Federica Carobolante
Wedding Planner creasi
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Questo libro è stato realizzato con BackTypo (http://backtypo.com) un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Capitolo 1
“E va bene, me ne vado, me ne vado!”. Diciannove anni, appena diplomata e senza lavoro… E adesso anche senza un tetto sotto cui vivere. Ora cosa m’invento? Dunque, pensa Deborah, pensa. Oggi è giovedì, domenica mattina hai il treno per Firenze alle sette. Almeno per tre mesi, fino alla fine della stagione estiva avrò un lavoretto e una stanza dove stare, ma… Fino ad allora dove vado? Sotto un ponte? No, certo che no. Non sono mai stata una ragazza di mondo. Sono sempre vissuta chiusa tra quattro mura a studiare, scienze, matematica, trigonometria… Insomma nessuna materia che m’insegnasse a vivere fuori casa da sola. Dannazione al mio essere così secchiona! Aspetta, forse Emma può ospitarmi, la devo chiamare subito. “Cavoli non risponde al telefono!” Ah, eccola. “Si, ciao Emma. Come va?”, cerco di non far tremare la voce. “Cosa vuoi Debby?”, la solita burbera. “Ehm… I miei mi hanno sbattuto fuori di casa..!”, meglio se vado subito al sodo. “No, Debby, cos’hai combinato ora?”, il suo tono è un po’ troppo accusatorio per i miei gusti, ma ho bisogno del suo aiuto, cercherò di restare calma. “Come ora? Comunque ho solo pensato di rimandare l’Università di un annetto…” “Un annetto?”, sta urlando al telefono ma non capisco perché debba sempre agitarsi. “O forse due…” “Oh, cavolo! Deby, non sono io che ti devo ripetere quanto i tuoi ci tengono…!”
“Lo so, ma ho le idee confuse… un pochino.” Meglio sdrammatizzare, forse la smette di farmi il terzo grado e posso venire al punto. “Deby, con tutto quello che hanno investito per farti studiare in un liceo privato e i sacrifici che hanno fatto!” “Lo so, ma avevo buone motivazioni per andarci!” “Tipo che era femminile e questo era utile per tenerti lontano da ogni possibilità di interagire con l’universo maschile?!” perché urla sempre di più, mica può fare di ogni mia decisione una tragedia. “Vedi che avevo una buona motivazione!” esclamo. Va bene, forse non era buona come motivazione, o forse lo era solo per me. Ma odio i ragazzini che ti guardano solo se sei carina, o oca. Io non ero né carina, né oca, solo mi piaceva studiare e loro non apprezzavano questo mio lato. Insomma non è colpa mia se gli uomini riescono ad essere così superficiali, io desidero solo essere una donna di successo e tutte quelle storie sul matrimonio, i figli, la donna che si occupa della casa, non fanno per me. Io sono il tipo di donna che non ha bisogno di un uomo al suo fianco. “Comunque, cara Emma, avrei bisogno di un posto dove dormire fino a sabato. Non è che tu…” “Certo, vieni pure, i miei sono fuori per il week-end. Almeno mi farai un po’ di compagnia.” “Ti adoro!”. Cioè spieghiamoci: nessuno adora Emma, sa essere così noiosa, monotona e pignola. Siamo state nella stessa classe per cinque anni e lei è sempre stata negativa nei confronti di tutti, però per non so quale strano motivo, non ce l’ha mai avuta con me. Non nello stesso modo con qui teneva il broncio alle altre, per lo meno. Ogni tanto a me ava i compiti di letteratura. E io in cambio le coprivo le spalle quando doveva avere, aspetta come diceva lei? Ah si, “I suoi cinque minuti di colloquio con il professore di geografia”. In realtà tutti si erano accorti che non andava ad un colloquio puramente didattico, ad ogni modo sarà stato istruttivo lo stesso. La casa dove vive Emma, non è grande, è enorme. Il suo corridoio sarebbe perfetto per un’ora di jogging e con tutte quelle scale potrei fare step fin dalle
prime ore del mattino. O forse sono talmente pigra che farei installare un ascensore per are da un piano all’altro e mi comprerei uno di quei monopattini elettrici per are da un lato all’altro della casa. Quando sarò una donna in carriera, mi accontenterò di un appartamentino al piano terra senza giardino, con due camere al massimo, una cucina e un bagno. E ovviamente un garage enorme per posteggiare il mio Cayenne e la mia meravigliosa Harley. Ma per ora è meglio se tengo i piedi ben saldi a terra e mi godo questi tre giorni di relax, in questa casa da urlo.
Capitolo 2
Casa da urlo un corno. Sognavo un paradiso terrestre dove potevo dormire fino a tardi e mangiare schifezze. Invece, la signorina -so tutto io- mi obbligava ad alzarmi tutte le mattine alle sei, fare un’ora di corsa, una colazione leggera e nutriente, e poi voglio dimenticare l’incubo che ho vissuto. Forse l’idea di vivere sotto un ponte era da rivalutare. Almeno avrei solamente combattuto contro topi enormi e cani randagi, e forse qualche malintenzionato. Sempre meglio dell’appuntamento mattutino con parrucchiera ed estetista. È stato un incubo ed è inconcepibile come una ragazza di diciannove anni possa avere come unico scopo nella vita farsi bella per trovare il rampollo di qualche famiglia disposta a provvedere ad ogni capriccio della futura sposa. No, non riesco a visualizzare una vita fatta di agi e privilegi non sudati. Insomma, che ne è di tutte le lotte per l’emancipazione femminile, per le pari opportunità, per… “Signorina, mi scusi!”, una voce acuta interrompe i miei pensieri. “Che c’è?”, mi volto di scatto alla mia destra, mostrando un’aria scocciata. Insomma bisogna essere dei maleducati per disturbare una persona che se ne sta seduta tranquilla. “Semmai signorina, quella scocciata dovrei essere io. Mi mostri il biglietto, cortesemente.” Cavoli, il controllore. Dove ho messo il biglietto? Eccolo. “Tenga”. Faccio un leggero cenno col capo e cerco di mostrarmi un pochino più gentile, ma non mi guarda. Mi riconsegna il biglietto e si rivolge verso il prossimo eggero. Osservo attentamente il mio biglietto con destinazione Firenze. Mi chiedo se questa sia una pazzia oppure sono realmente io. Un giorno, mentre prendevo un caffè vicino a scuola, intenta a risolvere
un’equazione, ho sentito due donne parlare del loro hotel e del successo che avrebbe avuto quest’estate. Non so cosa mi sia preso ma ho chiesto subito loro se avevano bisogno di un aiuto. La signora più alta si voltò dolcemente verso di me e con voce sensuale mi chiese se avevo qualche esperienza con l’accoglienza clienti. Ovviamente non ne avevo. Insomma, stavo terminando il liceo, non potevo anche lavorare. Non io. Lei con una risata quasi soffocata mi propose di iniziare come lavapiatti e quando serviva come cameriera. Accettai subito. Inutile dire come la presero i miei. Pensarono al mio ultimo colpo di testa. Perché non potevo essere come la loro adorata figlia maggiore? La magnifica Rita, così dolce e carina con tutti, e tanto brava a far credere al mondo intero che sta terminando con successo medicina. In realtà, ha dato talmente pochi esami e con tali scarsi risultati che mi dispiace perdermi la reazione di mamma e papà di fronte alla cruda realtà, il prossimo autunno, quando non consegnerà la tesi. Chissà poi come la prenderanno quando vedranno l’appartamento in cui vive, e con chi vive. Jonathan, un ragazzo più vecchio di lei, che pensa di vivere facendo musica e cantando nelle piazze. Secondo me lo pagano per star zitto, con quell’intonazione comprensibile solo al cane dei vicini. Già, peccato non poter assistere alla caduta del mito. Spero di vedere a qualcosa di meglio in questa città. Sono le due quando arrivo in stazione. Prendo la mappa che mi ha inviato l’altra signora, quella bassa e con un viso talmente simpatico da sembrare un panda. Mi sembra si sia presentata come Annalisa. Come inizio mi sembra magnifico lavorare per due donne imprenditrici e sicure di se. Sicuramente loro non hanno bisogno di un uomo al loro fianco per essere quello che sono. Saranno come dei guru per il mio futuro. Nel foglietto, tutto spiegazzato, c’è scritto l’indirizzo, via Napoleone, Hotel Meraviglie. Un nome un perché. Arrivo dopo mezz’ora di cammino. I piedi mi fanno male e ho fame, molta fame. Mi hanno scritto che mi riceveranno per le tre. Potrei nel frattempo andare a mangiare qualcosa in un qualche bar. Ne noto uno poco distante, sembra carino. Entro, mi siedo in un tavolino e leggo il giornale mentre attendo il mio toast al prosciutto, formaggio e insalata. Nel bar c’è solo una coppia di anziani che sorseggiano un caffè e neanche si guardano in viso. Ecco, loro rappresentano
proprio ciò a cui porta il matrimonio: l’indifferenza reciproca. Il barista ha un’aria tranquilla, non sembra uno di quei soliti baristi che cercano di rifilarti qualsiasi cosa abbiano sul bancone. Questo mi tranquillizza perché non sono in vena di spendere. Almeno non fin quando non firmerò il mio contratto. Una settimana di prova mi hanno detto. Devo resistere una settimana e poi avrò un contratto. Di buono c’è che l’alloggio me lo offrono loro. Dovrò condividere un bilocale con altre due ragazze ma l’importante è avere un posto dove dormire. “Mi scusi.” Ancora una volta i miei pensieri vengono interrotti, questa volta però mi mostro gentile. “Mi dica” e sfodero la mia dentiera perfetta. Davanti a me un ragazzo, avrà 27 anni ed è vestito come se dovesse andare a una cerimonia. Tutto sommato è carino, occhi verdi, capelli corvini, leggermente ondulati. Il ritratto di un vero sciupafemmine. “Posso prendere il giornale?” e indica il secondo giornale sul mio tavolo. “Certo”, abbozzo un sorriso strozzato e forse lui lo nota. Si limita a ringraziarmi e si dirige verso un tavolo vicino alla porta, dove lo attende un caffè ancora fumante e una biondona, all’apparenza tutta tette e niente cervello, vestita con un abito super scollato blu e delle decolleté vertiginose. Ce la farà a camminare su quei tacchi? Se cade voglio essere presente, almeno mi faccio una sana risata. Non posso soffermarmi ancora a osservare la scena perché fra cinque minuti mi attende il vero inizio della mia indipendenza. Entro dall’atrio principale. È tutto così fiabesco. Marmo bianco ai pavimenti, tende in seta che toccano il pavimento, mobili in ciliegio. Li riconosco, era il tipico arredamento del mio liceo. Tutto sembra meraviglioso, per l’appunto. Mi dirigo verso la reception, dove ad attendermi c’è una ragazza, sui 22 anni credo, di bell’aspetto e cordiale nei modi. M’invita ad accomodarmi e attendere in una delle poltrone color avorio, rivestite di seta. Con fare aggraziato alza la cornetta del telefono, digita un numero e annuncia il mio arrivo. Attendo pochi minuti e Annalisa, ho potuto leggerlo sul suo cartellino, sotto la scritta vicedirettore, mi riceve. Mi dice che il mio ruolo sarà quello di lavare i
piatti tutti i giorni, un solo giorno di riposo è previsto dal contratto. Non ho nulla da ribattere. D'altronde non ho particolari impegni in una città a me sconosciuta. Mi indica l’appartamento a me destinato dall’altra parte della strada e mi dice che le mie coinquiline sono già arrivate da qualche giorno. Mi consegna le chiavi e mi da appuntamento per l’indomani mattina. Mi dirigo verso l’appartamento con le mie due valigie. Ho portato poche cose con me, giusto il minimo indispensabile. Il resto lo voglio comprare qui. Vita nuova, guardaroba nuovo. Apro la porta dell’appartamento e la prima cosa a cui penso è che dovrei farmi una doccia e una bella dormita. Devo assolutamente essere riposata e rilassata il primo giorno di lavoro. Meglio partire con il piede giusto. La sistemazione delle valigie può attendere.
Capitolo 3
Giro la chiave, abbasso la maniglia e guardo quella che sarà la mia casa per i prossimi tre mesi. La cucina/soggiorno è piccola, un piccolo mobile a sei ante forma il piano cucina, con fornelli, frigorifero, acquaio e scolapiatti, al centro un tavolo per quattro persone, in legno, sembra grazioso, e appena sotto l’enorme finestra da cui si può vedere la strada c’è un divano marrone. Che tristezza. Evidentemente chi ha arredato l’appartamento aveva poca fantasia. Mi dirigo verso la camera. C’è un letto singolo e uno a castello in legno. Il letto singolo e quello più alto sono ovviamente già occupati. Non mi dispiace stare con i piedi per terra. Le altre ragazze hanno già messo a posto le loro cose. Mi scoccia essere da meno. Un enorme armadio che arriva al soffitto copre l’intera parete dietro la porta. Le ante sono scorrevoli e sono ricoperte da tanti specchi. Mi piace. Da luminosità alla stanza. Sempre che ne entri luce da quel piccolo lucernaio che si trova sopra le nostre teste. Spero di non morire soffocata. Lo apro e trovo degli spazi riservati con il mio nome. Certo che si sono proprio organizzate in tutto. Meglio così, sarebbe stata una noia litigare per dividersi un armadio. Un’ultima stanza mi preme controllare: il bagno. Mi dirigo verso la porta scorrevole, accendo la luce e posso constatare con tranquillità un ambiente carino, seppur piccolo. Doccia in un angolo a sinistra, sanitari e lavandino bianco con sopra un piccolo mobiletto e uno specchio rotondo. Essenziale ma carino. Non sarà difficile per me abituarmi. Inizio a sistemare le cose negli armadi. Pensavo d’impiegarci più tempo ma in un’ora ho messo ogni cosa al proprio posto. Controllo nel frigorifero, ma ci sono tre yoghurt, due banane e non so quante scatolette di tonno. Le dispense sono vuote. Decido di andare a fare un po’ di spesa. Insomma non posso vivere senza riso e pasta.
Alle sette sono di nuovo in appartamento. È ora di preparare la cena. Chissà quando conoscerò le altre. Ceno e mi siedo sul divano. Devo essermi addormentata subito, perché vengo svegliata da un rumore di chiavi. “Eccola qua.” Sento una voce squillante davanti a me. “Come? Cos’è successo?” rispondo ancora intontita dal sonno. “Ciao, sono Mary, la tua compagna di stanza!” Davanti a me una ragazza piccolina e esile. Ha i capelli biondi raccolti in una coda alta e gli occhi marroni. Sembra simpatica, speriamo non sia solo la prima impressione. “Piacere, Deborah, ma puoi chiamarmi Deby.” Rispondo ancora assonata. “Lei è Katia.” Guardo alle sue spalle e appare una ragazza tanto alta quanto magra. Cavolo, ma qui assumono solo modelle? Ha i capelli ricci raccolti in una folta coda, gli occhi verdi e la pelle olivastra. “Ciao, piacere.” “Ciao.” E si chiude in camera. Mary osserva la scena senza farci troppo caso. “Perdonala, è il primo giorno, ed è stato un po’ faticoso. Sai questa settimana ci sarà un meeting importante e in hotel tutti sono in fermento.” “Capisco. Io inizio domani.” Rispondo, sempre osservando la porta della camera. “Oh, bene. Sei anche tu cameriera?” Mi chiede emozionata. Forse è realmente una persona cordiale e simpatica. “Lavapiatti e all’occorrenza cameriera.” “Capisco.” “Beh, buon riposo allora.” Termina con un sorriso.
“si, grazie.” E mi riaddormento su quel divano marrone che poco mi piace ma è estremamente morbido.
Capitolo 4
È mattina e le ragazze mi svegliano, sono le cinque e mezza. Mary ha fatto il caffè per tutte e io mi mangio un buon cornetto alla crema. Mary mi spiega che se il giorno prima avanza qualcosa dalla colazione possono portarlo a casa, e loro puntano soprattutto su pane e brioches. Devo assolutamente ricordarmelo. Ogni avanzo dell’hotel costituisce un risparmio nella spesa. Ora sono una ragazza che deve provvedere a se stessa e devo cercare di economizzare il più possibile. Lavorare in hotel può avere anche questo vantaggio. Alle 7 siamo in hotel. Io mi dirigo verso la cucina dove trovo il cuoco. Un omone di quarant’anni con i baffi e i capelli rasati. “Piacer…” “Alla buonora, signorina. Avanti non c’è tempo da perdere. Inizia a lavare i piatti e le padelle. Fra mezz’ora serviamo la colazione e per quando gli ospiti hanno finito anche tu devi aver finito.” “Agli ordini.” Mamma mia che acido. Mangia limoni a colazione? Inizio a lavare tutte pentole mentre Mary e Katia dispongono sui vassoi le marmellate, il burro, il pane, la frutta, gli affettati e le brioches. Sono così ordinate, devono avere molta esperienza sulle spalle. Io cerco di lavare il più veloce possibile, ma il cuoco mi è sempre col fiato sul collo. Incredibile. Alle undici termino di pulire i fornelli e saluto tutti. Sono stanca. Andrei a dormire anche senza mangiare. Ma non posso. Devo fare delle commissioni e alle quattro devo tornare a lavoro. Mi affretto a fare una pastasciutta. Mary sta già mangiando una di quelle insalate confezionate, sembra buona, ma io preferisco di gran lunga la pasta.
“Allora Mary, quanti anni hai?”, non è che voglio proprio saperlo. Semplicemente mi sembra giusto intrattenere una conversazione con la persona con cui siedi a tavola. “Ventidue, e tu?”, ho l’impressione che sia più interessata lei di me. “Diciannove, e da dove vieni?”, meglio continuare con lo stesso piede. “Sono di Bologna, ma sai quest’estate volevo cambiare aria e allontanarmi dalla mia città. Tu dove vivi?” Quanto vorrei dirle la verità. Ma non voglio sbilanciarmi subito. In fondo non la conosco e lei potrebbe farsi una brutta prima impressione di me. Mi tengo sul vago. “Mah, in un piccolo paesino del Piemonte. Sai com’è, paese piccolo, piccole anime. Allora ho deciso di fare questa esperienza per uscire dal buco.” Cerco di sorridere. Speriamo che non vada oltre. “Capisco. Beh, hai fatto bene. Vedrai che ti servirà in futuro.” “Questo senza dubbio!”, quasi lo dico borbottando. “E dimmi, che scuole hai frequentato?” Eccola merda, e ora che faccio se vuole approfondire. Devo cercare di essere precisa e vaga allo stesso tempo. “Ho frequentato un liceo femminile. Materie scientifiche per lo più. Ecco era un liceo scientifico per l’appunto. Sai, insegnavano le suore. Le professoresse erano tutte donne…” “Stai scherzando? Neanche un ragazzo?”, la notizia sembra sconvolgerla. Non ne capisco il motivo. “Si, direi che è la base per essere un liceo femminile.” Non so se con questa risposta rischio di peggiorare la situazione. “E come hai fatto a resistere? Insomma, cinque anni senza vedere un ragazzo. Come si fa?” Sembra sempre più inorridita. Meglio fare il suo gioco o alla prossima risposta potrebbe venirle un infarto.
“Effettivamente hai ragione.”, bugia, “Ma sai, ne avevo sentito parlare talmente bene, che per i miei progetti futuri volevo solo il meglio.”, bugia “quindi ho preso coraggio e mi sono iscritta, insomma mi sono detta: Deby, una volta che avrai finito il liceo hai tutto il tempo di divertirti con gli uomini.” Mary mi guarda silenziosa. Ti prego, fa che se la sia bevuta. Deve avermi creduto. Il suo sguardo mi fa paura, poi fa un respiro profondo e continua: “Sei una persona molto coraggiosa, ti ammiro e ti auguro di trovare un uomo al più presto in grado di recuperare tutto il tempo perso.” Va bene, questa frase sa di esorcismo. È un malaugurio vero? Oddio ho bisogno di respirare. “Debby, stai bene?”, mi chiede preoccupata. “Si, grazie. Come dire, sono quasi commossa da questo tuo altruismo nel parlare. Tu hai un ragazzo Mary?”. “Per carità!”, come non dirmi che la pensa come me. Sarebbe quasi un miracolo. “A me piace divertirmi con i ragazzi. Uscire, fare due chiacchere, bere qualcosa, are qualche ora in spensierata compagnia, e dopo amici come prima.” Ho la nausea. Ti prego tempo, scorri velocemente e portami fuori da questa conversazione.
Capitolo 5
Il tempo scorre veloce. Sveglia alle cinque e mezza tutte le mattine, colazione e poi lavoro fino a l’una di notte, con una lunga pausa pranzo dalle due alle cinque. Non mi dispiace questo stile di vita. Alla fine non ho grossi impegni e posso concentrarmi a guadagnare il più possibile. Devo risparmiare molto perché dopo questi tre mesi non so proprio cosa farò. Ma non ho nemmeno voglia di pensarci ora. Mancano due giorni all’inizio di quell’importante meeting sul matrimonio e sono tutti agitati. Molte pietanze finiscono nella spazzatura perché non vengono ritenuti all’altezza dei futuri ospiti e il cuoco urla contro tutti ogni volta che un piatto non riesce come dice lui. Per fortuna che io devo solo lavare i piatti. Anche se trova lo stesso il modo di rimproverarmi quando la cristalleria e l’argenteria non luccicano come vuole lui. Molte volte mi fanno anche preparare i tavoli, mentre altre volte devo occuparmi della spazzatura o delle pulizie di fondo della cucina. Mi chiedo perché sia così importante. Insomma, si tratta pur sempre di qualcosa inerente ai matrimoni. Perdere la testa e stressarsi per tematiche così tristi mi sembra esagerato. Al giorno d’oggi chi si sposa lo fa solo per immagine, per apparire in società. O semplicemente perché ha soldi da buttare. Io non mi sposerò mai, sarò una giovane donna in carriera. Sarò il perfetto esempio di donna emancipata e mi completerò da sola. Vengo interrotta da un rumore sordo che proviene dal salone. Poi la porta della cucina si spalanca improvvisamente e una delle receptionist, Giorgia, una ragazza sulla trentina, alta, mora e con gli occhi marroni, sempre calma e gentile, si fionda in cucina. Il suo sguardo non annuncia nulla di buono. Per fortuna che io lavo solo i piatti e non verrò coinvolta in nessun discorso serio. Almeno lo spero. “Un guaio, un enorme guaio”. Ahia, non può essere così enorme. “La signora
Francis ha anticipato il suo arrivo a domani. Arriverà insieme ai suoi assistenti. Abbiamo un giorno in meno per rendere questo hotel perfetto.” Signora Francis? Mai sentita. Dal tono in cui lo dicono dev’essere una persona importante. Mi rivolgo verso Mary e le chiedo chi sia questa famigerata ospite. Mary mi guarda stupita. “Ma in che mondo vivi?! È una delle più importanti wedding planner in assoluto. Ogni anno tiene personalmente un convegno per tutti coloro che desiderano intraprendere tale professione.” “Gentile da parte sua mettere a disposizione le proprie conoscenze…”, commento io con tono del tutto disinteressato. In realtà trovo già sorprendente che riesca a lavorare in questo settore, se poi riesce anche a farne un business deve proprio saperla lunga. “Certo, con quello che pagano le persone per partecipare.” Mi risponde in modo molto più coinvolto di quello che mi aspettavo. “Perché, scusa, devi anche pagare?”, questo si che è sconvolgente. “Certo, una settimana di convegno per soli 1.100 euro, se poi superi il test finale hai la possibilità di lavorare un mese con uno dei suoi collaboratori e aiutare nell’organizzazione di un matrimonio. In venti parteciperanno e generalmente in quattro riescono a are il test finale.” Mary sembra sempre più coinvolta nella discussione. Non capisco perché tutto questo entusiasmo. Insomma devi pagare per sapere come organizzare un matrimonio. Un solo giorno della tua vita. “Come possono le persone spendere così tanto per poi sperare di lavorare immerse in fiori, torte e…abiti nuziali.” Sono quasi disgustata nel dirlo. “Perché tutto questo cinismo, Debby?”, Mary ora è seria, “Non sogni anche tu la perfezione per il giorno più importante della tua vita?”, mi chiede incuriosita. “Beh, non so, non c’ho mai pensato.” Da quando in qua sono diventata così bugiarda. Certo che ci penso. Penso a come non trovarmi incastrata in un tale affare. “Già, sei ancora giovane. Ma vedrai che tra qualche anno, quando troverai la persona giusta ci penserai eccome.” Inizio a tossire e chiedendo scusa, mi dirigo verso il bagno. Non voglio proseguire oltre con una conversazione così assurda.
Arrivo ai bagni del personale e ci rimango giusto il tempo per spezzare la conversazione. Mi guardo allo specchio e inizio un breve monologo su me stessa e le mie capacità. “Deby sei splendida. Un giorno sarai una donna di successo e lo diventerai senza l’aiuto di un uomo. Non hai bisogno di nessuno per completarti. Mai. ato questo periodo di transito inizierai la scalata verso una brillante carriera.” Sono soddisfatta delle mie stesse parole e con la fierezza dipinta in volto esco dalla toilette. Giro l’angolo e lo ritrovo davanti a me. Il ragazzo del bar. È in piedi, fermo e mi guarda dritto negli occhi. “Buongiorno.” Mi dice. “Buongiorno.” Rispondo senza darci troppo peso e proseguo. “Sembra una ragazza determinata.” “Come prego?” Mi volto scocciata. “Certo, per intrattenere un tale monologo su se stessa ne ha di grinta. Allora mi dica, perché lavora qui con le sue ambizioni?” “Mi spiace, penso non siano affari che la riguardano.” “Ha ragione. Mi scusi per averla importunata.” “È scusato.” Mi volto e proseguo, ma in lontananza lo sento ridacchiare. Che cafone. Giudicare senza conoscere. Scommetto che non è abituato a sentire parlare le donne di voler essere autonome. Certo, a lui basteranno quelle tre oche che gli girano intorno, tutto seno e niente cervello. A proposito, cosa ci faceva lì? Spero non sia nessuno dello staff e che fosse solo di aggio, sarebbe orribile condividere l’estate con una persona così. Salgo le scale e mi dirigo in cucina. Entrando trovo Annalisa e il cuoco che stanno radunando tutto lo staff. Mi unisco al gruppo e Annalisa fa il suo intervento.
“Come tutti voi ben sapete questa settimana ospiteremo un evento importantissimo, ossia il più importante meeting per futuri wedding planner tenuto dalla signora Francis.” Si ferma un attimo, in un silenzio quasi solenne e prosegue “Saranno cinque giorni intensi ed esigo la massima partecipazione e disponibilità da parte di tutti voi. La colazione sarà servita ogni giorno alle 8, dalle nove a l’una ci sarà la prima parte della giornata. Ogni giorno serviremo direttamente in sala convegni tè e caffè per gli ospiti, accompagnati da biscotti e muffin. Seguirà il pranzo a l’una, nel menù è incluso un primo, un secondo, dolce e caffè. Domande?” Annalisa si guarda intorno con aria di sfida. Nessuno chiede nulla, e anche se fosse il suo sguardo non invoglia di certo a farsi avanti. “Bene, proseguiamo. Alle due riprenderà il convegno fino alle sei. Alle quattro serviremo di nuovo caffè e biscotti. La giornata si concluderà con la cena servita alle sette e mezza, organizzata come il pranzo. È tutto chiaro?” Un sì all’unisono ha raggiunto le sue orecchie. “Mi raccomando la precisione. È fondamentale. La signora Francis è conosciuta per le sue manie di perfezione e noi non vogliamo deluderla. Deluderla equivale a non ospitare più né lei né qualsiasi altro suo collega disposto a organizzare meeting come questi.” Annalisa termina il suo lungo discorso così. Fiera e orgogliosa, ma allo stesso tempo le leggo in viso un poco di preoccupazione. Io, dal canto mio, mi sento tranquilla, finché dovrò lavare i piatti alla velocità della luce non mi pongo nessun problema. Ritorno alla mia postazione e Max alle mie spalle inizia a dettare legge alle cameriere e agli aiutanti cuochi. Per tutta la sera ho visto un sacco di assaggi di qualsiasi tipo di pietanza. Dai primi ai secondi, accompagnati da ogni tipo di vino. Ciò che verrà scartato diventerà la mia cena. Questa sera non ho per niente voglia di prepararmi la cena. Sono le undici, la cucina ha chiuso, mi cambio ed esco dalla dalla porta sul retro e dall’altra parte della strada noto una coppia. Riconosco in lui il ragazzo del bar, anche lui mi nota. Mi saluta con la mano, alzo anch’io la mia e distolgo lo sguardo. Meglio se non m’intrometto. Do una seconda occhiata e ora sono lì a baciarsi apionatamente. Per loro sarà una notte di fuoco, io mi auguro solo di poter dormire profondamente.
Capitolo 6
Sono le cinque e mezza e mi alzo. Faccio colazione con brioches al cioccolato e doppio caffè. Mary e Katia hanno il giorno libero la domenica. Io lo saprò solo alla fine di questa settimana, ma mi auguro di avere il lunedì o il martedì, così mi potrò godere la casa tutto il giorno. Mi faccio una doccia veloce, mi vesto e attraverso la strada, pronta per iniziare un’altra intensa giornata di lavoro. Oggi arriveranno tutti gli ospiti e stasera verrà servita una cena di benvenuto durante la quale verrà illustrato il programma per i prossimi cinque giorni. Io dovrò are il pomeriggio ad allestire i tavoli. La cena sarà a buffet e per fortuna avrò meno piatti nell’acquaio. In compenso scommetto che mi metteranno a disimballare scatoloni su scatoloni di vini e liquori vari. La colazione si risolve velocemente e alle undici sono pronta per ritornare in appartamento. Sto per attraversare la strada quando sento Carol chiamarmi dall’atrio. Carol è il nome della seconda socia, la signora seducente con cui intrapresi la prima conversazione ancora a Torino. “Dimmi Carol.” M’interrompo con tono professionale. “Avrei bisogno di assegnarti un nuovo ruolo per questo meeting.” Mi risponde lei tranquillamente. “Certo, qualunque cosa.” Rispondo. “La signora Francis e i suoi tre collaboratori nei prossimi giorni desiderano avere la colazione e la cena servita nelle loro camere. Sai per evitare interventi esagerati da parte dei loro pseudo-studenti.” Continua lei in modo deciso. “Pensavamo di assegnare il compito a una cameriera, ma abbiamo bisogno di una persona molto discreta.” “Capisco.” Intervengo io.
“Quindi sei d’accordo se te ne occuperai tu.” Mi dice assottigliando la sua voce e guardandomi con i suoi occhi da cerbiatta. “Certo, perché no?”, non capisco dove sia il problema. “Perfetto, la colazione deve arrivare ogni mattina puntuale alle otto nella sua camera, la 301, seguirà quella della sua segretaria e dell’assistente personale, nella camera 302 e per finire, nella 303 dovrai servirla a suo figlio.” “La signora Francis ha un figlio?”, intervengo incuriosita io. “Certo, Mike, un tipo un po’ così, ti prego si è raccomandato tanto di non ricevere nulla prima delle otto e mezza.” La sua voce ora è più decisa. “E Deborah…” prosegue. “Si, Carol”. Annuisco io. “Assoluta discrezione. Tu non vedi, non senti e non parli. Qualsiasi cosa ti si presenti davanti. Siamo intese?”, ora mi fa un po’ paura. “Certo. Muta come un pesce. Non dirò nulla a nessuno.” Del resto cosa potrebbe succedere di così tanto sconvolgente da dovermi mettere tale soggezione. “Brava. A stasera.” E si volta correndo di nuovo all’interno dell’hotel. Mi volto e mi dirigo finalmente al mio appartamento. Katia non è in casa mentre Mary sta con lo sguardo perso ad osservare la sua tazza di caffè. “Ciao Mary.” “Ciao.” Risponde senza il benché minimo entusiasmo. “Dormito male?”, non mi va di saperlo, lo chiedo più per cortesia. “Nah…”, la lascio alla sua tazza di caffè e vado a cambiarmi in camera. “Almeno puoi chiedermi perché sono così di malumore!” Ritorno in cucina e mi siedo davanti a lei.
“Sentiamo Mary, perché saresti di malumore?”, chiedo con ancora meno curiosità. “Ho conosciuto un ragazzo bellissimo, ma è un vero cretino.” “Ah, che novità!” rispondo con voce squillante. “Come sarebbe ‘che novità’?” ribatte lei. “Non fraintendere, non era riferito a te”, mi alzo e accendo una moka di caffè, “solo che sai, agli uomini riesce facile comportarsi male.” “Questo non è vero. Ho conosciuto molti uomini onesti e intelligenti. E anche gentiluomini.”, ora mette il broncio. “Davvero? E allora perché non ci stai assieme?” rispondo con maggiore interesse rispetto a prima. “Ovvio, perché non ho trovato ancora quello giusto. Insomma, non è colpa mia se sono maggiormente attratta da quelli che mi trattano male. A te non è mai successo?”, me lo chiede con un tono un po’ troppo indagatore. “No, direi di no.” Taglio corto e mi verso il caffè nella tazza. “Ho capito. Sono io la sola sfortunata.”, e mi guarda dal basso, con fare ancora indagatorio. In quel momento rientra Katia. Grazie al cielo, sono salva. “Ecco, io non sono brava a dare consigli. Perché non chiedi a Katia. Sicuramente avrà molto da raccontarti.”, cerco di tenere un tono convincente. “Non ci provate.” Certo che è proprio burbera. “E piantatela anche voi con queste lagne.” “Katia ha ragione.”, prendo la palla al balzo. Grazie Katia, inconsapevolmente mi hai fatto un grosso favore. “Non va bene deprimersi per un uomo. Vedrai che ne troverai altri. Ora gustiamoci questo meraviglioso caffè.” Finisco il mio caffè, indosso la tuta da ginnastica e mi fiondo fuori
dall’appartamento prima che la conversazione riprenda. Non c’è modo migliore di rilassarsi se non con un po’ di jogging. Bugia. Ma una scusa la dovevo pur trovare e tutto sommato una corsa potrei farmela fino al parco. Non dev’essere troppo lontano. Arrivo al parco dopo quindici minuti, sono sfinita e mi fiondo a bere dalla fontanella. Oggi fa proprio caldo. Dovevo almeno portarmi dell’acqua. Mi distendo sulla panchina più vicina. Non mi accorgo di essermi appisolata, sarà ata mezz’ora e mi sento qualcosa solleticarmi il naso. Apro leggermente l’occhio destro e vedo una foglia sospesa sopra di esso. Mi chiedo come sia possibile. Apro entrambi gli occhi e davanti a me un ragazzo biondo con gli occhi azzurri sorride. “Ci conosciamo?”, gli chiedo con fare scocciato. “Direi di no.”, risponde lui tranquillamente. Mi alzo senza guardarlo ulteriormente e decido di ritornare in appartamento. Non è stato saggio da parte mia addormentarmi su una panchina. Anche se il ragazzo non ha l’aria di essere un depravato. “Ehi, scusami. Non volevo importunarti.”, si scusa lui, ma la sua voce è lontana. “Avevi un espressione buffa.”, cerco di non ascoltarlo. Mi sento afferrare per un braccio. Mi volto ed è lui. È stato velocissimo nel raggiungermi. “Lasciami o mi metto ad urlare.”, voltandomi noto questa volta che porta con se una valigia. “Ti chiedo di nuovo scusa, veramente.” Lo dice guardandomi dritto negli occhi. “Va bene, ti scuso.” Questo ed altro purché mi lasci andare. “Così va meglio. Mi chiedevo se sapessi dov’è l’Hotel Meraviglie, sai sono qui per partecipare ad un meeting. “Certo, sempre dritto per due chilometri e lo trovi sulla destra.” “Molto gentile”, replica lui, e con o deciso si dirige all’hotel. Io aspetto altri dieci minuti, non vorrei mai che fosse un maniaco e scoprisse dove abito.
Mi avvio lentamente verso casa, salgo in appartamento e le ragazze stanno preparando una pasta. “Ti piace con speck, rucola e grana?”, mi chiede Katia. Sono sorpresa di tutte queste attenzioni da parte sua. Forse anche lei ha un lato tenero. “Si, mi piace.” “Bene, una porzione in più anche per te.” Replica lei. Ci sediamo a tavola e pranziamo in un silenzio alquanto imbarazzante. Mary accenna a qualcosa riguardo al meeting e ai compiti da svolgere e sembra emozionarsi quando parla della signora Francis e del figlio. Non capisco se sia più emozionata di conosce lei oppure il figlio. Ad ogni modo evito di annunciare che sarò io a servire le colazioni in camera. Non voglio incappare in conversazioni del tipo che sono fortunata e cose del genere. Anche Katia sembra contenta dell’evento. Dice che un giorno anche lei farà organizzare il suo matrimonio da una wedding planner professionista. Mi sembra strano sentirla parlare di matrimonio, ma mentre ne parla la sua espressione sembra più dolce. Accenna anche al suo fidanzato e del fatto che è una vita che stanno insieme e posso intravedere un certo rossore nelle sue guance. Che sia l’effetto dell’amore o del bicchiere di vino che sta sorseggiando lentamente? “Debby, anche tu ingaggerai una professionista per il tuo matrimonio?”, mi chiede estasiata Mary. Sembra che il malumore di prima le sia decisamente ato. Quasi mi strozzo alla domanda con la pasta. “Io cosa?” quasi urlo. “Cioè, no, certo che no, farò tutto da sola.”, esclamo decisa. Non è proprio una bugia, in effetti io farò tutto da sola. Vivrò da sola e se mi devo sposare, sposerò me stessa. Quindi tecnicamente non è una bugia. Oltretutto la mia risposta sembra rallegrare entrambe. Avrò forse dato l’idea di essere una donna indipendente e decisa? Meglio pensarla così.
Capitolo 7
Sono le quattro e devo sbrigarmi ad apparecchiare l’intera sala. A quanto pare stasera non ci saranno solo gli ospiti dei prossimi giorni ma anche diverse celebrità che racconteranno la loro esperienza con l’agenzia della signora Francis. In tutto ci saranno cinquanta persone, tra ospiti, segretari, i cosiddetti testimonial e gli organizzatori. Solo ora mi rendo conto dell’importanza che questo meeting ha per l’hotel. È come una vetrina. Se faranno successo, non solo è probabile che ripeteranno qui l’evento, ma c’è la possibilità che l’hotel venga inserito nella lista di quelli in cui verranno organizzati gli matrimoni stessi. A confermare questi miei sospetti è lo stesso Max, dice che sarà importante per la sua stessa carriera. Potrebbe diventare uno chef rinomato ed essere incluso in molte importanti guide culinarie. Lo spero per lui, se così fosse, probabilmente sarebbe meno burbero. O forse no. Dispongo le tovaglie bianco perla sui tavoli rotondi. Su ogni tavolo ci saranno sei ospiti e al centro di ogni tavolo metto un piccolo segnaposto con i nomi. Le porcellane sono bianche con tre piccole sottili linee nere e dorate che segnano il lato del quadrato, mentre i bicchieri splendenti, i tovaglioli abbinati e l’argenteria lucente si armonizzano con un piccolo vaso di rose fresche posto come centro tavola, il che dona un tocco di eleganza al mio lavoro. Sono soddisfatta del mio operato e penso lo saranno anche gli altri. Mi dirigo in cucina, ormai gli ospiti arriveranno a momenti. Inizio a lavare pentole e vassoi e non mi accorgo nemmeno del tempo che a. Accanto a me la lavastoviglie è carica di calici e bicchieri e senza dubbio nel salone sicuramente ci sarà qualcuno brillo e allegro, non ho mai visto così tanti vassoi di bicchieri in una sera. Sento i camerieri correre alle mie spalle e Max, dopo un inizio serata rumoroso, finalmente si è calmato e è ora ormai di servire il gelato per dolce. Aiuto a preparare le coppe e Cinzia, una delle cameriere più esperte mi getta un grembiule lungo fino ai piedi.
“Tieni, indossalo e aiutaci a portare questi, così faremo prima.” Indosso il grembiule e con un vassoio mi dirigo in sala. Spero nessuno noti il jeans al posto del pantalone nero. In teoria il grembiule mi copre completamente dalla vita in giù. Servo il tavolo più vicino e corro a prendere il secondo vassoio. Vado a servire il tavolo quadrato, quello riservato alla signora Francis e ai suoi collaboratori. Quando torno non posso credere ai miei occhi: proprio lì, in quel tavolo, c’è di nuovo quel ragazzo, il morettino con gli occhi verdi. Lo ignoro perché forse non mi riconoscerà. Consegno tutte le coppe e l’ultima è per lui. Gliela metto davanti frettolosamente e mi giro. “Guarda chi si rivede.” Esclama lui. “La ragazza della toilette. Come va con il tuo progetto ragazzina?”, non lo degno neanche di uno sguardo. Rientro in cucina e sento le gambe tremare, sono agitata e nervosa. Non può trattare chiunque con un tale ceffo. Prendo l’ultimo vassoio e mi dirigo in sala. Servo l’ultimo tavolo e quando sto per rientrare in cucina qualcuno mi afferra per un braccio. “Ehi, che vuoi?”, esclamo sottovoce, non voglio dare dell’occhio. Guardo la figura di spalle e riconosco il ragazzo di prima. “Lasciami andare, devo lavorare io.” “Sei pure impertinente.” Sussurra lui. “Allora ragazzina, non ti hanno insegnato le buone maniere?” “Chi sei per giudicare?”, gli chiedo. “Sei una persona interessante, potresti farmi divertire.” Sento la sua mano sul mio fianco. Lo spingo via e sto per dargli un ceffone ma qualcosa mi blocca. O per meglio dire qualcuno. È Cinzia. Grazie al cielo è venuta in mio soccorso. Ora sicuramente mi difenderà lei. “Cosa pensi di fare pivellina?” esclama arrabbiata. “Come? Io? È stato lui…” ma mi zittisce subito e mi trascina in cucina. Mi volto all’indietro e noto quel vigliacco sorridermi. Alla prima occasione giuro che glielo tolgo io quel sorrisino stupido dalle labbra. Lo giuro sulla mia futura
carriera. Entriamo in cucina e Cinzia mi da una strigliata, ricordandomi quanto siano importanti i clienti e il fatto che non bisogna importunarli o in alcun modo infastidirli. Inutili sono stati i miei tentativi di spiegarle come in realtà sia stato lui a distrarmi, non c’erano ragioni. Ai suoi occhi solo io avevo sbagliato. Non succederà mai più e la prossima volta che lo vedo mi volterò dall’altra parte. A mezzanotte finisco di pulire la cucina ed esco dalla porta sul retro. Sul marciapiede c’è il ragazzo che ho incontrato al parco. Lo ignoro, ma lui mi nota. “Scusa!” esclama rivolgendosi verso di me. “Non ho tempo di fermarmi, mi scusi.” Taglio corto. “Non sei la ragazza del parco? Ti ho notata in sala!” continua lui. “Si, ma scusa, proprio non posso fermarmi.” Noto che sta fumando una sigaretta. “Volevo solo chiederti di nuovo scusa per come mi sono comportato” ora si mette tra me e la strada. Non posso più evitarlo. Mi fermo e lo fisso scocciata. “Non c’è bisogno che ti scusi ancora.” Proseguo “Facciamo che dimentico tutto, va bene?” “Perfetto!” esclama lui sorridendo. Ha veramente dei bei denti. Non l’avevo notato prima. “C’è un’altra cosa…” La conversazione sta diventando troppo lunga per i miei gusti. “Cosa?” sono sempre più irritata. “Ho visto la scena con quel cretino. Mi dispiace. Ti avrei dato man forte se iniziavi a schiaffeggiarlo.” Ora si che devo bloccarmi. Un uomo con un po’ di buon senso, qui davanti ai miei occhi. No, dev’essere la stanchezza che mi causa delle forti allucinazioni. “Ti ringrazio.” Non so veramente cosa dire. “Come dire… ehm… è confortante. Grazie e buonanotte.” Attraverso la strada di corsa e lo sento esclamare in lontananza qualcosa come un nome. Penso di aver udito Lorenzo. Ma non sono sicura, il rumore di una moto ha coperto quasi tutto il suono. Non mi volto
nemmeno ed entro nel palazzo. Salgo le scale di corsa e mi chiudo la porta alle spalle. Mi siedo e respiro intensamente. Che serata. E siamo solo all’inizio.
