Fabien de La Noisette
La Guardiana del Cimitero
A CURA DI FABIO NOCENTINI
Titolo | La Guardiana del Cimitero Autore | Fabien de La Noisette Copertina di Diego Luci
In copertina: La Gardienne avec sa Chatte Kiya, illustrazione di Diego Luci, www.diegoluci.it; per le altre immagini si vedano le Referenze Fotografiche.
Copyright © 2015 Fabien de La Noisette / Fabio Nocentini Tutti i diritti riservati
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.
Chi è Fabien de La Noisette?
Ebbene, si tratta di uno degli eteronimi di Fabio Nocentini. Proprio così, cari miei: capisco che qualche lettore possa ignorare il significato di tale termine, ma io son qui per dare le dovute spiegazioni. Cito direttamente da Wikipedia:
Il termine eteronimo assume un significato particolare nel campo della scrittura letteraria, andando a indicare un autore fittizio (o pseudoautore) che, nonostante la dimensione immaginaria, possiede una sua personalità. L’autore che sta dietro all’eteronimo è detto ortonimo. Gli eteronimi differiscono dagli pseudonimi perché questi ultimi sostituiscono il nome di un autore reale, che rimane così sconosciuto. Gli eteronimi invece coesistono con l’autore, e ne formano una sorta di estensione del carattere; sono personaggi completamente diversi che sembrano vivere di vita propria, scrivendo spesso con uno stile diverso da quello dell’ortonimo. (1)
(1) Voce Eteronimia” in Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Eteronimia.
I lettori mi conoscono principalmente per i miei libri su argomenti di naturopatia e per alcuni saggi a carattere esoterico, come I poteri magici del gatto e Oracoli. Tutti i modi per conoscere il destino, entrambi pubblicati da Giunti Demetra. Oltre a interessarmi di rimedi naturali e discipline del benessere, coltivo fin dai tempi dell’università la ione per la narrativa fantastica, nelle sue varie sfaccettature: gotica, fantasy, surreale, fiabesca e d’avventura. La mia tesi di laurea in Lingua e Letteratura Inglese, infatti, è dedicata a uno scrittore britannico di storie di fantasmi, Montague Rhodes James (1862-1936), vissuto durante il periodo “d’oro” dello spiritismo. La letteratura in lingua inglese rappresenta un fertile terreno per andare alla ricerca di romanzi e racconti di genere soprannaturale; devo tuttavia confessare che ho un debole per la città di Parigi, nella quale ho voluto ambientare la storia che segue. D’altro canto nella letteratura se troviamo numerosi autori impegnati sul fronte del fantastico: Théophile Gautier, Guy de Mauant, Gérard de Nerval, Charles Nodier e altri.
Ho pubblicato libri anche con pseudonimi e con un altro eteronimo; recentemente, grazie al Gruppo Facebook “Libri Stellari”, di cui sono uno degli amministratori, ho avuto la possibilità di comparire con alcuni testi in sei antologie (si veda l’elenco delle pubblicazioni in fondo al volume). Riguardo alla narrativa sono attratto non solo dalle tematiche soprannaturali, ma anche dalle sfumature umoristiche e grottesche. Questo romanzo breve rappresenta il secondo esperimento nell’ambito delle ghost-stories di una certa lunghezza: ho infatti pubblicato in formato e-book un racconto dal titolo Ectoplasmi alle Terme. Spero di essere riuscito, se non altro, a inventare vicende capaci di destare curiosità… e che possano strappare qualche risata.
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Sommario
La Guardiana del Cimitero
1. L’annuncio sul Figaro
2. La corte di uno spettro a modo
3. Il dono di Carmencita
4. Nuova vita al castello
5. Quel mattacchione del mio spirito guida
6. La marchesa del tempo che fu
7. Confessioni di anime scellerate
8. Sulle tracce della signora scheletro
9. Un prurito proveniente dall’antico Egitto
10. Accompagnatrice per visite notturne
Referenze Fotografiche
Ringraziamenti
ALTRE OPERE DI FABIO NOCENTINI
Liberamente ispirato alle vicende di Ritanne du Lac, e a lei dedicato
La Guardiana del Cimitero
Era la notte, e verso il cimitero Con piede io giva inavvertito e lento: Spargea dal sommo ciel su l’emisfero L’amica Luna i raggi suoi d’argento.
Ippolito Pindemonte I cimiteri, 1805
C’était la nuit, et vers le cimetière J’allais avec pieds insoupçonnés et lents: Du sommet du ciel sur l’hémisphère L’amie Lune répandait ses rayons d’argent.
Ippolito Pindemonte Les cimetières, 1805
1. L’annuncio sul Figaro
Mi chiamo Ritanne e sono un personaggio alquanto particolare. Qui, nella mia sede di lavoro, tra le tombe spettrali che sussurrano al mondo misteriosi messaggi, appaio giorno e notte: entità diafana, ineffabile e bizzarra, ma pur sempre celebrata dai colleghi e dai visitatori. Il cimitero monumentale di Père-Lachaise, a Parigi, è il tenebroso regno di cui sono guardiana. La mia avventura in questo silenzioso rifugio iniziò alcuni anni fa, allorché, avendo scialacquato tutte le mie sostanze – tra cui l’ingente patrimonio di famiglia – fui costretta a cercarmi un impiego. Dopo aver svenduto gli ultimi gioielli allo scopo di tacitare i creditori, mi decisi a compiere l’amaro o: io, che non avevo mai lavorato in vita mia, cosa avrei potuto fare? Fortunatamente un pomeriggio qualunque, mentre cincischiavo seduta al tavolino di un bistrot in Rue du Faubourg Saint-Antoine, poco lontano dalla stanza puzzolente che avevo preso in affitto… ebbene, lo sguardo mi cadde su una copia del Figaro, salvifico giornale abbandonato da qualcuno sulla sedia accanto a me. Ingurgitai l’ultima sorsata del mio acquitrinoso cappuccino, allungai la mano e agguantai il fascio di carta stampata. Esaminando le offerte di lavoro trovai l’interessante annuncio del cimitero: si ricercava un guardiano per il medesimo ambientaccio. Sentendomi ormai propensa a null’altro se non all’ingresso nell’Averno (forse l’unico luogo capace di allontanare da me il pericolo della miseria), decisi di tentare: alla peggio mi sarei fatta due risate. Presi la metropolitana e mi recai al Père-Lachaise.
Il portale del Père-Lachaise
Era una fredda giornata di fine ottobre, e il crepuscolo cominciava a scendere sulla città; varcai lentamente il portale che immetteva nella sterminata distesa di sepolcri, quando lo stormire del vento tra le fronde degli alberi mi dette il benvenuto, annunciandomi che, di lì a qualche giorno, la mia autentica vocazione si sarebbe risvegliata. Seduta su una panca di legno, nel corridoio fiocamente illuminato, aspettai di essere ricevuta dal direttore: prima di me c’erano due uomini cenciosi, abbrutiti e sgangherati, i quali, al pari mio, potevano solo sperare di rifugiarsi in un cimitero; durante l’attesa, con il volto contratto in smorfie di orrore, temetti che uno di quei morti di fame avrebbe saputo rubarmi il posto. Quando finalmente venne il mio turno declamai con voce ferma e risoluta le doti di serietà e diligenza che mi caratterizzavano; parlai della buona educazione ricevuta e degli studi compiuti, omettendo il dettaglio di essere una poveraccia ridotta allo stremo; calcai piuttosto l’accento sulla mia inclinazione per i luoghi in cui l’arte si sposa al silenzio, alla sacralità e alla promessa di resurrezione. Non ricordo esattamente cosa blaterai, ma il direttore, un soggetto pacato, dagli occhi cerulei, sembrò apprezzare le mie parole, tanto che mi chiese: – Cara signora, cosa la spinge a presentarsi per questo genere di lavoro? – Oh, vede, – risposi con aria solenne, – sono una persona tranquilla e devota… Inoltre l’obbedienza e il sacrificio non mi spaventano. – Ciò le fa onore, – commentò lui, e mi congedò dicendo: – Vada pure, le daremo una risposta quanto prima. Tornai a casa di buonumore, pur ignorando se avessi superato la prova.
*****
Il 31 ottobre, ricorrenza di Halloween, ricevetti una lettera. Chi poteva essersi preso la briga di scrivermi? In città non avevo parenti stretti, né amici nel vero senso della parola; alcuni cugini abitavano in campagna, altri conoscenti nella banlieu, tuttavia costoro avrebbero potuto usare il telefono… Anzi, no, ignoravano che mi fossi trasferita in quell’abominevole dimora, quindi li esclusi a priori. Annusai la busta: aveva un odore strano, forse di muschio, o di terra umida, comunque non sgradevole; la rigirai e lessi l’indirizzo del mittente… Poco mancò che mi prendesse un colpo. Era una lettera del cimitero! “Così mi scrivono per dirmi che rifiutano la mia candidatura,” pensai sconsolata. Quella congettura venne presto smentita: mi comunicavano di presentarmi al più presto al Père-Lachaise per prendere servizio con un regolare contratto. Non posi tempo in mezzo e andai alla ricerca, nel mio misero guardaroba, di un abito che fosse un po’ meno peggio degli altri; m’imbellettai utilizzando i cosmetici di madame Tournelle, la mia padrona di casa: per fortuna li lasciava incustoditi nella stanza da bagno; presi la borsa e infilai l’uscio. Durante il tragitto, sul treno sotterraneo, il mio cuore cantava per la felicità; promisi che quella sera avrei degnamente celebrato la festa di Halloween imbastendo un rituale magico-propiziatorio a vantaggio del mio nuovo lavoro. Più tardi, camminando per i vialetti fiancheggiati da cappelle e sepolcri, successe un fatto curioso: i corvi mi parlarono. Sentii distintamente le loro voci che, a causa di un’imperscrutabile circostanza, giunsero al mio orecchio non come versi gracchianti, ma come frasi di tutto rispetto, perfettamente comprensibili. Due simpatiche bestiole pennute, appollaiate su una croce di pietra, mi ossequiarono quando ai e mi dissero di cercare la tomba di una certa Carmencita Gonzales, nobildonna spagnola, la quale poteva risolvere il problema della mia orrenda abitazione. Promisi ai corvi di seguire il loro consiglio, li ringraziai con un inchino e mi diressi verso l’edificio dove ero attesa.
Il messaggio dei corvi
Una segretaria dall’espressione arcigna, seduta dietro alla sua scrivania di legno scuro, mi chiese laconicamente in cosa poteva essermi utile. – Sono qui per quel posto di guardiana, mi chiamo Ritanne Fosquins… – Favorisca la lettera che le abbiamo inviato, prego. – Certo, eccola, – dissi estraendola dalla borsetta e porgendola a quel gufo di donna: infatti, oltre a essere antipatica, costei aveva occhi colossali e il viso gonfio come una palla. Dopo l’esame della lettera e un controllo sul computer ottenni la conferma che non v’era errore alcuno, e che la Dea Bendata aveva deciso di baciarmi in fronte proprio alla vigilia del giorno dedicato ai defunti. – Può cominciare a lavorare da domani, – stabilì l’orrida dama, aprendosi a un leggero sorriso. – Per il momento vada nell’ufficio di monsieur Osselet, seconda porta a destra, firmi il contratto e si faccia dare istruzioni. Nella stanza indicatami trovai un ometto tutto polveroso e rinsecchito (d’altra parte cos’altro avrei potuto aspettarmi, trattandosi di un cimitero), il quale però fu molto gentile e sembrò dimostrarmi una certa simpatia. Ricevetti dalle sue mani la divisa da indossare durante le ore di servizio, costituita da un lungo spolverino nero abbottonato sul davanti e da un ampio mantello con cappuccio; lo spolverino era inteso a proteggere i miei abiti dalle mefitiche esalazioni cimiteriali, mentre il mantello rappresentava l’indumento adatto contro i rigori dell’inverno. Monsieur Osselet mi spiegò le mie mansioni: sorvegliare le tombe e controllare che i visitatori non fero danni; riferire a proposito di monumenti funebri che richiedevano restauri; dare informazioni ai turisti e cose di questo genere. Avevo a disposizione anche una piccola vettura a due posti, simile a quelle impiegate sui campi da golf, per spostarmi agevolmente nelle varie zone del complesso. Mi fu consegnata una guida cartacea dove si elencavano le sepolture celebri e le notizie storiche: avrei dovuto studiarla, così da diventare esperta e ammaestrare garbatamente gli avventori. L’ometto mi portò a fare un breve giro di ricognizione, mi mostrò la vettura con cui avrei compiuto le mie scorribande sui vialetti e infine mi lasciò libera, dicendomi che
ci saremmo rivisti il giorno seguente. – Oh, monsieur, la ringrazio tanto, – dichiarai con voce suadente, – ma se lei non ha niente in contrario vorrei consultare i registri del cimitero, in modo da cominciare a farmi un’idea sulle tombe. – Certamente Ritanne, venga, – rispose lui contento, – è un piacere vedere un’apprendista così volenterosa! Mi misi all’opera e in meno di un’ora rintracciai l’ubicazione di Carmencita Gonzales, colei alla quale i corvi mi avevano indirizzata; dato che si trovava non troppo distante, decisi di raggiungerla subito. Salutai Osselet e la segretaria dando loro appuntamento per l’indomani, uscii e affrontai il breve cammino che mi separava dalla meta. A quanto mi sembrò Carmencita era in attesa, perché non appena fui nei pressi della sua tomba la testa cominciò a ronzarmi, e poco dopo udii un farfugliare, guarnito di un pesante accento spagnolo, che mi schioppettava nel cervello. “Ma guarda, chi l’avrebbe mai detto,” pensai entusiasta, “sono diventata medium!”. Assisa su un pilastrino, ammirai la foto della cara estinta: non che fosse bella, tutt’altro, però era molto chiacchierona, e scoprii che, concentrandomi, potevo conversare con lei. Il suo nome completo, quale nobildonna spagnola, risultava piuttosto impegnativo: Carmencita Gonzales y Corazon de Las Palmas de Gran Canaria, Señora de l’Incarnacion. Stringemmo amicizia; grazie a quello strano dono ricevuto in chissà quale modo (sarà stato il vento del cimitero, che conteneva un agente patogeno adatto a risvegliare in me le doti sensitive), potevo dialogare con i fantasmi e, nel caso, accattivarmeli.
Carmencita Gonzales y Corazon de Las Palmas de Gran Canaria, Señora de l’Incarnacion, come appare nella sua foto tombale
Dopo i convenevoli Carmencita andò subito al sodo e mi raccontò la sua storia. Nata nel 1898 nell’isola di Gran Canaria, figlia di un ricco possidente terriero, aveva vissuto in un podere o castello: non capii bene di quale dei due si trattasse, poiché talvolta questa spiritessa molto loquace borbottava le parole; in ogni caso era stata una fanciulla felice e felicemente aveva sposato un gentiluomo se che l’aveva portata con sé a Parigi nel 1920. Qui aveva trascorso solo due anni di godimento insieme all’amato marito, poiché a causa di una crudele fatalità era rimasta stecchita durante una visita al Louvre. Ancheggiando sinuosamente in cima allo scalone monumentale del museo, aveva messo un piede in fallo ed era ruzzolata giù, andando a schiantarsi contro una vetrina contenente preziosi reperti: niente poté salvarla, visto l’avanzato stato di maciullamento, e il marito pianse calde lacrime per quel lutto inaspettato; per tale motivo Carmencita si trasformò in un fantasma errante, che vagava sconsolato in quella precisa zona del museo. I custodi notturni, terrorizzati, riferirono di aver intravisto varie volte un’ombra solitaria nei pressi dello scalone e, a quanto sembrava, non c’era modo di debellarla. La diceria del fantasma si rafforzò nei decenni a venire, tanto che nel 1965 fu realizzato uno sceneggiato televisivo a puntate, Belfagor. Il fantasma del Louvre, cosa che infastidì non poco la povera Carmencita, poiché lei non aveva niente a che fare con le saporite fantasie snocciolate via via nello sceneggiato in questione. A parte questo aneddoto, il problema fondamentale era un altro. Per liberare la dama spagnola dalla sua condizione di spettro bisognava rimuovere una macchia di sangue che ancora oggi, a distanza di molti anni, continuava ad affiorare in fondo allo scalone, dov’era successa la tragedia. In ato il coniuge aveva consultato vari medium, ma nessuno era riuscito nell’impresa: così adesso la spiritessa si affidava a me, aggiungendo che una lauta ricompensa attendeva la persona capace di distaccare la sua anima addolorata dall’intercapedine terrena nella quale era andata a cacciarsi. – Sono certa che ci riuscirai, – farfugliò Carmencita, – e io saprò esserti
riconoscente: mio marito, prima di defungere anch’egli, ha predisposto un dono favoloso per chi mi aiuterà. Rassicurai la mia interlocutrice: avrei affrontato la faccenda quanto prima, sicura di non fallire. Mi accomiatai dalla spiritessa e, considerando che l’ora di pranzo era ata da un pezzo, feci rotta verso il bar del cimitero allo scopo di mettere qualcosa sotto i denti. Soddisfatte le più impellenti necessità corporali mi spostai nel negozio del fioraio, dove comprai un giglio bianco, simbolo di purezza e rinnovamento, da applicare sulla chioma in occasione della celebrazione di Halloween. Quella sera, nella solitudine della mia stanza, sfoggiai un’acconciatura simile a un tronco di cono, piuttosto alta, con il fiore laterale; indossai un abito sufficientemente scollato e lunghi orecchini scintillanti; accesi candele e incensi, recitai formule magiche, bevvi qualche bicchierino di liquore e danzai con mosse sapienti allo scopo di festeggiare la mia assunzione.
