Come Di Notte Le Voci Delle Cose 63h5r

Versi di segale - Collana di poesia

Titolo originale: “Come di notte le voci delle cose” © 2011 Giovane Holden Edizioni Sas - Massarosa (Lu) I edizione cartacea dicembre 2011 ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-163-8 I edizione e-book gennaio 2012 ISBN edizione e-book: 978-88-6396-207-9 www.giovaneholden.it [email protected] Acquista la versione cartacea su www.giovaneholden-shop.it www.giovaneholden.it/autori-marcomaestrellicrespi.html

A mia madre Nicoletta, l’origine, l’orgoglio, l’amore, la costante, il nido, il primo respiro.

Prologo immacolato (Preghiera per me) Padre eterno, padre d’eterno. Governami e tienimi stretto. Accarezza la paura, ho paura. Accarezza un abbraccio, sarà divino. Padre d’eterno, ti riempiano gli occhi i miei romantici errori, ti riempiano di cura, ti colmino della mia insufficienza. Così la mortalità avrà il prezzo del mio nome. E sarà più facile, allora, chinare lo sguardo e cantare piano. Sarà splendido non farmi sentire, tacere, da lontano. Piano. Padre d’eterno, rassicura i miei timori di libidine. Amami come non ti amerò mai, perché in te non credo. Ma prego, perché è più facile. Pregare e fingere che sarà migliore. Risolvere così, in un’invocazione. Risolvere l’irrisolvibile. Padre eterno, padre d’eterno. Espanditi nell’inesistenza e abbraccia quest’anima pagana. Vegliami. Orgoglioso di me.

Memento C’è male di te. C’è l’aria di allora. Un orgasmo suicidato. Un perdono. C’è morte di te. C’è odore di fine. Uno stralcio di violenza. Un ricordo. Sopra di me, più addosso sudore a sudore imbrattami la pelle. Dentro di me, più a fondo viscera a viscera intaccami i polmoni. In un respiro al cuore e dal cuore all’amore. Tu, la mia bestia ostinata l’ossessione terminale. E l’agonia sarà silenzio e pace.

E l’ultimo respiro un dettaglio marginale.

Contagio Tra i miei denti incastrato come un’unghia strappata alla carne. Tra i miei denti e nel sangue. Un fastidio clemente. Un vizio da non giudicare. Restami qui in bocca impastami la vita. Resta fino alla pancia penetra, scava, ingorga implodimi ancora. Tra i miei denti nascosta tu, la mia carie d’amore. Tra i miei denti e le ossa a scavarmi la polpa

a infettare parole. Morirò lentamente di questo bisogno malato. Più vecchio e consumato distante dal vero distante da me.

Piccolezza In ogni stanza è terra e mani al muro e vento. A che profumo alludi? A quale rabbia? In ogni luogo umore un gemito e una lingua. Di quanto caldo muori? Di quale santità? Le mani accorse svelte ad un fantasma sporco. Innocuo. Entusiasta. Una colomba impiccata. E ridi ridiamo. Strangolami forte. Che possa tacere.

Che possa dormire.

Domani Nella mia casa c’è un divano di sogni un letto di intenzioni sprecate un tappeto di ioni nella polvere. Nella mia casa c’è una cucina di odori un frigo spento che genera sogni cadavere una tenda spessa a nascondermi dal giorno. Nella mia casa c’è un pavimento di ricordi un lavabo ingorgato di speranze un salotto per incontrare chi non c’è più. E non c’è porta non c’è zerbino. Nessun benvenuto al mondo solo un uscio inviolato. Nella mia casa ci sono io come un monile come un monito. Appeso al muro esposto al tempo come un’immagine di me stesso

che è altro da me che è altri e altrove. Perché non sono qui anche se respiro. Perché qui non vivo anche se ci sono dentro.

Nella mia casa c’è un letto di anni di un ato come un amante di giorni spremuti per disinfettare. E lì giaccio quando fingo e lì proietto il mio domani.