Capitolo 8
Non chiudo occhio per tutta la notte, Mary e Katia invece dormono profondamente. Sono circa le tre quando mi alzo per farmi una camomilla, sperando che almeno mi rilassi un pochino. Mi affaccio alla finestra e osservo l’hotel. È buio, ad illuminarlo solo due lampioni sul marciapiede. È proprio bello. Sembra un po’ la casa delle bambole. La luce nell’atrio è soffusa e posso distinguere la figura del portinaio, Giorgio se non ricordo male. Un distinto signore sulla cinquantina. Non conosco nulla di lui, come di molti altri dipendenti. Le occasioni per parlare sono davvero rare e io non sono una persona che ama confrontarsi con gli altri. Ora che ci penso, domattina dovrò consegnare la colazione in camera. Meglio tornare a dormire e cercare di riposare un minimo. Devo essere presentabile di fronte a delle persone così di classe. Sono le cinque e mezza e la sveglia suona, mi faccio subito la doccia, prima che le ragazze si alzino. Faccio una doppia tazza di caffè e mangio un’ottima brioches all’albicocca. Le brioches che fa Max sono davvero eccezionali. Le riempie sempre completamente. Certi tipi di marmellata li prepara lui stesso. Si vede la ione per il proprio lavoro. Lo osservo entrare tutte le mattine alle sei e un quarto e quando arrivo solitamente sta infornando le prime torte, ama servirle ancora calde agli ospiti. Ogni giorno ne ha sempre una diversa. La più buona in assoluto che ho mangiato era quella cioccolata e pere. Ogni tanto dopo cena se avanza del tiramisù lo divide con lo staff. Me compresa. Quando vuole riesce sempre ad essere carino. Alle sette esco e corro in hotel. Entro in cucina e inizio a lavare tutto quello che ha usato Max. Ha cucinato più del solito ma nella sua espressione leggo molta soddisfazione. Sono quasi le otto e Max mi prepara il carrello per le colazioni in camera. Annalisa mi fa indossare un grembiule lungo rosso e mi sistema i capelli in una coda di cavallo. “Mi raccomando, discrezione.” Mi ripete con tono deciso.
“Certo.” Rispondo. Noto Mary e Katia che mi osservano dall’altra parte della cucina. Mary si avvicina e mi chiede perché non le ho avvisate prima che ero stata scelta io. Annalisa si volta e con tono imperativo si rivolge a tutti. “Pretendo la massima discrezione da tutti. Nulla di inappropriato deve uscire dalle vostre bocche.” Guardo Mary e alzo le spalle, come ad indicare che sto solo eseguendo gli ordini dei superiori. Mary sbuffa e torna a preparare tè e caffè per gli ospiti. Esco dalla porta secondaria e mi dirigo agli ascensori. Stanze 301, 302 303. Salgo al terzo piano ed esco, la prima stanza è quella della signora Francis. Busso e attendo che mi apra. È ancora in vestaglia, di un blu elettrico, probabilmente in pizzo e con un ricamo sui polsini. È elegante anche quando dorme. “Buongiorno.” Le dico inchinando il capo. “Buongiorno a lei signorina.” Mi risponde. “Sono venuta a servirle la colazione.” Proseguo. Cerco di tenere un tono abbastanza servile. Penso lo apprezzerà. “Prego, entra.” “Con permesso.” Entro nella camera, molto vicina all’essere una suite. “Cosa desidera?” “Hai del caffè?” mi chiede dandomi le spalle mentre consulta una cartella sopra la scrivania. “Certo. Zucchero, miele?” continuo. “No, niente, lo voglio liscio. Se hai una brioche lasciamela.” Non mi presta troppa attenzione. “Certo, al cioccolato, crema, marmellata. Se vuole ho anche dei tortini alla carota e gocce di cioccolato.” Ora si gira verso di me, incuriosita. Mi osserva
dalla testa ai piedi e distoglie di nuovo lo sguardo. “Una brioche alla crema. Poi, puoi andare.” “Ecco a lei, lascio il vassoio sopra il tavolo. Buona giornata.” Non mi risponde e chiudo la porta alle mie spalle. Spero che con chi le paga il corso sia più gentile. o alla stanza 302. Ci sono due collaboratrici. Due ragazze giovani, avranno poco più della mia età, sono gentili e sorridenti. Alte, snelle e bellissime. Sono già in tailleur e si siedono nel tavolo vicino alla finestra. Gli lascio due tortini alle carote, due cappuccini e della marmellata con il pane. La ragazza sulla destra mi chiede se l’hotel è dotato di una palestra. Le rispondo di no, ma se desidera al piano interrato c’è una sauna e una piscina riscaldata. Sembrano compiaciute, mi ringraziano ed esco dalla stanza. È bello iniziare la giornata con persone così cordiali. Forse anche il terzo collaboratore sarà gentile. Sono le otto e mezza in punto e busso alla porta. “Si?” una voce giovane maschile dall’altra parte della porta. “Sono la cameriera, le ho portato la colazione.” Rispondo con un minimo di entusiasmo. La porta si apre e dall’altra parte una figura alta mi attende. “Non può essere!” esclamo quasi senza volerlo. Lo riconosco subito. È quell’insolente morettino. “Oh, che piacevole buongiorno.” Ironizza con un sorriso che mette in mostra la sua dentiera bianchissima. “Prego entra.” “Perché dovrei?” rispondo scocciata. Lui inizia a ridere e indica il carrello. “Non sei venuta a servirmi la colazione?” Sembra di buon umore, afferro il carrello ed entro ma lascio aperta la porta. Non guardo in giro, ho paura di ciò che potrei vedere. Magari si è portato l’intero harem. È già vestito anche lui, con dei pantaloni eleganti neri e una camicia azzurrina con le maniche arrotolate fino al gomito. Lo guardo mentre attendo
che lui decida cosa vuole mangiare e osservo che ha la barba leggermente incolta. Un particolare che gli dona un po’ di fascino. No, aspetta Debby, cosa stai pensando. È a causa di uomini così immaturi che hai scelto la vita che stai conducendo. “Allora hai deciso?” intervengo impaziente. “Forse si.” Afferma guardandomi da dietro il ciuffo di capelli neri ancora scompigliati. “Bene, cosa vuoi? Caffè, cioccolato, tè?” proseguo. “Te.” Mi dice con un sorrisetto ironico. Prendo la teiera e la tazza ma lui afferra con decisione i miei polsi. “Forse non hai capito, io non voglio il tè, io voglio te.” E mi guarda intensamente. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio. O cavolo. Questo no. Cerco di svincolarmi ma lui mi tiene saldamente. Vorrei urlare ma qualcuno mi sentirà o penseranno che sono solo l’ultima sua preda. Lui porta il suo viso vicino al mio collo e lo sfiora con le labbra. Soffia leggermente vicino al mio orecchio e ad interromperlo è un rumore dall’altra parte della stanza. Dal bagno esce una ragazza bionda e bellissima… naturalmente. È in accappatoio. Pensavo che la camera fosse singola. “Mike, perché non vieni ad aiutarmi?” chiede con quel broncio e la faccia innocente che riesce solo alle galline da pollaio. Lui mi lascia andare e si dirige verso di lei. “Scusami cara, stavo decidendo cosa potevi desiderare per colazione. Caffè e brioche possono piacerti?” Le chiede. “Si.” Risponde la gallinella guardandolo negli occhi. “Due brioche con la crema e due caffè, grazie signorina. Senza zucchero per la mia compagna e con zucchero per me. Li lasci pure sopra il tavolo e chiuda la porta prima di uscire.” Dice facendomi l’occhiolino. “Certo, buona giornata.” Preparo quanto chiesto, due caffè. Il suo con lo zucchero.
Esco con la camera e mi ricordo che per sbaglio ho sostituito lo zucchero con il sale al momento. Che terribile disguido. Entro con o svelto in ascensore e premo il tasto per il piano terra. Non vedo l’ora di arrivare in cucina. Mi scendono delle lacrime agli occhi perché è scorretto quello che ha fatto. Mi ha scambiato per una delle donne stupide che frequenta, ma io non sono così. Il mio cuore batte fortissimo. Ho paura che qualcuno possa sentirlo. L’ascensore si ferma al secondo piano. Entrano tre persone. Tra loro c’è il ragazzo biondo che mi saluta. “Ciao. Già al lavoro?” chiede cordialmente. Mi asciugo una lacrima e tengo lo sguardo basso. Non voglio che qualcuno noti il mio malumore e spero che nessuno senta il mio cuore battere. “Già.” Rispondo. “Dormito male?” “Non proprio.” Questo ragazzo non mi mette ansia. Penso che ogni tanto potrei salutarlo. L’ascensore si ferma ancora. Le tre persone escono al primo piano, in direzione sala convegni. Il ragazzo biondo si gira verso di me salutandomi con la mano. “Non stai male con la coda!” mi urla mentre le porte si richiudono. Mi giro verso lo specchio alle mie spalle e noto la coda di cavallo ancora perfettamente stabile. Sarà dovuto a tutta la lacca che mi ha messo Annalisa. Arrivo al piano terra ed entro in cucina. Non voglio pensare ad altro. Voglio solamente pulire e scappare in appartamento. Sono le quasi le dieci e Annalisa mi ordina di aiutare Katia a portare la merenda nella sala riunioni. Mi cambio di nuovo e afferro il carrello pieno di pietanze. Entrate in ascensore Katia mi rassicura che lei e Mary non sono arrabbiate con me ma mi fa notare che di loro posso fidarmi. Non mi giudicano, in fondo è stata Annalisa a decidere non io a propormi. La ringrazio e riacquisto un pochino di buon umore.
Arriviamo di fronte alla porta e Katia bussa. Entra e annuncia il caffè. La signora Francis concede una pausa di un quarto d’ora. Avanzo con il carrello e dispongo i vassoi, le tazze e i bicchieri su un lungo tavolo che si affaccia nel giardino interno. Aiuto gli ospiti a versarsi da bere e alla fine riordino tutto. Non ho notato il mio nemico fortunatamente. In compenso il ragazzo biondo è corso a salutarmi. Dà l’impressione di essere un bravo ragazzo. Katia a quella vista fa un sorrisino malizioso e io contraccambio con un’occhiataccia, ma lei non ci fa caso. Usciamo dalla stanza e lei continua a ridacchiare. “Perché ridi?” le chiedo. “Perché qualcuno ha già fatto colpo.” E ride. “Chi?” chiedo. “Ci sei o ci fai? Il biondino ti mangiava con gli occhi!” esclama alzando un po’ la voce. “Non è vero! È stato solo gentile.” Ribatto. “Si, si. Come ti pare.” Conclude lei. Ma posso ancora notare sul suo volto un leggero sorriso. Che pensi quello che vuole, non sono affari miei. Stiamo entrando in ascensore quando una voce ci raggiunge da dietro. “Per me non c’è un caffè? Magari ben zuccherato.” Rabbrividisco. Riconosco questa voce. “Ehi, tu, ragazza col codino. Portamene uno caldo con lo zucchero in camera. Subito.” Afferma. “Veramente io…” ma vengo bloccata da Katia. “Se vuole posso farlo io.” Si annuncia lei. Lui nemmeno la degna di uno sguardo e conclude “Ho detto alla ragazza col codino.” Le porte dell’ascensore si chiudono a quest’ultima affermazione. “Che scorbutico!” Sbuffa lei. Devo darle atto. Ma allo stesso tempo ho paura che voglia in un qualche modo vendicarsi di ciò che ho fatto questa mattina. Ad ogni
modo qualunque cosa dica o faccia questa volta non mi prenderà alla sprovvista. “Hai ragione.” Le porte dell’ascensore si aprono e riportiamo il carrello in cucina. Katia mi prepara subito il vassoio da portare nella camera del signorino e me lo consegna. Ritorno in ascensore e premo il pulsante per il terzo piano.
Capitolo 9
Sono ferma di fronte alla porta della sua camera. La 303. Non ho ancora bussato. Non ce la faccio, il cuore batte nervosamente e le mie gambe sembrano fatte di gelatina. “Pensi di rimanere così per quanto? Ormai si sarà raffreddato.” La sua voce è alle mie spalle. Non mi volto. Non ho voglia di vederlo, sarebbe una punizione anche solo sentire il suo odore. Lui fa scorrere il per entrare in camera e mi a davanti. Lo seguo. Appoggio il vassoio sul tavolo e cerco di uscire dalla porta il prima possibile. “Non così veloce.” Mi ferma lui “Non c’è niente che vuoi dirmi o chiedermi?” è serio, ma io evito di voltarmi verso di lui. “No.” Ammettere il mio gesto equivarrebbe a rendermi ufficialmente colpevole. Se si lamentasse con le direttrici, probabilmente mi licenzierebbero e a quel punto addio lavoro, addio appartamento, addio soldi. Rimarrebbe solo la speranza di non trovare troppi topi nel ponte che mi è stato destinato. “Quindi non sei stata tu a mettere il sale al posto dello zucchero?” “Direi di no.” Lo sento ridere, voglio uscire subito da questa stanza. “Hai un bel caratterino, lo devo ammettere.” Ora sembra più rilassato. Mi volto verso di lui. “Tu dici?” Lo vedo seduto sulla poltrona. Ha sbottonato il primo bottone della camicia e riesco ad intravvedere un piccolo crocefisso dorato. Sta guardando fuori dalla finestra. Il sole gli inonda il viso. Mi avvicino inconsapevolmente. I suoi occhi brillano. Lui si volta verso di me. “Il tuo astio è solo per me o per gli uomini in generale?” Mi blocco, non riesco a rispondere subito. “Certo, sono io, se no non civetteresti così con Lorenzo.”
“Lorenzo? Non lo conosco.” Affermo decisa. “Bugiarda, il biondino che ti stava incollato durante la pausa. Vi ho visti.” Insiste lui. “Ah, si chiama così.” Ora che ricordo ieri sera mi sembrava che mi avesse urlato questo nome, ma non gli ho dato troppa importanza. Dovrei ricordarmelo per la prossima volta. “Invece tu come ti chiami?” mi chiede. “Deborah e non civetto con nessuno.” Rispondo quasi d’istinto. “Ciao Deborah. Sai, in genere non mi piacciono gli scherzi, ma ho apprezzato il tuo coraggio nel farlo.” Devo cercare di non ridere. Me lo immagino mentre beve il primo sorso lungo e sente il salato in bocca. È più forte di me, devo cercare di rimanere seria o mi farà licenziare subito. Ora si alza e si avvicina a me. Indietreggio verso la porta e mi accorgo che è chiusa. Dannato dev’essere stato lui. “Allora Deborah, c’è qualche altro giochetto che ti piace fare?” il suo viso è di nuovo vicino e con una mano blocca la maniglia della porta. Se osa toccarmi giuro che un calcio glielo tiro. “No, sono un po’ troppo cresciuta per giocare, ora devo lavorare, come ogni persona adulta e responsabile.” Cerco di impossessarmi della maniglia ma lui posa un braccio sopra la mia testa per bloccare l’intera porta. “Lavorare eh? Anch’io lavoro e gradirei domani iniziare la giornata con dello zucchero. Ci siamo capiti?” Il suo respiro è troppo vicino ai miei capelli, volgo lo sguardo verso il basso per paura credo. “Si, ho capito.” Sento bussare alla porta alle mie spalle. “Mike, tesoro ci sei?” dunque questo è il suo nome, dall’altro lato della porta è senza dubbio la voce della signora Francis.
Mike mi afferra per le spalle e mi sbatte contro il muro che fa ad angolo. Cerco di svincolarmi ma con un braccio mi tiene ferma collo e spalle. È troppo forte. “Si, mamma” apre la porta e io ne rimango nascosta dietro. “Arrivo subito mamma.” “Sbrigati, devi illustrare i concetti dell’azienda prima di pranzo.” E sento le scarpe della signora allontanarsi. Mike la segue con lo sguardo, poi si rivolge verso di me. “Mamma?” gli chiedo io esterefatta. “Si, la signora Francis Lorena è mia madre e io mi occupo del marketing dell’azienda. Sorpresa?” Mi chiede sempre con il suo sorrisino stupido. Ma io non rispondo. “Ora devo andare ma ti tengo d’occhio.” Allenta la forza del braccio, ma la porta è ancora aperta e non riesco a fuggire. Lui continua a fissarmi. Sento di nuovo dei i di tacchi. “Ah, Mike, dimenticavo.” È di nuovo la signora Francis. “Alla riunione del pomeriggio dovresti sostituirmi per la prima mezz’ora, ho una chiamata importante da fare con una cliente.” “Certo mamma, ne approfitterò per illustrare il periodo di stage, può andar bene.” Ribatte lui. “Ottimo figliolo. Efficiente come sempre. Ma sbrigati, prendi la giacca, ti aspetto qui fuori.” La signora rimane ferma e Mike mi tiene ancora ferma. Socchiude di più la porta e afferra la giacca appena sopra la mia testa. Io rimango sempre immobile. L’incubo sta per finire. Mentre alza il braccio posso sentire il suo profumo. È buono, dolce ma non troppo. Dev’essere il Moschino. Lo indossava sempre il papà di una mia compagna e mi piaceva come odore. Questi pochi secondi mi sembrano infiniti. Afferra la giacca e lentamente si avvicina con la bocca al mio orecchio. “Mi raccomando lo zucchero.” Mi sussurra. Non rispondo, tengo gli occhi chiusi. Ormai è finita. Sento la sua mano accarezzare la mia coda di cavallo. Ma non dico nulla. Sarebbe imbarazzante se sua madre ci vedesse così. A quel punto potrei proprio essere licenziata. Devo rimanere calma e penserò poi a come vendicarmi perché non può trattare tutte le
donne come bambole. Sento qualcosa di umido sfiorarmi le labbra. Apro leggermente l’occhio sinistro e vedo il suo viso contro il mio. O mio Dio. Mi ha baciata. Reagisco dandogli un calcio sul ginocchio. Non sono riuscita a colpire più in alto. Lui ride ed esce velocemente. “Perché ridi?” Gli chiede sua madre. “Niente, niente. La cameriera stava per rovesciare il posacenere per terra.” Risponde lui. “La cosa non mi sembra divertente.” Ribatte lei. “Lo è per me.” Sento allontanarlo mentre ride. Mi accascio per terra. Il suo è stato un gesto disgustoso. Le gambe mi tremano e non riesco ad alzarmi. Sento le lacrime calde che mi cadono sulle guance. Com’è potuto succedere. È peggio di un incubo. È appena il primo giorno. Non lo voglio più rivedere. Prendo il carrello e faccio per uscire dalla camera. Poi ci ripenso. Questa volta ha oltreato il limite. Dopo questo scherzetto gli erà anche solo la voglia di farmi entrare in camera. Vuole il caffè zuccherato, bene ne avrà quanto ne vorrà. Svuoto la moka sul lavandino e svito la pannocchia della doccia. Metto i fondi di caffè sulla pannocchia e sistemo di nuovo il tutto. Al collegio lo facevo con i dadi per la minestra, ma dovrebbe funzionare uguale. “Buona doccia, mio caro.” Sistemo il carrello ed esco fiera dalla sua camera. Ora ridi quanto vuoi sciocchino. Entro in cucina e Max sta urlando. “Dove sei stata finora ragazzina?” “Scusa Max, il figlio della signora Francis è un po’ capriccioso. Ho dovuto servirgli personalmente tutto il caffè.” “Bah, questi ricconi.” Borbotta. “Muoviti, lava le posate e inizia a preparare tutti
i tavoli. Non c’è tempo da perdere. La pausa pranzo la farai più tardi oggi.” “Sissignore.” Annuisco. Sono ancora scossa. Era il mio primo bacio. Prima d’ora non mi aveva mai nemmeno sfiorato l’idea di baciare o di essere baciata. La cosa non mi aveva mai interessato. Ma averlo ricevuto come se fossi stata una marionetta è oltre l’impensabile. Mi ha mancato di rispetto. Devo cercare di evitarlo il più possibile d’ora in avanti.
Capitolo 10
Mangio un panino sul retro dell’hotel. Non ho molto tempo prima di ricominciare il servizio. Non mi sento stanca, sebbene lavorare dalle sette del mattino alle undici di sera dovrebbe esserlo. Tutto sommato sono contenta. Questa settimana guadagnerò un bel gruzzoletto, quindi anche se volessi non potrei esserlo. C’è un lato positivo comunque, finisco di lavare i piatti alle 10 e poi con calma ceno con il resto dello staff. Ho sentito che da domani ci sarà un ragazzo nuovo, sarà un tuttofare e rimarrà fino alla fine del meeting, così aiuterà sia me con le stoviglie, sia i camerieri. Spero così di essere libera un paio di ore on più. Sono immersa nei miei pensieri quando Annalisa mi raggiunge. “Ciao Debby.” “Ciao Annalisa.” “Ecco i tuoi turni per questa settimana.” Si siede sul muretto accanto a me. Estrae un pacchetto di sigarette e ne accende una. “Vuoi?” Scuoto la testa. “No, grazie, non fumo.” Rispondo. “Brava.” Sorride guardando un punto imprecisato davanti a lei. “Sarai libera tutti i giorni dalle undici alle cinque. In quel lasso di tempo ti sostituirà Riccardo. Uno stagista delle scuole superiori.” “D’accordo. Ti ringrazio.” È comodo trovare stagisti in questo periodo. “Come ti sei trovata con la consegna delle colazioni stamattina?” Mi chiede. “Direi bene, ma per discrezione non posso aggiungere altro.” La guardo con la coda dell’occhio e abbozzo un sorriso. Lei fissa sempre un punto impreciso davanti a se ma sorride. “Sei sveglia Deb, sono contenta di averti nel mio staff.” Sembra sincera nel dirlo. Si alza e spegne la sigaretta con il tacco della scarpa. “Prima una persona è
venuta a chiedere di te.” Me lo dice senza nemmeno guardarmi negli occhi. “Chi?” le chiedo preoccupata. “Il figlio della signora Francis.” Ora è in piedi di fronte a me e mi guarda seria. “Sicura che non devi dirmi altro?” “No, sul serio è stato un malinteso, non intendevo…” ma lei m’interrompe. “Non so cosa tu abbia combinato ma ha chiesto esplicitamente che sia solo tu a portargli la colazione in camera. Mi ha chiesto di dove sei e informazioni varie. Ha promesso che se svolgerai il tuo lavoro come oggi farà un’ottima pubblicità all’hotel.” Annalisa mi abbraccia forte e se ne va senza aggiungere altro. Io rimango immobile e mi chiedo cosa possa significare tutto questo. Un’ottima pubblicità. Ottima. Pubblicità. Portargli il caffè tutte le mattine. Caffè. Doccia. O cavolo. Devo ripulire la doccia se no altro che ottima pubblicità, ci denuncia tutti e io mi ritroverò in mezzo ad una strada. Corro in reception e con una scusa assurda chiedo alla ragazza, Sandra credo, di darmi il par tout perché ho dimenticato la caffettiera in una stanza. Salgo al terzo piano ed entro nella sua camera. Ora sarà al meeting, infatti non vedo la sua giacca. Mi dirigo in bagno ed entro in doccia. Devo sbrigarmi. Ho ormai svitato la base della pannocchia quando sento un rumore. Mi guardo in giro, non so dove nascondermi. Tiro la tenda della doccia nella speranza che nessuno entri in bagno. La porta è socchiusa e posso distinguere la voce di Mike e di un’altra donna, non è sua madre. La voce è molto più giovane. “Abbiamo solo dieci minuti prima che il meeting riprenda.” Afferma lui. Brutto porco. Altro che pausa caffè, qui c’inzuppa il cornetto. Bene, ha detto dieci minuti. Devo attendere qui dieci minuti buona e far finta di non sentire gli urletti di lei e le stupide lusinghe che escono dalla bocca di lui. “Possiamo saltarla la seconda parte del meeting. Intanto un posto tu me lo darai lo stesso, vero?” Non ci posso credere, si sta vendendo per uno stage in un agenzia di organizzazioni di matrimoni. Ma ha farina nel cervello? Devo comunque cercare di mantenere la pazienza. Per fortuna non tutte le donne sono così stupide.
“Aspettami qui un secondo.” Le dice lui. Sento dei i avvicinarsi alla porta. Mi rannicchio in un angolo e trattengo il respiro. Mike entra in bagno. Merda, cosa faccio? È a torso nudo. Le sue spalle sono larghe. L’ho intravisto un secondo. Si ferma un attimo di fronte allo specchio del bagno, apre l’armadietto e lo richiude. Esce dal bagno e ritorna ai suoi giochi. Ma per poco. Gli sento dire alla ragazza che non ha più tempo ma che rimedierà la prossima volta. Lei delusa esce dalla camera. “Sarà meglio che mi rivesto e che vada anch’io.” Lo sento agitarsi un attimo, poi sento i suoi i verso la porta. La porta si apre, si chiude e poi il silenzio. Allungo le gambe sul piatto della doccia e cerco di raccogliere più aria possibile con la bocca. Questa volta me la sono vista veramente brutta. Devo sbrigarmi prima che decida di ritornare, quindi lavo la pannocchia dal caffè nel lavandino e la rimonto. “Ecco fatto. Problema risolto.” Sussurro compiaciuta a me stessa. “Perché che problema aveva la mia doccia?” un brivido percorre tutta la schiena. Ora si che sono nei guai. Non riesco a muovermi, mi viene solo da piangere e non posso fare nemmeno quello. M’invento qualcosa di credibile “Un guasto meccanico. Ma ho risolto.” “Quindi non c’entra nulla come del caffè nella pannocchia.” La mia bocca rimane aperta. Non so cosa fare. Oddio. Qualcuno mi dia una pistola. Non posso sopravvivere oltre. “Posso spiegare, lo giuro, ma non farmi licenziare. Ti prego.” Lo afferro per un braccio supplicandolo. “Perché non dovrei farlo? Penso tu abbia superato ogni limite.” Ora nel suo viso è dipinta la rabbia. “Ci sono mille motivi in realtà, ma ti prego, ho bisogno di questo lavoro.” Continuo a supplicarlo. Ed è grave che proprio io supplichi un uomo. Decisamente grave. “Tra i mille motivi forse c’è anche quello che i tuoi genitori ti hanno buttato
fuori di casa non solo perché hai interrotto gli studi, ma anche perché hai rifiutato un fidanzamento combinato con il rampollo di una famiglia benestante?” “E tu come fai a saperlo? Non l’ho detto a nessuno!” Per caso davanti a me ho uno stalker e mi ha pedinata per anni senza che io mi accorgessi di qualcosa. “Stamattina, quando ho chiesto informazioni di te ad Annalisa non ha saputo dirmi molto. Così mi sono fatto dare il tuo numero di casa e ha risposto tua madre.” “Mia madre? E che ti ha detto?” Sono preoccupata anche di questo ora. “Nulla di che a parte questo. Era veramente fuoribonda con te. Certo che hai un bel caratterino mocciosa.” “Non sono una mocciosa, ho diciannove anni e so badare a me stessa.” Gli volto le spalle prima di mettermi a piangere. “Però tu non devi farmi perdere questo posto di lavoro, ne ho bisogno, non saprei dove andare se no.” Lo sento sospirare alle mie spalle. Sarei curiosa di vedere la sua espressione. Ma ora deve credere che sono avvilita e devo cogliere tutta la comione che c’è in lui. “D’accordo. Non dirò nulla.” Ora sembra più rilassato “Ma ad un patto.” La cosa mi mette paura. Forse è meglio se mi faccio licenziare e non se ne parla più. “Cioè?” chiedo impaurita. La mia voce trema più delle mie gambe. “Avrò bisogno di un’assistente quest’estate. Sai dopo il corso dovrò dirigere tutte queste persone che supereranno il test. Ho bisogno che qualcuno mi riduca lo stress.” “E cosa dovrei fare?” “Dovrai seguirmi durante gli incontri con le varie coppie e le agenzie di pubblicità. Coordineremo lo staff e interverremo quando qualcosa non funziona.” L’idea non mi piace ma ha l’aria di essere un lavoro retribuito, e anche bene.
“Ovviamente” prosegue “durante il tuo tempo libero in questi giorni dovrai partecipare al meeting. Te ne starai buona seduta in fondo alla stanza e prenderai appunti. Ma ricorda dove vado io ci devi essere anche tu.” “E per il compenso? Quanto mi spetta?” chiedo incuriosita. “Ragazzina, intanto stammi dietro e ne riparliamo la prossima settimana. Non ti preoccupare, sarà comunque di più rispetto a quello che prendi qui.” “Affare fatto. Ma dove si trova la vostra agenzia?” “Milano.” “Cosa?” urlo. È una proposta impossibile. “Hai alternative migliori. Con noi avrai un futuro, qui fra tre mesi non avrai più nulla.” Ora sembra di nuovo agitato. “Ma dove vivrò? Non posso permettermi un alloggio ora.” “Di questo non ti preoccupare, mia madre mette a disposizione per coloro che ano il test una dependance in giardino. Ha una camera, un bagno e una cucina. Starete stretti, ma è vivibile. Poi quando te lo potrai permettere ti prenderai un appartamento da sola.” L’offerta sembra ragionevole e annuisco. Certo però che è una fortuna per me questa situazione. E se il lavoro non mi pie nel frattempo potrei cercare di meglio. “Ora vado o farò tardi. Parlerò io con le direttrici dell’hotel.” Raccoglie la sua giacca e raggiunge la porta. “Perché lo fai?” gli chiedo prima che possa uscire. Mi guarda un po’ perplesso. Di certo non si aspettava questa mia domanda. “Perché sei un soggetto interessante, sei determinata e secondo me puoi essere un ottimo elemento per la nostra azienda. Devi solo fare un po’ di pratica.” È sincero, glielo leggo dagli occhi “Chiudi la porta prima di uscire.” Esce chiudendosi la porta alle spalle e io mi accascio sul pavimento.
Lo sento rientrare ridendo “Ti chiedo scusa per stamattina, ma sei troppo buffa quando ti arrabbi. Potresti essere un bel atempo per me.” “atempo a chi?” gli urlo contro, ma lui è uscito di nuovo. Ripensandoci forse sono giunta a delle conclusioni affrettate. Se non dovessi risultare secondo le loro aspettative potrei rimanere senza un lavoro e una casa. Senza contare che mi trovo nelle mani di un maniaco depravato. Perché mi faccio prendere così dal momento? Possibile che non sappia gestire queste situazioni? Ormai è tardi per rimangiarsi la parola ed è ora di ritornare a lavorare in cucina.
Capitolo 11
Non posso fare a meno di pensare quanto sia stata sciocca nell’accettare una tale proposta. Nemmeno so di che lavoro si tratta realmente. Scommetto che per mamma e papà saperlo sarebbe un altro motivo per odiarmi. Mi direbbero di sposarmi anziché ficcare il naso nei matrimoni altrui. Ci penso per tutta la sera. Sono una sciocca, forse dovrei parlargli di nuovo e comunicargli le mie perplessità. Sicuramente capirà e lascerà le cose come stanno. O forse no. Devo provarci comunque. Esco dal retro e trovo davanti alla porta principale Lorenzo. Non ho voglia di rivolgergli la parola. Lui mi ferma lo stesso. “Ciao, hai finito per oggi di lavorare?” mi chiede con un’espressione angelica. “Si, per oggi si. Ma domani la sveglia è presto, quindi buonanotte.” Cerco di svincolarmi dalla conversazione. Mi sento afferrare per un braccio. “Dai, fermati a fare due chiacchere con noi. Andiamo a bere qualcosa in un bar qui vicino.” Insiste. “Sono stanca, meglio fare un’altra volta.” Provo a fargli lasciare la presa ma non ci riesco. “Abbiamo sentito che domani sarai dei nostri per qualche ora, siamo curiosi di sapere come hai fatto.” Questa volta ad intervenire è una ragazza con il caschetto biondo. Bassa ma magra. Porta gli occhiali, le danno un’aria da professoressa. “Non essere scortese Marika. Non sono affari che ci riguardano.” Lorenzo per fortuna mi difende, ma non ne vuole sapere di mollare la presa. “Allora, non vuoi unirti a noi?” “Se non mi molli il braccio mi sento costretta.” Affermo. “È deciso. Tutti al Mojito pub.” Lorenzo sembra estasiato. “A proposito, ti
chiami Deborah, non è vero?” “Così dicono.” Rispondo scocciata. “Non essere così scontrosa. Divertiti per una sera. Non faremo tardi.” Lorenzo mi trascina in un pub poco distante. Voglio tornare a casa subito. Sono anche vestita con canottiera, jeans e scarpe da ginnastica, loro invece sono elegantissimi. Mentre ci dirigiamo verso il locale apprendo il nome dei miei accompagnatori, Lorenzo e Marika già li avevo memorizzati. Tatiana è una ragazza dai capelli rossi, lunghi e lisci. Ha gli occhi verdi e dà l’impressione di essere una di poche parole. Insieme a lei Jessica, una signora sulla trentina, elegante, capelli corti laccati all’indietro, giustamente magrissima e con un sacco di fondotinta sul viso. Parlano allegramente della lezione di oggi, scambiano opinioni sul perché hanno scelto di partecipare a questo meeting piuttosto che ad altri. Apprendo che sono tutti disoccupati in cerca della loro occasione per entrare, o rientrare nel mondo del lavoro. Tranne Lorenzo. Lui a quanto pare vuole realmente fare questo lavoro, è il suo obiettivo. Pensavo fosse più vecchio, in realtà ha appena compiuto ventitre anni e si è laureato a febbraio in giurisprudenza per volere dei suoi. “E tu perché sei finita a lavorare qui, Deb?” Lorenzo interrompe i miei pensieri. Ormai non seguivo più i loro discorsi. “Volevo essere indipendente.” Tutti scoppiano a ridere e ora è Jessica ad intervenire “Che scuole hai frequentato?” “Ho finito il liceo scientifico quest’anno.” “E non continui l’università?” mi chiede sbalordita. “Per ora no.” Mi sento un po’ imbarazzata “Diciamo che ho il classico blocco dello studente. Penso lo chiamino così. Riprenderò quando mi sarò schiarita le idee.”
Ora si guardano tutti tra di loro, come se avessero appena ascoltato una pazza parlare. Ma io non sono pazza, e loro non sanno nulla di me. “O guarda, Casanova è di nuovo all’opera!” esclama Tatiana. Ci giriamo verso il bancone e vediamo Mike insieme a una ragazza giovane. Avrà appena un paio di anni più di me. Mi rigiro e sorseggio il mio drink. “Certo che riesce sempre a confermare la sua reputazione di don Giovanni.” “Cioè?” Chiedo incuriosita. “Come non lo sai? Vive una vita molto mondana, spesso durante i matrimoni si diverte con le damigelle.” Tutti ridono. “Dev’essere proprio un pagliaccio.” Affermo decisa. “Con le ragazze senza dubbio, ma quando è ora di lavorare, signore mie, la perfezione regna sovrana.” Conclude Lorenzo. Così questo individuo ha una doppia personalità. Potrebbe essere interessante lavorare con lui. Potrei imparare molte cose. Mi volto verso di lui e lo vedo mentre sposta i capelli dalla spalla della ragazza e poi la bacia delicatamente. Come fa a are da una donna all’altra senza il minimo scrupolo? E come fanno le donne a impazzire per un essere del genere? Mi chiedo chi tra i due sia più stupido. “Deb…” Lorenzo attira la mia attenzione. “Si, scusami, dicevi?” “Meglio se non li guardi uomini così, amano solo far soffrire le donne.” “Certo, perché deve guardare quelli come te?” gli chiede Tatiana. “Ma che stai dicendo?” Lorenzo sembra agitato. Mi da l’impressione di essere un cagnolino affettuoso. “Guardatelo sta arrossendo!” lo esalta sempre Tatiana. L’atmosfera è allegra, meglio se abbandono ora, così non noteranno la mia
assenza. Mi alzo e prendo la borsa. “Dove vai?” mi chiede Lorenzo. “Sai, la sveglia presto, devo dormire.” “Ti accompagno!” “Non serve.” Esclamo, non voglio essere riaccompagnata a casa da un uomo. Non ne ho bisogno. Ma lui insiste e le sue amiche lo incoraggiano. Do un ultimo sguardo al bancone ma Mike è sparito, e anche la ragazza. Staranno ormai assaporando la notte. Non è comunque affar mio. Solo mi da fastidio che esistano persone prive di buon senso. Lorenzo mi apre la porta come un vero gentiluomo e usciamo. “Davvero Lorenzo, non serve che mi accompagni.” Lo esorto un’ultima volta. “Tranquilla, mi fa piacere.” Noto ora che è alto almeno dieci centimetri più di me. Ha dei bei lineamenti. Se fosse una ragazza potrei chiedergli di diventare la mia migliore amica. “Buonanotte innamorati.” Ancora quella voce, ci giriamo e Mike è appoggiato al muro del locale. Sta fumando una sigaretta da solo. Chissà dove ha lasciato la pollastrella. “Grazie mille.” Risponde cordialmente Lorenzo. Io mi limito a fargli un ghigno di disprezzo e lascio che il mio accompagnatore mi riporti a casa. Non si sa mai che a qualcun altro scattino i cinque minuti. Per tutti e dieci i minuti di eggiata Lorenzo ha parlato del corso e delle persone che lo frequentano. Dice che è contento che parteciperò anch’io. È addirittura più entusiasta di me. Certo ci vuole poco per esserlo, ma oserei dire che sembra la prima persona che condivide una mia scelta, se così si può definire. Siamo ormai arrivati davanti al portone principale e Lorenzo termina il suo monologo. “Beh, allora buonanotte.” Mi dice.
“Buonanotte.” Rispondo. Lui mi prende la mano destra e con un mezzo inchino la porta alla sua bocca sfiorandola. “Sogni d’oro, a domani.” E se ne va. Rimango impietrita contro la porta, mi chiedo se ci sia un’epidemia di baci in giro, perché non mi era mai successo di avere così tante attenzioni. Tanto meno di trovare un ragazzo così giovane e dai modi così garbati. Forse durante questi cinque anni di collegio qualcosa è cambiato e hanno istituito il galateo nelle scuole pubbliche. Entro nella palazzina e lascio che il portone si chiuda alle mie spalle da solo. Apro la porta e vedo Katia e Mary sedute intorno al tavolo. “C’è qualcosa che ci devi dire, principessa?” mi chiede Mary. “Certo, esistono veramente esemplari di sesso maschile a questo mondo con un briciolo di cervello?” Le ragazze si guardano con sguardo interrogatorio mentre io mi avvio verso lacamera. La doccia la farò domani mattina.
Capitolo 12
Sono le sei e ancora non ho voglia di alzarmi. Le ragazze invece si sono già alzate e una di loro si sta facendo la doccia, sento chiaramente lo scroscio dell’acqua. Qualcuno apre la porta, ma non ho voglia di andare a vedere chi è. Poi un tonfo sopra il mio stomaco. “Ahia!” urlo. Vedo che Mary è sopra di me e ride compiaciuta. “Ma ti sembra modo di svegliarmi? Un po’ di educazione, insomma.” Lei continua a ridere. “Sveglia pigrona, c’è posta per te.” “Non ci credo, è troppo presto per il aggio del postino.” Ribatto ancora assonnata. “Chi ha mai parlato di postino? Ho aperto la porta e ho trovato un pacco indirizzato a te.” Mi alzo e la spingo via da me. “Ehi, che modi!” “Cos’è?” chiedo. “Non lo so.” Ora mi mette il broncio. “Aprilo tu, è tuo in fondo.” Prendo il pacco, è rettangolare. Guardo l’orologio. È tardi e non sono veramente curiosa. Lo aprirò appena tornerò a casa a pranzo. “Lo apro dopo, ora mi preparo per andare a lavoro.” Katia è uscita dal bagno e mi fiondo io per farmi una bella doccia fresca. Stanotte ha fatto veramente caldo. Indosso i jeans e una canottiera rossa ed esco senza fare colazione. Sgranocchierò qualcosa direttamente in cucina. Mary e Katia mi raggiungono poco dopo e iniziano a preparare i vassoi. “Tieni” Mary mi consegna una camicetta bianca. “Non vorrai andare a portare le
colazioni in camera con una canottiera adatta solo per uscire a pescare?” La ringrazio e metto la camicia vicino alla mia borsa. Mi sbrigo a lucidare le posate. Sono quasi le otto e il carrello con le colazioni è pronto. Mi avvio all’ascensore e premo il tasto del terzo piano. Busso alla porta della signora Francis e lei mi apre. “Caffè senza zucchero e brioche con la marmellata, grazie.” Mi anticipa lei. Appoggio il vassoio con quello che ha chiesto al tavolo e mi dirigo verso la porta. “Aspetta.” Mi blocca “Sei la ragazza che parteciperà al meeting ogni tanto?” “Si, signora, sono io.” Sono un po’ intimorita da queste sue parole. “Non so cosa si aspetta mio figlio da…” s’interrompe e mi scruta intensamente, sospira e prosegue “da te, vedi di non combinare guai e soprattutto vedi di presentarti in abiti più consoni.” Non rispondo nemmeno alla provocazione, chino il capo ed esco chiudendo la porta. o alla stanza delle assistenti e lascio la loro colazione abbondante. Ora devo andare da quel cretino. Busso alla sua porta. Sono le otto e mezza, non risponde. Busso una seconda volta e finalmente mi apre. “Buongiorno.” Mi saluta e noto che è a petto nudo. I muscoli sono ben evidenziati. Distolgo lo sguardo, non voglio che pensi che lo sto ammirando. “Buongiorno, caffè zuccherato?” “Zuccherato, mi raccomando.” Si sta beffando di me, ma lo ignoro. “Ti ricordo che le tue pause saranno dedicate al meeting.” “Me lo ricordo.” “Allora ti aspetto.” Posso chiaramente sentire il suo respiro vicino, non voglio girarmi perché potrebbe finire come l’altro giorno. Non deve pensare che sono come tutte le altre oche che lo circondano. Io non ho bisogno di un uomo.
“Da quanto lo conosci?” mi chiede. “Di chi parli?” “Lo sai benissimo, il ragazzo biondo. Lorenzo. Frequenta anche lui il meeting.” È lo stesso tono indagatorio che usava mia madre nella speranza che le dicessi che avevo trovato un rampollo di buona famiglia disposto a mantenermi. “L’ho incontrato per caso.” Rispondo con voce indifferente. “Sarebbe così…” La sua voce si sta facendo più bassa e profonda. Non mi muovo. Non saprei nemmeno come reagire. Con una mano mi accarezza la spalla fino al gomito. “Non pensare che io sia come le donne che sei solito frequentare.” Ridacchia alle mie spalle. “Lo so, è per questo che provo piacere nello stuzzicarti. Te l’ho già detto quanto sei interessante ai miei occhi.” “Beh, di certo non sto qui a farmi trattare come un giocattolo.” Mi volto e cerco di arrivare alla porta. Ma lui mi ferma. La sua bocca arriva al mio collo. Lo spingo via ed esco dalla porta. “Hai dimenticato il carrello.” “Tornerò a prenderlo più tardi.” Urlo mentre corro giù per le scale. Arrivo in cucina e riprendo fiato. Mi metto subito a lavare le stoviglie. “Cos’hai fatto sul collo?” mi chiede Max. Mi guardo sul riflesso di un cucchiaio e mi sento mancare. Una vampata di calore mi arriva dal seno fino alle orecchie. Un succhiotto. Non è possibile. Quel bastardo ha osato farmi una cosa tanto meschina. Non so come coprirlo. Prendo uno strofinaccio bianco e me lo lego intorno al collo. “Dev’essere una puntura di zanzara.” “Si, anch’io ne avevo molte alla tua età.” Lo dice facendomi l’occhiolino. Cerco di ignorarlo. Dargli corda equivarrebbe ad ammettere i suoi pensieri.