Ritanne festeggia il suo nuovo lavoro
2. La corte di uno spettro a modo
L’ispezione al Louvre fu più semplice del previsto. In fondo allo scalone, nel punto specificato da Carmencita, la macchia c’era davvero, e anche bella grossa. Chiesi lumi a un custode e questi mi spiegò che, negli anni, si era tentato di rimuoverla con vari procedimenti, purtroppo senza successo. – Ma come si è originata quella macchia? – domandai, fingendomi una turista curiosa. – Eh, che vuole che le dica, – rispose lui, – non si sa con precisione, pare che sia molto vecchia, probabilmente il marmo si è deteriorato a causa di un’infiltrazione di umidità. Non avevo ancora idea di quale fosse il metodo giusto per cancellarla, ma lo avrei scoperto presto consultando le variegate entità del Père-Lachaise. arono alcuni giorni. La mia attività professionale procedeva bene, e cominciavo a ricevere apprezzamenti dai colleghi e dai superiori. Andavo in perlustrazione tra i sepolcri, ammantata nella nera cappa a mezza ruota, con il cappuccio ben calzato sulla cervice così da schermare i gelidi soffi che, in novembre, creano notevoli disagi; annotavo su un taccuino gli interventi di manutenzione da effettuare, vigilavo affinché i visitatori si comportassero in modo rispettoso e davo delucidazioni a chi me le chiedeva; frattanto pensavo a come aiutare Carmencita. Non tutte le tombe erano infestate ma, in un cimitero di quelle dimensioni, di fantasmi vagabondi ce n’erano a iosa; tra di loro doveva essersi sparsa la voce che la nuova guardiana era anche medium, dato che mi giungevano bisbigli e richiami continui. Lessi allora un libro specialistico per imparare a tenere a bada le entità, il celeberrimo Come parlare con gli spiriti a comodo vostro, di un’autrice italiana, Fiammetta Dalgas; seguendo i consigli riportati nel volume imparai ben presto a gestire perfettamente le mie facoltà. Fu proprio mentre
facevo pratica con gli insegnamenti della Dalgas che m’imbattei nel fantasma capace di darmi la soluzione al problema della macchia. Lord Patrick Sheldon si fece avanti con una certa irruenza e chiese di essere ascoltato. Lo vidi direttamente: mediante la percezione sensoriale del sesto livello, che il libro mi aveva insegnato a sviluppare, ricevetti l’immagine, abbastanza nitida, di quando tale giovanotto londinese era ancora in vita, verso la fine del XIX secolo. Si trattava di uno splendido esemplare: alto, ben piantato, con i capelli biondi e gli occhi azzurri, pertanto fui lieta di concedergli udienza. Patrick mi raccontò in maniera sintetica le proprie disavventure fino al momento del trao: accusato ingiustamente di un crimine che non aveva commesso, stava per essere incarcerato allorché, con l’aiuto di alcuni complici, riuscì a fuggire da Londra per riparare a Parigi. Nella Ville Lumière, tuttavia, spirò dopo pochi giorni, senza neanche avere la possibilità di gustarsi lo spettacolo del Moulin Rouge, il cabaret che aveva aperto i battenti nel 1889 a Pigalle. Come morì? Semplicemente a causa di una malattia: si beccò una grave forma di polmonite e tirò le cuoia senza arrecare disturbo a nessuno. Eh, che tristezza, un giovane bello e ricco, ma sfortunato come soltanto poche persone possono esserlo. Non desiderando tornare in Inghilterra manco da morto, Patrick aveva dato precise disposizioni al fine di essere tumulato al Père-Lachaise... E così fu, amen. Adesso era lì accanto a me, che mi sussurrava frasi galanti con quel suo bizzarro accento inglese, spiegandomi che lui per il momento non intendeva allontanarsi dalla dimensione terrena: prima voleva godersi un po’ Parigi, e per tale motivo chiedeva il mio aiuto. – Mi piacerebbe frequentare una dama di buona educazione, quale voi siete, – disse in tono pacato, – disposta ad accompagnarmi in visite turistiche, serate mondane e quant’altro, dato che non mi va giù il fatto di non aver visto quasi nulla della città…
Lord Patrick Sheldon
Ci pensai un po’ su e conclusi che si trattava di un’offerta allettante. Trovandomi sola e abbandonata da tutti (probabilmente perché con i viventi non andavo molto d’accordo), ora che ero diventata medium quale migliore idea se non quella di accettare la corte di uno spettro a modo? Mi dichiarai dunque propensa ad accontentarlo, e ammo a darci del tu. Proseguendo nella conversazione, accennai alla questione della macchia di sangue di Carmencita, chiedendo a Patrick se sapeva indicarmi un metodo efficace, possibilmente a buon mercato, per cancellarla. – Certamente, – rispose lui baldanzoso, – quando ero in vita mi occupavo di chimica e di ricerche di laboratorio, pertanto conosco molti prodotti ancora oggi reperibili in commercio. Ti consiglio di procedere con due ritrovati americani di ottima qualità: prima applica il supersmacchiatore Champion, e subito dopo il detergente Paragon, entrambi della premiata ditta Pinkerton. Vedrai che la macchia scomparirà. Ringraziai lo spettro inglese per quel prezioso suggerimento, di cui presi nota sul taccuino; quindi lo salutai dicendogli che ci saremmo risentiti l’indomani per la visita al Louvre. Patrick mi aveva spiegato che poteva spostarsi a piacimento per la città, purché fosse accompagnato da una persona vivente: non era legato, come accadeva per la maggioranza dei fantasmi, al luogo della morte e al punto in cui sorgeva la tomba. Il mio lord, finalmente, aveva trovato in me quella persona.
*****
Durante la notte, distesa sul letto traballante, madida di sudore e abbacinata dalle emozioni vissute durante la giornata, mi scoprii protagonista di sogni alquanto sporcaccioni.
Mi rigiravo in preda a incontrollabili spinte interne; sentivo un grande calore nelle parti intime, mi dibattevo e gemevo senza tuttavia riuscire a svegliarmi. Soltanto alle prime luci dell’alba riaprii gli occhi, pienamente sazia ancorché indecisa sulla natura di quella strana esperienza onirica, e mi domandai se, piuttosto, non si fosse trattato di un evento reale. Mi era sembrato infatti di aver incontrato un extraterrestre molto pimpante, che mi aveva permesso di soddisfare tutte le mie fantasie, procurandomi il giusto appagamento dei sensi.
(2) Omaggio a Madame Assatanée, autrice di “Sempre e ovunque”, racconto presente nel libro dei Fratelli Stellari dal titolo 50 Sfumature di Alieno, Youcanprint, 2015.
Ero stata fortunata, che dire... nel sogno mi toglievo ogni voglia, senza pensieri e senza fatica, anche perché il rapporto con l’alieno in questione era intenso e veloce, e l’orgasmo assicurato ad ogni incontro. Potevo sperimentare la cosa in una miriade di luoghi diversi: in ufficio, sull’autobus, in auto, in treno, in pineta, in biblioteca, a casa di mia zia e addirittura sulla poltrona del dentista (tant’è che il dottore si meravigliò della mia estrema felicità e del mio rilassamento totale); ma lo facevamo anche mentre ero in coda alla Posta, oppure al bar durante la colazione, e nessuno dei presenti si accorgeva di nulla! Non esistevano situazioni tali da farmi rinunciare a questi meravigliosi amplessi, giacché l’omino verde mi trovava sempre, ovunque io andassi! Quindi anche in vacanza, al cinema, in discoteca, in hotel, al mercato, in piscina, al ristorante, in palestra... e facevamo pure il sesso al telefono. Se prima, quasi quasi, mi toccava pagare un “accompagnatore”, ora, grazie al sogno, ero al settimo cielo e... avrei potuto chiedere io d’esser pagata, ogni tanto magari, non tutte le volte! Quando fui completamente sveglia provai un senso di colpa misto a vergogna: il pensiero corse a Patrick, e alla convinzione di averlo tradito prima ancora che il nostro fidanzamento si fosse avviato... Per fortuna costui apparve, sorridente come al solito, e mi tranquillizzò: l’omino verde del sogno era lui, proprio lui!
Da quel momento in poi, dormendo o entrando in trance, avrei potuto soddisfare i legittimi bisogni corporali di una donna ancor bella e giovane.
3. Il dono di Carmencita
Intorno alle nove della mattina, riposata e allegra, mi congedai dal letto. Era il mio giorno libero e avevo già stabilito il piano d’azione. Per prima cosa uscii e mi recai al mercato di Aligre, a breve distanza da casa, alla ricerca di scarpe che fero al caso mio; le trovai su di una bancarella e le acquistai per pochi spiccioli. Si trattava di calzature basse e morbide, simili a babbucce, prive di tallone e molto acciabattate, dunque veloci da infilare ai piedi: ne presi due paia, di colori diversi. In un negozio dei dintorni comprai poi i detergenti che mi aveva indicato Patrick, oltre a un pezzo di feltro; tornai alla stamberga di madame Tournelle, mi chiusi a chiave in camera mia e lavorai di buona lena al fine di preparare il materiale che mi occorreva. Dopo pranzo contattai l’amico fantasma e costui subito si presentò al mio cospetto, facendomi una riverenza. Gli detti maggiori ragguagli sull’operazione da compiere al Louvre, poi “uscimmo” per andare al museo. Per me era quasi come se Patrick fosse presente fisicamente al mio fianco: in certi momenti lo intravedevo, mentre la sua voce mi risuonava in testa sempre forte e chiara; l’unico inconveniente era rappresentato dal fatto che, per farmi udire da lui, dovevo come minimo bisbigliare e ciò risultava imbarazzante in presenza di altre persone. I fantasmi non odono le voci dei viventi, beninteso, o comunque non sanno decifrare le frasi a loro rivolte, perché sentono come dei rumori, dei ronzii; sono invece in grado di leggere e comprendere alla perfezione qualunque testo scritto, indipendentemente dalla lingua in cui esso è redatto. I fantasmi, essendo costituiti da campi elettrici, vedono correttamente tutto ciò che esiste nel mondo materiale, tuttavia per comunicare con loro attraverso onde sonore (la voce, una registrazione audio e simili) bisogna disporre di un congegno che trasformi le frequenze dei suoni in campi elettrici: in sintesi, un microfono speciale. Queste informazioni erano riportate nel già citato libro della Dalgas, ma l’autrice non diceva dove acquistare un simile dispositivo, anche perché non sembrava che ne
esistessero in commercio: lei se ne era fatto costruire uno appositamente da un suo amico ingegnere elettronico. Ritornando alla necessità di bisbigliare (o di parlare ad alta voce) per comunicare con gli spiriti, devo pertanto precisare che questo non serviva per farmi comprendere da loro; come ho detto, le mie parole sarebbero giunte in maniera simile a suoni disturbati, incomprensibili; il fatto di sussurrare serviva a me per attivare la comunicazione telepatica. Sì, con i fantasmi dialogavo mediante telepatia, e con lo stesso sistema captavo le loro risposte, ma per concentrarmi ed emettere le onde psichiche dovevo pronunciare le parole anche con la bocca. In fondo allo scalone del Louvre c’era una grande folla di turisti, cosa che mi facilitò il compito. Le altre persone mi avrebbero fatto da schermo, per così dire, soprattutto in relazione ai custodi.
Museo del Louvre, Escalier Mollien
Avvalendomi del sostegno psicologico di Patrick, il quale m’incoraggiava e teneva d’occhio l’ambiente per avvertirmi nel caso di qualche problema, mi avvicinai al punto in cui si trovava la macchia; con nonchalance estrassi dalla borsa la busta di nylon contenente le ciabatte comprate quella mattina e opportunamente modificate: sotto ciascuna di esse avevo incollato un pezzo di feltro, imbevuto del supersmacchiatore Champion per la suola destra, e del detergente Paragon per la sinistra; quindi, approfittando della gonna a ruota, lunga fino ai piedi, atta a nascondere le estremità, mi sfilai le calzature che indossavo, identiche a quelle modificate eccetto che per il colore e per l’assenza dei pezzi di feltro. Annaspai con le gambe sotto la gonna, mentre rivolgevo lo sguardo a una statua poco distante, come se la stessi ammirando estasiata; mi chinai e posi a terra le due babbucce recanti i prodotti chimici, ci cacciai dentro i piedi e recuperai le altre per nasconderle nella borsa. Da quel momento in poi, con estrema attenzione, feci scivolare varie volte il piede destro sulla macchia, su e giù, a destra e a sinistra, con movimenti lenti, circolari e diagonali; frattanto fingevo di leggere una guida del museo, e occhieggiavo qua e là sia per accertarmi che nessuno badasse a me sia per dare a intendere che cercavo l’ubicazione delle opere descritte nel libro. Dopo un po’ ai al piede sinistro, e ripetei l’operazione con calma, finché, osservando il pavimento... miracolo! La macchia era totalmente svanita. Patrick si complimentò per la mia abilità, ma io gli risposi che il merito era suo: quei prodotti americani si erano rivelati infallibili. Mi voltai e vidi Carmencita la quale, riconoscente, stava per buttarsi in ginocchio allo scopo di rendermi omaggio: la bloccai subito dicendole che, a scanso d’imprevisti, per me era meglio lasciare il museo in fretta e furia, ma l’avrei contattata il giorno seguente.
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Non potete immaginare la felicità della spiritessa spagnola quando mi recai alla sua tomba: costei si professò mia debitrice per l’eternità e confermò che la
macchia non era più riapparsa. Adesso Carmencita era finalmente libera di lasciare la dimensione terrena, per ricongiungersi con l’adorato marito. – Mia cara Ritanne, come ti ho promesso ho pronta la ricompensa per te, – disse la dama evanescente, – e sono certa che sia proprio ciò di cui hai bisogno, visto l’immondo luogo in cui sei costretta ad abitare... – Oh, Carmencita, davvero? Ma io l’ho fatto volentieri, al solo scopo di aiutarti, – risposi emozionata. – Ogni promessa è debito; e poi, ora che sto per andarmene, sono lieta di lasciare a te questo possedimento, non ho altri eredi. Dunque, presta attenzione: avvicinati alla mia lapide e premi in successione le seguenti lettere del mio nome: la “m” di Carmencita, la “o” di Gonzales e la “n” di Corazon. Feci quanto mi diceva e, in effetti, le lettere metalliche affondarono dentro la pietra. A quel punto udii un click e la fantasmessa mi disse di controllare in basso, sul lato destro della lapide, dove si era aperto uno sportellino. Infilai la mano nel vano segreto e afferrai una piccola chiave. Carmencita proseguì: – Ora spostati sulla lapide di mio marito, situata qui accanto alla mia. Premi in successione le lettere del suo nome: “a”, “m” e “o” di Raymond; “u” di Gustave; “r” di Orfèvres. Ancora una volta eseguii le istruzioni: il consorte si chiamava Raymond-Gustave Limot d’Orfèvres, pertanto tutte le lettere nominate erano presenti. Mettendole in fila saltavano fuori, come ebbi modo di capire, due parole: Mon amour... Che romantico era stato Raymond a scegliere quella specie di codice segreto! Non appena ebbi terminato di premere le lettere un rumore mi avvertì che una seconda apertura era apparsa nella tomba del marito: questa volta estrassi uno scrigno di metallo arrugginito, simile a una scatolina, che si aprì infilando la chiave nella serratura. All’interno dello scrigno trovai un rotolino di carta avvolto in un pezzo di velluto: come ebbe a spiegarmi Carmencita, si trattava dell’atto di proprietà, al portatore, di un appartamentino ubicato in un palazzo della città. Il documento era stato redatto e firmato, con tanto di bolli e controbolli, da un notaio, su incarico di Raymond, nonché depositato in copia all’Archivio Notarile di Parigi. L’amato coniuge della defunta aveva messo in atto questo espediente al fine di mantenere una possibilità: nelle epoche successive una persona dotata di facoltà
sensitive avrebbe forse percepito i lamenti della moglie intrappolata nell’intercapedine terrena e, dietro la promessa di una lauta ricompensa, avrebbe compiuto i i necessari per spedirla da lui nell’aldilà. – Vai all’Archivio Notarile, si trova presso gli Archives Nationales all’Hôtel de Soubise, – precisò la mia benefattrice risplendendo di una luce che aumentava gradualmente d’intensità (segno che la diretta interessata era in procinto di partire), – consegna quel documento e loro ti diranno come procedere. Vedrai che la cosa filerà liscia, e presto sarai titolare di un appartamento tutto tuo! – Grazie, grazie, Carmencita... – replicai commossa, e in quel momento sentii la mano di lei che mi sfiorava, carezzandomi il viso. – Ti saluto, carissima, e ti auguro buona vita! – esclamò mentre scompariva. – Buon viaggio, ringrazia tuo marito da parte mia! – gridai con voce rotta dall’emozione. Nei paraggi non c’era nessuno, a parte il mio lord inglese che aveva assistito al ritrovamento e che adesso si univa a me nel dire addio a Carmencita. Mi lasciai cadere a sedere sulla lastra di marmo, rigirando il pezzo di carta tra le mani. – Spero che vorrai invitarmi nella tua nuova dimora, – disse Patrick sorridendo, e ancora una volta mi sembrò di sentire qualcosa di fisico, come se lui avesse appoggiato il braccio sulle mie spalle.
4. Nuova vita al castello
La procedura per entrare in possesso dell’abitazione si rivelò meno complicata del previsto. Sembrava proprio che da quando ero stata assunta al cimitero la fortuna avesse cominciato ad arridermi, e ogni nuovo giorno si apriva davanti a me per portarmi occasioni di gioia e progresso. Gli incaricati della sezione notarile, agli Archives Nationales, confermarono che l’atto di proprietà era valido, e fissammo dunque di andare insieme, la settimana successiva, all’edificio dove si trovava l’appartamento. Si trattava nientemeno che di una sorta di castelletto favoloso, in pieno centro: l’Hôtel de Sens, situato nel quartiere del Marais, al n. 1 di Rue du Figuier. Fino al 1622 la diocesi di Parigi era sotto il controllo dell’arcivescovato di Sens, che aveva quindi in città una residenza, precedentemente sita al n. 2 del Quai des Célestins. Tristan de Salazar, arcivescovo di Sens, fece demolire l’Hôtel di Jean d’Hestoménil e, sullo stesso sito, venne eretto tra il 1475 e il 1519 l’attuale Hôtel de Sens; successivamente Enrico III di Navarra regalò il palazzo a Margherita di Valois, la “regina Margot”, sua prima moglie. Un elaborato restauro venne condotto dal 1936 al 1962, mediante il quale si pensò di accentuare l’aspetto fiabesco dell’edificio, con le numerose torrette dai tetti a punta e i comignoli; al termine dei lavori vi fu collocata la Bibliothèque Forney, specializzata nelle pubblicazioni sull’arte.
