due giovani seduti di fronte a lui, smarriti. «Sì, aveva previsto che in caso di matrimonio…» «In caso di matrimonio, cosa?» lo incalza Vittoria, sporgendosi verso la scrivania, incapace di sostenere oltre la flemma del notaio, mentre Riccardo tenta di trattenere la sua irruenza posandole una mano sulla spalla. «Signora Bacigalupi, in caso di matrimonio tra di voi…» Prima di proseguire, Lojodice guarda negli occhi i suoi interlocutori, un sorrisino enigmatico dipinto sul viso. «Vostra zia Lucrezia, in accordo con il marito Gustavo, già quindici anni fa, quando voi eravate poco più che adolescenti e, a quanto pare, abbastanza
litigiosi» continua a parlare, cercando la complicità di Vittoria e Riccardo, sempre più confusi «aveva previsto che il loro intero patrimonio, in mancanza di eredi diretti, entrasse in vostro possesso solo a questa esclusiva condizione, cioè che vi foste sposati tra di voi». «E se non ci fossimo sposati?» chiede Riccardo, evidentemente incredulo. «Non avreste mai saputo nulla di questa clausola». «È carina questa cosa…» osserva Vittoria, divertita, ma prendendola poco sul serio. «Tipica di zia Lucrezia… cara zia, era così romantica!» sospira, prima di continuare. «Ma non credo che avesse poi chissà quale patrimonio…» «In effetti, si tratta solo di cinquecentomila euro» comunica con noncuranza il notaio, facendo sobbalzare i due novelli sposi. «Cinquecentomila euro?!» ripete la ragazza come un pappagallo, incredula, mentre Riccardo le posa una mano sulla gamba, cercando il suo sguardo: «Potremo pagare tutti i debiti e completare la ristrutturazione del nostro Bed&Breakfast! Senza dimenticare di aiutare chi ne ha più bisogno…» «Non ci posso credere! Con questo secondo regalo inaspettato, il Bed&Breakfast non potrà che chiamarsi Villa Lucrezia, in onore della zia, cosa ne pensi, amore?» domanda Vittoria, entusiasta, al marito. «Io so solo che non potremo mai smettere di ringraziare la zia e la sua capacità di vedere così lontano» risponde, infine, Riccardo, avvicinando il viso a quello della moglie per baciarle teneramente le labbra sotto lo sguardo compiaciuto del notaio. Mantova, 10 novembre 2014
Segue una novella natalizia con gli stessi personaggi di “Una casa per due”
UNA LETTERA DAL CIELO
Lucrezia posa la penna soddisfatta, la sensazione nel petto di aver lanciato un ponte verso il futuro. Sospira, il sorriso sulle labbra, lo sguardo perso sul mare scintillante del Golfo dei Poeti. Seduta in terrazza, si riempie i vispi occhi azzurri di bellezza, lasciando che la brezza marina che giunge fin su a La Serra le accarezzi la pelle sottile del viso, scompigliandole i corti capelli bianchi. In pensione ormai da anni, vive assieme al marito Gustavo nel piccolo borgo ligure di case colorate, strette le une alle altre, e nei mesi estivi ama circondarsi della compagnia delle rispettive sorelle, ospitandole con le famiglie nella loro splendida casa al mare. D’un tratto, la sua attenzione viene attirata da un movimento giù in giardino, proprio dove Vittoria, l’adorata figlia della sorella, è intenta a leggere all’ombra della pergola: dalla terrazza le è possibile vedere Riccardo, l’irrequieto nipote acquisito, ora adolescente, spiare la ragazza nascosto alla sua vista dal cespuglio di buganvillee che scende a cascata lungo il fianco della casa. «Cosa sta combinando?» si chiede divertita, strizzando gli occhi per mettere meglio a fuoco la scena: «Le sta tirando dei sassolini, quel mascalzone!» borbotta tra sé. «La smetti, per favore?» grida esasperata la ragazza, alzandosi di scatto e dirigendosi verso la scalinata d’ingresso alla casa, l’intento evidente di sfuggire alle maldestre attenzioni del giovane. «Ragazzi miei» sussurra zia Lucrezia, guardandoli dalla sua posizione privilegiata «siete fatti l’uno per l’altra e ancora non lo sapete. I miei occhi sono vecchi e stanchi, ma sanno guardare lontano» sorride compiaciuta, riprendendo a scrivere. «Accidenti!» impreca Vittoria, lasciando istintivamente la casseruola per non scottarsi ulteriormente. Inginocchiata davanti al forno aperto, il viso arrossato e i lunghi capelli legati in una coda, guarda avvilita l’arrosto di colore più bruno del necessario.