Settembre A settembre si nasce nel fresco improvviso di uno stupore nella frenesia di un bambino e il suo latte e il suo zaino che accoglie la vita e la stipa che impara a commettere errori. A settembre si fugge nelle umide tasche di un piacere occasionale a nascondere ogni pudore a concimare la voglia di morire e goderne e compiacersi e fingere di non arrancare. Il mio autunno non ha foglie non ha rami spogli o venti improvvisi non crepita e non sibila non mitiga l’afa della mia ossessione. Il mio autunno a maggese mi trascina da te che arrossivi tra le mani sudate

come la chioma di un albero esausto e come lui ti inclinavi e come il suo tronco seccavi ogni bacio. Il mio autunno ribelle ha le tue stesse radici e si infiltra, si insinua, si espande irrompendo dal basso inciampando al centro del mondo. E da lì più forte e da lì più fiero e infuocato e violento si innalza e si tende a grattare polvere di cielo. Il mio autunno è un’iride fiera un piccolo punto da cui non tornare lo specchio del fondo la vista assassina che non ti perdona che non mi dà tregua.

Di sbieco Mi scivoli addosso come un delitto impunito. Mi inghiotti all’improvviso mi ami di traverso. La vita di sbieco questo è il tuo tempo per me. Un bacio che gocciola svelto un urlo asmatico il fuoco controvento. Così la tua incerta altalena mi alza nel sole e mi infrange nell’ombra. A spaccarmi i denti mordendo speranza a risparmiar sangue per fartelo bere. Che l’arsura del mondo non ti sopprima che la sete soccomba che il mio cuore ti sopravviva.

Controluce Vivrò una volta sola con le mani al vento e la bocca asciutta. Vivrò correndo svelto con la paura a battermi il tempo esatto. In un vortice denso nel vuoto asettico aspirato dal polmone di Dio e fatto figlio e fatto uomo e fatto buio e fatto silenzio. Come saranno al largo le parole. Come ci perderemo. Come saranno inutili le preghiere e le stanze indorate e l’incenso e le vivide attese e l’inverno. Come saranno immobili i pensieri alle porte di un sogno perfetto. Come saranno ingenue le speranze

pronte a smembrarsi in un tonfo. Così noi soli e controluce doniamo il fianco al prossimo errore mimando un’esistenza fingendo di capire. Così noi belli e sconfitti di spalle alla vita dove guarderemo? Più oltre, mio amore più in alto. Più in grande, mio amore più dentro. I tuoi occhi nei miei sfioriranno e io per te vedrò.

Neon love Raccontami di fiabe reali. Ridonami il senso del vero. Illudimi di sogni senza fuggire dal mondo. Sono buono, sono cieco sono l’uomo più cane del mondo. Mi butti l’amore e io lo riporto. Mi butti il dolore, mi tieni dal collo. Raccontami del tuo veleno del cibo che nutre morendo. Incastrami in qualche dolcissimo inganno. Sono bravo, sono lento sono l’uomo più cavia del mondo. Mi spari nel cuore e sono risorto. Mi butti nel fango, mi trovi nel fondo. A chiedere scusa, a tendere il palmo. Più in basso di un dio, più dio di un perdono.

Usque ad finem E' un binocolo di notte questa luna piena. E' un messaggio in bottiglia alla tua deriva. L’ombelico di un grattacielo l’ultimo sorso sgasato. E mi sento schiantare. è una nota strillata il mio fervore. E' uno scritto non letto sulla tua scrivania. Il mio fiotto di sangue la mia roca ironia. E mi ascolto pensare.

Proprio ora che la nebbia è fitta proprio dentro alle mie ossa guarda quello che non vedo e descrivilo per me.

E' un piccolo segreto questa ione densa. E' un cuore in bianco nero nella tua daltonia. Il primo amore perso l’orgasmo divorato. E mi sento viaggiare. E' una pausa dalla vita il mio sognare svelto. E' una briciola nel vuoto della mia bulimia. Di intenti e di fervori di vita esponenziale. E mi ascolto godere. A voce bassa, a voce lenta sillabando ogni emozione tocca quello che non sfioro e rimodellalo per me.