L’Hôtel de Sens
Per farla breve, mi presentai a destinazione accompagnata da un avvocato con la sua segretaria: non dovetti sborsare un soldo né chiedere aiuto a nessuno, perché tutto rientrava nei termini di legge, pertanto era previsto che mi venisse concessa una simile scorta. La biblioteca, dopo che Raymond era morto senza eredi, aveva occupato abusivamente anche il suo appartamentino, sebbene il direttore di allora fosse stato avvertito che qualcuno avrebbe potuto presentarsi, prima o poi, a reclamarlo. Fummo ricevuti dalla direttrice, una biondona ossigenata, adorna di collane e con un seno smisurato, che avrei visto meglio sul palcoscenico di un cabaret piuttosto che in un luogo dedicato ai libri. L’avvocato le spiegò la faccenda, la segretaria estrasse dalla cartella i documenti e la direttrice, di lì a poco, sbiancò in volto. – Oh, ma noi... come... noi come possiamo fare, – balbettò la donna rigirando tra le mani le scartoffie che comprovavano il mio diritto a entrare in possesso dell’alloggio. – Abbiamo sistemato in quei locali proprio l’ufficio che si occupa della catalogazione, e ci lavorano due dipendenti... – Signora, questo è affar vostro, il problema non riguarda la mia assistita, – tagliò corto l’avvocato. – L’appartamento in questione non è mai stato di pertinenza della Bibliothèque Forney, quindi avreste dovuto pensarci prima. Inoltre, ringraziate il cielo che il precedente proprietario è defunto da decenni, e che madame Fosquins ha deciso di reclamare la proprietà solo adesso, altrimenti avreste potuto essere obbligati a pagare i danni per occupazione abusiva d’immobile altrui. – Avvocato, la prego, dovrà darci almeno il tempo di sgomberare i locali... – Certamente, avete tre giorni a partire da domani, non un minuto di più. Torneremo lunedì prossimo e vogliamo trovare tutto pronto, affinché la mia cliente possa cominciare il trasloco. La saluto, direttrice. Così gli addetti alla catalogazione della Bibliothèque Forney si videro costretti a smammare, liberando una volta per tutte quello che, di lì a poco, sarebbe diventato l’alloggio ideale per i godimenti di una castellana moderna.
L’avvocato riuscì anche a far sì che i locali venissero ritinteggiati a spese della biblioteca; in capo a una settimana ricevetti le chiavi e, grazie al mio primo stipendio, potei acquistare i mobili, gli elettrodomestici, le suppellettili. Presi qualcosa a rate, qualcos’altro lo pagai in contanti, approfittando dei modici prezzi praticati da una grande azienda svedese specializzata in arredamenti. L’appartamento era costituito da quattro stanze, più il bagno, e si trovava al secondo piano: disponevo di un ingresso-soggiorno, una cucina, una camera da letto e una fantastica mansarda sottotetto nella quale allestii il mio studio. Patrick mi faceva visita tutte le sere e spesso si tratteneva anche per la notte, dato che ormai eravamo fidanzati ufficialmente. A dire la verità questo legame d’amore era noto solo a noi due: non è cosa da tutti avere un fantasma per spasimante, e io non mi sognavo certo di parlarne con chicchessia. Giunse il periodo natalizio, durante il quale sistemai la mia casa quasi del tutto, almeno nei servizi essenziali; con gioia mi rimpiattavo tra le mura domestiche, quando era libera dal lavoro. Una sera o due alla settimana uscivo, allo scopo di “accompagnare” Patrick nei teatri e in altri locali della città; potevo concedermi solo svaghi poco dispendiosi, perché i miei risparmi erano quasi terminati e, sebbene con il mese di dicembre avessi ricevuto la tredicesima, avevo avuto tante spese da sostenere, anche per completare l’arredamento. Patrick avrebbe voluto aiutarmi economicamente, ma come? Essendo presente solo in spirito, non poteva certo mettersi a lavorare; però poteva vedere cose che noi umani non potremmo neppure immaginare. Decise dunque di darsi da fare per trovare qualche fonte di reddito e, dopo qualche giorno, mi disse di precipitarmi al mercato delle pulci di Saint-Ouen, a nord della città, perché stava per essere messa in vendita una valigia molto interessante. Approfittando del fatto che era domenica mattina, non persi tempo e mi recai alla fermata della metropolitana di Pont Marie, dove presi il treno della linea 7 fino a Châtelet. Qui ai sulla linea 14... beh, sapevo che non sarebbe stato uno spostamento da poco; raggiunsi la stazione di Saint-Lazare e trasbordai sulla linea 13, che mi avrebbe condotta nelle vicinanze del mercato. Il viaggio nel complesso fu estenuante, soprattutto per le frotte di gente che intasavano la metro e che mi spintonavano da tutte le parti; arrivai a destinazione alquanto disossata, ma fermamente decisa ad accaparrarmi la valigia in questione. Patrick mi guidò per i meandri variopinti del mercato, in mezzo a manufatti di ogni tipo: dal ciarpame più nauseabondo a mobili di antiquariato, dalle chincaglierie più ridicole a vasellame e ninnoli di pregio; finalmente, quando
credevo che stesse per venirmi la sciatica a forza di camminare in mezzo a quella confusione, mi si parò davanti, in tutta la sua magnificenza, una bancarella sgangherata dove, guardacaso, l’amato bene troneggiava su un ammasso di roba marcia. – Sei sicuro che l’oggetto sia proprio quello? – bisbigliai a Patrick non appena mi fui avvicinata a sufficienza; – Sicurissimo, – rispose lui senza battere ciglio, e aggiunse: – Comprala anche se il prezzo potrebbe sembrarti eccessivo, vedrai che sorpresa... Mi rivolsi al venditore e lo pregai di mostrarmi la valigia. Era un normale bagaglio di pelle, piuttosto vecchio e logoro, contenente dei capi di biancheria intima femminile, come mutandine e reggiseni tutti bucherellati e imbrattati (non osai immaginare di cosa); difficile pensare che simili rifiuti potessero avere un valore commerciale, ma non stetti a disquisire e dichiarai la mia intenzione di acquistare lo strano articolo. Il venditore decantò la merce sostenendo che si trattava di lingerie vintage, dunque di una certa qualità; all’inizio mi chiese cento euro, tuttavia dopo qualche contrattazione scese a ottanta, quindi pagai, presi il borsone e tornai alla fermata della metropolitana.
*****
Nel pomeriggio, a casa, attenendomi alle indicazioni del mio fidanzato spettro buttai nella pattumiera la biancheria; poi, con un taglierino affilato, rimossi delicatamente la fodera della valigia e... cosa apparve? Nientemeno che le lettere d’amore di una famosa vedette se degli Anni Venti del Novecento: Didi Larouge, cantante e attrice del cinema muto nonché rivale di Greta Garbo. – Fantastico! – esclamai. – Queste lettere devono valere una fortuna! – Hai visto, cosa ti dicevo? Adesso informati per venderle, dovrai interpellare una casa d’aste, – commentò Patrick soddisfatto. Il giorno seguente indossai un paio di mutande alte e rinforzate, dentro le quali nascosi il pacchetto contenente il piccolo tesoro; in tal modo mi sentivo sufficientemente protetta contro l’eventualità di uno scippo e, coperta da una
delle mie solite palandrane nere, uscii per affrontare il mondo. Mi recai anzitutto al lavoro; poi, al termine del turno, alla Maison Encante, una delle più prestigiose della città, allo scopo di proporre la vendita. Il direttore mi ricevette con grande cordialità, esaminò la mercanzia, mi chiese da dove provenisse e quali garanzie potessi fornire su di me e sulle mie attività: la ditta si atteneva a regole molto rigide, quindi lui doveva essere sicuro di non avere a che fare con materiale rubato o collegato a traffici illeciti. Risposi tranquillamente e in tutta sincerità che avevo trovato quel fascio di corrispondenza in una vecchia valigia acquistata al mercato delle pulci; quanto a me, bastava interpellare il PèreLachaise e chiedere informazioni riguardo alla capo-guardiana (sì, avevo dimenticato di dirvi che ero stata promossa!). Il nome del cimitero generò nel direttore un atteggiamento reverenziale, e lo indusse perfino a dichiarare che, quanto prima, avrebbe partecipato con piacere a una delle mie visite guidate. Espletammo le dovute formalità: esibii un documento d’identità, compilai e firmai alcuni moduli... Non sto a raccontarvi tutti i dettagli, sappiate solo che fui fortunata, poiché dopo alcune settimane le lettere vennero vendute e nel mio conto in banca, ridotto al lumicino, piovve la bella somma di dodicimila euro. “Oh, si comincia a ragionare,” pensai; “ora posso togliermi qualche sfizio e uscire la sera per andare a quei divertimenti a cui Patrick tiene tanto”.
5. Quel mattacchione del mio spirito guida
Un sabato sera, nel mese di marzo, decisi di portare il mio spettrale compagno al cabaret più celebre del pianeta, il Moulin Rouge. Da tempo Patrick smaniava per andarci, così ora che potevo permettermi qualche spesuccia non mi feci pregare e anzi, vi dirò di più: nel pomeriggio acquistai un abito nuovo, di colore verde scuro, piuttosto elegante, pieno di perline e di volant; presi anche un cappotto di lana pregiata (pfui ai tessuti sintetici), scarpe con il tacco, borsa, sciarpa, cappello a tesa larga e una parure composta da orecchini, collana e bracciale. Una volta tanto che andavo a folleggiare, non volevo certo presentarmi come la stracciona che non ero più. Prenotai per telefono un tavolo in buona posizione e chiamai un taxi affinché mi scarrozzasse nelle vicinanze del locale, precisamente nel Boulevard de Clichy. Arrivai in anticipo rispetto all’orario d’inizio dello spettacolo, poiché desideravo fare due i nel quartiere osé: Pigalle, con le sue insegne luminose, i bar e i ritrovi più o meno di malaffare, i negozi che vendevano mercanzie inenarrabili. Mentre camminavo fui avvicinata da un tanghero rivestito a festa – verace esempio di quanto la città fosse piena di gente a me sgradita – che girellava davanti a un teatrino nel quale, almeno stando ai cartelloni pubblicitari, si esibivano donnette nude; probabilmente si trattava dell’imbonitore. Cotale individuo, dal volto simile a un deretano ricoperto di foruncoli, mi si piantò davanti, fischiò in segno di complimento e chiese se poteva invitarmi a bere qualcosa all’interno. – La ringrazio, ma vado di fretta, – risposi aggiustandomi il cappello. Il tanghero allora insistette e, non l’avesse mai fatto, poggiò la mano sul mio braccio: intravidi due entità partire al contrattacco, una soffiandogli in faccia una folata di vento gelido, l’altra procurandogli un forte prurito in varie parti del corpo. L’uomo cominciò a grattarsi e si staccò da me, al che ripresi a camminare accelerando il o. Più avanti mi appartai in un punto tranquillo e attivai la trance medianica, in modo da scoprire chi fosse l’entità che aveva aiutato Patrick nell’azione di difesa: subito una voce squillante e allegra mi parlò, dicendo di appartenere nientemeno che a Luigino, il mio spirito guida.
– Questa è bella, – bisbigliai, – manco sapevo di averlo, uno spirito guida! Come mai ti presenti così in ritardo? Sono mesi che ho sviluppato le mie facoltà, ma non ti ho mai udito prima... – Carissima, devi perdonarmi! – esclamò Luigino, e in quel momento lo vidi distintamente: era vestito con abiti sontuosi, appartenenti a un’epoca remota, e indossava una parrucca biancastra, con ciocche arricciate sui lati. Avevo letto il capitolo dedicato alle guide spirituali nel libro della Dalgas, pertanto sapevo che queste non sono fantasmi ma entità evolute, uscite dal ciclo delle incarnazioni, le quali affiancano i viventi per assisterli e ispirarli; ciascuno di noi ha il proprio “angelo custode” fin dalla nascita, tuttavia io non ero mai riuscita a captare tale presenza. Il nuovo arrivato proseguì spiegandomi che si era mantenuto volutamente silenzioso e invisibile per non disturbarmi, mentre m’impratichivo con le mie capacità sottili; adesso che ero sufficientemente esperta, aveva pensato di rivelarsi. La conversazione telepatica, alla quale partecipò anche Patrick, si protrasse per qualche minuto; poi dovetti interromperla, un po’ perché si stava facendo tardi e non volevo mettermi a correre, un po’ perché i anti mi guardavano come si guarderebbe una squilibrata che borbotta da sola, addossata al muro di un palazzo. Mi diressi senza indugio al Moulin Rouge, dove presi posto nelle prime file e sorseggiai un bicchiere di ottimo champagne, compreso nel prezzo del biglietto; quindi lo spettacolo ebbe inizio, e fin dalle prime scene rimasi strabiliata.
Le Bal du Moulin Rouge de Paris
Le ballerine, le famose Doriss Girls, erano splendide, e lo stesso dicasi per i ballerini: tutti sfoggiavano costumi grandiosi, mentre le musiche, gli effetti luminosi e gli scenari creavano emozioni fluide, piacevolissime... Sembrava di assistere a una fiaba per adulti, e ogni dettaglio esprimeva grande raffinatezza e grande classe. Decine di donne bellissime, adorne di piume e lustrini, talune a seno scoperto, danzavano e si avvicendavano sulla scena, cosicché in un lampo compresi il motivo per cui Patrick desiderasse assistere alla rivista. Non si trattava comunque di soli balletti, c’erano anche intrattenimenti di altro tipo, come mimi, giocolieri, una grande vasca piena d’acqua che emergeva da una botola apertasi nel palcoscenico... e un’affascinante nuotatrice, ovviamente seminuda, si tuffava nella vasca per compiere evoluzioni insieme a tre pitoni molto lunghi e pasciuti. Venne poi il turno del cancan, glorioso ballo caratterizzato dallo sforbiciare delle gambe delle ballerine, tipico degli spettacoli di varietà si dell’Ottocento, e il pubblico esplose in un tripudio di applausi. Via via che i numeri si susseguivano, Patrick e Luigino mi trasmettevano i propri commenti, a volte in disaccordo tra loro; Luigino dimostrò di essere un personaggio di carattere, piuttosto mattacchione, che si divertiva a fare battute e ad aggiungere appendici ironiche alle frasi di Patrick. Sul principio li lasciai fare, considerando che avevano diritto di divertirsi pure loro; ma con il are del tempo, temendo di rincitrullire completamente a forza di concentrarmi per ascoltarli, persi l’autocontrollo e alzai la voce dicendo: – Zitti, mi fate casino in testa! Subito una signora seduta vicino a me mi lanciò un’occhiataccia e si portò il dito indice sulla bocca, allo scopo d’intimarmi il silenzio; sollevai il mio bicchiere di champagne come per risponderle “alla salute!”, dopodiché mi chetai, non senza aver sussurrato ai miei accompagnatori che avrebbero fatto meglio a darsi una regolata. In effetti, preferivo evitare di essere segnalata come molestatrice della quiete interna ai cabaret quando lo spettacolo è co minciato. Rivolsi nuovamente l’attenzione alle magnificenze che potevo ammirare a qualche metro di distanza. Le sciantose – come direbbero i miei amici italiani – cantavano e
ancheggiavano, i fondali cambiavano, scalinate e decorazioni apparivano e scomparivano... Quanti costumi, quanti gioielli; che stacco di coscia avevano quelle donne! Beh, certamente non le avrebbero scritturate, se fossero state nane, gobbe e stronche. (3) Pensai a me stessa, reputandomi non proprio da buttar via.
(3) Termine toscano, equivalente a stroncato: si dice in particolare dei cavalli azzoppati.
Il vestito nuovo mi stava a pennello e mi rendeva piacente, tanto che un cameriere, quando mi ero seduta al tavolo, si era timidamente complimentato per la mia eleganza: ripensando alle sue parole, sognai di essere anch’io una vera sciantosa, e di calcare i teatri di mezzo mondo regalando agli avventori quella leggerezza che certo non potevano trovare nel mio luogo di lavoro, ossia il cimitero. Al Père-Lachaise sfoggiavo talvolta il velo sul volto, soprattutto quando accompagnavo i visitatori all’interno di alcune tombe monumentali; vedendo che anche le ballerine erano adorne di veli vaporosi (magari non li avevano sul viso, ma sul sedere), mi lasciai cullare da quella fantasticheria…
Molto sciantosa seppur velata
D’un tratto Luigino, benché fosse stato pregato di tacere, si fece avanti e mandò in pezzi i miei sogni ad occhi aperti: con il suo tono ironico sciorinò la definizione del termine, dicendomi che l’aveva pescata su Internet! Per vostra informazione ve la riporto tale e quale:
La sciantosa era una figura professionale del café-chantant, confluita poi nei generi di derivazione come il teatro di varietà, la rivista e l’avanspettacolo. La nascita del termine si fa risalire quindi agli anni intercorsi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Il termine sciantosa è un’italianizzazione (o meglio una storpiatura della lingua napoletana) della parola se chanteuse, che letteralmente significa “cantante”: inizialmente, infatti, le sciantose eseguivano nei café-chantant brani e arie tratti da opere liriche o da operette famose. Si può pensare alla sciantosa come a una riproduzione, in piccolo, della diva del teatro d’opera. Col are del tempo, però, il termine “sciantosa” acquisì sempre più il significato di donna fatale, seducente, ammaliatrice: alle effettive capacità artistiche della divetta di turno, dunque, erano preferite le caratteristiche fisiche e di portamento in scena. (4)
(4) Voce “Sciantosa” in Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Sciantosa.