Le undici arrivano velocemente e non me la sento di andare al meeting. Non faccio nemmeno in tempo a finirlo di pensare che entra Tatiana a prelevarmi in cucina. “No, ti prego.” La supplico. “Gli ordini sono ordini.” Risponde. “Non sei nemmeno autorizzata ad entrare qui, quindi tecnicamente non puoi trascinarmi fuori. Anzi, per te nemmeno esisto.” Ormai mi sta trascinando per un braccio. “Facciamo così, puoi dire che non mi hai vista. Sarà il nostro piccolo segreto, ci stai?” Intravedo un leggero sorriso sul suo volto, ma non risponde. Mi fa togliere il grembiule e mi fa entrare in sala. Siedo in una sedia vicino alla porta, da sola. Nessuno bada a me. Sembrano tutti assorti dalla spiegazione di una delle assistenti della signora Francis. Parla di abiti da sposa. Come sceglierli e come aiutare la sposa nella decisione finale. Io piuttosto spiegherei i metodi migliori per dissuadere la sposa da una decisione così poco saggia. Già è deprimente di per se l’idea di sposarsi, figuriamoci spendere soldi in abiti, scarpe, fiori, pranzo e tutto quello che serve. Logorarsi per mesi per organizzare una festa che in poche ore si consuma. No, non riesco a visualizzare nulla di più atroce. Il tempo non a mai, vorrei tornare a lavare i piatti, questa situazione è peggio di una tortura. Finalmente è ora di pranzo. Sgattaiolo fuori dalla porta senza farmi notare. Per quel che mi è possibile insomma. I miei jeans si noterebbero anche in mezzo ad un parco affollato. Non vedo l’ora di andare in appartamento a riposare. Tolgo la camicia e mi rimetto al volo la canottiera. Fuori il sole scotta e non ho intenzione di soffrire il caldo. Se c’è del gelato in frigo mangerò quello. Appoggio la camicia sopra il letto di Mary e io mi distendo sul mio. Mamma che caldo. Meglio togliere i jeans. Dopo andrò a lavoro con i bermuda corti. In cucina poi fa ancora più caldo a causa dei fornelli accesi. Non riesco a tenere gli occhi aperti e mi addormento. A svegliarmi è il suono impazzito del camlo. Sono le due e mezza, chi può essere a quest’ora. Le ragazze hanno la chiave per entrare. Apro la porta senza
chiedere chi è, ma non lo farò mai più, lo giuro. È Mike ovviamente. “Dimmi chi ti ha fatto entrare dall’ingresso principale” lo aggredisco. “No, anzi, stai zitto non lo voglio sapere. Potrei ucciderlo.” “Le tue amiche mi hanno gentilmente aperto.” Sembra compiaciuto nel darmi questa risposta. Lo osservo nel suo completo in lino grigio e la camicia bianca. Sembra un mafioso anni cinquanta. Meglio non guardarlo. “Che vuoi da me?” gli chiedo infastidita. Ho troppo sonno per prendere sul serio qualsiasi sua provocazione. “Il meeting.” Mi risponde. Sorseggio un bicchiere di acqua fresca e lo guardo attraverso il vetro. Faccio finta di non capire cosa intende. “Deborah, avevamo un accordo.” Usa un tono di voce che dovrebbe mettermi paura. Peccato per lui che sono troppo stanca per farmi impaurire. “Senti ragazzina.” Mi strattona per un gomito. “Ehi, come ti permetti? Chi ti credi di essere?” Ora sono io quella arrabbiata. Quando è troppo, è troppo. “Senti bell’imbusto, vuoi che lavoro con te? Dimmi in cosa consiste il lavoro e spiegamelo in quattro e quattr’otto. Non ho intenzione di sprecare i miei momenti di relax ascoltando un branco di oche starnazzare per fiocchetti, trine e fiorellini. No, signore.” Sono furibonda. Potrei staccargli gli occhi a morsi. Lui è in piedi zitto, mentre il suo sguardo si è fatto cupo. Sono quasi intenzionata a chiedergli scusa, ma non posso sottomettermi a lui. “Dopo aver parlato con i tuoi genitori pensavo di aver conosciuto finalmente una persona in grado di tener testa alle situazioni più difficili. Evidentemente mi sbagliavo. Il tuo ego supera la tua intelligenza.” Se ne va chiudendosi la porta alle spalle. Touchèe. Effettivamente mi aveva dato un’opportunità e io l’ho sprecata. Che stupida. Perché ogni tanto non mi mangio la lingua. Sopra il tavolo in cucina c’è ancora il pacco di stamattina, è una scatola nera e decido di aprirla. Al suo interno c’è una camicia in seta bianca e una gonna in cotone nera, è un tubino. Ci sono anche un paio di sandali neri con un tacco vertiginoso. Chi può avermi fatto uno scherzo del genere, lo trovo di cattivo gusto. Cioè, gli abiti sono bellissimi, ma non sono adatti a me perché non mi è
mai nemmeno ato per l’anticamera del cervello di indossare qualcosa del genere. Nemmeno per la cerimonia del mio diploma, infatti indossavo un paio di pantaloni neri e una polo bianca. Il massimo dell’eleganza per me. Trovo un bigliettino con su scritto:
“È stato Mike.” Merda. Per lui i giochi erano fatti, era veramente deciso. Forse ha visto del vero potenziale in me. Mi rinfresco velocemente e mi cambio con i miei nuovi vestiti. I sandali sono altissimi ed io non ho mai indossato i tacchi in vita mia. Sono sbalordita nell’apprendere che ha indovinato la taglia. Incredibile, ha frequentato talmente tante donne che riesce anche a riconoscere le taglie che indossano. Mi precipito fuori dalla porta e nello zaino metto i jeans e la canottiera per quando dovrò tornare in cucina. Lascio i capelli sciolti, non riuscirei mai a raccoglierli perfettamente. “Scendere queste scale con dei tacchi così alti assomiglia a una delle imprese di Hercules. Non ce la farò mai senza spezzarmi una caviglia.” Alla fine tolgo i sandali e li rimetto appena fuori dal portone. Arrivo davanti la sala riunioni e mi sistemo la camicetta e la gonna. Entro con la testa alta. Tutti si girano verso di me, ma faccio finta di non vederli. Mi siedo al mio posto e la lezione prosegue. Lorenzo è seduto davanti a me e si gira porgendomi carta e penna e mi sorride. Il suo sguardo è sempre dolce. Inizio a prendere appunti. Oggi pomeriggio si parla di ceramica e bicchieri. Che emozione. Durante la pausa caffè alle quattro ne approfitto per uscire e prepararmi per andare a lavoro e Lorenzo mi segue “Sei molto elegante Deborah.” “Ti ringrazio.” Non so perché ma mi sento molto imbarazzata. Forse è dovuto al fatto che non sono abituata alle lusinghe. “Ti andrebbe un caffè?”
“Non posso, sto tornando a lavoro e tu devi continuare la lezione.” Questo ragazzo riesce proprio a farmi tenerezza. “Giusto. Alla prossima allora.” “Certo.” Lo saluto con la mano mentre l’ascensore si chiude. Alle sue spalle intravedo il viso serio di Mike. Da dov’è spuntato, non l’ho mai visto per tutto il tempo della lezione.
Capitolo 13
La serata prosegue velocemente e senza nemmeno accorgermene sono quasi le undici. Max ci dice che possiamo andare, e mi avvio con le mie coinquiline in appartamento. Ci fermiamo all’ingresso per consentire a Katia di fumarsi una sigaretta. “Questo meeting è davvero impegnativo, per fortuna che le direttrici hanno preso qualche stagista per la settimana.” Afferma Mary. “Già…” confermo io. “Ti abbiamo vista in sala meeting, neanche adesso vuoi dirci cosa sta succedendo?” Chiede poi rivolta a me. Penso che a questo punto qualcosa dovrei spiegargli, non posso continuare a tenere tutto nascosto. Lo verrebbero a sapere lo stesso entro il week-end. Inizio raccontando il fatto che detesto gli uomini. Gli spiego che quando ero alle medie tutti mi prendevano in giro per qualche chilo di troppo e che spesso mi isolavano. Avevo una cotta per il più carino della classe. Era un ragazzino intelligente, alto e faceva basket. Non ho mai capito come lui e i suoi amici fossero venuti a conoscenza che mi piaceva. Fatto sta che un giorno hanno iniziato a farmi dei dispetti pesanti tirandomi i capelli e dicendo che una grassona come me non avrebbe mai potuto sperare di avere un ragazzo. Ero in terza media e ho deciso di iscrivermi ad un collegio femminile. Naturalmente l’essere in continuo contatto a casa con la figura di un padre autoritario non mi ha aiutato dal dissuadermi da questa scelta. Spiego di come mi trovavo bene in questo liceo, dove potevo studiare e nessuno mi giudicava per le mie forme, tutte erano troppo impegnate a studiare per mantenere la borsa di studio, piuttosto di are la giornata a praticare qualche sport. L’anno della maturità, visto che la mia media era alta e avevo confermato la borsa di studio ho deciso di dedicarmi al nuoto e me ne sono apionata. Nuotavo due ore tutti i giorni dopo le lezioni, e la mia media non calava. Avevo
ottenuto tutto quello che volevo, ma più si avvicinava l’esame di stato più mi rendevo conto di quanto non avessi legato con nessuno. Anche con le mie compagne di classe avevo un rapporto puramente professionale, se così si può definire. Katia e Mary mi guardavano incredule mentre spiegavo del mio incontro con Annalisa e Carolina. Di come abbia accettato su due piedi il lavoro e di quando, dopo aver comunicato la mia decisione di non proseguire subito con l’università, i miei genitori mi abbiano preparato le valigie e mi abbiano cacciato di casa. Aggiungo il dettaglio che l’ho annunciato lo stesso giorno in cui loro avevano programmato il mio fidanzamento con un ragazzo che avevo visto a qualche festa organizzata da mia madre per introdurmi nell’alta società. Era un fidanzamento combinato per unire i capitali di famiglia. I miei desideri invece riflettevano di più quelli di una donna in grado di provvedere a se stessa da sola. “Cioè, tu pensi di non avere bisogno di avere un uomo al tuo fianco?” mi chiede Mary. “Esatto.” Affermo. “E non hai mai avuto un ragazzo?” “No.” Non riesco a capire se sia disgusto, paura o perplessità ciò che leggo nei loro volti. Non dicono una parola e non le conosco abbastanza per capire ciò che gli a per la testa. “Hai mai baciato un ragazzo?” continua Mary. Un brivido mi percorre la schiena. “Non proprio.” Rispondo. “Cosa significa non proprio? O lo hai o non lo hai baciato.” Mi dice Katia. “Cioè lui mi ha baciato, ma è stato un incidente.” “Un incidente, eh?” Mary si scambia un sorriso malizioso con la sua amica. “Si, nemmeno lo conoscevo e mi ha baciata per provocarmi.” “Certo, certo.” Conclude Katia. “E dimmi l’incidente l’ha compiuto il principe azzurro che sta attraversando la strada ora?”
Mi volto e vedo Lorenzo dirigersi verso di noi. Indossa una polo blu con dei jeans. È carino anche vestito casual. “No, non è stato lui.” Rispondo senza nemmeno guardarle negli occhi. “Ciao ragazze!” esclama lui. “Ciao!” Rispondiamo all’unisono. “Noi intanto saliamo, fate con calma.” Dice Mary. “Ah, Debby, interessante la storia, magari ce la finisci di raccontare un’altra volta, va bene?” Le vedo sparire subito dietro la chiusura del portone principale. “Stavi raccontando una storia?” Mi chiede Lorenzo. “Già.” È incredibile come riesco a sentirmi serena di fianco a lui. Non è la stessa sensazione che provo quando Mike m’importuna. “Posso conoscerla anch’io?” Mi chiede avvicinandosi di più a me. I suoi occhi celesti mi fissano e non riesco a trattenere una piccola risata. “No, non la capiresti.” E continuo a ridere. “Se è divertente, voglio ridere anch’io!” “No, non lo è.” Gli dico. “Allora cosa ne dici se mi racconti qualcos’altro davanti una bibita fresca?” Non so perché ma accetto. Mi sento come se lo sfogo di prima mi abbia liberato da qualcosa. Forse dovrei dare una possibilità di espressione anche ad un uomo. Lo faccio attendere dieci minuti e salgo velocemente a cambiarmi jeans e maglietta. Katia mi presta uno dei suoi vestiti. È nero e senza maniche, è leggermente arricciato sul fondo e ha un nastro bianco che segna il bordo superiore del top. Indosso le scarpe che mi ha regalato Mike e Mary mi raccoglie i capelli in una piccola treccia. “Sei bellissima” esclama Mary. “Forse questa sera cambierai idea sugli uomini.” Sorrido attraverso lo specchio “Non penso. Ma magari qualcosa lo imparo lo
stesso.” “Toglici un’ultima curiosità.” Mi dice Mary prima che uscissi dalla porta. “Quelle scarpe, il corso e il bacio sono collegati tra di loro?” Guardo le mie scarpe e guardo la mia immagine riflessa su uno specchio. Abbozzo un sorriso. Quasi non mi riconosco, però sento che potrei apprezzare questa mia momentanea trasformazione. Penso che sono avvenimenti che potrebbero aiutarmi a capire come diventare una donna di successo. Esco facendo chiudere la porta dietro di me lentamente e le posso udire perfettamente mentre ridendo affermano che ne vedranno delle belle. Scendo le scale e vado incontro al ragazzo che mi sta aspettando. Non è un appuntamento. È l’inizio di una nuova vita. Esco e lui mi guarda spalancando gli occhi. “Sei stupenda.” “Ti ringrazio.” Non ho mai ricevuto dei complimenti così sinceri e mi sento un po’ vanitosa. Non pensavo di trovare una sorta di piacere nel riceverli. “Mi hanno chiamato i ragazzi del meeting e ci hanno chiesto se li raggiungiamo in un locale poco distante da qui.” “Va bene.” Ci avviamo e per tutto il tempo Lorenzo balbetta qualcosa sulla mia trasformazione improvvisa e su come l’immagine sia fondamentale in questo lavoro. In particolare la signora Francis apprezza una certa curanza della persona, dice che trasmette tranquillità al cliente. Arriviamo ad uno di quei locali in cui tutti stanno in piedi per ore all’aperto. Non mi piace ma visto che la serata è calda, va bene prendere un po’ d’aria. Ritrovo Jessica e m’intrattengo a parlare con lei dei tipi di dolci che ci piacciono. Lorenzo mi offre un cocktail dolce, a base di succo alla fragola. Non sono per nulla abituata a bere alcolici e sento il suo effetto sul mio corpo. Qualcuno mi porta un cocktail che sa da cola e cocco. Non capisco il suo nome perché la musica è troppo alta.
Lo sorseggio lentamente ma ho un po’ di vertigini. Continuo a parlare con altre persone ma non riesco a capire molto e intervengo raramente perché la musica mi stordisce, o forse è l’alcol. Non so quanto tempo è ato ma decido di tornare a casa. Saluto tutti e mi avvio nella direzione che presumo essere giusta, ma qualcuno mi afferra i fianchi. “Dove vai?” è Lorenzo. “Sto tornando a casa. Devo andare a dormire.” “Ti accompagno.” Lo lascio fare. Non ho abbastanza forze per impedirglielo. Mi afferra la mano e cammina un o davanti a me, come per trascinarmi. “Peccato non essere rimasti mai da soli.” Non rispondo. Non lo so nemmeno io se mi dispiace. Lui nota la mia poca voglia di parlare e probabilmente nota anche la mia difficoltà nel camminare. Mi sento goffa e non riesco a pensare ad altro oltre alla voglia di togliermi delle scarpe che non fanno per me. “Per fortuna noi uomini non siamo costretti ad usare dei trampoli del genere per apparire.” Si gira e mi sorride. È la prima volta che penso che mi piace il profilo di un uomo, e il suo profilo è davvero particolare. Osservo il suo naso e le sue mascelle. Hanno dei lineamenti ancora infantili, ma allo stesso tempo hanno qualcosa di maturo. La luce dei lampioni illuminano i suoi capelli biondi e li fanno sembrare quasi trasparenti. Allungo la mano e li accarezzo. “Sono più morbidi dei miei.” Gli dico. Dev’essere l’effetto che fa l’alcool. Ma non riesco a trattenermi. “Ti ringrazio.” Il suo sorriso gli fa socchiudere gli occhi. Ora mi sembra davvero bello. Lui afferra la mia mano e mi prende in braccio. “Siamo un po’ brille signorina. Mancano ancora pochi metri e non vorrei che inciami e ti rompessi qualcosa.” Non riesco a reagire. Sento le gambe pesanti e lo lascio agire come preferisce. Alzo la testa e riesco a vedere il suo collo, così liscio. Decido di appoggiare la testa alla sua spalla e di non pensare ad altro. Meno male che il nuoto mi ha fatto
perdere tutti quei chili, se no ora lo sentirei tirare il fiato. Noto che sotto la maglietta i muscoli dei pettorali sono ben evidenziati. “Fai qualche sport?” gli chiedo. “Corro ogni tanto e ogni tanto vado in palestra.” La sua voce è ferma e calma. Arriviamo davanti all’appartamento e mi rimette a terra. Tolgo le scarpe e rimango a piedi nudi. “Grazie per la serata.” Gli dico. Lui mi sorride. Si, è proprio bello. La testa mi gira davvero tanto, ma non sono più sicura che sia dovuto solo per i due cocktail che ho bevuto. “Buonanotte principessa.” Appoggia una mano sul mio fianco e avvicina la bocca alla mia guancia, baciandomi leggermente. “Buonanotte” gli rispondo. Mi sorride mentre mi accarezza l’altra guancia. Rimaniamo così qualche secondo, poi mi bacia sulla fronte e allontanandosi mi dice che è meglio se se ne va. Lo vedo allontanarsi e sento il mio cuore battere forte. Provo una sensazione di felicità che mi pervade. Non voglio muovermi per paura che questa sensazione svanisca. Sento il vento che mi soffia sulle spalle e ho ancora la sensazione sulle mie braccia di lui che mi stringe. Cosa mi sta succedendo? Decido di rientrare in appartamento. Giro la chiave della porta e accendo la luce. Mi osservo attraverso lo specchio. Mi piaccio così agghindata. Prima di oggi mai avrei immaginato di indossare un abito elegante e tanto meno di camminare con delle scarpe così alte. E non avrei mai immaginato che mi sarei piaciuta in questo modo. Ma mezzanotte è ormai ata e Cenerentola deve depositare le scarpette di cristallo. Mi tolgo l’abito, l’appoggio sulla sedia e vado a dormire.
Capitolo 14
Il resto della settimana è proseguito secondo i piani, mattina sveglia presto e lavoro. Pausa pranzo dedicata al meeting e poi di nuovo lavoro. È venerdì sera ormai. Annalisa ha deciso di darmi la serata libera. Lo stagista mi sostituirà. Termino il meeting alle sei e mentre gli altri si danno appuntamento per il test del giorno successivo, io mi avvio a casa per godermi una serata di perfetto relax. Dall’ultimo litigio non ho più avuto modo di parlare con Mike del lavoro che mi ha promesso. Da quel giorno ha dato disposizione di non ricevere più la colazione in camera e durante le varie riunioni faceva brevi interventi, per poi sparire in prossimità delle pause. Mi chiedo se mi stia evitando oppure se sia tutta una coincidenza. Ad ogni modo vorrei avere dei chiarimenti. Proverò a rintracciarlo in camera. Mi faccio dare il e partout dalla receptionist con la scusa che devo portare dei caffè senza disturbare gli ospiti. Busso alla sua porta ma nessuno mi apre. Provo una seconda volta ma ancora niente. Decido di entrare. Se ha in mente un contratto di certo qualche carta dovrà pur esserci in giro. Lo so queste cose non si fanno, ma tecnicamente non sto rubando, sto curiosando e sempre tecnicamente non mi sto introducendo in un luogo privato senza permesso perché ho la tessera che mi permette di aprire tutte le porte del mio posto di lavoro. Dove peraltro già sono. Quindi ai miei occhi è tutto legale. Entro e vedo subito delle carte sopra la scrivania. Le o tutte ma in nessuna leggo il mio nome. Trovo un biglietto con il mio numero di casa. Cioè, quello dei miei genitori. “Guarda te, pure lo conserva. Io per prima l’ho cancellato dalla rubrica del mio cellulare.” “Allora dovresti ridarmelo.” Una voce mi raggiunge alle spalle. Sento la porta della camera sbattere. Mi volto e trovo lui.
“No, non di nuovo.” Esclamo. Vorrei mettermi a piangere. Mi sono scavata la fossa da sola. “Questo se permetti lo dico io.” Sembra davvero arrabbiato. “Dovrei arrabbiarmi perché per la seconda volta ti trovo a frugare nella mia camera.” Non sembra, lo è. Devo trovare una scusa e alla svelta. “È colpa tua!” Va bene, non è un granché come scusa ma per lo meno mi farà guadagnare secondi preziosi per trovarne una migliore. “E sentiamo… perché sarebbe colpa mia?” getta la sua giacca sul divano e si avvicina a me, mentre si arrotola le maniche della camicia fino al gomito. “Beh, perché sei sparito.” Se continuo così rischio di peggiorare la situazione. Però non riesco a fare a meno di rinfacciargli quello che penso. “Questo, cosa c’entra con te?” è ad un metro da me e io inizio ad indietreggiare. Devo cercare una via di fuga o mi picchierà. Non chiamerà mai la polizia, questa volta ingaggerà qualcuno per darmi una lezione. “Vedi, avevamo un accordo.” Sento la mia voce che trema e cerco di spostarmi sulla sinistra per raggiungere la porta del bagno. “Ah, si? Pensavo non t’interessasse più.” Leggo sulle sue labbra un sorriso di beffa. “Come fai a dirlo. Mi sono presentata tutti i santi giorni a quel meeting e mi sono pure vestita così!” “Ho notato, devo ammettere che ti danno un’aria più adulta e professionale. Li ho scelti proprio bene.” Osserva le mie gambe e poi sale con lo sguardo fino al viso. Un ciuffo di capelli gli copre l’occhio sinistro. “Anche se con il vestito nero dell’altra sera dimostravi tutti i tuoi diciannove anni. Forse ho puntato su una persona troppo giovane questa volta.” “Cosa? Eri presente in quel locale?” Lui fa spallucce. “E cosa significa che hai puntato male, non puoi sapere quanto valgo finché non mi metti alla prova.” Sono arrabbiata e gli vado vicino puntando i piedi in avanti. Vorrei togliermi le scarpe e piantargli i tacchi sulle tempie. Se lo fi trarrebbero beneficio sia i
miei piedi che il mio ego. Lui inizia a ridere. I suoi denti sono bianchi e bellissimi e si sposano perfettamente con il verde dei suoi occhi. Un verde che oggi è particolarmente brillante. Forse sarà il riflesso del sole. Lui si avvicina di un o ma io indietreggio fino a raggiungere la porta del bagno. “Sai, ragazzina, mi piace la tua grinta. Però non accetto chi disprezza un lavoro che non conosce.” “Io non disprezzo proprio nulla. Solo non condivido questo genere di atempi.” “Per atempi intendi i matrimoni?” “Esatto.” Si ferma e mi guarda. Il suo sguardo è davvero serio. Non so se intrufolarmi in bagno e chiudere la porta dall’interno oppure gridare aiuto a squarciagola. “Puoi andare. Il gioco è finito.” E con l’indice m’indica la porta. “Come…” ma vengo interrotta da un suo urlo. “Vattene.” Prendo la mia borsa ed esco correndo dalla sua camera. Sto piangendo e non riesco a fermarmi. Tolgo le scarpe e scendo le scale velocemente. Qualcuno mi chiama ma non mi giro. Attraverso la strada a piedi nudi ed entro nel mio appartamento. Le lacrime continuano a scendere e non capisco perché. Mi fa male lo stomaco e non riesco a respirare.
È buio fuori e sono ancora seduta sul divano a guardare il soffitto. Peccato che anche questo sia scuro. Mary e Katia non sono ancora arrivate. Mi appisolo finché non sento la serratura scattare. “Ehi, ragazze, che ore sono?” chiedo intontita. “Le undici.” Risponde Mary. “E abbiamo compagnia.”
Apro gli occhi e vedo Lorenzo insieme a loro. “Ho bisogno di parlarti, è urgente.” Mi dice. “Sono stanca, dimmelo domani.” “No. Dobbiamo parlare adesso.” Lo sento davanti al divano ma mi rifiuto di aprire gli occhi. “Avanti vestiti che usciamo a prendere una boccata d’aria.” Mi accorgo che sono in canottiera e slip. Effettivamente è un po’ imbarazzante. Vado in camera e indosso un paio di pantaloncini in cotone e le scarpe da ginnastica. Ritorno in cucina e lo trascino fuori. “Bye, bye.” Sento Mary che ride della situazione. Io invece sono alquanto scocciata. Ci sediamo su un muretto e gli chiedo cosa l’ha spinto nel cuore della notte a venire a svegliarmi. “Ho sentito Mike che parlava a sua madre di te.” Mi scruta con gli occhi ma io rimango imibile. Non voglio che sappia che m’importa qualcosa. Poi prosegue. “Le diceva che dovrà ricominciare la ricerca per la sua nuova assistente, perché quella che aveva trovato ha mollato.” “Che brutto bast….” Meglio che mi trattengo. “Si, lo penso anch’io. Ti ha giudicato senza prima valutarti.” “è la stessa cosa che gli ho detto io.” Mi fermo e sospiro. “Ma ormai è troppo tardi.” “Tu dici? Domani ci sarà il test. Perché non partecipi?” “Non sono nemmeno iscritta, non mi faranno mai entrare.” Gli dico sconfortata. “Finché non ci provi non lo saprai.” Mentre lo dice appoggia leggermente la sua spalla alla mia, dandomi un colpetto che mi fa sbilanciare. “Ehi, stai attento. A momenti cadevo!” Lorenzo sa farmi star bene, gli viene naturale. “D’accordo, ci provo. Al massimo
lo farò innervosire.” Ridiamo entrambi. Lorenzo mi afferra la mano e io non la discosto. Ne osserva il palmo e con l’indice dell’altra mano me lo accarezza. “Hai delle mani affusolate. Mi piacciono.” Afferma. “Ti ringrazio.” È il primo che me lo dice. In effetti è anche il primo ragazzo che mi riempie così di complimenti. Inizia ad accarezzarmi l’avambraccio e poi la spalla. È una sensazione piacevole. Mi mette una mano intorno alla vita e si avvicina. Ci guardiamo negli occhi, ma non riesco a resistere e scendo dal muretto. “Forse è meglio che vada.” Lui mi riprende la mano e con delicatezza mi porta a se. Sono in piedi davanti a lui e non riesco a guardarlo negli occhi. Mi sento strana. Lui mi bacia il palmo della mano. Poi il polso ed infine la spalla. Si ferma ad un centimetro dalla mia guancia e si allontana. Mi sta fissando ancora negli occhi. Sono come ipnotizzata. Le gambe sono rigide. Vorrei scappare ma qualcosa mi trattiene. Mi dà un bacio sulla guancia e ritorna a guardarmi negli occhi. “Posso?” mi sussurra, come se non volesse svegliare nessuno. “Puoi cosa?” rispondo io. “Questo.” Le sue labbra si appoggiano delicatamente sulla mia bocca. Chiudo gli occhi e restiamo così qualche istante. Poi lui si allontana e mi sorride. “Scusa, non ho potuto resistere.” Io non reagisco. Mi sento in un qualche modo felice. “Però, ora ti riporto a casa prima che questa magia svanisca.” Mi prende per mano e mi riaccompagna all’appartamento. Mi augura la buonanotte dandomi un altro delicato bacio sulla fronte. Ci diamo appuntamento l’indomani alle nove in sala congressi. Se o questo test, non solo avrò un posto di lavoro, ma probabilmente sarò in grado di conoscere meglio questo affascinante ragazzo, che mi sta facendo ricredere sul mondo degli uomini.
Capitolo 15
Non riesco a dormire. Mi giro mille volte sul letto, ma non trovo pace. Ripenso a quel bacio. Ho permesso ad un ragazzo, per di più conosciuto per caso qualche giorno fa, di baciarmi. Questo è diverso dal primo che ho ricevuto. Mike mi aveva aggredito e mi aveva turbato. Invece, ho permesso a Lorenzo di baciarmi. Ero conscia di quello che stava per succedere e non mi sono tirata indietro. Mi chiedo se non avessi frequentato quel collegio, se non avessi preso realmente in considerazione le offese dei miei ex compagni di scuola, avrei provato prima questo genere di sensazione? O forse ero destinata a percorrere questa strada. “Deb…” Mary mi chiama. “Dimmi.” Le rispondo. “Tutto bene?” “No, sono confusa e non so neanch’io perché…” “Ti va di parlarne?” Inizio a raccontarle di Mike e di quello che mi ha fatto e che mi ha promesso. Poi racconto di Lorenzo, e di come abbia iniziato a far cadere tutti i pregiudizi che ho sugli uomini. Sono un fiume in piena e le parole mi escono come non era successo mai prima. Le dico le sensazioni che ho provato per il bacio ricevuto da entrambi i ragazzi e le racconto del regalo di Mike. Mary mi ascolta in silenzio, spero non si sia riaddormentata perché ho proprio bisogno che qualcuno capisca cosa mi sta succedendo. “Capisco.” Mi dice “Beh, è stata una settimana davvero intensa per te. Domani pensi di presentarti al test?” “Penso di si, ma non so se mi accetteranno.”
“Perché non dovrebbero?” “Ovvio, Mike è arrabbiato con me, e non crede nelle mie capacità.” Rispondo. Mi sembra come se non avesse ascoltato le parti in cui Mike mi ha aggredito. “Secondo me invece gli interessi, e parecchio.” “Come fai a dirlo?” le chiedo incuriosita. “Beh, per arrivare a chiamare la tua famiglia per conoscerti meglio. Ce ne vuole di sangue freddo.” “Lui è uno di quelli che nulla lo spaventa.” “E cosa mi dici di quello che provi per Lorenzo?” “ Cosa penso… Beh, è dolce, gentile, sto bene quando sono con lui.” “E?” “E mi chiedo se esistono veramente uomini come lui, oppure sono io che mi sto costruendo castelli in aria.” “Lo scoprirai da sola. Per il momento meglio se ti riposi per il test. Ti sostituiamo io e Katia domani mattina. Vero Kat?” Non mi ero accorta che anche Katia fosse sveglia. “Certo, certo. Comunque secondo me entrambi sono cotti.” “Chi?” chiedo. “Sogni d’oro. Dormi per ora.” Conclude. “Hai ragione. Buonanotte.” Devo cercare di essere riposata domani. Le chiederò spiegazioni dopo il test. “Notte.” Mi rispondono entrambe. Mi addormento e dormo fino alle sette. Katia e Mary sono appena uscite. Il bello di tutta questa esperienza è che sicuramente due ottime amiche me le sono fatte. Mentre preparo il caffè, mi faccio una doccia velocissima. Sono le otto e mezza
e mi dirigo in sala convegni. Tutti ormai hanno preso posto e io mi siedo nel mio solito angolo vicino alla finestra. La signora Francis non è ancora arrivata, ma le sue assistenti sono già pronte con i fogli in mano. Non vedo nemmeno Mike. Lorenzo è seduto poco distante da me e mi saluta con un cenno della mano. Mi sorride ed io rimango a contemplare per un po’ i suoi occhi. Leggo le sue labbra mentre mi augura l’in bocca al lupo. Le stesse labbra che ieri sera mi hanno baciato. Chissà se tutte le ragazze si fanno queste domande dopo il primo bacio. Ricordo che tutte le mie ex compagne di classe raccontavano delle loro avventure amorose e ogni tanto mi prendevano in giro perché io non ero interessata a nulla di tutto ciò. Mi dicevano che anch’io dovevo crescere prima o poi. Intendevano forse questo per crescere. I miei pensieri vengono interrotti da qualcuno che s’intromette nel mio campo visivo. Alzo lo sguardo e vedo Mike. “Buon-…” Non riesco a finire la frase. “Che ci fai qui, non fai parte del corso.” Il suo sguardo è fermo, irremovibile, mi mette un po’ d’ansia. Devo essere decisa almeno quanto lui. “Hai ragione. Io infatti facevo parte di un altro progetto, e intendo farne ancora parte.” Lui tace. Si gira e va verso il tavolo di lavoro. Discute con la madre di qualcosa e poi si gira verso tutti. “Bene, signori e signore. Siete in ventuno ma abbiamo deciso che solo i migliori quattro potranno proseguire con questo progetto. Auguro buona fortuna ai partecipanti e agli estranei.” Si ferma e mi guarda. “Sarete tutti trattati allo stesso modo.” Conclude il discorso lanciandomi uno sguardo fulminante. Anche se non lo o per lo meno non avrò il rimorso di non averci provato. Lorenzo attira la mia attenzione e con il suo meraviglioso sorriso mi fa il segno di vittoria. Il test ha inizio. Due ore, venti domande. Diciannove a crocetta, abbastanza semplici su economia, grazie ad un corso supplementare che avevo fatto per guadagnare crediti in quarta liceo rispondo velocemente ed infine una domanda aperta. Venti righe per descrivere la soluzione di una situazione tipo durante un matrimonio. « È il momento del servizio fotografico e inizia a piovere. Siete in un castello e gli spazi al coperto sono pochi. Nemmeno le previsioni del tempo l’avevano
annunciato. Come ti comporti? » Rileggo più volte la domanda. Davanti a me si siede Mike di profilo e appoggia un gomito sul davanzale della finestra. Guarda l’intera classe e si atteggia come se io non esistessi. In realtà lui sta facendo di tutto per farmi innervosire. Ogni tanto noto con la coda dell’occhio che Lorenzo si gira a guardarci e Mike vede anche questo. Da l’impressione che si stia divertendo. Continuo a pensare ad una soluzione e mi guardo in giro. Tutti sono chinati sul loro foglio. Poi guardo fuori dalla finestra e una ragazza giovane a con il suo ombrellino aperto, come per ripararsi dal sole. Ma certo, ho la soluzione. C’è quella canzone, Singing in the rain, mi sembra. Dove un uomo con l’ombrello canta e balla sotto la pioggia. L’ho vista alla televisione quando ero piccola. A mali estremi, estremi rimedi, gli sposi diventeranno i protagonisti di tale canzone e la pioggia farà da scenario. È anche più originale come situazione. Non faranno le foto nel solito castello dove vanno tutti e che è presente in mille foto, ma la pioggia e l’ombrello distrarrà l’occhio dall’ambiente e lo concentrerà sull’atmosfera. Ovviamente nel kit di una wedding planner professionista ci dovrà sempre essere un ombrellino elegante e sarà mia premura avvisare la parrucchiera di ritornare per rimettere a posto acconciatura e trucco. Sarà un pochino più difficile per il vestito, ma spiegherò alla sposa che il suo sarà un servizio fotografico invidiato da molti. Le due ore sono quasi trascorse ed io consegno il mio test. Esco dalla stanza a testa alta e compiaciuta dal lampo di genio che ho avuto. Aspetto Lorenzo nella hall. Mi raggiunge e si siede accanto a me. Mi chiede com’è andata e gli spiego cos’ho scritto. Rimane sbalordito dalla mia idea, solo ad una pazza come me può venire in mente di rovinare il vestito da sposa per delle foto. Sono comunque contenta di me. La signora Francis raggiunge tutti i ragazzi e annuncia che subito dopo il pranzo finale svelerà i nomi dei vincitori. Saluto Lorenzo con un bacio sulla guancia e vado a lavoro. Sento il viso andare a fuoco. Anche questa è una di quelle iniziative che mai avrei immaginato di avere. Prendo lo zaino e vado nello sgabuzzino riservato allo staff per cambiarmi. Lo sgabuzzino è stretto, serve generalmente alle donne delle pulizie per riporre gli strumenti per le camere. Sono agitata, probabilmente fra tre ore la mia vita cambierà, e se così fosse dovrei comunicarlo alle direttrici. Come la
prenderanno, sono appena arrivata e già penso ad un modo per andarmene. Sento un rumore alle mie spalle, e vedo la maniglia abbassarsi. “Merda!” esclamo. Sono in reggiseno e gonna ancora. Cerco almeno di rimettere la camicia. “Un attimo per favore, sto sistemando delle cose.” Nessuno mi risponde e vedo la luce spegnersi. Ricordo che il pulsante è esterno alla porta. “Mary? Katia? Se è uno scherzo è di cattivo gusto.” Affermo. La voce mi trema, non riesco a rivestirmi velocemente al buio. La porta si apre e intravedo una figura alta. Almeno quindici centimetri più di me. Poi si richiude e sento la sua presenza davanti a me. Cerco di afferrare qualsiasi cosa vicino per colpirla, ma mi blocca e mi abbraccia. Non è il profumo di Lorenzo, questo è il profumo di quel depravato di Mike. Sta cercando di nuovo di approfittare di me. Cerco di svincolarmi ma è davvero forte. “Pensavo non venissi più.” Mi dice con voce roca. Mi fermo, non sembra avere cattive intenzioni. Comunque devo tenere alta la guardia. Io rilasso le spalle e sento la sua presa indebolirsi. Ne approfitto per indietreggiare di un o andando a sbattere contro qualcosa. Lui mi tiene comunque. “Sapevo che stavo puntando su una persona determinata, e spero tu erai questo test. Sarei orgoglioso di lavorare con una tale personalità. Saresti un’enorme stimolo per il mio lavoro.” Sembra un’altra persona. Non è più l’uomo che vuole provocarmi. Sta mostrando un lato del suo carattere che non avevo mai inteso prima. “Potevi dirmelo anche in corridoio, o nella hall. Così mi stai spaventando.” Vorrei non trovarmi in questa situazione. “Perché io ti spavento e invece sembri così a tuo agio con quel ragazzo. Impazzisco ogni volta che ti vedo sorridergli.” Non pensavo fosse in grado di pronunciare parole così sincere. Oppure è un ottimo attore e cerca solo di abbindolarmi per aggiungermi alla lista delle oche che sono cadute ai suoi piedi.
Prendo coraggio e gli rispondo con la verità. “Forse perché lui è gentile con me, non come tutti gli altri uomini che si guardano in giro in cerca della preda ideale.” Lui non risponde, ma sento il ritmo del suo respiro che aumenta. Non posso vedere la sua faccia ma immagino il suo sguardo cupo. Non è abituato a sentire una ragazza rispondergli così. Sento che le sue mani stringono con forza le mie spalle, ma non gli darò la soddisfazione di urlare per il dolore. Poi allenta la forza e me le massaggia leggermente. “È così che la pensi allora. Per te io guardo tutte le donne come un atempo. E se fossero loro a guardarmi come una fonte certa per i loro scopi? E se io stessi solo ai loro giochi?” “Oh, poverino. Vittima di tutte quelle sanguisughe!” Non provo la benché minima pietà per lui. “Pensi che non possa essere come il tuo amato Lorenzo?” “Non è il mio amato Lorenzo.” Non siamo mica fidanzati, c’è solo della simpatia tra di noi e questo non significa che siamo impegnati in una relazione seria. L’idea non mi ha mai nemmeno sfiorato. Sento le sue mani percorrere le mie braccia. Con un braccio mi lega a se. Cerco di staccarmi ma non ci riesco. Possibile che un anno di nuoto non mi abbia dato la forza necessaria per contrastare alla forza di un uomo. Lo sapevo che dovevo praticare la boxe, ma mamma si era altamente opposta. Grazie mamma, grazie di cuore. Mike continua ad accarezzarmi il viso, cerco di tenerlo basso, ma lui con delicata decisione mi alza il mento e mi bacia. Non è un bacio come quello dell’altra volta, è più dolce. Le mie gambe sembrano gelatina. Dev’essersene accorto perché mi abbraccia con più forza. Si stacca ed inizia a baciarmi le guance e poi il collo. Non riesco a reagire, il mio corpo non segue la mia mente. Ritorna alla mia bocca e mi bacia con più ione. Lo sento mentre la sua mano accarezza il mio collo. Poi la sposta sulla mia coda di cavallo e me la scioglie. I capelli mi cadono sulle spalle. Fa caldo e mi sento mancare il respiro. Lui si stacca e si allontana un po’.
“Ti auguro una buona giornata Biancaneve.” Apre la porta e se ne va. Riaccende la luce ed io mi accascio per terra. Sono priva di forze. Mi cambio il più veloce possibile ed esco da quella minuscola stanza. M’inginocchio in corridoio e scoppio a piangere. Cosa mi succede? Questa non sono io. Noto che i miei capelli sono ancora sciolti. Si è tenuto il mio elastico. Un elastico rosso con una mela in ceramica in cima. Forse è per quello che mi ha chiamata Biancaneve? E lui è la mia mela avvelenata? Un’ultima domanda mi fa rabbrividire, come l’ha notato al buio il mio elastico. Probabilmente sono tutte coincidenze. Vedo Katia arrivare da lontano di corsa. “Oh mio dio, Deb, ti senti male?” Non mi escono le parole, l’abbraccio e continuo a piangere.
Capitolo 16
Katia mi trascina in una stanza vuota e aspetta finché non mi calmo. Le racconto cosa mi è appena successo e cerco di spiegarle cosa sento. Mi sento presa in giro e ogni volta la mia testa gira a vuoto. Lei mi ascolta senza dire nulla, si limita ad accarezzarmi la testa come una madre fa con la figlia a cui è caduto il gelato. “Trovo che questo Mike sia un po’ diabolico.” Afferma. “Lo penso anch’io. Sa tirare fuori il mio lato peggiore.” “Non demoralizzarti, pensa solo alla grossa opportunità che hai ora.” “D’accordo.” Scendiamo in cucina e sostituisco lo stagista lavapiatti, nemmeno ricordo il suo nome in questo momento. Max sembra tranquillo, forse perché è consapevole che da domani tutto tornerà alla normalità e che in questi giorni la sua cucina ha riscosso non pochi gradimenti. Il pranzo è al termine e sento calare il silenzio. Ci affacciamo tutti alle porte e la signora Francis chiede l’attenzione, sta per annunciare i nomi dei fortunati che parteciperanno allo stage nella sua azienda. “La prima ad essersi aggiudicata il posto è la signorina Vez Jessica.” Inizia un applauso e vedo Jessica alzarsi e mandare baci a tutti. Brava Jess, è una bella svolta per la tua vita. “Il secondo partecipante è il signor Bianchi Lorenzo.” Così è questo il suo cognome. Lorenzo si alza compiaciuto ma mantiene un atteggiamento garbato e composto. Lo vedo mentre mi cerca tra gli inservienti e finalmente mi nota. Mi fa l’occhiolino e mi mostra il suo sorriso. Mi sento sciogliere. “La terza classificata è la signorina Bindel Marta.” È la stessa ragazza che vidi al pub con Mike la prima sera che uscì con Lorenzo. Sembra una persona decisa e
determinata. Ora è il momento dell’ultimo partecipante, ormai i giochi sono fatti e se non mi hanno chiamato finora, di certo non sarò io l’ultima. “L’ultima partecipante che abbiamo deciso di inserire nel progetto è la signorina Zetti Deborah, la quale ha sostenuto un’originale tesi sulla risoluzione del caso proposto.” Sento un tonfo allo stomaco. Nella sala cala il silenzio. Lorenzo mi guarda entusiasta ed io sono indecisa se scappare o nascondermi da qualche parte. Scorgo lo sguardo di Annalisa, anche lei mi sta cercando tra la folla, ma non ho il coraggio di mostrarmi. Ci pensa Mike ovviamente a mettermi in risalto. Prende la parola e specifica che ora sto lavorando in cucina e che, con ogni probabilità, non ho sentito. Per evitare di fargli ripetere il mio nome esco allo scoperto. Saluto con la mano tutti e ritorno in cucina. Annalisa sta parlando animatamente con Mike e sua madre. Vedo una tempesta all’orizzonte. Questa volta ho fatto i conti senza l’hostess. Ricomincio a lavorare in cucina e faccio finta di non sentire le battute di tutti. Si chiedono come abbia fatto, sento due ragazze addirittura alludere al fatto che me la intendo con Mike. “Lascia perdere, troverai vipere invidiose ovunque.” Mi sussurra Mary. Ha ragione, in fondo non ho fatto nulla di male e me lo sono guadagnato quel posto, come tutti. Adesso devo solo risolvere alcuni piccoli dettagli come la risoluzione del contratto, il viaggio, il nuovo contratto e tanti altri piccoli dettagli. Devo soprattutto parlare con Annalisa. Non so nemmeno dove precisamente andrò a Milano, se qualcuno mi porterà o dovrò prendere il treno. Tutti gli sguardi che mi sento addosso non aiutano il mio nervosismo. “Deborah, puoi venire un attimo?” mi sento morire, è la voce di Annalisa. Mi volto e la vedo in piedi, a pochi centimetri da me con Mike e la signora Francis. Mi sta facendo cenno di seguirli, mi asciugo le mani e con la testa bassa vado da loro. “Andiamo nel mio ufficio, lontani da orecchie indiscrete.” Ci avviamo. Arriviamo al suo ufficio e Carla, l’altra direttrice ci sta già aspettando. Mi fanno accomodare su una poltrona, mentre le due socie si siedono dietro la loro scrivania. La signora Francis si siede al mio fianco. Il suo sguardo è fermo, e non sembra per nulla contenta della situazione.
