Una Sola Pagina Bianca 371730

Silvana Uber

Una sola pagina bianca

UUID: 9788896561300

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Table of contents

Una sola pagina bianca

Una sola pagina bianca

Per voi che state iniziando a leggere queste pagine, per voi che amate sognare con storie scritte da altri, a voi chiedo, se potete, di non dimenticare la mia di storia, di tenere vivo dentro di voi il richiamo delle mie parole, perché solo così potrò dunque sperare che qualcuno tra voi possa, forse un giorno, continuare questo libro e dargli una degna fine. Questo libro non è scritto bene, ma io non sono una scrittrice e mai lo diventerò. Non ho mai preso una penna in una mano e un block-notes nell'altra, se escludiamo i temi in classe, che a dirla tutta sono stati sempre giudicati appena sufficienti dai miei professori. Mi sarebbe piaciuto imparare a scrivere, inventare delle storie pazzesche per poi renderle reali su un foglio bianco. La vita però mi ha portata a scrivere una sola pagina bianca, un foglio da riempire giorno dopo giorno con i ricordi reali della mia vita reale. Mi piacerebbe scrivere storie fantastiche, storie di regni fatati che si aprono su un paesaggio medievale, di principesse dai lunghi capelli che attendono il ritorno dei loro principi, di draghi e fate... Invece scriverò la mia storia, anche se non voglio, anche se mi fa male. Ma lo devo fare se voglio farvi diventare testimoni di una realtà che ai giorni nostri è ancora sconosciuta e sottovalutata. Lo devo fare perché voi che state per leggere questo libro senza fine, dovete sapere e sperare per me, e perché voi tutti siete l'ultima preghiera che mi è rimasta. Ho pregato il mio Dio, ho pregato il Dio dei musulmani, quello degli indiani, quello dei gesuiti. Non credo mi abbia dato ascolto.

E se l' ha fatto, forse non è stato in grado di fare nulla per aiutarmi. Ho pregato, supplicato, implorato, pianto, pianto e ancora pianto. Pianto tanto da non sapere più cosa significa avere il volto asciutto. Ma non è servito a niente. E non servirà più a niente. Perché io sabato morirò. Allora mi rivolgo a tutti voi; se non potete fare nulla per me prima di sabato, vi prego, vi scongiuro, aprite le porte della vostra fantasia, insaporitela con la vostra realtà, mescolatela alle mie parole, incasellate verità e finzione come in un puzzle e regalatemi almeno la fine di questo libro. Queste sono le prime parole che Lyral ha scritto su una pagina bianca che le ho consegnato. Le uniche che non mi ha mai voluto far leggere. Adesso le lascio a voi insieme a tutte le altre pagine bianche che ha riempito perché è l’unico modo che ormai mi resta per aiutarla. Carlos J. Paltres 1 Tutte le volte che dopo scuola voglio andare al Barlybooks devo inventare miliardi di scuse con mia madre per poterci andare. Tutte le mie compagne di classe non hanno queste difficoltà. Eh, ma loro sono ricche, vivono in città, hanno la macchina, una carta di credito platino nascosta nei loro portafogli firmati, i capelli con le mèches, le unghie laccate. Loro dopo scuola non devono correre a casa per aiutare le proprie madri ed accudire i figli delle loro vicine di casa. Per questo mi sento sempre in colpa quando mento alla mia per restare qualche ora al Barlyebooks, il bar più chic di tutta Oaxaca, dove un cappuccino costa 10 dollari e dove noi studenti ci ritroviamo per leggere i libri che il barista mette a disposizione su delle lunghe mensole in legno d'acero che circondano il perimetro dell'intero locale. Ogni tanto riesco a rubarne qualcuno, ma poi, presa dai sensi di colpa lo riporto sempre indietro e lo nascondo nello scaffale accanto

alla porta mentre il barista guarda da un'altra parte. Mia madre mi ha sempre criticato per questo, dice che rubare non è un reato per i poveri come noi. Io invece ho sempre creduto che tutti i cittadini dovrebbero essere considerati sullo stesso piano, indifferentemente dal loro ceto, e quindi puniti allo stesso modo. Ma ovviamente non mi sono mai sognata di dire queste parole a mia madre. Le voglio bene. Più le sue mani si consumano dall'artrosi, più i suoi capelli si ingrigiscono sotto il leggero foulard variopinto che tiene in testa, più le voglio bene. Aveva impiegato due anni per risparmiare i soldi sufficienti per iscrivermi alla scuola superiore. Due anni di fatiche, di mani immerse nel fango e nelle risaie, di elemosine, di cene e pranzi con latte e pane vecchio che i nostri vicini ci portavano e dividevano con noi attorno al fuoco che accendiamo ogni sera al centro del campo. Di solito, dopo cena, tutto il villaggio si raduna al centro del campo, formando un cerchio attorno ad un falò. Restiamo seduti a terra con le gambe incrociate, mentre i vecchi raccontano a noi più giovani storie di antiche leggende. Sono leggende piene di fascino, che narrano l'angosciante spedizione che i nostri bisbisnonni avevano affrontato per raggiungere questa città. Ovviamente si tratta di leggende, come si ostina a raccomandarmi mia madre. Però a me piace restare là fuori, avvolta in una coperta bucherellata, con il cielo come soffitto ed il vento caldo come sottofondo musicale. Mi piace che i bambini, e ormai sono molti, quasi una trentina, facciano a gara per addormentarsi sulle mie ginocchia. . Ogni sera quando spegniamo il fuoco tutti vogliono baciarmi la fronte e la mattina, quando esco dalla mia roulotte per andare a scuola, è la stessa storia. Sono l'unica tra tutte le persone a saper leggere e scrivere e ad aver nozioni di storia, geografia e matematica. Perciò sono riuscita a guadagnarmi una certa fama, sebbene il villaggio sia comunque piccolo e tutti noi ci conosciamo per nome e da una vita. Col tempo, gli anziani hanno cominciato a soprannominarmi “la dottoressa” e a considerarmi l'unica speranza per tutto il campo di un futuro migliore, magari con qualche dollaro per comprare una grande casa che possa un domani

contenerci tutti. Siamo divisi in famiglie ovviamente, anche se poi ci consideriamo come una sola, unica, grande famiglia. Le famiglie prendono il nome del più vecchio membro ancora in vita, il “sute”, e la famiglia prende il nome di “keylan” che in inglese si potrebbe benissimo tradurre in clan. C’è quindi il keylan del sute Jetmir, di cui fanno parte Nadir con suo marito Oscar e i loro figli di uno, sette, otto e nove anni. Con loro mi trovo bene, soprattutto con Nadir che tra l'altro ha solo due anni in più di me. Lei mi invidia i capelli biondi e gli occhi verdi. Sono l'unica in tutto il campo ad avere dei lineamenti così chiari e delicati. Tutte le altre donne sembrano di dieci anni più vecchie, con i loro denti cariati, le rughe profonde e piene di terra, le mani raggrinzite e i capelli neri sempre coperti da foulard o legati stretti in uno chignon. Poi ci sono Alan con sua moglie Dana ed i loro cinque figli di anni diciannove, undici, dieci, otto e due del keylan del sute Bert. Io sono l'unica a non avere né fratelli né sorelle. E sono anche l'unica a non avere un padre. Mia madre non ama parlare di lui e negli anni sono riuscita a scoprire solo che era morto una sera, accoltellato alla schiena mentre cercava di rubare il portafogli ad uno più delinquente di lui. L'ironia della sorte! Per quello che ne so mia madre non ha mai pianto per la sua morte, avendo smesso di amarlo già da tempo per via del suo carattere aggressivo e manesco. Ma da quello che mi dice non era stato sempre così. Si era come trasformato nel tempo. Ed il fatto che mia madre non riuscisse a portare avanti una gravidanza non aveva fatto altro che alimentare la rabbia di mio padre. Ogni volta che lei aveva un aborto spontaneo lui la picchiava e l'accusava di essere una donna inetta. Poi ero nata io. Ma ero arrivata troppo tardi per sperare che il loro rapporto si aggiustasse. Sono stata adottata poi dal keylan del sute più vecchio, Aaron. Succede così alle persone del campo che hanno perso il loro sute. Con le altre famiglie del campo non vado troppo d'accordo. Ci parlo solo se sono loro a rivolgermi la parola per primi ed ormai non sono neanche più capace di nascondere la mia irritazione. Non che siano antipatici, è solo che mi da fastidio sapere che ogni cosa che a

dalle loro bocche faccia il giro di tutte le famiglie. Li chiamo “gli informatori del campo”, proprio perché amano distorcere le notizie, ingigantendole e spiattellandole dalla mattina alla sera. Unica loro occupazione. E sono diventati talmente abili da scoprire ogni mio movimento, ogni parola che dico che ancora prima che rientri in casa mia madre sa già tutto. Mi sento come osservata a vista. Gli anziani del campo, i quali pretendono l'assoluto rispetto e decidono a loro gusto e piacimento le leggi della nostra comunità, sono in sette: Araf, Gianni, Pablo, Pier, Aaron, Stephen e Wlad. Con loro non parlo mai direttamente, d'altra parte è assolutamente vietato farlo. Mi limito ad ascoltare le loro storie e a pregare ogni sera che nessuna delle loro mogli muoia o, cosa più improbabile, decida di divorziare. La legge del campo, prevede infatti che se un anziano rimane solo, quest'ultimo può scegliere una ragazza per consolarsi e appagare i suoi desideri sessuali fin tanto che non trova un'altra moglie. Io e Vivian siamo le uniche ragazze del campo a non aver marito. Io quindici anni, lei diciannove. Una volta lei mi raccontò di aver sentito dire ad un anziano che desiderava che sua moglie se ne andasse solo per il gusto di poter approfittare di me o di lei. Avevamo pianto una stretta all'altra per l'intera notte, nascoste sotto le coperte. Tremando ad ogni o che si avvicinava a noi. Quando mia madre ci trovò e scoprì la ragione delle nostre lacrime andò su tutte le furie. Cacciò in malo modo Vivian, lanciandole contro la schiena palline di sassi e fango, poi era tornata da me e mi aveva guardata carica di disprezzo. << Non voglio mai più vederti piangere per una sciocchezza simile >>. << Io non voglio andare a letto con un vecchio di cinquant'anni >>. << La legge prevede questo e tu non puoi farci niente >>. La solita solfa. Ogni legge, ogni decisione presa dal consiglio degli anziani è irrevocabile. E se qualcuno di noi si dimostra contrario rischia addirittura di essere legato ad un

palo per tre giorni di fila, senza acqua e senza mangiare. Quando avevo su per giù quattro anni avevo assistito ad una scena simile. Da allora ne ero rimasta sconvolta. Io e mia madre stavamo riempiendo dei secchi attingendo l'acqua dalla sorgente, attorno alla quale è stato costruito il campo, quando una processione di venti uomini ci era ata accanto, trascinando a terra un ragazzo seminudo che si dimenava come un'anguilla per sfuggire alle mani che lo bloccavano. Lo obbligarono a strisciare come un verme fino al palo in cima alla collina. Dietro di loro rimanevano i segni del aggio; impronte di scarpe che si alternavano a macchie di sangue vivo. Quando infine raggiunsero il palo, le ginocchia del ragazzo erano talmente scorticate che anche da lontano potevo vedervi i pezzettini di carne sollevati dall'osso ormai fuoriuscito. Gli legarono caviglie e polsi tanto stretti che in breve la pelle si arrossò e diventò lucida. Da lontano sua madre guardava impotente. Le lacrime le bruciavano gli occhi e si addensavano tra le profonde rughe che dal naso le scendevano fino a toccare il labbro superiore. Ma non disse e non fece nulla. Quando gli anziani si allontanarono per tornare all’altra loro occupazione preferita – sigarette e partite a carte clandestine – anche lei schioccò un'ultima occhiata al figlio, si sistemò il foulard attorno alle spalle e con la schiena curva si incamminò, strisciando le ciabatte di cuoio giù per la collina. Sono ati molti anni ma non riesco a dimenticare quella scena. Ogni notte, appena chiudo gli occhi, rivedo quel ragazzo legato al palo, seminudo sebbene la temperatura si aggirasse sui 10 gradi. Per la paura e l'agitazione si era urinato addosso e per tre giorni era rimasto lì, urlante e gemente, con i piedi sprofondati nei suoi escrementi. Da allora era cambiato. Era diventato una belva rabbiosa, maleducata ed aggressiva. Solo con me dimostrava una certa tolleranza. Non si è mai sposato, non ha mai abbandonato il campo e non ha mai più disubbidito in alcun modo. Quando era più che certo che nessuno fosse nei paraggi mi diceva sempre: << Lyral, tu sei l'unica donna del campo che ha aperto gli occhi sul mondo. Devi imparare a vedere le differenze e a fare una distinzione tra giusto e sbagliato >>.

Ancora oggi mi chiedo se sapeva... Ma io all'epoca avevo solo cinque anni e ascoltavo esclusivamente quello che mi diceva mia madre. Tutt'oggi con me lui, Marcky, è gentile e di tanto in tanto mi procura dei quaderni ancora sigillati o delle penne praticamente nuove. Ma non ho mai scoperto il perché quel giorno l'avessero torturato in quel modo. Non ne parla mai ed io me ne guardo bene dal chiederglielo. Mi chiedo solo se sarò in grado di sopportare una simile tortura il giorno che mi rifiuterò di andare con un anziano. Perché una cosa è certa: preferirei morire ed essere torturata piuttosto che infilarmi nelle lenzuola di un omaccione tutto rugoso e con la pancia. Ogni mattina prima di andare a scuola devo recarmi alla sorgente con le altre ragazze del campo per riempire i secchi d'acqua che vanno poi trasportati fino davanti le “case” di ogni famiglia. Si tratta di percorrere una salita che si incespica su per il bosco portando con sé due secchi, il più delle volte senza manico, lavarli dalla terra e riempirli d'acqua. La sorgente è un pò il luogo di ritrovo per le donne e il punto dove prendono il via i pettegolezzi. La si usa per bere, per lavarsi, per fare il bucato e per purificarsi dopo la prima notte di nozze. A volte, d'estate, ci immergo i piedi e resto col naso rivolto verso il cielo a prendere la tintarella. Per me l'abbronzatura è un continuo dramma, essendo l'unica del campo ad avere la pelle chiara, quasi diafana. Da piccola gli altri bambini mi prendevano in giro, poi era intervenuta mia madre. L'avevano piantata. Per attingere l'acqua bisogna prima scacciare tutti gli insetti che si addensano come in una nube bianca e topi grandi quanto una mia mano che corrono a destra e a sinistra per fuggire alle nostre scarpe. Una volta un topo tutto grigio mi aveva morsa sull'alluce e mi era venuta la febbre. Da allora sto bene attenta a non avvicinarmi a piedi nudi e mi tolgo le scarpe solo quando ho raggiunto il gradino di pietra che ci gira attorno. Infine bisogna riportare i secchi giù, fino alle case. La discesa è molto più difficile perché si rischia di inciampare e rovesciare tutta l'acqua. E così via, di

nuovo su, scacciare gli insetti, uccidere i topi, attingere l'acqua... La raccolta va poi ripetuta più e più volte al giorno, a volte anche a notte fonda. E' un lavoro massacrante e quotidiano, ma le donne più anziane sono stanche di farlo e caricano a noi giovani i lavori più duri. Poi, quando torno da scuola c'è la raccolta della legna. Bisogna prima andare dagli anziani e chiedere il permesso per usare l'accetta, perché noi donne non possiamo tenere armi di alcun genere senza il loro consenso. Infine si tagliano i rami più bassi e si raccolgono in fascine che vanno poi sistemate al centro del campo per il fuoco della sera. Io mi porto sempre dietro tutti i bambini del campo perché i genitori sono fuori a lavorare ed ho il compito di occuparmi di loro. Vivian mi accompagna rare volte, avendo anche lei un lavoro, e quando lo fa cerca sempre di imparare qualcosa. Cerco di insegnarle a scrivere, usando un ramo come penna e la terra come quaderno. Avevo impiegato mesi per ficcarle in testa l'alfabeto e quando c'ero riuscita, tornando a casa dopo l'ultimo viaggio di raccolta dell'acqua avevo trovato scritto sul terreno di fronte a casa mia un gigantesco “grazie”. Dopo di ché tutte le donne si raccolgono davanti alle proprie case per cucire, rammendare o semplicemente chiacchierare. I pettegolezzi sono considerati un'occupazione a tutti gli effetti ma io riesco sempre a svignarmela con la scusa di studiare. Allora mi siedo sui sassi, ai piedi del bosco e lontano dal tanfo d'immondizia che si spande per tutto il campo, apro il mio libro sulle ginocchia e piango. Piango per la stanchezza, per le vesciche alle mani, per l'immondizia che si accumula ogni giorno sotto la finestra del mio letto, per la polvere e la terra che cerco di togliere dalla roulotte con una piccolissima scopa di paglia. Di tanto in tanto un anziano mi si avvicina, mi posa un braccio attorno alle spalle e resta ad occhi chiusi ad ascoltarmi leggere a voce alta. Prima di andarsene mi dice sempre: << Vedi Lyral quanto ti ama tua madre? Tu sei l'unica ad avere il privilegio di non lavorare >>. Allora sorrido. Anche se sono stanca, anche se ho la schiena a pezzi, le mani tagliate e piene di spine. Sorrido piena di gratitudine perché mia madre, nonostante le ferree leggi del campo, è

riuscita in qualche modo a trovare una scappatoia. Mi domando come facciano le altre donne a lavorare, ad occuparsi dei loro figli e a svolgere i lavori massacranti del campo? Gli uomini non muovono un dito per aiutarci, ano il loro tempo al “bar” del campo a giocare a carte e a bere alcoolici. Il “bar” del campo non è altro che una tettoia di latta retta da quattro pali conficcati in profondità nel terreno ormai coperto di lattine e mozziconi di sigarette. Da lì controllano tutto quello che succede all'interno della comunità, urlano vituperi, sputano a terra, spesso e volentieri si picchiano tra di loro. Poi, terminate le partite, tornano alle loro case e pretendono attenzioni particolari dalle mogli. E chi se ne frega se sono stanche, sporche o tristi o se non ne hanno voglia. I matrimoni in questa comunità sono il carcere di noi donne e spesso e volentieri un tacito accordo tra famiglie. Ringrazio Dio di non essere sposata in un posto dove per le donne ubbidire è legge. Il matrimonio al campo è molto complesso e prevede giorni e giorni di rituali. Innanzitutto è necessaria la contrattazione sul prezzo della sposa tra le due famiglie. Il prezzo dipende da quanto è brava a cucinare, da quanta acqua riesce a trasportare in un giorno, dall'età, da com'è il carattere: dipende da tante cose. Dipende anche dalla bellezza... le bionde sono le più belle e se hanno gli occhi chiari allora sono ancora più belle. Però la cosa più importante resta il carattere: ad esempio se una è un pò civetta non va bene. Non va bene per niente. E poi conta anche un'altra cosa: la prima volta ti pagano di più perché sei vergine... e se poi non lo sei succede un macello, t'ammazzano di botte, litigano fra loro... Il padre della ragazza può anche chiedere un prezzo altissimo, ma poi alla fine decide l'altra gente. E' un pò come un processo dove la sposa è l'imputata. Gli anziani si riuniscono attorno al fuoco, solitamente di domenica, insieme alle due famiglie coinvolte e mettono al centro una bottiglia di Gin sigillata. Ci si mette quindi a discutere. I fratelli e il padre della ragazza chiedono una certa cifra, addirittura fino a 3.000 dollari, ed inizia il giro per togliere una somma dal prezzo iniziale. Quando poi si stabilisce una seconda cifra che sembra star bene