Piccoli orrori Ho aperto le gambe al mondo qualcosa mi preme qualcuno mi invade. Ho aperto le gambe all’istante nel tempo perfetto nell’attimo adesso. Nessuna pietà d’abbandono Nessuna morale. Nessun presupposto. Ho aperto le gambe alla vita che vita mi versa che non si prosciuga. Non godo se gemo non sento più il suono. Le facce esitanti. Gli eterni sgomenti. E poi trovo pace e poi mi ristoro. Un bacio di morsi e sapori.

Un succo che mi invade i bronchi. di piccoli orrori per grandi piaceri. Di me che così mi perdono.

Durante Sei solo il ricordo di un giorno. Sei l’anima a cui appartenevo. Sei il bianco nel centro del buio. Sei quando credevo di amare. Sei terra e sostanza e silenzio. Sei un lutto a cui appartenere. Sei il rapido sole d’inverno. Sei ogni mio sbalzo d’umore. Non è primavera se taci non è fiore che cresce né odore. Non è la mia vita al risveglio è un vetro appannato che piange. Di lacrime, intenti, promesse, evasioni di fulgide gioie, di troppi domani. Sei l’angolo ultimo, sei quel che c’è dopo. Sei prima, sei poi ma non sei durante. Sei quel che rimane dopo la festa. Sei briciole, fumo e amarezza.

Randagio Sono nato col sole un tremore d’inverno limpido uno sforzo universale. Sono nato d’amore nelle mani del tempo e ho vissuto credendo ho vissuto nel centro. Nessun contorno sbavato nessuna sfumatura. Ho sgomitato agli angoli della vita per arrivare lì dove la pace duole. E in un attimo era l’inferno in un secondo il panico e l’ossessione. Ma ho lottato dal centro ho ringhiato alla morte e ho amato il dolore. Sono nato dal fondo da un incontro troppo umano sono nato abortito

per poter vivere davvero. Sudando ogni o spremendo quintali di sogni per uno scarto di aria per una goccia di felicità. Che ho leccato, ho bevuto che ho inseguito randagio e violento. E non mi duole ancora non mi urta la vita ché se fosse una pianura quieta non potrei più raccontarla.

Perdifiato Questa notte ha il tuo sapore il o svelto della primavera. Calda inattesa e violenta come la vita all’improvviso come l’amore. Questa notte ha il tuo colore l’immagine astratta di un’emozione densa, precisa e armata di luce. Come un respiro a pieni polmoni come un bacio. Quando tremi, quando taci quando ti vesti dei tuoi pensieri vorrei spogliarti e custodirti vorrei proteggerti da ogni dolore. Come un guerriero con la sua terra come l’acqua tra le rose. Per te, solo per te la luna si oscura e le stelle aspettano. Come se ti dedicassi il mondo

e l’universo si chinasse in silenzio per accoglierti e accarezzarti per viverti senza farti male. Senza peccato, senza timore noi due vivi a perdifiato. Per te, solo per te. Nelle tue mani il mio cuore sulla tua pelle la gioia migliore.

Di me Nella virtù del vizio nel respiro denso del mio abbandono mi preme l’innocenza di peccare mi avanzi tu.

Non sono altro da me stesso non sono gente non sono solo. Non ho anima che abbia senso vivo d’accento vivo da uomo.

Sono ai margini della decenza alla soglia dell’abbandono. Resto in attesa, ansimo piano godo di ogni pericolo buono.

Ogni spigolo ha una tempia. Ogni pugnale un costato.

Ogni desiderio un oggetto. Ogni mia goccia un tempo assetato.