«Oh, no! Mi viene da piangere» geme. «Cosa succede, amore?» Accompagnato da una folata di vento gelido, Riccardo entra nella stanza e si china verso la giovane moglie cercandone le labbra. Lei si alza, sottraendosi al gesto affettuoso dell’uomo che la guarda leggermente corrucciato. Quando si volta, è una furia: «Ho cucinato tutto il giorno per il pranzo di domani, non ho fatto altro che correre di qua e di là perché tutto sia perfetto, ho persino rischiato di bruciare l’arrosto e tu ti presenti a quest’ora?» Gli occhi azzurri, un cielo in tempesta, lo fissano lanciando fulmini. «Ero in cerca del tuo regalo, piccola». Senza lasciarsi scomporre dalla sfuriata, Riccardo attira dolcemente Vittoria verso il proprio petto forte e, stringendole le braccia attorno alla vita sinuosa, posa le labbra sulla sua nuca tiepida, lasciata scoperta dai capelli raccolti. La sua voce è calda e suadente; ha imparato a modularla per placare l’animo bellicoso della giovane moglie attraverso la calma e la dolcezza. «Scusami» sussurra lei arrendevole, ruotando su se stessa per abbracciarlo a sua volta «sai come sono fatta: parto per la tangente e…» Riccardo le deposita un bacio tenero sul naso, poi si sposta di nuovo a guardarla: «E?» la invita a proseguire. Il suo tipico sguardo beffardo è irresistibile agli occhi di lei che si sente sciogliere ancora adesso, come quando era solo una ragazzina timida e sfuggente e lui un compagno di giochi insolente e dispettoso. «E non capisco più niente!» alza di nuovo il tono, lamentandosi con enfasi. «Sono stressata: la morte della zia, la casa da ristrutturare, il matrimonio, il nuovo lavoro... Dimmi che durante queste vacanze staremo solo io e te, tranquilli» chiede infine, supplichevole. «Tesoro» lui le alza il mento con un dito, gli occhi negli occhi «mi piacerebbe tanto un Natale sotto il piumone a farci milioni di coccole, ma… » la ragazza pende dalle sue labbra, nell’attesa che il giovane prosegua la frase lasciata a metà. «Hai invitato tutti qui a pranzo, domani!» le ricorda, guardandola ironico. «Non cambierò mai, sono sempre così contraddittoria» piagnucola, afflitta. La bocca di Riccardo scende lenta sul collo della ragazza, le membra di lei scosse da un fremito: «È vero» ammette, mentre l’espressione di Vittoria si
adombra «ma mi piaci così» conclude, facendole tornare il sole sul viso. «Adesso, mangiamo: dobbiamo andare alla fiaccolata» così dicendo, si stacca di colpo iniziando ad apparecchiare la tavola, Vittoria ormai docile e arrendevole. Quando le porte della chiesa si aprono, le persone che hanno partecipato alla messa della Vigilia si riversano fuori, scambiandosi baci e auguri; nello stesso istante le campane iniziano a suonare dodici rintocchi a festa. Dai lampioni pendono argentei rami di vischio e bacche scarlatte di agrifoglio, l’aria pungente profuma di legna arsa e agrumi, il cielo è un cuscino di velluto blu trapunto di stelle pulsanti, ricamate a fili d’oro. Oltre il sagrato, il mare appare buio e misterioso, solo le mille luci di Porto Venere e quelle sparse delle isole ne delimitano l’orizzonte, rendendolo simile a un presepe. Vittoria inspira a pieni polmoni, sentendosi finalmente leggera e, prendendo Riccardo a braccetto, s’incammina con lui verso casa: «Ho capito perché Dio si fa bambino in questa notte santa» spiega al marito, evidentemente incuriosito dalle sue parole. «Perché anche noi possiamo accogliere il nostro lato piccolo e fragile, così come dobbiamo farlo con i più deboli e bisognosi, restituendogli regalità divina» conclude, gli occhi accesi di riflessi lucenti. I discorsi tra i due proseguono ispirati, fino a quando la giovane coppia, abbracciata per sentire