“Dunque Deborah,” Carla rompe il ghiaccio “la signora Francis ci ha gentilmente spiegato la situazione.” Fa una breve pausa ed estrae una carta e una penna da un cassetto. “Ovviamente comprendiamo il perché tu l’abbia fatto, hai avuto un’occasione più unica che rara e di certo non l’hai sprecata.” Prendo il foglio e scopro che è bianco. Mi guardo attorno ma nessuno dice nulla. Continuo io. “Cosa dovrei fare con questo foglio?” Chiedo. “Devi firmare le tue dimissioni. Domani partiremo presto, alle sette del mattino ci attende l’autista per riportarci a Milano.” Interviene la signora Francis. “Le tue dimissioni avranno effetto immediato, per cui ti chiediamo di consegnarci la divisa e di lasciare l’appartamento oggi stesso.” Conclude Annalisa. “E dove dormirò stanotte?” Sono impaurita, dove lo trovo un alloggio per la notte, e per di più devo di nuovo preparare le valigie alla velocità della luce. “Per quello non ti preoccupare, immagino che queste due eleganti signore non avranno nulla da ridire se dormirai nella mia camera.” Ci giriamo tutti verso Mike, leggo nel volto di sua madre un’espressione al limite tra il rimanere seria e l’essere disgustata. “Addebiterete il tutto sul mio conto, pagherò io per la mia nuova assistente.” “Allora è deciso.” Dichiara Carla. “Grazie per la tua collaborazione Deb, ti auguriamo un futuro sereno.” Ora entrambe mi sembrano amareggiate. Scrivo due righe e il contratto è sciolto. Allo stesso tempo non sono estasiata per dove dormir, soprattutto sono ancora meno entusiasta di doverlo dire a Lorenzo. Anche se potrei omettere questo dettaglio, in fondo non siamo ancora così intimi da dovergli confessare ogni cosa che mi succede. Saluto le mie due ormai ex titolari e mi avvio con la signora Francis e Mike all’uscita. “Sappia signorina che non sono per niente contenta della situazione. Al primo sbaglio è fuori.” La signora Francis pronuncia queste parole senza guardarmi in faccia, il suo tono è arrabbiato ma non posso vedere la sua espressione perché è coperta da un enorme ciuffo riccio che le cade sulla guancia. Ora che la vedo da vicino è molto elegante, i suoi orecchini sono perfetti per il suo viso. Il trucco è naturale e la collana si abbina alla giacca color rosa antico. Mi guardo nello
specchio vicino all’ascensore e capisco che non siamo sulla stessa linea d’onda. Io indosso una camicia bianca prestatami da Katia e un paio di bermuda blu che usavo per fare ginnastica al liceo. Madre e figlio proseguono il loro cammino e io rimango ancora un po’ ad osservarmi a quello specchio. Vorrei urlarmi che sono una sciocca, non posso permettermi di cambiare lavoro così su due piedi senza avere alcuna certezza. Qualcuno mi batte sulla spalla e mi volto con calma, non me la sento di affrontare altre conversazioni spiacevoli. Fortunatamente è Lorenzo. Mi solleva e mi abbraccia, cerco di abbracciarlo anch’io ma sono troppo triste per lasciarmi andare ad eventuali emozioni. Mi rimette a terra e mi sistemo la camicetta. “Ce l’abbiamo fatta entrambi” mi accarezza la guancia e sento che sto arrossendo “trascorreremo più tempo insieme nelle prossime tre settimane.” Si china e mi da un bacio leggero sull’angolo della bocca. “Ora vado a preparare le valigie, ci aspetta un viaggio lungo.” Mi sorride e se ne va. “Quando hai finito puoi seguirmi, quando sarai ufficialmente la mia assistente non sarò io a doverti venire a cercare, ma il contrario.” Mike è dietro di me e ha visto la scena. La cosa non m’interessa, solo spero non si ritorca contro Lorenzo. “Arrivo.” Gli annuncio. Lo seguo per tutto l’hotel e raccolgo tutte le cartelle lasciate nei vari piani ed insieme le riportiamo in camera sua. “Andiamo a recuperare le tue cose. Le invieremo insieme alle mie già oggi, così domani non dovremo occuparci del trasporto bagagli.” Mi dice. “Posso fare da sola, grazie.” Nemmeno mi ascolta e capisco che devo stare al suo volere. Andiamo nel mio appartamento e sistemo di nuovo i miei indumenti nei borsoni. Estraggo la borsa di libri che mi sono portata da Torino e consegno il tutto ad un corriere. “Non avevi con te molte cose.” Afferma quasi sorpreso. “Non capita tutti i giorni di essere sbattuti fuori casa e avere pochi minuti per racimolare tutto quello che si può.” “Vorrà dire che darò ordine di andare a recuperare tutte le tue cose dai tuoi genitori.” Mi guarda per vedere una mia reazione, ma non ho la benché minima idea di soddisfare il suo innato bisogno di irritarmi.
“Se la cosa ti fa stare meglio…” cerco di mostrare un’aria indifferente. Lui si volta e capisco che lo devo seguire. Ritorniamo in hotel e ci ritiriamo in camera. Sono le cinque e sento fame, non dico nulla perché potrebbe trovare il pretesto di prendermi di nuovo in giro. Lui rimane nell’angolo studio per tutto il resto del pomeriggio, è assorto nel suo lavoro e io leggo un libro nel divano dell’atrio. Ogni tanto butto l’occhio sul letto con le lenzuola color panna in seta e mi chiedo se non sia il caso di chiedergli di poter dormire sul divano. Non ho mai dormito con un ragazzo e di certo non voglio are una sola notte nel suo stesso letto. Sento la sedia spostarsi e Mike si alza, poi viene verso di me. Mi porge una mano e vedo dei cioccolatini sul suo palmo. “Tieni, ti aiuteranno a sopportare la fame fino a cena.” Giusto, la cena, dove cenerò, oltre ad un paio di jeans e una t-shirt extra larga non ho altro nella borsa. “Io non ho troppa voglia di cenare stasera. Penso sistemerò il divano per la notte e andrò a dormire presto.” Mike mi guarda “Lo sai che quando sarai la mia assistente non potrai permetterti di accampare certe scuse.” “Lo so.” Abbasso lo sguardo, mi sento un po’ mortificata per la bugia. “Comunque porterò te e gli altri vincitori a mangiare una pizza, così potrò illustrarvi cosa vi attende.” “Ma io…” cerco un’altra scusa. “Niente ma.” Lo vedo mentre si allontana verso l’armadio. “Questo è per te.” Estrae un abito blu dall’armadio. Ha una profonda scollatura sul seno e la gonna si allarga fino alle ginocchia. È accompagnato da una cintura rossa e dei sandali rossi altissimi chiusi in caviglia da un cinturino ricco di cristalli rossi. Decisamente troppo elegante per me. “Scusa ma non mi si addice.” Osservo decisa. “Tu dici?” mi chiede. “In qualità di mia futura assistente devi rivedere il tuo guardaroba. Questa sera uscirai e indosserai questo.”
Mi ha incastrato, non posso rifiutare. Ingoierò questo rospo ma da domani le regole sul mio abbigliamento le detto io. Non vestirò mai più in modo seducente, improprio per la mia personalità. Con una smorfia raccolgo tutto e vado a farmi una doccia. Una rilassante doccia fredda che mi aiuterà a distrarmi, oltre che a rinfrescarmi da tutta la fatica che ho fatto questo pomeriggio. La doccia è veramente grande e solo ora noto che dall’altra parte della stanza c’è una vasca con dei prodotti sopra, ha anche l’idromassaggio. Decido di riempirla, non ne ho mai vista una, a casa avevo una vasca gigante con i piedi di leone. Era elegante e si armonizzava con l’ambiente, ma non mi sentivo mai a mio agio a causa della sua posizione centrale rispetto alla stanza. Scelgo un bagnoschiuma al cioccolato e arancia e noto sull’etichetta che è lo stesso hotel a fornirlo. “Per un bagno magico” recitano le istruzioni. Mi viene da sorridere, è proprio pensato per l’atmosfera dell’hotel. Immergo l’intero corpo nella vasca e lascio fuori solo la testa. Mi slego i capelli e lascio che la schiuma li coccoli, la sensazione è meravigliosa. Chiudo gli occhi e appoggio la testa sul bordo, distendo le gambe e lascio che i pensieri s’impadroniscano della mia mente. Ripenso a quando, tornata per un week-end a casa, mia madre mi aveva accolto entusiasta. Non succedeva mai, lei aveva la strana idea che io avessi qualcosa che non andava, qualcosa che la faceva apparire inferiore di fronte alle sue amiche del club dei fiori. Loro avano un’ora tutti i pomeriggi a ideare composizioni floreali per le serate organizzate con lo scopo di raccogliere fondi. Molte avevano figlie della mia età e alcune di loro seguivano le madri nelle attività del club. Non io ovviamente, che rimanevo tutto il pomeriggio su una poltrona a leggere il giornale o un qualsiasi libro, cercando di distogliere la mente dai loro pettegolezzi. Quel pomeriggio aveva ospiti, erano una famiglia di amici venuti a posta a trovarli dalla Svizzera, lui era un compagno di Università di mio padre e la moglie era una giovane donna, elegante e composta, ma di poche parole. Avevano portato con loro il figlio, di poco più vecchio di me, se non ricordo male stava finendo il terzo anno dell’Università a Roma. Avevano interpellato mamma per organizzare la festa di laurea del giovane e insistevano perché io partecii al tutto. Ovviamente la cosa non mi toccava minimamente ma mio padre, prendendomi da parte, mi chiese di assecondare per
una volta i desideri della donna. Così mi ritrovai inconsapevolmente coinvolta in un intrigo amoroso di cui non seppi nulla per alcuni mesi. Sento qualcuno afferrarmi. L’acqua nelle orecchie m’impedisce di distinguere la voce di chi sta chiamando il mio nome. Infine mi sento schiaffeggiare il viso e apro gli occhi. Mi volto in parte e sputo dell’acqua. Sono distesa sul pavimento, vedo le mie braccia bagnate e le gambe nude. Alzo leggermente la testa e intravedo i miei piedi scalzi, mentre il mio intero corpo è immerso in una pozzanghera d’acqua, sono coperta solo da un asciugamano azzurro. “Debby ci sei?” ora distinguo perfettamente la voce che mi chiamava anche prima. È Mike e mi sta guardando terrorizzato, mentre la sua camicia è fradicia. Riesco a malapena a vedere il colore della sua pelle. “Allora rispondi per l’amor di Dio!” Alzo lo sguardo “Si”, mi sento frastornata, non riesco ben a capire la situazione, ho la nausea e non sento le gambe. Lui mi solleva e mi distende sul letto. Vorrei schiaffeggiarlo perché ha osato entrare in bagno ma sto facendo mente locale di ciò che mi è accaduto. Ricordo solo della piacevole sensazione che provavo nella vasca da bagno e di quanto quell’essenza mi avesse rilassato la mente. “Deb…” Mike riprende a guardarmi. È in ginocchio di fianco a me, sul pavimento e mi tiene una mano. “Si, Mike?” gli rispondo con un filo di voce. “Mi hai fatto prendere un colpo. Non rispondevi quando ti chiamavo e sono dovuto entrare in bagno per assicurarmi che tu stessi bene.” Cerca di spiegarmi la dinamica ma non capisco perché la cosa non mi tocca minimamente. “Eri con la testa quasi sott’acqua e ti ho dovuto tirare fuori a forza. Ho cercato di non guardare giuro, ma ho dovuto farti la respirazione artificiale…” Lo vedo mentre cerca di nascondersi dietro la mia mano. Sembra un bambino indifeso, forse ha paura della mia reazione, ma non gli do peso, non ne ho voglia. “Ti ringrazio.” Gli dico, ma subito volto il viso dall’altra parte. “Hai bisogno di riposare immagino. Io uscirò un’ora a cena con gli altri per illustrare la situazione, ma torno presto, va bene?” Ora invece assomigliano alle parole di un padre che non ho mai avuto.
“Va bene.” “Hai bisogno di qualcosa? Darò ordine alla hall che vengano a controllarti tra mezz’ora.” Scuoto la testa e mi metto sul fianco. Non ricordo molto altro, con ogni probabilità mi sono riaddormentata subito. Ho visto solo una luce accendersi per un attimo, ma poi più nulla. La stanchezza mi divora e io non posso fare altro che dormire.
Capitolo 17
Non so che ore sono, ma sento qualcosa o qualcuno sfiorarmi il viso. Cerco di afferrare quella presenza ma non ce la faccio sono troppo debole, però sento una risata e deduco che una persona mi è vicina. Percepisco un leggero movimento sul materasso e poi la stessa presenza mi abbraccia. Mi lascio coccolare, non ricordo l’ultima volta che ho ricevuto tante attenzioni, probabilmente non c’è stata neanche una prima volta. Percepisco una luce accendersi di nuovo e socchiudo gli occhi. È così fastidiosa ed emetto un mugolio di protesta, desidero che quella luce si spenga. Il corpo contro cui sono appoggiata è caldo, cerco di aprire gli occhi per vedere cosa sta succedendo. Alzo leggermente la testa e osservo questa figura calda, è il corpo di un uomo ed è scolpito quasi perfettamente. Ho dei flashback di me in una vasca e la sensazione dell’acqua nelle orecchie e nel naso. Inizio a ricordare tutto, anche del fatto che indossavo solo un asciugamano. “Cav…” esclamo. Mi metto seduta e controllo sotto le lenzuola. Sto realmente indossando solo un enorme asciugamano, mi giro e vedo Mike a petto nudo di fianco a me. Se ne sta zitto e mi osserva, tutto il letto è bagnato. Alzo le lenzuola, per fortuna non vedo nessun segno che dà l’idea che oltre ad avermi rubato il primo bacio si sia impadronito anche di qualcos’altro di più prezioso. “Ben svegliata Bella Addormentata.” Mi dice sorridendo. “Finalmente ti sei ripresa, avevo quasi in mente di portarti in ospedale.” “Cosa mi è successo? Perché sono così poco vestita?” gli chiedo. “Ti sei addormentata nella vasca da bagno e per poco non ci rimanevi. Ti ho tirato fuori in tempo, ma posso giurarti che sono stato un gentiluomo vista la situazione.” Sembra sincero, ma non mi fido troppo. “Non ti ricordi? Te l’avevo spiegato già prima. Posso sapere a cosa stavi pensando?” Qualcosa sta riaffiorando nella mia mente, ma tutto è così vago e io sento la testa scoppiarmi, come se avessi bevuto intere caraffe di birra.
“Ora come ti senti?” “Mi sento come se un camion mi avesse investito.” Continuo a guardarmi intorno in cerca di vestiti da indossare e ho paura di scoprire se mi ha fatto o meno indossare le mutandine. Rabbrividisco al pensiero di entrambe le opzioni perché in ogni caso mi ha potuto osservare completamente nuda. Deve aver intuito la mia preoccupazione e gentilmente mi copre le spalle nude con una sua maglia. “Non so dove sia la tua roba, ma se vuoi per stanotte puoi indossare questa.” Lo ringrazio e la indosso subito, lui per fortuna si è girato dall’altra parte. È enorme, veste perfettamente come una camicia da notte, solo extralarge. “Io vado a dormire sul divano. Grazie per quello che hai fatto.” Sento afferrarmi con forza. “Preferirei che tu stessi qui, così posso intervenire qualora tu ne avessi bisogno.” “Non ti preoccupare, va meglio.” Cerco di convincerlo, se dormissi con lui stanotte come potrei guardare in faccia domani Lorenzo. “Insisto.” Lo guardo dritto negli occhi e li vedo di un verde intenso come non mai. Questo ragazzo, che durante questa settimana ha cercato sempre di farsi odiare, ora si sta incredibilmente preoccupando per me. Abbasso la testa e mi metto distesa, lontano da lui “Non ti preoccupare, non ho nessun interesse a toccarti, se tu non lo vuoi.” Non gli rispondo e gli do le spalle. Meglio dormirci sopra e sperare che Lorenzo non venga mai a conoscenza di tutto questo.
Non so che ore sono quando sento una sveglia suonare. Non è la mia di certo, cerco con la mano qualcosa da lanciargli addosso e finalmente dopo cinque minuti ce la faccio. Mi siedo e controllo subito che la distanza di sicurezza sia stata mantenuta. Non posso crederci, il letto è vuoto e Mike sembra sparito dalla camera. Controllo sul mio cellulare che indica che sono appena le cinque, avrei potuto dormire un’altra mezz’ora. Ritorno a distendermi ma non posso riposare perché sento la serratura della camera scattare e mi rimetto seduta. È il signorino
e ha un vassoio in mano, sopra ci sono due caffè e tre brioches. “Buongiorno, hai dormito molto stanotte.” “Buongiorno, così pare.” Si avvicina al letto col vassoio e me lo mette davanti al grembo. “Mangia tutto quello che vuoi, ieri sera non hai cenato e sarai affamatissima.” Effettivamente sento la mia pancia gorgogliare. Afferro subito una brioche e l’addento “È buonissima!” esclamo. “Merito di Max, il cuoco, l’ho avvisato ieri sera di farmele trovare pronte in cucina. Il caffè l’ho fatto io.” “Tu?” sono sbalordita. “Si, sorpresa che una prima donna come me possa fare e poi servire un caffè?” Uno spiraglio di luce entra dalla finestra e lo vedo in tutta la sua bellezza. Non l’avevo mai visto così dannatamente bello, ed è pure affascinante quando riesce ad essere gentile. Poi un altro pensiero mi sfiora la mente. In sole due settimane lontano da quel collegio e quella famiglia e già trovo una certa simpatia non per uno, ma per ben due uomini. Non posso credere neanche a me stessa, devo iniziare a rivalutare tutti i miei princìpi. Tossisco come per liberarmi del pensiero e Mike mi da due schiaffi sulla schiena. “Ahia” gli urlo. “Pensavo stessi per soffocare… di nuovo!” ridiamo entrambi e continuiamo a sorseggiare il caffè in silenzio. Addento ancora la mia brioche e con gran soddisfazione vedo la crema scendere lungo la mia mano. Era davvero molta e con un minimo di pressione è fuoriuscita. Inizio a leccare la mano ma Mike me l’afferra e raccoglie con la bocca la crema. Il movimento è più simile ad un bacio. “Mike” la mia voce è sconsolata, come quella di una madre che esausta rimprovera il figlio per l’ennesima nota presa a scuola. “Non puoi sempre comportarti così con tutte le donne nel tuo letto.” Lui continua a tenere la mia mano, ma si è fermato ad osservarmi. “Deb, per
quante donne io posso avere ogni notte, credimi che con te non riuscirei mai ad andare oltre a ciò che tu stessa non vuoi.” Lo guardo sconcertata. “Io non voglio niente Mike, se non un lavoro e una paga che mi consenta di provvedere a me stessa.” “Davvero?” e si china di nuovo sulla mia mano. Fare resistenza lo stuzzicherebbe solo di più. Decido allora di accarezzargli i capelli e di chinargli leggermente il capo all’indietro, per guardarlo di nuovo negli occhi. “Fermati, prima di rovinare tutto.” Ora leggo uno sguardo pieno di ione, rabbrividisco. Mi chiedo se sia lo sguardo che fa a tutte per poi are all’attacco. Si alza e afferra il vassoio per poi appoggiarlo sulla scrivania. Toglie dalle mie mani anche la brioche e a nulla servono le mie repliche per riaverla. Faccio per alzarmi per riprendermela ma lui si fionda su di me distendendomi sul letto, e inizia a baciarmi con decisione. Non respiro e sento il caldo divampare sul mio viso. Lui sposta le sue attenzioni sul mio collo, lo bacia quasi con avidità ed io lo supplico di smettere, inizio anche a piangere. Solo in quel momento si ferma e mi abbraccia. “Mi fai perdere ogni controllo Deb, perché lo fai?” “Io non faccio nulla Mike, neanche ti guardo.” Queste ultime parole lo devono far infuriare, ma non mi aggredisce. Mi blocca le mani e mi da un bacio dolce sulla fronte, poi mi asciuga le lacrime con le sue labbra ed infine appoggia il suo naso contro il mio. Sento il mio cuore battere all’impazzata, e percepisco anche il suo. Che stia dicendo la verità? Non sono mai stata in una situazione del genere, quindi non posso dire se le mie sono illusioni o è reale ciò che sento. Lo lascio baciarmi ancora, mi bacia all’infinito, poi sento il bacio diventare più profondo e mi ritraggo. Non l’avevo mai dato un bacio così. Lui allenta la presa ai polsi e mi sfiora con il dorso della mano viso e fianchi. Ricordo che sono senza biancheria intima e mi agito al pensiero che lui si possa spingere ancora oltre. “Deb” la sua voce è tanto profonda quanto dolce “Ti ho detto che non avrei fatto nulla che tu non desiderassi e non ti preoccupare, non sorerò di certo oggi quel limite.” Non riesco a tranquillizzarmi completamente e lui riprende a baciarmi le guance
e la bocca. Questi minuti non sembrano are mai, vorrei che qualcuno venisse a bussare alla porta. Sto di nuovo perdendo il controllo del mio corpo. La sua mano destra è ferma sul mio fianco, mentre lui mi bacia il collo. Poi sento la sua mano cercare la pelle del mio ventre. Mi svincolo dalla presa e gliela blocco. Lo guardo negli occhi, ha un altro dei suoi sguardi che mai avevo visto, è così intenso e io sembro un pesce che sta affogando in quel verde profondo. “Ti prego Mike, non lo voglio.” Lui mi sfiora le labbra delicatamente. “Mike basta.” Lo esorto a smettere. Lui sorride divertito, non capisco questo suo repentino cambio d’espressione. “D’accordo.” Mi dice afferrandomi i bordi della maglietta. Me la sfila con decisione. “Però riprendo la mia roba.” Rimango nuda nel letto e cerco riparo sotto le lenzuola. “Maledetto, giuro che questa me la paghi. Vedrai di cosa sono capace” urlo furibonda. Ma è troppo tardi, lui ridendo ha già lasciato la stanza, mentre io cerco disperatamente qualcosa da mettermi per il viaggio.
Capitolo 18
Scelgo la mia mise migliore per il viaggio: pantaloni della tuta corti e una canottiera, ovviamente non posso mancare le mie adorate scarpe da ginnastica, mi raccolgo i capelli in una sorta di coda, afferro il mio zaino, le brioches ed esco dalla camera. Non prima però di essermi ingegnata l’ultimo scherzetto a Mike. Rido compiaciuta mentre spalmo dentro i suoi calzini la marmellata della seconda brioche, un po’ mi dispiace per Max che l’aveva preparata con tanta cura, ma visto che al signorino piaceva così tanto il ripieno della mia colazione, tanto vale che glielo lascio tutto. Corro verso l’ascensore e mi precipito in cucina. Sono le sette e le mie ex coinquiline sono già all’opera. Ci abbracciamo forte con la promessa di rivederci. “Mi raccomando Debby, un giorno sarai tu ad organizzarci il matrimonio!” Mi dice Mary. Ridiamo rumorosamente e le prometto che arriverà il giorno in cui probabilmente concepirò un tale evento. Ci diamo un ultimo abbraccio e poi corro a prendere la corriera che mi porterà verso una nuova vita. Salgo e mi siedo in ultima fila con Lorenzo. Voglio parlargli e conoscerlo di più durante queste ore. Sono saliti tutti, comprese le assistenti della signorina Francis. Una di loro prende parola. “Lo sappiamo che il signor Mike doveva venire con noi, ma ha avuto un contrattempo e ci seguirà più tardi. Vi illustreremo noi le prossime settimane.” Vorrei scoppiare a ridere perché capisco il tipo di contrattempo che lo trattiene, ma è meglio rimanere seri e concentrarci sul resto della giornata. “Sembri felice.” Mi dice Lorenzo. “Diciamo che ho qualche motivo per essere di buon umore.” “Riguarda il fatto che hai appena ato una notte piacevole?” Queste parole mi
spaventano. Lo guardo e capisco che lui sa tutto. Non mi guarda nemmeno, percepisco un minimo di disgusto nelle sue parole. “Mike ieri si vantava di avere un impegno importante nel letto e che l’avrebbe tenuto sveglio tutta la notte, e quando sono ato a prenderti a casa ho trovato Katia che mi ha spiegato cos’è successo.” “Ma io…” cerco di spiegargli il malinteso. “Non serve che mi spieghi nulla.” Taglia corto lui. “Fate silenzio per favore, cercheremo di essere brevi.” Le due assistenti prendono parola e iniziano a spiegare i nostri futuri ruoli. Apprendo che ognuno di noi dovrà assistere per tre settimane un wedding planner dell’azienda nell’organizzazione di un matrimonio. Vivremo in uno chalet vicino a casa della signora e tutte le mattine ci sarà servita la colazione. “Il resto della giornata lo gestirete voi, per qualsiasi dubbio siamo a vostra disposizione.” Ci consegnano il piano di lavoro e leggo che dovrò affiancare Mike in un matrimonio sfarzoso di una giovane coppia. Certo devo imparare a essere da subito la sua assistente, ma credevo lui si occue della normale amministrazione, non anche di matrimoni. “Tu cos’hai?” Chiedo a Lorenzo. “Devo organizzare le nozze di una coppia di cinquantenni, assisterò Caterina, qui dice che è una delle migliori organizzatrici di matrimoni e che collabora con loro già da tre anni. Tu con chi sei?” Lo guardo e le uniche parole che mi escono sono scuse “Ti giuro che non è successo nulla, ero solo svenuta e ho dormito tutta la notte.” “Sei in coppia con lui giusto?” Il suo sguardo è serio. “Lorenzo fidati di me.” Cerco di essere più convincente possibile. Lui si volta e mi sussurra all’orecchio parole di cui non capisco se esserne felice o meno. “Ma io ho fiducia di te, però non ho fiducia in lui.” Mi afferra la mano e rimaniamo così per il resto del viaggio, senza dire nulla. Parliamo e ridiamo con
le altre ragazze e scommettiamo su chi combinerà più pasticci. Lorenzo sembra essere tornato di buon umore e mi rivolge tanti sorrisi. Facciamo una pausa in autogrill e ci fiondiamo verso la nostra dose giornaliera di caffeina. Il bar è stracolmo e ci dividiamo per fare prima. Sto scegliendo tra delle barrette di cioccolato per il viaggio, sono indecisa tra quello extra fondente oppure quello al latte, quando qualcuno mi batte sulla schiena. “Lorenzo sei stato velocissimo!” esclamo. “Mi dispiace ma non sono Lorenzo, bella signorina.” Mi giro e vedo un ragazzo carino che mi sorride. “Mi scusi, ho sbagliato persona.” Mi allontano ma lui mi raggiunge. “Le va di prendere un caffè con me?” Mi chiede. Penso di essermi appena cacciata nell’ennesima situazione imbarazzante. “No, grazie vado di fretta.” Rispondo cercando di non dargli troppo peso. “Avanti, dove sei diretta?” Mi prende per una spalla e mi costringe a voltarmi. Inciampo su un cesto di prodotti e finisco quasi a terra. Qualcuno mi afferra con forza e vedo bene in viso l’importunatore. “La signorina è con me, ci sono problemi?” riconosco la voce e vorrei sotterrarmi in questo preciso istante. Possibile che sia onnipresente qualsiasi cosa io faccia, ovunque io vada. Desidero vivamente essere importunata dallo sconosciuto piuttosto che affrontare la prossima conversazione. Il ragazzo se ne va borbottando qualcosa e Mike mi fa rialzare. Non ho il coraggio di guardarlo, lo ringrazio e scappo. Mi afferra per un polso all’uscita. “Dove pensi di scappare signorina?” mi chiede con tono accusatorio. “Penso che tu debba dirmi qualcos’altro oltre grazie.” “È vero. Ti chiedo scusa per stamattina, ma capisci, dovevo vendicarmi, questa volta il gioco si è spinto ben oltre.” “Deb stai bene?” Lorenzo arriva alle nostre spalle. “Non grazie a te.” Afferma Mike.
“Come…” Lorenzo fa per parlare ma Mike senza ascoltarlo mi afferra per un gomito e mi trascina fuori dall’autogrill. “La tua amica continua il viaggio con me, ci sono alcuni punti da chiarire.” Vedo Lorenzo inerme e con aria sconfitta dietro la porta scorrevole. Capisco la sua posizione, non può intervenire, ne va del suo futuro e di tutto ciò per cui ha lavorato finora. Mike mi fa salire sulla sua Bmw X6, gran bella macchina, nera opaca con i sedili color crema, in pelle. “Il tuo gusto nel vestire è sempre impeccabile. Mi chiedo come facciano gli uomini ad essere attratti da te.” Mi dice mentre avvia il motore silenziosissimo. “Li dietro c’è un vestito per te, prima di arrivare a casa dobbiamo fermarci a prendere un caffè con i nostri futuri sposi.” Guardo il sedile posteriore e noto una borsa. Dentro c’è un abito verde e lo tiro fuori, è semplice ed elegante, ha uno scollo profondo quadrato sul seno e la gonna si allarga leggermente sul fondo. C’è anche un paio di stivaletti alti almeno dieci centimetri con una lavorazione di cristallo sul lato rappresentante uno scorpione. Sono magnifiche ma non riuscirò mai ad indossarle. “Dove possiamo fermarci che mi cambio?” gli chiedo. “Non c’è tempo per fermarsi, cambiati qui.” Mi sento mancare. “Cosa?” urlo “Mai e poi mai.” “Non hai altra scelta, e non è nulla rispetto al dover girare per la città in cerca di un negozio per dei calzini nuovi perché in quelli scelti per il mio abito c’è caduta dentro la colazione di una capra dispettosa.” “Non sono una capra, e se tu ti comportassi meglio con me non sarei invogliata a vendicarmi. La colpa è solo tua.” “Mettila come vuoi ma non ti lascerò presentarti in quel modo davanti i nostri clienti.” “Io non intendo cambiarmi di fronte a te.” “Vorrà dire che al primo hotel lungo la strada ci fermeremo e ti cambierò io stesso.” L’idea mi fa rabbrividire, non tollero di sentire ancora le sue mani
addosso. Getto il vestito e le scarpe sul sedile posteriore e tolgo le mie. Mi slaccio la cintura e o sul sedile posteriore. “Non osare sbirciare.” La mia suona più come una minaccia. Mi nascondo il più possibile dietro il suo sedile e mi tolgo la maglietta e i pantaloni, li piego e li metto nella borsetta. Indosso il vestito ma non riesco ad allacciare la cerniera sulla schiena, non ho dimestichezza con queste cose così femminili e poco pratiche. Vedo Mike accostare e scendere dalla macchina, ci siamo fermati in una piazzola di soccorso sul ciglio dell’autostrada. “Perché ti fermi?” gli chiedo. Lui apre la porta posteriore dell’auto e si siede di fianco a me. “Stai lontano da me brutto maniaco.” Lui ride alle mie parole e la cosa mi irrita molto. Mi volto per dargli le spalle e mi stringo su me stessa, non deve toccarmi. Sento le sue mani sfiorare il vestito e con molta calma me lo allaccia. “Sbrigati, indossa le scarpe e ritorna davanti.” Sono pietrificata, il mio stomaco è in subbuglio, indosso gli stivaletti e ritorno nel sedile davanti. La scollatura è davvero troppo importante, vedo i miei seni parzialmente scoperti e cerco in tutti i modi di coprirli con il vestito. Mike ogni tanto guarda con curiosità la situazione, ma non dice nulla. “Questo vestito è volgare, non mi dona per nulla.” “Io trovo invece che renda bene l’idea della carrozzeria che riveste.” Lo guardo allibita e lo pizzico su un braccio. “Ahia, non posso neanche farti un complimento?” “I tuoi non sono complimenti ma solo stupidi commenti di un depravato sciupafemmine.” Lui non ribatte e continua a guidare. Alza la musica, alla radio danno Lucio Battisti, Col nastro rosa, una canzone meravigliosa. Osservo attentamente il paesaggio all’esterno che scorre veloce e mi perdo tra le parole e la melodia della canzone. “Siamo arrivati, sciogliti i capelli e sistemateli velocemente.” Eseguo gli ordini e scendiamo dalla macchina. Andiamo in un bar poco distante dove troviamo la coppia.
Lei, Chiara, una ragazza alta e longilinea, capelli biondi ricci, occhi color nocciola grandi, ha dei movimenti delicati, ordina un’acqua e menta liscia. Lui, Sebastiano, un uomo sulla trentina, occhiali, fisico asciutto ma non muscoloso, capelli neri e occhi scuri. Non attira particolarmente la mia attenzione e sorseggia lentamente una cola. Ci salutiamo e Mike inizia una specie d’intervista. Noto che Chiara lo guarda attentamente, come per coglierne i dettagli e gli parla come si parla ad un vecchio amico. Prendo appunti su tutto ciò che dicono riguardo invitati e stile del matrimonio. Lui vorrebbe avere molti elementi rossi mentre lei vorrebbe tutto incentrato sui giochi d’acqua. “Bene, signori, domani mattina ci vedremo alle dieci nel mio studio e penso che potremo parlare meglio sul da farsi.” Annuncia Mike. Usciamo dal bar e ci salutiamo. Mike e Chiara si danno un bacio un po’ più lungo sulla guancia, ma il futuro marito sembra non notarlo. Ritorniamo alla macchina e io tolgo subito gli stivaletti che mi stanno distruggendo i piedi, reclino il sedile leggermente indietro e raccolgo i capelli di nuovo in una coda disordinata. “La conoscevi?” Gli chiedo. “Ho avuto modo di incontrarla in altri momenti.” La sua voce non lascia trapelare nessun’altro tipo d’informazione. Poi un dubbio mi assale. “Oh mio Dio, ci sei andato a letto?” Sono esterefatta, sta organizzando il matrimonio di una sua ex. “Se vuoi metterla su questo piano… Si, ci siamo divertiti qualche volta, ma molti anni fa.” Penso che questa sia una delle peggiori situazioni in cui potevo imbattermi, e lui come può rimanere così imibile. Mi volto dall’altra parte e non riesco più a parlargli per il resto del viaggio. Sono le quattro quando giungo nella nuova casa, prendo la mia roba e una vecchia governante mi accompagna nel luogo dove alloggerò. Non saluto nemmeno Mike, non riesco a guardarlo in faccia, mi chiedo che razza di uomo sia per mettere i soldi davanti ai sentimenti in questo modo.
Capitolo 19
La dependance è molto accogliente, c’è una cucina completamente bianca e con una porta finestra enorme, coperta da due tende voluminose che cadono sul pavimento. L’angolo cottura è piccolo ma ha tutto ciò che serve per i rari momenti di convivio previsti. C’è un’unica spaziosissima camera da letto con quattro letti separati agli angoli, una cabina armadio a cui si accede attraverso una porta scorrevole e due scrivanie illuminate ai lati della stanza. Una porta dà sul terrazzo da cui si può ammirare il parco della villa. Gli altri si sono già sistemati nei loro letti, per me rimane il letto appena sotto la finestra. Infine il bagno è dotato di una vasca con funzionalità anche di doccia e tutti i servizi del caso. I miei compagni sono usciti per conoscere i rispettivi partner e dovrò attenderli fino a cena. Inizio a disfare le valigie e a sistemare il tutto nella cabina, ormai è diventata una routine, forse è meglio se mi risparmio la fatica. Sono le sei e nessuno si è ancora fatto vivo, decido di farmi una bella doccia rilassante, evito di fare il bagno per non rischiare di nuovo di annegare. La sensazione dell’acqua calda che scivola sui miei capelli e sul corpo è meravigliosa, sebbene fuori sia piena estate. Indosso l’accappatoio e mi asciugo i capelli. Il rumore del phone copre qualsiasi altro rumore, noto solo all’ultimo una figura che traspare dallo specchio oscurato dal vapore. Faccio un balzo all’indietro e vedo che è Lorenzo, dunque spengo il phone. “Mi scuso per averti spaventata.” Dichiara. “Tranquillo, ma non farlo mai più sono sensibile a certe cose.” Riprendo a pettinarmi i capelli ancora umidi. “Hai conosciuto la persona che dovrai affiancare?” “Si, una donna un anno più vecchia di me ed è anche affascinante oltre ad essere intelligente e competente.” Gli calpesto un piede e lui fa una smorfia di disapprovazione, ma intuisco dal suo sguardo che l’ha detto per farmi ingelosire. “Com’è andato il viaggio in macchina?”
“Bene, ho conosciuto la coppia a cui organizzerò il matrimonio. Sarà divertente credo.” Accenno un sorriso, non voglio rivelare altro del pomeriggio disastroso. Lorenzo mi prende la spazzola dalle mani e inizia a pettinarmi i capelli, sciogliendo così molti nervi che ho provato. “Scusami perché non ho saputo reagire, ma non volevo essere sbattuto fuori dal progetto ancor prima di averlo iniziato.” “Non devi farti certi riguardi” lo rassicuro “In fondo non abbiamo nessun dovere l’uno nei confronti dell’altra, e viceversa.” “Hai ragione.” Conferma lui “E la cosa non ti dà nessun fastidio?” “Direi di no, al momento mi basta vincere la paura di avere un amico come uomo.” “Addirittura la chiami paura?” si meraviglia di udire queste mie ultime parole. Io mi limito a sorridere, non ho proprio voglia ora di ripetermi sulla storia della mia vita. “E avresti paura se ti baciassi il collo?” Mi volto verso di lui, proprio non mi aspettavo da parte sua una domanda così provocatoria, ma non faccio in tempo a dirglielo che lui mi bacia. Le sue mani afferrano i miei fianchi e mi fanno sedere sul piano in marmo del lavandino. “Fermati Lorenzo, non voglio.” “Solo un altro bacio per favore.” Gli concedo di rubarmi un altro bacio, in fondo non mi dispiace, è dolce come sempre ma questa volta ci mette maggiore ione. Le sue labbra si spostano sulle mie guance e poi sul mio collo. “Hai ricevuto il tuo bacio, ora lasciami andare.” Lui scosta la spallina del mio accappatoio e appoggia le sue labbra sulla mia spalla, mentre la sua mano sinistra cerca di arrivare al mio seno. Lo spingo via con forza, scendo e lo schiaffeggio. “Ti è dato di volta il cervello?” sono furibonda, ora lo vedo sotto un altro aspetto, per quanto gentile e premuroso sia nei miei confronti, rimane pur sempre un uomo. “Non potevo resisterti, mi dispiace.” Abbassa lo sguardo. “Non accadrà mai più, perdonami.” Mi avvicino e lo abbraccio. “Perdonato, ma non farlo mai più, non sono
interessata a questo genere di cose.” Mi abbraccia e ritorniamo in camera. “Sarà dura dormire nella stessa stanza per tre settimane e fare il bravo bambino.” “Sono sicura che non deluderai le mie aspettative.” Ridiamo come se avessimo fatto una normale chiacchierata tra amici. “Stasera le ragazze sono a cena con i loro tutor, pare che saranno spesso in trasferta, mentre io dovrò ogni tanto recarmi a Roma per alcuni dettagli, sembra infatti che faranno la cerimonia civile a Roma il giorno prima, per poi sposarsi sul Lago di Garda, ma ritornerò a dormire qui quasi sempre.” Lo ascolto attentamente, conosce già molti dettagli, mentre io so solo i nomi e i volti dei miei clienti. “Vado a farmi la doccia perché alle nove e mezza devo incontrare Samantha per stabilire l’atelier da visitare per l’abito da sposa, tu hai impegni?” “Nessuno, penso che andrò a dormire presto così sarò fresca come una rosa per il primo giorno di lavoro.” “Beata te!” esclama mentre chiude la porta del bagno.
Mi distendo sul letto e quando riapro gli occhi, ormai è buio. Accendo la luce del comodino e trovo un biglietto scritto da Lorenzo. <Buonanotte, a più tardi> recita la scritta. Sono ancora in accappatoio, mi alzo e mi metto il pigiama. Meglio se mangio qualcosa per affievolire la voragine del mio stomaco. Guardo nel frigo e trovo solo del pane in cassetta e marmellata, per questa notte andrà bene anche così. Spalmo la marmellata abbondante e mi siedo sul divano per gustarmelo davanti un bel film. Qualcuno bussa alla finestra, è Lorenzo e tiene in mano un sacchetto, sembra cibo, corro ad aprirgli. Mi spiega che è stato in un pub con Samantha e ha ordinato un menù abbondante e ha pensato di portarmi a casa patatine e wurstel, idea più che azzeccata direi. Ci mettiamo sul divano e continuiamo a guardare il film, dopo poco rientrano anche Marta e Jessica e si uniscono alla serata. Parliamo della giornata e sorseggiamo la pessima birra comprata da Marta in un
discount. Non so che ore sono quando ci addormentiamo, ricordo solo il terribile mal di testa che mi ha assalito la mattina appena svegliata.