La quinta stagione Ho una stagione per ogni dolore ho uno scopo, un movente, un percorso stellare. Ho dei piccoli sogni nelle mani gelate me le tieni nel tempo, me le scaldi ridendo. Ho un’occasione per ogni piacere ho un languore, un respiro, un pausa volgare. Sono sempre quell’uomo che vive correndo un’anima svelta nel fiato del vento. Ho una carezza per ogni errore ho una scusa, un difetto, un’attesa finale. Un ricordo sbagliato, un ato inconsueto un granello di sabbia a cui sono legato. Sogno che il silenzio scioglierà ogni timore. Sogno che in un sogno troverò la soluzione.

Dentro Quando l’amore torna è di fuoco. Quando ti tocca ti pulsa ti strappa ti annienta ti segue ti odora ti rompe ti cola. Quando l’amore ama è per sempre. Quando ti vede ti scruta ti sente ti cerca ti prende ti scarta ti stringe ti vende. Stuprami dal cuore.

Fammi grattare le unghie sul muro e morire come fosse un piacere. Godere e soffocare come di notte le voci delle cose. E non aver paura non avere mai paura.

La tua bocca C’è una pagina bianca che attende le mie nuove parole sudate. Un respiro strozzato anzitempo. e tremo quando scrivo e penso di gridare. C’è una pagina bianca che freme che mi sfida a impugnare la vita. E scrivo senza pudore e penso a farmi male. C’è una rondine appesa nel cielo un miraggio di nuove stagioni. C’è una sorta di nuovo dolore un infarto immacolato un’ironica congestione. La tua bocca è solo un luogo la tua bocca non ha fiato è una pianura arida un percorso sbagliato è l’assenza di moto

un tuono soffocato. Dove sputare la rabbia e inseminarti all’improvviso. Dove guardarti crescere e avvizzire le speranze. Sopprimiti mio maledetto bene. Muorimi. Cedimi. Sperdimi d’orrore. E poi prima di tacere godi anche per me.

Babilonia Non ci siamo mai incontrati ricordi? Tu eri un ciuffo di capelli io una rabbia. Non ci siamo mai toccati ci pensi? Tu come pioggia tra le ruote io un odore. Un’estate bagnata un autunno selvaggio un inverno assassino senza la primavera. Immobili e stanchi due feti gemelli due bocche cannibali. Non ci siamo mai amati lo vedi? Masticavi placenta mi rubavi la vita.

E dall’utero di un sogno mi spingevi a non sperare contrazioni a tradimento il mio parto criminale. Sbalzato alla luce del giorno straniero a me stesso un intruso, un fastidio un amore senza aporto. E la tua assenza era un’eco il dolore un puntiglio i giorni a venire un’autistica illusione.

Marea Non è il tempo che hai rubato l’energia del vento il cielo terso di quando taccio. Non è il senso delle cose l’attimo prima di fare l’amore la pietosa occasione per uccidersi di parole. Non è la fiducia che hai disciolto il singhiozzo di un litigio il silenzio perfetto della normalità. è il mio ato che tieni stretto tra quelle dita, tra i denti e i fiotti del cuore. è il mio dono a te il mio senso del buono la mia vergogna che cercava redenzione la mia rabbiosa voglia di esistere. E urlare e gemere e credere e affidare

e donare e perdere e scegliere di sbagliare. è il mio bene che hai rapito la clemenza al mio dolore. è la mia insicurezza mimetica il mio vivido sentire. Una fobia, uno spasmo un attimo prima di affogare cerco di amarmi come il vento con le onde. Di turbini e liquidi di moti perpetui e basse maree. Così esausto sulla riva di un ricordo di te mi posso bagnare.

Silenzio

Provvisorio qui mi distendo e vago in un pensiero e inciampo. Disilluso così mi arrendo e incontro una lacrima e le parlo. D’improvviso sei un fantasma un embargo al mio cuore un prolasso emozionale. D’improvviso sei distante un intervallo infinito un cimitero da bombardare. Che almeno ti svegli il rumore che il tuono ti riporti in vita che cenere a terra ti dia primavera. Canteranno ancora

le madide sere di marzo. Grideranno ancora le notti tra me ed un lenzuolo. Così bianche e taglienti così svelte e ingorde bagnate solo da me ferite dalle mie dita. Non ho nulla di meglio che il silenzio non ho niente di più buono che il mio corpo non ho fame più forte che il mio sguardo curioso.