Al termine dello spettacolo, mentre attendevo il taxi, ripresi la conversazione con il mio spirito guida, il quale si scusò dicendo che a volte non poteva fare a meno di scherzare, proprio non ci riusciva... Patrick, dal canto suo, affermò di nutrire una grande simpatia per Luigino, e dunque io dovevo ammorbidirmi. Giunsi a casa prima di mezzanotte, mi spogliai e indossai pigiama e vestaglia;
poiché ero ansiosa di approfondire la conoscenza con il nuovo amico ultraterreno, cominciai a interrogarlo e lui s’impegnò per rispondere a tutte le mie domande. Inutile aggiungere che andai a dormire molto tardi. – Sai una cosa? – gli dissi mentre allungavo le gambe sul divano e sorbivo una tazza di camomilla, – A me pare di conoscerti, quella parrucca evoca in me sensazioni di un lontano ato... – Eh, eh, mia cara, dici bene: infatti ci siamo già incontrati in una vita precedente! – Davvero? Di quale vita parli? – Di una sempre qui, a Parigi, nella prima metà del secolo XVIII. – Oh, che bello, il periodo rococò... Il re era Luigi XV, se non sbaglio. – Precisamente, sei ben informata. – Beh, reminiscenze scolastiche. Ma dimmi, chi ero?? – Non lo indovini? – Non saprei... Una panettiera? Una pescivendola? – Macché, cosa vai a pensare... Incarnavi un personaggio molto più importante e influente. – Luigino, ti prego, non tenermi sulle spine. – Ebbene... Eri il re, mia cara! – No, dai, non ci credo! Scherzi? – Sì, via, scherzo, ihihih! Te l’ho detto che sono un po’ mattacchione! – esclamò Luigino ridendo. – Uffa, dimmi la verità... – Sì, sì, adesso parlo seriamente: eri la favorita del re, madame de Pompadour.
– Vuoi ancora prenderti gioco di me... – No, è la verità, te lo giuro: ti fornirò le prove. – Mah, sarà... E tu chi eri? – Io ero... però promettimi di non obiettare, eh? Questa volta non racconto balle, d’accordo? – Ok, spicciati. Chi eri? – Ero il re! – Sie, ecco l’ennesima fanfaluca. Ora ti chiudo l’accesso medianico. – Ma no, devi crederci, non sto mentendo! Io ero re Luigi XV, e tu la marchesa di Pompadour. Eravamo amanti... Per questo mi chiamo Luigino, e mi vedi con la parrucca settecentesca. Non ci hai pensato? – Boh, allora raccontami tutta la storia. – Certamente, mettiti comoda e te la racconterò.
6. La marchesa del tempo che fu
Luigino mi narrò una storia così bizzarra che mai e poi mai, neppure nei miei deliri più audaci, avrei saputo immaginare. In pratica io sarei stata una nobile veneziana, nata nel 1721 dal conte Lorenzo Malibran e dalla contessa Antilia Bandinelli, sua sposa: il mio nome era Corinna e abitavo nel palazzo di famiglia, sito in una delle zone più eleganti della città lagunare. Allorché divenni maggiorenne, e dunque fanciulla da marito, mio padre non volle porre tempo in mezzo e mi promise in sposa a un gentiluomo spagnolo, tale Ferdinando Busquero Fortaleza y Serrano, più vecchio di me di almeno trent’anni, e oltretutto gobbo, zoppo, con il pancione e l’alito puzzolente. – Se sposo quello schifo d’uomo, muoio, – confessai a Elisa, la mia affezionata sorella minore, la quale annuì e si disperò per la propria atroce sentenza, cioè quella di entrare in convento. Trovandosi le finanze di famiglia in totale dissesto, nostro padre aveva escogitato un duplice metodo per liberarsi delle figlie senza intaccare l’esiguo patrimonio: destinando Elisa alla monacazione forzata, non ci sarebbe stato bisogno di assegnarle la dote; quanto a me, il suino spagnolo mi prendeva anche se squattrinata, tanto era ricco lui, e dove la trovava un’altra sgnacchera bella e giovane da spupazzarsi! Quali orribili prospettive per entrambe, povere disgraziate! Dunque, per tagliare la testa al toro, decidemmo di darcela a gambe, valendoci della complicità della notte e... dell’intraprendenza femminile. Una volta pronte ci calammo i mantelli sulle spalle, sollevammo i cappucci e prendemmo le borse contenenti il bottino razziato in casa: i gioielli nostri e quelli di nostra madre, defunta da tempo; due pistole di pregio con una bella scorta di munizioni; alcune saccocce piene di zecchini della Serenissima Repubblica di Venezia; i documenti fasulli che un abile falsario di Cannaregio aveva realizzato per noi. Uscimmo dal palazzo attraverso una porticina segreta e ci avviammo all’appuntamento con il barcaiolo che ci avrebbe permesso di raggiungere la terraferma.
L’indomani, il 7 luglio 1744, ci avventurammo alla volta di Parigi, amena località nella quale giungemmo dopo un lungo e faticoso viaggio. Nella capitale di Francia affittai un grazioso appartamento, spacciandomi per Léonore Charlotte Valfort, marchesa di Beauchant, anche grazie alla mia perfetta padronanza del se. Avevo infatti amato profondamente questa materia, durante gli studi leggiadri, annaspando tra le sudate carte, ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte; (5) talché mi presero tutti per una nobile provenzale, trasferitasi al nord per conoscere il Bel Mondo.
(5) Omaggio a Giacomo Leopardi, poeta imperituro: A Silvia.
Presentai Elisa come la mia cameriera e nessuno ebbe sospetti circa la vera natura del legame che ci univa; una volta sistemate le nostre cose, cominciammo a tessere la trama del futuro. Tolti i denari per due mesi di pigione e per le provviste alimentari, ci rimase ancora un bel gruzzoletto, cosicché evitai di vendere i gioielli: mi servivano per fare il mio ingresso in società come dama altolocata. Piuttosto, Elisa e io avevamo bisogno di abiti nuovi, dunque una mattina prendemmo una vettura di piazza e ci recammo in Rue Montmartre, da una sarta piuttosto famosa la quale si prese carico delle nostre richieste. Uscendo dall’atelier inciampai su di un ciottolo e finii distesa al suolo; anche mia sorella, nel tentativo di sorreggermi, mi rovinò addosso. Non vi dico la scena: una vera devastazione, giacché la strada era piena di fango e di escrementi di cani, forse disseminati lì proprio per noi. Fortunatamente fummo soccorse da un aitante gentiluomo e dal suo valletto, che stavano sopraggiungendo in quel momento; tale incontro fortuito mi rese, in capo a qualche settimana, uno dei personaggi più benvoluti nei migliori salotti della città. Eh, sì, il conte JeanPhilippe de Bibelot, colui che ci aveva aiutate a recuperare la posizione verticale, s’invaghì di me perdutamente, e io ricambiai il suo ardore: era ricco, gentile e belloccio, dunque non mi feci problemi a gratificarlo con la mia compagnia e con quelle benedette posizioni orizzontali, su morbidi letti, che agli uomini piacciono tanto. Grazie a monsieur Bibelot riuscii a esibire i miei talenti e divenni la diva che desideravo; d’altronde sapevo cantare, dipingere, suonare il clavicembalo e disquisire argutamente in numerosi rami dello scibile.
Quando il mio adoratore fu cotto a puntino escogitai uno stratagemma per rimpinguare le finanze mie e di mia sorella. Inscenai una serie di disgrazie: un furto in casa, in ragione del quale avevano preso il volo gioielli, denari e altri oggetti di valore; un incendio del mio castello in Provenza, con saccheggi e perturbazioni delle annesse proprietà terriere (finsi anche di partire per un paio di settimane, allo scopo di effettuare un sopralluogo, mentre invece rimasi rintanata nell’appartamento); un’improvvisa malattia della mia cameriera – Elisa recitò la parte alla perfezione – e altri problemi minori che contribuirono a trasformarmi da marchesa benestante in un’umile squattrinata... Mi sforzai di apparire in momentanea difficoltà economica agli occhi del mio amante e di quegli amici dell’alta società che mi avevano concesso la loro fiducia, cosicché tutti si adoperarono per aiutarmi. Jean-Philippe mi fece dono di vari gioielli, allo scopo di rimpiazzare quelli rubati, e s’incaricò di pagare regolarmente la pigione del mio appartamento; la baronessa Parmentier, una gentildonna che oltre a me riceveva artisti, scienziati e intellettuali nel suo salotto di Place Dauphine, insistette per farmi recapitare una volta la settimana cibi e derrate di tutti i tipi, naturalmente a spese sue; chi mi regalò una carrozza, chi decise di pagare il salario del cocchiere... ci fu perfino una lady inglese, trasferitasi a Parigi, che versò una bella somma di denaro alla sarta di Rue Montmartre affinché la mia cameriera e io potessimo avere di che abbigliarci. Almeno per qualche tempo avrei potuto proseguire con questo sistema, in modo da rimanere a Parigi mantenendo il mio rango in società; di nostro padre non avevamo mai avuto notizie dirette, tuttavia indagando scoprii che aveva abbandonato le ricerche delle sue figlie. Boh, che dire, meglio così, Elisa e io non pensavamo certo di fare ritorno a Venezia. Il nostro progetto era quello d’incontrare due uomini ricchi e gradevoli che ci sposassero; chissà se JeanPhilippe, prima o poi, mi avrebbe proposto le nozze... arono alcuni mesi, durante i quali ce la sammo con i denari altrui, e anche mia sorella trovò uno spasimante: si trattava di un giovane commerciante di tessuti, proprietario di un bel negozio in centro, onesto lavoratore e di temperamento pacato, che sembrava prendere sul serio la relazione; quanto a me, il conte a cui mi ero legata non si decideva a parlare di matrimonio. Stanca di aspettare, cominciai a cercare un altro partito. Per prima cosa vendetti una parte dei gioielli e con il ricavato assoldai alcuni informatori, incaricandoli di tenermi aggiornata sugli eventi mondani che si svolgevano alla corte di Versailles, sugli spostamenti del re e dei nobili; insomma, m’impegnai al massimo per
raggiungere lo scopo, finché, nel febbraio del 1745, l’occasione si presentò in tutto il suo splendore. Venni a sapere che Sua Maestà re Luigi XV aveva adocchiato una dama che mi somigliava molto, sia nel volto sia nella corporatura: costei rispondeva al nome di Jeanne-Antoinette Poisson ed era maritata a un ricco borghese, CharlesGuillaume Lenormant d’Étiolles. La dama in questione si era già imbattuta nel re almeno un paio di volte, quando il sovrano era andato a caccia nella foresta di Sénart, situata a sud di Parigi: il castello del marito di Jeanne-Antoinette si trovava infatti nel villaggio di Étiolles, vicinissimo alla foresta stessa. Mi fu riferito inoltre che la mia “controfigura” era stata invitata al gran ballo mascherato fissato per il 25 febbraio nella Galleria degli Specchi del castello di Versailles; tale ballo rientrava nei festeggiamenti organizzati per il matrimonio del figlio del re, il delfino Luigi Ferdinando, con l’infanta Maria Teresa di Spagna; e Jeanne-Antoinette aveva tutta l’intenzione di accettare l’invito, tanto che si stava facendo cucire un costume da Diana Cacciatrice. Mancando ancora diversi giorni all’evento, ebbi la possibilità di preparare l’imboscata fino nei minimi particolari. Misi all’opera i vecchi informatori, e anzi ne assunsi di nuovi, che con varie scuse s’infiltrarono nella residenza di Étiolles per ottenere i ragguagli necessari: soprattutto m’interessava conoscere il percorso che la carrozza con a bordo madame Poisson avrebbe intrapreso per raggiungere Versailles, e quante persone avrebbero partecipato al viaggio. Attraverso un gruppetto di sgherri prezzolati, che si spacciavano per esponenti delle forze di polizia, stipulai un accordo al porto di La Rochelle, dove un veliero diretto in Louisiana, colonia se in America, sarebbe partito ai primi di marzo. Infine, corrompendo funzionari di scarsa moralità, mi procurai alcune sentenze fasulle, con nomi inventati, emesse dal tribunale: riguardavano quattro criminali, due uomini e due donne, destinati ai lavori forzati in certe piantagioni di canna da zucchero, proprio quelle che ricadevano sotto la giurisdizione di Nuova Orléans... Quando giunse la sera designata lasciai Parigi con due carrozze: su una viaggiavamo Elisa e io; l’altra, che esponeva le insegne della polizia, era occupata dai miei sgherri travestiti da gendarmi, gli stessi a cui avevo affidato l’affare al porto di La Rochelle. Ci fermammo sulla strada maestra, nelle vicinanze di Versailles, e ci nascondemmo dietro agli alberi; dopo una breve attesa intercettammo Jeanne-Antoinette in arrivo sul proprio mezzo. La cosa filò
liscia fin dal principio: la signora e la serva che l’accompagnava furono tramortite con un’essenza ipnotica molto efficace; identica sorte toccò al cocchiere e al valletto, quindi tutti e quattro vennero spogliati e rivestiti con abiti sporchi, cenciosi, come si conveniva a dei galeotti; incatenati all’interno della vettura, partirono subito in direzione della costa, scortati dall’altra carrozza sulla quale avevano preso posto i miei uomini. Provvedemmo a bruciare gli abiti delle vittime, in modo da non lasciare tracce: esaminando il costume da maschera di Jeanne-Antoinette constatai con piacere che il mio, realizzato anch’esso nello stesso stile mitologico, era di gran lunga più sfarzoso e seducente. A quel punto mi feci condurre al castello, dove partecipai al gran ballo ed ebbi la fortuna d’intrattenermi per quasi tutta la serata con il re, il quale si era mascherato da alberello di tasso. Posso dire senza incertezze che si trattò di amore a prima vista: probabilmente Luigi, pur senza esserne consapevole, attendeva proprio me, e non quella sgallettata della Poisson. Divenni così la favorita di Sua Maestà, e dopo qualche settimana ricevetti l’invito a trasferirmi stabilmente al castello di Versailles, dove mi fu assegnato un appartamento situato proprio sotto a quello del sovrano, ad esso collegato da una scala segreta. Rivelai a Luigi la verità riguardo alle mie origini veneziane e al fatto che Elisa era mia sorella, ma ovviamente mantenni il più totale riserbo sui vari imbrogli e sull’imboscata compiuta ai danni della dama campagnola... Stando a quanto mi venne riferito in seguito, Jeanne-Antoinette era sbarcata in Louisiana insieme ai suoi compagni di sventura, e tutti lavoravano alacremente come raccoglitori di canna da zucchero. Il 24 giugno 1745 il re mi fece dono della tenuta di Pompadour, talché potei fregiarmi legittimamente del titolo di marchesa; detti disposizioni affinché mia sorella fosse accolta al castello, non nel ruolo di cameriera ma in quello di mia dama di compagnia, e bene o male la imposi a tutti come nobildonna in virtù della parentela che ci legava. Elisa lasciò perdere il commerciante di stoffe e si sposò con un maresciallo delle guardie di palazzo; io lasciai perdere il conte Jean-Philippe de Bibelot (il quale avrebbe dovuto decidersi prima, beh!) e mi dedicai solo alla persona del re e a promuovere con ogni mezzo gli interessi della Francia. Il resto è storia documentata: potete leggerla nei libri.
La vera marchesa di Pompadour
7. Confessioni di anime scellerate
Le vicende relative alla mia vita precedente mi avevano toccata in profondità, poiché da un lato mi rallegravo per essere stata così intraprendente, ma dall’altro provavo orrore per le malefatte e gli intrighi che avevo compiuto. Trascorsi alcuni giorni riflettendo su quanto mi aveva rivelato Luigino, assalita dal sospetto che nella sua narrazione potessero esservi elementi non del tutto veritieri; alla fine mi decisi a chiedergli delle conferme, e lui mi disse di recarmi alla Bibliothèque Nationale de , cosa che feci un pomeriggio al termine dell’orario di lavoro. La mia guida spirituale mi parlò di una sezione riservata dell’edificio di Rue de Richelieu, dove erano conservati manoscritti storici di un certo tipo. Mostrando il tesserino di guardiana del più importante cimitero cittadino, fui ammessa alla consultazione senza riserve e venni assistita da un bibliotecario molto disponibile e scrupoloso, al quale spiegai ciò che cercavo. Dopo circa venti minuti costui mi portò tre grandi contenitori di cartone a forma di libro, pieni di fascicoli rilegati; dovetti indossare i guanti di cotone per non correre il rischio di danneggiare le antiche carte, poi mi sedetti al tavolo dove, sotto stretta sorveglianza, cominciai a esaminare il materiale. Luigino m’indicò la scatola giusta e, con meraviglia, al suo interno scovai le confessioni autografe della marchesa di Beauchant.
UN’IMPOSTORA ALLA CORTE DEL RE
CONFESSIONI DI
M.me Léonore Charlotte Valfort,
Marchesa di Beauchant
Versailles, 8 dicembre 1745
Lascio questo mio scritto in eredità ai posteri, con l’intento di riassumere per sommi capi le avventure che mi videro protagonista e gl’imbrogli di cui mi resi colpevole. Invoco il perdono celeste nonché quello terrestre: pentita, in ginocchio sui ceci, nottetempo mi strazio le carni con il cilicio, rinchiusa nell’espiatoio (6) che ho fatto allestire all’interno dei miei appartamenti, in questo sontuoso castello ove ho preso dimora e da cui, con il beneplacito di Sua Maestà Re Luigi XV, governo le sorti della Francia. Che l’Altissimo possa avere pietà della mia anima travagliata...
(6) Locale appositamente attrezzato per permettere l’espiazione dei peccati.
Dopo il breve prologo cominciava il resoconto vero e proprio: una pantomima di peripezie inaudite, del tutto identiche a quelle che mi aveva narrato Luigino; leggendole, compresi che il mio spirito guida mi aveva detto la verità, perché nomi, luoghi e date corrispondevano alla perfezione. Alquanto turbata, dovetti riconoscere di essere stata una poco di buono in quella vita precedente, e di poter dunque rivaleggiare – per il tenore dei miei misfatti – con molte delle anime scellerate che impestavano il cimitero. Lasciai la biblioteca e andai a casa, rimuginando. Strada facendo Luigino m’invitò a recuperare il buonumore: nell’esistenza attuale avevo già cancellato gran parte di quel karma negativo, prima affrontando con coraggio le ingiurie della miseria, poi impegnandomi nel mio lavoro di guardiana e infine aiutando i fantasmi sofferenti. – Ti mancano ancora delle imprese da compiere per raggiungere l’equilibrio, – aggiunse colui che, secoli addietro, si era incarnato nel sovrano se, – ma non temere: io e Patrick ti aiuteremo. Il mio fidanzato spettro intervenne con parole di conforto, confermando quanto aveva detto lo spirito guida; nell’istante in cui aprii il cancello dell’Hôtel de Sens mi sentii alquanto sollevata.