meno freddo, giunge davanti al viottolo che sale alla casa in cui abitano. Fermo in mezzo alla strada, un bambino allunga loro una busta ingiallita: «Siete Vittoria e Riccardo, vero?» «Sì» rispondono quasi in coro, stupiti di trovarselo di fronte. «Allora, questa è per voi». Il piccolo, dopo aver consegnato la busta nelle mani di Vittoria, si allontana di corsa, lasciando alle proprie spalle l’eco di una risata argentina, come musica di camli. «Forza, aprila!» invita Riccardo, attizzando le braci del camino, una volta entrati in casa. «Prima vieni a sederti vicino a me: è indirizzata a tutti e due». Solo quando l’uomo si accomoda accanto alla moglie sul morbido tappeto, l’abete che si illumina a intermittenza in un angolo della stanza, lei inizia a leggere: «Cari Vittoria e Riccardo, amati nipoti, se avete ricevuto questa lettera, significa che i miei occhi hanno visto giusto e che davvero voi siete fatti per
stare insieme. La casa in cui vi ritrovavate da bambini ora è vostra, come è sempre stato giusto che fosse, e un vincolo d’amore vi unisce. Lasciate che la vostra visionaria zia vi dia qualche consiglio che sgorga dal cuore: Vittoria, accettati per quella che sei, splendida ragazza mia e lasciati andare; tu Riccardo, sono sicura che sarai diventato un uomo meraviglioso, forte e tenero al contempo. Mostra sempre la tua reale natura alla donna che ti sta accanto, non nasconderle mai più i tuoi veri sentimenti. Credo che il mio compito sia giunto alla fine, ora sta a voi! Non posso far altro che chiedervi di ricordarmi con affetto e promettere di vegliarvi dal Cielo. Buon Natale, zia Lucrezia». Vittoria finisce di leggere la lettera commossa, gli occhi lucidi. «Pazzesco!» esclama Riccardo, sconcertato, lo sguardo ipnotizzato dalle fiamme che si agitano nel focolare. «Come faceva a conoscerci così bene? A sapere in che modo sarebbero andate le cose?» s’interroga Vittoria in un sussurro. «E questa lettera da dove viene?» «Non sembrava anche a te un angelo il bambino che ce l’ha consegnata? Quegli occhi azzurri e i riccioli biondi…» le ultime parole rimangono sospese nell’aria, i due si guardano e un brivido attraversa entrambi. Vittoria si stende sul tappeto, lo sguardo sognante: «È una magia di Natale…». «Amore, dev’esserci per forza una spiegazione logica». «Sai, in fondo non m’importa». La ragazza si solleva su un gomito, attirando Riccardo a sé: «Non potevamo ricevere regalo migliore!» «Non finiremo mai di ringraziare zia Lucrezia per averci donato l’uno all’altra, per aver saputo vedere oltre le apparenze» osserva Riccardo, i bagliori del fuoco sul viso. Vittoria cerca gli occhi del marito, lo guarda con intensità e si stringe a lui: «Con questa lettera, l’assenza di zia Lucrezia si è fatta ancor più presenza tangibile. Ci ha lasciato un’eredità ben più grande di questa casa: è come se la sua morte avesse dato vita all’amore, non credi?» mormora Vittoria, la voce arrochita dall’emozione e dalla gratitudine. Improvvisamente, l’espressione sul suo viso
cambia e con tono esultante dice: «Però, adesso voglio il tuo regalo! Il mio è qui dentro, al calduccio» si sfiora il ventre, maliziosa. Emozionato e incredulo, Riccardo s’impossessa delle labbra di sua moglie in un bacio profondo e apionato che suggella, ancora una volta, la loro unione. Il telefono squilla a lungo, risuonando nelle profondità della casa, ma nessuno risponde: è la mattina di Natale, Vittoria e Riccardo dormono ancora profondamente, nudi e abbracciati. «Bah! Non riesco mai a trovare nessuno, né di persona né al telefono. Chissà se i vicini, con quel bambino così discolo, sono riusciti a fargli avere la lettera per tempo…» brontola il notaio Lojodice posando infine la cornetta, rassegnato. Mantova, 18 novembre 2015