Orizzonte per due E' in questa città che ti trovo in questo rumore di gente. E' in questa occasione che muoio per poi nascere con te. E' nelle tue mani che cedo tra le tue dita d’amore. E' nelle tue gambe che dormo lì dove nasce il mondo lì dove ci sei tu.

Plani sui pensieri come la neve d’agosto come il freddo improvviso come quello che non so. E disegni miracoli e fotografi Dio. Nei miei occhi vedi la sua bellezza mentre io la sorprendo nei tuoi.

E' in questo tumulto che taccio in questa stagione ribelle. E' nella mia rabbia che affondo e scrivo di sangue e poesia. E' nei tuoi capelli che viaggio e sfioro il tessuto del mondo. E' nella tua bocca che esploro quel sapore di buono quel sentore di te. Amami adesso per ora amami ieri che ho avuto paura amami mentre mi mangio le mani amami mentre ti aspetto tornare. E fammi cantare tu fammi cantare.

Cemento Non somigliavo al tuo sorriso ma al riflesso della tua bocca. Nello specchio di un attimo estetico ho creduto di essere uguale a te. E per quell’istante per uno soltanto ho brandito il pugnale ho cantato il mio inno. Per un istante per un secondo vigliacco ho pensato davvero di immolarmi a te e al tuo madido bacio. A te e alla fretta del tuo sentimento. Un tornante in salita il tuo corpo piegato alla notte una strada in dissesto un vuoto che si finge cemento. E poi io planavo e poi mi stordivo

e poi ti percorrevo di fretta di febbre e di fame. E tu, la mia preda sbranata colavi dal sangue una vendetta sottile nella mia gola come saliva con la costanza di un parassita. Per nutrire ogni mio difetto. per schiantarmi dentro.

Bianco Mi amerai Tu Satana dolcissimo coi tuoi occhi ciechi e le mani con il corpo nell’anima e la violenza dal cuore. Mi avrai Tu Satana bellissimo sotto un cielo stellato d’inganni tra la siepe e il baratro al confine della mia vita. Entrerai attento e saprai dove annusare entrerai in silenzio mi troverai vivere. Mi vedrai Tu Satana santissimo

a lottarmi di petto a incidere il buio. E mi vorrai Tu Satana altissimo perché nulla oltre me ti consola perché niente oltre i miei pensieri ti somiglia e ti acquieta ti redime e ti sfama. Mi lascerai Tu Satana vivissimo dopo avermi leccato e bevuto e gustato. Perché in me il dualismo si cela perché tu cerchi in me la vittoria. Ma morirai Tu Satana piccolissimo ai miei piedi novello sconfitto ai miei piedi di spasimi lenti.

Perché il suono con cui ti ho ingannato è luce che non ha parole. Un sibilo bianco, la commistione di colore e finalmente potrò riposare.

Alba Correva l’acqua e tacevano le ombre. Danzava il sole e sussurravano le farfalle. Ogni tuo singulto è una mia tenera primavera. Ogni tuo diniego è un catastrofico temporale. Mi amavi dal nulla da un’emozione sottovuoto come aprire gli occhi all’alba di un primo dolore. Venuti al mondo in un secondo in un amplesso del tempo. Cacciati dal paradiso del silenzio e ridotti in schiavitù d’amore. In fila indiana come oggetti disposti bene.

Io dietro te a guardarti la nuca a farti da bersaglio. Che nessun pericolo ti corteggi che nessun uomo ti uccida prima di me prima della mia assenza. Volava la cenere e il sole crepava la terra. E venne il tonfo il male sordo. Venne un vuoto. E poi la fine. Venne il gelo un fiero letargo e con lui le rughe al cuore.