ad entrambe le parti, gli anziani si riuniscono tra di loro per discutere del prezzo e danno poi il loro consenso. Quindi aprono la bottiglia e la bevono tutti uno dopo l'altro. Altre volte quando non si accordano, non succede niente e la bottiglia rimane lì. La ragazza dovrà poi nel corso della vita restituire i soldi che la famiglia del ragazzo ha speso per lei. Se ci sono problemi durante il matrimonio e la ragazza vuole lasciare il marito, il padre della sposa deve comunque saldare il debito con la famiglia pagandone la dote. Solo in rari casi i matrimoni iniziano con una fuga dei futuri sposi che poi tornano a chiedere l'approvazione delle famiglie. Avviene più spesso invece che la fuga segua le trattative tra i parenti. In ogni caso, il matrimonio viene permesso, riconosciuto e convalidato dal gruppo familiare e dagli anziani. Il volere degli sposi non conta. Come del resto il divorzio, l'unico diritto apparentemente riconosciuto alle donne. Ma è comunque un diritto che il più delle volte viene ignorato. Ad esempio se una donna viene picchiata dal marito non basta per arrivare al divorzio. Un nostro vecchio detto dice: << Tu, uomo, quando torni a casa picchia sempre tua moglie. Se tu non sai il motivo lei sicuramente lo saprà. Se ha fatto qualcosa saprà che tu la sorvegli sempre, se invece non ha fatto nulla imparerà a non sbagliare mai >>. Una tra le poche ragioni per cui una donna può pretendere il divorzio è il tradimento. Ed anche in questo caso le leggi sono tanto assurde quanto folli. Se un uomo va a letto con una donna messicana, la sposa deve stare zitta e sopportare, perché sarebbe considerata solo una scappatella. Mentre se lui va con una donna del campo allora le cose cambiano a “favore” della sposa. La donna del campo viene lapidata perché cosciente del fatto che l'uomo era sposato. La moglie può infine chiedere il divorzio dopo aver comunque risarcito il marito della somma che ha speso per comprarla. Dopo i festeggiamenti nuziali, di solito, è la giovane donna che si trasferisce a vivere nella famiglia del marito, tuttavia, a volte, può accadere anche il contrario. Il mattino dopo la suocera, accompagnata dalla madre della sposa e

dalle altre donne sposate appendono davanti al campo il lenzuolo macchiato di sangue, come dimostrazione che la ragazza era vergine. Mia madre sul matrimonio è stata sempre molto decisa, rischiando di tutto per oltreare il volere degli anziani. L'hanno picchiata, minacciata, perfino emarginata. Ma io che ho già quindici anni, ancora non ho marito. E devo ringraziare solo lei per questo. Quando esco dal campo per andare a scuola mi sembra quasi di fare un salto nel tempo. Lascio il 1500 per arrivare direttamente nel 2009. Alle mie compagne di classe non ho mai detto dove abito, perché so che la gente ha dei pregiudizi su di noi. Fantasmi rozzi e sporchi che insozzano le loro strade pulite e la loro società. Inutili per i lavori manuali, troppo ignoranti per i lavori statali. Vado molto d'accordo con Sarah Clive. Lei ha i miei stessi capelli biondi, gli occhi verdi, la pelle chiara. Per certi versi sembriamo quasi sorelle, con la differenza che lei non indossa mai lo stesso vestito per due giorni di fila e non ha le unghie sporche di terra. Durante la ricreazione, mentre tutte le ragazze sono in cortile a fumare o a mangiare succulenti dolcetti che le loro stesse madri preparano, io corro nei bagni e svuoto in una bottiglia di plastica tutto il sapone che c'è accanto ai lavandini. Poi al campo lo distribuisco per le famiglie e quando ho un attimo di tempo mi rifugio alla sorgente per lavarmi i pochi vestiti che ho. A volte sento montarmi la rabbia quando vedo Sarah sfoggiare una camicia di Calvin Klein e guardare con orrore le mie felpe rammendate. << Perché non chiedi aiuto agli assistenti sociali? Mi sembra impossibile che tua madre ti mandi in giro conciata così >>. << Mia madre ha fatto molto. Più di quanto immagini. Ha perfino impedito che mi sposassi per farmi studiare >>.

Mi guarda stranita, infilandosi in bocca la sigaretta. << Ma in che cavolo di mondo vivi? Noi abbiamo quindici anni, siamo minorenni. Chi è il folle che ti vuole sposare? >> Decido di tapparmi la bocca. In un mondo dorato come il suo un fatto simile è considerato illegale. Nel mio, un obbligo. Ogni volta che oltreo il cancello del campo, vorrei urlare, scappare, sputare in faccia ad ogni anziano. Vorrei fuggire da questo posto, dove albe e tramonti si susseguono in giorni e notti sempre uguali, dove i diritti delle persone ristagnano in un tempo fermo alle leggi costituzionali del 1500. Dove le leggi sono fatte dagli uomini e per gli uomini. Ma poi vedo mia madre, i suoi denti d'oro, le sue spalle curve ed allora trovo la forza per oltreare quel cancello che per me è diventato una sorta di macchina del tempo. E mi concedo di fantasticare; mi vedo a eggio per le vie, vedo le vetrine dei negozi, le gelaterie, il Barlyebooks con i suoi libri e i suoi scaffali. Sono nel campo col corpo ma non con la testa. Quella non me la possono riempire di leggi assurde, perché è già colma dell'odio per gli anziani, per le donne pettegole e stupide e soprattutto della speranza di libertà. A portata di mano ma irraggiungibile. A soli pochi chilometri da casa mia c'è la mia libertà. L'unico sentimento che mi ha spronata ad andare avanti e che riesco ad assaggiare per sole poche ore al mattino. Una libertà che non so nemmeno come desiderare, perché significa dire addio a mia madre, l'unica mia ragione di vita. Odio tutto questo, odio la mia grande famiglia, odio, odio, odio. Ormai sono diventata una pietra che nessuno riesce a scalfire e che è piena di rabbia. Ho due odi stampati in testa: gli anziani e la polvere del campo. Tuttavia una piccola parte di me non si sognerebbe mai di fare a meno di tutti loro. Sono nata sul pavimento di questa roulotte maleodorante e fatiscente, tra le urla disperate di mia madre e quelle d'incitamento delle altre donne. Sono cresciuta tra i sacchetti d'immondizia e la terra arida d'estate e fangosa d'inverno. Ho visto la mia gente invecchiare, morire, nascere e sposarsi. Non ci si può sradicare e

dimenticarsi delle proprie radici solo perché ci si è affacciati in un mondo migliore e più ricco. Dicono che nel giardino del vicino l'erba sia sempre più verde. Ma nel mio giardino l'erba non c'è. Si può amare una cosa ed allo stesso tempo odiarla? Il vincolo con la famiglia e con il clan a cui appartengo è molto forte perché sono queste istituzioni che garantiscono la mia protezione e la mia sicurezza. Lasciarli sarebbe come fare un salto nel vuoto. Ed io ancora non ho imparato a volare. 2 Oggi, domenica, il cielo è più terso del solito. Mentre percorro il sentiero battuto che porta alla sorgente scorgo un pò d’ombra sotto i rami di un albero e mi ci stendo, usando un secchio come poggia testa. Il caldo torrido ha spaccato la terra e nelle crepe si infilano tutti gli insetti brulicanti in cerca di fresco. Le mosce e le zanzare sono il vero tormentone dell'estate, mi si appiccicano addosso come una seconda pelle e mi pungono in continuazione, tanto che ormai ho le braccia completamente ricoperte di vesciche a furia di grattarmi. Le bambine del campo non sono venute con me perché oggi i genitori non lavorano e sono tutti occupati nelle loro “riunioni di famiglia”. Io, non avendo né un padre né fratelli e sorelle, sono l'unica che deve provvedere all'acqua. Ed è un continuo sali e scendi per questo bosco tutto il giorno. Di tanto in tanto mia madre mi accompagna ma non mi è di grande aiuto perché le sue braccia non ce la fanno più a reggere i pesi e le sue dita piene di artrosi le impediscono anche i movimenti più facili. Perciò eccomi da sola, sotto il sole d'agosto, con due secchi dal fondo incrostato e la schiena a pezzi. Il cuore fermo, che attende impaziente un'emozione che lo faccia battere ancora.

Quando nessuno mi accompagna riesco sempre a rosicchiare qualche minuto al lavoro per potermi stendere ai margini del bosco e fantasticare di essere in qualche isola deserta o semplicemente a tirare il fiato. Con le bambine che urlano e trottolano o con le altre donne che spettegolano e si lamentano dei loro mariti, non mi è mai possibile pensare e avere cinque minuti da dedicare a me stessa. Parlare con loro di come mi sento è impensabile. Sarebbe come raccontare tutto direttamente alla “radio campo”, senza contare che se anche uno solo degli anziani venisse a sapere ciò che penso sulle loro leggi e sulle loro regole morali, verrei picchiata brutalmente o peggio ancora legata al palo. Perciò sto bene attenta a ciò che dico e soprattutto con chi parlo. Qua bisogna stare attenti a tutto; a dove si mettono i piedi, agli insetti, ai topi, agli uomini, al troppo caldo o al gelo dell'inverno, al fuoco, ai serpenti che di giorno scendono dal bosco. E allora mi rivedo camminare per le vie della città, lungo i corridoi della scuola, tra un banco e l'altro della classe, e la voglia di fuggire a tutto questo si trasforma in una rabbia cieca che mi fa diventare audace e aggressiva. Mi capita ad esempio di uccidere un topo solo per il gusto di uccidere, e mi immagino che sia uno di quegli anziani, il cui unico pregio è di saper raccontare bene le leggende. Ma la fantasia non può durare a lungo perché c'è bisogno di acqua ed io devo fare ancora una decina di viaggi affinché tutti possano avere il loro bicchiere di acqua mista al gin, l'alcoolico che va per la maggiore. Con il gin qui si fa tutto: si cucina la carne, si disinfettano le ferite, ci si ubriaca. Alle bambine neonate lavano la vagina col gin per “purificarla” e poi gli si arrossa tanto che le si sentono piangere per notti intere all'interno del campo. E' un'usanza tanto barbara quanto arcaica. Raccolgo i secchi da terra e me li infilo sotto le braccia quando sento da in fondo al campo un gran vociferare. Sulle prime penso che qualcuno si stia lamentando per la sete così affretto il o e con il cuore che mi pulsa nelle tempie mi arrampico su per la salita, stando attenta a non calpestare qualche scarafaggio. Poi in lontananza vedo Vivian che si sbraccia per catturare la mia attenzione. Preoccupata lascio cadere i secchi e le vado in contro. Tra le lacrime mi spiega cosa è successo: << La moglie di Araf è morta! >>

<< Ma che dici? Quando? >> << Pochi minuti fa. Araf si è appena riunito con gli anziani. Dobbiamo scappare, Lyral. Tu di sicuro sai come farlo. Dobbiamo scappare >>. Nessuna di noi due ha voglia di piangere per quella donna austera e con l'espressione sempre severa e preoccupata. Era una donna vecchia, legata morbosamente alle leggende. E mi odiava. Con tutta l'anima. Quando le avo accanto sputava a terra per cacciare il malocchio. Per lei io non ero Lyral. Ero la bionda, l'impura, quella che se ne andava in città a studiare. Soprattutto, ero La Bionda. Essere bionde all'interno del campo è sinonimo di impurità o di bellezza. Per lei ovviamente ero sempre stata impura. Mi guardava attraverso quei suoi occhietti neri e sottili ed imprecava qualche litania tra i denti per scongiurare gli spiriti cattivi di non staccarsi dal mio corpo per invadere il campo. Da piccola avevo il terrore di lei e quando la vedevo mi nascondevo sempre tra le pieghe della lunga gonna a fiori di mia madre. Crescendo il mio carattere è diventato molto più duro ed ho smesso di avere paura di lei. Anzi, in più di un'occasione le avevo risposto facendole linguacce o peggio ancora lanciandole addosso del fango. Ma questo non era bastato a cambiare la sua opinione su di me. Semmai, era servito come pretesto per accrescere, se possibile, il suo odio per me. Perciò né io né Vivian abbiamo voglia di piangere la sua morte. Tuttavia, questa morte ci fa frignare come due bambine. Ci mettiamo a sedere, una accanto all'altra. Mi copro la faccia con le mani, annientata, singhiozzando al pensiero di ciò che ci aspetta mentre Vivian, ormai un pò più calma, cerca di prepararmi spiegandomi a grandi linee ciò che comporta stare con un uomo. Come tutti, crede che io non abbia alcuna nozione reale dei rapporti sessuali, e che tutto ciò che ho appreso è stato attraverso le mezze frasi gettate lì con indifferenza dalle altre donne del campo. Invece ho avuto un breve flirt, durante l'estate scorsa. Tanto intenso da farmi quasi desiderare di presentarlo alla mia numerosa famiglia prima che tutto quanto finisse a causa delle mie radici. Ma quello era stato amore, questa invece è un'infame sozzeria. E' una violenza. Vivian era già stata scelta tre anni fa e per due settimane aveva dovuto

accontentare in tutto quella specie di uomo di Pier. Poi per fortuna si era risposato con una donna appartenente ad un altro clan, ma da quel momento Vivian non aveva più sorriso. In fondo al villaggio le voci cessano, le donne si riuniscono attorno alla casa della defunta cantando le tipiche canzoni funebri e suonando la fisarmonica. La morte è un evento carico di tabù e di simboli che non coinvolgono solo la famiglia colpita dal lutto, ma l’intera comunità. Una vecchia, che in genere ha molta pratica in fatto di parti, è accorsa da un campo al limitare del deserto di Sonora per praticare il rito. Si tratta di spargere per tutto il perimetro della casa, copiosi getti di gin accompagnando il tutto con antichi rituali in dialetto. Questo rito, chiamato “libagione” non ha tanto lo scopo propiziatorio o espiatorio, quanto l’obiettivo di affermare con forza l’unità del gruppo. La salma verrà poi ricoperta di terra e fiori e sepolta alla periferia del campo. E le donne non potranno avvicinarsi per i tre mesi successivi. A differenza degli uomini dovranno osservare un periodo di lutto molto lungo in cui è vietato pronunciare il nome dell’estinto e bere gin. Gli uomini intanto vociferano attorno al fuoco, prima delle ombre della sera in segno del lutto, e decidono chi tra le ragazze del campo avrà “l'onore” di affievolire le pene del vedovo. Sapendo che di norma gli uomini scelgono sempre ragazze vergini, mi si chiude la gola e lo stomaco. Non riesco a fare a meno di piangere e di cercare un modo per fuggire da tutto questo. << Abbandoneresti tutto? Davvero lo faresti, Lyral? Anche tua madre? >> << Sono completamente folli a costringere una di noi due a compiere un atto sessuale! Tu a scuola non ci sei mai andata, ma a me hanno insegnato che la libertà è il diritto di ogni uomo e di ogni donna >>. Era solo ieri pomeriggio, poi è arrivata la notte e l'alba del giorno dopo. Io e Vivian eravamo rimaste nascoste nel bosco fino a notte fonda, poi eravamo

tornate ognuna nella propria casa per paura dei ceffoni. Lì avevo continuato a piangere tra le braccia di mia madre. << Sii, forte bambina mia, un giorno so che tu riuscirai a fuggire da tutto questo >>. Ci avevo creduto alle sue parole. Ci avevo creduto veramente. Ma il consiglio degli anziani ha deciso, e il nome che è emerso da questa infame decisione è il mio. Alla base della società vi è la comunità familiare: si tratta di una famiglia estesa che comprende nonni, genitori, zii, fratelli, cugini, e così via. L’uomo è il capo ed è lui che si occupa delle relazioni fra la sua famiglia ed il gruppo. Per loro, inoltre, una famiglia numerosa è una grande fortuna. Per me la più grande tra le iettature. La famiglia di Araf è composta da quattro figlie tutte sposate e dal figlio minore, Sadir. E' un ragazzino di soli undici anni ma già molto robusto e alto. Da che lo conosco non l'ho mai visto litigare con nessuno o arrabbiarsi per qualcosa. Ha sempre l'aria contenta e fino a qualche anno fa mi accompagnava volentieri durante i miei viaggi nel bosco per la raccolta della legna. Sosteneva che io ero una femminuccia e che avevo bisogno di lui per usare l'accetta. Poi però suo padre aveva ritenuto sconveniente che perdesse tempo con le donne del campo e l'aveva obbligato ad andare ogni giorno con lui a controllare il lavoro delle donne alle risaie. A me era dispiaciuto perché con Sadir mi trovavo proprio bene. Ai tempi era un ragazzino educato, gradevole e magrolino. Ora è diventato proprio un ragazzone, con quelle spalle larghe e i capelli neri che gli arrivano fin sotto le orecchie, sebbene il suo volto sia rimasto comunque quello infantile di un undicenne in procinto di attraversare la pubertà. Suo padre invece è tutta un'altra storia: porta i baffi lunghi e incolti, dove più di una volta gli ho visto intrappolati pezzi di cibo, le spalle curve verso il basso, le

braccia smilze e bruciate dal sole, i denti cariati e ingialliti dal fumo. E' un uomo arrogante, tutto d'un fascio, brutale e spesso ubriaco. Ed io dovrò lasciare la mia mamma per andare con lui... Questa sera, avvicinandomi al fuoco, mi accorgo che tutte le donne mi guardano con comione. Tutte vorrebbero dirmi qualcosa, consolarmi, ma nessuna di loro può fare nulla affinché questo abominio venga compiuto. Nemmeno mia madre, che ha preferito non raccogliersi con gli altri attorno al falò. Prima che uscissi dalla roulotte mi ha detto: << Sii rispettosa, Lyral. Ubbidisci come vuole la legge >>. Ma me lo aveva detto piangendo. Attorno al fuoco il silenzio sta diventando pesante e mi accorgo che le donne per una volta tanto non hanno alcuna voglia di spettegolare. Mi sento una condannata a morte, ho l'impressione che il mio volto non riesca ad esprimere tutto il mio disprezzo. Non faccio altro che spostare lo sguardo dal palo ad Araf, cercando di capire in fretta quale tortura sia la peggiore. La paura mi annebbia il cervello. E la cosa assurda è che, come tutti si aspettavano, non oso aprire bocca per protestare. Io che sono tanto combattiva, testarda, forte. Io che ogni mattina percorro chilometri e chilometri per andare a studiare ad Oaxaca, davanti a tutto questo non sono stata capace di trovare una scappatoia. Me ne sono stata zitta, lo sguardo basso, il cuore dilaniato, come tutti si aspettavano che fi. Gli uomini si mettono a discutere tra di loro tagliandomi automaticamente fuori dal discorso. Poi ad un certo punto si alzano, forse perché sono scoppiata a piangere, ed Araf mi si avvicina per stringermi la mano. << Io ho scelto te >>. Il rito prevede che io debba rispondere << Onorerò questa tua scelta >>, ma io non ce la faccio a parlare. Il rito prevedrebbe anche che la ragazza sorrida mentre pronuncia queste parole.