Capitolo 20
Sento la testa scoppiarmi, sono ancora distesa sul divano e ci sono solo io nella stanza. Mi alzo e vado nella veranda, c’è una sedia a dondolo e mi accomodo per godere del venticello fresco mattutino. Vedo attraverso le finestre Jessica preparare il caffè, anche lei mi nota e mi raggiunge. “Oggi inizia una nuova vita.” Mi dice. “Si, chissà cosa ci aspetta.” Lei si limita a sorridere e ritorna in cucina dove l’attendono Lorenzo e Marta, li saluto ma il mal di testa è ancora troppo forte per fare colazione con loro. Opto per una doccia di dieci minuti, giusto per risvegliare tutti i neuroni. Mi metto il vestito verde del giorno prima e mi siedo con loro a tavola. “Ti sta bene quel vestito.” Interviene Lorenzo. “Grazie, è comodo e non ne ho molti adatti al mio nuovo ruolo.” In realtà ho solo i tre abiti che mi ha regalato Mike, ma dovrò trovare il tempo di andarne a comprare qualcun altro. “Secondo me anche l’azzurro ti dona.” Mi dice mentre sorseggia il suo caffè. “Che carino, fa l’innamorato dolce.” Lo beffeggia Marta. Il clima è armonioso e penso mi piacerà condividere le mie serate con queste persone. Stiamo ancora ridendo quando qualcuno bussa alla porta, Lorenzo va ad aprire e il suo sguardo si fa serio. “Deby è per te.” Mike entra e mi guarda. “Però, ti sta davvero bene il vestito che ti ho regalato.” Lo so che lo dice solo per infastidire Lorenzo e infatti, dall’espressione cupa di quest’ultimo è riuscito nell’intento. “Ora sbrigati, abbiamo alcune commissioni, e anche voi, tra mezz’ora arriveranno i vostri partner.” Le ragazze scappano a prepararsi, mentre Lorenzo rimane immobile di fianco
alla porta. Io raccolgo borsa e scarpe e mi dirigo all’uscita, mentre Mike mi ha già preceduto. Lorenzo mi afferra per un braccio e mi trascina a se, in un secondo mi travolge con un bacio. “Lo so che devo comportarmi bene, ma non sono contento di quello che indossi.” “Fidati di me.” Sono le uniche parole che riesco a dirgli. Mike si schiarisce la voce e posso capire che sta osservando la scena. Mi svincolo dalla presa ed esco, Mike si avvia velocemente verso il viale che conduce ai garage. Saliamo in macchina e partiamo per la prima giornata di lavoro, io non ho ancora nulla da dirgli e lui sembra poco interessato dalla mia presenza. “Ho spostato l’appuntamento con i nostri clienti nel pomeriggio, li porteremo a scegliere i rispettivi abiti per la cerimonia. Io seguirò Sebastiano, mentre tu ti occuperai della sposa.” “Come? Io non l’ho mai fatto prima, lo sai…” cerco di svincolarmi da questo impegno, non sono all’altezza. “Non cercare scuse. Vi lascerò davanti all’atelier e tornerò a prendervi stasera prima di cena.” “Se abbiamo l’appuntamento questo pomeriggio perché sei venuto a prendermi così presto?” “Perché come mia assistente devi essere all’altezza delle aspettative anche nelle apparenze.” Si ferma davanti a un negozio di abiti firmati. “Io non posso permettermeli.” “Io si.” Scendo e lo seguo all’interno del negozio. Saluta una delle commesse e le sussurra qualcosa all’orecchio. La commessa mi guarda sorridendo e si avvicina a me. “Ha una quarantadue signorina giusto?” Mi chiede. “Si.” Le dico timidamente. Ci conduce entrambi al piano superiore dove sono esposti un’infinità di abiti. Mi
mostra molti modelli e ne provo almeno una ventina ma nessuno mi soddisfa. “Ne vorrei provare uno azzurro.” Le chiedo. Lei mi mostra una gonna in lino azzurra, con il coprispalle abbinato. Mi propone una camicetta in pizzo leggera, bianca. Mi piace ma il prezzo è esagerato. Mike però ordina di metterlo in cassa e di continuare con la scelta degli abiti, prendo anche due paia di pantaloni neri e un vestito intero marrone, la gonna è corta e stretta a metà coscia e il top aderisce alle mie forme. Sono imbarazzata ma Mike insiste perché io lo prenda. “Per oggi pomeriggio ti farò preparare questo.” Mi presenta un vestito porpora, con le spalline bianche e una fascia bianca intorno alla vita. È bellissimo, la gonna arriva fino alle ginocchia, ci aggiunge dei sandali bianchi con il plateaux e una borsa bianca. “Davvero, non posso accettare tutto questo Mike, non saprei nemmeno come ripagarti, ho pochi soldi con me.” Mike m’ignora e vedo che confabula di nuovo con la commessa. Le consegna qualcosa e la commessa se ne va, lasciandoci soli. “Vuoi ripagarmi?” mi chiede dandomi le spalle. “Allora cerca di essere l’assistente di cui ho bisogno. Non deludermi con le mie clienti e non fare domande inappropriate nei loro confronti.” “Stai alludendo a quello che ti ho detto ieri. Perdonami ma non riesco a capire come fai a rimanere imibile nell’organizzare il matrimonio di una tua ex.” “Non sono imibile, solo che con quella ragazza ci siamo divertiti. Abbiamo trascorso qualche notte insieme, ma tra di noi non c’è mai stato amore.” “Intendi dire che tu non provi nulla per le ragazze con cui vai a letto?” Questa idea mi disgusta ancora di più, giocare così con i sentimenti altrui. Lui si gira verso di me e si avvicina lentamente, mi guarda con i suoi occhi verdi e noto che stamattina non si è fatto la barba. “Ah, Deby, Deby, come sei innocente.” È di fronte a me e posso sentire il suo respiro sui miei capelli. Tengo lo sguardo rivolto al pavimento, non ho il coraggio di guardarlo in faccia e so che se provassi ad allontanarmi istigherei il suo ego nei miei confronti. “Adoro questa tua innocenza, mi attrae come una
calamita.” “Per quanto mi riguarda, invece, sono sprezzante verso questa tua condotta morale.” “Non essere così severa, dovresti lasciarti andare ogni tanto.” Sento chiaramente il rumore del suo cuore, sembra agitato almeno quanto il mio. Se solo capissi i suoi reali pensieri forse potrei conoscerlo meglio. “I tuoi tentativi di seduzione non mi tangono minimamente.” Vorrei che la commessa tornasse ora per togliermi da questa situazione. “Ne sei sicura?” inizia ad accarezzarmi i capelli e gioca con la mia coda. “Forse è meglio se non vai oltre, la commessa potrebbe arrivare da un momento all’altro.” Cerco di trovare una scusante perché distolga le sue attenzioni da me. “Non preoccuparti, grazie alla mancia che le ho lasciato, abbiamo mezz’ora per discutere di alcune questioni.” “Quali questioni?” gli chiedo mentre lui continua ad arrotolarsi i miei capelli sulle sue dita. “Questioni come l’attrazione che provi per me, il fatto che cerchi di farmi ingelosire stando appiccicata a quel Lorenzo. Mi sembra di averti già detto che impazzisco ogni volta che vi vedo insieme, e stanotte non ho chiuso occhio al pensiero che dormivate nella stessa stanza.” Afferra la mia testa e la mette contro il suo petto, ora posso distinguere perfettamente i suoi battiti cardiaci, sono molto veloci. “Non cerco di farti ingelosire. Solo che Lorenzo non mi tratta come te, mi rispetta e non mi tocca se non voglio.” Il suo cuore è come una ninna nanna e il suo profumo riesce ad inebriare il mio olfatto. Cosa mi sta succedendo? Non ero mai stata attratta così da nessuno, vorrei staccarmi da lui ma le mie gambe non si muovono. “Vuol dire che lui ti ha toccata?” afferra il mio volto tra le sue mani e mi costringe a guardarlo negli occhi. Non rispondo perché non so come potrebbe reagire, potrebbe cacciare Lorenzo e io non me lo perdonerei. Alla fine scuoto la testa come per negare quello che mi ha chiesto, ma lui sembra non credermi. Mi
solleva e mi fa sedere sulle sue ginocchia in una poltrona, solo in questo momento cerco la fuga, sento che la situazione sta precipitando, ma lui mi tiene stretta e appoggia la sua testa sul mio ventre. Assomiglia ad un bambino piccolo, è la seconda volta che lo vedo regredire ad uno stadio infantile. Poi alza la testa e appoggia le sue labbra sul mio braccio, sento la sua mano scorrere sulla mia schiena e vedo lo scollo del vestito allentarsi. Lo afferro prima che possa cadere, per indossare il vestito ho dovuto togliere il reggiseno e lasciarlo cadere significherebbe rimanere quasi nuda. Lui questo lo sa perché fa scorrere le dita sulla mia schiena scoperta. “Mike, non mi piace questa situazione, io non provo attrazione per te. Anzi, al momento non sono sicura di essere realmente attratta da nessun uomo.” Lui non mi ascolta, odio quando si comporta così. “Dimmi, ti ha baciato il collo?” “Non ho alcuna intenzione di rispondere alle tue provocazioni.” Affermo con decisione, riesco ad alzarmi e mi dirigo verso il camerino per cambiarmi. Lui mi raggiunge e mi abbraccia. Davanti a noi lo specchio del camerino riflette le nostre immagini e lui fissa la mia figura. Io rimango inerme, qualcosa si sta muovendo dentro di me ma non capisco di cosa si tratti. Lui afferra il mio mento e inizia a baciarmi il collo, la sensazione m’induce a chiudere gli occhi. Sono tutte emozioni nuove ed io non riesco a gestirle, in due settimane la mia vita è cambiata radicalmente. Non ero pronta per nulla di tutto ciò. Lo intravedo mentre abbassa la spallina del vestito, riesco a bloccargli la mano in tempo, non volevo succedesse ieri con Lorenzo e non voglio succeda oggi con lui. Sento che mi morsica leggermente il punto che sta baciando e poi alza il suo sguardo per incrociare il mio attraverso lo specchio. Sono seria e questo deve farlo impazzire del tutto perché, girandomi verso di lui inizia a baciarmi con ione. Abbassa entrambe le spalline del vestito e lo fa cadere a terra. Mi lascio guardare, sono totalmente ipnotizzata, davvero desidero che quest’uomo mi guardi in questo modo? Cosa m’impedisce di fermarlo? La sua bocca sfiora leggermente le mie scapole e arriva al mio seno, lo bacia dolcemente un paio di volte e io emetto un mugolio. È in quel momento che si blocca e alza il suo sguardo verso di me, mi sorride e mi avvolge nella sua camicia. “Perdonami” mi sussurra “Ti sto costringendo a qualcosa di cui non sei sicura nemmeno tu.” Poi si stacca e prende in mano il vestito. “Rivestiti mentre consegno questo in lavanderia, tra un paio d’ore lo iamo a ritirare.”
Mi lascia seminuda al centro dell’ambiente. Mi guardo attraverso lo specchio e vedo una donna che non avevo mai considerato. Sono io, ho diciannove anni, sono alta e longilinea, le mie gambe sono snelle e il mio corpo è tonico grazie a tutte le ore ate in piscina. Il mio seno è sodo come quello di una giovane donna e il mio viso non è più quello di una ragazzina. Per la prima volta non vedo più riflessa nello specchio l’immagine di una tredicenne bassa e cicciotella, con l’apparecchio priva di ogni stima di se stessa a causa di tutte le cattiverie che le vengono dette. In questo momento sono anch’io corteggiata da due uomini, mi avvicino allo specchio e abbozzo un sorriso a me stessa. Sono anch’io una giovane e bella donna, e oggi pomeriggio m’impegnerò per iniziare la scalata verso il successo.
Capitolo 21
Mi rivesto e raggiungo Mike in atrio, salutiamo le gentili commesse e ci avviamo verso la macchina. Lui cammina due i avanti a me e con i tacchi così alti non riesco andare veloce quanto lui. Non dice nulla per il resto del tragitto e comunque neanch’io saprei cosa dirgli di preciso. Sono curiosa di sapere dove mi sta portando, e non tardo a scoprirlo. È un bellissimo salone di bellezza, dove una ragazza giovanissima mi fa accomodare su una poltrona massaggiante mentre mi lava i capelli. Mi da un iPod dove sono elencate oltre cinquecento canzoni italiane e straniere, ovviamente cerco subito quelle di Lucio Battisti, e inizio ad ascoltare Giardini di Marzo. L’atmosfera è ottima e io mi lascio coccolare dall’ambiente. Con la coda dell’occhio vedo Mike seduto su un divano all’entrata, beve un caffè e legge il giornale. Ogni tanto controlla il suo cellulare, chissà se sta aspettando una chiamata di lavoro oppure l’ennesima donna da strapazzare. Eccolo mentre si alza ed esce dal negozio, parla al telefono e si accende una sigaretta, la fuma lentamente e sembra gustarsi il momento. Rientra dopo dieci minuti, mentre mi fanno la piega. Lo sento mentre dice alla parrucchiera di fare con calma perché deve assentarsi per un po’. “Dove vai?” Gli urlo, ma lui senza voltarsi mi saluta con la mano. Io continuo il mio trattamento, anche se la sensazione di benessere che prima invadeva il mio corpo ora si è sostituita all’ansia di sapere dove trascorrerà i prossimi minuti. Ne approfitto per farmi sistemare le unghie, sono lunghe ma irregolari. Opto per farmi applicare uno smalto rosa perlato e mi faccio aggiungere qualche disegno. Ho ormai finito quando Mike entra e paga il conto. Mi fa cenno di uscire, ringrazio, saluto tutte e lo raggiungo. “Grazie.” Gli dico, ma lui continua a non rispondere. Non capisco perché si rifiuta di parlarmi, in fondo io non ho fatto nulla di male. Lui mi ha provocato, lui stava per superare il limite, lui ha deciso di fermarsi dopo avermi soggiogato.
Una lacrima cerca di scendere dal mio occhio, ma non gli darò anche la soddisfazione di vedermi soffrire. Saliamo di nuovo in macchina e la corsa riparte.
È mezz’ora o poco più che corriamo e ancora lui non ha aperto bocca, non dice nemmeno dove stiamo andando, anche se deduco che è quasi ora di vedere i nostri clienti. Sento la pancia che rumoreggia per la fame e ricordo di non aver mangiato nient’altro oltre la colazione. Lui deve essersene accorto perché parcheggia vicino un bar molto carino, entra e mi prende due tramezzini e una bottiglia di acqua. Li mangio senza dire nulla, mentre lui riprende la corsa. “Puoi dirmi dove stiamo andando, per favore, il tuo silenzio mi sta uccidendo…” gli dico, mi fa sentire come se fossi io la colpevole di tutto, ma non è così. Le lacrime cercano di nuovo di uscire e dirigo il mio sguardo oltre il finestrino. “Stiamo andando ad incontrare gli sposi in un rinomato atelier fuori Milano.” Risponde lui, ma cala di nuovo il silenzio. “Riguardo a prima…” cerco di trovare la forza di spiegare ciò che stava per succedere. “Tranquilla, sto facendo ammenda per il casino che stavo combinando.” La sua voce è stranamente calma. Sembra davvero che si voglia assumere la colpa, se poi si può definire tale. “Che stavamo combinando.” Lo correggo. Lui rimane nuovamente in silenzio, però appoggia la sua mano sul mio ginocchio scoperto dalla gonna. Non gliela tolgo, quest’uomo ormai mi ha coinvolto nel suo gioco e io sto rischiando di rimanere stregata dai suoi modi di fare e dalle sue idee. “Vuoi dire che se succedesse di nuovo…” “Non deve succedere di nuovo, solo dicevo che prima mi ero lasciata andare, ma
desidero non succeda più. Voglio imparare ad essere un’ottima assistente, non un’ottima amante.” Inizia a tamburellare le dita sul mio ginocchio. “D’accordo, però non posso promettere da parte mia di poterti resistere.” “Perché con tutte le ragazze che ti girano attorno hai deciso proprio di divertirti con me?” sbotto improvvisamente. Lui toglie la mano dal mio ginocchio e accosta la macchina. Siamo arrivati a destinazione e il negozio è enorme. Mike scende e va incontro alla giovane coppia, io mi asciugo le lacrime ed esco a testa alta. Sono pronta a risolvere il dilemma dell’abito perfetto per questa bellissima ragazza che conosce sfumature di Mike che io non ho potuto intravedere ancora, però allo stesso tempo rimango in attesa di ricevere la risposta ad una domanda così importante.
Capitolo 22
Raggiungiamo i nostri clienti. Ci stanno aspettando all’ingresso di un enorme negozio, tutto decorato con fiori bianchi, tende bianche e soprattutto tonnellate di vestiti da sposa. Un brivido attraversa il mio corpo, mai avrei immaginato di trovarmi tra tanto tessuto per spose così presto. Mike nota la mia reazione e ride. Mi da un colpetto sulla spalla e m’indica la direzione in cui devo andare con Chiara. “Mi raccomando, solo il meglio per le nostre clienti.” E mi fa l’occhiolino. Una commessa sulla quarantina, vestita come se dovesse andare ad un congresso ci accoglie raggianti ed insieme ci dirigiamo nel suo ufficio. “Innanzitutto desidero conoscere la futura sposa e capire i suoi desideri.” Dice la commessa, leggo nel cartellino sul lato sinistro della giacca il suo nome, Gaia. Chiara inizia a chiarificare che vuole qualcosa di semplice ed esagerato allo stesso tempo, vuole sposarsi in bianco e vuole essere meravigliosa. “Hai già in mente qualche abito?” le chiedo. “No, non ho visto molti cataloghi, preferisco affidarmi a quello che mi proporrete voi.” La vedo molto titubante. “Bene, Gaia, se lei è d’accordo visionerei i primi capi con lei prima di proporli alla nostra cliente.” Gaia mi fa un cenno di assenso con la testa e usciamo dall’ufficio. Mentre Chiara si accomoda in un camerino enorme e si prepara in vestaglia, io e Gaia andiamo nei magazzini del negozio per capire cosa meglio si addice a lei. L’ansia inizia a pervadermi, non ho mai fatto nulla di tutto questo e di certo non sono la maestra del buon gusto. Se fallissi e Mike decidesse di licenziarmi sarebbe la fine per me. Devo impegnarmi e inventarmi qualcosa al più presto.
“Lei aveva qualche idea per la sua cliente?” Gaia interrompe i miei pensieri. Mi guardo furtivamente in giro per farmi venire delle idee al più presto. “Vorrei vedere tutti i vestiti bianchi con la gonna.” Gaia mi guarda perplessa. “Certo, sono quasi tutti così, qualche altro indizio per restringere il campo di ricerca?” sento le mani sudate e inizio ad agitarmi. Forse anche la mia voce è titubante. “Gonna larga, penso che andrà bene.” “Primo giorno al fianco di Mike?” “Come ha fatto a capirlo?” “Mike è molto esigente con i suoi collaboratori e tende a fare quest’effetto. Rilassati e pensa solamente a cosa potrà far sembrare una principessa la nostra cliente.” “Le principesse hanno il vestito largo e il bustino stretto. Penso che qualcosa di scollato ma non provocante potrebbe starle bene.” “Ti faccio vedere alcuni modelli.” Gaia è molto gentile ed è riuscita a farmi calmare. Mi mostra una decina di vestiti, tutti bianchi. Alcuni hanno una gonna lunga e larga altri sembrano avere delle code di sirena. Ne scelgo tre abbastanza simili, con perline sul corpetto e delle gonne lisce senza strascico. Sono semplici ma abbelliti per dare importanza al tutto. Raggiungiamo Chiara ed io attendo nel salottino che precede il camerino, mentre Gaia e una sarta fanno provare i vestiti, purtroppo nessuno dei tre ci convince. Le gonne sono troppo semplici e le perline non le vedo troppo bene su di lei. Chiedo a Gaia di mostrarmi dei vestiti con la gonna lavorata ma con un corpetto più semplice e senza maniche. Sono subito accontentata, e scelgo due modelli, le gonne sono larghe e lavorate con swarowski e fiori ricamati, uno dei due ha il corpetto decorato con altri cristalli e trovo che le dia molta luce. Chiara è entusiasta di questo modello, ma io no. Penso che possa indossare qualcosa di meglio. Dico a Gaia di riportarmi nel magazzino e di mostrarmi altri modelli.
Inizio dai corpetti, cerco dei corpetti lavorati, ma non da fiori, pietruzze eccetera, bensì il tessuto dev’essere lavorato con altro tessuto. Alcuni modelli attirano la mia attenzione e li esamino, le gonne però sono troppo semplici. Gaia, pazientemente mi mostra altri modelli ma ancora non mi convincono. Poi vedo una gonna particolarmente trasparente tra i tanti vestiti. Mi faccio estrarre il vestito e capisco che è lui, rispecchia perfettamente le forme della mia cliente e allo stesso tempo è elegante ed elaborato nel suo insieme. Lo porto correndo a Chiara e la invito a provarlo. Non sembra convinta, mi ripete più volte che ormai è decisa a prendere l’altro. “Chiara, provarlo non costa nulla, se non ti piace prenderai l’altro.” La esorto. La convinco ma non sembra felice. Attendo un quarto d’ora nel salottino e sono sempre più convinta della mia decisione. Finalmente esce. Il corpetto senza maniche avvolge perfettamente il suo busto finissimo e le rose ricamate con del pizzo bianco danno spessore ed eleganza all’abito e riesce a far risaltare le sue spalle scolpite dalle ore di palestra. Che invidia! La gonna è il pezzo forte, puro pizzo, strati e strati di tulle riassunti in tre livelli divisi nella parte anteriore in tre strati e riuniti in un unico strascico. Alla base di ogni strato dieci centimetri di pizzo lavorato a forma di rose da ancora più eleganza alla creazione. Per finire il tulle è interamente decorato con altro pizzo a forma di piccolissime rose. E Chiara sembra una vera principessa, pronta per essere incoronata. La vedo davanti allo specchio mentre si commuove e si guarda attentamente. “Oh, mio dio, è lui, come lo sapevi?” le sorrido e l’abbraccio. “Complimenti, sei stupenda.” Le dico. Mentre la sarta prende le misure corrette per l’abito io mi appresto a firmare tutte le carte per ordinarlo e mi assicuro che tutte le cose vengano fatte nel migliore dei modi. “Non ti preoccupare” mi rassicura Gaia “Abbiamo sempre un occhio di riguardo per le clienti di Mike.” E mi fa l’occhiolino.
“Vorrei prendere appuntamento per venire a scegliere scarpe e biancheria.” Affermo. “Mike se n’è già occupato, ci rivediamo alla prima prova dell’abito la prossima settimana.” “Ti ringrazio.” Soddisfatta per il mio operato, recupero Chiara e ci dirigiamo di nuovo all’ingresso. Gli uomini sono comodamente seduti al bar, mentre sorseggiano un caffè, li sento discutere di affari e s’interrompono quando ci vedono. Ci sediamo al tavolo con loro e ordiniamo il nostro caffè. “Allora,” esordisce Mike “Com’è andata?” Si rivolge a Chiara e sembra ignorarmi. Sembra atteggiarsi da uomo d’affari che vuole capire se il suo affare è andato in porto, oppure se è saltato. Chiara sorride e gli spiega che ha trovato l’abito dei suoi sogni e che gliel’ho trovato proprio io. Mike accenna un sorriso di compiacenza. “Sono felice di vedere la sposa soddisfatta.” Ora mi lancia un’occhiata ma non riesco a capire cosa pensa. “Se siete d’accordo ci vediamo domani mattina per scegliere il fotografo e il ristorante.” “Ricordati che devo andare anche a provare l’acconciatura” gli fa notare Chiara. “Non preoccuparti, la mia validissima assistente ti accompagnerà domani pomeriggio, trucco e parrucco saranno risolti grazie ai suoi validissimi consigli.” Chiara ride ma non sembra dispiaciuta, forse oggi le ho fatto capire che può fidarsi di me. Ci salutiamo e ognuno ritorna alla propria macchina. Mike indossa i suoi Ray-Ban e m’impedisce di capire qualsiasi suo pensiero. Lo fisso per tutto il viaggio. Dopo mezz’ora si ferma di nuovo nel negozio di vestiti dove mi ha portato la mattina. “Aspettami qui.” Esce con gli abiti che mi ha acquistato e li appoggia sul sedile posteriore del suv. “Grazie mille.” Gli dico timidamente, ma lui non dice ancora nulla.
Ritorniamo a casa, sono le sei e noto che la dependance è ancora vuota. Scendo e lo saluto. “Ci vediamo domani ragazzina.” Esclama ancora dietro gli occhiali neri, avrei voluto vedere meglio i suoi occhi e scambiare qualche parola in più con lui.
Capitolo 23
Entro in casa e getto subito le scarpe al vento. I miei piedi implorano pietà, giuro che con la prima paga mi prendo uno stock di pantofole eleganti per andare agli appuntamenti. Getto la borsetta sul tavolo e mi metto subito in tuta. Ho mangiato poco, ma sono talmente stanca che non ho voglia di cucinarmi nulla. Prendo il barattolo di nutella dallo scaffale e inizio a spalmarla sul pane e su una banana. Stasera voglio farmi del male. Mi metto in veranda e assaporo l’inquietante cena. Sento il telefono squillare. Rispondo ed è Lorenzo, mi avvisa che non torna stanotte e che le ragazze faranno tardi. Non sono dispiaciuta, non saprei come guardarlo negli occhi dopo quello che è successo oggi. Mi piace il modo di fare di Lorenzo, ma Mike riesce a ipnotizzarmi e ad attrarmi, in un qualche modo l’inquietudine che mi trasmette la trovo più affascinante delle sensazioni positive che mi dà Lorenzo, e questo mi fa star male. Non avevo mai considerato l’ipotesi di poter provare qualcosa per un ragazzo, figuriamoci essere in balia di sentimenti verso due uomini nel giro di pochi giorni. Guardo il tramonto e inizio a rilassarmi. Mi rendo conto di essere circondata da un giardino immenso e meraviglioso, un po’ simile a quello che si vede nei cartoni della Disney, e da qualche parte c’è una dimora con un principe, molto lontano dall’essere azzurro ma pur sempre affascinante come quello delle fiabe. Inizio a eggiare qua e là, sono sola e voglio godermi questo momento di relax visto che domani sarà una giornata pienissima. Ripenso ai vestiti presi e domani vorrei indossare il vestito fucsia per andare dalla parrucchiera. Sfoglierò cataloghi e sceglierò l’acconciatura migliore. Vedo venire verso di me una figura femminile, mi fermo e aspetto che mi raggiunga, è la madre di Mike. La saluto educatamente mentre lei mi guarda dall’alto in basso con un velo di disprezzo. Penso sia abbastanza contrariata nel vedere una sciacquetta come me nel suo mondo, a dire il vero lo sarei anch’io e se avessi altre chances di certo non starei qui nel mondo di Barbie a far risaltare
la femminilità di altre donne. “Signorina, ho sentito che oggi ha accontentato egregiamente un’importante cliente. Mi auguro per il suo futuro che lei continui in questa direzione.” “Certamente signora, grazie signora.” Il suo telefono squilla e si volta delicatamente dandomi le spalle mentre risponde. “Ho capito, arrivo subito.” Mi fa un cenno con la mano e ritorna sui suoi i. Si volta un’ultima volta verso di me. “Cerca di non venire a piangere da me quando questo breve sogno sarà finito. In fondo l’hai capito da sola in che pasticcio ti sei messa.” E se ne va lasciandomi a bocca aperta. Davvero è stata così chiara e diretta con me? Mi odia fino a questo punto oppure non sono la prima che si trova in questa situazione? Mi chiedo a cosa alludesse, al fatto che non sono tagliata per questo lavoro, al modo in cui l’ho ottenuto o a suo figlio. Continuo il mio giro nel parco finché non è buio e decido di ritornare alla dependance. Le ragazze non sono ancora tornate e ne approfitto per farmi una lunga doccia rilassante. È impressionante, i padroni sono talmente tanto scrupolosi che ci fanno trovare anche un’infinità di docciaschiuma diversi. Opto per quello al cioccolato, giusto per tener vivo il ricordo della scorpacciata che mi sono appena fatta di nutella. Con questa tranquillità riesco a rivivere e ricordare un po’ di quello che è successo a casa. Era da molto che avevo accantonato questi pensieri e mi rendo conto che non sento nostalgia dei miei genitori, e soprattutto del loro essere così ossessivi nei miei confronti. Ricordo una delle cene organizzate per trovarmi un pretendente. Una volta mi fecero conoscere un ragazzo tanto intelligente quanto privo di personalità. A quindic’anni già sapeva parlare e atteggiarsi come il padre, un grande imprenditore, e la madre era un’elegante signora che sembrava fare da contorno. Ricordo che dopo cena mia madre ci aveva lasciati soli in terrazza, probabilmente era uno dei suoi insensati stratagemmi che ero costretta ad assecondare. Il ragazzo, di cui peraltro non ricordo nemmeno il nome, parlava tutto il tempo dell’attività di famiglia, della laurea che avrebbe conseguito per aiutare ad espanderla, eccetera, eccetera. Sicuramente è stato uno dei personaggi più noiosi con cui ho avuto a che fare. A fine serata, prima di rientrare aveva persino tentato di baciarmi, ma tutto ciò che ha rimediato è stato un pugno sullo
stomaco. Rido a quest’ultimo ricordo, non sono per niente cambiata in quattro anni, ma ora inizio a vedere un mondo nuovo. Il mondo maschile non è poi così male, forse da piccola ho sbagliato a considerare tutti gli uomini nello stesso modo e ora che vivo di più in mezzo a persone adulte e caratterialmente formate e riesco in un qualche modo a capire le diverse sfumature. Di nuovo ritorno a quel ricordo, a mia madre che dall’altra parte della vetrata assiste alla scena e il ragazzo che si piega a metà. La vedo in piedi, immobile e bianca in volto, ma gli altri non se ne accorsero. Poco dopo rientrammo ma il ragazzo non alzava la testa, chiese ai genitori di poter essere riaccompagnato a casa perché si sentiva poco bene. Ricordo che appena usciti dalla porta mia madre si infuriò e per una settimana non mi rivolse più parola. Inutile dire che non ho mai più rivisto quel ragazzo. Al tempo la presi male, non accettavo questo comportamento da parte di mia madre, ma ora è un ricordo che mi fa sorridere, sebbene non possa tuttora accettare altri incontri combinati. Sento finalmente le ragazze rientrare, ma non sono sole, con loro c’è una voce maschile. Mi affretto ad asciugarmi e vestirmi ed esco dal bagno ancora scompigliata. Sono sorpresa di vederle ridere e scherzare con Mike. “Ciao Deb!” esclamano entrambe “Unisciti a noi, stavamo discutendo dei nostri clienti.” Mi siedo con loro e li osservo parlare come vecchi amici. Marta apre una bottiglia di vino e versa un bicchiere a tutti. Ben presto la bottiglia si svuota e siamo tutti allegri. È mezzanotte e le ragazze ci danno la buonanotte, sembrano scambiarsi uno sguardo d’intesa. “Vengo anch’io!” esclamo. “E poi chi chiude la porta?” Mi chiede Marta. Le sento ridere mentre vanno in camera. Mi volto verso Mike e gli chiedo gentilmente di andare a casa perché vorrei
andare a dormire. “E se non volessi?” Sembra ancora parecchio sobrio. Non posso dire altrettanto di me, la stanza gira e le gambe sono pesantissime. “Per favore, te lo chiedo gentilmente.” Si alza e si dirige verso la veranda, facendomi segno di seguirlo. Due sono i casi, o sono davvero stupida o sono molto ubriaca perché senza esitare, lo seguo. Ci sediamo sul divano in vimini e rimaniamo ad osservare il buio. Mi piacerebbe osservarlo dal mio letto, magari con gli occhi chiusi. Magari mentre sto dormendo. Inizio a fissarlo e lo vedo particolarmente serio. Non credo che sia il momento migliore per interrogarlo su quanto successo stamattina. Mi alzo, non intendo sopportare una situazione così pesante, soprattutto da quasi ubriaca. Ma lui mi blocca afferrandomi il polso e mi costringe a ritornare seduta. Non resisto più e mi addormento. Mi sveglio perché sento del calore sulla guancia. Apro gli occhi e mi ritrovo avvolta da una giacca chiara mentre sono distesa sul divanetto e di fianco a me c’è Mike. Controllo sotto la giacca e ho ancora la tuta addosso. Il sole sta sorgendo e ho un mal di testa pazzesco. “Mike, Mike” sussurro al suo orecchio. Ci manca solo che le mie coinquiline se ne accorgano. Lo sento schiarirsi la voce. “Cosa c’è?” mi chiede frastornato. “È presto. O tardi, come preferisci, ma è meglio che torni a casa prima di colazione.” Si stiracchia e si alza. Gli o la sua giacca “Grazie.” Lui si limita ad alzare le spalle. Sembra un adolescente che è stato svegliato controvoglia dalla mamma per andare a scuola. “Ti o a prendere alle nove, fatti trovare pronta.” Si china su di me e mi bacia la fronte. Rimango seduta mentre lui scompare lentamente attraverso il giardino.
Sento il viso andarmi a fuoco. Non capisco se è semplice imbarazzo perché sento che il mio cuore sta accelerando. Mi fa male il petto e ho voglia di piangere. Devono essere gli effetti della sbornia. Regola numero uno per essere un’ottima donna manager. Mai, e dico mai, ubriacarsi durante la settimana lavorativa. Non vorrei essere colta da un infarto così giovane. Quando le gambe smettono di tremarmi, mi avvio come uno zombie verso la mia camera e mi lascio cadere in un sonno profondo.
Capitolo 24
Sono le otto quando un rumore mi sveglia. Socchiudo gli occhi e vedo un fascio di luce che colpisce la figura di Lorenzo. È chino mentre fruga dentro l’armadio. “Buongiorno.” Gli dico. Si volta verso di me, non posso mettere a fuoco il suo volto perché la luce non è sufficiente, ma lo sento mentre ricambia il mio saluto. “Buongiorno Deb, scusami, ti ho svegliata.” “Nessun problema, devo alzarmi, ho un appuntamento alle nove.” Gli rispondo. “Com’è andato il lavoro ieri?” Non lo sento ribattere. “Devo tornare via.” Si limita a tagliare corto e lo vedo di nuovo scomparire dietro la porta. Accendo la luce e noto che sono l’unica ancora a letto. Mi alzo e vado in cucina, c’è solo Marta che sta sorseggiando il caffè. “Buongiorno. Hai fatto le ore piccole stanotte.” Sento il mio viso andare di nuovo a fuoco. “Non è proprio così.” Rispondo. “Tranquilla, a chi non farebbe voglia il bel rampollo. Hai buon gusto, giovane, ricco, bello. Un po’ t’invidio, vorrei giocarci anch’io un pochino con lui.” “Marta!” urlo. “Non m’interessano quelle cose.” “Sii sincera, si vede lontano un miglio che ti desidera. Cos’avete combinato?” Non voglio rispondere a queste sue provocazioni. La sua malizia mi mette a disagio, non sono quel genere di donna e Mike salterebbe addosso anche alla damigella d’onore di sua madre pur di avere una donna. Marta mi scruta silenziosamente, percepisco che vuole chiedermi qualcosa ma non capisco se si trattenga per educazione o perché aspetta il momento migliore per assalirmi di domande. Poi improvvisamente continua. “Non dirmi che non hai mai fatto
qualche pensiero su voi due, insomma non puoi rimanere proprio imibile di fronte a tanta virilità.” Mi viene da piangere e sbotto contro di lei. “Non sono minimamente interessata a uomini che ano le loro giornate a organizzare matrimoni perfetti, ma che alla fine vedono le donne solo come atempi. Può essere bello, o affascinante, o intelligente quanto vuole, ma non è serio e uomini così a me…” Vedo lo sguardo di lei che si abbassa e sento un brivido scorrere la schiena. Mi volto e vedo Mike dietro di me. “Prego, continua.” Mi esorta, ha uno sguardo di sfida dipinto in volto e capisco di essere nei guai. “Cosa c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?” “No, è che…” Cerco di giustificarmi ma lui m’interrompe. “È tardi e non sei ancora pronta. Pensi di essere in albergo?” Mi chiede severo lui. “Non lo penso, e comunque mi avevi detto di prepararmi per le nove e sono appena le otto e mezza.” “Ti aspetto in macchina.” Lo vedo gettare un sacchetto sopra la tavola, per poi sparire dietro la porta. “Ma quella maledetta porta dev’essere sempre aperta?” Chiedo rivolta verso Marta. Lei si limita a fare spallucce mentre scompare in bagno. Afferro il sacchetto e lo apro, chissà quale nuova trovata ha stamattina. Sbircio dentro e un delizioso profumo raggiunge le mie narici. Sono due brioche ancora calde, probabilmente al cioccolato. Ora si che mi sento sprofondare, ha fatto un gesto tanto carino, mi ha dato un lavoro senza che io avessi alcuna competenza e io ancora lo sto giudicando male. In fondo non dovrei parlar male per quello che fa con le altre donne, ma la cosa mi da talmente fastidio che quasi sento lo stomaco contorcersi. Mi sbrigo a rinfrescarmi e indosso il vestito fucsia con delle decolleté bianche. Raccolgo i capelli e mi fiondo con le brioche e una bottiglia di succo di frutta fuori, mi fanno già male i piedi ma devo raggiungere la macchina il prima possibile. Non apro lo sportello, mi limito solo a bussare sul suo finestrino. Lui lo abbassa “Perché non sali?” Mi chiede.
“Scendi tu.” Gli rispondo. “Non ho tempo per scherzare.” “Eddai.” Cerco di fare una faccia tenera, di solito le ragazze fanno così per convincere i ragazzi a seguirle nel loro intento. Lui si mette a ridere e capisco che forse assomiglio più a un pagliaccio che a una persona tenera. Comunque si decide a scendere dall’auto e questo mi allieta. “Allora, cosa c’è?” è in piedi davanti a me con le braccia conserte. Io gli mostro il sacchetto con le sue brioche e il succo di frutta. “eggiatina per il parco e colazione veloce?” “Con quelle scarpe?” mi dice lui indicando i miei piedi. Sorrido e me le tolgo in una mossa non propriamente elegante e mi dirigo verso il prato. “Così ti sporcherai i piedi.” “Vorrà dire che li rilaverò.” Continuo la mia eggiata e lo sento avvicinarsi velocemente. Gli o una brioche e inizio a mangiare la mia. “Ti chiedo scusa.” Gli dico, ma lui non risponde. Sono indecisa se continuare o meno. Opto per la prima soluzione. “Purtroppo faccio fatica a capire questo tuo modo di rapportarti alle donne. Io la penso diversamente da te e non ci puoi far niente. Cerca di accettarlo.” Forse sono stata un po’ troppo dura con le parole, ma è bene che lui sappia come la penso. “Cosa ti ha spinto ad essere così acida con l’universo maschile?” “Io non sono acida.” “Acida e cinica aggiungerei.” Lo guardo sbigottita, sebbene abbia un tono di voce serio, il suo sguardo è più sereno. “Quando andavo alle medie ero bassa e grassa, e tutti i ragazzi mi prendevano in giro, compreso il ragazzo che mi piaceva.” Inizio a raccontargli quasi per inerzia i miei pensieri. “Così alla signorina Deborah piaceva un ragazzo.”
“Sorpreso?” gli chiedo. “Tu non lo saresti al posto mio?” controbatte lui. “Comunque mi piaceva un certo Emanuele. Alto, bello e sportivo. Non spiccava però per la sua intelligenza. In terza media era stato organizzato il ballo di fine anno e lui mi aveva chiesto di poter andare con me. Non potevo crederci, tra tutte aveva scelto me.” “Una fortuna.” M’interrompe Mike. “E per questo hai iniziato a odiare gli uomini?” “No, non per questo. Ma perché non si presentò mai a prendermi e quando lo raggiunsi a scuola scoprì che era andato con un’altra e per di più si stava vantando con tutti i suoi amici di aver dato buca a una secchiona insignificante come me.” Non sento Mike aggiungere altro, lo vedo semplicemente mentre sorseggia il succo direttamente dalla bottiglia. Decido di proseguire. “Tante volte ero stata presa in giro perché amavo studiare, ma addirittura sentirlo dire da lui è stata una cosa scioccante. Quello stesso giorno ho chiesto ai miei genitori di poter essere iscritta a un collegio femminile così da poter tagliare i ponti con quella brutta realtà e potermi concentrare solo sui miei studi.” Ora che lo sto dicendo a voce alta sembra un po’ assurda la mia scelta. Per l’errore di un bambino ho deciso per il mio futuro in modo così drastico. “Ho capito ragazzina.” Afferma Mike. “Davvero?” lo guardo sbalordita, è bastato così poco per calmarlo. “Certo, ora m’impegnerò per farti cambiare idea.” Rimette la mia brioche nel sacchetto e lo appoggia per terra con il succo di frutta. Mi prende in braccio e mi riporta nella dependance. “Ti porto a sistemarti e poi andiamo al nostro appuntamento.” “Mettimi giù e raccogli l’immondizia, maleducato!” Lui ride e continua a camminare. “Ci penserà il giardiniere.” Mi lavo i piedi in una piccola fontanella vicino all’abitazione mentre Mike va a prendere un asciugamano.
Sono da poco ate le nove, saliamo in auto e lui sembra non pensare più a ciò che mi ha sentito confessare a Marta. Sono quasi sollevata, forse ha capito la situazione e cercherà in un qualche modo di venirmi incontro.
Capitolo 25
Ci incontriamo alle dieci davanti un discreto negozio di fotografi. Scendo dalla macchina e vado a salutare subito i futuri sposi. Entriamo in negozio, abbiamo appuntamento con un noto fotografo e per la prima volta vedo Mike immerso nel suo mondo di affari. Rimango in silenzio di fianco al banco, dove sono esposte una decina di meravigliose foto, alcune a colori, altre in bianco e nero. Lo osservo mentre riempie il fotografo di raccomandazioni riguardo la riuscita del servizio. Sembra un’altra persona ancora, è serio, ma allo stesso tempo il suo sguardo esprime serenità e tranquillità. Gli sposi non pronunciano parola, si occupa di tutto lui, parla del parco in cui verranno scattate le foto principali, descrive come s’immagina alcune foto con la torta, quelle in chiesa e il fotografo ascolta attentamente, sembra quasi immergersi con lo sguardo dentro i suoi discorsi. “Deborah, per favore, scegli con la nostra ospite l’album migliore per le foto, noi discutiamo di un altro paio di questioni.” Vengo svegliata da questo dormiveglia dalla voce di Mike. “Si…” sembro imbambolata “Si, certo.” Lo vedo mentre mi osserva con uno sguardo interrogatorio. Faccio cenno a Chiara di seguirmi e iniziamo a guardare tra gli scaffali. Subito siamo colpite da un album rivestito di carta di riso, color ocra, con venature rosse, chiuso da un nastro alla cui base c’è un cuore rosso. Sulla copertina, ci spiega uno dei fotografi, possono essere applicate, all’interno dei due cuori, le foto degli sposi. La proposta ci entusiasma e Chiara decide di acquistarlo. Ci raggiunge anche Sebastiano e si esprime favorevole alla nostra scelta. Mike è rimasto sul retro a sbrigare alcune faccende con il fotografo e io intrattengo i nostri ospiti proponendogli di acquistare anche una cornice per avere almeno una foto in camera o in soggiorno. Chiara s’innamora di un paio di cornici semplici, il cui vetro è sorretto da delle margherite argentate e le acquista entrambe.
“Avete ampliato le spese, vedo.” La voce di Mike ci raggiunge da lontano. “Deborah ci faceva notare che sarebbe bello anche esporre qualche foto di una giornata così importante, non di racchiuderle tutte in un album.” Gli risponde Chiara. Vedo Mike sorridere, ma non per costrizione, intravedo una luce d’orgoglio nei suoi occhi. “Ottima osservazione, Deborah.” Sento il mio cuore pulsare, sono un po’ agitata. Ho preso un’iniziativa senza consultarlo e ho fatto anche la cosa giusta. “Propongo di rimandare a domani la discussione sui ristoranti, in favore della scelta della torta nuziale. Siete d’accordo?” “Certo!” esclama estasiata Chiara. “C’è una pasticceria qui vicino, molto famosa per le sue decorazioni in cioccolata.” Sento il mio stomaco rumoreggiare per il richiamo al cibo. La migliore delle occasioni per mangiare e assaporare i dolci mi è appena stata servita su un piatto d’argento e io non posso rinunciare. Vedrò ogni tipo di dolce armi davanti, e potrò mangiarli fino a svenire. Oggi è il mio giorno fortunato, me lo sento. Raggiungiamo una piccola pasticceria, appena fuori il centro città. Già da fuori si può deliziare le proprie narici con il profumo di brioches. Mike ci precede per assicurarsi che il proprietario sia disponibile ad accoglierci e dopo un minuto ci fa cenno di entrare. Il capo, un uomo sulla cinquantina, ci accoglie in modo molto caloroso e ci fa accomodare su una saletta privata. Ci mostra subito un catalogo con foto di tutti i tipi di dolci e ordina ad un cameriere di portare il vassoio con i vari tipi di creme e marmellate. Chiara e Sebastiano sono concordi sul volere un dolce a più strati, almeno cinque, precisa Chiara. Io le propongo di farlo con il pan di spagna e lei è della stessa opinione.
“Si potrebbe avere un qualcosa che richiami l’acqua?” chiede ad un certo punto Sebastiano. Nella sala cala il silenzio, il proprietario osserva chiunque pur di notare una reazione. “Sono certo che il signor Paolo saprà accontentarti.” Esclama Mike. “Giusto?” Il suo sguardo si dirige verso Paolo. “Nessun problema.” Afferma quest’ultimo. “La mia assistente, la signorina Deborah, ritornerà qui questa sera verso le sei per discutere del dettaglio, siete d’accordo?” Io e Paolo ci diamo un’occhiata, entrambi siamo allibiti da tale proposta. “Qualche problema Deborah?” prosegue Mike. “Nessuno.” Continuiamo la scelta dei gusti e delle decorazioni, ma nella mia mente c’è solo un pensiero: come uscire da quest’ennesimo pasticcio? Sono le due e Mike mi lascia davanti il negozio di parrucchiere “Cerca di dare il meglio di te, la voglio splendente quel giorno.” E così dicendo se ne va. Chiara mi raggiunge qualche minuto più tardi. “Allora, hai già qualche idea?” mi chiede con un enorme sorriso stampato in faccia, parole mi fanno sprofondare nel buio. Io non amo andare dalla parrucchiera, non ho gusto neanche per me, figuriamoci per un’altra donna. Entriamo e mi annuncio alla receptionist. Subito ci raggiunge la nostra parrucchiera e ci conduce in disparte per discutere del tipo di pettinatura. “Desidero una pettinatura sobria. Non deve far sfigurare il vestito.” Sono compiaciuta da questa affermazione. Le chiedo se preferisce raccoglierli o lasciarli naturali, ma anche lei è indecisa. “Ha qualche catalogo da mostrarci?” chiedo ingenuamente alla parrucchiera. “Certo.” Mi risponde lei.