Loto Della mia carne hai fatto parole. Di un’anima quieta una confusione. Io mangio la terra tu incedi nell’aria. Ed è primavera.

Il nodo Avevo una pelle un racconto, un odore. Avevo un mantello e un vestito banale. E piedi affondavano preghiere e sotto la terra gemeva un ricordo e in ogni strada ho perso un capello per annodarti alla testa e farti pensare a me. Così sbocciavi tra i pori e ti incarnivi e mi gonfiavi. Così crescevi mangiandomi e ti increspavi e ti spezzavi. Avevo una voglia un sussulto, un timore. Avevo un orgoglio da contaminare. E dal tuo sporco cercavo purezza e nel tuo odio un gesto d’amore

e di speranza e di pace di una ingannevole redenzione. Avevo una casa un nido, un calore e ti imploravo di ritornare. Da me, piccolo germe di follia. Da me, uomo e pensiero livido resto di un desiderio. Avevo un letto e lì ancora aspetto. Un lenzuolo bagnato e lì ancora resto.

In piena Vieni, ti sento. Con le tue gambe ingenue e il velluto tra le dita. Vieni, ti aspetto. Con le tue pause frenetiche e il mondo in una carezza. Vieni, ti tengo. Con i tuoi spasimi lenti e i brividi sordi di un piacere. Vieni, ti prendo. Con la tua fervida paura e le ubriacature di fantasia. Vieni, appoggiati alla mia casa origlia alla porta

ascoltami cantare. E nelle note ti intono senza sbagliare. E nella musica ti penetro respirando. Vieni, ti accendo. Con una torcia negli occhi con il bollore dei puri. Vieni, ti vengo. Raccoglimi con la lingua lasciami straripare.

Agnello Piccola vita, non lasciarmi più. Siediti e aspetta qui ai margini del tempo nel perimetro esatto di una malinconia. Piccola vita, non andare via. Calmati e resta qui nel vuoto esausto del tempo che non ho più. Ho sete di dettagli ho fame di inutili risposte mentre l’acqua gorgoglia nell’ansa. E mi abbandono svenendo alla terra come un ramo secco gettandomi dal dirupo più crudele come un animale incosciente come un amante fuorilegge.

Piccola vita, non graffiarmi più. Ho poco sangue e poco fiato ho poca pelle che mi vesta e rare gioie a proteggermi il cuore. Piccola vita non odiarmi più. Uno sguardo compiacente e sarò tuo un presagio di cielo sereno e sarò il tuo agnello. Un regalo un gioiello un sacrificio all’altare di me stesso.

Solitudine Arriva così silente la solitudine. Arriva compagna e guerriera arriva stanca e si riposa. Prende fiato nel mio fiato e sangue dalle mie nuove ferite. Arriva così dormiente e mi sorprende in un attimo e gratta alla porta dell’incoscienza. E in basso di nuovo in basso mi trascina. Mi schiaccia col suo peso entra e non chiede permesso. Si appoggia ai miei stenti ai dolori mascherati. Si appaga delle mie ombre si infiltra nelle ossa.

Arriva così elegante arriva come un uragano ovattato e muto com’è silente un urlo di terrore. Un risveglio brusco, la lingua che invade la gola un respiro mancato, la fame d’aria. E poi smette e m’abbandona e poi tace e perde forma. In un angolo mi aspetta giace in attesa annusa l’aria. Per avermi di nuovo per ostinazione compagna, sorella e amante la mia orgia abituale.

Nudità

Una perdita una goccia una partita interrotta. Un’assenza un’attesa un sorso di follia. L’immagine nuda dei miei giorni così scarni da illuminarmi il cuore così vecchi da spingermi a cambiare così nuovi da adornarli di un solo colore. Un pericolo un boccone una promessa violata. Una violenza un sentore un’anima apita. Sono terra tra le acque l’ostacolo che assorbe

la linea di confine. Sono polvere sulla pelle il disagio invisibile l’inutile coltre d’amore. Ti vedo dove non sei raccolgo quel che getti ne afferro la forma e ne faccio scintille. Ma la notte non ti accoglie e tra i sogni rimani un’idea e nel fiato resti un’attesa. Così lucidi e stanchi i miei occhi si infrangono dove geme l’ultimo bagliore dove semini il tuo vuoto. Niente di te, troppo di noi. Un silenzio fuorilegge. Un sussurro che ti ripete piano.