Qua le ragazze devono sempre sorridere. Se un uomo la picchia loro devono sollevarsi e sorridere. Se non lo fanno, giù ancora botte. Alla terza volta che ripete << io ho scelto te >>, allora sollevo di poco la testa e pronuncio la mia parte con un tono tombale. Non ce l'ho fatta a sorridere. Non credo che ci riuscirò più. In meno di mezzo minuto mi sono trasformata in un blocco di odio e ghiaccio. Dagli sguardi degli anziani intuisco che devo essere stata la prima ragazza talmente coraggiosa da mostrarsi inorridita davanti a questo stupro a tutti gli effetti. Qui le femmine sono considerate cani e ubbidiscono fedeli ai loro padroniuomini. Ma loro non hanno visto quello che c'è fuori da questo campo, non sanno come vivono le ragazze di città. A loro non è mai stato permesso di uscire dal campo se non per lavorare in qualche campagna o risaia qua vicino. Non sanno niente dei computer, dei bagni puliti e profumati, delle macchinette che sputano la coca-cola, delle strade asfaltate coi i semafori. L'uomo è andato sulla Luna, mentre loro hanno conquistato ben due chilometri fuori dal campo. Convinte che dappertutto sia come qui dentro non hanno mai cercato di fuggire e di reclamare i propri diritti. Se io non l'ho fatto è perché non ho scelta: reagire, urlare, fuggire, rifiutarmi di “onorare la scelta” di Araf, significa abbandonare la mia mamma. Calpestare ogni suo sacrificio, ignorare le botte e le umiliazioni che ha ricevuto per farmi andare a scuola. E allora che facciano pure di me quello che vogliono, ma non avranno mai il potere di umiliarmi o di ferirmi. Da questo momento in poi sarò una pietra, dura, inespressiva. E solo il giorno che porterò via di qua mia madre in me tornerà a brillare una piccola fiamma di vitalità. 3

La cosa che meno sopporto, quella che rischia di portarmi alla follia, è il riuscire a vedere la mia casa mentre recito la parte che mi hanno imposto. E' come essere in una prigione con la porta spalancata. E tu stai sempre lì a guardare quel varco, sapendo che comunque non puoi oltrearlo. Le figlie di Araf sono tutte molto carine con me, mi portano frutta secca, acqua, gin, mi accarezzano la testa. Ma non osano dire nulla finché Araf è presente nella stanza. Sono al corrente della mia sorte, tutto il campo lo è, basterebbe che tutti noi unissimo le nostre forze... Cento persone contro soli sette anziani. Ma agli uomini non conviene mettersi contro di loro e le donne hanno troppa paura per farlo. Il colmo in tutto questo è che gli uomini mi considerano una privilegiata solo perché Araf possiede la casa più bella di tutte. A differenza delle roulotte lui vive in una specie di baracca fatta di terra essiccata e lamiera. E' piuttosto grande, suddivisa in due stanze e ci sono delle vere porte. L'arredamento è formato da tappeti, cuscini, recipienti, pochi arnesi ed un piccolo braciere sul quale si prepara il tè o il pane. Le finestre non sono altro che dei buchi scavati nella terra essiccata. Ma, cosa più importante di tutte, c'è perfino un bagno sul retro, recintato da bassi tronchi che bisogna scavalcare. Se penso ai bagni della scuola... Qua non è altro che un buco per terra che poi la moglie – o per meglio dire io – deve svuotare in continuazione. Devo comunque riconoscere che l'interno della casa è abbastanza fresco, cosa tra l'altro che mi permette di tenere il gin e l'acqua al riparo dall'afa. Ma non basta avere questo in cambio. Io non sono un oggetto di scambio. Da quando oggi ho messo piede in questa casa Sadir ha fatto di tutto per evitarmi ed io gliene sono grata. Sono forte unicamente quando sono sola. Appena qualcuno mi parla scoppio a piangere e non c'è verso di farmi smettere. Questa sera ho evitato di mangiare insieme a loro. Mi sono nascosta nella stanza che dovrò dividere con Araf e ho chiuso gli occhi. Di tanto in tanto dalla porta fanno capolino le sue figlie, cercando di convincermi ad unirmi a loro. Poi entra direttamente Araf.

<< Devi mangiare >>. << Vattene via. Non mi toccare. Ti ammazzo se mi tocchi >>. Se ne va sbattendo la porta ed io vengo nuovamente presa dal panico. Urlare non mi servirà a niente. Posso sputargli addosso, insultarlo, piangere, strapparmi i capelli. Ma le leggi non cambiano. Soprattutto non cambiano per chi le ha decise. Un'ora dopo ritorna alla carica. Mi rannicchio in un angolo e lo osservo muoversi per la stanza, come se stesse cercando un punto sufficientemente lontano da me. Lui non parla. Io non respiro. E continua così per ore. Ore e ancora ore. Sento in lontananza gli ululati dei lupi, lo scalpiccio degli scarafaggi che si arrampicano sulle lamiere. Sento il cuore battere impazzito nell'esigenza impellente di un mio respiro. Tre suoni che si mescolano nella mia testa e mi ricordano che sono prigioniera di un tiranno, in una casa a pochi metri dalla mia. Conto i battiti del mio cuore che scandiscono lenti i minuti che mi separano dall'alba. Sola, schiacciata contro questa parete maleodorante, non posso fare altro che attendere il primo raggio di sole che segna la fine di questa tortura. Ancora non posso sapere quante albe dovrò aspettare, quante lune dovrò vedere prima che la vera tortura possa finire. Quest'uomo non mi ha sfiorata, nemmeno con lo sguardo ed io mi sento ugualmente sporca, lercia, come se mi avessero sepolto dentro una buca di fango. Sono immobilizzata in questa stanza con un uomo di trent’anni più di me, a mezzo metro dalla porta socchiusa.

Ho il terrore di restare e l'angoscia di uscire. E poi finalmente l'alba. Le prime luci del giorno cominciano a rischiarare questa stanza satura del mio odio e del suo respiro regolare. Per tutta la notte ho trattenuto l'aria nei polmoni e ho tenuto gli occhi chiusi come barriera. Qualunque cosa avesse voluto farmi l'avrei sentita, ma almeno non avrei visto il suo volto schifoso ad un panno dal mio. Quando comincio a sentire i primi i nel campo ne approfitto per sgattaiolare fuori. Corro a perdifiato verso casa mia e trovo mia madre con le braccia spalancate. Mi da un bicchiere di latte e resta seduta a terra a cullarmi per quasi tutta la mattina. << Dimmi Lyral, ti ha fatto del male? E' stato cattivo? >> << Non ho dormito con lui. E' una follia. Non possono obbligarmi a farlo. E' illegale, è una follia >>. Ricordo le parole di Sarah Clive: << Noi abbiamo solo quindici anni. Chi è il folle che vuole sposarti? >>. Allora mia madre mi ha preso il volto tra le mani. << Ubbidisci bambina mia. Ubbidisci sempre. Arriverà il giorno che te ne andrai >>. << Voglio stare con te mamma >>. << Non ora. Il tuo posto ora è con Araf >>. Allora riprendo i miei compiti quotidiani; la salita per l'acqua, nel bosco per la legna, a cui ora devo aggiungere la pulizia del bagno. Ma finirà tutto questo e la pagheranno. La pagheranno cara. Finirà tutto questo. Prima o poi la mamma mi salverà o più facilmente Araf troverà un'altra moglie. Mi attacco a questo pensiero come ad un'ancora di salvezza.

Mi ci dovrò attaccare per lunghi mesi. E sono solo al secondo giorno. Loro sono cattivi, sono delle bestie immonde. Ma non sanno che io posso essere più cattiva di loro. Nei giorni successivi Araf mi dà il permesso di stare da sola nella sua stanza, forse perché ha visto che accanto alle tempie, nel giro di una sola notte mi sono spuntati dei capelli bianchi. Questo comunque non mi esonera da tutte le faccende quotidiane. La pulizia del bagno è la cosa che più detesto: se il sole provvede ad asciugare i liquidi, di certo non fa sparire le feci. Tocca a me immergere le mani in questo schifo, negli scarti di un uomo che neanche conosco e del suo figlioletto che mi era tanto amico, e trasportarli lontano dalla casa. Ed è un'operazione che devo ripetere più e più volte al giorno, perché altrimenti le mosche e gli insetti che già infestano ogni cosa, verrebbero attirati dalla puzza acre ed avvolgerebbero la casa in una nube bianca. Il mio morale ha degli alti e dei bassi. Mi capita di pensare alla mia fuga, organizzarla nei minimi dettagli. Mi vedo correre per quei chilometri che mi separano dalla scuola e chiedere aiuto ai miei professori. Loro senza ombra di dubbio saprebbero cosa fare. Ma poi arriva lo sconforto, quando mi rendo conto che una mia fuga significherebbe rappresaglie verso mia madre. Se voglio andarmene da questo posto non posso farlo da sola. E allontanare mia madre da qui è impossibile dal momento che gli uomini non permettono a nessuna donna di uscire dal campo, se non per andare nelle campagne qua vicino per lavorare. Ovviamente sotto la stretta sorveglianza di qualche capo famiglia. Il loro controllo su di noi è totale e ben studiato. Permettono alle donne di uscire dal campo per lavorare, ma senza i loro figli. Ecco su cosa si basa il loro controllo: è superflua la presenza di un maschio nelle campagne, perché nessuna si sognerebbe di abbandonare il frutto del proprio ventre. Una madre sarebbe una donna ferita a morte lontana dal suo bambino. I primi due giorni ricevo visite in continuazione. Viene a trovarmi Nadir che a quanto pare è di nuovo incinta, Vivian e Marked, l'unico uomo con cui parlo volentieri. A mia madre non è permesso venirmi a trovare perché ormai sono una donna “momentaneamente sposata”, ma quando Araf è riunito in consiglio con

gli altri anziani, fa sempre in modo di are davanti alla finestra della mia nuova casa. Dobbiamo stare sempre molto attente e le visite non durano più di qualche minuto perché Araf dispone di un manipolo di uomini all'interno del campo che non vedono l'ora di informarlo sul mio comportamento in cambio di un semplice sacco di farina. Sadir quando mi vede mi evita in tutti i modi possibili; cambia stanza, scappa al minimo pretesto, sembra quasi gli sia ata tutta la voglia di conversare con me. Più di una volta l'ho visto addirittura distogliere lo sguardo, come se la mia presenza in casa fosse una vergogna, un'assurdità. Ma non verso i miei confronti... Verso i suoi. Come se io avessi avuto possibilità di scegliere.... Forse è solo troppo piccolo per capire. In fondo ha undici anni e per quanto riguarda i rapporti sessuali ne sa meno di me. Forse, forse, forse.... Qua è tutto un se! Non c'è una certezza, non esistono risposte che non siano evasive. Araf mi violenterà stanotte? Forse, chi lo sa? Quando rivedrò mia madre? Forse domani, forse tra un anno. Tanto per loro che importanza ha? Questo aspetto di tenere noi donne all'oscuro di tutto mi manda in bestia. E' la peggiore delle torture. Per tre giorni mi rifiuto di mangiare insieme agli altri, andando avanti con un sorso d'acqua mista a del gin. La sola vista del cibo mi dà il voltastomaco, come pure tutto il resto della casa. Araf si è dimostrato molto paziente. Mi porta la cena in camera, si sforza di bere meno acqua possibile per limitarmi i viaggi alla sorgente, mi domanda come sto. Domandare ad una prigioniera come si sente: che idiozia! Se penso che questa assurda e schifosissima legge è stato proprio lui a proporla....

Il suo volto mi dà il voltastomaco più del pensiero del cibo. Ma dopo quasi una settimana di digiuno mi sento debole, la testa gira, le braccia si fanno molli e le gambe non riescono più a reggere mentre scendo dal pendio carica d'acqua. Mio malgrado decido di unirmi a loro al pasto serale. Entro nella stanza dove è stato sistemato il braciere e vi trovo due figlie di Araf intente a cucinare al posto mio. La loro comione per me non è diminuita ma lo vedo dai loro sguardi che stanno cominciando ad essere stanche di caricarsi del mio lavoro. In questi ultimi sette giorni mi sono mossa dalla stanza solo per andare al bagno, per pulirlo e per prendere l'acqua. Questa mia astinenza al lavoro non è altro che un metodo per affermare che non sono di proprietà di Araf. In questo nostro campo, sulla famiglia e sulla sfera sessuale regna il marchio di una società patriarcale e fortemente maschilista. Ed allora nel mio piccolo mi ribello, cerco di sfiancarlo. Se Araf credeva di aver trovato in me una donna docile e sottomessa si sbagliava di grosso. Lo porterò all'esaurimento, lo sfiancherò. E allora mi rimanderà a casa dalla mia mamma. Questo è l'unico piano realizzabile che posso mettere in atto. Ci sediamo su alcuni cuscini variopinti sistemati intorno ad un grande vassoio posto al centro della stanza. Osservo gli altri immergere tre dita della mano destra dentro il cibo, aiutandosi con del pane, e ficcarsele in bocca. I loro movimenti sono disinvolti mentre i miei sono meccanici. Non voglio partecipare alla conversazione, non mi importa un accidenti sapere quello che questa famiglia fa o pensa. Non è la mia, non lo sarà mai. Mi fanno tutti schifo, perfino le figlie che portano in sé il sangue di quest'uomo il cui unico pregio è di non avermi ancora mancato di rispetto in nessun modo. Per quanto i suoi modi siano gentili e cortesi, non posso fidarmi. E nemmeno lo voglio. E' per colpa sua che sono qua. Per colpa di quella donna orrenda che sputava sotto i miei piedi e che lui chiamava moglie. Il sole sta sparendo velocemente dietro le montagne, trascinando con se tutta l'afa del giorno e troppo presto viene l'ora di andare a dormire.

Così ritorno tastoni nella mia stanzetta rifiutandomi come al solito di stendermi sul pagliericcio che per legge dovrei dividere con questa specie di uomo. Araf è stato comunque tanto comprensivo da rimediarmi una coperta e sistemarla nell'angolo duro della stanza, che ormai è diventato il mio letto. Non riesco a comprendere a fondo questo uomo tirannico e contraddittorio. Perché imporre una legge se poi non ha nessuna intenzione di farla rispettare? Forse è una tattica per addolcirmi, per ingraziarsi la mia fiducia. Come la porta della stanza sempre socchiusa, mai sbarrata. Ogni notte non riesco a fare a meno di fissare questo piccolo spiraglio, mentre Araf dorme tranquillo nel suo pagliericcio. Ascolto il suo respiro, pregando in silenzio che non si svegli, e fisso la porta socchiusa. Là dietro c'è la mia libertà: così vicina ed inaccessibile. E' un invito, non riesco a distogliere lo sguardo. O più probabilmente è una crudele macchinazione di quest'uomo che divide la stanza con me: tenermi prigioniera ad un palmo dalla libertà. Vedere cosa faccio, se cerco di approfittarne ed avere così il primo pretesto per picchiarmi. Questo metodo raffinato e sottile di tortura che esula dalle punizioni fisiche è una vera e propria violenza che non lascia alcuna traccia visibile sul mio corpo. are ogni notte a mezzo metro da questa porta aperta mi tormenta tanto da indurmi ad uno stato cronico di pazzia. Poi una notte Araf entra in camera e chiude la porta. Interpreto tutto questo come un brutto presagio e mi appiattisco contro il muro, serrando gli occhi, nascondendo il volto tra le ginocchia. Non faccio altro che ripetermi << Ci siamo... Ci siamo... >>. << Perché piangi? >>. << Perché hai chiuso la porta. Quindi ora mi picchierai, mi violenterai, mi bastonerai >>. << Tutto in una volta? >>

Dai suoi occhi grigi traspariscono pronta intelligenza ed un certo senso dell'umorismo che a quanto pare solo io riesco a risvegliare. << Quanto al mio violentarti, sarai tu che deciderai quando darti a me >>. Non ha l'aria di scherzare. Che cosa significa? Che sta succedendo? La legge è forse cambiata? O può cambiarla a suo gusto e piacere? E' ridicolo. Tutto questo è ridicolo. E' il folle scherzo di un uomo pazzo. Da che sono arrivata in questa casa mi ha rivolto la parola pochissime volte, ha incassato ogni mio sguardo orripilante nascondendo la propria indignazione dietro un sorriso paziente. Ma lo conosco da una vita e non mi lascerò ingannare dalle sue moine. So per certo che in uno come lui il divertimento può essere eggero e trasformarsi molto facilmente in collera. E allora comincio a dare il via a quella che poi sarà la mia lotta quotidiana: << Voglio tornare dalla mamma >>. << Presto ci tornerai >>. Mi aggrappo a questa esile speranza. Nei giorni successivi torno alla carica diverse volte e tutte le volte la risposta cambia. << Quando posso tornare dalla mia mamma? >> << Quando mi sposerò di nuovo >> oppure << Non ancora >> ed infine << Quando ti darai a me >>. E' dunque questo il suo sporco gioco? Fare leva sul piano affettivo, in modo tale da crearmi confusione e convincermi a dormire insieme a lui? E quindi niente violenza, la sua coscienza immacolata, intatta, perché sarei io a concedermi di mia iniziativa. Nei momenti di assoluto sconforto arrivo perfino a tampinare Sadir, ma tutte le volte mi risponde con indifferenza, facendo spallucce:

<< E' una legge decisa da mio padre, io non posso fare niente per aiutarti. E tu faresti bene a fare quello che ti dice >>. Non c'è nessuno che può aiutarmi, nemmeno la mamma le cui visite si fanno sempre più rare. Sono imprigionata in questo incubo, schiava di un tiranno beffardo che recita la parte dell'angelo mentre invece nelle sue vene scorre il sangue di Satana. Da quando io e Araf dividiamo la stessa stanza non sono più riuscita a chiudere occhio per più di due ore consecutive. La paura che possa saltarmi addosso approfittando della mia stanchezza mi fa soffrire d'insonnia. Ho gli occhi cerchiati da occhiaie livide, la pelle del mio viso se possibile è pallida più di prima, sembro uno zombie che si trascina a fatica lungo i sentieri di terriccio del campo. Le figlie di Araf non sono più tornate a trovarci sottolineando volutamente il mio nuovo ruolo in questa casa. Sono io ormai che devo prendermi cura di Araf, dividere la tavola con lui e suo figlio Sadir. Durante i pasti non ci guardiamo neanche in faccia ma questa sera, di punto in bianco, Araf mi ha inchiodata con uno sguardo autoritario ed ha fatto cenno a suo figlio di andarsene. Col cuore in gola ho continuato per un pò a mangiare, fingendo di non essermi nemmeno accorta della sua occhiata. E' sempre stato gentile con me, ma questa sera c'è nell'aria un'elettricità che non riconosco e mi fa tremare di paura. << Guardami >>. Da brava “moglie temporanea” dovrei alzare lo sguardo, ubbidire. Ma non riesco a guardarlo. Non posso farlo. Se lo guardo, è come se diventasse reale. << Ne ho parlato con gli altri anziani ed abbiamo deciso che questa situazione non può andare avanti >>. Per un attimo sento rinascere in me la speranza.