Sfogliamo molti cataloghi e giungiamo alla conclusione che sarebbe meglio una pettinatura raccolta. “Cosa ne dici di una coda?” Le chiedo. “Ma i miei capelli sono troppo corti.” Effettivamente i capelli le arrivano alle spalle e sarebbe banale raccoglierglieli in una coda. “Cosa ne dice di uno chignon?” propone Ilenia, leggo ora il suo nome su una targhetta. Chiara sembra convinta su questa proposta, chiedo a Ilenia di procedere e di mostrarci il risultato. Mezz’ora dopo Chiara è pronta, ma non sono convinta del risultato. Come dire, mi sembra troppo tirata. Espongo questo mio dubbio a Ilenia e lei mi propone di volumizzare il tutto. Mi mostra il risultato finale e sono già più soddisfatta, ma non ancora contenta del risultato. Continua ad apparire spoglia, mi guardo intorno e noto su una vetrina una meravigliosa molletta con una rosa scintillante. Chiedo di applicarla alla base dello chignon e finalmente rivedo il sorriso sul volto di Chiara. “È perfetto!” esclama la stessa. “Si, lo penso anch’io!” aggiungo. Ilenia prende nota del tutto e scatta un paio di foto all’acconciatura. Le chiedo di poter fare anche la prova trucco e la invito a rimanere essenziale. L’ombretto è di un leggero color pesca e il lucidalabbra rosa è stupendo. Sono da poco ate le cinque e in un solo pomeriggio abbiamo deciso pettinatura e trucco. Sono soddisfatta di me stessa, pensavo di non essere in grado di aiutarla e che quindi avrei rovinato il tutto, ma le cose sono andate nel migliore dei modi. Saluto frettolosamente Chiara e chiamo un taxi. È ora di prenotare la torta.
Capitolo 26
Arrivo alle sei precise in pasticceria e mi accoglie la commessa. “Attenda qui, vado a chiamarle il responsabile.” Mi accomodo su un divanetto e inizio a guardarmi intorno. L’odore dei dolci è nell’aria e il mio stomaco reclama ancora assaggi di quelle fantastiche creme della mattina. A raggiungermi è il capo con un giovane pasticcere, un ragazzo sulla trentina, molto carino e decisamente in forma per are la giornata tra i dolci. “Buonasera, felice di rivederla.” Mi dice il proprietario. “Questo è mio figlio, Carlo. Sarà lui a realizzare i decori del dolce.” “Piacere.” Ci stringiamo la mano e ci accomodiamo di nuovo tutti al tavolo. “Dunque, il mio cliente vorrebbe qualcosa che richiamasse il tema dell’acqua. Qualche idea?” Inizio subito il discorso, tralasciando i preliminare e sperando di giungere quanto prima all’obiettivo. “La torta per quanti invitati è?” mi chiede Carlo. “Duecento.” Gli confermo. “Avete già deciso la farcitura.” Continua. “No.” Vedo il loro sorriso spegnersi. “Però siamo tutti concordi che deve avere almeno cinque piani e deve avere il pan di spagna.” Quest’ultima affermazione non aiuta l’atmosfera. “Facciamo così.” Mi propone Carlo. “Prenderò del pan di spagna e glielo farò assaggiare con diverse creme. Lei mi dice quale preferisce. Va bene?” Le mie orecchie non possono udire parole migliori. “Certo. Ottima idea.” Lui e il padre ritornano dalla cucina poco dopo con due vassoi di assaggi e li
appoggiano sul tavolo. I miei occhi sono innamorati di quella sublime visione e vorrei mangiarli senza dovermi soffermare su quale sia il migliore. “Io devo andare, tornerò tra un’ora per capire quale decisione ha preso.” Il padre ci saluta e si avvia sul retro della bottega. “Puoi iniziare.” Mi esorta Carlo. Afferro il primo quadratino di pan di spagna e ci spalmo sopra della cioccolata fondente. È delizioso, ne mangerei fino a scoppiare. “Allora cosa ne pensi?” Mi chiede sorridendo. “Ottimo, grazie.” Alzo lo sguardo e lo vedo perplesso. “Intendevo dire… Sono sicura che alla mia cliente piacerebbe.” “È la prima volta che aiuti Mike?” mi chiede. “Si nota così tanto?” chiedo a mia volta, lui si limita a ridere. Sembra proprio divertito e ho quasi l’impressione che voglia telefonargli per fargli notare quale assurda assistente si è trovato. “Mike è molto scrupoloso, non ha mai permesso ad altre persone di scegliere senza una sua supervisione diretta. Deve avere una grossa fiducia in te per affidarti tale potere decisionale.” Faccio spallucce e lui prosegue. “Ad ogni modo non pensare a ciò che piace a te, cerca di capire cosa potrebbe piacere alla sposa.” “E come faccio a capirlo?” gli chiedo. “In base alla sua personalità.” Esclama lui. Ancora non riesco a capire, è pur sempre una torta, se è buona e ben presentata per l’occasione, cosa cambia. Carlo si a le mani tra i capelli. “L’hai mai fatto prima?” Scuoto la testa. “Mike dev’essersi rincoglionito.” Si tappa la bocca con una mano. “Scusa il termine.” “No, hai perfettamente ragione, neanche ci credo nei matrimoni e sono qui a
cercare di organizzarne uno.” Lui mi ascolta serio e io sono mortificata della situazione in cui mi trovo. “Ascolta, Deborah.” La sua voce sembra quella di un fratello maggiore. “Vai a casa e torna domani mattina alle cinque. Il negozio sarà chiuso, ti porto in cucina, mentre preparo qualche dolce ti aiuto nella tua decisione. Pensi di potercela fare?” Annuisco. “Ma chi spiegherà…” Lui m’interrompe. “Non ti preoccupare, mio padre capirà e io avviserò Mike che c’è stato un disguido e che domani mattina risolverò tutto.” Mi sento rassicurata. Lo ringrazio e lo saluto, ora ho solo una cosa in mente, farmi un’idea chiara di come può essere una torta nuziale. Chiamo un taxi e mi faccio riportare a casa. Per fortuna le mie inquiline sono tornate ma Lorenzo non ancora. Le interrogo su tutte le strategie da adottare e prendo molti appunti. È mezzanotte e decido di dormire sul divano, fra quattro ore dovrò svegliarmi e non voglio disturbarle. La sveglia del cellulare suona e aprendo gli occhi vedo Lorenzo che rientra. “Ciao.” Lo saluto. “Come mai stai facendo così tardi?” “Impegni.” È molto vago e la cosa mi dispiace, sono tre giorni che sembra volermi evitare. “E tu perché sei ancora sveglia?” “Devo andare in pasticceria, sai, il dolce da decidere.” Sbadiglio rumorosamente, sono troppo stanca per trascinarmi fino alla macchinetta del caffè. “Vai con Mike?” Mi chiede. “No, chiamerò un taxi.” Gli rispondo. “Caterina mi ha lasciato la macchina, se vuoi ti accompagno.” L’idea non è malvagia e decido di accettare. Mi lavo velocemente e infilo jeans e camicia, in fondo sarò a casa in tempo per cambiarmi e presentarmi come una perfetta assistente. Uscendo di casa noto del rossetto sul colletto di Lorenzo. Che sia stato con
qualche donna? Non sono gelosa, però la cosa non mi rende felice. “Allora dimmi Lorenzo. Come procede il lavoro?” azzardo a chiedergli. “Direi bene.” Mi risponde. “E come ti trovi con la tua tutor?” continuo, in fondo sono curiosa di sapere a chi appartiene quel rossetto. Ma lui non risponde, non proseguo oltre poiché ormai sono arrivata a destinazione. Lo saluto e mi avvio verso la pasticceria nella speranza di trovarmi almeno una brioche calda per rallegrarmi la giornata. Carlo mi apre la porta ed entro in cucina. “Per il momento ci sono solo io ma tra meno di un’ora arrivano anche i miei due collaboratori.” Penso sia meglio così, almeno potrò gustarmi il tutto in tranquillità. “Ho riflettuto un pochino e penso che la crema sia la migliore delle soluzioni.” Gli dico. “Una semplice crema?” mi chiede lui, con un tono quasi da sfida. “Hai altre idee?” gli dico. “Assaggia queste combinazioni.” Prepara cinque quadrati di pan di spagna e me li porge. “Sono cinque creme diverse, dimmi quale ti sembra la migliore.” La prima che assaggio è semplice crema al limone, la seconda è al caffè, segue una con aroma di arancia, un’altra alla banana, un gusto davvero insolito per una torta, e l’ultima mi fa tossire fortemente. “È liquore? A quest’ora del mattino?” Continuo a tossire e lui mi porge un bicchiere d’acqua. “È liquore alla nocciola. Ti piace?” mi dice ridendo. “Non sono per niente divertita.” Rispondo scocciata. “E già una proposta è scartata.” Continua lui. “Aggiungi anche quella alla banana.” Puntualizzo io. “Quale pensi si addica di più alla sposa?” Mi chiede.
“Sono indecisa tra quella all’arancia e quella al limone.” Finalmente mi sto riprendendo, era davvero forte quel liquore e io non sono per niente abituata a tali sapori. Decido di riassaggiarle entrambe ma non riesco a decidermi. “Non hai un’altra proposta?” “Potrei farti assaggiare la crema al lampone.” Questo frutto mi entusiasma. “Si, penso potrebbe essere quella giusta.” Affermo. “Però devo farla, non ce l’ho pronta. Hai tempo?” “Anche se non lo avessi, lo devo trovare.” Gli rispondo. Inizia ad amalgamare velocemente gli ingredienti e io capisco solo che sta usando uova e… uova. Sono sempre stata negata in cucina e vedere una persona così abile ai fornelli è quasi affascinante. Carlo mi chiede di argli gli ingredienti ma sono troppo imbranata e rischio di rovinare il suo lavoro. Finalmente la crema è pronta e i miei vestiti sono tutti sporchi. Sono un vero disastro e un po’ mi vergogno perché sto dimostrando quanto poco valgo. “Assaggiala.” Mi dice. “È eccezionale, Chiara ne sarà entusiasta.” Esclamo felice. “Allora è lei?” Mi chiede. “Si, sei stato meraviglioso.” Gli dico. “Bene, prendi su la tua tazza con la crema e andiamo a progettare la torta nel mio ufficio.” Lo seguo nel suo ufficio, uno stanzino ricco di foto di torte e tanti piccoli oggetti che presumo servano a farle. Mi accomodo in una poltrona e me ne mostra alcune che potrebbe modificare secondo le indicazioni del cliente. “Ma come farai per l’acqua?” gli chiedo. “Generalmente per le torte faccio una decorazione floreale che dal piano più alto arriva alla base della torta. In questo caso i fiori faranno da contorno a un ruscello che terminerà alla base della torta.” Inizia così a disegnarmi la sua idea e sono colpita dalla sua creatività. “Di che colore pensi che dovranno essere i
fiori?” “Vorrei che il loro colore richiamasse il ripieno, così quando le fette saranno servite ci sarà una bella armonia di colori.” Carlo mi sorride e capisco che ho detto qualcosa con un po’ di senso. “Ti piace la crema?” mi chiede improvvisamente. “Si.” Gli rispondo. Solo ora noto che siamo seduti vicini, troppo vicini. Appoggio la tazza sul tavolo e mi alzo. “Bene, direi che abbiamo deciso il tutto e mi raccomando di essere puntuale con la consegna. Per qualsiasi dubbio t’invito a chiamare Mike.” “D’accordo.” Il suo sguardo è fisso su di me. “Posso farti una domanda?” “Del tipo?” Chiedo un pochino impaurita. “Sei libera per cena una di queste sere?” La sua richiesta mi lascia senza parole. Cosa dovrei rispondere? Si tratta per caso di un appuntamento, non ne ho mai avuto uno e non so come comportarmi. Sentiamo bussare alla porta, che tempestività, ne approfitterò per sgattaiolare fuori e togliermi da tale imbarazzo. “Avanti!” esclama Carlo. La porta si apre ed entra Mike. No, non è tempestività, è vera e propria sfortuna. “Sono ato a vedere se è tutto risolto.” “Certo.” Gli risponde Carlo. “La tua assistente è una persona efficace e decisa.” Sento come se questi complimenti siano delle lusinghe per convincermi ad uscire con lui. “Bene, allora mi riprendo la mia valida assistente.” Esco velocemente dalla porta e sento Carlo dire qualcosa del tipo che mi cercherà per avere una risposta. Mike saluta e mi conduce alla macchina. “Non mi aspettavo che venissi qui.” Gli dico. “Controllo sempre che i miei affari vengano conclusi nel migliore dei modi.” Allora non era preoccupato per me, era interessato solo alla buona riuscita della torta. Questo pensiero mi rattrista, appoggio la testa sul finestrino e chiudo gli
occhi, forse è meglio riposare un po’ e non pensarci.
Capitolo 27
“Ehi, svegliati.” Sobbalzo sul sedile, stavo facendo un magnifico sogno, nel quale potevo mangiare un’enorme pizza con speck e gorgonzola. Mi giro a sinistra e Mike mi sta fissando. “Cosa vuoi? Stavo dormendo così bene.” Gli dico ancora addormentata. “Lo sentivo, russi come un uomo.” Afferma lui ridendo. “Non è educato da parte tua.” Gli rispondo. “Comunque tra poco ci raggiungeranno in ufficio gli sposini, trovati un abito adatto e raggiungimi, hanno un’importante richiesta per il pranzo.” Noto che sono arrivata alla dependance. Devo aver dormito un bel po’. “Dov’è il tuo ufficio?” gli chiedo mentre smonto dalla macchina. “A casa mia, ovviamente. Ti aspetto tra mezz’ora. Fatti una bella doccia, puzzi di pasticcere.” Gli faccio un ghigno e chiudo la macchina, riesce sempre ad essere così antipatico con le sue allusioni. Entro in casa distrutta, vorrei solo andare a dormire e svegliarmi l’indomani. Devo sbrigarmi a lavarmi e sistemarmi, mezz’ora è troppo poca, nemmeno la vedo casa sua dalla mia postazione, figuriamoci arrivarci a piedi. Mi preparo velocemente, non ho il tempo di lavarmi i capelli quindi decido di raccogliermeli in una coda. Indosso un vestito a caso e metto le scarpe da ginnastica, quelle più eleganti le porto in borsa, non sarebbe saggio correre con i tacchi. Esco con il mio bicchiere di caffè in mano e vedo Mike che eggia intorno alla macchina. “Cosa ci fai ancora qua?” Gli dico sbalordita, in una mano tengo la borsa da cui fuoriescono le scarpe, nell’altra il caffè traballa pericolosamente.
“Stavo aspettando che mi raggiungessi.” Mi dice lui innocentemente, lo vedo mentre guarda perplesso la mia mise. “Quell’abito non si addice alle meravigliose scarpe che porti.” Afferma quasi divertito. “Ma dai? Pensavo di fare tendenza per una volta.” Rispondo scocciata. “Avevo capito che dovevo attraversare il parco fino a casa tua a piedi.” Mi tolgo le scarpe da ginnastica cercando di non perdere l’equilibrio, bevo il caffè al salto, appoggio il bicchiere sul balcone e infine indosso le scarpe col tacco. “Dai, sbrigati signorina.” Mi dice lui entrando in macchina. Lo raggiungo velocemente, salgo e mi allaccio la cintura. Chissà quale novità dovranno comunicarmi oggi. Arriviamo di fronte alla porta principale e con mio stupore vedo una modernissima casa su un piano. Pensavo di trovarmi di fronte ad un castello, invece eccomi in un’abitazione che non ha nulla di storico ma tutto estremamente moderno, con ampie finestre e porte vetrate. Un porticato in marmo bianco prima dell’ingresso principale, ma le linee sono semplici ed essenziali. Per una volta sono senza parole. Scendo e vado incontro ai nostri ospiti. Ci salutiamo ed entriamo. Noto con ancor maggior stupore come gli spazi siano ampi e come la struttura sia più ampia di come appare all’esterno. Tutto è estremamente moderno e il gioco del marrone e del bianco è sorprendente. Lo studio di Mike è in fondo al corridoio principale. Anch’esso è essenziale, non ci sono foto, ma c’è un enorme orologio al centro della parete alle sue spalle. Ai lati vi sono due librerie enormi con moltissimi album fotografici e alla base sono state ricavate delle vetrine piene di bomboniere. Gli sposi si accomodano sulle sedie principali, mentre io vengo diretta su una scrivania a lato della sua, sembra quasi di essere ad un processo. Di mia iniziativa afferro una penna e un block notes, meglio prendere appunti. “Ho sentito parlare di un posto meraviglioso ma è distante da qua” Chiara inizia a parlare rivolgendosi a Mike. “Vorremo visitare questo castello e vorremo fare l’intero ricevimento lì”. Vedo l’espressione di Mike cambiare, se non lo conoscessi direi che arde dalla voglia di afferrarla per il collo.
“Chiara, non avevamo già fatto una lista di ristoranti vicino alla chiesa?” gli chiede quasi digrignando i denti. “Lo so, ma una coppia di nostri amici si sposerà lì il prossimo autunno e appena me ne hanno parlato ho capito che era il posto ideale. Potrei sposarmi qui il pomeriggio e poi dirigere tutti gli ospiti lì per la sera.” Lo sta guardando dal basso verso l’alto, sembra un cucciolo che cerca di ricevere l’osso dal padrone. “Non è così facile come sembra, ci sono…” ma viene interrotto. “Ti prego Mike” continua lei “è solo una volta nella vita.” Lui la guarda sempre più furioso e sempre più perplesso, ma alla fine cede. “D’accordo, ma voglio accertarmi io stesso che facciano tutto a dovere.” “Sei il migliore.” Chiara balza in piedi e corre ad abbracciarlo. Anche Sebastiano, che per tutto il tempo non ha detto nulla, probabilmente perché rassegnato lui stesso dalla decisione della futura moglie, lo ringrazia per l’aiuto. “Dunque si tratta di un antico monastero, vedrai sarà meraviglioso, ci aspettano per cena, pernottiamo lì e domani sarà tutto risolto.” “Hai già prenotato?” sbotta Mike, ora si che è arrabbiato. “Certo, mancano quindici giorni alle nozze, non posso aspettare.” Ribatte lei. “Dovevi almeno chiedermi se ero libero in agenda.” A questo punto decido d’intervenire prima che la situazione precipiti. “Mike, me ne occupo io.” Lui mi guarda quasi intimorito. “E se qualcosa non va ti avviso subito. Mi occuperò anche di avvisare il prete di essere puntuale con la cerimonia e domani stesso spedirò a tutti gli invitati un biglietto con il programma della giornata.” “Hai campo libero.” E con queste parole capisco di essermi cacciata nella peggiore delle situazioni. Non ho mai fatto nulla di tutto questo e l’idea del biglietto è pessima, come farò a recapitarli a tutti, non so nemmeno chi siano questi “tutti”. Ormai la frittata è fatta e ho giusto il tempo del viaggio in auto per schiarirmi e riordinarmi le idee in testa.
Mi faccio riaccompagnare alla dependance per mettere le cose per la notte in borsa, Sebastiano e Chiara eranno a prendermi per le tre del pomeriggio. Ne approfitto, mentre sono in auto con Mike di chiamare la pasticceria per dare l’indirizzo di dove mandare il dolce. Scendo dalla macchina e Mike mi segue, sento che vorrebbe dirmi qualcosa ma non sa da dove iniziare, e la cosa mi mette molto a disagio. Preparo le mie cose mentre lui si siede sul divano, si guarda in giro senza dire nulla e il suo sguardo è neutro, come se non stesse realmente pensando a qualcosa. Forse è semplicemente deluso perché non sta andando come se lo immaginava. Prendo pane, nutella, carta e penna e mi siedo sullo sgabello della cucina. Inizio a buttare giù qualche schizzo per i biglietti, ma sono del tutto negata con la grafica, per non parlare della mia pessima calligrafia. Spalmo della nutella su un paio di fette di pane e osservo il soffitto, prima o poi qualcosa mi verrà in mente. “Domani dovremo cercare un fioraio serio nei dintorni del locale e indicargli come fare le confezioni, poi decidiamo subito come imbandire le tavole, voglio evitare di tornare più volte nei prossimi giorni.” Mike inizia a parlare con calma e con voce bassa, deve proprio averla presa male. Prendo la seconda fetta di pane con nutella e gliela porgo. Mi siedo nel divano di fianco a lui e guardo la televisione vuota di fronte a noi. “Perché l’hai presa così male?” Gli chiedo. “Non l’ho presa male, semplicemente è già la quarta volta che cambia idea sulla location, non riesco a lavorare con persone indecise.” “Capisco e non ti do tutti i torti.” Non so cosa dire realmente e improvviso con qualche frase fatta. “Prendila come una sorta di scampagnata.” “Ricordati,” prosegue lui “quando ti sposerai…” “Fermati subito, mi hai fatto venire la pelle d’oca.” Lo interrompo. “Io non mi sposerò mai.” “Ah, già. Dimenticavo che ho assunto un’assistente che non crede minimamente in questo lavoro.” Si mette una mano sugli occhi e reclina il capo all’indietro,
noto il suo collo e la camicia leggermente sbottonata, non so perché ma sento un tonfo allo stomaco. “Questo lavoro m’interessa. Solo che…” abbasso lo sguardo. “Solo che?” mi chiede lui volgendo il viso verso di me. “Solo che io voglio vivere e farcela con le mie forze. Non ho fiducia negli uomini.” Non riesco nemmeno io a credere a ciò che sto dicendo. “E se t’innamorassi?” mi chiede lui. “Come posso innamorarmi di uomini che giudicano solo dalle apparenze?” ribatto con ferma decisione. “E se qualcuno fosse affascinato dal tuo comportamento?” Lo guardo dritto negli occhi, sembra serio. Perché me lo sta chiedendo, e cos’è quest’atmosfera così seriosa intorno a noi. “Che cosa intendi?” gli chiedo. “Se qualcuno volesse veramente apprezzarti per quello che sei, se qualcuno dimostrasse di tenere a te e di volere un futuro con te, tu cosa faresti?” Non ho mai pensato a questa eventualità, sono sempre stata convinta che avrei vissuto per fare carriera, che avrei provveduto a me stessa da sola, senza intromissioni esterne. “Non lo so.” Rispondo semplicemente. I suoi occhi mi stanno ipnotizzando, sono stregata da lui. Sento gli occhi inumidirsi e decido di alzarmi. Ricordo di tutte le volte che mia mamma diventava isterica perché non ne volevo sapere di accaparrarmi il rampollo di qualche famiglia di amici e di come poi per giorni non mi rivolgesse la parola. “Io vado a riposarmi, quando decidi di uscire chiudi la porta per favore.” Mi chiudo la porta della camera alle spalle, indosso un paio di pantaloni in cotone e una canottiera per distendermi sul letto, meglio dormire un poco prima di partire con i futuri sposini.
Capitolo 28
Sento la sveglia del cellulare suonare e percepisco qualcosa di estremamente caldo sulla schiena. Talmente caldo che mi sento sudare. Mi volto e un raggio di luce illumina la figura alle mie spalle, un braccio mi avvolge la vita. “Mike!” esclamo. Niente, lui mi stringe ancora più a se. “Lasciami, cosa ci fai nel mio letto?” Sto iniziando a irritarmi. “Anch’io sono stanco, mi sono svegliato prestissimo per andare a recuperare qualcuno in pasticceria.” La sua voce è ancora assonnata. Mi tolgo il suo braccio di dosso e vado in bagno per darmi una rinfrescata. È davvero pazzesco, non può sempre fare di testa sua, in fondo se qualcuno ci avesse visto cosa avrebbe pensato? La situazione era alquanto equivoca. Quando ritorno in camera lui è ancora lì, disteso sul letto e un’insana voglia di fargli uno scherzo mi assale, prima però mi devo accertare che stia dormendo. Lo muovo un pochino ma non si scosta e la sua bocca è leggermente socchiusa. Corro in bagno a prendere un lucidalabbra e cercando di non fare alcun rumore ritorno in camera. M’inginocchio di fronte a lui e delicatamente cerco di applicarlo alla sua bocca, gli donano i brillantini. Cerco di trattenere più che posso la risata, mi alzo ed esco dalla camera, lasciando a terra l’arma del delitto. Chissà cosa farà quando se ne accorgerà, intanto mi preparo, fra mezz’ora Sebastiano e Chiara eranno a prendermi.
Quando esco di casa, lui sta ancora dormendo e un po’ mi dispiace. Salgo in macchina e mi rilasso prima di arrivare a destinazione. Mi sono fatta carico di una situazione impossibile, come spesso accade, parlo senza riflettere prima, ma ormai le carte sono in tavola e devo giocare al meglio delle mie possibilità. Chiara si rivela essere una persona molto gentile e premurosa, mi riempie di complimenti per la scelta della torta e mi ringrazia almeno una decina di volte
per aver assecondato questo suo capriccio. Sebastiano non parla molto ma per la maggior parte del viaggio noto che tiene stretta la mano di lei. Mi appaiono improvvisamente così carini. Arriviamo a destinazione poco più di un’ora dopo e veniamo fatti accomodare nelle nostre camere. Ci diamo appuntamento mezz’ora più tardi nella hall per decidere con il direttore i particolari, nel frattempo ne approfitto per distendermi qualche minuto. Sono quasi le cinque quando mi rivedo con i miei clienti e il direttore, un uomo piccolino, sulla cinquantina e con la barba davvero folta. Ci mostra l’enorme chiosco in cui verranno allestiti i tavoli, e qualora piovesse, ci spiega che verranno messi nel porticato che lo circonda. Al centro c’è una bellissima fontana e ricche aiuole circondano il porticato. Le tavole sono rotonde e ognuna ospiterà dieci invitati. Ci mostra le tovaglie e sia io che Chiara siamo colpite dallo stesso modello, bianca con l’orlo ricamato in pizzo rappresentante delle rose. I piatti saranno bianchi, le stoviglie in argento e alla base di ogni calice verrà applicata una rosa bianca, sarà l’unico decoro floreale, perché al centro del tavolo verranno posti vasi in vetro, colmi d’acqua e su cui verranno appoggiate delle candele profumate a forma di fiore di loto, queste in color rosso. Le sedie verranno rivestite di una stoffa bianca morbida, unita sul retro da una rosa rossa, tutto sembra così romantico e l’espressione serena ed emozionata allo stesso tempo, dipinta sui volti dei due sposini mi incute tenerezza. Ormai è ora di cena e alle otto abbiamo appuntamento per assaggiare le proposte nel menù, ci dirigiamo in una stanza tranquilla e ci accomodiamo al tavolo. Una sfilata di primi e secondi piatti ci viene servita in vassoi d’argento e una carta infinita di vini ci viene proposta. Non capisco nulla di quello che sto bevendo e mangiando, non ho mai avuto un palato così fine. Sono decisamente in difficoltà in questa situazione, avrei dovuto seguire qualche volta mia madre mentre organizzava quelle tremende e lunghissime serate tra casalinghe agiate, in cui tutti mangiano e bevono pietanze invisibili su grandi piatti di porcellana e sorseggiano vini costosi in calici brillanti. Ricordare quei momenti mi fa sorridere, per anni ho cercato di evitare il genere di vita riservata ad una casta, in cui le donne sembrano ferme ai canoni ottocenteschi e in cui gli uomini ricercano tali requisiti nelle donne. Un mondo per me incomprensibile, in fondo ho sempre pensato che la donna fosse in grado
di completarsi da sola. Ora invece, mi ritrovo proiettata in questo mondo, ad organizzare un matrimonio da favola per una donna che dopo il matrimonio giocherà a fare la casalinga, il tutto in atmosfere fin troppo a me familiari. Però Chiara sembra felice di questa sua vita. La vedo mentre delicatamente porta alla bocca di Sebastiano il suo risotto e lui le risponde con un sorriso smagliante. Sono un po’ stordita dalla situazione, oppure è il troppo vino assaggiato. Improvvisamente Chiara saluta qualcuno alla mia destra, mi giro, mentre la sedia rimasta vuota si scosta, è Mike. Sento un tonfo allo stomaco. “Scusate il ritardo.” Esordisce. “Non ti preoccupare, stiamo ancora assaggiando tutte queste gustose pietanze.” Risponde Chiara. “Non sapevo saresti venuto anche tu.” Gli dico. “Lo avresti saputo se mi avessi svegliato.” Questa battuta fa calare un’imbarazzante silenzio. Un silenzio che fa intendere che io e lui, forse, abbiamo… No, devo ignorarlo, sono sicura che lo sta facendo apposta per farmi innervosire. “E poi hai dimenticato questo per terra stamattina.” Con tutta disinvoltura mi porge il lucidalabbra. Ora si che è imbarazzante. “In realtà, non…” cerco di ribattere, ma lui m’interrompe. “Non ti preoccupare, lo sai che ti ritornerò il favore.” Il suo ghigno mi fa sprofondare. Chiara e Sebastiano ci stanno guardando in modo interrogativo, vorrei scappare ma non voglio che capisca quanto sono debole. Devo resistere alle sue battutine perfide. “Bene, io ho mangiato abbastanza.” Chiara interrompe la situazione, e ho come l’impressione che non sia del tutto casuale questo suo intervento. “Deborah, mi accompagneresti a fare una eggiata, lasciamo gli uomini definire i dettagli.” “Ma non abbiamo ancora deciso nulla.” Ribatto io. “Amore, le tagliatelle e questo risotto ai porcini sono magnifici, la carne la decidiamo domani a pranzo, va bene?” Chiara ormai è in piedi, non apprezzo
questa sua non curanza per ciò che dovrà offrire ai suoi ospiti. “D’accordo, ci pensiamo noi.” Chiara si china e lo bacia dolcemente sulle labbra. Poi mi afferra per un braccio e mi trascina con se.
Capitolo 29
Chiara cammina silenziosamente intorno al chiostro. Sembra davvero felice. Dunque è questa l’espressione che ha una donna innamorata? “Dimmi, Deborah,” Chiara guarda davanti a se e il suo tono di voce è calmo. “Fino a che punto sei arrivata con il bel Mike?” “Cosa?” sbotto io, “Non abbiamo fatto niente, non farti strani film in testa.” Chiara ride divertita, per lei sembra tutto un gioco. “Sicura, neanche un bacio?” Non intendo rispondere a nessuna domanda, una cliente non dovrebbe intromettersi nella vita privata di una persona che lavora per lei. “Scusa, non volevo essere indiscreta, ma lui ti guarda con certi occhi.” “Tu ne sai qualcosa.” La interrompo. “Te l’ha raccontato?” Mi chiede lei. “No. Mi ha risposto che non sono affari miei.” In realtà sto cercando di farle capire che parlare di certe cose non è professionale e nemmeno saggio. Purtroppo lei non sembra cogliere il suggerimento. “È stata l’ultima avventura prima di Sebastiano.” Ora sembra aver acquisito una certa serietà. “Non devi giustificarti con me.” Cerco di rassicurarla, in fondo a me non deve nessuna spiegazione. È una cosa successa tra di loro, molto tempo fa, e ad ogni modo io non sono nulla per Mike, per cui non c’è bisogno che io sappia. Oppure sono io che non voglio sapere ciò che è successo. “Sebastiano non deve saperlo.” Con la coda dell’occhio posso vedere come mi sta guardando. “Capisci, sarebbe un po’ imbarazzante.” “Non preoccuparti. Non era mia intenzione accennare niente a nessuno.”
Continuo a rassicurarla. “Ti ringrazio.” Ora sembra più rilassata. “Però, se posso permettermi. Mike non mi ha mai guardato con quello sguardo. Si rifiutava sempre di dormire con me, raccoglieva la sua roba e se ne andava al termine della serata.” Cosa intende dirmi con questo. Forse Mike le ha svelato qualcosa su di me? È possibile che quello stupido insensibile se ne vada in giro a raccontare le sue conquiste, se così può definire l’atteggiamento che ha assunto nei miei confronti. E soprattutto, è possibile che se ne vanti con la sua ex, come dire, amica di letto? La eggiata prosegue in silenzio, scrutiamo ogni singolo dettaglio del posto, qualora qualcosa non ci andasse a genio per il grande giorno, ma tutto sembra assolutamente ideale ad accogliere gli invitati. Ci avviamo alle nostre camere, un po’ stanche e un po’ perplesse per la piega che ha preso la nostra precedente conversazione. “Ad ogni modo io amo Sebastiano, è ciò che conta.” Afferma con decisione lei. “Come l’hai capito?” Le chiedo. “L’ho sempre saputo, o per lo meno, non mi è mai venuto il dubbio di volere un altro uomo dopo di lui.” “E questo ti basta?” Sono perplessa da questo suo modo di ragionare. “Mi basta la serenità e la tranquillità che mi da averlo al suo fianco. Vedrai che capirai e anche per te sarà difficile spiegare questo sentimento.” Poi mi abbraccia e si dilegua dietro la porta della sua camera. Io invece ne approfitto per gustarmi il leggero venticello e continuo la mia eggiata verso il parco interno all’edificio. Tolgo le scarpe, i miei piedi sono a pezzi e anche la schiena non è felice del mio nuovo look. L’erba è leggermente umida ed è un piacere poterci camminare sopra, ha un effetto rilassante. Il silenzio più totale mi avvolge e ripenso a quello che mi ha detto Chiara. Come fa ad essere certa di amare quell’uomo per sempre, in fondo ha solo venticinque anni, dovrebbe divertirsi con le amiche e pensare di più a se stessa.
Mi siedo su una panchina e contemplo il cielo stellato. Un mese fa i miei genitori mi diedero l’ultimatum, frequentare una buona università, trovare un ragazzo di buona famiglia e sistemarmi. Scelsi di andarmene, o per lo meno, loro mi diedero solo questa chance. Volevo farmi le ossa e diventare una donna di successo, ma ho incontrato Lorenzo e Mike e qualcosa in questo breve lasso di tempo è cambiato. Ho appreso che esistono uomini buoni come Lorenzo e uomini ionali come Mike, per qualche strano motivo entrambi mi affascinano, ma Mike riesce a stravolgermi. Vorrei avere qualcuno con cui confidarmi per mettere ordine alle mie idee. Reclino la testa all’indietro e cerco di apprezzare il venticello caldo tra i capelli. Chiudo gli occhi e smetto di pensare. Qualcosa inizia ad accarezzarmi il viso. Socchiudo gli occhi e lo vedo di fianco a me. I suoi occhi verdi sono fissi sul mio volto e sembrano brillare grazie alla luce della luna. Lui reclina la testa all’indietro come me ed io appoggio la mia alla sua spalla. “Sono proprio una bella coppia.” Affermo. “Già.” Si limita a rispondere lui. “Ti sei lasciato sfuggire una ragazza d’oro.” Proseguo. Lui sospira lievemente, il suo cuore sembra battere al rallentatore. “Forse perché avevo intuito che un giorno avrei incontrato una ragazza ancora migliore.” Scosta leggermente la testa verso di me e mi bacia la fronte. “Sei un lusingatore.” Ridacchio. “Mi riesce abbastanza bene.” Ribadisce lui. “Non avevi detto che non volevi venire.” Gli chiedo. Lui afferra la mia mano e inizia a fare strani disegni sul mio palmo. “Ero preoccupato che la mia nuova assistente, avendo uno strano disgusto per i matrimoni, potesse trasformare un lieto evento in un rave party.” “Che strana ragazza la tua nuova assistente.” Gli dico. “L’ho pensato fin dal primo istante, quando mi ò il giornale in un bar.” La sua voce mi sta ipnotizzando.
“Allora perché l’hai assunta?” “Perché è riuscita a travolgermi con il suo sguardo fiero. Ho pensato subito che una persona in grado di fare un tale sguardo non avrebbe avuto problemi ad interfacciarsi con il mio ritmo di lavoro.” Appoggio il mento sulla sua spalla e gli do un bacio sulla guancia. Nemmeno i miei genitori hanno mai avuto tanta fiducia in me, ero pur sempre la figlia che li aveva delusi con le sue scelte banali, per motivi, ai loro occhi futili. “Grazie.” Gli sussurro. Mi alzo e mi dirigo verso la camera da letto. “Non ti preoccupare, non farò nessun rave party, al massimo invito qualche drag queen all’ultimo momento.” Lo sento ridere mentre mi allontano. Forse organizzare matrimoni non è poi una realtà così distante da me.
Capitolo 30
Quando arrivo alla porta della camera sento la sua presenza dietro di me. Vedo la sua mano afferrare la maniglia della porta e delicatamente mi spinge dentro. Non riesco a ribellarmi, il mio corpo si muove differentemente dalla mia volontà, e ora non sono certa nemmeno di quest’ultima. Rimango in piedi mentre lui mi avvolge da dietro, sul pavimento distinguo le orme bagnate. Improvvisamente si stacca e si va a sedere sul letto “Lasciami solo un secondo.” “Se vuoi stare solo puoi andare nella tua camera.” Nessuna reazione giunge da lui. Raccolgo il mio pigiama e mi chiudo a chiave in bagno. Mentre lui decide dove dormire io mi preparo per la notte, mi rinfresco per l’ennesima volta e mi tolgo tutto il trucco dal viso. Indosso il pigiama ed esco. Mike si è tolto la giacca e ora è in piedi di fronte alla finestra. “Dunque?” gli chiedo. “Tu mi stravolgi.” Mi dice guardandomi negli occhi. “Non dare la colpa a me, è tutto questo caldo che ti dà alla testa.” Getto scarpe e vestito nell’armadio. Lui rimane in piedi a guardarmi, la situazione non mi è molto chiara. Si sta prendendo gioco di me oppure mi ha scambiato per la scappatella notturna? “Scusa capo, vorrei riposarmi per lavorare al meglio domani, cosa ne dici se vado a dormire e rimandiamo questa interessante discussione?” Cerco di essere sarcasticamente diretta, sono molto stanca e voglio solo dormire. “Dormiamo insieme.” Eccolo un tuffo al cuore, o allo stomaco. Mi sento mancare le gambe e mi siedo sul letto. Mai nessuno mi aveva detto una cosa simile, e mai mi sarei aspettata che qualcuno me lo chiedesse. Non mi sono nemmeno mai trovata nella situazione che qualcuno me lo potesse chiedere e poi… Si e poi, io sono ancora, si insomma, non ho mai avuto un uomo prima.
Lui invece non si ricorderà nemmeno chi è stata l’ultima donna nel suo letto. “Mi dispiace, non posso.” Lo scruto con la coda dell’occhio, sarebbe troppo dura dirglielo dritto in faccia. “E poi tu non dormi con nessuna donna.” Improvvisamente il ricordo di quello che mi ha detto Chiara in giardino mi rimbalza in testa. “È di questo che avete parlato prima?” Mi chiede. “È questo che non avrei voluto sentirmi dire prima.” Rispondo, quasi a malincuore. “Puoi smentirla?” “No.” Mi dice lui con un filo di voce. “Allora perché questa richiesta assurda se sai che non puoi.” Improvvisamente voglio indagare tra i suoi pensieri e i suoi sentimenti. “Non è che non posso, semplicemente non l’ho mai voluto fare prima.” Di nuovo quello sguardo da bambino triste ma non devo farmi intenerire. “Prima di cosa?” voglio sentire tutto quello che ha da dire. “Te l’ho detto che mi hai stravolto.” Afferma lui, lentamente inizia ad avvicinarsi a me, ed io un po’ curiosa non indietreggio. Mi raggiunge e mette le sue braccia intorno ai miei fianchi. “Hai paura?” mi sussurra all’orecchio. “Non ho paura, ma non voglio che accada.” Troppo tardi, lui inizia ad accarezzarmi il collo con la mano mentre con le labbra sfiora la mia guancia. “Ne sei proprio certa?” mi chiede sensualmente. “Si.” Gli rispondo io, ma sono troppo inebriata per poterlo respingere. Lui prosegue ad accarezzare il mio corpo da sotto il pigiama, mi alza e mi distende sul letto, troppo piccolo per accogliere entrambi. Mi toglie la maglietta e lui stesso si toglie la camicia. Sento il suo petto contro il mio, ed è caldissimo. Il suo cuore batte velocemente ed io sono sempre più inebriata dal suo respiro. Bacia delicatamente tutto il mio ventre per poi are a stuzzicare il seno. Io mi ritraggo per l’imbarazzo ma lui mi bacia con ione
finché non mi tranquillizzo di nuovo. Mi sfila i pantaloncini e poi spegne la luce, capisce che non la voglio accesa. Mi accorgo delle sue gambe nude contro le mie, è una sensazione piacevole e travolgente. Non pensavo che si potesse provare un tale trasporto per un’altra persona. Mike continua a baciarmi con ione ma anche con dolcezza. “Mai avrei pensato che una semplice ragazzina impertinente avrebbe potuto rubarmi il cuore in questo modo.” Mi sussurra all’orecchio. “Io non ho rubato nulla.” Ribatto. “Allora è ancor più grave se una ladra non si accorge del crimine che ha compiuto. Significa che non c’è possibilità che io possa riaverlo indietro.” “E cosa dovrebbe dire questa ladra, che è stata costretta a rubare senza accorgersene?” sto per perdere il controllo, tutto è così magico. Lui continua a baciarmi e accarezzarmi. “Nulla, non deve dire nulla, solo pagare la sua pena.” Continuiamo a baciarci per molto tempo. Mi sento a mio agio tra le sue braccia e vorrei che questo momento non finisse mai. Poi sento la sua mano accarezzare le mie cosce e salire. Mi faccio prendere dalla paura e lo fermo. “No, ti prego.” Gli dico. “Perché no?” mi chiede. “Non oggi, sarebbe troppo per me.” “È per la tua idea degli uomini?” Sento il suo tono cambiare, non volevo nemmeno questo. “No, è solo che non sono pronta.” Mi vergogno di fargli sapere proprio ora la mia inesperienza con l’altro sesso. “Non dirmi che sei…” lo interrompo mettendogli il cuscino davanti al viso.
“Sei stato tu il primo a baciarmi, va bene?” sbotto rovinando tutta l’atmosfera. “Ora prendimi pure in giro quanto vuoi.” Ma lui non dice nulla, mi abbraccia e mi stringe al suo petto, poi inizia a baciarmi senza permettermi di respirare. Sembra quasi contento della notizia, ma preferisco credere che il tutto sia frutto della mia immaginazione. “Non ti prenderò in giro.” Mi dice. “Allora che farai?” gli chiedo, un po’ preoccupata. Lui mi porta al centro del letto, continuando a baciarmi il collo, poi si distende sopra di me. “Ehi!” esclamo. Lui mi zittisce baciandomi. “Tranquilla, non andrò oltre a questo.” Sento che piano piano si muove sopra i miei slip. Mi bacia e accarezza dolcemente, non capisco più nulla, inizio a sentirmi strana, poi improvvisamente una sensazione mi sale dallo stomaco. La sento arrivare fino alla testa e lui se ne accorge. È piacevole e intensa, il mio respiro si fa più veloce e Mike mi bacia con maggior frenesia. Una vampata di calore mi travolge e lui mi da un ultimo bacio travolgente prima di scostarsi. Respiro affannosamente e mi viene da piangere, non riesco a trattenere i singhiozzi. Non mi riconosco, perché mi sono fatta trascinare così da questo ragazzo e perché non sono capace di dirgli basta, perché se sto così male non riesco a mandarlo via. Lui mi avvolge con le sue braccia e mi copre con il lenzuolo. “Dormi principessa.” “Forse il ladro sei tu.” Gli dico. Lui mi stringe più forte finché non mi addormento.