*****
Sebbene mi fossi sempre sforzata di mantenere segrete le mie doti di medium, la comparsa di Luigino aprì falle clamorose nella schermatura che mi ero costruita. Non ne avevo la certezza assoluta, tuttavia cominciai a collegare la sua presenza allo scatenarsi di certi eventi che mi lasciarono perplessa. Ad esempio, la direttrice della Bibliothèque Forney fino a pochi giorni prima m’ignorava, o
tutt’al più rispondeva con un grugnito quando, incontrandola per caso, la salutavo; lo stesso succedeva con gli altri membri del personale, e come dare loro torto? In fin dei conti li avevo privati di alcune stanze, costringendoli a sostenere notevoli spese affinché io potessi entrare in possesso dell’appartamento... ovvio che non nutrissero simpatia nei miei riguardi. Da quando avevo appurato la presenza della mia guida spirituale, guardacaso, costoro mutarono atteggiamento: oltre a salutarmi per primi con modi cerimoniosi, si complimentarono per il mio lavoro di guardiana cimiteriale e posero l’accento sulla facoltà di comunicare con i traati... chi li aveva informati circa quest’ultimo dettaglio? Sandrine, la direttrice, una sera mi fece la posta mentre rincasavo e sbucò sul pianerottolo con un mazzo di fiori. – Oh, Ritanne, buonasera, aspettavo proprio lei, – disse sgranando un enorme sorriso. – Voglia gradire questi tulipani e queste petunie che ho colto personalmente nel mio giardino! – Che pensiero gentile da parte sua, – risposi, – non doveva disturbarsi... – Nessun disturbo, le pare. Piuttosto, vorrei sapere quando può fissarmi un appuntamento privato... Riceve qui a casa? Tentai di farle notare che non ero una medium professionista, ma Sandrine mi si raccomandò così tanto e insistette piagnucolando che non potei esimermi dall’accontentarla. – Va bene direttrice, mi faccia pensare... Oggi è mercoledì, e fino a venerdì sarò impegnata a risolvere alcuni problemi scottanti al Père-Lachaise; cosa ne pensa di venire da me sabato pomeriggio? – Perfetto, sabato sono libera. – Allora l’aspetto alle diciassette. – Grazie, non mancherò. Una volta entrata nella mia dimora contattai Patrick e gli esposi le congetture relative a quel cambiamento di atteggiamento da parte dei condòmini, chiedendogli se potesse esserci lo zampino di Luigino; il lord inglese sostenne di
no, si trattava semplicemente di un’energia positiva che avevo cominciato ad emanare e che, piano piano, mi rendeva simpatica anche a coloro che in principio mi erano ostili. Luigino, interrogato sulla questione, ribadì il concetto e mi pregò di non dare sempre la colpa a lui quando succedeva qualcosa di strano. – Va bene, ragazzi, scusatemi, – dissi a entrambi, – probabilmente sono un po’ stanca e nervosa per le vicende che mi sono piombate addosso in poco tempo. Non è facile abituarsi velocemente a queste novità; oltretutto dovrò presto sorbirmi altri tre fantasmi bisognosi... – Per quelli non angosciarti, – dichiarò il mio spirito guida; – le due donne, presuntuose come poche, non possono essere aiutate, quindi levatele dai piedi al più presto; quanto al ferroviere, le cose andranno per il verso giusto.
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L’indomani, al cimitero, approfittando di una pausa di lavoro mi sedetti su una panchina e ricevetti le spiritesse che mi tampinavano da settimane. Erano madre e figlia, due creole originarie della città di Cayenne nella Guyana se, profondamente megalomani, che si lagnavano dei loro insuccessi in vita e, per tale motivo, rimanevano abbarbicate alla Terra. Cominciai con colei che rispondeva al nome di Maman Gratiole: santona & guaritrice, trasferitasi a Parigi nel 1971 e ivi defunta qualche anno dopo insieme alla figlia; le poveracce si erano infatti autoavvelenate senza volerlo, ingerendo intrugli di loro creazione mediante i quali pensavano di ringiovanire. Maman Gratiole era ancora arrabbiata per la fine ingloriosa del suo manuale dal titolo Digiuni e clisteri per favorir le forze; glielo aveva scritto un ghost-writer (cioè uno scrittore fantasma) pagato profumatamente, e lei lo aveva spacciato come opera propria, riuscendo a trovare un editore disposto a pubblicarlo. Il libro non aveva ottenuto il benché minimo successo: figurarsi se con i digiuni e i clisteri si potevano recuperare le forze, casomai il contrario! Totale copie vendute: zero. L’editore ci rimise un bel po’ di soldi, così decise di rescindere il contratto e rimuovere la pubblicazione dal commercio, sottoponendo l’autrice al pregiato istituto dell’Abolitio nominis, già in uso nell’antica Roma: il nome della santona sparì da tutti i cataloghi, fu cancellato dai manifesti pubblicitari della casa
editrice e si fece il possibile affinché la scritta “Maman Gratiole” non comparisse più da nessuna parte... In poche parole si trattò di una vera e propria Damnatio memoriae; si capiva pertanto che la fantasmessa in questione fosse accecata dal risentimento. La osservai attivando la percezione sensoriale del sesto livello e quasi mi spaventai, dato che era bruttissima, un vero obbrobrio, con quel fisico a pera: magra nel torace e nelle spalle, espansa fino all’inverosimile nei fianchi e nel sedere... – Ritanne, devi aiutarmi a fare giustizia, l’editore si è comportato in maniera meschina, ha negato ai posteri il godimento del mio libro, e poi vedessi con quale maleducazione mi ha trattata! – Eh, purtroppo io non posso fare nulla, lui non è un fantasma come te, – replicai mantenendo l’autocontrollo. – Cosa c’entra? Io ho in mente una cosa ben diversa: devi rintracciare i suoi eredi per punirli severamente! – strillò Maman Gratiole esasperata. – Ahahah, buona questa! Per chi mi hai presa, per una vendicatrice al tuo servizio? Dai retta a me: lascia perdere. Alza lo sguardo, lo vedi quel tunnel buio, lassù? Devi staccarti dalla dimensione terrena e incanalarti nel aggio che conduce nell’aldilà, così finalmente troverai la pace. – Non sia mai detto, prima voglio ottenere giustizia, altrimenti scoppio! – Brava, quando sei sul punto di scoppiare avvertimi, così tendo l’orecchio per sentire il botto! Su, avanti la prossima, che non ho tempo da perdere. Cos’ha da dirmi tua figlia? Barbine Bourine, brutta anche lei come la madre, pretendeva da me un diverso tipo di vendetta. Prima di tirare le cuoia aveva provato a diffondere una linea di cosmetici di sua invenzione, la Dorata Escrementia: tali creme erano fatte di guano (cioè deiezioni di uccelli sudamericani) arricchito con particelle d’oro; ovviamente non spianavano le rughe ma le facevano aumentare. All’epoca, talune sfortunate sperimentatrici avevano inoltre affermato di aver sentito un grande bruciore, e la pelle si era cotta come se vi avessero ato sopra la fiamma ossidrica... – Quelle donne erano delle malelingue! Non è vero che le mie creme fossero tossiche, con quei giudizi intendevano solo screditarmi! – si giustificò Barbine,
avvampando di collera alla stessa maniera dell’orrenda genitrice. – Mah, Barbine, non saprei cosa pensare... Certo che anche tu, preparare dei cosmetici con il guano... – Embè? Il guano di alta qualità, come quello che utilizzai, ha proprietà emollienti e svecchianti. – Beato chi ci crede; ciò non toglie che si trattasse di cacca! – Oh, insomma, basta con questi pregiudizi. Aiutami a punire quelle mentitrici e a riabilitare il mio nome! – Sempre di punire parlate, tu e tua madre? E voi non deve punirvi nessuno? Arroganti come siete... – Dunque rifiuti d’intervenire? – Sì, hai detto proprio bene: rifiuto. Trovatevi un’altra medium, io non sono all’altezza. Vi saluto e vi auguro buon divertimento. Chiusi il contatto medianico a quelle due rintronate e ripresi il mio lavoro spostandomi in un’altra zona del cimitero.
*****
Allorché giunse il venerdì mattina, mi occupai del terzo fantasma, il quale però parlava con rispetto e aveva un’aria molto simpatica. Jacques Féroute era stato un capotreno se, in servizio sull’Orient-Express a partire dalla fine del secolo XIX; anche lui sepolto al Père-Lachaise, infestava la propria tomba in seguito a sofferenze d’amore. Lo ascoltai attentamente e, ancora una volta, rimasi sbalordita per la stravaganza della sua vicenda. Un capotreno innamorato di una donna scheletro... Non potevo crederci. Lì per lì pensai di essere in pieno trip da stupefacenti, ma non
era quello il caso, visto che non fumavo nemmeno le sigarette normali; mi convinsi pertanto che lo spettro stava dicendo la verità, considerando per giunta il tono accorato e malinconico con cui si esprimeva. – Jacques, perdona la crudezza delle mie parole, ma come si fa a disperarsi per un mucchio d’ossa femminili? – Perché mi ero innamorato di lei... Non la consideravo solo un mucchio d’ossa, come la definisci tu. – Ammazza! Innamorarsi di uno scheletro?! Non lo avevo mai sentito dire. – Beh, ammetto che fosse un po’ scarnificata, ma era intelligente, cortese, sensibile; inoltre sapeva cantare e ballare benissimo. – Va bene, cercherò di aiutarti, ma prima devo consultare il mio spirito guida. Ci risentiremo domani. – Grazie, Ritanne, grazie, ti sarò riconoscente per sempre!
Jacques Féroute, un capotreno molto baffuto
8. Sulle tracce della signora scheletro
Luigino mi disse che la storia di colei su cui s’incentravano le pene di Jacques era già stata riassunta da una misteriosa autrice, conosciuta come La Vecchina dell’Aceto, e appariva in un curioso libro cimiteriale pubblicato in Italia: (7) pertanto nel pomeriggio mi recai in una libreria specializzata in testi stranieri, dove fortunatamente avevano una copia del volume in questione. Mi rintanai dunque in casa, mi adagiai sul divano e sfruttai la mia perfetta conoscenza dell’italiano per leggere il racconto, che riporto qui sotto nella versione integrale.
(7) La Vecchina dell’Aceto, “In viaggio con lo scheletro” in Post Tenebras. I racconti del cimitero, a cura di Fabio Nocentini, Youcanprint, 2014.
Un diario ritrovato negli archivi della Compagnie Internationale des WagonsLits getta nuova luce sulla leggenda della dama ossuta che, per qualche anno, infestò uno dei treni più celebri della storia: l’Orient-Express. Era questo un treno eggeri a lunga percorrenza, inaugurato nel 1883, che collegava Parigi Gare de l’Est a Costantinopoli (l’odierna Istanbul); per i primi anni si raggiungeva Varna, sul Mar Nero, e da lì i eggeri dovevano imbarcarsi per Costantinopoli; a partire dal giugno 1891 fu completata la linea diretta, che arrivava alla stazione Sirkeci, situata nella parte europea della città. Il treno partiva da Parigi due volte alla settimana, e impiegava circa quattro giorni (tre notti) per giungere a destinazione. Orbene, nel diario personale del capotreno, un certo Jacques Féroute, firmato e datato 1891-1893, si racconta di un professore universitario della Sorbona, insegnante di anatomia, che si recò alcune volte a Costantinopoli, ma non per semplici viaggi di piacere. Il professore, d’accordo con il capotreno, trasportava segretamente a Parigi scheletri completi e ossicini vari comprati di contrabbando da un becchino compiacente in servizio al cimitero Karacaahmet di Costantinopoli. Beh, quei materiali gli servivano per fare lezione ai suoi studenti, si giustificava il luminare, e poi si trattava di morticini sconosciuti, dimenticati
da tutti, dissotterrati dalle zone più infime del cimitero in questione... Chi mai avrebbe potuto reclamare tali misere spoglie? Le cose procedettero bene per due o tre viaggi: il professore prenotava sempre la stessa cabina sul treno, dove uno dei pannelli di rivestimento, provvisto di pomelli a vite, poteva essere rimosso; dietro il pannello un vano ospitava la valigetta contenente i preziosi reperti. Grazie a questo stratagemma non si verificarono mai problemi, né alle dogane degli Stati attraversati né al rientro a Parigi. Verso la fine del settembre 1891, tuttavia, accadde un imprevisto: il trafugatore di residui cimiteriali morì improvvisamente di diarrea fulminante, proprio mentre l’Orient-Express si stava avvicinando alla Gare de l’Est. Si creò un grande trambusto, anche perché non è un evento comune trovare un insigne personaggio defunto al gabinetto, seduto sulla tazza e con le brache calate. All’arrivo in stazione furono chiamati il medico legale e i gendarmi per i necessari accertamenti, quindi la salma prese la via dell’obitorio; la valigetta contenente lo scheletro venne dimenticata nel suo ottimo nascondiglio. Qualche giorno dopo il treno ripartì per la Turchia, e nella cabina che era stata del professore si accomodò la contessa Vedrushka, una nobile russa residente in Francia: anzianotta ma ancora in gamba, costei viaggiava da sola, desiderosa di scoprire le bellezze della città adagiata sulle due sponde del Bosforo. Madame Vedrushka era una riccastra inveterata, stracolma di gioielli e di abiti di alta sartoria; amava profumarsi con essenza di violetta, preparata appositamente per lei da un noto profumiere parigino, e se ne spruzzava addosso così grandi quantità che, poco dopo la partenza del treno, il suo scompartimento era già impestato di quel meraviglioso olezzo. La contessa si fece bella per la cena e si recò alla carrozza ristorante suscitando l’ammirazione dei presenti; poi, intorno a mezzanotte, si ritirò in cabina e s’infilò a letto. Un rumore sordo, ripetuto a intervalli, come di qualcosa che sbattesse dentro la parete, le impedì di addormentarsi: allora la gentildonna accese la luce, si guardò intorno e notò che i pomelli a vite di uno dei pannelli erano allentati; inoltre, il baccano sembrava provenire da quel punto. Fu semplice rimuovere il pannello e recuperare la valigetta, ma... i rumori giungevano dall’interno di quest’ultima, c’era qualcuno che bussava! Madame Vedrushka aprì il bagaglio e balzò indietro per l’orrore, vedendo un teschio contornato da un grande numero di ossa. Le sorprese non finirono lì, poiché il teschio cominciò a parlare con frasi del tipo:
– Oh, via, era l’ora che vi decideste a tirarmi fuori, è da tanto tempo che busso! Cara signora, questo fantastico aroma di violetta mi ha risvegliata dal mio sonno; vi ringrazio molto, siete la mia liberatrice! La contessa, spaventata a morte, fu incapace di articolare una benché minima risposta e defunse all’istante accasciandosi sul letto. Poveraccia, era debole di cuore... La signora scheletro si ricompattò velocemente, chiamando a sé il resto del corpo; uscì dalla valigetta e si mise in piedi con una certa agilità. – Vediamo, mi pare di essere integra, tutta completa, ottimo, – dichiarò guardandosi allo specchio. – Non capisco perché la vecchiarda qui presente abbia scelto di abbandonare la vita terrena, mentre io vi ho fatto ritorno dopo secoli di silenzio. Mah, misteri della fede; non ricordo neppure il mio nome, tuttavia mi pare di essere stata una lavandaia che abitava a Costantinopoli, la quale morì giovane e fu inumata al cimitero Karacaahmet senza tante cerimonie. Cosa ci faccio su questo treno è un mistero, comunque la situazione volge a mio favore, giacché posso prendere il posto di questa donna e svagarmi un po’. Con qualche sforzo agguantò la morta, la spogliò completamente e la buttò fuori dal finestrino; quindi aprì borse e valigie e si mise a esaminare con cura tutto ciò che la contessa le aveva lasciato in eredità. L’ex lavandaia turca trovò i documenti, i gioielli e gli abiti di madame Vedrushka, nonché vari flaconi di essenza di violetta: felice per tanta abbondanza, stabilì che quel treno sarebbe diventato la sua dimora, e che avrebbe occultato le sue scheletriche fattezze ricorrendo a cappelli, guanti, scialli, veli e velette, drappi e mantelli.
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La mattina seguente una presenza leggermente scricchiolante, vestita di tutto punto e con gli ossicini coperti, si avventurò in un giro esplorativo delle varie carrozze. La nuova madame Vedrushka salutava i eggeri con estrema gentilezza; si sedeva al bar e al ristorante ordinando qualcosa da bere, che sorbiva attraverso una cannuccia in modo da mantenere nascosto il teschio sotto gli strati di stoffa. Quanto al cibo, la signora non ne aveva certo bisogno; se
qualcuno le domandava il motivo di quella mascherata, costei rispondeva che, sfortunatamente, una feroce allergia le aveva procurato antiestetiche eruzioni, dunque preferiva rimanere velata... ma, ovviamente, alcuni viaggiatori cominciarono a diffondere strane voci sul suo conto. Eh, purtroppo l’apparizione ossuta non riuscì a farla franca a lungo: prima di giungere a Sofia, penultima fermata dell’Orient-Express, un colpo di vento proveniente da un finestrino aperto le scompigliò il drappo sotto cui nascondeva la testa scarnificata, e ciò quando era presente anche il capotreno! Chi la vide si mise a strillare; alcune dame svennero; un gentiluomo inglese sentenziò – peraltro senza scomporsi – che il treno era infestato da un fantasma; qualcuno azionò il freno d’emergenza e si pervenne alla resa dei conti. Invitata dal capotreno nel suo ufficio in coda al convoglio, la falsa Vedrushka si vide costretta a confessare. Disse di essere uno scheletro fantasma risvegliato da un gradevole profumo floreale, ma ignorava chi e perché l’avesse prelevata dal cimitero per rimpiattarla dentro la famosa valigetta: a quelle parole, poco mancò che il capotreno non cadesse vittima di una sincope! Certo, adesso per monsieur Féroute era tutto chiaro, dato che era stato proprio lui il complice del professore di anatomia, e si era completamente dimenticato dello scottante bagaglio nascosto dietro il pannello. – Ma la vera contessa dov’è andata a finire? – indagò l’uomo mentre la sua ospite si rassettava il panno sul volto. – Bah, a me è dispiaciuto, poiché non intendevo nuocerle: è morta di paura senza nemmeno lasciarmi terminare le spiegazioni... – E cosa ne avete fatto del cadavere? – L’ho scaraventato fuori dal finestrino, mi pare logico! – Questo sì che è un casino... quando la ritroveranno, nella campagna... – Macché, non preoccupatevi, un’intuizione mi dice che la contessa era sola al mondo, quindi nessuno la cercherà... ma poi chi volete che riconosca quella vecchia nuda abbandonata vicino alla ferrovia? Inoltre potrebbe essere stata maciullata da un altro treno: non ho mica fatto caso se è caduta sulle rotaie! Féroute annuì e si tranquillizzò un poco, tuttavia bisognava trovare una
soluzione, se non altro per i eggeri e per il buon nome della compagnia che gestiva l’Orient-Express. – Dunque, signora, voi mi confermate di non essere uno spettro malefico, che mira a spaventare o danneggiare i eggeri e il treno? – domandò con una certa apprensione. – Confermo e sottoscrivo in pieno, – replicò la dama ossuta, quindi aggiunse: – Purtroppo non ricordo il mio vero nome, ma questo mi pare un dettaglio trascurabile... Caro monsieur, se avrete la bontà di ascoltarmi vi esporrò un’idea che potrebbe andar bene per me, per voi e per l’azienda ferroviaria...