NOTA ALL’EDIZIONE 2017
Dopo l’esperienza maturata negli ultimi anni, ho voluto riprendere la forma di “Una casa per due”, il primo romanzo che, con una buona dose di incoscienza, ho auto-pubblicato nel febbraio del 2015. Anche se il mio stile nel frattempo è cambiato - spero in meglio - ho preferito fare soltanto degli aggiustamenti che dessero maggior fluidità alla lettura, ma senza snaturare la prima edizione; di conseguenza qualche P.O.V. (Point Of View) è rimasto “ballerino”, ma ho accettato che fosse così, altrimenti avrei dovuto riscrivere l’intero romanzo. Sono molto affezionata a “Una casa per due” che mi ha dato e continua a darmi grandi soddisfazioni, così come lo sono ai luoghi in cui è ambientato e che consiglio vivamente di visitare. Seguono i ringraziamenti che chiudevano l’edizione 2015, ma ne approfitto per rinnovarli di cuore a chi mi legge e mi sostiene con affetto. Buon proseguimento per tutto e, sempre, buone letture! Marilena Boccola
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio tutte le persone, le esperienze e le situazioni che mi hanno incoraggiato a scrivere, a partire dai validi professori di italiano che ho sempre avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso scolastico. In particolare, ringrazio il professor Claudio Bellati, oltre che per la sua ventennale amicizia, per il generoso parere tecnico riguardo a questo romanzo. Ringrazio le amiche che l’hanno letto a puntate, chiedendomi con impazienza il seguito e incoraggiandomi, con i loro preziosi suggerimenti, a continuarne la scrittura. Ringrazio Demetrio Brandi, instancabile promotore del concorso letterario “Racconti nella rete” che per la prima volta ha premiato un mio racconto, pubblicandolo nell’omonima antologia edita dalla casa editrice Nottetempo e confermandomi, in tal modo, che non scrivo poi così male. Ringrazio per la sua gentilezza e disponibilità la scrittrice Loredana Limone grazie al cui “Borgo propizio”, e al suo seguito, ho scoperto di condividere con lei la ione per i borghi. Inoltre, ringrazio le scrittrici Virginia Bramati e Cassandra Rocca per i generosi e preziosi consigli riguardo all’autopubblicazione, augurandomi di avere la loro stessa fortuna. Grazie anche agli altri scrittori conosciuti in rete per la possibilità di confronto che mi hanno offerto. Rivolgo un ringraziamento speciale a mia sorella Nicoletta e a mio cognato per la foto di copertina (edizione 2015) e al fantastico fotografo Marco Pitea che ne è l’autore (per la copertina dell'edizione 2017, ringrazio Sherazade Graphics, anche per la pazienza). Naturalmente, ringrazio chi ha letto questo romanzo, sperando di avergli regalato qualche piacevole ora di romantica evasione, che gli abbia lasciato la voglia di leggere le mie prossime opere e di consigliarle agli amici. Infine, ma non per ultimi, come si suol dire, ringrazio con amore mio marito e i
miei bambini per la pazienza che portano quando sono in “fase creativa”. Se volete, potete scrivermi al mio indirizzo di posta elettronica
[email protected] o contattarmi su Facebook.
Indice dei contenuti
1. UN UOMO NUDO SUL TERRAZZO 2. UN REGALO INATTESO 3. INCONTRI RAVVICINATI 4. UN INIZIO DIFFICILE 5. ACCORDI E DISACCORDI 6. UNA PAUSA DALLE CONSEGUENZE INASPETTATE 7. INGIUSTIFICATA GELOSIA 8. CONTINUI SCONTRI E… INCONTRI 9. TORMENTI D’AMORE 10. CONFIDENZE 11. INNOCENTI BUGIE 12. A PROPOSITO DI GIULIA 13. VICINANZE 14. LONTANANZE 15. VERSO CASA 16. NELLA GIOIA E NEL DOLORE 17. EPILOGO Segue una novella natalizia con gli stessi personaggi di “Una casa per due”
UNA LETTERA DAL CIELO NOTA ALL’EDIZIONE 2017 RINGRAZIAMENTI