Capitolo 31
Mi sveglio ma non trovo nessuno al mio fianco. Forse è stato tutto frutto della mia immaginazione, come un sogno, inizio a nutrire dei forti dubbi su ciò che è successo veramente e ciò che ho sognato. Accosto le coperte e noto che indosso solamente gli slip, è dunque possibile che ci sia una remota possibilità che sia accaduto davvero? Ma nella stanza nient’altro fa pensare che vi abbia dormito un uomo. Probabilmente appena mi sono addormentata se n’è andato, e questo significa che per lui sono come tutte le altre ragazze. Allora perché mi ha detto quelle parole, se realmente me le ha dette. Mi preparo e raggiungo i miei clienti in sala per la colazione, ma il tavolo è ancora vuoto. Poco male, inizierò da sola, le brioches hanno un aspetto troppo invitante per poter aspettare oltre. Appoggio su un piatto quante più cose offre il tavolo del buffet, una brioche alla crema, un paio di albicocche, uno yoghurt al lampone e una super tazza di cappuccino fumante, irresistibile anche con i quasi trenta gradi delle otto del mattino. Mi siedo al tavolo e inizio a gustarmi la brioche. Continuo a interrogarmi sulla notte appena ata e cerco di riordinare le idee, anche se mi sembra di essere un po’ troppo paranoica. Mike si siede di fianco a me e il cappuccino si ferma in gola, deve trovare divertente nel fare queste entrate ad effetto. Appoggia il mento sul palmo della mano e con l’altra batte l’indice a ritmo sulla tavola, non dicendo nulla. “Buongiorno.” Dico timidamente. “Ben svegliata.” Sta sorridendo, non riesco a capire perché lo guardo da sotto perché non ho il coraggio di alzare il viso. Nessun problema, ci pensa lui ad alzarmi il mento ed io sento il volto andarmi a fuoco. “Hai dormito bene?” “Sei scappato prima di accertartene?” gli chiedo, voglio sapere perché stamattina non era più lì stamattina.
Ora il suo sguardo non è più così sereno. “Scusa, all’alba sono andato a correre un pochino e mi sono fermato nella mia stanza.” “Capisco.” Non voglio sapere altro, suona come una scusa. Veniamo interrotti da Chiara e Sebastiano, che arrivano abbracciati. Loro si che sembrano essersi svegliati senza troppe sorprese. Facciamo colazione e discutiamo sui fiori da mettere in chiesa, Chiara è totalmente convinta di volere una rosa rossa contornata da molto velo da sposa su ogni banco. Sebastiano annuisce, approva decisamente i gusti della sua futura sposa. Mike è totalmente assorto nella conversazione, vorrei poter parlare con lui di quello che è successo, ma non voglio dare l’impressione di essere diventata appiccicosa, anche perché per lui sarà stato come un appuntamento nell’agenda. Ma per me non lo è stato… “Deborah.” Qualcuno mi chiama. “Si?” Chiara mi ha appoggiato una mano sulla spalla e il suo sguardo è alquanto preoccupato. “Cosa ti succede?” Mi chiede sempre mantenendo la stessa espressione. “Niente, perché?” le chiedo a mia volta. “I tuoi occhi…” non riesce a finire la frase, io mi volto verso una finestra e finalmente noto cosa l’ha sconvolta. I miei occhi sono pieni di lacrime. Senza accorgermene sto piangendo per i miei pensieri. “Scusate, dev’essere la stanchezza, ho riposato poco stanotte.” Mi asciugo le lacrime con un fazzoletto e subentro di nuovo nella conversazione, anche un po’ imbarazzata per aver messo in allarme i miei clienti. Durante il resto della mattinata ci assicuriamo della posizione in cui verrà allestito il gazebo per il taglio del dolce, sarà rivestito da quattro tende bianche trasparenti che verranno sostenute dall’alto da delle composizioni di rose rosse, sullo sfondo ci sarà la fontana del parco con i suoi magnifici giochi di colori e come tocco finale, ma questo gli sposi lo apprenderanno solo all’ultimo momento, io e Mike abbiamo dato l’ordine al ristorante di mettere un piccolo contenitore per fare le bolle al posto dei segnaposti, a forma di torta nuziale. Lo
spettacolo che ne risulterà sarà stupefacente. A pranzo decidiamo anche le portate dei secondi e gli antipasti, sistemiamo gli ultimi dettagli e finalmente possiamo ritornare verso casa. I futuri sposi sembrano molto contenti, dovremo incontrarci solo per le ultime prove del vestito e i giochi sono fatti.
Ritorno a casa con Mike, ma durante il tragitto non mi dice nulla e io non so come introdurre la conversazione. Poi lui interviene. “Eccoci.” Afferma. “Dove siamo?” “Siamo venuti a prendere fedi e gioielli per la sposa.” “Come…” inizio. “Li hanno decisi molto tempo fa, ancora prima di contattarmi, io glieli ritiro solo.” Scende dalla macchina ed io lo seguo senza aggiungere altro. Entriamo in una piccolissima gioielleria e il proprietario ci mostra gli oggetti da ritirare. Per lei un semplice solitario, assomiglia molto a quello che mia madre si fece regalare un Natale da mio padre, con gli orecchini abbinati. Le fedi sono in oro bianco, sottili e lisce, con un piccolo diamantino al centro. Sono così graziose, perfette per loro due. All’interno leggo incisi i loro nomi e le date e un senso di tenerezza mi avvolge, non mi era mai successo prima, questo lavoro mi sta proprio cambiando, ho paura di diventare una di quelle eterne romantiche, tipo Jennifer Lopez in quel film dove organizza matrimoni da favola ma non si sposa mai. Aspetta un attimo, perché dovrei aver paura? In fondo non era il mio obiettivo? Perché non sono più così felice con questi miei pensieri? Riponiamo in un bauletto i gioielli e usciamo dalla gioielleria. Ora sono io che non ho voglia di iniziare nessuna conversazione, il mio mondo, le mie convinzioni, tutto ciò in cui ho creduto si sta sgretolando e io non sto facendo nulla per impedirlo, perché sento che impedirlo mi farebbe sentire
peggio. Dunque sto realmente cambiando e non so come comportarmi e a chi rivolgermi, spero solo di non impazzire. “Hai finito gli inviti?” La voce di Mike sovrasta i miei pensieri. “Come, scusa?” Gli chiedo. “Ti ho chiesto se hai finito gli inviti per gli ospiti così li mandiamo in tipografia.” Mi sollecita lui. Mi chiedo se si comporti così con tutte, cioè, come se nulla fosse successo. Non dovremo discutere se è stato un errore o se c’è qualcos’altro tra di noi. “No, non ho idee.” Rispondo. “Come non hai idee?” Sbotta lui. “Quando pensavi di dirmelo? Gli invitati vanno avvisati subito, non il giorno prima!” Sta urlando e io non riesco a dire nulla, mi limito a chinare la testa in attesa di sentire la paternale, che non tarda ad arrivare. Per tutto il tragitto continua a ripetermi che non posso essere così approssimativa, che ne va dell’immagine dell’azienda e bla, bla, bla. È talmente agitato che dopo cinque minuti i suoi rimproveri risuonano come il ronzio di una zanzara nella mia mente. “Ho capito. Se ora ti calmi ci penso e stanotte ci lavoro. Domani mattina appena apre la tipografia porto l’idea e starò lì finché non le stamperanno tutte e io potrò inviare tutti gli inviti.” Lui si calma e finalmente il silenzio cala. “Lavorerai nel mio studio stanotte e domattina prima di inviarle le controllerò personalmente.” Non ribatto, in fondo devo rimediare alle sue condizioni. Andiamo direttamente a casa sua e mi fa accomodare nella sala d’attesa del suo studio. “Devo sistemare un paio di carte, poi ti lascio campo libero. Nel frattempo consulta questi.” Mi consegna tre book colmi d’inviti. “Sono tutti vostri?” Gli chiedo incuriosita, ma lui si limita a sorridermi e sparisce dietro la porta. Sfoglio uno ad uno quei pezzi di carta. Alcuni molto sobri, altri finemente decorati ai lati. Ogni foglio che prendo tra le dita sembra avere una consistenza diversa. Ad un certo punto inciampo in un invito piccolo, tutto rosso con le scritte dorate.
Gentile , sei ufficialmente invitato alla festa della mia laurea il . Ti aspetto per festeggiare questo mio importante traguardo.
Anch’io pensavo di volere una laurea, ma ora che sto creando la mia indipendenza non ricordo cosa volessi davvero fare. Io volevo solo studiare. Ero chiusa in un mondo limitato, che mi ero creata, forse per proteggermi, forse per orgoglio o testardaggine. Continuo a sfogliarli e la mia attenzione si ferma su una carta leggera quasi trasparente con dei filamenti perlati. È davvero molto bella. “Puoi usare il mio studio.” Mike è uscito dalla stanza, si è sbottonato i primi tre bottoni della camicia e intravedo i suoi addominali, le maniche sono arrotolate e i jeans leggermente morbidi. Improvvisamente mi appare così affascinante e i suoi occhi sembrano più verdi che mai. Mi riprendo da quell’abbaglio. “Certo. Guarda, come carta penso che questa sia adatta. Trasparente come l’acqua e bianca come il vestito della sposa. Questi filamenti perlati mi sembrano dare un tocco di eleganza. Cosa ne dici?” Lo guardo dritto negli occhi, che ora sono vicini a me e sono ancora più convinta della loro bellezza. “Penso che impari velocemente, ragazzina.” I suoi occhi sembrano sorridere e capisco che approva la mia scelta. “Allora mi dirigo nel tuo studio. Non ti deluderò.” Mi dileguo in un batter d’occhio e sento di essere sulla strada giusta.
Capitolo 32
Faccio degli schemi e il risultato sono un paio di bozze. La prima semplice, poche parole per invitare le persone a cerimonia e pranzo, la seconda più elaborata, con un decoro sulla carta, e la busta chiusa da un nastro che si lega intorno a una rosellina. Essenzialmente l’ho scelto per la busta, ma l’invito non mi piace. È ata la mezzanotte ed esco dallo studio, ma l’edificio sembra abbandonato, tutte le luci sono spente e non sento alcun rumore intorno. Probabilmente sono tutti andati a dormire, resta il fatto che io non so come ritornare alla depandance. Rientro nello studio e mi distendo sulla poltrona, in attesa che qualcuno si ricordi di me. Sento dei rumori intorno a me e apro gli occhi, l’enorme orologio segna le due e mezza. Noto che Mike è seduto alla scrivania e sta guardando le bozze degli inviti. “Mike…” Riesco a pronunciare con un filo di voce. Ma lui sembra non sentirmi. Mi metto seduta e lo osservo concentrarsi sul lavoro. Non indossa più una camicia, ma una semplice canottiera bianca, forse stava dormendo ed è venuto a sorvegliare il mio operato. Scrive veloce degli appunti sul cartoncino semplice e straccia il secondo più elaborato, mantenendo però la busta. “Ecco fatto, ricordati l’importanza d’inserire i nomi e il giorno del ricevimento se no come ci raggiungono gli invitati.” Mi sorride debolmente, si vede che è stanco. “Stavi dormendo?” Gli chiedo. “Non proprio. Mi alzo spesso durante la notte per controllare i dettagli”. “Anche l’altra notte?” Non so perché gli ho posto questa domanda. In realtà ora preferisco non sapere il perché quando mi sono svegliata lui non era con me.
Lui distoglie lo sguardo dalle cartelline e mi fissa intensamente. “Non capisco perché ti sia fatta questa idea. Se non sbaglio in più di qualche occasione ti ho offerto un braccio su cui riposare.” “Ma questa volta era diverso…” La voce si strozza nella mia gola e non riesco a proseguire. Assomiglia molto a uno di quei discorsi da bambina viziata a cui è stata negata la caramella. Lui reclina il capo all’indietro e si copre il volto con entrambe le mani, capisco che non è il luogo né l’orario adatto per affrontare l’argomento. Mi alzo e mi dirigo alla scrivania, prendo la bozza della cartolina in mano e la osservo. “Se mi dai l’indirizzo e il nome della tipografia domani mattina sarò lì e farò fare il tutto.” Lui ride. “Le scansiono e le invio con i dettagli stanotte.” Ribatte. Non ho parole, lui può fare questo? “Lo faccio io, così tu puoi riposare.” “Ti seguo io per questa volta, così mi assicuro che fai tutto a puntino.” Accende il computer e insieme prepariamo gli allegati da spedire. Sono quasi le quattro quando il lavoro è concluso e con sorpresa noto che dopo un minuto abbiamo avuto la conferma. “Com’è possibile?” Gli chiedo. “Tranquilla, andavo all’università con il direttore ed è sempre attivo per le mie richieste.” Sento il suo fiato sul collo e lo stomaco inizia a ritorcersi su se stesso. Improvvisamente vorrei che scherzasse con me come sempre, ma ho come l’impressione che dopo l’altra notte qualcosa si sia rotto. “Sei contento dei tuoi studi?” Gli chiedo tornando a sedermi sulla poltrona. “Direi di si.” Lui continua a scrivere e rispondere a mail dal suo computer. “E tu sei convinta di non voler proseguire.” “Direi per il momento di si.” Gli rispondo senza dare troppa importanza al tono della mia voce. “Sono contenta della strada che sto percorrendo e intendo continuare a seguirla.” Mi fermo un secondo. “Per ora.” Concludo. “Toglimi tu ora una curiosità.” Appoggia il mento sul palmo della mano e mi
osserva socchiudendo leggermente le palpebre. Io lo lascio proseguire. “Era così tanto terribile la vita agiata a cui ti stavano consacrando i tuoi genitori? In fondo uomini dai fondi infiniti non sono lo scopo di molte donne?” “Appunto, di molte, non tutte.” Lo guardo con sfida. Si sbaglia se mi crede una di quelle ochette con cui a i suoi momenti di relax. “Così a te non interessano i soldi.” Afferma sottovoce. “Non quel genere di soldi, io voglio provvedere a me stessa da sola.” Ribadisco fiera delle mie parole. Lui continua a guardarmi senza dire nulla, si limita a scuotere la testa un paio di volte, poi ritorna a fissare lo schermo del computer. “Attraverso la porta bianca potrai accedere alla mia camera. Dormi pure, io ho delle faccende da sbrigare stanotte.” Dice indicandomi una porta sul lato della libreria. “Non mi sembra il caso.” Rispondo io. “Preferisci che venga con te e rimando gli appuntamenti a domani?” Mi chiede con tono sarcastico. Non rispondo subito e lui nota la mia esitazione, gira la sedia del tutto verso di me. “Deborah?” Forse è meglio rispondere. “N… No, grazie.” Ma non mi muovo, continuo a fissarlo. “Se resti lì così altri dieci secondi, mi vedrò costretto a non prenderti in parola.” Lo vedo perplesso, il suo sarcasmo è scomparso. “Quante altre donne hanno dormito in quel letto?” Gli chiedo seria. “Ricominci.” Afferma lui annoiato. Intreccio le braccia e mi stringo le spalle, sento di aver ripreso con i capricci, ma è più forte di me. Lui sospira e congiunge le mani, facendo roteare i pollici. “Molte, Deb.” Si ferma e abbassa lo sguardo. “Molte nemmeno le ricordo, erano i miei atempi.” Vorrei scoppiare a piangere e riempirlo di domande, ma non ne ho il coraggio. Da quando sono diventata così debole? “Io non sono come quelle donne.” Dico
con un filo di voce. Lui gira la sedia e ritorna sul suo lavoro. “Vai a dormire, ci vediamo quando sarai sveglia.” Non ribatto, entro nella sua stanza e con i vestiti ancora addosso mi lascio cadere nel letto. Il materasso è ad acqua e io mi addormento con le lacrime agli occhi e delle scarpe costosissime ai piedi.
Capitolo 33
Nessuno mi sveglia e quando mi alzo sono ormai ate le due del pomeriggio. Sento un buco nello stomaco ma niente nelle due stanze ha l’aria di assomigliare a del cibo, commestibile o meno. Frugo nei cassetti vicino al letto ma trovo solo cravatte, calzini e fazzoletti. Lascio cadere le scarpe sul tappeto e sgattaiolo fuori dallo studio, ritrovandomi a vagare per i silenziosi corridoi di questa immensa villa, ma non riesco ad orientarmi. Finalmente sento delle voci e mi avvicino ad una porta socchiusa. Distinguo perfettamente tre voci, una maschile e due femminili e discutono animatamente, ma non riesco a capire cosa dicono. Mi avvicino ancora un po’ e sbircio dallo spioncino per capire se è qualcuno a cui posso rivolgermi o se è meglio continuare altrove la mia ricerca. Vedo Mike di spalle e sua madre di fronte a lui, la terza persona non la vedo, sono piuttosto agitati e tra le tante parole distinguo il mio nome. Cosa c’entro io? Avvicino l’orecchio alla fessura e mi concentro su quello che dicono. “Avanti, non ricominciare con questo discorso…” dice Mike. “Non è la persona adatta, è ancora una bambina.” Gli risponde la madre. “Ma ha del potenziale.” Ribatte Mike. “Come tutte le altre? Stai facendo i doppi turni per sopperire anche ai suoi doveri e lei se ne sta beata distesa nel tuo letto. Senza contare quello che investi per il suo look.” Le parole di sua madre mi fanno male. Vorrei scappare e piangere, ma le gambe sono troppo pesanti per muoverle. In fondo sua madre lo sta dicendo per il suo bene, per il bene dell’azienda. Se sono un peso nemmeno io mi terrei. E poi cosa significa che lui deve fare i doppi turni. “Non è come le altre!” Lui prende le mie difese, ma non deve. Sono solo un peso. “Perché cos’ha di speciale? Per caso riesce a soddisfare meglio i tuoi bisogni?”
Noto un tono dispregiativo nelle parole di sua madre. Davvero una madre può dire questo al proprio figlio? Lui non risponde più. “Bene, vedo che hai capito. Lei è Manuela, la metterò personalmente alla prova nei prossimi giorni e se si dimostrerà all’altezza, lunedì sarà la tua nuova assistente.” Mi allontano dalla porta e cerco di nascondermi, mentre la signora Francis e Manuela escono dalla sala e si dileguano. Mi appoggio al muro e mi lascio cadere, realizzo solo ora che fra poco mi verrà comunicato che non ho più un lavoro, un posto dove stare, dove dormire e dove mangiare. Probabilmente a questo punto dovrò tornare dai miei genitori e sottostare alle loro regole. Sento dei i che vengono verso di me e cerco di trovare una via di fuga… Inutilmente. “Deborah?” Mike mi nota subito. “Buongiorno.” Rispondo sorridendo con fatica. Lui si guarda in giro e da come spalanca gli occhi capisco che si è reso conto che ho sentito la conversazione. “Non devi preoccuparti.” Cerca di rassicurarmi. “Ah no?” gli dico, ma non riesco ancora ad alzarmi. “Fa sempre così, e Manuela non riuscirà mai a stare ai suoi ritmi.” “E io?” continuo. “Tu cosa?” “Come posso essere un’assistente migliore? Devo dimezzare la tua mole di lavoro.” Voglio davvero questo lavoro, voglio migliorare e non intendo arrendermi ora. Sono solo all’inizio. “Se ne sei davvero sicura, corri a preparare le valigie. Tu stai seguendo un matrimonio, io ne ho uno ogni week-end.” Mi guarda stando in piedi di fronte a me, con le mani in tasca e il ciuffo di capelli corvini che gli cade sui meravigliosi occhi verdi. “Tu partecipi a un matrimonio ogni week end?” gli chiedo sbalordita. “Certo, ogni tanto, se le location sono vicine ne ho anche due. Allora ti muovi?” Mi alzo in piedi e cerco di orientarmi verso non so dove. Lui si mette a ridere. “Raggiungi la fine del corridoio, svolta a destra e poi aspettami nella prima
stanza a sinistra, ti raggiungo appena termino una telefonata.” Non me lo faccio ripetere e inizio a correre. Mentre mi allontano sento Mike che chiama sua mamma. “Si, mamma, sono io. Tieniti pure la tua assistente, perché io ho trovato di meglio.” Sono contenta di sentirglielo dire. Sarò un’ottima assistente.
Entro nella stanza e mi ritrovo in un piccolo studio, al centro una scrivania con un portatile e sul lato una libreria aperta con tanti cataloghi. Non è molto grande ma è essenziale e carino. “Ti piace?” Mike interviene alle mie spalle. “Direi di si.” Gli rispondo in tutta sincerità. “Bene, è lo studio della mia assistente. T’insegnerò ad usare il programma. Se esci in veranda troverai un’altra porta. È l’accesso alla tua camera da letto. Per il vitto e l’alloggio ci penseremo noi, tu pensa ad essere disponibile sempre, ventiquattro ore al giorno. Più avanti parleremo del tuo giorno di pausa.” “Fammi firmare un contratto e il giorno di riposo lo o a studiare al tuo fianco.” Lo guardo dal basso e dondolo sui miei piedi. Ho uno studio, un lavoro e anche un posto dove dormire e lavorerò al fianco di un ragazzo per cui nutro una sorta d’interesse. “Chiederò a un inserviente di recuperare le tue cose ma tu cerca di inserire qualcosa in una valigia. Fra due ore partiamo per Trieste dove ci aspetta un matrimonio.” “Dammi i fascicoli del matrimonio e prima di partire iamo un attimo alla dependance.” Gli rispondo. Lui mi indica le cartelle sopra la scrivania, lo ringrazio e mi metto all’opera per conoscere tutti i dettagli. Leggo i profili degli sposi e m’informo sulla location. Chiamo tutti i recapiti per assicurarmi che tutto sia pronto, dalle bomboniere ai confetti, dal fioraio al ristorante. Mike mi conduce nella dependance e arraffo velocemente scarpe, cambi e vestiti, poi ritorno in macchina, una nuova città mi aspetta.
Capitolo 34
Quando arriviamo a destinazione sono quasi le dieci. Alloggiamo in una spa. “La sposa e le damigelle alloggiano qui queste due notti, domani avranno dei trattamenti di bellezza speciali. Vorrei che tu le seguissi tutto il giorno e ti assicurassi che godano dei migliori servizi.” Annuisco. “Posso fare altro? Vorrei impegnare i momenti liberi in qualcosa che possa alleggerirti il lavoro.” “Dopo pranzo arriveranno i vestiti, devono provarli e non devono né strapparli, né macchiarli. Poi chiama la parrucchiera e assicurati che domenica mattina sia puntuale alle sei. Mi raccomando le ragazze devono essere a letto presto.” Ora sembro veramente un’assistente. Ci ritiriamo nelle nostre camere senza aggiungere altro. Leggo e rileggo il programma per farmelo entrare in testa. Dunque, gli ospiti arriveranno tutti domenica mattina, sono solo cento persone. Per l’evento la coppia ha prenotato una villa e ha deciso di fare il servizio fotografico a Miramare. Accendo il portatile e sfoglio più foto possibili di questo famoso castello con i suoi infiniti giardini. È tardi e fa caldo, mi spoglio e vado a dormire, alle dieci m’incontrerò con le ospiti e dopo le presentazioni ci attende la mattinata nel centro benessere. Mi sveglio alle otto e corro a farmi una lunga e rilassante doccia. Esco dopo quaranta minuti, ma solo perché bussano insistentemente alla porta. È il cameriere con la colazione. “Buongiorno.” Mi dice, mentre io mi stringo forte l’accappatoio intorno al corpo. “Il signor Mike si è già svegliato?” Gli chiedo.
“è uscito poco fa e ha già fatto colazione, ma mi ha detto di riferirle che tornerà presto.” Lui se ne va con discrezione e io inizio la giornata con un succo alla mela e una brioche alla marmellata. Sto finendo di sistemarmi quando lo sento bussare. “Avanti!” Esclamo. “Buongiorno, sei pronta?” Mi chiede porgendomi una borsetta minuscola. “Certo!” Indosso un paio di pantaloni neri e una camicia bianca con una fascia in vita. Sono elegantissima e sembro una vera assistente con i capelli raccolti. Mike scoppia a ridere. “E adesso cosa c’è che non va?” Gli chiedo scocciata. “Sei in una spa, devi incontrare le clienti in una zona relax, con sauna e idromassaggio.” Continuo a non capire cosa cerca di dirmi. “Devi indossare un costume e l’accappatoio, rilassarti e assicurarti che ognuna abbia il trattamento che ha previsto. Cerca di goderti questo breve soggiorno.” “Ma sono un’assistente, devo organizzare, chiamare, agevolarti nel tuo lavoro…” Lui m’interrompe. “Lo sai dove vado io ora?” Mi dice tenendomi un dito davanti alla bocca. “No… Dove?” Ribatto. “A controllare che lo sposo non abbia spogliarelliste in camera e che si ricordi di are dal barbiere. Il più per questo matrimonio sarà domani mattina con l’allestimento della chiesa e del catering.” Mi comunica. Il mio pensiero rimane fermo sulla prima frase. “Hai detto spogliarelliste?” Lui ridacchia, mentre mi porge una borsetta. “Di cosa ti sorprendi? È la norma.” Sono al limite del disgusto, e lui ride pure di questo atteggiamento. “E noi lo permettiamo? Con che faccia incontro la sposa?” Sbotto contro di lui. “Questi sono affari loro, non possiamo fare da giudici. Loro ci pagano per non stressarsi con i preparativi della cerimonia e noi li accontentiamo. Il resto non è
affar nostro.” Con queste parole mi lascia ammutolita. “Non lo apri?” Cambia discorso indicandomi la borsetta che tengo in mano da un po’. La apro e ne estraggo un bikini blu semplice e d’istinto glielo lancio addosso. Lui mi guarda con gli occhi sbarrati, incredulo per la mia reazione. Sento il mio viso andare a fuoco. L’ha comprato per me e io mi sento in imbarazzo perché è troppo intimo come regalo. Mike lo appoggia sul tavolo e esce in veranda, forse l’ha presa peggio di me. Da quella notte in albergo mi sembra che ci siamo allontanati, lasciando spazio ad un rapporto più professionale, e ora mi regala questo. Non so davvero cosa pensare, mi limito a raccogliere il dono e andare in bagno a cambiarmi. Esco dopo dieci minuti con l’accappatoio bianco e non lo vedo più. Un senso di tristezza mi pervade l’anima e mi dispiace aver reagito così. Sicuramente se n’è andato per questo.
Alle dieci incontro la sposa e le damigelle nell’atrio. Carla ha più di trent’anni ma sembra ancora una ragazzina, è tutta emozionata per il gran giorno e le damigelle incitano il suo stato d’animo. Entriamo nella zona relax e io mi distendo su una sdraio con il programma dei trattamenti per le ragazze. Loro si lasciano andare nell’idromassaggio non dando troppa importanza alla mia presenza. Un’ora più tardi sono sistemate con le rispettive estetiste e massaggiatrici, fino a l’una posso dedicarmi a contattare l’atelier per assicurarmi la massima puntualità. L’intera zona è riservata a noi fino alle due, per cui nessuno dovrebbe disturbarmi. Finisco il mio compito con largo anticipo e ci vorrà ancora più di mezz’ora prima che le ragazze ritornino, quindi ne approfitto per provare l’idromassaggio. La vasca circolare è completamente addobbata con candele profumate, ma non riesco a capire l’effettivo profumo, anche se scommetterei sulla menta. Mi lascio coccolare con gli occhi chiusi da tutte quelle bolliccine, anche i miei genitori ne avevano fatta installare una, ma non ho mai avuto tempo di provarla. Peccato, mi sono persa uno dei pochi piaceri che poteva offrire quella casa. Sento una porta scorrere e apro gli occhi. “Carla, avete finito?” Esclamo emergendo dalla vasca. Non è Carla, è Mike, ed è in costume.
Trattengo il fiato di fronte al suo fisico asciutto e i muscoli ben delineati. I capelli sono leggermente scompigliati e un raggio di sole colpisce il suo sguardo, abbagliando i miei pensieri. “Come fai ad apparire sempre dal nulla?” Gli chiedo, nascondendo il volto dietro il muro della vasca. “Forse sono sempre presente e ti osservo da lontano.” Mi risponde con tono basso. Deposita il suo accappatoio sul mio sdraio e si avvicina pericolosamente alla vasca. “Tra poco le ragazze arriveranno, è meglio se mi cambio.” Lui non pronuncia parola ed entra in acqua. Io cerco di alzarmi, ma lui mi afferra per un polso trascinandomi di nuovo dentro. “Non ti preoccupare, ho già provveduto con laute mance affinché le massaggiatrici proseguano mezz’ora oltre l’appuntamento.” Avvicina il suo volto al mio e posso quasi sentire il suo respiro, io nascondo la mia bocca sott’acqua, come se bastasse a proteggermi, anche se in realtà non ho nulla di cui avere paura. Anzi, forse non voglio nemmeno proteggermi. Lui mi solleva leggermente e mi abbraccia, io resto inerme, non sapendo come reagire. Una sensazione di tranquillità e pace mi pervade e non sono sicura che sia solo l’idromassaggio. “Lo so che non sei come le altre donne.” Ora mi guarda dritto negli occhi e io rimango come ipnotizzata di fronte a lui, come ci riesce ancora non lo so. “Tu mi fai impazzire, ma allo stesso tempo mi sento un verme quando provo ad avvicinarmi a te.” Cosa intende dire, ora la colpa del suo atteggiamento è forse mia. Poi lui prosegue. “La prima volta che ti vidi al bar, intenta a guardarti intorno fiera e incuriosita allo stesso tempo, mi hai colpito e quando ti ho chiesto il giornale per attirare il tuo sguardo…” s’interrompe e si allontana da me piano. “Il tuo sguardo così sicuro… Non mi guardavi con interesse, ma come se fossi contraria a me.” “Lo ero.” Sorvolo sul fatto che lui mi abbia chiesto a posta il giornale. “E perché?” Mi chiede lui sempre tenendosi a debita distanza.
“Eri con la tua conquista di turno, e anche un cieco lo avrebbe notato.” Lui ride. “Senti la ragazzina che critica le avventure altrui.” “Non sono una ragazzina.” Puntualizzo. “E si, ti critico, perché di certo non ti rendi figo agli occhi di tutte, anzi, è possibile che comportandoti così un giorno ti lascerai sfuggire la ragazza giusta.” “Ora dai anche consigli, proprio tu che non concepisci la natura dell’essere innamorata?” ride ma allo stesso tempo lancia delle frecciatine per nulla simpatiche. “Beh, ultimamente potrei essermi anche ricreduta. Potrei aver conosciuto anche un ragazzo gentile disposto a trattarmi come una principessa.” Ribatto con altrettanto sarcasmo. “Alludi al tuo amichetto della dependance?” Questa è una coltellata alla schiena, soprattutto perché è da molti giorni che non vedo Lorenzo e non so se mai lo rivedrò. “Si chiama Lorenzo, e non è il mio amichetto. È solo una persona molto gentile con me.” Alzo leggermente la voce e lui diventa serio, ora il suo sguardo incute un po’ di timore. “E dimmi, con la sua gentilezza è riuscito a darti lo stesso piacere che ti ho dato io?” Questa è l’unica cosa che non doveva dire, lo colpisco senza pensarci due volte con uno schiaffo. “Se pensi che io mi lasci toccare da chiunque, come le oche che ti circondano hai sbagliato soggetto e non hai capito nulla di me.” Le lacrime iniziano ad inondarmi gli occhi, lui rimane con lo sguardo fisso nel vuoto e non ribatte nulla. “Con me i tuoi giochetti finiscono qui, trova qualcun’altra da offendere, io torno al mio lavoro.” Con ferma decisione raccolgo il mio accappatoio e ritorno in camera a cambiarmi. La giornata procede come da programma e la sera vado a dormire senza preoccuparmi troppo se lui è con qualche damigella d’onore. Prego solo la reception di portarmi la colazione in camera alle cinque l’indomani.
Capitolo 35
Vengo svegliata come concordato alle cinque. Mi preparo e con le scarpe in mano corro a svegliare la sposa, assicurandomi che sia pronta per l’arrivo della parrucchiera. Proseguo il giro occupandomi anche delle damigelle e finalmente alle sei arriva la parrucchiera. La cerimonia inizierà alle dieci e prima di avviarci verso la chiesa vorrei che il fotografo scattasse qualche foto alla sposa nel piccolo parco dell’hotel. Per fortuna fuori splende il sole e tutto sembra favorevole allo svolgimento del servizio fotografico all’esterno. Durante tutto il giorno non incrocio mai Mike, ma posso accertarmi che si è occupato personalmente dell’allestimento della chiesa e della location. È davvero veloce e preciso nel suo lavoro, ha calcolato tutte le tempistiche e io con assoluta tranquillità riesco a are da una parte all’altra fino al termine della giornata. A mezzanotte vengono lanciati i fuochi d’artificio e finalmente il mio lavoro è terminato, posso tornare a Milano, pronta per il prossimo evento. Mi guardo in giro e non vedo Mike, l’unico che possa riportarmi a casa. Sento qualcuno che picchietta sulla mia spalla e mi volto speranzosa. Ma davanti a me c’è un omino simpatico sulla sessantina. “Mi scusi, lei è la signorina Deborah?” Mi chiede con fare simpatico. “Si, sono io.” Gli rispondo. “Il signor Mike mi ha dato ordine di condurla a ritirare le sue cose in albergo e di riportarla a Milano.” Afferma. “D’accordo, ho capito.”
Mi accompagna in albergo e noto che nel parcheggio c’è ancora la macchina di Mike. Dunque non è ancora partito, mi chiedo se si sia intrattenuto con qualche damigella. Entro in camera e raccolgo le mie cose, ma una triste curiosità mi travolge. Decido di bussare alla sua porta ma nessuno mi risponde, esco in veranda e vado sotto la finestra della sua camera. Sento la sua voce e quella di una ragazza. Mi assale la rabbia, mi tolgo le scarpe e le appoggio sul davanzale, faccio forza sulle spalle e riesco a sedermi sullo stesso. Scosto le tende con i piedi e mi lascio cadere all’interno della stanza, rumorosamente. Davanti a me i due colpevoli mi osservano attoniti. “Signorina, mi scusi, ma per questa notte il signore deve riposare, domani lo attende una giornata estenuante.” Esordisco decisa. Loro continuano ad osservarmi senza pronunciare parola e inizio a sentirmi in imbarazzo. La ragazza chiede spiegazioni a Mike e lui le fa cenno con la mano di rimanere tranquilla. Lui si avvicina a me e mi afferra per una spalla. “Sara, ti presento la mia validissima e instancabile assistente.” La giovane ragazza ride e mi porge la mano. “Mike, di certo questa volta hai trovato pane per i tuoi denti. Era ora che trovassi un’assistente seria e che non fe solo presenza.” Entrambi continuano a ridere e ora mi sento davvero in imbarazzo, quasi colpevole di un furto direi. “Deborah” Mike mi guarda divertito. “Sara pensava di dedicarci la prossima copertina di una nota rivista inglese specializzata nei matrimoni.” Ora posso ufficialmente sprofondare dalla vergogna. Le stringo la mano e abbasso lo sguardo in segno di remissione. Sara continua a ridere. “Allora siamo d’accordo, faremo un servizio fotografico con i migliori vestiti scelti da voi per le vostre spose. Poi l’articolo sarà incentrato sui vostri consigli su come scegliere il vestito migliore.” Prosegue lei rivolgendosi a Mike. “D’accordo, ti ringrazio.” Le risponde. “Sara, è stato un piacere incontrarti.” Sara mi saluta mentre Mike la conduce alla porta.
Ne approfitto per avvisare la reception di dire al mio autista che può andare a Milano senza di me. Intanto so già che mi aspetterà una notte di rimproveri per il mio gesto avventato. Mike ritorna dopo pochi minuti e io rimango scalza, con lo sguardo abbassato al centro della stanza. Sono sicura che se mi muovo lui potrebbe trovare la scusa per attaccarmi. Ma lui m’ignora e si rinchiude in bagno. Cosa dovrei fare ora? Mi guardo intorno e la mia testa non contiene più idee. Mi aspettavo una lavata di capo e invece lui mi ha nettamente snobbata. Non posso tollerare questo suo atteggiamento di superiorità e mi dirigo verso la porta del bagno. Busso ma non ottengo risposta. “Mike ci sei?” Nessuna risposta. “Mike non puoi ignorarmi così.” Ancora nulla. Aspetto qualche minuto e lo sento muoversi all’interno della stanza. “Mike insomma, ti credi così tanto superiore che al posto di darmi una lavata di capo, m’ignori completamente?” Urlo cercando di fargli capire tutto il mio disappunto. Finalmente la porta del bagno si apre, ma non mi appare lui, bensì un getto d’acqua mi colpisce in pieno viso. Ho i capelli che gocciolano sui vestiti e l’intera faccia lavata. Mi fiondo contro di lui e lo sento ridere di cuore. Improvvisamente la litigata di ieri mi sembra un lontano e brutto ricordo. “Tieni, asciugati sciocca.” E mi lancia un asciugamano in testa. “Perché lo hai fatto?” gli chiedo. “Per vendetta, non potendoti ritornare lo schiaffo di ieri.” Risponde. “Te lo sei meritato.” Ribadisco. “Si, hai ragione, e ti chiedo scusa.” Lo vedo davvero pentito e gli accenno un sorriso in segno di perdono. Ci accomodiamo sulle poltrone e parliamo della giornata e del successo raggiunto. Parliamo di Sara e del fatto che è la seconda volta che compariamo nel suo magasine. Sono quasi le tre quando ci accorgiamo dell’ora. “Meglio se torno nella mia stanza gli dico.”
“Resta qui con me.” Mi dice lui. “Non posso.” Continuo io. “Non è professionale.” Lui si alza e viene verso la poltrona dove sono seduta, m’invita ad alzarmi a mia volta e mi dice di mettermi in ordine per la notte. Lui mi avrebbe atteso a letto. Come un burattino eseguo i suoi ordini, vado in camera a lavarmi velocemente, in fondo ho raccolto un po’ di terra togliendomi le scarpe in giardino. Indosso il pigiama, prendo la valigia e ritorno in camera sua. Lui è a letto con un giornale in mano, io mi avvicino. Sono quasi ventiquattro ore che non dormo ma la stanchezza sembra sparita. Mi corico al suo fianco, lui mi da un bacio caloroso e poi appoggia la mia testa sul suo petto. “Ora dormiamo, domani abbiamo la giornata libera e possiamo ritornare con calma a Milano.” Non è quello che mi aspettavo, ma l’idea mi piace.
Capitolo 36
È la suoneria del cellulare a svegliarmi, ma non del mio. È quello di Mike. C’impiega un po’ a rispondere e sento che con voce roca bisbiglia qualcosa. “Si, mamma, sarò lì al più presto.” È sua madre, e mentre finisce di parlarle si alza e si allontana. Io tengo gli occhi chiusi, quasi ad illudermi che è un sogno e che posso rimanere sotto queste meravigliose lenzuola di seta ancora un po’. “Alzati Deb.” Invece non è così, ma non gli rispondo subito, se pensasse che dormo profondamente forse mi lascerà dormire ancora un po’. Sento un solletichìo sulla pianta del piede e cercò di trattenermi dallo scoppiare a ridere, poi qualcosa mi morde il polpaccio, dolcemente. “Ehi!” spalanco gli occhi e mi metto subito seduta, quasi a difendermi. Mike è in ginocchio di fianco al letto e ride di gusto. Io gli lancio il cuscino in faccia. “Dobbiamo partire il prima possibile, mia madre mi attende a Milano.” Mi dice. “Ma non avevi detto che avevamo la giornata libera?” gli chiedo, lui non risponde e distoglie lo sguardo. Capisco che gli affari sono più importanti e non pronunciando altra parola mi preparo per il rientro.
Durante il viaggio continuiamo a discutere del termine dei preparativi per il matrimonio di Chiara e di come questo evento porterà molta visibilità all’azienda. Inizio ad ambientarmi in questo mondo e parlare di nozze e amore eterno non mi da più quel fastidio allo stomaco, come fino a non molto tempo fa. Osservo Mike alla guida, mentre mi spiega le strategie da adottare e di come il fotografo deve saper risaltare la sposa al massimo.
“Subito dopo il matrimonio faremo quel servizio fotografico.” Esulta. “Ho capito.” Affermo “Devo trovare abiti e modelle adatte.” “Bastano gli abiti.” Lo guardo perplessa, ma non colgo il suo sguardo nascosto dietro i Ray-ban. “La modella sarai tu.” Scoppio in una fragorosa risata. “Non ci penso proprio. Io l’abito bianco non lo indosserò mai.” Lui non risponde ma lo vedo abbozzare un sorriso. “Sorridi pure. Intanto non cambierò idea.” Inizio ad immaginarmi mentre con tutta la mia goffagine indosso quegli enormi vestiti da principessa, mentre qualche parrucchiere cerca di sistemarmi i capelli rovinati. Sono pensieri totalmente assurdi e questa volta non intendo assecondarlo.
Arriviamo a casa e ci sbrighiamo a scendere e sistemare i miei bagagli. Il maggiordomo ci raggiunge e ci prega di consegnare le valigie, in quanto la signora Francis, e altri due ospiti ci stanno aspettando da molto. Lancio un’occhiata interrogativa a Mike e lui si limita a fare spallucce. Speriamo che sia un’altra coppia che ha sentito delle favolose nozze che stiamo organizzando e vuole ingaggiarci. Saliamo velocemente le scale e ci dirigiamo verso lo studio della signora Francis, posso chiaramente distinguere dal fondo del corridoio le voci di due donne e un uomo. Mike mi precede nell’aprire la porta ed entriamo nella stanza pieni di curiosità. Impiego qualche secondo prima di mettere a fuoco le figure davanti a me e lo spettacolo che trovo non è tra i più piacevoli. In piedi di fronte alla signora Francis vedo i miei genitori con aria seria, Mike che probabilmente non li ha mai visti gli porge la mano e si presenta, ma i toni rimangono freddi, e lui se ne accorge. “Cosa ci fate voi qui?” Mike ora dirige il suo sguardo verso di me.
“Deborah, non è il modo di rivolgerti ai nostri ospiti.” Afferma lui. “Non ti preoccupare, siamo abituati alla sua maleducazione.” Gli risponde mia madre con fare accusatorio. “Siamo i genitori di questa sprovveduta.” Mike ora non sa cosa dire, si guarda intorno come se cercasse delle risposte da me o da sua madre, ma ottiene solo silenzio. “Perché siete venuti fin qui?” continuo io. A prendere la parola ora è mio padre. “Ti abbiamo lasciato un mese di piena libertà per sfogare le tue pazze fantasie, ma è ora di tornare a casa, nella realtà.” Il suo tono è più severo che mai. “Tornare a casa? Ma se mi avete sbattuto fuori voi!” Urlo. “Signorina, la invito ad usare un altro tono a casa mia.” Ora anche la signora Francis si mette a darmi degli ordini. “Volevamo darti una lezione, farti capire che le tue idee non ti porteranno da nessuna parte.” Continua mio padre. “Invece, come puoi vedere ho un lavoro e riesco a provvedere a me stessa.” Un ghigno arriva dalle mie spalle, è ancora la madre di Mike e ci posso scommettere la testa che è stata proprio lei a contattarli. “Lasciate che vi spieghi.” Mike interviene, forse anche per calmare le acque. Ma i miei genitori lo interrompono subito. “Ragazzino, non t’intromettere. Abbiamo già dato disposizione di prelevare le sue cose. Questa storia deve finire subito.” “Voi non potete fare sempre così, è la mia vita, sono le mie decisioni.” Gli occhi iniziano a gonfiarsi di lacrime. Non può finire adesso. Non ora che ho iniziato ad amare questo ragazzo, non ora che stavo iniziando a cambiare io. Mio padre mi afferra per un braccio e con la coda dell’occhio vedo Mike gettare gli occhiali e la giacca sopra la scrivania della madre.
“Mike…” riesco a mormorare con un filo di voce mentre mi allontano, dietro di me sento solamente tuonare lui contro sua madre sul perché di questa decisione. Con la testa abbassata entro nella berlina di famiglia e dai vetri oscurati vedo la villa allontanarsi sempre di più. “Hai iniziato a vestirti come una ragazza finalmente. Ti è servito a qualcosa questo colpo di testa.” Mia madre, osservandomi attraverso lo specchietto, pronuncia queste parole. Come un chiodo arrugginito che cerca di scalfire una pietra ancora grezza.