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Il suggerimento della signora scheletro piacque molto al capotreno e ai dirigenti della Compagnie Internationale des Wagons-Lits, i quali autorizzarono rapidamente le esibizioni della loro nuova diva. Sì, perché l’ex lavandaia, grazie ai suoi poteri soprannaturali, sapeva cantare e ballare con eleganza, cosicché già a partire dalla sera stessa venne presentata con tutti gli onori come Arlette, la Dame Squelette e, nella carrozza ristorante, allietò i presenti con le canzoni più in voga del momento, accompagnata da alcuni musicisti fatti salire appositamente sul treno durante la sosta in Bulgaria. Se, inizialmente, molti erano rimasti terrorizzati nel vedere quel volto cimiteriale, ben presto la gente fece a gara per ammirare e applaudire l’intrattenitrice notturna la quale, ormai libera di mostrarsi nella sua vera natura, non aveva più bisogno di nascondersi dietro tessuti altamente coprenti. Quando la voce si diffuse a Parigi e nelle altre città situate sul percorso dell’OrientExpress, il successo divenne clamoroso: i viaggiatori presero ad ammassarsi in lunghe file davanti alle biglietterie delle stazioni pur di aggiudicarsi un posto sul treno. Manifesti pubblicitari furono affissi dappertutto; i prezzi dei biglietti salirono alle stelle e solo i nababbi poterono permettersi le cabine adiacenti a quella in cui alloggiava madame Arlette. Della contessa Vedrushka non si seppe più nulla, nessuno la cercò; il guardaroba e i gioielli vennero naturalmente assegnati alla cantante, la quale scendeva dal treno raramente poiché affermava di divertirsi solo viaggiando.
Stando al diario, gli spettacoli proseguirono senza sosta almeno fino al novembre 1893 su ogni convoglio che faceva la spola avanti e indietro tra Parigi e Costantinopoli; oltretutto Arlette non chiese mai di essere pagata per le sue performance, quindi la compagnia poteva dire di aver trovato la gallina dalle uova d’oro. Ogni cosa, però, ha un inizio e una fine; così anche la Dame Squelette sparì in un freddo giorno di dicembre, senza lasciare tracce, senza una lettera di commiato. Alcuni dissero che si era recata in tournée negli Stati Uniti, allo scopo di estendere laggiù la propria fama; altri suggerirono come spiegazione l’esaurimento dei flaconi di essenza di violetta e l’impossibilità di reperirne di nuovi dal profumiere, cosa questa che aveva fatto ridiventare l’artista canterina un mucchio d’ossa; i maligni asserirono invece che un inviato speciale, forse legato alla Chiesa, avesse eliminato lo scandalo alla radice... Come? Semplice, frantumando il cranio all’apparizione infernale poco prima di giungere alla stazione Sirkeci, in modo da radunare tutte le parti dello scheletro in un sacco di iuta che venne poi gettato in mare... Ma sono solo dicerie: gli storici propendono per la prima ipotesi, e non ci sarebbe da meravigliarsi se, in futuro, salteranno fuori dei documenti che testimoniano la comparsa della famosa cantante in qualche locale notturno di New Orleans, San Francisco o Baltimora.
1891-1893: un’apparizione ossuta impazza sul treno
Conclusa la lettura, interpellai il mio innamorato: – Patrick, tesoro, tu che puoi vedere cose che noi umani... manco p’a capa, come direbbero a Napoli... Cosa mi consigli per aiutare Jacques Féroute? Hai modo di rintracciare Arlette? – Mi dispiace, amor mio, – replicò Patrick rattristato, – questo caso va ben oltre le mie possibilità. Non mi è consentito di allontanarmi da Parigi, quindi non potrei recarmi a indagare negli Stati Uniti... Qui deve entrare in azione Luigino. – Già, capisco, mon cher, non preoccuparti. Luigino! Luiginoooo! Dove sei? Quello quando serve non è mai nei paraggi! – Smettila di strillare, sono accanto a te e ho sentito tutto, – interloquì il diretto interessato con una punta d’insofferenza nella voce. – Ci penso io, vado a fare ricerche. Ti darò una risposta prima possibile. – Bene, sei un aiutante prezioso. Nel frattempo schiaccerò un pisolino. Svegliami quando torni! Dopo un’oretta Luigino ricomparve e, mentre armeggiavo ai fornelli per prepararmi la cena, mi dette i ragguagli che attendevo. In effetti, come ipotizzava La Vecchina dell’Aceto nel suo racconto, Arlette era andata dapprima a New York, dove per qualche anno aveva portato avanti la professione di soubrette, poi si era trasferita a Baltimora e laggiù era rimasta spappolata sotto a un camion: i miseri resti riposavano nel Green Mount Cemetery, e il fantasma li vegliava sconsolato. – Dunque come intendi procedere? – chiesi a Luigino rigirando la minestra nella pentola. – Desidero togliermi questo grattacapo velocemente, dato che domani devo ricevere la direttrice, e chissà quella cosa vorrà. – La cosa è semplice, – replicò lui, – possiamo operare dopo cena. Basta creare un ponte medianico e...
– Dopo cena?! Mica dovrò tornare al cimitero di notte? – Ma no, faremo tutto da qui, se Patrick collabora. – Presente! – esclamò il mio lord sorridendo. Consumai il pasto serale con quei due che mi borbottavano nella testa, poi ripiombai sul medesimo divano allo scopo di creare il ponte di energia che avrebbe permesso allo spettro della signora scheletro di lasciare il cimitero di Baltimora e giungere al Père-Lachaise, dove Jacques era in attesa. Luigino aveva infatti illustrato la proposta ad Arlette, e costei si era dichiarata entusiasta; Patrick aveva informato il capotreno di tenersi pronto per l’arrivo della sua amata. Guidata dai miei ispiratori entrai in un vortice di colori sfumati, degno delle migliori medium di fine Ottocento, e praticamente non ci capii nulla. Luigino disse che dovevo agire come un catalizzatore per favorire il trasferimento della fantasmessa in questione, allora mi coprii con la coperta che giaceva ai miei piedi e attivai tutti i poteri psichici di cui ero capace, in modo da svolgere degnamente il mio ruolo in quell’impresa. Dopo qualche minuto la nube di colori cangianti si diradò: vidi una sorta di turbine o tornado e, al centro di esso, la signora scheletro che avanzava di gran carriera, cavalcando un bianco destriero... Sospinta dai venti dell’Oceano Atlantico, la dama ossuta arrivò ben presto al cimitero parigino dove, smontata di sella, si gettò tra le braccia di Féroute, lo spirito di un uomo “vecchia maniera” che l’avrebbe amata per l’eternità. Patrick e Luigino applaudirono; io feci altrettanto, e tutti e tre ricevemmo i sinceri ringraziamenti della coppia di fantasmi. Arlette e Jacques s’illuminarono di una luce dorata, quindi si staccarono dall’intercapedine terrena; librandosi in volo, si avviarono verso il tunnel che conduce nell’aldilà, mentre le loro voci risuonavano di affettuose benedizioni nei nostri confronti. La missione era finalmente compiuta. Al colmo della stanchezza, salutai la mia guida spirituale e il mio fidanzato; non trovando la forza di alzarmi per andare in camera da letto, rimasi coricata sul divano e precipitai in un sonno comatoso, dissipata e spremuta come un portamonete sgonfio.
9. Un prurito proveniente dall’antico Egitto
Alle diciassette in punto il camlo della porta suonò. Andai ad aprire e accolsi Sandrine, la quale era piuttosto vistosa nel suo stile personalissimo: capelli cotonati, camicetta variopinta, tailleur rosa shocking, gioielli falsi a profusione. La condussi nel mio studio, su in mansarda, dove avevo già preparato il tavolo per il consulto medianico, collocandovi sopra anche il bollitore elettrico per il tè, le tazze e un vassoio di pasticcini; l’ospite apprezzò quel piccolo rinfresco e, mentre io preparavo l’aromatica bevanda, addentò un biscottino e cominciò a spiegarmi il suo problema. Alcuni mesi prima, più o meno nel periodo in cui avevo preso alloggio all’Hôtel de Sens, le erano comparse delle eruzioni rossastre, pruriginose, che le mortificavano varie parti del corpo eccetto il viso. – Ah, Ritanne, non posso più andare avanti così, sono giunta al limite della sopportazione, – dichiarò Sandrine in tono affranto, e nel contempo cominciò a grattarsi una gamba. La osservai meglio, notando che, in effetti, molti tratti di pelle non coperti dagli abiti versavano in condizioni pietose. – Finora non sono riuscita a ottenere alcun miglioramento, – proseguì la mia ospite porgendomi la tazza affinché gliela riempissi di tè. – Pensi che ho consultato innumerevoli specialisti e ho provato le terapie più disparate: omeopatia, fitoterapia, agopuntura, essenze floreali, farmaci chimici, integratori, pasticche provenienti dall’India e non so cos’altro: un insuccesso totale. Ritanne, lei è la mia ultima speranza: la prego, ricorra alle sue doti medianiche e mi sveli almeno il motivo di un tale stato di cose! – Cara Sandrine, per prima cosa suggerirei di darci del tu, – le proposi, – in modo da entrare in confidenza... – Certamente, avrei voluto chiedertelo io. – Bene, finisci di bere il tè, – continuai, – poi abbandonati comodamente sulla poltroncina, rilassati e rimani in silenzio; entro in trance e cerco di scoprire qualcosa.
La mia ospite eseguì quanto le avevo chiesto; trascorsero alcuni minuti, quindi cominciai a udire le voci di Luigino e di Patrick che mi rivolgevano frasi amichevoli. Il mio spirito guida disse che era in arrivo un messaggio per me, proveniente dall’antico Egitto: – Ti o la comunicazione direttamente, o vuoi che faccia da tramite? – amela pure, grazie, sono pronta. Una voce cavernosa mi risuonò nella testa: – Ciao, sono il coccodrillo sacro di Tutankhamon! Come va, bella mia? – Il coccodrillo di Tutankhamon? O questo che c’entra?! – esclamai sorpresa. Luigino si concesse una risatina a presa in giro, quindi capii che mi aveva fatto uno dei suoi soliti scherzi. Lo rimbrottai bonariamente e lui si scusò, decidendosi a mettermi in collegamento con la voce giusta: – Vieni, son tutta un prurito, non resisto... Mi è impossibile muovermi, perciò non riesco a grattarmi. Ti attendo nella sezione egizia del Louvre, quarto sarcofago a destra... – Luiginooo! Ci risiamo? Hai voglia di farmi perdere tempo? – No no, basta scherzi, questa volta è davvero la principessa Ukeshat che ti chiama. Sandrine, udendo quello strano chiacchiericcio, si riscosse dal proprio torpore e mi guardò con aria interrogativa. – Niente, niente, non preoccuparti, – le dissi per tranquillizzarla, – c’è qualche piccola interferenza che sono in grado di risolvere perfettamente. La principessa continuò: – Queste bende mi stringono, mi soffocano, mi rovinano l’incarnato... Ah, me derelitta, non vivo più così infagottata: prendi un coltello e tagliale, tagliale, mi danno prurito... Orsù, liberami, te ne prego, vuoi fare questo per me?
Mentre la principessa parlava, ebbi una visione riguardante il suo aspetto fisico, all’epoca in cui costei era in vita: si trattava di una bella ragazza, morta ancor giovane per il morso di un serpente. Luigino spiegò che la mummia della poverina si trovava davvero al Louvre e, meraviglia delle meraviglie... era il cadavere di Sandrine! Cioè, per meglio precisare: la direttrice della Bibliothèque Forney era stata la principessa Ukeshat in una vita precedente, e si erano verificati dei problemi durante il procedimento di mummificazione; per tale motivo Sandrine, nella vita attuale, si era ricoperta di eruzioni. Bisognava dunque recarsi al museo e indagare, anche perché non capivo come potessi udire la voce di uno spirito che albergava contemporaneamente in due corpi: quello di Ukeshat e quello di Sandrine. In ogni caso, ero entrata in una girandola di vite precedenti: prima la mia avventura nel XVIII secolo, adesso questo mistero mummiesco…
La principessa Ukeshat nel suo giovanile splendore
Luigino mi dette altre informazioni, cosicché riassunsi la questione alla mia ospite. – Ma come, ero una principessa egizia? – chiese lei sbalordita. – Sì, mia cara. I tuoi fastidi dermatologici sono collegati a questa vicenda di un’epoca lontana. Le sostanze utilizzate per l’imbalsamazione causarono una reazione allergica al corpo della giovane donna defunta; probabilmente i mummificatori commisero qualche errore e il cadavere andò a male, come avrebbe fatto un frutto che marcisce... Infatti ho visto che, sotto le bende, la mummia è alquanto putrefatta. Tuttavia non preoccuparti: domani andremo al Louvre e cercheremo di comprendere certi dettagli che, al momento, mi sfuggono. – Credi che potrò guarire? – Ne sono sicura: secondo i miei spiriti guida si tratta di una situazione completamente reversibile. – Oh, Ritanne, ho piena fiducia in te! Qualunque sia l’esito, non mancherò di ricompensarti. Prima di concludere la seduta era necessario mostrare a Sandrine qualche sprazzo della sua vita precedente, in modo che afferrasse meglio il nocciolo della storia; per fare ciò la misi in ipnosi facendomi aiutare da Patrick – il quale aderiva alla mia sostanza fisica per darmi forza – e da Luigino, incaricato di armonizzare il flusso delle percezioni. La regredente (8) vide numerose scene dell’incarnazione egizia, rimanendo affascinata, e ciò rinsaldò in lei il proposito d’impegnarsi per ottenere la guarigione dell’anima e del corpo. Prima di salutarci fissammo l’appuntamento per l’indomani: ore dieci in punto davanti alla Piramide di vetro del Louvre.
(8) Persona che si sottopone a una seduta di regressione in vite precedenti.
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La mummia che ci interessava era esposta in una grande teca, circondata da una parte dei monili e degli oggetti di corredo ritrovati nella sepoltura; trattandosi di un membro della famiglia del faraone Seti I, era stata inumata con sfarzo, tanto che disponeva di ben tre sarcofagi, in origine inseriti l’uno dentro l’altro. Alla vista di quello spettacolo Sandrine si sentì mancare, e dichiarò di essere nel bel mezzo di un déjà-vu: le sembrava di riconoscere la mummia che era stata. Subito le chiazze rosse sulla sua pelle si risvegliarono, insieme al prurito, cosicché la poverina cominciò a grattarsi senza ritegno; per evitare che desse spettacolo, la feci sedere su un divanetto collocato sul lato opposto della sala, mi accomodai accanto a lei e, come per incanto, il prurito cessò. I miei spiriti mi avvertirono che la ragazza imbalsamata era in procinto di ripetere le stesse frasi del giorno precedente: si trattava di un messaggio automatico emergente dalle fasciature, tra le quali erano nascosti gli amuleti adatti a mantenere attivo il sortilegio. Il messaggio veniva ripetuto a intervalli regolari, nella speranza che un sensitivo dotato di buone orecchie potesse udirlo; dunque non era lo spirito della principessa a parlare direttamente, poiché quest’ultimo aveva seguito Sandrine nell’attuale incarnazione. Spiegai la cosa alla mia cliente, aggiungendo che le eruzioni le erano comparse quando io avevo preso possesso dell’appartamento all’Hôtel de Sens proprio perché, attraverso di me, la mummia di Ukeshat potesse ricevere l’aiuto necessario. Domandai a Luigino la strategia da seguire, e lui rispose che il piano d’azione prevedeva due fasi: per prima cosa saremmo dovute andare da una famosa guaritrice italiana, residente a Parigi, allo scopo di sanare le lesioni corporali di Sandrine; successivamente, l’ex principessa avrebbe dovuto essere riunita a Panchonik, il suo gatto sacro dell’epoca egizia, morto di dolore pochi giorni dopo la scomparsa della padrona. Per fortuna la mummia del gatto era esposta nel museo, in una saletta dedicata a una sublime collezione di felini adeguatamente fasciati, mentre il di lui spirito si era reincarnato in un gatto grassoccio, vivo e vegeto, ospite del cimitero…
La mummia del gatto sacro Panchonik, con il Medaglione delle Sette Incarnazioni
Ci recammo alla saletta, dove l’antica padrona riconobbe immediatamente il suo adorato Panchonik: commossa, sentenziò che si sarebbe rivolta alle autorità del museo per farlo trasferire nella teca di Ukeshat. La piccola mummia portava al collo il Medaglione delle Sette Incarnazioni; Patrick, avendo studiato un po’ di egittologia nella sua gioventù terrena, batté sul tempo Luigino e mi rivelò che Ukeshat e Panchonik erano legati da una solenne promessa, suggellata a suon di rituali della magia egizia: si sarebbero ritrovati in almeno altre sette vite, qui o su altri pianeti, allo scopo di evolvere insieme e rafforzare sempre più la loro relazione affettiva. Adesso il quadro era chiaro; bisognava are alle vie di fatto.