Che abbiano capito quanto è grande la mia sofferenza? << Dal momento che hai scelto di non concederti a me ho tutto il diritto di credere che mi ripudi e che alla prima occasione cercherai di fuggire con qualcun'altro. Perciò queste sono le nuove regole che dovrai seguire finché non farai chiarezza in te stessa: non potrai vedere tua madre né nessun altro uomo del campo finché non mi dimostrerai la tua completa devozione. In più ritengo sconveniente la tua presenza in quella scuola. Dio solo sa cosa vi ficcano in testa >>. A questo punto alzo lo sguardo. Mi toglierà dalla scuola? Domani finiscono le vacanze pasquali ed io sarei potuta così tornare alla mia vita, ai miei libri, a Sarah Clive. Avevo accarezzato la speranza di potermi affidare alla civiltà per scappare da questo mondo isolato e fatiscente. Invece no, non potrò tornare. Tortura sopra tortura! Un uomo può davvero arrivare a questo? L'indomani devo prendere atto che stava parlando sul serio. Nel giro di una notte la mia vita è cambiata: sono diventata una prigioniera a tutti gli effetti, tenuta sotto controllo a turno da uno degli altri anziani, gli unici uomini che hanno il permesso di vedermi. Il suo piano di convincermi a concedermi a lui è più macchinoso di quanto mi aspettassi. Ho il veto assoluto di avvicinarmi alle finestre e alla porta, Araf ha assunto addirittura una donna per prendere l'acqua al posto mio. Sono segregata in questa schifosissima casa non più grande di tre metri quadrati, obbligata perennemente a muovermi con la schiena china per non are davanti alle finestre. Il silenzio è la tortura peggiore. Gli anziani non scambiano volentieri quattro chiacchiere con me e se aprono bocca lo fanno esclusivamente per insultarmi. Araf ha fatto in modo di farmi respingere in blocco dall'intero campo, promettendo punizioni a chiunque tenti di avvicinarsi a me.

Non riesco e non voglio abituarmi alla solitudine, mi manca il vento, il caldo del sole, mi mancano perfino i topi che infestano la sorgente. Man mano che ano i giorni comincio a non sentirmi più una persona, sento che sto scomparendo, che morirò tra queste quattro pareti di terra secca dove gli scarafaggi si annidano negli angoli, depositando uova a grappoli. Si dimenticheranno tutti di me molto in fretta. Ma non mia madre. Devo continuare a credere che lei stia lottando per togliermi da questa situazione, ci devo quantomeno sperare se non voglio davvero impazzire. Dopo più di un mese di questa prigionia forzata Araf entra nella stanza e cerca di strapparmi dalle mani i libri, l'unico mio atempo. << Non farlo ti prego, ti prego. Sono miei >>. << Questi libri sono il legame con la tua vita ata >>. << Non farmi questo. Ti prego! >> << Lo faccio solo per il bene mio e tuo >>. Li consegna a suo figlio e non li vedo più. Sadir sembra provare pena per me, ma si guarda bene dal parlarmi per paura degli schiaffi da parte di suo padre. Sono riusciti a fare di me una perfetta schiava, mi hanno tolto tutto, mi hanno insultata. Una cosa è certa; non sarò mai una schiava consenziente. Morirò piangendo forse, morirò lontano da mia madre, ma non gli darò mai la soddisfazione di concedermi di mia spontanea volontà. Eppure la mia è una lotta senza speranza, sono solo una tra le tante lacrime contro cui gli uomini gettano valanghe di fango affinché il mondo non possa scorgerle. Araf è molto determinato a farmi crollare e non è abituato a trattare con donne che non si piegano davanti alla sua autorità. Glielo leggo nei suoi occhi orrendi che è frustrato e che non sa più dove sbattere la testa per obbligarmi a

comportarmi come vuole la legge. In quei momenti, quando mi guarda con un misto di rabbia e rassegnazione, mi sorprendo allegra e soddisfatta. La testardaggine mi ha fatto se non altro guadagnare qualche punto a mio vantaggio. Sarà anche riuscito a privarmi di tutto, ma non gli ho servito la mia dignità su un piatto d'argento. La nostra è una lotta senza tregua che comincia fin dalle prime luci dell'alba. << Quando ti darai a me? >> Io ribatto sempre sogghignando: << Scordatelo! >> E allora cominciano le minacce. << Non ti permetterò mai più di rivedere tua madre >>. << Dì quello che ti pare, io non sarò mai di tua proprietà >>. E finalmente mi lascia in pace. Si distende sul suo pagliericcio, io nel mio angolo. Poi si addormenta ed io resto a fissare da lontano le poche stelle che riesco a vedere attraverso uno spiraglio della finestra. Mi concentro sui ricordi, ritrovo nelle memoria i volti dei miei compagni di classe, dei professori, di Vivian, di Sarah Clive. Conservo per ultimo quello della mamma. Ogni volta che penso a lei devo tapparmi la bocca con un pugno per impedirmi di singhiozzare. Mi chiedo se qualcuno è andato alla mia scuola per giustificare le mie assenze. Probabilmente ormai mi hanno tolto dai registri. Il mio nome è scomparso, come qui nel mio campo. Sono un fantasma che solo Araf riesce a vedere. Piango senza ritegno osservando la porta chiusa, mi mangio le unghie fino a farle sanguinare, sbatto i piedi per terra per uccidere gli insetti. E intanto prego che questo uomo folle muoia nel più atroce dei modi. 4 Oggi sono stata obbligata a starmene chiusa in questa stanza per tutto il pomeriggio. Araf ha convocato alcuni uomini del villaggio per discutere di certi lavori che a quanto pare sono stati fatti male. Attraverso la porta non riesco a sentire bene quello che si dicono ma più di una volta ho sentito qualcuno

pronunciare il mio nome. Ogni mezz'ora Araf si è affacciato alla porta per controllare ciò che stavo facendo, quasi avesse paura che potessi fuggire. Se ci fosse stato anche un solo modo per scappare da questa casa ci avrei tentato. Ma la finestra è troppo stretta perché io possa arci e anche se volessi scavare un aggio nel terreno mi ci vorrebbero giorni e giorni di lavoro per riuscire a scavare una buca tanto ampia da poterci sgusciare dentro. Dopo un pò smetto di sentire le voci ed Araf fa capolino sulla porta chiudendosi la porta alle spalle. Nella penombra mi accorgo che accanto a lui c'è Sadir. Tiene la testa china, le mani incrociate sul davanti e non dice una parola. Araf lo spinge in avanti bruscamente, verso di me che sono seduta sotto la finestra a prendere aria. Il volto di Sadir, illuminato dagli ultimi raggi di sole, mi appare terrorizzato. << Questa notte io e te dormiremo insieme >>. La mia risposta è immediata: << Scordatelo! >>. Come il ceffone che mi arriva sulla tempia. << Se non vorrai fare l'amore con me allora dividerai il letto con mio figlio >>. Ormai è chiaro. Ho a che fare con un pazzo. Il mio atteggiamento fino ad oggi non l'aveva sfiancato come speravo, l'aveva solo fatto infuriare al punto tale da usare suo figlio undicenne come arma di ricatto. E vedere questo bambino tremante di fronte a me mi fa montare una collera che mi rende sorprendentemente audace. Questo schiaffo mi ha cambiata. Ora non piango più, ora insulto. << Vattene via uomo di merda. Vattene via. Sei solo feccia, mi fai schifo. Tu e i tuoi discendenti mi fate vomitare! Sei una lurida merda >>. Araf diventa una belva, si sporge in avanti e comincia a colpirmi alla fronte, sugli occhi, alle tempie. La bocca mi si riempie dell'odore metallico del sangue. Scalcio, colpisco l'aria, sputo invettive in mezzo alle urla. Tutto questo sotto lo

sguardo impotente di Sadir, che non ha osato muovere un dito per frenare l'ira di suo padre. Più colpisce, più dentro di me nasce la determinazione. Finché qualcuno che non riesco a riconoscere subentra nella stanza e ci separa, trascinando fuori Araf. << Che diavolo ti è preso di insultare così mio padre? >> Sadir è fuori di sé ma non riesco a capire se è solo spaventato o se è arrabbiato per la mia scenata. O se tutte e due le cose. Si muove nella stanza a scatti, con movimenti veloci, dettati dalla collera. Qualcuno nelle roulotte qua accanto deve aver sentito le mie urla ed essere andato ad informare gli anziani. Per quanto un uomo abbia il totale diritto di picchiare una donna se questa non rispetta le sue leggi ed i suoi ordini, le mie urla devono aver spaventato qualcuno tanto da indurlo ad intromettersi in faccende che non gli riguardavano. Ovviamente tutti al campo sanno della mia ostinazione di rifiutare le attenzioni di Araf e questo senza dubbio non è un bene per la sua virilità. Ma forse nessuno si aspettava tanta brutalità da parte sua. Eppure so di essere ad un bivio. Man mano che mi calmo subentra in me la consapevolezza che la mia testardaggine, oltre a non avermi tolta da questa situazione, mi porterà a correre rischi ben peggiori di quanto possa correrne dividendo il letto con Araf. Dopo un pò Sadir se ne va. Nei giorni successivi i rapporti tra me e Araf peggiorano ancora, oscillando tra percosse ed insulti. Deve comunque essersi reso conto che il suo atteggiamento per quanto “giustificato” non è ben apprezzato dagli altri del campo, perciò quando mi picchia sta bene attento a coprirmi la bocca con la mano. Il trattamento speciale è finito: basta coperta, se voglio mangiare posso farlo solo dopo che Araf e Sadir hanno finito e se ovviamente è avanzato qualcosa.

Per giorni interi vado avanti ad acqua e gin, che non riesce più a stordirmi perché il mio organismo ne è assuefatto. Quando Araf è fuori, al fuoco o in consiglio con gli altri anziani, Sadir mi getta dalla finestra qualche pezzo di pane. Mi sento un animale. Smarrita, sola, braccata. Non c'è più niente che possa farmi sperare che uscirò viva da questa casa. Ho le spalle contro il muro, un muro retto dalle brutali sevizie che alcune menti egocentriche e ipocrite hanno partorito. Ho smesso di contare le ore. Giorni e notti si mescolano in un'alternanza di urla, paura e minacce. Oggi è il mio compleanno: compio sedici anni. Ma nessuno mi farà gli auguri. Io, Lyral, non sono più una persona, non sono più una figlia. Non sono niente. Araf rientra dal consiglio ed io mi rannicchio nel mio angoletto. Lo sento conversare a lungo con suo figlio, infine il suono secco di uno schiaffo interrompe la conversazione. Spalanca la porta, tenendo Sadir per il collo e mi guarda con l'espressione di chi sa che non ho scelta. << O me o lui >>. Sadir frigna in modo vergognoso, non riesce nemmeno a tenere gli occhi aperti, la saliva gli cola dagli angoli delle labbra. La gengiva superiore è spaccata. La vista di questo bambino, obbligato dal padre a fare sesso con una ragazza più grande di lui, è una scena orribile, più di quanto potrei sopportare. Le due scelte mi turbinano in testa martellando al ritmo del mio cuore. O me o lui, ha detto. So che è abbastanza folle e che non sta mentendo. Non ho via d'uscita, Araf mi ha spinta davvero con le spalle al muro. La scelta dipende da me: ferire a morte un bambino di soli undici anni o essere violentata da questo brutale tiranno che altri non è che il mio carceriere. Fisso il suo volto spietato e mi costringo a sputargli addosso la mia risposta: << Scelgo te >>. Ho tentato in tutti i modi di far trapelare da queste mie due parole tutto l'odio che sento nei suoi confronti, compreso il disgusto. Ma tanto a che serve? A lui non importa un accidenti se sono disgustata o meno. A lui importa solo che lo rispetti. Gli importa che il suo onore e la sua virilità possano tornare ad essere

riconosciuti tra le persone di questo campo. E' solo un maledetto e infame perverso. Perverso, perché la violenza che mi ha inflitto non è mai stata seguita da alcun senso di colpa. In piena consapevolezza e con modi calcolati ha agito in maniera tale da arrivare a portare me stessa a sentirmi dare un consenso che mai e poi mai avrei dato se fossi stata io sola a pagarne le conseguenze. Sapeva che non avrei mai accettato che a Sadir venisse rubata l'adolescenza per colpa della mia testardaggine. Ed è anche un narcisista che cerca un legame con me al solo scopo di annientarmi fisicamente e psicologicamente. Prima era tutti sorrisi, moine e favori speciali. Ma in realtà era tutta una farsa. Non mi aveva mai vista come una persona, bensì come un oggetto. Un pezzo di carne bellissimo con lunghi capelli biondi e grandi occhi verdi che aveva il potere di scatenargli una libido che sua moglie non era più in grado di fare da anni. Sadir se ne va ancora piangente e nella stanza restiamo solo io ed Araf, ognuno con la schiena poggiata sulle pareti. Uno di fronte all'altro. Non si preoccupa di chiudere la porta, tanto sa che non ho via di scampo. Lo sento ridere, come se io, lui e il letto facciamo parte di uno scherzo divertente. Quanto mi piacerebbe che fosse tutto uno scherzo. Chiudere gli occhi ed aprirli nella mia vera casa, con mia madre che mi culla come faceva ogni volta che ero malata. In questo momento divento un'estranea al mio stesso corpo; non sono io ad essere qua, in questa stanza puzzolente e calda, non è a me che queste mani stanno accarezzando la schiena. << E' legge che noi due dormiamo insieme. E' una tradizione che seguiamo da decenni. E ad un anziano si richiede un certo rispetto per le tradizioni >>. Mi stendo nel letto e chiudo gli occhi. Non ho alcuna voglia di piangere, in me non c'è paura né alcun tipo di dolore. Solo il vuoto infinito di un incubo.

Sento muoversi il pagliericcio sotto il peso di Araf e un momento dopo le sue labbra si scontrano per la prima volta contro le mie. Per quanto questa sia una notte afosa, la mia pelle si fa di ghiaccio. Nella mia testa ripeto << Non sta succedendo a me... Non a me... Non a me... >>. Io non esisto più, sono solo un blocco di ghiaccio e di repulsione per questo uomo che è steso ormai completamente sopra di me. << Va tutto bene, non avere paura. La prima volta le donne ne hanno sempre. Fa male solo in un primo momento, poi resta solo il piacere >>. E solo a questo punto mi torna in mente il volto del mio primo amore, la nostra unica notte ata insieme. Il dolore in quest’ultimo periodo mi aveva fatto dimenticare l'unica bella esperienza della mia vita, come pure la decisione di Araf di scegliermi in quanto vergine. Non sospetta assolutamente che alla base della mia tensione ci sia il disprezzo e la ripugnanza. Mi crede vergine, perché come tale mi sono sempre dichiarata non essendo sposata. Non ho alcun ricordo della sua carne che entra nella mia, ma i suoi occhi sgranati che mi fissano offesi e traditi ce li avrò stampati in testa per molto tempo. << E' per questo che mi hai fatto aspettare per tutto questo tempo? >>. E a questo punto comincia la vera violenza, la sua giusta punizione per il mio tradimento, il suo desiderio incontrollabile di annullare in me ogni segno di femminilità. Le mie lacrime, quante e quante lacrime, accompagnano il mio tormento, si mescolano al sudore della mia fronte. Ogni parte di me, in difesa ai colpi brutali di Araf, si annulla, scompare, cessa di esistere. Restano solo le lacrime, lacrime, lacrime e lacrime... Numerose come le stelle che, in mezzo a tanta sporcizia, riescono ancora non si sa come a brillare. La mattina dopo mi sveglio tardi, con un senso di nausea che mi fa girare la testa. Araf è in piedi davanti a me, le mani sui fianchi.