Afosa-mente

Mi strappo la carne la pelle e le ossa. Mi strappo il sudore lo sgocciolo piano. Mi chino e mi spezzo mi tendo la mano. E trovo lo spazio e tremo cantando. Mi sfascio la testa l’umore e gli intenti. Mi sporco la pelle Mi godo il dolore. E dondolo lento e rido correndo. E mai che la notte mi baci e mai che sia tregua o silenzio. Per me che di ieri mi cibo. Per me che detesto il futuro.

Ossimoro Bruciami come un tramonto. Lasciami stendere sulle colline. Fammi amare la terra e i profili delle case. Fammi atterrare lento tra i comignoli e le prime nuvole tra le tegole e un gatto in amore. Io ultimo raggio. Io rosso. Io fuoco amico. Un presagio di stelle a venire un invito alla quiete serale. Guarda ascoltami dagli occhi mentre ti invado la vista mentre esplodo di luce l’orizzonte come il bacio che non t’aspetti come fossimo ancora bimbi.

Ancora lisci ancora bianchi ancora inermi ancora ingenui. Senza ricordi da consolare senza domani da dipingere. Oggi nell’oggi un accento di gioia una pausa un regalo. Tu che arrivi nell’aria tu che incedi nel vuoto. E di te costruisci il mio mondo e di un sogno disegni il cammino. Coprimi come una luna regina solitaria e dolce luce per chi non ama il sole il mio ossimoro di splendore.

La ragione dell’amore

Ho scelto te perché mi vedi, esattamente.

Epilogo del cerchio (La luna rossa)

Papà, tu l’hai scritta per me e io la riporto alla luce. Lassù, o dovunque tu sia, sono certo che tu abbia trovato finalmente la pace. Tuo figlio, Marco “Bondolone”

Dell’ultima rosa ricordo il profumo. Testarda, caparbia combatté l’abbandono di maggio. Una chiocciola ora, ch’è sera, ne sbava lo stelo. Lo dico alla luna

appena spuntata Ridammi la rosa… Rossa!

29/06/1996, Giuliano Maestrelli

Ringraziamenti

Nel mio cammino sono stato accompagnato da persone che mi hanno aiutato a far emergere la parte migliore di me (che è molto abile nel giocare a nascondino). Grazie a: Giulio Rustichelli, Lisa Avanzi, Marcella Bellani, Gianni Marras, Andrea Legato, Chiara Tribuzio, Andrea Molin, Luca Massatani, Anna Maria Tommasi, Davide Rossi e Caterina Mataluna. Grazie a tutte le persone sconosciute che, senza saperlo, anche solo con uno sguardo, hanno mosso in me un’emozione capace di stordirmi.

Marco Maestrelli Crespi nasce a Udine il 25/01/1982, ha studiato canto lirico e moderno e tecniche attoriali teatrali e cinematografiche per sei anni. Nel 1990 prende il via la sua lunga attività teatrale di corista e mimo sotto la direzione di grandi registi. Nel 2000 ha scritto, diretto e interpretato “Della Nebbia e del Nevischio” andato in scena al Teatro Camploy a Verona. Per la stagione 2001-2002 ha fatto parte del cast della trasmissione televisiva “Saranno famosi” in qualità di attore drammatico; nel 2004 è stato protagonista del cortometraggio “Famiglie di sangue” e di due puntate della fiction “Grandi domani”, entrambe in onda su Italia Uno. Nel 2001 ha condotto un programma in diretta su Radio Italia Network. Dal 2007 è Direttore Creativo Freelance.