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Eliana Stellini, la guaritrice, fece stendere Sandrine sul lettino, accese le candele e gli incensi, si concesse qualche istante di raccoglimento per attivare i propri poteri e cominciò la seduta. Attesi su una sedia in fondo alla stanza, mantenendo il più assoluto silenzio; il trattamento d’imposizione delle mani durò circa venti minuti, o almeno così mi sembrò, ma era impossibile rendersi conto con precisione del trascorrere del tempo, poiché una luce azzurrina accompagnata da bagliori violetti pulsava tutto intorno, avvolgendo il corpo della paziente e creando un’atmosfera irreale che produsse in me ondate successive di rilassamento. – Ah, Eliana, che meraviglia, – sussurrò Sandrine riaprendo gli occhi al termine della terapia, – mi sento benissimo, e il prurito si sta attenuando... – Vedrai che domani i sintomi saranno spariti, – replicò la signora Stellini aiutandola ad alzarsi dal lettino. – Il tuo è un caso semplice, perciò una seduta è
sufficiente. – Incredibile, anche le chiazze rosse non si vedono quasi più! – esclamai controllando le braccia nude della paziente. – Complimenti, Eliana, sei bravissima con queste terapie! – Eh beh, grazie, ci credo che sono brava a guarire le persone… sono aliena! – Come aliena? Non ti chiami Eliana? – No, sì, volevo dire... cioè, mi chiamo Eliana, certamente, ma sono un’extraterrestre! – Un’extraterrestre? Ma dai, davvero? – Eh, sì, vengo da Orione, però mi raccomando, non andate a spifferarlo in giro! – No, no, non preoccuparti... Ah, la famosa Cintura di Orione, non è quella che viene messa in relazione con le tre piramidi di Giza, in Egitto? – Proprio quella, infatti le tre piramidi le abbiamo costruite noi! – Ecco, nella mia vita precedente in Egitto io glielo ripetevo spesso al mio babbo che quelle piramidi non erano opera dei suoi predecessori, – commentò Sandrine in tono risoluto. – E lui cosa rispondeva? – Che raccontavo frottole, – dichiarò l’ex principessa con una smorfia. – Mah, vabbè, non pensarci più, ormai è acqua ata, – concluse la guaritrice sedendosi alla scrivania del suo studio. – Dunque, mia cara, ecco qua la fattura, – proseguì, – sono cento euro, ti ho fatto un po’ di sconto. Chiamami, se dovessi avere qualche problema, ma stai tranquilla: vedrai che tutto è risolto. Ringraziammo Eliana assicurandole che avremmo protetto il suo segreto e ci avviammo alla porta.
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Trascorsero un paio di giorni poi, mentre rincasavo, incontrai Sandrine che usciva dalla biblioteca, al termine del turno di lavoro: era completamente guarita e aveva un grosso pacco per me, che mi consegnò tra mille ringraziamenti. La invitai a entrare nel mio appartamento dove, una volta aperto il dono, gridai al miracolo, poiché era pieno di cosmetici si di alta qualità, di tutti i tipi e per tutti gli usi; a quel punto toccò a me ringraziare colei che, ormai, era diventata un’amica, e le proposi di rimanere a cena. – So che anche tu, come me, adori le creme e i prodotti per il maquillage, – disse Sandrine con entusiasmo, – quindi ho pensato di regalarti una piccola provvista. – Piccola?! Mia cara, apprezzo moltissimo queste cose, ma avrai speso un capitale... – Non preoccuparti, ci tenevo a contraccambiare, visto che non hai voluto essere pagata. Durante la cena, ridendo e scherzando, espressi l’intenzione di fare un salto al cimitero... D’altra parte la faccenda non era ancora conclusa, bisognava trovare il gatto in cui si era reincarnato Panchonik. La mia ospite si dichiarò lieta di effettuare quell’escursione notturna, poiché amava il brivido e l’avventura; io, essendo la guardiana del Père-Lachaise, avevo le chiavi e potevo entrare e uscire a piacimento. Giungemmo a destinazione per mezzo della metropolitana. Portai una borsa contenente due torce e due mantelli neri, di tessuto leggero e provvisti di cappuccio, in modo da essere entrambe ben equipaggiate per la perlustrazione del luogo che aveva risollevato le sorti della mia vita. Davanti al muro di cinta indossammo i mantelli; introdussi la chiave nella porticina di servizio e spalancai l’accesso a quel mondo di arcane curiosità. Percorrendo i vialetti rischiarati solo dalle luci delle torce, contattai Luigino e Patrick per sapere se Panchonik si trovasse all’interno di una delle casette per gatti che io e i miei colleghi avevamo allestito in un angolo tranquillo del cimitero, sotto il porticato adiacente ai nostri uffici: mi risposero che, trattandosi di un animale sacro, emissario della dea egizia Bastet, costui non era certo uno sprovveduto... Ci aveva sentite arrivare tramite telepatia, e stava venendoci incontro. – Sedetevi su una panchina e aspettatelo, è nei paraggi, – disse Luigino,
aggiungendo che la sua fidanzata lo accompagnava. Di lì a poco vedemmo trotterellare due figure nell’ombra: un gatto bianco e nero, robusto, alquanto panciuto ma squisitamente agile, e una gatta tigrata bianca e arancione, di corporatura più minuta. Li riconobbi subito: avevo assegnato loro i nomi di Otis e Odette, e sapevo che amavano stare sempre insieme. Prima che Sandrine si alzasse per riceverlo, Otis – ovvero Panchonik – spiccò un balzo e le atterrò in grembo, cominciando a fare le fusa; la gatta invece saltò in braccio a me, scegliendomi come una compagna, o forse come una “mamma” gigante. Trascorremmo del tempo coccolando i nostri piccoli amici, approfittando del tepore di quella notte di maggio inoltrato; i profumi dei fiori impregnavano l’aria, e la Luna piena, sbucata da un ammasso di nuvole, ci accarezzava dolcemente con i suoi raggi d’argento. Sandrine parlava a Panchonik e lui sembrava comprenderla; provai anch’io con Odette, scoprendo di possedere una nuova abilità telepatica, che mi permetteva d’intuire i pensieri e i bisogni dei felini con cui entravo in contatto. Prima di lasciare il luogo si rendeva necessario recuperare un portagatto, cioè l’apposita gabbietta di plastica nella quale introdurre la coppia desiderosa di farsi rapire; al cimitero avevamo alcuni di quegli oggetti, più o meno grandi, utili soprattutto quando qualche componente della colonia felina doveva essere trasportato dal veterinario, pertanto c’incamminammo verso il porticato, situato a una certa distanza. Durante il tragitto, con i gatti che ci seguivano, la mia amica bibliotecaria lodò i monumenti e le storie che s’intrecciavano al PèreLachaise avanzando un’idea a dir poco straordinaria: me la spiegò dettagliatamente e io mi complimentai con lei, promettendole di riferirla al direttore. Trovato il portagatto delle giuste dimensioni vi facemmo entrare i nostri beniamini, mentre i loro simili lì presenti ci osservavano con interesse, probabilmente invidiando Panchonik e Odette i quali, grazie a due strane donne, avrebbero presto goduto di maggiori comodità. Spesi parole di rassicurazione nei riguardi degli altri gatti, assicurando loro che sarebbero stati sempre amati e accuditi; poi ci avviammo verso l’uscita. Avremmo preso un taxi per farci portare alle nostre abitazioni.
10. Accompagnatrice per visite notturne
Monsieur Labare, il direttore del cimitero, si alzò in piedi di scatto, allargando le braccia: sul volto un’espressione di giubilo, quasi avesse vinto alla lotteria. – Ritanne, è un progetto fantastico, strepitoso! Dobbiamo assolutamente attuarlo! – proruppe aggirando la scrivania e avvicinandosi a me. – Lei è la migliore consigliera che abbiamo avuto da molti anni a questa parte. Mi tese la mano e io gliela strinsi con piacere; prima di congedarmi promisi che mi sarei occupata di alcuni dettagli riguardanti la cosa. Quella mattina avevo da sbrigare altre incombenze, tra cui una visita guidata alle zone più bizzarre del Père-Lachaise, richiestami da un gruppo di turisti. La mia fama come conoscitrice dei misteri tombali era molto cresciuta negli ultimi tempi, cosicché non mi limitavo a svolgere mansioni di sorveglianza, ma mi dedicavo a coloro che desideravano essere accompagnati per ricevere informazioni particolari, non presenti nelle pubblicazioni cartacee. Ebbene sì, ero diventata una medium prestigiosa: potevo contare sui suggerimenti dei miei spiriti personali – Patrick e Luigino – nonché contattare direttamente le anime nefande che albergavano nel cimitero; da quando si era sparsa la voce, i turisti facevano a gomitate pur di partecipare ai miei tour “fantasmatici”. Ogni giorno dedicavo almeno un paio d’ore a tale categoria di avventori, inoltrandoli nei vialetti secondari, dove attivavo le antenne medianiche per agire da intermediaria tra le impalpabili presenze misconosciute e i bipedi incarnati, curiosi come scimmie. Non immaginate quali stravaganti domande costoro avessero in serbo per gli spettri: ad esempio, una signora americana confessò candidamente d’indossare il pannolone, e volle sapere se anche i traati potevano soffrire d’incontinenza urinaria; un giovanotto olandese chiese alle entità di rivelargli l’ubicazione di qualche tesoro sepolto, poiché sognava di lasciare il lavoro e darsi alla bella vita; un vecchietto macilento pregò Jacqueline, la spiritessa di una procace spogliarellista, di apparirgli la sera a casa sua, ovviamente nuda, e di danzare per lui con mosse audaci, visto e considerato che in televisione non trasmettevano mai niente di buono... I turisti di quel tipo mi arrecavano pungenti fastidi, ma imparai presto a tenerli a bada, anche perché il biglietto delle visite guidate era piuttosto salato, e a me
veniva concessa un’ottima percentuale sulle vendite. Fu così che, con l’avvicinarsi dell’estate, schizzai di botto in cima alla classifica delle persone più in vista di Parigi; e il meglio doveva ancora arrivare.
*****
Odette si ambientò tranquillamente nel mio appartamento. Era una gatta magnifica, vivace e coccolona, dal soffice pelo tigrato bianco-arancione e dagli occhi di un tenue colore tra il verde e l’azzurro, somiglianti ai miei. Per lei avevo approntato tutte le comodità possibili: una fontanella automatica che le mesceva continuamente acqua fresca e rivitalizzata, una cuccia regale e un grande vaso colmo di erba gatta; la bricconcella amava andarsene a so sui tetti del castello, ma talvolta trascorreva la notte dormendo tra me e Patrick, sul letto, dimostrando di gradire la presenza del mio fidanzato fantasma. La portavo spesso a esplorare il giardino interno, situato sul retro dell’edificio, e lei annusava le piante, inseguiva gli insetti e si riposava stendendosi all’ombra. La comprendevo benissimo grazie alla telepatia, dunque non esistevano segreti tra di noi. Trascorsi alcuni giorni, mi accorsi che, sebbene non lo desse a vedere apertamente, la mia figlia adottiva si struggeva per l’assenza del suo amato Panchonik. Del resto, come biasimarla: i due gatti erano abituati a stare sempre insieme, e ora il paffuto consorte si trovava lontano, a casa di Sandrine. Ne parlai con quest’ultima, la quale confermò le mie impressioni. Da quando la direttrice della biblioteca aveva ottenuto il trasferimento della mummia del gatto nella teca in cui era esposta la principessa Ukeshat (Sandrine aveva amici influenti al Louvre), il legame mentale con Panchonik si era intensificato fortemente, cosicché riusciva a comprendere ogni intimo bisogno del suo prediletto. – Non potete tenerli separati, – sentenziò Luigino mentre sorbivo il tè, seduta sul divano nel salotto della mia amica. – Dovete riunirli al più presto, altrimenti si ammaleranno. – Per carità, qui bisogna intervenire subito! – strillò Sandrine quando le ebbi riferito le parole dello spirito guida. – Figuriamoci, adesso che sono completamente guarita dalle eruzioni, ci mancherebbe che si ammalasse il mio amore peloso!
– Già, ma come facciamo? – replicai. – Io non posso certo venire ad abitare da te, e nemmeno tu da me... – Ritanne carissima, non saprei: pensa a qualcosa, chiedi consiglio agli spiriti... In quel momento captai un messaggio di Odette, la quale m’inviò l’immagine di una chiave; vidi anche l’Hôtel de Sens, segno evidente che dovevamo indagare in quella sede. Riferii la cosa a Sandrine, la quale non perse tempo in congetture: acciuffò Panchonik e lo infilò nel portagatto, quindi mi disse di seguirla nel garage, allo scopo di salire sull’automobile. Dopo circa mezz’ora, avendo affrontato con coraggio il traffico cittadino, raggiungemmo il castello dove io abitavo e dove lei lavorava. Panchonik venne liberato nel mio appartamento e istantaneamente Odette gli andò incontro, miagolando e leccandolo con ione; frattanto, noi donne cominciammo le ricerche della chiave. Interpellai Luigino, poiché Odette era troppo impegnata a fare le feste al suo innamorato e pareva non recepire le domande telepatiche che pure le inviavo. Orbene, per non tediarvi troppo dirò soltanto che la chiave c’era davvero, nascosta dentro un quadro della biblioteca, fra la tela e il pannello posteriore: essa apriva una porta segreta, celata dalla tappezzeria che ricopriva la parete. Per combinazione, il quadro si trovava proprio nell’ufficio di Sandrine; dopo aver stracciato la tappezzeria con le forbici e con altri strumenti di fortuna, la porta si rivelò nella sua interezza; introducemmo la chiave nella toppa e... incredibile! Al di là si trovavano tre stanze, abbastanza spaziose e dotate di finestre, che a quanto sembrava erano rimaste dimenticate da decenni, forse da secoli. – Si tratta del boudoir dove la regina Margot, alias Margherita di Valois, soleva appartarsi con i propri amanti, – spiegò Luigino in tono divertito. – Ritanne, questa è un’occasione formidabile! – esclamò Sandrine, radiosa come una stella di prima grandezza. – Da quando ti ho conosciuta, le mie fortune vanno aumentando di giorno in giorno! – Beh, sono contenta per te, – risposi, – ma non mi pare di aver fatto nulla di particolare... casomai il merito è della gatta. Chissà come faceva a conoscere l’esistenza della chiave... – È presto detto, – subentrò Patrick attingendo alle sue conoscenze dell’antico
Egitto, – quella che chiami Odette è in realtà la reincarnazione di Kiya, una gatta vissuta nel tempio della dea Bastet. Era esperta nell’arte della chiaroveggenza, e ha mantenuto questa dote: riesce a vedere cose che i comuni felini neanche sospettano.
La gatta Kiya con il suo collarino da vera aristocratica
– Via, la faccenda è risolta, – commentò Sandrine euforica, non appena le ebbi rivelato le parole di Patrick. – Sono appena diventata padrona di una dimora accanto alla tua, Ritanne! Domani contatto muratori, elettricisti, imbianchini e compagnia bella: voglio che l’appartamento venga reso abitabile nel più breve tempo possibile. – Dunque intendi trasferirti qui? – Certamente, non sei contenta? – Contentissima, ma cosa diranno i tuoi colleghi? Sei sicura di non dover informare le autorità? Il castello non è tuo, credo che appartenga allo Stato, o forse al Comune di Parigi... – Appartenga pure a chi vuole, cosa me ne importa: qui comando io, sono la direttrice, e come sai ho amici molto potenti, anche tra i politici... Nessuno oserà scacciarmi! Ah, che delizia, Panchonik e Kiya potranno frequentarsi ogni giorno, e io sarò finalmente “uscio e bottega” con la mia sede di lavoro. Uhm, vediamo un po’... Una delle pareti dell’ex boudoir confina con la tua abitazione, quindi ricaveremo una gattaiola. Ho già un sacco di idee che mi frullano in testa, anche per quanto riguarda l’arredamento! Affitterò la mia casa, così potrò contare su un’ulteriore rendita mensile! Abbracciai la mia amica, dichiarandomi pronta a sostenerla in quel proposito; la porta venne richiusa a chiave e ce ne tornammo a far compagnia ai nostri amabili quadrupedi.
*****
Verso la metà di giugno celebrammo due importanti avvenimenti: il progetto suggeritomi da Sandrine quella notte al cimitero, che avevo portato avanti con l’appoggio di monsieur Labare, e l’inaugurazione della nuova dimora allestita al di là della porta segreta. Al Père-Lachaise entrò in funzione un trenino su ruote di gomma, per le visite guidate, attivo sia di giorno sia dopo il calare del sole, fino a ben oltre la mezzanotte: i turisti prendevano posto nelle carrozze, io mi accomodavo in testa al convoglio con il microfono in mano e il conducente partiva portandoci alla scoperta delle tombe più significative. Il successo fu strepitoso fin dall’inizio, tanto che incontrammo alcuni problemi per riuscire a gestire l’enorme afflusso di visitatori; il lavoro per me divenne più faticoso, perché dovevo parlare continuamente, spiegare, contattare i fantasmi e fare da tramite tra loro e i eggeri; ma ogni volta ero ampiamente ricompensata dai commenti estasiati di chi si congratulava per la mia professionalità e per la bellissima idea di trascorrere le nottate al cimitero. Inutile aggiungere che le visite guidate notturne erano le più richieste: per trovare posto bisognava prenotarsi con un notevole anticipo. Altro che Moulin Rouge, Lido, Crazy Horse, ballerine scollacciate, locali per fare bisboccia e attrazioni di ogni sorta presenti nella Ville Lumière! Dopo cena molte persone preferivano venire al Père-Lachaise, fremendo e trepidando per quelle avventure gotiche e soprannaturali che solo lì potevano assaggiare. Concentrai le ore di lavoro in alcuni pomeriggi e in alcune serate alla settimana, guadagnando più di prima; durante la mattina dormivo, mi occupavo della casa, dei gatti e di Patrick.