<< Complimenti! Sei stata brava a recitare la parte della verginella. Con quanti? E quante volte? >>. << Una sola volta >>. << Voglio sapere il nome >>. << Che importanza ha? Adesso voglio andare dalla mia mamma. Me lo hai giurato >>. Araf urla in preda ad una collera feroce: << Non ho pazientato più di un mese per una puttana! Dammi un nome >>. << Non è del campo. Fammi andare dalla mamma >>. Il litigio va avanti a suon di schiaffi per ancora qualche minuto. Poi getta ai piedi del pagliericcio un foulard colore dell'oro e se ne va sbattendo la porta. Il foulard è il simbolo che una donna non è più vergine, per questo fino ad oggi non l'ho portato. Ora che mi sono data “volontariamente” ho riacquistato il diritto di uscire da questa casa anche se non ho il permesso di abbandonare mai il campo né di avvicinarmi ai confini. Se voglio andare alla sorgente, le figlie di Araf o qualche altro uomo del campo mi devono accompagnare perché sono l'unica che ha visto il mondo esterno e che sa come raggiungerlo. Hanno tutti paura di una mia fuga, ma in cuor mio so che non scapperei mai senza mia madre. Per uscire di casa devo mettermi, con grande soddisfazione di Araf, il foulard in testa. Mi avvolgo i capelli dentro questa stoffa color dell'oro con un misto di irritazione e vergogna perché è la prova che questa notte io e Araf abbiamo diviso il letto. Ecco perché lui è tanto soddisfatto mentre lo indosso. Ma non mi importa, che mi guardino pure tutti quanti, che pensino quello che vogliono, in testa ho solo il pensiero di raggiungere mia madre. Mi bruciano gli occhi per l'insonnia e per le lacrime, sul volto ho ancora i segni dell'ultima litigata con Araf, sotto invece, dove nessuno può vedere, mi sento

mutilata. In una sola notte mi sono stati strappati tutti i ricordi piacevoli legati all'amore. Tutti! Volevo amare, sposare il mio primo amore, danzare con lui sotto il cielo stellato, costruire con lui una vera casa. Non c'è più niente di tutto questo, hanno distrutto tutti i miei ricordi, si sono portati via ogni mia speranza, hanno insozzato la mia giovinezza, il mio corpo e la mia anima. Hanno saccheggiato tutto quanto e gli hanno dato fuoco. La Lyral di un tempo è morta. Di me non è rimasto altro che un fascio d'odio. Io che volevo tanto amare... Mia madre non riesce a staccare gli occhi dal mio foulard che col suo colore dell'oro si mescola ai miei capelli. Da lontano sembra quasi che abbia la testa coperta di fili d'oro tanto sottili che sembrano essere caduti casualmente tra le ciocche. Non sono assolutamente fiera di questo simbolo di bellezza che mi porto addosso e che segna il mio aggio da adolescente a donna. Nemmeno mia madre lo è. Ma questa è la legge. Ci gettiamo una tra le braccia dell'altra, singhiozzanti, tremanti, ignorando le occhiate degli altri uomini che mi hanno scortata fino a casa sua. Parlare con loro accanto è difficile, perciò cerchiamo di abbassare la voce. Non vuole sapere nulla riguardo la mia prima notte con Araf, ma ogni volta che gli occhi le cadono sul foulard, un'altra ondata di lacrime le bagna il volto smunto, pallido. Mi racconta quello che è successo durante la mia “assenza”, mi parla di Samay, la figlia minore di Nadir di soli dodici anni, che si è sposata con Marked e c'è stata una grande festa. Mi parla anche del lavoro massacrante nelle risaie e di quanto sia stanca. Quando io ero con lei mi occupavo dell'acqua, della cucina, della pulizia della casa. Ora è da sola a fare tutto questo e in più deve are quasi dieci ore al giorno nelle risaie, con la schiena piegata e le gambe immerse nell'acqua. Sento l'impellente bisogno di torcere il collo ad Araf. Non ho mai desiderato la morte di nessuno. Prima di questo momento. Si è fatto tardi e gli uomini mi fanno segno di sbrigarmi. Ci salutiamo baciandoci sulle guance e dandoci appuntamento per il giorno dopo. Prima che io mi avvii lungo il sentiero che porta alla casa di Araf mi abbraccia ancora.

<< Prima o poi finirà. Tu lascerai questo campo Lyral. Abbi fede, un giorno lascerai tutto questo ed allora potrai vivere da libera >>. Libera! Ormai non so più nemmeno cosa significhi questa parola. Sono solo una schiava che sta camminando in mezzo a due carcerieri che la scortano alla sua prigione. Il rientro a casa è un vero enigma. Non so se Araf sarà allegro, infuriato, ubriaco o voglioso. Anche se non approva di buon grado che io vada a far visita a mia madre, sa che non può impedirmelo. Ogni donna è libera di muoversi come le pare e piace all'interno del campo. E finché io mi dimostrerò sottomessa alle sue regole non può aggrapparsi a nessun appiglio per impormi punizioni assurde e divieti osceni. Entro nella mia cameretta, mi libero del foulard e mi affaccio alla finestra. Mi capitava sempre più spesso di restare ore intere con lo sguardo fisso nel vuoto. Ma ora ho qualcosa da guardare. Dal piccolo spiraglio della finestra vedo la luce di casa mia. Mi sembra quasi di poterla toccare allungando il braccio. Invece è così distante. Ripenso a Samay, ai suoi occhi neri e rotondi, al suo volto infantile. Nadir sicuramente non avrà obiettato a darla in moglie in cambio di un mucchio di soldi. Per lei è un fatto totalmente normale separarsi tanto presto da una figlia. Qui da noi funziona così. Siamo guidati da usanze arcaiche e riti schifosi. Mi sarebbe piaciuto partecipare alla cerimonia nuziale per poter consolare quella bambina e convincere Marked a non seguire il rito della prima notte di nozze. E' un'oscenità imporre tali riti ad una bambina di dodici anni. Alla fine della cerimonia nuziale, mentre il marito si diverte a bere con gli amici fingendo di non aver alcuna fretta di raggiungere la moglie – perché la sua superiorità nei confronti del sesso opposto deve essere confermata dal tempo che a con gli amici – la sposa viene condotta a casa. Quando questo si decide ad entrare, la afferrano per le braccia, le divaricano le gambe e offrono all’uomo la vagina, invitandolo ad introdurvi il dito. Le donne infine fanno coricare la

sfortunata sopra un panno bianco su cui viene raccolto il sangue verginale. Il panno verrà poi mostrato a tutti gli invitati a riprova della illibatezza della sposa ed appeso all'ingresso del campo. A questo punto le parenti si ritirano e gli sposi vengono lasciati soli. Chissà se Marked ha tenuto fede a questa barbara tradizione? Chissà quanto hanno lacrimato gli occhi di quella piccola dodicenne mentre dita enormi entravano dentro il suo minuscolo corpicino al solo scopo di dimostrare la sua verginità ed aprire la strada al marito. Li odio, li odio, li odio. Se avessi abbastanza coraggio appiccherei un fuoco all'interno del campo e poi ballerei sopra le ceneri di tutti loro. Araf rientra per la cena, sento i suoi i pesanti avvicinarsi alla porta della camera con un leggero ritardo. Un secondo dopo è alle mie spalle, il volto rigido per la rabbia. << Sei molto bella. In questo momento anche troppo >>. Comincio a tremare, leggendo tra le righe di questo complimento una minaccia fin troppo poco velata. Il pensiero del sesso mi ripugna, i miei sensi ormai sono stati completamente mutilati. Se ora si presentasse il mio primo amore non riuscirei nemmeno ad accoglierlo con amore fisico. Sento il suo alito addosso alla clavicola ma non riesco a muovermi. << Lyral, sei davanti alla finestra, tutti gli uomini posso vederti >>. << Mi hanno vista anche oggi >>. << Ma da quel che mi hanno riferito avevi i capelli coperti >>. << E' buio, nessuno può vedermi >>. << Non sapevo che, quando sai di non essere vista, te ne vai in giro nuda >>. Sto per perdere la pazienza.

<< Ti sono fedele. Non ti basta? >> << Preferirei che non ti mostrassi agli altri come una donna che si da >>. E come ogni giorno, inevitabilmente, ha inizio la nostra lotta. << Rimandami a casa da mia mamma >>. << Presto ci tornerai >>. << Quando? >> E' tutto inutile. Il nostro è un dialogo tra sordi. Posso urlare, piangere, gettargli addosso una valanga di ingiurie... Lui abbozza, come se niente fosse. Come se non mi sentisse. Ogni volgarità che esce dalla mia bocca gli scivola addosso, posso continuare anche tutta la notte a sputargli addosso tutto il mio odio, tanto sarebbe come parlare al vento. A lui importa soltanto che la sua reputazione non venga macchiata dal mio carattere esuberante e ribelle. << Togliti dalla finestra e mettiti questo fottutissimo foulard >>. << Sei una merda! Te la farò pagare. Marcirai all'inferno. Che tu sia maledetto! >> Alza una spalla, guardandomi come se fossi un'oca starnazzante che cerca di non farsi tirare il collo. A volte mi domando se le mie urla non servano ad altro che alimentare il potere che sente di avere su di me. Probabilmente ogni giorno fa un resoconto dettagliato delle nostre litigate per giustificare le mie grida e per farsi consolare da quelle fecce dei suoi amici anziani. Nessuno osa comunque mettersi contro di lui. Anzi, più urlo, più mi ribello, più lui ottiene rispetto e pietà dagli altri uomini. Mi devo quindi controllare? Fare credere a tutti che mi sono sottomessa ed adeguata a questa mia nuova condizione? Infine il suo pugno diretto alla mia mandibola conclude questa giornata iniziata tanto bene.

Mi ero promessa di mostrarmi mite e devota, ma il giorno dopo già alle prime luci mi metto a tampinare Araf tormentandolo senza tregua. << Quando posso vedere mia mamma? >> Per mezza giornata mi ignora, cambia stanza appena mi vede, mi scansa con brutalità. Infine acconsente. << Ti ci porterò io >>. << Non vengo da nessuna parte con te >>. << Allora niente visita a tua madre >>. Mi arrendo, abbasso lo sguardo e lascio che le sue mani mi sistemino bene il foulard in testa.. E' diventato molto abile ad ottenere qualunque cosa da me. Fino a qualche giorno fa avrei preferito la morte piuttosto che concedermi a lui. Ora sono solo una marionetta che può manovrare a proprio gusto e piacimento. Mia madre deve essere stata avvisata da qualcuno del nostro arrivo perché quando ci avviciniamo alla roulotte la troviamo di fuori in compagnia di alcune donne e dei loro mariti. Mi accorgo che man mano che mi avvicino gli uomini distolgono in fretta lo sguardo da me e fanno reverenti inchini ad Araf. Sanno bene che la pena inflitta a chi osa guardare la donna di proprietà di un anziano potrebbe essere letale. Con mia grande sorpresa gli uomini ci lasciano da sole per recarsi al bar, quindi ci nascondiamo all'interno della roulotte per avere un pò di privacy dal momento che le donne non hanno alcun pudore nel chiedermi com'è Araf a letto. Che mia madre sia davanti a loro è un fatto del tutto irrilevante. E per la prima volta, con angoscia, mi chiede di quale natura siano i miei rapporti con il mio “padrone”. Le racconto delle botte, delle estenuanti litigate, del lavoro umiliante che sono costretta a fare per lui, le parlo del bagno e di quante volte devo pulirlo, le ripeto fino allo spasimo di quanto lo odio. Ma mi tengo per me l'umiliazione atroce

della nostra prima notte insieme. Ad una madre non si può raccontare della violenza subita, perché in nessun modo posso spiegare come Araf riesca a mettere in pratica le sue sevizie, perché non esistono parole che possano far comprendere ad altri il tormento e l'umiliazione che ho nel cuore. E di nuovo quella sua frase su cui non avevo motivo di dubitare. << Tu te ne andrai di qui prima o poi. Abbi fede, Lyral, bambina mia. Tu te ne andrai >>. Se non fossi stata tanto ingenua forse avrei impiegato meno tempo a capire... << Tu mi parli sempre di un mondo migliore, esalti la vita fuori dal campo. Io le poche cose che so sono quelle che tu mi racconti. Ma ti giuro, Lyral, che prima o poi quel mondo sarà tuo >>. << Sarà nostro >>. << Mio non lo sarà mai. Ho sempre vissuto qui, e qui sono le mie radici >>. << Non fuggirò da questo campo senza di te. Non ti arrendere così. Fidati di me, di quello che ti racconto >>. << Appartengo a questa comunità e non voglio lasciarla >>. Se non ci fossi io a spronarla con i miei racconti, mia madre si sarebbe già lasciata andare da molto tempo. E' per me che ha resistito, è per me che ha lottato contro le leggi del campo per permettermi di andare a scuola. Ora come ora, ho la testa in balia di pensieri contraddittori. Mi manca la scuola, le eggiate con Sarah Clive, i parchi curati, le strade pulite, i cornetti caldi che mi portava sempre il mio primo amore la mattina presto quando entravo in classe. Ma allo stesso tempo penso che non sia stato un bene scoprire la realtà fuori da questo campo. Se non avessi mai varcato i confini imposti a noi donne, non avrei avuto modo di rimpiangere niente, non avrei avuto nostalgia di nulla. Non saprei che là fuori c'è un mondo migliore, sarei nell'ignoranza, come tutte le altre donne cresciute con l'idea di essere inferiori agli uomini e completamente sottomesse a loro. Per mia madre, Nadir, Vivian è facile non porsi domande, non ribellarsi. Ma io so. Per me è impossibile, perché a me hanno insegnato il vero significato di libertà.

Chiunque osi alzare la voce contro questo regime dittatoriale è punito con terribili torture, fisiche e psicologiche. Vengono poi rigettati nella comunità come pezzi riciclati in una discarica, con addosso ancora i segni fisici e mentali della pena subita per il solo scopo di creare terrore tra la gente e soffocare sul nascere qualsiasi protesta. Questa non è libertà. Non è la libertà che mi hanno insegnato. Ed io questo lo so. Ma resterà un concetto completamente estraneo nella mentalità delle donne di questa comunità dittatoriale. 5 E' ato un anno. Ed io sono ancora qua. Il mio comportamento, i miei pensieri, i miei sentimenti, tutto è cambiato radicalmente. Ho barattato la fiducia in me stessa e negli altri con un senso di disperazione, di nullità ed impotenza. La peggior sevizia che Araf mi ha imposto in tutto questo tempo è stato mettermi di fronte a infinite serie di comunicazioni contraddittorie, false, e che hanno avuto il potere di confondermi. Mi ha fatto diventare cattiva. Ed io non voglio esserlo.... Ho continui mal di testa, soffro d'insonnia, comincio ad avere una percezione sbagliata del mio corpo. Sono apatica. Mi sento una morta vivente. Ma tutto questo non mi impedisce di odiarlo fin dal profondo delle viscere. Mi sono finta docile per paura della sua brutalità, ho chinato la testa tante e tante volte, ma non sono mai riuscita a fingere con gli occhi. A parole non gliel’ho mai detto, per paura di un pugno o di un calcio nei reni, ma con ogni mio sguardo gliel’ho urlato il mio disprezzo. Durante i nostri amplessi sono diventata abile a separare la testa dal corpo, eppure si è creato in me un circolo vizioso in cui le sue torture continuano a ripresentarsi nella mia mente.

La violenza è ormai diventata parte integrante della mia vita. A volte mi domando se c’è qualcosa di orribile che io ancora non conosca. Tutte le atrocità che un cervello folle può inventare le ho provate sulla mia pelle, le ho sperimentate ora dopo ora, per un lungo anno. Un pomeriggio mentre sto tornando con Vivian dall'ultimo viaggio per la raccolta dell'acqua, trovo Araf che mi aspetta davanti casa, sbracciandosi per dirmi di sbrigarmi. << A Samay le si sono rotte le acque. Sbrigati! >> << Hanno chiamato la vecchia? >> << Non c'è tempo >>. << Perché devo andarci? >> << Tu hai studiato. Vai! >> Lascio cadere i secchi davanti a casa e corro lungo la discesa che porta direttamente al centro del campo. Per arrivare alla roulotte di Marked devo are davanti a tutte le altre case, percorrere un tratto all'interno del bosco e poi arrampicarmi su una salita attraverso un sentiero strettissimo che sembra scolpito nella roccia. Quando arrivo trovo una decina di donne piangenti che si dimenano senza saper cosa fare. Come loro, anch'io sono completamente ignorante in materia, ma ovviamente Araf è convinto che saper scrivere e leggere basti per essere una levatrice. Gli anziani del campo mi avevano permesso di andare a scuola per far sì che diventassi un medico. Perché ovviamente nel campo non sono ammesse persone estranee e sarebbe comunque inammissibile che qualche uomo o qualche persona al di fuori della comunità possa visitare così intimamente una donna – bambina – sposata. Che muoia piuttosto, l'importante è che nessuna la veda. Dubito che Marked sia d'accordo su questo, ma come tutti non può far niente per cambiare questa legge arcaica. Quando ancora avevo il permesso di uscire dal campo per andare a scuola, tutti

mi chiamavano “la dottoressa”. Ma io non ho alcuna conoscenza in fatto di parti e col are dei mesi era sembrato che tutti avessero voluto farmi dimenticare le poche cose che avevo appreso. Alcuni giorni fa avevo dovuto fare uno sforzo mentale enorme solo per ricordarmi le date di alcune guerre importanti. Come quella del Libano, del Vietnam. Ormai mi sembra che la scuola, i libri di Barlybooks appartengano ad un'altra vita. Entro nella roulotte e vedo Samay gemente su una specie di brandina. Tiene la schiena incurvata, il pancione è una visione raccapricciante su quel corpicino appena sufficientemente forte per trasportarsi un simile peso. Le lenzuola sono macchiate, deve aver già perso le acque come sosteneva Araf. Mi chino su di lei e cerco di capire cosa le stia causando dolore. Come ho già detto non so niente in fatto di parti, ma gli occhi di Samay che mi fissano supplichevoli mi spronano a non fuggire in lacrime. Mi tremano le mani, non so cosa fare, l'unica cosa che so è che quel bambino deve uscire dalla pancia prima che la madre muoia. Il rischio di morire per complicazioni durante il parto è molto elevato qua da noi e non ci vuole una laurea in medicina per capire che il rischio che sta correndo la piccola Samay è almeno cinque volte superiore a quello che corrono le donne di età compresa tra i venti e i trent'anni. Solo gli uomini, nella loro brutale e voluta ignoranza, non possono capire che Samay non è fisicamente pronta alla gravidanza. Le stringo la mano, cerco di confortarla cantandole qualche canzone mentre il tramonto da inizio ad una notte carica di gemiti e di urla. ano le ore, è di nuovo giorno, il caldo comincia ad appiccicarmi i vestiti addosso alla pelle. Samay si sveglia di punto in bianco da un sonno tormentato, impunta i gomiti sulla brandina e comincia a spingere con tutta la forza che ha. Il volto le si arrossa per lo sforzo. Mentre le stringo la mano, un pensiero egoistico mi a nella mente: Samay oggi con il suo dolore mi ha permesso di are una notte lontana dal mio carceriere.