Capitolo 37
Sono di fronte al portone d’ingresso della mia vecchia casa. Un senso di apatia mi travolge, mi sembra come se varcare quella soglia possa cancellare l’ultimo mese e segnare definitivamente il mio ritorno in un incubo. Rimango quasi un quarto d’ora così, mezza sognante e i miei ricordi ritornano al giorno in cui ero uscita da questa porta e chiudendola dietro di me avevo notato come la maniglia era diventata opaca, mentre ora è di nuovo lucida. Mia madre mi ordina di entrare ed io con fare calmo varco quella soglia, facendomi inondare da un aroma deciso di caffè, ed ecco che di nuovo i miei pensieri si spostano a quella mattina in caffetteria, quando vidi Mike per la prima volta, i suoi occhi sono ancora impressi nella memoria, e sebbene sia ata appena qualche ora, mi sembra già così lontano nel tempo. Silenziosamente mi dirigo in camera, ignorando ciò che mi sta dicendo mia madre. I suoi piani non sono affar mio, non ho voglia di pensare, soprattutto perché mi sento svuotata di qualsiasi cosa, mi sento ancor più nuda di quel giorno al negozio di vestiti, davanti lo specchio. Entro in camera e mi lascio cadere sul letto. Ogni singolo oggetto è al suo posto, tutto è perfettamente in ordine, come lo avevo lasciato quando me n’ero andata. Le lenzuola in cotone profumano di lavanda, ho sempre adorato questa essenza, ma improvvisamente mi da la nausea e vorrei strapparle e gettarle dalla finestra. Chiudo gli occhi e cerco di non pensare oltre. Non so quanto ho dormito ma sento qualcuno scuotermi un braccio, sono sicura che quando aprirò gli occhi troverò Mike pronto a stuzzicarmi. Socchiudo leggermente le palpebre e davanti a me vedo solo la governante che mi incita a prepararmi poiché gli ospiti stanno arrivando. Mi alzo come una marionetta, afferro il vestito che mi sta porgendo e lo indosso senza prestare troppa attenzione se è correttamente allacciato. Nadia, la
governante mi pettina e raccoglie i capelli mentre io fisso attraverso lo specchio quella figura insignificante che sono tornata ad essere. “Signorina si sbrighi se non vuole sentire le lamentele di sua madre per il resto della settimana.” Continua a dirmi Nadia. “Il resto della settimana.” Mi limito a ripetere io, sembra un tempo infinito. Indosso le decolleté che mi ha regalato Mike e scendo in sala da pranzo, dove un altro orrendo quadro mi attende. I miei genitori, un’altra coppia sulla cinquantina e un ragazzo che sembra essere poco più vecchio di me. Non è un incubo, è quasi la sceneggiatura di un film dell’orrore. “Ben arrivata, figlia mia.” Esordisce mia madre, con quel suo sorrisetto falso. “Ricordi i signori Dartin? Sono venuti a farci visita con il loro primogenito Gabriele.” “No.” Mi limito a rispondere io, mentre loro si guardano basiti. “Beh, avrai tempo di conoscerli stasera a cena, prego accomodiamoci.” Mia madre, da ottima padrona di casa fa accomodare i suoi ospiti, facendomi sedere a fianco del baldo giovane, di cui ho già dimenticato il nome. Per tutta la cena discutono di affari e io isolo la mia mente dai loro discorsi seriosi, finché a conclusione della serata il figlio si congeda con un baciamano e la famigliola felice ritorna nella sua sperduta reggia. Mi sciolgo i capelli e tolgo le scarpe, mentre mia madre mi rimprovera con tono agitato. Può agitarsi quanto vuole, non riesco a concentrarmi su ciò che dice. Finalmente nella mia camera posso lasciar cadere il vestito e le scarpe per gettarmi in un pianto liberatorio sotto le lenzuola. Voglio ritornare a Milano, voglio ritornare al mio lavoro. Questa non è più la mia vita.
Capitolo 38
La cameriera mi sveglia molto presto, dice che i miei genitori mi aspettano per la colazione. Scendo ancora in pigiama, consapevole che quell'abbigliamento irrita incredibilmente mia madre. Mio padre sorseggia il suo caffè mentre sfoglia il quotidiano, mia madre si limita a lanciarmi occhiate mentre assaggia il frullato. “Più tardi andremo a visitare la tua università.” Esordisce. “Mettiti il completo che ti ho comprato.” Lascio nel piatto il mio toast e ritorno in camera. Hanno ripreso a manipolare la mia vita, e questa volta non si accontentano di trovarmi qualche rampollo, decidono anche del mio futuro come donna. Vorrei lottare come ho sempre fatto per i miei ideali, ma non so più come comportarmi e a chi rivolgermi. Questa non è una casa ma una prigione. Indosso il completo e raggiungo le sentinelle all’auto. Non so nemmeno in quale università mi hanno iscritto, quale strada hanno scelto per me. Io desidero ritornare alle scorse settimane, quando organizzavo tutte quelle cerimonie, che ora non mi appaiono più così stupide, e quelle donne che si realizzano nel loro matrimonio non mi sembrano più così sciocche. La sciocca sono io, se fossi stata meno testarda forse ora la mia vita sarebbe diversa. Ma finché non trovo una scappatoia, questa è la strada che sono obbligata a percorrere. La visita dura circa un’ora e io mi perdo nei miei pensieri, non dando molta importanza all’ambiente che mi circonda. Proprio io che fino a non molto tempo fa sarei entrata da sola in un luogo così ricco di cultura, dove potermi confrontare con persone intelligenti. Ma ora non mi bastano più i libri e le giornate ate nelle biblioteche silenziose. Finita la visita, ritorniamo a casa e mi rinchiudo in camera, aspettando l’ora della cena. o così le mie giornate, alzandomi la mattina presto, ando il resto
della giornata seduta alla scrivania e aspettando che arrivi sera. Tra le tante chiacchere di mia madre capisco che sarà nuova abitudine avere Gabriele e i suoi genitori a pranzo la domenica, più che un appuntamento sembra la nuova tortura inventata per me. È sabato pomeriggio e mi siedo alla finestra con lo sguardo rivolto verso l’infinito. Osservo un fastidioso temporale avanzare e penso al fatto che Chiara e Sebastiano si stanno sposando. Chissà come sarà bella lei, e quanto sarà meravigliato lui nel vederla con quel vestito così principesco. Penso che il pezzo forte sarà la torta, mi piacerebbe vedere i giochi d’acqua in azione. Sento i miei genitori uscire e qualcuno correre verso la mia stanza. La cameriera entra senza bussare e mi volto con aria infastidita verso di lei. “Cosa c’è?” Le chiedo. “Non dovrei farlo, ma ecco…” abbassa lo sguardo ed estrae qualcosa dal grembiule. “Il giorno che è andata all’università con i suoi genitori ha telefonato un uomo.” Mi bastano queste sue parole per balzare in piedi e dirigermi velocemente verso di lei. Lei indietreggia di qualche o e mi porge il foglio. Sopra c’è un numero di cellulare. Osservo bene quel numero ma non mi dice nulla, la fisso con sguardo interrogativo ma lei sembra impaurita dal mio atteggiamento. “Allora, cosa me ne faccio? Di chi è?” Sbotto sempre più impaziente. “Non ho scritto altri dettagli perché se sua madre lo avesse trovato poteva pensare che fosse mio.” Continuo a non seguirla e mi limito ad alzare le mani al cielo. Lei continua. “Mi ha chiesto se abitava qui e mi ha detto che avrebbe avuto piacere risentirla. Mi pare che si chiamasse Lorenzo.” Dunque Lorenzo mi ha cercata, ma come faceva a sapere il mio numero di casa, ci siamo detti così poco l’uno dell’altra. “Sai dove sono andati i miei genitori?” La mia voce si è calmata e anche lei sembra essere più rilassata. “Sono usciti per delle commissioni, rientreranno nel tardo pomeriggio.” Afferma. Corro nello studio di mio padre e telefono subito a Lorenzo, lasciando la
cameriera piena di perplessità. Uno, due, tre, quattro squilli ma nessuno risponde. Riprovo e finalmente dall’altro capo una voce maschile esclama “Pronto?” Le lacrime iniziano ad uscirmi dagli occhi “Lorenzo sono io.” Gli dico con un filo di voce. “Deby? Che fine hai fatto?” Mi chiede. “I miei genitori mi hanno riportato a casa.” Riesco a dire solo questo, più parlo e più sento di avere la voce strozzata dalle lacrime. “Pensi di ritornare tra noi?” continua lui. “No, riprenderò l’università. Sono ritornata alla mia vecchia routine. Le vacanze sono state brevissime.” “Capisco.” Mi dice lui. “Tu come stai?” Gli chiedo. “Beh, sai sono successe un po’ di cose…” sembra quasi imbarazzato. “Tipo?” Continuo curiosa. Le lacrime iniziano ad affievolirsi grazie alla piega spensierata che sta prendendo il discorso. “Tipo, sai la mia tutor…?” è sempre più imbarazzato e un po’ mi rallegra. “Quella che ti ha lasciato il rossetto sulla camicia due settimane fa?” gli chiedo con tono sarcastico. “Deby, cosa dici?” Urla lui. Rido di gusto a questa sua risposta. Sembra quasi un ragazzino e mi racconta che si sente travolto dalla giovane donna ma che non sa cosa fare. Parliamo per un bel po’ ed infine ci salutiamo. “Deby…” conclude. “Dimmi Lorenzo.” Il mio tono sembra più quello di una mammina. “Non è che con te stavo giocando.” Me lo immagino mentre arrossisce.
“Lorenzo…” continuo. “Non è che con qualche bacio mi aspettavo che mi sposassi.” Ridiamo compiaciuti ed io sono felice di aver conosciuto un ragazzo così. “Un’ultima cosa.” Mi dice lui. “Mike è diventato particolarmente acido questa settimana e ha già licenziato l’assistente che gli aveva procurato la madre.” Non riesco a rispondere, sono ati pochi giorni e già mi sembra un ricordo lontanissimo. “Ci sei?” mi chiede lui. “Mi manca.” Riesco solo a pronunciare queste parole. “Sono sicuro che prima o poi vi rivedrete.” Mi rassicura lui. “Ciao Lorenzo.” “Abbi cura di te.” Termina lui. Riaggancio il telefono e ritorno in camera. Lungo il corridoio incrocio la cameriera e la ringrazio per quello che ha fatto per me. Lei accenna un sorriso e si dilegua dentro una stanza. Questa telefonata mi ha in un qualche modo rasserenato, ma non è riuscita a farmi tornare del tutto il buon umore. Riprendo in mano il libro che ho sottolineato per tutta la settimana. Nozioni di diritto privato, recita il titolo. Sento i miei genitori rientrare in casa ed esco dalla camera. “Mamma, aspetta un attimo.” “Ti è tornata la parola?” mi chiede con quella sua perenne aria da vamp. “A che facoltà avete detto che mi avete iscritto?” Lei mi guarda sbalordita, sta realizzando che non ho prestato attenzione alla scampagnata dell’altro giorno. “Economia.” Dice dilatando visibilmente le narici. Sorrido e ritorno in camera, facoltà interessante.
Capitolo 39
La domenica mattina sento mia madre agitarsi in atrio molto presto. Sicuramente si starà premurando che tutto sia perfetto per l’arrivo dei nostri ospiti. Mi alzo, indosso la vestaglia e scendo a fare colazione. “Sei ancora in pigiama?” Mi urla contro. “È ancora presto.” Le rispondo sbadigliando. “Non è presto, i nostri ospiti saranno qui tra un’ora perché tuo padre deve trattare un affare prima di pranzo.” S’interrompe e si siede vicino a me, guardandomi dritta negli occhi. Il suo atteggiamento non mi piace, sembra quasi pronta a minacciarmi. “Sai, prima di pranzo potresti andare a prendere un aperitivo con il tuo nuovo amico.” Sento il succo di frutta fermarsi in gola e devo darmi qualche colpo sul petto per riuscire a mandarlo giù. “Non ci penso proprio.” Lo sguardo di mia madre si fa ancora più severo. “Tu uscirai per una eggiata con Gabriele e noi vi aspettiamo per pranzo.” Posso percepire benissimo la sua aura di rabbia. “Mamma, siamo nel ventunesimo secolo, è finita l’era degli appuntamenti combinati.” Le faccio affronto, non voglio più saperne delle loro sciocche regole ferme ancora al pleistocene. “La cosa va ben oltre i tuoi capricci, tu e tua sorella dovete impegnarvi per garantire una continuità all’azienda di famiglia.” Inizio a sentire una stretta alla gola, vorrei scappare ma so che non me lo permetterebbero. “Tu studierai e farai quello che diciamo noi, abbiamo assecondato ogni tua stranezza in questi anni, ogni tuo rifiuto di entrare in società e di rapportarti a ragazzi di un certo ordine, ma è ora che cambi.”
“E se io fossi interessata a qualcun altro.” Lei balza in piedi stringendosi le mani allo stomaco. “Ti riferisci a quel bell’imbusto dell’altro giorno? Non è adatto a te.” La sua voce si è abbassata e quasi è diventata roca. “E tu cosa ne sai?” Le chiedo. “Tu farai come diciamo noi, il resto dimenticatelo.” Il nodo alla gola si è stretto del tutto e sento mancarmi l’aria. Lascio la colazione sul tavolo e mi affaccio ad una finestra cercando d’inalare più aria possibile, ma è difficile. Sento una cameriera alle mie spalle che attende che io mi volti. “Cosa c’è Alice?” Le dico tenendo lo sguardo basso. “Sua madre vuole che l’aiuti a prepararla per la sua uscita.” Mi risponde con tono remissivo. Io mi asciugo le lacrime e la seguo fino in camera. Estraggo dall’armadio il vestito fucsia che Mike mi ha regalato. “è davvero un bel vestito signorina.” “Lo penso anch’io, è stato scelto con molta cura.” Lo indosso guardandomi allo specchio e mi ritorna in mente il momento in cui mi ritrovai quasi nuda davanti lo specchio del negozio in cui lo provai. Per la prima volta mi vidi come una donna, e mi piacevo. Mike mi aveva fatto aprire gli occhi e mi aveva mostrato quanto bella posso essere. La nostalgia mi attraversa lo stomaco e mi chiedo quanto tempo ci vorrà perché questa malinconia se ne vada. Quando scendo trovo il mio accompagnatore che mi attende all’ingresso. “Buongiorno.” Esordisce. “Buongiorno.” Gli rispondo evitando il suo sguardo. “Ragazzi, ate una bella mattinata, noi vi aspettiamo per pranzo.” Gabriele mi mette una mano intorno alla vita e mi conduce fuori. Sinceramente non m’interessa dove mi porterà, voglio trovare un modo per liberarmi di questa vita e non ho tempo di occuparmi di lui.
“Bel vestito per un aperitivo.” È gentile da parte sua complimentarsi, ma sicuramente avrà ricevuto istruzioni dai suoi genitori. Mi chiedo se anche lui si senta prigioniero di questa vita oppure se ci crede veramente. “Ti porto in un posto carino e tranquillo così possiamo parlare senza essere troppo disturbati.” Dopo venti minuti d’auto ci ritroviamo in un piccolo bar in stile moderno la cui terrazza si affaccia su un laghetto artificiale. Siamo nel Parco del Valentino. “Ogni tanto mi diverto a venire qui a pescare.” Entriamo e tutti lo salutano. Forse potrebbe risultarmi simpatico. Ci sediamo sul lato più esterno alla terrazza e ci viene offerto un drink. “È davvero un posto tranquillo.” Affermo. Lo guardo negli occhi e lui accenna un sorriso. Ora noto che ha i capelli e gli occhi castani. I capelli sono corti, ma si vede benissimo che sono ricci, ha un’aria spensierata e uno sguardo allegro. “Raccontami un po’ di te.” Mi dice. Rimango in silenzio per un po’, incerta se è il caso di rispondere veramente o aspettare che inizi un altro discorso, poi decido di accennare in poche parole qualcosa di me. “Non ho molto da dire, ho ato la mia adolescenza sui libri senza dedicarmi al resto del mondo.” “Una ragazza diligente e secchiona.” Ridacchia lui. “Invece cosa mi racconti di te.” Lo guardo con sfida e lui ribatte sempre sorridente. “Amo le donne.” Questa sua affermazione sincera mi fa ridere, viva la sincerità. “E non ho troppa voglia d’impegnarmi ora.” Sorseggio il drink e sono quasi sollevata, questo significa che non sarà troppo difficile disfarmi della sua presenza. Lui si avvicina a me e abbassando la voce sussurra, “Ma i nostri genitori devono essere compiaciuti e dobbiamo trovare il modo di far funzionare le cose. Capisci, è una questione di affari.” “Non serve.” Sobbalzo sulla sedia. Allora lui appoggia le decisioni dei nostri genitori ed è disposto ad assecondare le loro idee. “Non ti preoccupare, per il momento voglio ancora godermi la vita.” Non capisco dove voglia andare a parare. “Ora scusami per qualche istante, devo
concludere degli affari con l’uomo che sta pescando.” Mi indica un signore sulla sessantina intento a recuperare un pesce. “Io farò una eggiata nel parco”. Annuisce ci diamo appuntamento alla macchina mezz’ora più tardi. Anche mio padre ha lo stesso atteggiamento ogni volta che usciamo a pranzo. Attraverso il parco e mi avvicino alla recinzione dei pavoni, è un angolo isolato e anche Gabriele è sparito dalla mia vista. Ho mezz’ora di libertà, mezz’ora in cui far vagare i miei pensieri e respirare l’aria calda dell’estate. Mi tolgo le scarpe e eggio sull’erba, come quella notte nel chiostro con Mike. Mi siedo sulle ginocchia e chiudo gli occhi per ricordarmi ogni istante e a momenti il suo profumo sembra così vicino e reale. “Già, aveva un profumo fantastico…” Pronuncio a voce alta, non troppo curante del fatto che qualcuno potrebbe vedermi così. Sento ridere e balzo in piedi guardandomi intorno, forse Gabriele è venuto a cercarmi e ha assistito alla scena. “Gabriele…” Ma non ricevo risposta. Continuo a scrutare tra i cespugli e finalmente intravedo un paio di pantaloni color sabbia. Ma Gabriele era in jeans. Mi avvicino e lo vedo davanti a me con i suoi occhi più verdi che mai e il suo sguardo così intenso. “Mike…”
Capitolo 40
“Ciao ragazzina.” Mi dice lui. “Come mi hai trovato?” gli chiedo mentre mi avvicino velocemente a lui. “In realtà non ti ho mai perso di vista.” Il suo sorriso è bellissimo, ai lati della bocca vedo due piccole fossette, non le avevo mai notate prima. Si è accorciato leggermente i capelli, ora sistemati all’indietro con il gel. Così è ancora più affascinante. “Sei sempre stato qui e non ti sei mai avvicinato?” lui fa spallucce. “Come te la i nella tua reggia?” Mi chiede cambiando discorso. “Non è una reggia, è una prigione.” Sbuffo ma non riesco a togliergli lo sguardo di dosso. “Perché mi stavi spiando?” cerco di ritornare al discorso iniziale. “In settimana avrò quel servizio fotografico e sono senza la modella.” È vero, il servizio per quella rivista. “Mi dispiace la modella deve coltivare le sue future nozze e la sua nuova carriera universitaria.” Glielo dico anche per stuzzicarlo un po’ e vedere se è geloso. “E lui sarebbe il damerino con cui sei in compagnia oggi?” Bersaglio colpito. “Già.” Rispondo. “Pessima scelta.” Bersaglio affondato e ne sono compiaciuta. “Ti da fastidio?” Mi piace stuzzicarlo, lui si porta le mani ai fianchi e mi guarda con aria seria. “Pensi di riuscire a sgattaiolare fuori casa mercoledì?” Cambia discorso di nuovo.
“Posso provare.” Penso sarà l’impresa più incredibile della mia vita, ma farei questo ed altro per are del tempo con lui. “Non truccarti e non mettere creme, ci penserà lo staff del servizio. Ti farò rientrare entro sera.” Gli sorrido. Lui appoggia la sua fronte contro la mia. “Sei bellissima con questo vestito.” Afferma. “Dovrò ringraziare la persona che l’ha scelto per me.” Lui avvolge un braccio intorno a me e mi stringe contro il suo petto. “Non ti disgustano più così tanto gli uomini.” Il suo respiro è sempre più vicino. “O sei l’eccezione che conferma la regola.” Controbatto rinforzandogli l’ego. Alzo la testa verso di lui e lascio che mi travolga dal suo bacio. Infilo le mani tra i suoi capelli percependo la loro morbidezza. Il bacio diventa sempre più profondo e non vorrei che smettesse. Lui mi accarezza tutta la schiena, mentre lentamente a le sue labbra al mio collo. Vorrei are il resto della giornata con lui ma il tempo stringe e io devo ritornare alla quotidianità. Sento lui che stringe di più le labbra sul mio collo e lo spingo via. “Cosa fai?” Lui ride “Ti lascio un mio ricordo.” Estraggo dalla borsa lo specchietto e vedo un segno rosso. “Cos’hai combinato? Come lo giustifico questo.” Sono agitata, ci manca solo mia madre che pensi che me l’abbia fatto Gabriele e che lui si chieda cos’ho combinato. Mike continua a ridere. “Meno male che sono sempre attrezzato.” Mi porge un foulard in seta bianco e lo avvolgo sul collo. “Devo andare.” Ormai è ata mezz’ora e voglio evitare che sia il mio accompagnatore a cercarmi. Ci scambiamo un ultimo intenso bacio e lo saluto. Non vedo l’ora che arrivi mercoledì per poterlo rivedere. Raggiungo Gabriele e salgo in macchina, sorridendo. “Ti ha fatto bene uscire di casa.” Afferma mentre accende il motore. “Si, ci voleva.” Cinguetto.
“Ma non hai caldo con il foulard al collo?” giusto il foulard, dovrò indossarlo un paio di giorni. Lo tocco e gioco con l’orlo.
“È perfetto per questo vestito.” Con la coda dell’occhio vedo Mike osservarci dal finestrino del suo fuoristrada. I suoi occhi sono coperti dai Ray-ban ma so perfettamente che non guarda solo me, sta valutando anche Gabriele.
Capitolo 41
Le ore sembrano non voler are mai. Guardo l’orologio e non riesco a dormire la notte. Ormai è tutto organizzato, i miei genitori credono che mi rinchiuderò nella biblioteca della nuova università per cercare altri libri sui test d’ingresso e sono anche riuscita a convincerli che potevo andarci in treno. È mercoledì mattina, esco a piedi in jeans e camicia, in realtà so che Mike mi aspetta vicino al parco con la sua Harley. Lo raggiungo correndo e lui mi lancia il pesantissimo casco. “Sei in anticipo.” Mi dice sollevando la sua visiera e magnetizzandomi con i suoi occhi. “Anche tu non scherzi.” Mi aiuta a salire dietro di lui e m’invita a tenermi stretta. Non mi faccio pregare troppo, anzi non vedevo l’ora di potermi avvicinare così tanto. “Dove andiamo?” Gli urlo. “Non molto distante.” Mi risponde. Infatti dopo mezz’ora raggiungiamo i giardini reali, nel cuore della capitale storica. Scendo dalla moto e noto subito lo staff all’opera. Mike inizia a parlare con il fotografo mentre delle ragazze mi trascinano in una roulotte per aiutarmi nella preparazione. Entrando vedo subito dieci vestiti di ogni genere e colore. Iniziano raccogliendomi i capelli sotto un enorme cappello e indosso un tailleur in raso bianco, con dei guanti abbinati. Mi sento molto signora dell’alta borghesia, ma le decolté che mi obbligano ad indossare mentre cammino sul viale di sassi mi fanno apparire goffa e impedita. Il secondo è un vestito semplice, molto simile a quelli indossati dalle dee greche, e anche la coda alta mi fa sembrare uno di quei personaggi del film Hercules. I sandali ovviamente sono sempre molto alti e l’attraversamento del giardino non rende giustizia ai miei piedi.
Proseguono altri modelli e altre acconciature finché non arrivo agli ultimi tre, particolari vestiti. Il primo è rosa e sul retro, il fiocco rappresenta una farfalla. È davvero stupendo e mi sta benissimo, mi sento libera di girare su me stessa durante gli scatti. Cado anche un paio di volte, ma per fortuna non rovino il vestito, anzi rivedendo quelle foto non sono neanche tanto brutte. Il penultimo è un elegantissimo modello a sirena, il corpetto senza maniche è rosso e riprende la parte più in alta della gonna. La vita è avvolta da una fascia di Swarovski, mentre la gonna termina con della tulle bianca. Gli orecchini sono due enormi fiori composti da diamanti. Ora cammino elegante all’interno del palazzo, affacciandomi alle finestre come se fossi alla ricerca del mio grande amore. Forse l’ho anche trovato, Mike mi sta fissando dal cortile interno e mi saluta con la mano. Ricambio sorridendo, sembra un principe in chiave moderna. Infine l’ultimo vestito è il più bello, bianco perlato, con decorazioni in seta nere su tutto il corpetto, riprese sull’orlo della gonna e sull’apertura posteriore dello strascico. In vita un nastro in raso chiuso da un cristallo enorme. Guanti neri e perle nere come orecchini. I capelli rigorosamente raccolti in una treccia. Cammino sul contorno della piscina e mi atteggio come una nobildonna d’altri tempi. Mike mi afferra per una mano e si mette in posa. Indossa un abito nero, doppio petto in raso, con i capelli sistemati all’indietro e il sole che fa brillare gli occhi suoi smeraldi. Facciamo molte foto e chiedo al fotografo se posso averne qualcuna dopo la pubblicazione della rivista. Ci tengo ad avere un ricordo di tutto ciò, di questi momenti ati con Mike, che forse non rivedrò tanto presto. È ora di pranzo e con lo staff andiamo a mangiare una pizza ando un paio d’ore a ridere e scherzare sulle foto più shoccanti mai realizzate. Adoro questa atmosfera e mi pento di non aver saputo apprezzare ciò che mi veniva offerto sul momento. Sono le due e salutiamo tutti, devo tornare all’ovile ed è meglio che avviso anche i miei genitori che sto rincasando, per evitare che siano loro a venire in cerca di me. “Pronto mamma… Si, sono io…. Si, sono ancora qui, sai ci sono molti libri interessanti e sai come sono io con la lettura… Gabriele? Stasera? Va bene,
rientro per cena. Ciao mamma.” Chiudo il telefono ed espiro tutta l’aria che ho trattenuto. “Il dovere mi chiama.” Dico a Mike, mentre lui mi mette un braccio intorno al collo e mi bacia la fronte. “Gabriele ha telefonato avvisando che stasera mi porterà a cena.” “Tu ci andrai?” Mi chiede lui, non muovendosi dalla posizione. “Devo, è la mia nuova vita.” Sussurro incerta. Tenendoci per mano torniamo all’Harley, fra mezz’ora sarà di nuovo tutto finito.
Capitolo 42
Mike si ferma dopo appena dieci minuti e non riconosco il posto in cui sono. È un piccolo agriturismo sperso nel verde delle colline e quando tolgo il casco non sento nessun rumore. Ci viene incontro un anziano signore che va ad abbracciare Mike. Vengo presentata subito e mi spiegano che alcune volte Mike ha organizzato qualche festa in quel piccolo paradiso. Facciamo una breve eggiata intorno alla casa e l’anziano consegna a Mike delle chiavi facendogli l’occhiolino. Mike mi prende sottobraccio e mi trascina con lui. “Dove mi porti ora?” gli chiedo insistentemente. “In un posto tranquillo, dove mi rifugiavo da solo dopo i party.” Non sono troppo convinta. Camminiamo per un po’ all’interno del bosco e finalmente arriviamo in un piccolo rustico. Ci sono ciclamini in tutti i davanzali e anche sulla minuscola veranda. Mike m’invita ad entrare in quell’ambiente ristretto. C’è una piccola cucina e un soppalco con un letto matrimoniale. Finalmente l’afa si è sostituita con dell’aria fresca e io mi lascio cadere su una sedia appoggiando la fronte su tavolo. È tutto così tranquillo e silenzioso, dormirei volentieri qualche ora avvolta da questa pace. Mike mi offre dell’acqua fresca e io l’assaporo. “Ci voleva, grazie.” Lui sorride. “Come conosci questo posticino?” Gli chiedo incuriosita. “Alcune volte ho dovuto organizzare qualche festa privata in quell’agriturismo e non avendo voglia di assistere alle tristi scene di fine serata chiedevo al vecchio di potermi riposare qua.” Lo guardo con un solo occhio. “Da solo?” domando.
“Che tu ci creda o no, in questo posto non portavo nessuna ragazza.” Ora mi guarda con aria di sfida. “E perché?” Continuo a stuzzicarlo. “Non ho mai voluto rovinare l’atmosfera magica di questo posto.” Capisco, questo posto per lui è come un santuario. Mi dondolo sulla sedia e continuo ad osservarmi intorno. L’arredamento è così rustico ed emana un calore familiare. “Grazie per avermi mostrato il tuo paradiso personale.” Gli dico sorridendo. Lui afferra la mia mano e la bacia. Mi fa alzare e mi trascina nel piccolo bagno adiacente alla cucina. È completo di tutto, dai docciaschiuma agli asciugamani. Mike apre la manopola dell’acqua per consentirle di diventare calda, io capisco le sue intenzioni e questa volta non ho alcuna intenzione di fermarlo. Non so quando lo rivedrò ed è lui che voglio ora. Mi abbraccia per qualche minuto, forse in attesa di una mia reazione, o di un mio ripensamento. Non percependo nulla inizia a sbottonarmi la camicetta e tra un bottone e l’altro mi da un bacio, fino ad arrivare all’ultimo. La camicia cade a terra e io lo bacio profondamente, adesso è il mio turno di togliergli la camicia, un bottone dopo l’altro. Molte volte ho visto i suoi muscoli, ma questa volta poterli sfiorare liberamente ha tutt’altre sensazioni. Lui toglie i nostri jeans gettandoli in un angolo e continua a baciarmi mentre il vapore inizia ad annebbiare la stanza, ma non ha fretta, accarezza il mio corpo con delicatezza e mi stringe contro di se, facendomi sentire tutta la sua eccitazione. Tra un bacio e l’altro rimaniamo completamente nudi, probabilmente lui legge il mio totale imbarazzo in viso. Mi porta sotto la doccia, dove i baci diventano sempre più intensi. Con il docciaschiuma mi ricopre il corpo e io faccio lo stesso con lui, ma la mia goffaggine aumenta soprattutto considerando che mai avevo visto un uomo nudo prima d’ora. Ci risciacquiamo ed usciamo dalla doccia. “Se vuoi fermarti questo è il momento per farlo.” È serio e ionale allo stesso tempo.
Mi avvicino a lui e gli appoggio una mano sul collo, lui mi solleva e io stringo le mie gambe intorno al suo corpo. Afferra un asciugamano e avvolge i nostri corpi. Rido divertita mentre cerca di afferrare il taccuino dalla tasca dei jeans senza farmi cadere. “Scusa piccola, occorrono anche questi.” Dice mentre estrae dalla tasca più interna due preservativi. “Addirittura due.” Gli dico guardandolo con sfida. Lui mi comprime ancor di più a se e sempre facendo attenzione a non cadere mi porta sul soppalco lasciandosi andare sul letto. Ridiamo della situazione mentre ci baciamo, e le risate si trasformano in ione reale. I nostri corpi ancora bagnati scivolano l’uno sull’altra. Sono contenta del cambiamento che ho fatto in quest’ultimo mese e la nuova me esiste grazie a lui che rende tutto magico, unico. Bacia e accarezza i miei seni come se avesse paura di farmi del male, mentre io afferro i suoi capelli. Pochi baci ancora e ritorna alla mia bocca. Poi si stacca e mi guarda negli occhi, gli faccio cenno di assenso con il capo e lo sento mentre diventa dolorosamente parte di me. Avvolgo le braccia intorno alle sue scapole e lui bacia i miei capelli, pochi sinuosi istanti e il dolore diventa piacere. I nostri respiri si fanno sempre più profondi e intensi finché un fremito travolge i nostri corpi. Lui si lascia cadere sul mio corpo e rimane così per qualche minuto, anche se vorrei non si spostasse per ore. Invece si alza e si affretta a sistemare tutto. Rimango basita al centro del letto, non so come reagire, speravo mi coccolasse un pochino. Quando ha finito di correre da una parte all’altra ritorna vicino a me sul letto e mi mostra un cofanetto. Lo apro e dentro c’è un ciondolo con le nostre iniziali. “Portalo sempre con te.” Lo abbraccio e lo bacio all’infinito. Questo ciondolo sarà il mio tesoro, per sempre. Rimaniamo un’oretta nudi, abbracciati e parliamo della mia università e del suo lavoro. “Devi prenderla quella laurea, ti servirà nella vita.” Mi dice. “Lo so, ma voglio farlo a modo mio.” Ribatto.
Sono quasi le cinque quando ci rivestiamo. Telefono a mia madre per avvisarla che sarei arrivata entro mezz’ora. Metto il ciondolo in borsa e mi sistemo al meglio i capelli davanti lo specchio. Dicono che quando fai l’amore diventi più bella, ma io non riesco a vedere differenze. Mike mi abbraccia alle spalle e mi guarda attraverso lo specchio “Sei ancora più bella.” Allora è vero, solo che io non me ne rendo ancora conto. Raggiungiamo l’Harley e Mike va a consegnare le chiavi e i soldi all’anziano. Io lo ringrazio con la mano e sono pronta a partire. Saranno i venti minuti più tristi della mia giovane vita.
Capitolo 43
Sono le cinque e mezza quando raggiungiamo il parco. Scendo dalla moto e gli consegno il casco. “Quando ti rivedrò?” Gli chiedo mentre cerco di trattenere i singhiozzi. “Presto.” Mi risponde sorridendo e accarezzandomi il volto. Afferro la sua mano e ho paura di lasciarla andare, se lo faccio svanirà tutto e non so quando ritornerà. “Prenderò questa laurea alla velocità della luce e ritornerò ad essere la tua assistente.” Le fossette che gli compaiono sugli angoli della bocca quando ride sono così attraenti. A dire il vero è bello in ogni singola parte del suo corpo. “Sarà di nuovo il tuo posto quando vorrai. Basta un cenno e sarai di nuovo al mio fianco.” Mi risponde. Gli dò un bacio e mi volto, non posso reggere oltre questa situazione. Attraverso la strada e mi dirigo verso casa. Quando rientro mia madre mi sta aspettando sulla soglia. “Alla buon’ora, fra poco sarà qua Gabriele e non ti sei ancora preparata.” Urla mentre corro in camera. “Farò in un attimo.” Rispondo senza degnarla di uno sguardo. Non voglio ancora farmi la doccia, farla significherebbe togliermi ogni sensazione che appartiene a Mike e a questo meraviglioso pomeriggio. Indosso l’abito da cocktail blu che mi ha regalato Mike e mi lego i capelli in una coda. C’è ancora qualche brillantino dei fermacapelli usati con gli abiti da sposa. Come una sciocca noto che indosso ancora le perle nere alle orecchie. Mi sono dimenticata di restituirle, ma nemmeno loro mi hanno chiesto di riporle, ad ogni modo se le rivogliono dovranno chiamarmi. Scendo giusto in tempo per accogliere il mio ospite e ignorando per l’ennesima volta mia madre esco dalla porta.
“Per caso sei andata in un centro benessere?” Mi chiede Gabriele. “No, solo in biblioteca.” Rispondo. “Strano, sembri avere un’aria più rilassata, sei ancora più bella di domenica.” Gioco con gli orecchini timidamente. Se sapessero come ho trascorso le ultime ore andrebbero su tutte le furie e mi rinchiuderebbero a vita nella mia camera. Mi porta in un elegante ristorante, e sebbene la mia testa vaghi altrove, o dei momenti piacevoli in sua compagnia. Purtroppo l’attrazione si ferma ad un livello puramente intellettuale. Gabriele infatti è un ragazzo molto colto, con un percorso formativo interessante alle spalle e una futura collaborazione nell’azienda del padre. Come un gentiluomo mi riaccompagna fino alla porta ed entrambi notiamo mia madre che ci spia dalla finestra del salotto. “Senti, Deborah, non vorrei che tu ti fi strane idee su di me. Non appartengo alla categoria bravi ragazzi e nonostante penso che tu lo sia…” Lascia la frase in sospeso e abbassando lo sguardo si mette una mano sulla nuca, trasmettendomi così tutto il suo disagio. Intervengo io a calmare i toni della conversazione. “Gabriele, io non ti sto fraintendendo.” Abbasso la testa cercando il suo sguardo. “Sono ben consapevole della situazione che stiamo vivendo e non mi sento offesa se frequenti altre ragazze.” Prendo fiato. “Come mi hai detto domenica, questo lo facciamo per assecondare i nostri genitori, giusto?” Cerco la sua approvazione, averlo come complice potrebbe semplificare le cose. “Giusto.” E mi sorride in modo più rilassato. “Un’altra cosa, domani mattina i nostri genitori vogliono che ti porti a fare un po’ di shopping.” Mi cadono letteralmente le braccia, fino a che punto vogliono manipolare questa storia. “D’accordo, facciamo così…” Pensa Deborah, pensa. “Ti aspetto dopo colazione. Ci vestiamo in modo molto casual e facciamo finta di essere felici fino al cancello, dopodiché ognuno per la propria strada per un paio d’ore.” “Sei davvero eccezionale.” Mi abbraccia e ci diamo la buonanotte. Dietro la finestra lo sguardo compiaciuto di mia madre fa intendere che ha perfettamente frainteso la situazione, e a noi va bene così. Rientro in casa e subito mi ferma.
“È un giovanotto affascinante, non trovi?” Mi chiede con tono indagatore. “Ma ti senti come parli?” Rispondo io. “Mi auguro che frequentandolo tu cambi linguaggio.” Non la prendo nemmeno in considerazione e mi ritiro nella mia camera, dimenticando la serata e concentrando ogni mio pensiero sul ricordo del pomeriggio. Dovrei dormire vestita, perché se mi cambio rischio di togliere un altro po’ della sensazione di Mike dal mio corpo.
Capitolo 44
Mi alzo presto e ne approfitto per farmi una corsa sul tapine roulant di mia sorella prima di fare colazione. Segue una doccia fresca e quando mi rivesto metto nella tasca dei jeans il cofanetto che mi ha regalato Mike. Quando scendo, i miei genitori stanno bevendo il caffè mentre ascoltano le notizie alla televisione. Non presto attenzione a quello che dice la giornalista, loro invece sono interessati dai rialzi in borsa e da tutte le notizie di cronaca. Mentre mangio la brioche, faccio un cruciverba, ma devo dire che non sono proprio portata per questo genere di atempo. Il telegiornale finisce e inizia un programma di attualità. “Gentili telespettatori oggi iniziamo il programma parlando di cerimonie e wedding planner.” Così esordisce, catturando tutta la mia attenzione. “A lato dello studio il nostro ospite d’eccezione, il signor Mike Francis.” Che mi venga un colpo. Sobbalzo sulla sedia e mia madre mi lancia un’occhiataccia. L’intervista inizia. “Sappiamo che lo scorso fine settimana hai organizzato uno splendido matrimonio per una sposa molto particolare.” Lui le sorride, quanto vorrei che quel sorriso fosse solo per me. “Effettivamente si, ma lavorare per Chiara e per suo marito Sebastiano è stato un onore.” La presentatrice fa scorrere in primo piano alcune foto del matrimonio. L’abito che abbiamo scelto insieme, la torta che sembra attraversata da un ruscello, il ristorante adibito come un banchetto reale. Chiara è bellissima, e soprattutto è felice. I suoi occhi ridono in ogni foto e Sebastiano non guarda mai l’obiettivo, il suo sguardo è sempre rivolto verso di lei. “Non è ora che ti prepari, devi uscire con Gabriele.” Dice mio padre con tono imperativo.
“Tra un secondo.” Replico io, la giornata non sarà positiva se non colgo ogni singolo movimento di Mike. Non voglio perdere nemmeno un istante la sua immagine. La conduttrice continua la sua intervista parlando delle varie fasi che avvengono nella creazione di un matrimonio. “Un’ultima domanda Mike.” S’interrompe aspettando un cenno di cortesia del suo ospite, che non tarda arrivare. “Ma toglici una curiosità.” Fa un’altra breve pausa. “Deborah…” Mia madre cerca di convincermi a distogliermi dalla televisione, però io blocco ogni suo tentativo con un gesto della mano. “Si dice che a te piacciano molto le donne e che hai avuto molte avventure, ma in mezzo a tutte queste spose, non ti è venuta voglia di cercare la tua anima gemella?” Sento un tonfo al cuore. Io non ho mai avuto il coraggio di chiederglielo, forse perché avevo paura della risposta. Lui ride e si porta una mano al mento, la telecamera si sposta sul primo piano del suo volto. “Quando si deciderà a guardare dentro il cofanetto, forse potrò darti una risposta.” Ora la telecamera inquadra i suoi occhi. Cos’avrà voluto dire, mi alzo e mi metto le mani in tasca toccando… un cofanetto. Lo apro ed estraggo il ciondolo. “Che cos’è quello?” Mi chiede incuriosita mia madre. “Un ciondolo.” Rispondo velocemente. “E da dove viene?” Non rispondo a questa domanda, sono infatti intenta a esplorare il contenuto di quell’enorme scatola. Effettivamente è un po’ troppo grande per un solo ciondolo. Sollevo il fondo e trovo un biglietto.
Ad accompagnare il biglietto ce n’è un altro, ed è del treno, sola andata per Milano. “Deborah, che cos’è quel biglietto?” Ora è mio padre a interpretare la parte del detective. “Ho deciso.” Affermo guardandoli negli occhi. “Cosa avresti deciso?” continua mio padre. “Farò a modo mio e questa volta non avrò riserve per nessuno.” Lascio cadere il biglietto sul tavolo e raccolgo la mia borsa in atrio. “Dove stai andando?” Urlano i miei genitori, ma ormai ho indossato le scarpe da ginnastica ed esco dalla porta. Lungo il viale incrocio Gabriele che mi guarda perplesso, dietro di me mia madre urla frasi inerenti al fallimento verso cui sto andando incontro. “Stai prendendo il volo?”, mi chiede divertito. “Ho capito dove voglio stare e con chi voglio stare.” Non aggiungo altro e corro in direzione della stazione, sperando che ci sia a breve un treno. “In bocca al lupo!”, sento esclamare Gabriele.
Ci sono libri che vanno conservati nella propria libreria, perché preziosi di contenuti e rari nelle loro edizioni. Ma tra questi libri ci sono capitoli che vale la pena leggere e vivere in tutte le loro emozioni. Oggi inizio a leggere il libro più importante della mia vita. Milano arrivo.
Epilogo
È sera quando scendo alla stazione di Milano, mi guardo in giro cercando di capire che direzione prendere. Sono stanca, affamata ma l’adrenalina mi dà la forza di non svenire tra i binari. Esco dalla stazione e cerco qualcuno per avere delle informazioni e forse non serve nemmeno che m’impegno tanto. Davanti a me un’Harley nera e un bellissimo uomo dagli occhi smeraldo mi attendono. “Come facevi a sapere che stavo arrivando?” Gli chiedo, mentre attraverso la strada. “Non capita tutti i giorni di ricevere delle telefonate minatorie da parte della madre di una ragazzina impertinente.” Più mi avvicino a lui e più aumenta il suo livello di bellezza ai miei occhi.
“Ciao vita nuova.” Gli sussurro all’orecchio mentre lui mi abbraccia.
Ringraziamenti
Un grazie lo rivolgo alla mia amica e compagna di studi Debora Cirandi, per il tempo che mi ha dedicato e per le paranoie che ha sopportato.
Indice dei contenuti
Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18
Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Capitolo 22 Capitolo 23 Capitolo 24 Capitolo 25 Capitolo 26 Capitolo 27 Capitolo 28 Capitolo 29 Capitolo 30 Capitolo 31 Capitolo 32 Capitolo 33 Capitolo 34 Capitolo 35 Capitolo 36 Capitolo 37 Capitolo 38 Capitolo 39
Capitolo 40 Capitolo 41 Capitolo 42 Capitolo 43 Capitolo 44 Epilogo Ringraziamenti