La favolosa Ritanne all’apoteosi del successo, nelle vesti di guida per le visite notturne al cimitero: notate lo sguardo intenso, tipico della trance medianica
Nel mio piccolo divenni la diva che desideravo, la sciantosa dei sepolcri; e tutte le sere potevo cambiarmi d’abito, sfoggiare mantelli estivi di tessuti finissimi, indossare cappelli stravaganti, veli pregiati, boa di piume e gioielli scintillanti. Una donna di spettacolo, sì: avevo finalmente raggiunto quel ruolo ambito che mi permetteva di esibirmi sul mio palcoscenico personale, tra gli scroscianti applausi del pubblico. La popolarità del Père-Lachaise aumentò rapidamente, anche perché gli incassi elevati permisero di effettuare svariati lavori di restauro e manutenzione, tali da rendere l’ambiente ancora più suggestivo e desiderabile. Monsieur Labare mi giurò eterna gratitudine, e insieme a lui i colleghi i quali, lungi dall’essere invidiosi del mio trionfo, non perdevano occasione per dimostrarmi la loro amicizia. Sandrine e Panchonik presero alloggio all’Hôtel de Sens; facemmo realizzare anche la gattaiola, così i felini potevano scorrazzare a piacimento tra i due appartamenti; la relazione di affetto già esistente fra noi quattro – donne e gatti – si rafforzò con il trascorrere dei giorni. Quel periodo fu il migliore della mia vita. Lo ricordo sempre con nostalgia, soprattutto adesso, nel momento in cui scrivo, dato che mi trovo lontano da Parigi. Ricordate quanto vi ho detto in precedenza, cioè che le cose hanno un inizio e una fine? Beh, dopo alcuni anni di grandi soddisfazioni, avendo regnato incontrastata come vedette cimiteriale, dovetti affrontare una serie di cambiamenti. Sandrine convolò a nozze con uno dei partecipanti alle visite notturne: si erano conosciuti proprio sul trenino, restando soggiogati da un romantico colpo di fulmine. Chi era costui? Ve ne ho già parlato, si chiama Didier Bonsart ed è tuttora il responsabile della Maison Encante, la casa d’aste
che aveva venduto le lettere di quella celebre cantante, da me ritrovate nella valigia malridotta. Fui felicissima per loro, che condividevano (e condividono) una sincera ione; alcuni giorni dopo il matrimonio, la mia adorata gatta Kiya rimase incinta, e successivamente dette alla luce due cuccioli, un maschio e una femmina, figli di Panchonik; infine, pensai che per Patrick era giunto il tempo di lasciare la dimensione terrena per compiere il proprio viaggio nell’aldilà. Queste situazioni mi spinsero ad abbandonare Parigi, sebbene gli amici e i colleghi di lavoro fossero contrari; sentivo che dovevo partire, almeno per concedermi una lunga vacanza, o forse per cambiare l’impostazione della mia vita. Presentai dunque le dimissioni, tra i pianti disperati del direttore, il quale non avrebbe potuto sostituirmi facilmente. Ormai il dado era tratto: piansi anch’io insieme a lui, ma mi mostrai irremovibile.
Il trenino del Père-Lachaise: Ritanne in posa con alcuni avventori
Sandrine fece di tutto per trattenermi, e io le promisi che, prima o poi, sarei tornata da lei e dai gatti; forse sarei tornata anche al Père-Lachaise, se mi avessero voluta ancora. Kiya e Panchonik mi subissarono di messaggi telepatici, allo scopo di convincermi a restare: anche a loro risposi gentilmente di no, tuttavia li pregai di affidarmi la pimpante Olympia, gattina già svezzata; Oleg, il fratello, sarebbe rimasto insieme ai genitori, a Sandrine e Didier. Chiamai un paio di muratori e feci aprire una porta nella parete che collegava gli alloggi, proprio nel punto in cui si trovava la gattaiola: in quel modo i gatti e i loro tutori umani avrebbero potuto usufruire delle mie stanze. Prenotai il volo in prima classe per Pisa, con partenza dall’aeroporto di Orly: desideravo soggiornare in Toscana, dove avevo già acquistato una torre ristrutturata, situata sulle rive di un lago, pronta per diventare la mia nuova residenza. Luigino fu contento di seguirmi in Italia; Patrick invece si rattristò per il fatto che dovevamo separarci, pur sapendo che bisognava procedere come avevo stabilito. A Orly vennero tutti a salutarmi, commossi e speranzosi di rivedermi presto; abbracciai amici ed ex colleghi, quindi mi avviai verso l’aereo portando con me solo una valigia e il portagatto con Olympia: la piccola era stata visitata dal veterinario, il quale mi aveva rilasciato tutte le certificazioni necessarie, pertanto la compagnia aerea acconsentì a farla viaggiare in cabina con me. Quando i piloti ebbero effettuato la manovra di decollo e il velivolo sfrecciava nel cielo, contattai il mio fidanzato spettro. Parlammo per un po’, ricordando le gioie che avevamo provato insieme, scambiandoci teneri pensieri e unendo le nostre essenze in un delicato contatto; lui mi baciò e io sentii le lacrime scendere. Lo vidi immerso in un’aura di luce: sembrava volare accanto all’aereo, quasi intendesse accompagnarmi, finché apparve l’ingresso del tunnel... Allora scoppiai in singhiozzi, ma Patrick disse che non si trattava di un vero addio, perché il tempo non esiste, e in futuro ci saremmo incontrati ancora, belli e giovani, nella nuova incarnazione terrena che entrambi avremmo scelto
liberamente di vivere. Mentre la sua immagine svaniva, udii i versi di una poesia, l’ultimo vibrante omaggio che il mio lord volle destinarmi:
Ora non pensarci, continuiamo a sorridere in questo volo. Amiamoci come tanto lo desideriamo, perché con te non sarò mai solo. Anche se un giorno le tue ali cesseranno di esistere nella gioia infinita, all’immortalità terrena io rinuncerò, per seguire te, mia unica ragione di vita. (9)
(9) Giuseppe DJoNemesis Ciucci, “Un altro volo infinito... come Peter Pan”, in Cuori pulsar nei segnali multiverso dall’Infinito, Youcanprint, 2014.
Un message d’amour au dessus de Paris
Referenze Fotografiche
Tutte le immagini sono di proprietà dell’Autore, ad eccezione delle seguenti:
- Il portale del Père-Lachaise: © Coyau / Wikimedia Commons / CC-BY-SA-3.0;
- Il messaggio dei corvi: © jphilipg / Wikimedia Commons;
- Escalier Mollien: © Musée du Louvre, www.louvre.fr;
- L’Hôtel de Sens: © Pline / Wikimedia Commons;
- Le Bal du Moulin Rouge: © Travellingbookjunkie, www.travellingbookjunkie.com/wp-content/s/2013/06/moulin-rouge.jpg;
- La mummia del gatto sacro Panchonik: © Deutsches Museum, Monaco di Baviera / http://monstermadeofeyes.tumblr.com/post/1724224368/greengerg-egyptian-catmummydeutsches-museum;
- La gatta Kiya: © Diego Luci, www.diegoluci.it.
Ringraziamenti
L’Autore desidera ringraziare:
- I suoi spiriti guida, Richard ed Espera, per la loro incessante opera d’ispirazione;
- Ritanne du Lac, per avere gentilmente concesso varie immagini (apertura “La Guardiana del Cimitero”, “Ritanne festeggia il suo nuovo lavoro”, “Molto sciantosa seppur velata”, “La vera marchesa di Pompadour”, “La favolosa Ritanne all’apoteosi del successo...”, “Il trenino del Père-Lachaise...”:
www.facebook.com/ritanne.dulac
www.facebook.com/antro.ritanne;
- Diego Luci, per la copertina e l’illustrazione della gatta Kiya:
www.facebook.com/diego.luci.101
www.diegoluci.it
- Anna Rita Foschini, per i suoi ironici consigli:
www.facebook.com/anna.foschini
annaritafoschini.blogspot.it
- Cristina Paola Colesanti, per alcuni suggerimenti:
www.facebook.com/cristina.colesanti
scrivimi-ancora.webnode.it
- L’Editore Youcanprint, senza il quale questo libro non sarebbe potuto esistere:
www.facebook.com/youcanprint.it
www.youcanprint.it
ALTRE OPERE DI FABIO NOCENTINI
I libri, alcuni anche in formato e-book, possono essere ordinati nelle librerie e acquistati tramite i siti web.
Iniziazione ai rimedi floreali californiani, Ed. Mediterranee, 1998.
Iniziazione alla cristalloterapia, Ed. Mediterranee, 2002.
Il Grande Libro dei fiori di Bach, Giunti Demetra, 2004.
Cristaloterapia (trad. rumena), Editura Antet, 2005.
Chakra, Giunti Demetra, 2006 e successive ristampe.
I segreti della riflessologia, Hermes Edizioni, 2006.
Il Libro Completo dei fiori di Bach, Giunti Demetra, 2007.
Oracoli, Giunti Demetra, 2007.
Cure naturali per gli animali di casa, Giunti Demetra, 2007.
I poteri magici del gatto, Giunti Demetra, 2007.
Aromaterapia, Mediamax & Partners per conto di Flora srl, 2008.
Fiori di Bach, Giunti Demetra, 2009.
Prontuario di aromaterapia, Daigo Press per conto di Flora srl, 2010.
Iniziazione alle acque vibrazionali, Edizioni Mediterranee, 2011.
I poteri magici del gatto, nuova edizione De Vecchi, 2011.
Vibrational Waters, CreateSpace Self-Publishing, 2012.
Some Healing Waters You Can Buy on Internet, e-book, 2012.
Minerali per la salute, Giunti Demetra, 2012.
Shen Vis Prana. Pranoterapia con simboli antichi, Youcanprint, 2013.
Chakra. Le sette porte dell’energia, Giunti Demetra, 2013.
Il romanzo breve dal titolo Ectoplasmi alle Terme (2015) è disponibile solo in versione e-book (kindle ed epub) in numerosi siti web.
PUBBLICAZIONI APPARSE SU RIVISTE
Collaborazione alla Bibliografia italiana di studi sull’Umanesimo ed il Rinascimento 1992, Supplemento bibliografico a Rinascimento. Rivista dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Seconda serie, XXXIII, Leo S. Olschki, 1993.
“Una frase, un rigo appena. Storie sexy di Fabio Nocentini” (10 racconti brevi), in Caffè Michelangiolo, Anno I, n. 1, gennaio-aprile 1996, Firenze, Edizioni Polistampa.
- “Tre storie sexy” in Il Filo Rosso. Semestrale di Cultura, Anno XI, n. 20, gennaio-giugno 1996, Rogliano (Cosenza), Arti Grafiche Rubbettino.
- “M.R. James e i fantasmi dell’«antiquario»“, in Il Filo Rosso, Anno XI, n. 21, luglio-dicembre 1996, Rogliano (Cosenza), Arti Grafiche Rubbettino.
“Sorelle”, in Helios Magazine. Periodico bimestrale di Scienze, Arte e Cultura, Anno II, n. 4, Reggio Calabria, Club Ausonia Editore, 1997.
“Il pasto”, in Il paradiso degli orchi. Letteratura di Fine Millennio, Anno V, n. 20, primavera 1998, Monte Porzio Catone (Roma), Tipografia La Moderna (Sulmona, L’Aquila).
- “I fiori californiani / 1. Lo sviluppo della floriterapia dopo Bach”, in La Salute Olistica. Bimestrale di terapie e discipline per spirito, mente, corpo, n. 19, marzo-aprile 1998, Firenze, Energylab, Sambo (Montespertoli).
- “I fiori californiani / 2. Lo sviluppo della floriterapia dopo Bach”, in La Salute Olistica, n. 20, maggio-giugno 1998, Firenze, Energylab, Sambo (Montespertoli).
“Dalla California un bouquet di salute”, in Aam Terra Nuova, n. 120, giugno 1998, Borgo San Lorenzo (Firenze).
- “Lavarsi è bello e sano!”, in L’Aromatario, n. 1, primavera-estate 2009, Flora srl.
- “Attenzione agli ingredienti!”, in L’Aromatario, n. 3, inverno 2010, Flora srl.
- “Bioinfuso di Camomilla, quante virtù!”, in L’Aromatario, n. 9, inverno 2012, Flora srl.
“Scegliere le terapie e i rimedi più efficaci mediante radiestesia e test kinesiologici”, in L’Iniziazione, n. 5, marzo-aprile 2010, Lozanne, UERL Cerf Couronné.
Articoli apparsi in Dimensione Benessere, Milano, Edizioni P.E.I.:
- “Tea Tree Oil: vera panacea”, Anno I, n. 8, novembre 2013;
- “Eucalipto: non solo balsamico!”, Anno I, n. 9, dicembre 2013;
- “Mirto, l’essenza di Venere”, Anno II, n. 1-2, gennaio-febbraio 2014.
Alcuni degli articoli apparsi in Vivere Light, Milano, Edizioni P.E.I., Anno VIII:
- “Bacche di ginepro per disintossicarci dentro e fuori!”, n. 75, aprile 2014;
- “Olio essenziale di rosa, amico per la pelle”, n. 76, maggio 2014;
- “Essenza di limone, una sferzata di energia”, n. 77, giugno 2014;
- “Timo rosso, un potente antibatterico”, n. 78, luglio-agosto 2014.
OPERE PUBBLICATE CON PSEUDONIMI
- Racconto “Ellida, amore mio”, firmato con lo pseudonimo “Piero Lemar”, in Inchiostro. Rivista di storie e racconti da leggere e da scrivere, Anno 1, n. 2, settembre-ottobre 1995, Verona, Il Riccio Editore.
- “Quattro storie spinte” (Piero Lemar), in Inchiostro (sezione “Racconti bonsai”), Anno 2, n. 3, maggio-giugno 1996, Verona, Il Riccio Editore.
“Non di sola carne” (Piero Lemar), in Laboom. Laboratorio Oltre Mondo, n. 5, novembre 1996, Milano, Ferrari Grafiche di Clusone (Bergamo).
Leggere le carte. Cartomanzia pratica per tutti, firmato come “Madame Esther”, Firenze, Giunti Demetra, 2008.
OPERE FIRMATE CON L’ETERONIMO “STELLA DEMARIS”
Revisione dei testi per il libro di Antonius Liverand dal titolo Nostradamus. Profezie senza tempo, Giunti Demetra, 2008.
Il Talismano delle Anime Gemelle, Youcanprint, 2012.
Piacere di conoscerla! Nomi e cognomi assurdi ma veri, Youcanprint, 2012.
Sorelle del Peccato e altre storie, Youcanprint, 2013.
Fiabe da Ridere, Youcanprint, 2013.
Quattro i nel Settecento, Youcanprint, 2013.
Strane Figure di Donne, Youcanprint, 2013.
Racconto “La Terza Isola” incluso nell’e-book Alla ricerca di Capitan Uncino, 2012.
Come impaginare libri cartacei ed e-book con Word, e-book, 2013.
Racconto “Solo dalla vita in giù” incluso nell’antologia 77, le gambe delle donne, ovvero: donne in gamba!, Lulu, 2013.
Racconto “Sensitivi si nasce” incluso in Sempre più... Colpiti al Cuore. Volume 3, Protezione Micio O.N.L.U.S., 2014.
Racconto “La guaritrice stellare” incluso nell’antologia Il Serpente. Luce Nera 2014. Volume 1, Edizioni SensoInverso, 2015.
Alcune opere di Stella Demaris, in lettura gratuita, sono scaricabili dai seguenti siti web:
www.stellademaris.comze.com - stella-demaris.blogspot.it
I Segreti del Cucito Cinese, firmato con lo pseudonimo dell’eteronimo, cioè Étoile de La Mer.
(PDF scaricabile gratuitamente)
L’Affronto della Cioccolata e Altri Aneddoti
(PDF scaricabile gratuitamente)
Estratto de Il Talismano delle Anime Gemelle
(PDF scaricabile gratuitamente)
La Maga del Caffè e Altre Storie
(PDF scaricabile gratuitamente)
Talismano per attirare l’amore
(PDF scaricabile gratuitamente)
Confessions d’une femme-écrivain “à la main”
(PDF scaricabile gratuitamente)
The Little Girl Dressed in Red
(PDF scaricabile gratuitamente)
OPERE FIRMATE CON L’ETERONIMO “FABIEN DE LA NOISETTE”
Il racconto “Il fato della fata” appare nell’antologia Il Canto della Fata, Edizioni L’ArgoLibro, 2015.
I miniracconti “La danzatrice al palo” e “Il bidè da ritta” (2014) sono pubblicati solo nel sito web di Fabien:
www.lanoisette.altervista.org
ANTOLOGIE DEL GRUPPO FACEBOOK “LIBRI STELLARI”
Vari contributi (firmati come Fabio Nocentini, Stella Demaris e La Vecchina dell’Aceto) appaiono nelle quattro opere realizzate dal Gruppo Facebook “Libri Stellari” (tutte pubblicate da Youcanprint, 2013-2014): Le Donne e il Mare, Gatto, Mon Amour, 77 Fiabe Buffe e Post Tenebras. I racconti del cimitero.
ANTOLOGIE DEI FRATELLI STELLARI
Il racconto “Con te per l’eternità” (firmato come Fabio Nocentini) è presente nel volume Dall’Egitto con Furore, Youcanprint, 2015.
In 50 Sfumature di Alieno (Youcanprint, 2015) appaiono racconti firmati in vario modo: Fabio Nocentini, Fabien de La Noisette, Stella Demaris, La Vecchina dell’Aceto, Madame Assatanée e Polasette (questi ultimi due pseudonimi si riferiscono a opere scritte a quattro mani da Fabio Nocentini e Cristina Paola Colesanti).
TRADUZIONI DALL’INGLESE IN ITALIANO
Terra, Anima, Società, voll. 1 e 2, Velletri, FioriGialli Edizioni, 2006. Titolo originale: Only Connect. Soil, Soul, Society. The Best of Resurgence Magazine.
Guide turistiche Boroli Editore Citypack: Lisbona e Budapest, 2009.