Poi finalmente vedo uscire la testa coperta da lunghi capelli neri. E' enorme rispetto al piccolo foro dal quale sta spingendo per uscire. Le urla di Samay mi fanno accapponare la pelle. Nadir entra e mi porge un coltello sporco di terra sulla punta. << Devi tagliare il cordone ombelicale >>. Mi ritraggo. << Fallo tu >>. Samay comincia ad urlare ancora più forte coprendo i gemiti soffocati del bambino. L'odore del sangue si espande per tutta la roulotte. Mi copro il volto, spaventata, esausta, mentre Nadir si sporge sopra di me per incidere un taglio netto nel cordone ombelicale. << Schiacciale la pancia >>, mi ordina dopo un pò. << Perché? >> << Devi far uscire la placenta >>. Allora mi inginocchio e comincio a premere i palmi delle mani su quel ventre tondo e sformato. Ogni volta che premo, altri fiotti di sangue colano lungo la brandina. Samay ha gli occhi chiusi, non urla più, sembra svenuta. << Premi più forte! >> Mi attacco a quella pancia mentre Nadir esce dalla roulotte col bambino in braccio per posarlo sulla terra. Per noi la terra è simbolo di fertilità e di forza perché da essa infatti nasce la vita. Schiaffeggio Samay, la obbligo a mettersi seduta perché non voglio che si addormenti. Dopo un'ora estenuante la sacca insanguinata esce dal ventre di Samay. La copro con una coperta bucherellata e scappo da questa roulotte in cui l'aria è intrisa del sapore del sangue. Secondo le abitudini, ora bisogna scavare una fossa nel terreno e riempirla di gin, infine bisogna immergerci il neonato per purificarlo. Nadir poi lo cosparge di olio per fortificarlo e gli mette al collo un amuleto per proteggerlo dagli spiriti

cattivi. Solo allora una volontaria va ad avvertire il padre. Marked arriva dopo pochi minuti, e prima ancora di assicurarsi sulla salute della moglie vuole riconoscere il figlio. Le sue grida d'orgoglio rimbombano tra le pareti di queste montagne: ha saputo di essere diventato padre di un maschio. Anch'io sono contenta del sesso del bambino. Per lui la vita in questo posto sarà senz'altro più facile. Dopo questa esperienza non ce l'avrei proprio fatta ad esultare se fosse venuta alla luce una femmina. Un'altra schiava. Marked solleva suo figlio verso il cielo, mettendogli al collo un filo rosso. Con questo atto dimostra di riconoscersi come padre. Poi insieme invochiamo la protezione di San Cristoforo. Nei giorni successivi Araf mi proibisce di tornare da Samay, seguendo una logica contorta del suo cervello. Ammesso che ne abbia uno. Quando gli ho chiesto del perché non volesse farmi incontrare Samay mi ha risposto: << Ho le mie ragioni >>. Quest'uomo è completamente folle, perfido e contraddittorio. Ho appreso da mia madre che Samay sta bene, ma non riesco a crederle. Quando non subentra la morte durante il parto so bene cosa succede alle “mamme – bambine”. La pressione della testa del feto le provoca lacerazioni della vagina che fanno insorgere delle fistole. E le fistole causano a loro volta incontinenza. L’odore di urina che proviene dalla fistola è così forte che le ragazze sono piene di vergogna. Alla fine sono scansate, abbandonate dall’intera comunità e restano sole. Il marito stesso non tollera la loro vicinanza. Benché ormai sia più di un anno che vivo in questo stato vegetale, non ho mai perso la fede nel mio Dio. Non riesco a capire del perché mi abbia imposto un tale fardello da sopportare, ma so che senza di Lui, senza il Suo aiuto, non uscirò mai viva di qui. Perciò intensifico le mie preghiere. Prego Dio che Samay stia bene veramente. Non posso fare altro per lei.

Prego Dio anche per me, lo supplico di non farmi rimanere incinta di un uomo come Araf. Dopo aver visto quella bambina partorire come una bestia abbandonata a sé stessa, ho cominciato ad aver paura per me. Comincio a temere i miei rapporti con Araf, non come tali, ma per quello che potrebbero creare. Invidio la forza fisica ed il coraggio d'animo di Samay, perché io non ce l'avrei mai fatta a sopravvivere ad una simile tortura. Sta succedendo qualcosa di strano a me ed Araf, qualcosa che non riesco a decifrare. Araf appare più controllato, meno minaccioso e contraddittorio. Mi permette di andare a far visita a mia madre ogni volta che voglio, un giorno le permette addirittura di fermarsi a cena da noi. Esteriormente sembra quasi si sia calmato, si sforza di essere gentile, di cercare un dialogo con me. Una sera, dopo il lavoro, mi da una busta marrone. << E' un regalo per te >>. Che meraviglioso atto di tregua! Come se un regalo bastasse ad annullare tutto ciò che mi ha fatto patire. Mi ha riciclato un foulard color acqua marina perché sostiene che quel colore mi fa somigliare ad un'odalisca. Col are dei giorni si addolcisce, eppure i suoi occhi mi osservano con una certa freddezza, le sue parole restavano calcolate. Non devo fidarmi di lui. Sta tramando qualcosa, ne sono certa. Questa stessa sera, appena ci mettiamo a letto, mi infastidisce per una manciata di minuti e quando lo respingo si gira sul fianco e si mette a dormire. Il giorno dopo, mi permette di partecipare alla festa della dea Bibi. Questa festa annuncia l'inizio della primavera. In onore della dea viene sacrificato un agnello e parte delle carni vengono appese ad un albero, affinché gli spiriti buoni se ne cibino e continuino ad essere benevoli. Per noi questa dea è rappresentata esattamente come Kalì, la dea che in India è venerata come la compagna di Shiva. La consideriamo la protettrice dei bambini.

Per tutta la sera ho potuto parlare con mia madre, chiacchierare con le altre donne. Ho visto da lontano Samay, che non ha avuto il coraggio di avvicinarsi col bambino. Marked è senza dubbio un “marito” migliore del mio. Da quel che ho potuto scoprire le permette ogni cosa, si fa carico addirittura del suo lavoro domestico, è affettuoso col figlio. Se io fossi nella stessa situazione di Samay, non credo che Araf mi permetterebbe di assistere alla festa da lontano. No, molto probabilmente mi costringerebbe a stare in mezzo alle altre persone, infischiandosene se le fistole infestano l'odore della carne d'agnello e rabbrividiscono l'olfatto di tutti gli altri. Marked invece sa cosa significa portare i segni sul corpo di una tortura.... Generalmente le feste qua da noi si concludono con un grande ballo: l'Atan. Esso viene eseguito al suono di un grande tamburo, il dull, accompagnato dal canto di alcune donne anziane che intonano canzoni d'amore. Al centro, accanto al fuoco, di solito sta il suonatore che batte colpi via via più accelerati sul dull, mentre intorno noi balliamo guidati da un coro sempre più alto di battiti di mani e risate. Dura fino a quando noi ballerini, esausti, ci lasciamo cadere a terra uno dopo l'altro. Ho ballato tutto il tempo tra le braccia di mia madre, e per tutto il tempo ho immaginato che eravamo due farfalle che stavano volando in alto, verso il cielo stellato, puntando contro la luna. Qualcuno aveva avuto il coraggio di andare fin lassù... A me fino a qualche giorno fa non era permesso nemmeno di percorrere poche centinaia di metri per andare a trovare mia madre. E l'uomo è andato sulla luna! Il Mondo è in continuo movimento, punta al progresso, muta in base alle scoperte tecnologiche. Mi chiedo quali siano le ragioni che spingono la mia comunità a voler restare legata ad usanze preistoriche che farebbero rabbrividire perfino il più arcaico degli uomini. Finita la festa Araf mi fa scortare a casa da suo figlio con la promessa di raggiungermi al più presto. A peggiorare la mia situazione, ora si è messo in testa che dobbiamo are molto più tempo insieme, che dobbiamo imparare a conoscerci. Sono sempre più convinta che ci sia sotto qualcosa.

Quando rientra è notte fonda. Sadir dorme beato sul pavimento, accanto al braciere. Io me ne sto nell'altra stanza, col naso appiccicato alla finestra per prendere aria. Gli odori della casa mi danno il voltastomaco. << Dovresti dormire >>, mi dice con quel suo sorrisetto di complicità. L'insonnia sempre più spesso mi obbliga a restare ore ed ore con gli occhi spalancati. Tanto che ormai conosco a memoria ogni crepatura sulle pareti di questa stanza. Mi distendo sul letto, tenendo i muscoli totalmente rigidi, in attesa della tortura quotidiana. Respingendolo l'altra sera, gli avevo dato un ottimo pretesto per impormi le sue attenzioni oggi. Deve sentirsi profondamente offeso. Poverino! Resto con i muscoli delle gambe contratti per una manciata di minuti. Araf è immobile, il suo respiro regolare, nella penombra i suoi occhi restano vigili su di me. Qualcosa non mi torna! << Quando hai intenzione di dirmelo? >>, mi chiede. << Non ho niente da dirti >>. << Non pensavo fossi tanto pudica, tu che spesso e volentieri critichi la nostra legge di coprirti i capelli davanti agli uomini. Ma non ti sembra esagerato fare tanti misteri riguardo al tuo stato? >> Il cuore mi si blocca per poi accelerare fin quasi a scoppiare. Il mio stato? Di cosa sta parlando? Sto male? Possibile che lui se ne sia accorto prima di me? Resto a fissarlo confusa. << Lyral, stai forse cercando di dirmi che non sai di essere incinta? >> Scuoto la testa. << Davvero? Non lo sapevi? >>

Scuoto ancora la testa, senza guardarlo. La sua risata aspra copre l'ululato dei coyote che stanno scendendo dalle montagne attirati dall'odore della carne d'agnello. << Sei l'unica donna che conosco che ha avuto la possibilità di studiare. A questo è servito? Sai leggere e scrivere ma non conosci niente del tuo corpo? >> Mi si riempiono gli occhi di lacrime mentre nella testa ricollego tutto quanto. Ecco perché nell'ultimo periodo si era sforzato di trattarmi meglio, ecco perché i miei rifiuti non l'avevano offeso. Ecco perché avevo i seni gonfi. La gravidanza spiegava tutto questo. Ecco perché mi aveva permesso di presiedere alla festa. La dea protegge i bambini, per questo aveva quasi insistito per farmi andare. Ma il mio Dio? Dov'era stato il mio Dio quando l'avevo supplicato di non caricarmi anche di questo fardello? Durante la gravidanza, le donne del campo mettono in atto una serie di comportamenti e di tabù significativi, che partono da un presupposto: ogni nascita è un fenomeno carico d’impurità. Anche dopo il parto, la donna osserva un periodo di isolamento al fine di purificarsi. E pure il nascituro, oltre ad essere battezzato, è generalmente oggetto di rituali di purificazione, protezione e divinazione. Nadir viene spesso a farmi visita ed ogni volta estrae da alcuni sacchetti delle strisce di carta che appende alle finestre ed alla porta per impedire agli spiriti maligni di disturbare l'inizio della mia gravidanza. Anche se non ho mai voluto credere a queste superstizioni, le sono grata per l'affetto che mi dimostra. So che viene spesso a trovarmi per riempire le mie giornate. Tutti al campo sanno di quanto soffro nel restare nella casa di Araf e non potendo fare nulla per indurlo a risposarsi in breve tempo, cercano quantomeno di tenermi alto il morale. Da quando si è sparsa la voce della mia gravidanza, persino gli altri anziani mi trattano con un occhio di riguardo. Mi portano doni, per lo più oggetti riciclati o di latta, frutta e vestiti ampi che per il momento non mi sogno nemmeno di indossare.

Alcuni giorni fa ho chiesto a mia madre di spiegarmi come mi aveva data alla luce ma lei aveva bruscamente cambiato discorso, affermando che era ato molto tempo e che la sua memoria non era tanto affidabile. Parlare con Samay è fuori discussione e le altre donne sono talmente ignoranti che non fanno altro che contraddirsi. Nadir è l'unica voce attendibile che mi resta. Quando viene a trovarmi l'accolgo sempre a braccia aperte, ma è tuttavia difficile scendere nei particolari del parto in quanto Araf fa in modo di essere sempre presente durante le mie giornate. Ha paura che dietro il mio comportamento mite e rispettoso possa esserci qualcosa di losco. Magari fosse vero! Quando invece per motivi di lavoro non può assistere alle mie visite allora ecco che cominciano gli interrogatori: << Che vi siete dette tu e quell'altra? >> << Niente di importante. Siamo rimaste qua, tranquille, a parlare delle gravidanze >>. Mi guarda storto. Se ne va e rientra a notte fonda, schiumante di rabbia. Il mio comportamento eccellente non gli dà pretesti per picchiarmi ed è un fatto intollerabile per lui. A volte mi molla un ceffone senza preavviso, senza una motivazione. Incasso senza battere ciglio. Sono abituata a ben altro. Per lo meno, il bambino che porto nel mio grembo e che ripudio con tutta me stessa, mi esime dalle atroci sevizie di questo cane. Da alcune settimane ha perfino smesso di infastidirmi con le sue “particolari attenzioni” e questo mi ha permesso di poter dormire per molte ore filate, senza che mani mi sfiorassero o che dita sudice esplorassero il mio corpo, o che labbra avide ricercassero lembi di pelle da imbrattare. o le giornate nella noia più totale; aspettare, pazientare, pregare, osservare la mia pancia che cresce con la stessa lentezza con cui ano i minuti. Tanti minuti, uno uguale al precedente, eppure tanto diversi, tanto più carichi di dolore. Sono al quarto mese di gravidanza ed ancora non riesco ad accettare il mio bambino. Sento dentro di me emozioni contraddittorie che mi buttano in un pozzo di disperazione senza fine.

Mi capita di pensare alle mie compagne di classe, ai loro ventri piatti messi in evidenza da magliette attillate. Poi osservo la mia pancia, le mie caviglie gonfie, le pareti di questa casa, le montagne spoglie che circondano il campo e lo nascondono al mondo esterno. Allora sento di odiare questo bambino, frutto del seme di Araf. E' suo, non mio. Che se lo tenga, che se lo cresca! A me non importa. Più di un anno fa avevo maledetto tutta la sua famiglia, i suoi predecessori. Questo bambino fa parte delle sua famiglia e non è meno maledetto degli altri componenti. Ma sono io a portarlo in grembo, è il mio corpo che lo tiene in vita, la mia linfa che si unisce alla sua. Le nostre anime sono una sola unica anima, che si sdoppierà al momento del concepimento. E allora lo sento mio. Solo mio. Inconsapevolmente lo proteggo e mi odio per questo. Un altro motivo per cui non sopporto bene la gravidanza è l'afa: oppressiva, inflessibile. Si appiccica alla pelle e si insinua in ogni angolo di questa maledettissima casa. La cappa di caldo aleggia al centro della stanza, si condensa tra le crepe nelle pareti dove colonie di formiche rosse si rincorrono trasportando briciole di pane secco o filetti d'erba gialla. Fuori il sole è implacabile; si suda anche stando fermi, gli insetti ronzanti cedono alla stanchezza e si lasciano cadere sul minuscolo e grezzo davanzale della finestra, diventando vittime della mia furia omicida. Mi diverto a schiacciarli, sorrido perfidamente nel vedere il sangue schizzare dai loro corpi afflosciati e schiantarsi sul bianco delle pareti. Immagino che siano Araf e allora uccido, uccido, uccido. Tutto il campo è sommerso dagli odori degli scarti di cibo gettati a terra che ormai hanno raggiunto vari stadi di decomposizione. A questi si unisce quello dolciastro del sudore delle persone, odori che tentano di infilarsi nelle case, ando tra le crepe che il caldo ha scavato ora dopo ora. La raccolta dell'acqua sta diventando un supplizio quotidiano. Non ne basta mai. Devo arrampicarmi su per il bosco almeno una ventina di volte al giorno e alla discesa i piedi slittano nei sandali, cado a terra, ho le ginocchia sbucciate, la fronte sudata, le braccia ustionate dal sole. I capelli sono diventati un'unica massa grondante che mi si appiccica alle spalle e mi irrita la pelle arsa e coperta

di vesciche dove gli insetti hanno banchettato. La pancia non è ancora tanto gonfia da impedirmi di vedere dove metto i piedi, ma il caldo forma degli aloni attorni alle cose, luccica sopra le pietre bianche e rende la strada assolutamente letale. Vivian mi accompagna quasi sempre dal momento che il suo lavoro alle risaie è attualmente sospeso. Sua madre ha contrattato con gli anziani e tra poche settimane finirà in moglie a Lucius, perciò le hanno permesso di restare al campo per non arrivare troppo sfiancata alla sua prima notte di nozze. Nell'assurdità di questa legge maschilista, si può dire che ha attenuto anche lei dei benefici. Sebbene il lavoro al campo non sia leggero, non è mai come restare dieci ore sotto il sole cocente con la schiena piegata. Araf invece non dà segno di volersi risposare. Sono arrivata a sospettare che lo faccia apposta per prolungare le mie sofferenze. Negli ultimi mesi ho visto processioni di donne avvicinarsi alla “nostra” casa. Ed essendo un anziano ha diritto di scegliersi la sua compagna, esaminarne l'aspetto, le capacità, può perfino chiedere alla famiglia di prendersi la propria figlia senza nemmeno sborsare un centesimo. Da quel che ho capito non ha un'importanza rilevante se la sua seconda moglie è vergine o meno. Solo io sono stata punita per essermi “data a lui” dopo aver già fatto l'amore con qualcun altro. Me l'ha fatta pagare cara, mi ha umiliata, minacciata di uccidermi se non gli avessi rivelato il nome di chi mi aveva tolto la purezza. Spesso mi capita di avere incubi, di ricordare nei più piccoli dettagli la nostra prima notte insieme; i suoi occhi offesi che si sgranavano nel momento che si era reso conto di essere entrato dentro di me con troppa facilità... La sua brutale rabbia mentre si congiungeva con me, che a distanza di un anno non si è attenuata. Tutt'oggi ogni volta che facciamo l'amore non perde occasione di chiamarmi “puttana bionda”, di accusarmi di averlo tradito prima ancora di entrare nella sua famiglia. Il fatto che sono “temporaneamente sua” non lo esime dal trattarmi come una vera moglie. La gravidanza, non è altro che un pretesto per ricordarmi che ora gli appartengo, che sono sotto la sua assoluta responsabilità, e che se mai un giorno dovesse risposarsi questo non basterà a separarci. Una sera, prima di addormentarci mi ha detto:

<< Sei matta se credi di liberarti di me. Scordati la tua vecchia vita, non tornerai mai più da tua madre e nemmeno a scuola. Ora sei cosa mia. Abituati! >> Tra tutte queste parole erano state “mai più” che mi avevano perforato la testa per giorni, settimane. Ogni volta che vedevo Araf cacciare le donne che venivano a trovarlo, avvolte nei loro vestiti migliori, agghindate in gioielli di finto argento, quelle due semplici parole si trasformavano in una minaccia troppo tangibile perché io potessi ignorarla. Mai più! E il tempo a. Vivian mi aiuta a portare un secchio d'acqua, l'alba annuncia un'altra mattina torrida, schiaccio un ragno sotto la suola dei miei sandali, mi distendo nel pagliericcio accanto ad Araf, accendo il braciere, preparo il tè alla menta, ascolto le leggende attorno al fuoco, pulisco il bagno stando attenta che le feci non mi imbrattino le mani e non si intrufolino sotto le unghie, il tramonto, poi la notte, l'ululato dei lupi, di nuovo il bagno da pulire, l'acqua è finita, il tè, il fuoco, Vivian, le mosche che si appiccicano, i ragni che ricamano gli angoli del soffitto, le lucertole, ancora l'acqua, giorno, notte, la legna, il tè, sera... Il tempo a... Mi manca la mia mamma. Sto impazzendo! Dio mi sembra ingiusto. Sto cominciando a giudicarlo. Un giorno, quando ero certa che nessuno potesse vedermi, ho chiesto a Vivian di farmi da palo e ne ho approfittato per gettarmi completamente vestita nella sorgente. Volevo togliermi di dosso l'odore di Araf, il sapore acerbo dei cibi che cucino per lui, del sudore che mi inzuppa i vestiti. Come se l'acqua potesse smembrare ogni ricordo fino a farlo diventare polvere. Mi guardo bene dallo sfogarmi con Vivian. Anche se è più grande di me non sa nulla di ciò che l'aspetta tra qualche giorno, dal momento che la sua unica esperienza si riduce a due brevi settimane. Non amo fare degli uomini tutto un fascio, ma non è di loro che bisogna avere paura, bensì delle tradizioni locali. Inoltre, avvertire Vivian è del tutto inutile. Dirle come funziona veramente il matrimonio, raccontarle il vero volto dei mariti, servirebbe solo a spaventarla. La

sua situazione comunque non cambierebbe: è stata comprata. Punto e basta! I suoi sentimenti, le sue paure non fanno parte del “contratto” e i mariti non pagano per avere una moglie nel letto che si piange addosso. Quando lei sarà diventata la moglie di Lucius, quando non potrà avere più la libertà di venirmi a trovare o di aiutarmi, quando sarà sola, le faranno il lavaggio del cervello, la renderanno come tutte le altre: una schiava felice ed orgogliosa d'esserlo. Con me non ci sono riusciti. Posso fingere di essere ubbidiente, posso mettere tutta la mia abilità nel cucinare per Araf, posso raccogliere le sue feci tenendo il mento teso verso l'alto, posso fingere orgoglio nel foulard color dell'oro che mi nasconde parte dei capelli. Ma è finzione, solo un copione che sto recitando alla perfezione da più di un anno. Non mi hanno plagiata, mi hanno solamente fatta diventare un'attrice impeccabile che riuscirebbe ad imbrogliare lo stesso Lucifero. Un tempo volevo amare. Ora voglio soltanto uccidere, odiare con tutta me stessa. Vivo in attesa del giorno che potrò vendicarmi. Sarà una vendetta lenta e infida. Ma la pagheranno cara. Tutti quanti! E allora forse quel giorno sorriderò di nuovo. 6 Mentalmente cerco di fare i conti del tempo che a. Il giorno in cui Vivian si sposa segna l'arrivo dell'autunno. Fuori da questo campo, a soli venti chilometri di strada nascosta nelle montagne c'è la vita vera. Nella mia vecchia scuola le lezioni saranno già iniziate, i professori si saranno sistemati dietro le cattedre e gli studenti avranno aperto i loro libri, sfoggiando le abbronzature e le foto delle vacanze durante la ricreazione. I ragazzi staranno facendo l'occhiolino alle matricole, le cheerleaders staranno provando i loro balletti da presentare durante le partite sopra i prati curati e profumati all'interno del campus. Mentre sopra le loro teste volano aerei, testimoni di una cultura al o coi tempi.

La zona in cui vivo io è talmente nascosta che rare volte il cielo viene attraversato da un aereo. Non ci sono nemmeno strade che portano direttamente al campo, perciò nessuno si avventura fin quassù. Nemmeno i cacciatori, per paura dei lupi e perché da quel che ne so non esistono carte geografiche che segnalano questo posto. Per chi non è della zona è facile perdersi ed ancora più facile venire sbranati dagli animali. Nemmeno io che so arrivare in città saprei determinare con esattezza il luogo in cui vivo. Quando ero piccola due turisti olandesi si erano persi ed erano capitati per caso dopo giorni di cammino alle soglie del campo. Avevano con sé un cellulare ma in questa valle non c'è linea, allora un anziano del villaggio si era offerto di riaccompagnarli ed era rientrato dopo solo mezz'ora. Chissà se avevano raccontato a qualcuno di noi? Chissà se qualcuno gli aveva creduto? Ma anche fosse, come ho già detto non esistono carte della zona, nessuno saprebbe come arrivarci, tranne me e gli altri anziani. Siamo come un piccolo ago caduto in un pagliaio grande centinaia di chilometri. Ed a questo punto mi chiedo il perché i nostri antenati, come raccontano gli anziani attorno al fuoco, abbiano intrapreso un lungo viaggio dalle loro terre felici per arrivare qua in America e non approfittarne delle meraviglie che avevano avuto la possibilità di scoprire. Avevano dato un calcio alla fortuna, ed ora a pagarne le conseguenze eravamo noi. Quando ho il morale a terra, arrivo perfino a pensare a come sarebbe stata la mia vita se fosse stata un'altra donna a mettermi alla luce. Se potessi scambiare la mia esistenza con una qualunque Sarah Clive del mondo... Invece sono qua, fianco fianco ad Araf che mi mostra agli altri come un trofeo mentre si congratula con lo sposo di Vivian. Le mani delle donne non fanno altro che posarsi sul mio ventre rotondetto, le sento pronunciare a mezza voce degli antichi rituali per scacciare gli spiriti maligni, scherzano tra di loro cercando di ipotizzare se mio figlio somiglierà più a me o ad Araf. Talune si azzardano a chiedermi come è stata la notte del concepimento, mi domandano le dimensioni del membro di Araf, mi chiedono se

è un abile e capace amante. Tocca a mia madre farle smetterle che è disgustata quanto me di fronte a certi discorsi. Ad una sola ho avuto la sfacciataggine di rispondere: << E' mio figlio. Solo mio. Non avrà nulla di Araf >>. Poi è il turno di Vivian. Si avvicina a me prima di entrare nella casa di suo marito dove per non si sa neanche quanto tempo dovrà restare ad aspettare il suo rientro per soddisfarlo come fa una “brava moglie”. << Com'è che devo comportarmi? Come si fa a fare bene l'amore? >> Allora ripenso al mio primo uomo, al dolce ed innocente amore che avevo condiviso con lui. Com'è difficile estrarre da un sacco di letame un solo piccolo momento dolce. << Con amore e ione! E tutto viene naturale. Il suo desiderio ti indicherà la strada e i tuoi sensi ti spiegheranno come percorrerla >>. Si è fatto tardi. Le donne devono tornare alle proprie case mentre gli uomini si spostano al bar del campo dove proseguire i festeggiamenti con il novello sposo. Saluto Vivian baciandola sulle guance e abbraccio mia madre prima di tornarmene nella mia stanzetta. Sadir è abbastanza grande da poter restare fuori con Araf ed io ne sono contenta perché ciò significa che posso starmene sola nel mio piccolo rifugio a guardare dalla finestra la luce della mia vecchia casa. Negli ultimi tempi ho scoperto una strategia che mi permette di difendermi dal dolore lento, monotono e continuo, simile ad un rubinetto che gocciola. Mi accuccio sotto la finestra col pezzo di vetro che tengo sempre nascosto sotto il vestito, stringo i denti e conficco la punta nel mio avambraccio fino a quando la pelle si apre e lascia uscire copiosi getti di sangue. E' come se tutto il male del mondo stesse sanguinando da questo braccio e se ne stesse andando via. E' come se tutta la mia sofferenza interiore che non sono più in grado di gestire venisse tramutata in sofferenza fisica, quindi più facilmente gestibile e più reale della sofferenza emozionale che è impalpabile.

Per un po’ mi occupo solo del dolore fisico, distogliendomi temporaneamente da quello interiore. Araf non può più nulla. Solo io posso farmi del male. Finalmente ho trovato il sistema di esercitare sul mio fisico un controllo che non riesco ad esercitare sui miei sentimenti. Mi sento talmente morta dentro, talmente apatica dal ricercare nella sofferenza fisica la prova che mi dimostra di essere ancora viva. Non ho più alcun legame con il mio corpo ed i tagli sul braccio, sulle spalle e sulle gambe sono l'unico modo che mi permette di percepire il mio corpo. Poco prima del rientro di Araf mi preoccupo di nascondere il vetro e di pulire il pavimento, ma questa notte qualcosa non va. Nella penombra vedo schizzi di sangue spandersi su tutta la stoffa della mia gonna, sento sulle mie gambe scivolare una quantità copiosa di liquido caldo. Mi cambio in fretta e furia, tremando al pensiero che Araf scelga proprio questo momento per rientrare e lavo i miei vestiti con l'ultima acqua che è rimasta. Torno nella stanza e mi chino sul pavimento per cancellare qualunque prova. Mi metto a singhiozzare quando mi accorgo che accanto alle mie ginocchia, le macchie scure anziché sparire aumentano allargandosi sul pavimento. Ho di nuovo i vestiti zuppi e non c'è più abbastanza acqua per lavarli. Non so cosa sta accedendo, ho paura. Vorrei chiamare qualcuno ma ho il terrore che possano riferire ad Araf che mi provoco da sola del male. Mi accebbe di essere una pazza egoista che mette a repentaglio la vita di suo figlio. Mi sdraio supina sul pavimento per non sporcare il pagliericcio quando mi prendono dei dolori terribili ai reni e al basso ventre. Lo circondo con le braccia sanguinanti, parlo al mio bambino, gli dico di stare tranquillo, tremo per la paura. Sono sola in balia di questo dolore che si alterna a momenti di totale annebbiamento. Voglio la mia mamma, voglio la mia mamma! Mi accorgo di star urlando solo quando spunta dalla porta Araf. Le mie urla devono aver riecheggiato per l'intero campo perché ha il fiatone dovuto alla corsa per arrivare dal bar a casa. << Che succede? >> << Voglio la mia mamma >>.

Non riesco a pensare ad altro. << Che è tutto questo sangue, Lyral? >> << Mi sono fatta male alle braccia >>. Corre fuori a chiamare qualcuno. Sento le sue grida echeggiare tra le altre case. Qualche minuto più tardi entrano due donne con cui non ho mai avuto troppa intimità, posano una candela accanto al pagliericcio e mi aiutano a distendermi. Ogni movimento è un tale tormento che mi ritrovo a stringere i denti tanto forte da avere tutta la mascella indolenzita. Ma mi rifiuto di urlare, non voglio spaventare mio figlio. Stringo i denti e piango. Quando cerco di rialzarmi alcune mani mi premono con forza sulle spalle. Mi sento scivolare in giù, in un abisso morbido e caldo... Sto morendo. Per quanto la logica mi dica il contrario, non posso far a meno di sperarlo. Il dolore alla schiena scompare, resta solo quello alla testa simile a quello che mi veniva quando avo troppe ore con la schiena china sui libri. Improvvisamente delle mani forti afferrano le mie, trascinandomi in su, lontano da questo senso di beatitudine per scaraventarmi nuovamente nella mia vita. Cerco di fuggire alla stretta, non ho paura di morire. Non mi fa né caldo né freddo. Se è l'unica soluzione che mi resta per sfuggire a tutto questo, allora sono pronta. Che Dio si prenda la mia anima e quella di mio figlio. Riconosco la voce autoritaria e fredda di Araf. << Mi rifiuto di lasciarti morire, hai capito? Mi senti? Lyral, amore mio, tu resterai con me >>. Al suono di queste parole cesso completamente di reagire, anelando disperatamente per la morte. Ho perso il mio bambino. Speranza distrutta, attesa delusa, maternità e femminilità rimesse in questione… E’ con questi nuovi sentimenti che dovrò combattere. Trascorro le settimane seguenti a letto, con gli occhi arsi per le lacrime non versate, senza mangiare e bevendo solo un pò di tè.

Non avevo capito quanto fosse importante questo bambino finché non l'ho perso. Era stata mia madre a spiegarmi che tutto quel sangue non proveniva dalle mie braccia ma dal mio utero. Per aiutarmi a superare questo trauma si è fatta prova di comprensione e di attenzione, cercando di gestire il mio senso di colpa senza spingermi a dimenticare il mio dolore troppo in fretta . Si è impuntata davanti alle proteste di Araf che non apprezza le sue lunghe e ripetute visite, si è rivolta perfino agli altri anziani che, al di là di ogni aspettativa, sono intervenuti obbligando Araf a permettermi di stare accanto alla mia mamma. Non ho idea di come si senta lui, non l'ho mai visto versare una lacrima né darmi una piccola dimostrazione d'affetto per rassicurarmi. I nostri cuori parlano due lingue diverse, non possiamo capirci; io piango per il mio bambino, lui non fa altro che pensare che sia stata io ad ucciderlo. Un giorno mi ha detto: << E' colpa tua. Se non ti fossi data al primo venuto tutto questo non sarebbe successo. Mio figlio non ha voluto nascere dal ventre di una puttana>>. Che abbia ragione? E se fosse vero che mio figlio si vergognava di me da preferire non nascere? Ma se Araf ha questa opinione di me, perché mentre stavo lottando per la vita e la morte aveva fatto di tutto per tenermi accanto a sé? Perché mi aveva detto: Non ti lascerò morire, amore mio?. .. Per poter continuare la sua tortura? Per poter essere lui stesso ad uccidermi? Che lo fe! Ormai che altro ho da perdere? Con quale forza potrò sopravvivere, imprigionata dentro casa sua, lontana da tutto ciò che amo, “moglie” prigioniera di questo contraddittorio e dispotico tiranno? Il mio feto abortito è stato conservato al fresco dell'ombra, sotto un salice piangente. Araf mi ha obbligato a suon di calci nei reni a mangiarlo per garantirmi una nuova gravidanza ed un corpo più forte e fertile. Sono pazzi.

Sono completamente, irrimediabilmente pazzi! Cos'altro mi resta da perdere? Se la “vita” è la risposta, allora non mi importa. Questa non è vita, ne faccio volentieri a meno. Mia madre, il giorno che avevo lasciato casa mia per entrare in quella di Araf, mi aveva detto: Se hai bisogno di me e non mi trovi, cercami nei tuoi sogni. Io sarò lì ad aspettarti, e tu non sarai mai più sola. Allora chiudo gli occhi, tormentata dall'insonnia, e ritrovo il suo volto, mi lascio cullare dal ricordo delle sue parole, dal dolore lento e continuo che sale e scende come una marea e che, come se mi fossi trasformata in una bottiglia di vetro, mi trasporta inesorabile verso una spiaggia lontana, illuminata dalla luce di un alba che porta con sé il dolore di un nuovo giorno.... 7 Da qualche giorno corre voce che alcuni stranieri si sono avventurati fin quassù, dove l'unico contatto col mondo reale è una semplicissima fontana scavata nelle rocce dove zampilla acqua perlopiù dolciastra. Alcune donne del campo raccontano che mentre stavano tornando dalle risaie avevano visto in lontananza due signori vestiti con delle giacche eleganti e pulite in compagnia di una ragazza vestita con una camicetta a scacchi e dei pantaloni color cachi che le arrivavano fin sopra le ginocchia. Sono informazioni troppo dettagliate per credere si stiano inventando tutto. Il resto della storia viene completamente contorto ed ingigantito. Alcune sostengono che gli anziani che le stavano sorvegliando le avevano obbligate a nascondersi dietro dei cespugli di rovi, altre invece raccontano di averli addirittura salutati. Dal mio canto sono più propensa nel credere alle prime, ma è difficile fare affidamento a notizie ate di bocca in bocca. Come al solito Araf sa tutto prima degli altri e sebbene con me resti sul vago, ho appreso dopo qualche giorno che quelle tre persone non erano affatto dei turisti.

Ho una strana sensazione che si insinua sotto i miei muscoli e mi fa venire voglia di ballare. Il mutamento di carattere di Araf è per me molto incoraggiante; per quanto si mostri implacabile con me, quest'ultima settimana a ore ed ore, alle volte intere nottate, in riunione con gli altri anziani. Alle donne è stato severamente proibito di recarsi alle risaie, perciò il lavoro è fermo e ben presto le scorte di cibo finiranno. Non mi preoccupo di questo, perché significa che gli uomini hanno capito che qualcosa sta per mutare a favore di noi donne ed hanno quindi paura di perdere il loro sacrosanto potere su di noi. Non fanno altro che urlare e ritrovarsi al bar, litigano tra di loro, bisbigliano e poi si mettono nuovamente a gridare. Questa sera il fuoco per la prima volta non è stato , ci siamo ritrovati tutti quanti al solito posto, i nostri volti rischiarati semplicemente da alcune candele posate al centro del cerchio. Sembra che nessuno abbia voglia di parlare; le donne fissano i loro mariti, gli uomini tengono lo sguardo fisso a terra. Araf non si è nemmeno accorto che ho dimenticato di indossare il foulard. Me ne sto seduta a gambe incrociate in mezzo a mia madre e Vivian, in attesa che qualcuno si lasci sfuggire qualche informazione in più. Siamo tutte eccitate da questa notizia che ha spezzato la monotonia all'interno del campo. Io, più che eccitata mi sento speranzosa. Non ho mai preso in considerazione l'idea di scappare senza mia madre, ma se qualcuno venisse a conoscenza di come viviamo qui, sicuramente si muoverebbe per aiutarci. E' una possibilità che non avevo mai valutato, perché da sempre qui da noi per una donna disgraziatamente esistono solo due modi per andarsene: primo, divorziare dal marito, abbandonare i propri figli e le proprie radici ed andarsene a vivere da sole nei boschi in balia degli animali e della fame. Secondo, morire. Ma ora ho la netta sensazione che il meccanismo per la mia liberazione sia scattato. Gli ingranaggi hanno cominciato a muoversi senza preavviso, spaventando gli anziani del campo. Le altre donne ovviamente non capiscono,

prendono la novità come argomento di discussione e pettegolezzo. Non è colpa loro. Lo so bene. Devo invece stare attenta a nascondere questo lampo di vita che ha preso ad infuocarmi gli occhi prima di guardare Araf. E' assolutamente importante che io stia al suo gioco, che non lo lasci sospettare di aver capito le loro paure, ma a questo punto fingere è diverso. E' liberatorio. Non fingo più di essere mite per paura di una sua minaccia o di un suo pugno, non fingo più a letto per paura che mi proibisca di vedere mia madre. Se ora fingo, lo faccio solo perché so di star recitando le ultime pagine di questo copione. Sta per finire... Sta per finire... Forse se continuo a ripeterlo diventa vero. Queste singole parole hanno il potere di non farmi più temere Araf, né gli altri anziani. Le minacce di Araf mi scivolano addosso senza lasciare traccia, non mi importa, che mi colpisca, che mi stupri pure tutte le volte che ha voglia, che mi insulti, che dia a me la colpa della morte di mio figlio che ho ricacciato con brutalità nel mio corpo e che per sempre là dentro vivrà, che si diverta a vedermi piangere. Perché sta per finire! Lo so, sento la liberazione vicina, la percepisco dentro di me. Tra poco il mio nome comparirà accanto a quello di altre migliaia di persone. Sarò anch'io una cittadina con la facoltà di parola e pensiero. La tanto agognata America sarà finalmente casa mia! Tre giorni più tardi, mentre sto riposando stesa alla sorgente, con i piedi immersi nell'acqua gelata e gli occhi rivolti verso il cielo a sfidare i raggi abbaglianti del sole, arriva di corsa Nadir accompagnata da Samay e Vivian. Sento le loro voci concitate che mi chiamano mentre arrancano su per il pendio schivando per un pelo un grosso topo marrone che sbarra loro la strada. Non riesco a capire cosa stanno gridando perché parlano tutte insieme, allora mi avvicino cercando di calmarle ed offrendo loro dell'acqua per farle riprendere fiato. << Araf vuole che torni a casa subito! >> << E' arrabbiato? Cosa vuole? >> << Dice che c'è una visita per te >>.

Cominciano a tremarmi le mani, il secchio mi cade a terra e prende a rotolare sui sassi fermandosi poi accanto al topo che, reso audace dalla siccità, si intrufola a leccarne le gocce d'acqua rimaste. Tutte e tre mi accompagnano sul sentiero che porta al centro del campo. Camminano dietro di me, spingendomi per le spalle per incitarmi a sbrigarmi. Ma gli zoccoli mi sono piccoli di quasi due numeri e le cinghie continuano a spaccarsi. Mi ritrovo a camminare a piedi nudi con le punte aguzze dei sassi che si conficcano nella pianta del piede. Quando poi arrivo a destinazione sono madida di sudore, le dita dei piedi mi sanguinano, il foulard mi è ricaduto sulle spalle. Mi accorgo che si è radunata una piccola folla attorno agli anziani e devo spingere da parte le donne più insistenti per farmi largo. Deve essere successo qualcosa di grave perché tutti mi fissano mormorandosi qualcosa da orecchio ad orecchio. Qualcuno mi indica col dito mentre sgomito per crearmi un varco, ma non ci faccio quasi caso. Continuo a guardarmi attorno alla ricerca di un volto che non mi sia familiare. Se qualcuno è venuto a farmi visita, dov'è? Dove l'hanno portato? Appena prima di raggiungere gli anziani, uniti in circolo accanto all'ingresso del bar, mi ricordo di sistemarmi il foulard. Ho paura che qualunque errore da parte mia possa indurli a proibirmi di vedere chi è venuto a cercarmi. E' la prima volta che qualcuno entra nel campo. Mi domando che impressione deve aver avuto. Orrore? Disgusto? Lo spero. Araf mi si avvicina e mi parla all'orecchio per non farsi sentire da Vivian che è a pochi i dietro di me. << Vieni con me. C'è una donna che vuole vederti. Ti accompagno da lei >>. << Dov'è? >> << Laggiù >>. Mi indica la parte opposta del campo, dove il bosco si dirada e spiccano pietre enormi che si aprono su dei dirupi pericolosissimi. Mi sorprende che abbiano

portato quella donna nel punto più disagiato del campo ma non mi interessa. C'è una straniera, è qui per me. Ha affrontato giorni e giorni di cammino per venirmi a trovare. Forse è una mia vecchia professoressa che non si è bevuta le scuse che Araf mi aveva dichiarato di avergli detto per giustificare la mia assenza prolungata da scuola. << Che cosa vuole da me? >> << Dice di conoscerti >>. Mentre ci allontaniamo lungo il sentiero in discesa, che scompare in mezzo alle colline sempre più alte che si rincorrono a perdita d'occhio, non riesco a fare a meno di sorridere. Ora posso davvero dire che le mie sensazioni erano giuste. Non mi sono mai avventurata in questa parte del campo perché i burroni sono talmente alti e la strada così piena di detriti friabili che anche un solo o falso può risultare letale. Dopo poco più di dieci minuti di cammino sento di aver completamente perso l'orientamento. Non ho idea da che parte siamo venuti, non c'è alcun sentiero che mi suggerisca una direzione. Sono sempre più sorpresa del motivo per cui hanno portato fin quassù questa donna. La strada, che non è altro che uno strettissimo sentiero che bisogna percorrere con la schiena china per non sbattere la testa contro le rocce sporgenti, si fa man mano sempre più irta. Davanti a noi c'è solo una distesa di montagne dalle rocce rossastre puntellate da cespugli simili a palle di fieno. Come farò a tornare indietro? Cerco di non guardare sotto i miei piedi, tengo gli occhi fissi contro la schiena di Araf, gli afferro la mano per sentirmi più stabile. Anche lui ha delle difficoltà a salire e a non slittare sui sassi, ma sembra saper bene dove è diretto. D'altra parte, se è stato lui con gli altri anziani a condurre fin

qua quella donna, saprà senz'altro la direzione. Mi affido a lui come non ho mai fatto. Non ho alternative. Il silenzio è rotto solo dal verso stridulo di alcuni corvi che ci spiano dalle cime più alte delle rocce. Ho il fiatone, mi sembra di non farcela, ma cerco di non darlo a vedere. L'unica cosa che m'importa è di raggiungere quella donna. << Perché l'avete portata qui? >> << Non volevo che altri la vedessero >>. << Perché? >> << Smetti di fare domande. Ringraziami piuttosto che ti permetta di incontrarla >>. Mi cucio la bocca. Dopo un'altra mezz'ora di cammino ecco aprirsi davanti a noi una zona del tutto diversa. A strapiombo su canyon profondi anche mille e cinquecento metri, decine se non centinaia di grotte, spiccano nella parete di rocce che si incurva sopra le nostre teste. Ci fermiamo a prendere fiato e ne approfitto per togliermi il foulard che per il sudore mi irrita la fronte. Il panorama è bello da togliere il fiato. Se solo non ci fosse Araf sarebbe la cornice ideale per una cartolina, come quelle che avevo visto mostrare dalle mie compagne di classe. Attendo con impazienza che Araf mi faccia segno di proseguire ma non sembra aver alcun interesse a portarmi in fretta da quella donna. ano i minuti, il sole traccia una lunga linea arancio sul dorso delle montagne, i corvi smettono di lamentarsi, la luna appare bianca all'orizzonte. Sono stanca, ho fame e mi sento intimidita nel ritrovarmi tanto isolata dalla mia gente in completa balia di quest'uomo.

<< Non proseguiamo? >> << Siamo arrivati >>. Mi guardo attorno. Com'è possibile che quella donna abbia accettato di incontrarmi in un posto simile? Comincio ad avere paura. Araf si distende all'interno di una grotta che si apre a solo mezzo metro dallo strapiombo perciò lo seguo sempre più spaventata dal vuoto che minaccia ogni mio o. L'interno è buio ed umido, la pavimentazione è quasi del tutto ricoperta da sterco d'uccelli. Generazioni di volatili devono aver usato questa grotta come nido. Prima, con la luce del sole, avevo visto lo sterco bianco brillare e l'avevo scambiato per dei frammenti di vetro. Le pareti sembrano essere state scavate dalle mani di un uomo, ma non ci sono segni di vita. Chi potrebbe mai riuscire a vivere qua per una settimana o per un anno? Alcuni scorpioni si rincorrono verso l'uscita e per sedermi aspetto che si siano allontanati abbastanza da non rischiare che mi pungano le dita dei piedi. << Dormiamo qui questa notte >>, mi dice ad un certo punto. << Dov'è la donna? >> << Arriverà domani >>. Cerco di nascondere la delusione. Domani, devo pazientare fino a domani e poi potrò finalmente raccontare tutto quanto a qualcuno che può aiutarmi. Chiunque sia quella donna porterà la mia voce lontano dal campo, la diffonderà. Magari ne parlerà addirittura con il Governatore di Stato. Allora qualcuno verrà a controllare e mia madre verrà portata via insieme a me. Saremo libere. Durante la notte cerco di studiare un piano che mi permetta di chiederle aiuto tra le righe. Non potrò esprimermi con lei con tutta chiarezza senza che Araf possa sospettare che io mi stia lamentando. Dovrò trovare un codice che solo lei riesca a decifrare. Ma devo essere certa che riesca a captare il mio SOS altrimenti avrei gettato al vento l'unica possibilità di fuga.

Cosa potrei dirle? << Sa, anch'io ho frequentato una scuola in città ma poi mi sono sposata e ho dovuto ritirarmi? >>. Ci penso su a lungo. Se è vero che in America le minorenni non possono sposarsi, allora quella donna saprà l'essenziale e mi aiuterà. E Araf non potrà certo smentirmi né picchiarmi, perché è la verità. Sono “temporaneamente sposata con lui”, è un dato di fatto. E frequentavo la scuola. Anche se il mio nome ormai sarà scomparso dai registri di classe, da qualche parte dovrà pur figurare ancora. Io esisto, o almeno sono esistita. Questo a qualcuno dovrà importare. Devo stare calma. Devo stare calma. Andrà tutto bene. Devo solo ripetere questa frase fino ad impararla a memoria e sperare che domani non mi manchi la voce davanti a questa donna. Ripetere la frase... L'ho ripetuta talmente tante volte da arrivare ad odiarla. Sono ate quasi due settimane, ho pazientato più di giorni e giorni in questa grotta umida, dormendo per terra tra lo sterco di uccelli, bevendo un sorso d'acqua di tanto in tanto dalla borraccia di Araf, costretta a mangiare qualche insetto morto sotto la suola delle mie scarpe. Non c'era nessuna donna. Non c'è mai stato nessuno che volesse incontrarmi. Era stata solo una scusa per allontanarmi dal campo, l'ennesima punizione forse. La libertà che mi era quasi sembrato di toccare mi era sfuggita lontano, sopra le vette di queste montagne brulle. Come una stupida ingenua mi sono lasciata cadere nuovamente nella trappola folle di quest'uomo sadico. Questa sua malignità gratuita e deliberata mi ha abbrutita e plagiata. D'altra parte il suo intento principale non era forse sempre stato quello di distruggere la mia personalità? Ed infatti è ormai del tutto compromessa. Attraverso le sue ripetute offese, le sue estenuanti umiliazioni, mi sto cominciando a trasformare da essere

umano in animale. Ma perché? Perché portarmi fin quassù? Aveva davvero temuto così tanto quelle tre persone che si erano avvicinate al campo? Era forse per questo che aveva deciso di allontanarmi? Ma allora perché le altre donne non le avevano fatte allontanare? Perché solo me? Forse c'era stata veramente una donna che aveva desiderato incontrarmi, ecco perché mi ritrovo sperduta in queste grotte. Araf ovviamente non mi dà alcuna spiegazione, si aspetta che io lo segua senza fare domande come si richiede ad una brava moglie. Talvolta vengo colta dal febbricitante desiderio di spingerlo giù dal dirupo. Se lo meriterebbe... Il suo cranio spappolato sulle rocce, il colore del suo sangue che si mescola a quello rossastro dei detriti... Ma tanto cosa cambierebbe? Sono e resto una perdente! Araf ha vinto su di me prima ancora dell'inizio della battaglia, perché io ho perso la più importante di tutte: quella contro la schiavitù e lo stupro. Sperare ormai è inutile perché nel mio destino c'è designato ciò che sono, e cioè una vittima silenziosa, che sa parlare e scrivere ma non ha nessuno con cui esprimersi. Le parole non dette resteranno sempre intrappolate dentro di me, disturberanno la mia esistenza, mangeranno la mia memoria come un tarlo insaziabile, lasciando da parte solo i ricordi più terribili. Guardo il vuoto sotto di me e ripenso ai soli due modi che ha una donna per lasciare il campo. Se davanti a Dio desiderare la morte è peccato, odiare la vita non è forse altrettanto grave? 8 Ho completamente perso la nozione del tempo, l'unico mio riferimento è il sole e i piccoli legnetti che ogni sera deposito davanti all'apertura bassa e semi nascosta dalle rocce della grotta. Oggi li ho contati: sono sedici.

Per non impazzire ho dovuto sforzarmi di comunicare con Araf; la bellezza di questo posto è costantemente messa in discussione dal senso di solitudine che provo. L'unica compagnia sono i grilli e le orecchie di qualche coyote che di tanto in tanto spuntano dalla cresta delle montagne. Un giorno uno di questi si è avvicinato, spinto dalla fame probabilmente, e Araf l'ha cacciato scagliandoci contro delle pietre. Se non fosse stato per lui sarei morta sicuramente, paralizzata nei movimenti dalla paura. Spesso la sera, poco prima che il sole sparisca dietro le montagne, mi fermo a guardare il panorama; davanti a me ci sono quasi sessantacinquemila chilometri quadrati di gole strettissime, canyon profondi e pareti di rocce verticali che si aprono in lontananza in un deserto arido. Le poche volte che il vento soffia, alza turbinii di polvere e sassolini che sbattendo sopra le pareti rocciose riproducono nella mia fantasia il suono dei tasti di un pianoforte che mi suona la ninna nanna. Oltre queste montagne c'è la città di Chihuahua. Ho solo una vaga idea di dove mi trovo perché Araf non è molto propenso a darmi indicazioni. La zona mi pare che si chiami Barranca del Cobre, meglio conosciuta come “la gola del rame”, e si trova nel cuore della Sierra Madre Occidentale, fra gli stati di Chicuahua e Sinaloa, dove l'accesso e le comunicazioni sono quasi inesistenti per via della morfologia impervia. Araf mi ha detto che questa zona del Messico è abitata dagli indigeni Tahumara, delle popolazioni seminomadi che, grazie all'isolamento dovuto al territorio, hanno saputo mantenere intatte molte antiche tradizioni. Anche loro vivono in grotte simili a quella dove sono prigioniera da tre settimane, sopravvivendo mangiando radici ed erbe. Io però non ne ho viste. A parte qualche ciuffetto di rovi che cresce tra le crepe delle rocce. Mi piacerebbe saperne di più su questi indigeni ma Araf, come al solito, non si lascia sfuggire troppe informazioni. Ha forse paura che possa scappare? Sarebbe improbabile. Anche se non mi ha impedito di guardare durante il percorso per arrivare fin quassù è come se non avessi visto niente. Non saprei

nemmeno quale direzione prendere per tornare indietro o per raggiungere una città. Tra l'altro, arrivarci a piedi equivale ad un suicidio e l'unico collegamento consiste in una linea ferroviaria che collega Chihuahua, nell'entroterra, a Los Mochis, sul Pacifico. E per quanto aguzzi la vista, davanti a me non scorgo segni di rotaie né di insediamenti ma solo un mare di enormi massi rossastri che si estendono a perdita d'occhio. Questa notte ho sognato un angelo che mi prestava le sue ali per volare e mi illuminava il cielo con la sua luce. Questa notte, 2 settembre 2009, ho compiuto diciassette anni. Nessuno festeggerà con me ma Dio per la prima volta dopo tanto tempo mi ha fatto un immenso regalo: Araf si è ammalato. Da qualche giorno era diventato pallido e tanto debole da non riuscire nemmeno ad esigere i suoi diritti sessuali su di me. Comincio a sospettare che abbia qualcosa di veramente grave quando mi dice di averne abbastanza di questa grotta e di voler tornare al campo. Ovviamente dentro di me covo la speranza di vederlo morire, ma ho troppa paura che le sue condizioni fisiche gli impediscano domani di indicarmi la strada da percorrere. Perciò nell'ultima notte che iamo in questo posto sperduto nel nulla mi prendo cura di lui, uccido un grillo dopo l'altro e glielo ficco in gola perché è estremamente importante che si nutra per recuperare almeno un minimo di forze. Che strano fenomeno il destino: mai avrei pensato che sarei arrivata a pregare per la sua sorte e ad implorare Dio di risparmiarlo! Una settimana più tardi del nostro rientro ricevo finalmente la visita che sarebbe dovuto avvenire più di un mese prima. Una folla di curiosi si è radunata all'ingresso del campo dove ci sono un signore in compagnia di una donna sulla trentina dalla pelle ambrata. Li divoro con gli occhi, non riesco nemmeno ad avvicinarmi. Questa è la prima volta dopo più di due anni che vedo delle persone vestite eleganti e che non fanno parte della mia gente. La donna porta legata al collo un'enorme macchina fotografica e sembra stravolta come dopo un lungo viaggio. L'altro è spaventato, si sente minacciato

dalle occhiate truci degli uomini che cerca di calmare offrendo loro delle bibite. Adocchio una coca-cola e per un momento sono tentata di gettarmi tra la calca per afferrarla. Devo stare calma, non posso gettare tutto all'aria per una stupidissima bevanda. Per un pò gli uomini si sembrano calmati ed è a questo punto che riesco a decifrare qualche parola che si stanno scambiando. Il cuore mi si ferma quando sento la voce di quella donna che in uno spagnolo corretto domanda di me. Mi faccio avanti intimidita ed eccitata. << Sei tu Lyral? >> Non dimenticherò mai la sensazione che ho provato in quel momento. La donna fa le presentazioni: lei è Laila, una giornalista del Portal, il signore più alto, vestito all'occidentale e con dei lunghissimi baffoni che gli nascondono totalmente le labbra è Carlos J. Paltres , un assistente sociale. << Abbiamo viaggiato per giorni attraverso queste montagne. E' facile perdersi per chi non è nato qua e non ci sono segnaletiche che indicano questo campo >>. << Come avete fatto a trovarmi?>> E' il signore a rispondermi e lo fa mescolando inglese e spagnolo. << Avevamo cominciato a sospettare che ti fosse accaduto qualcosa da quando sei scomparsa misteriosamente da scuola. Il preside ci ha fornito una tua fotografia e un tuo indirizzo. Abbiamo impiegato poche ore a capire che erano tutte false indicazioni. Temevamo addirittura che la fotografia non fosse attendibile. Abbiamo perciò interrogato i tuoi vecchi compagni di classe per scoprire qualcosa di più e dopo qualche mese ci siamo imbattuti in un ragazzo indios. Aveva sentito parlare di voi ed è stato lui a dirci che vivevate nella zona di Oaxaca. Abbiamo setacciato in lungo e in largo questa zona senza risultato, il vostro campo è ben nascosto e non c'è alcuna strada o sentiero che conduca fin qua>>. Continuano a guardarsi attorno, inorriditi da questo posto, dalle case, dalle mosche che si appiccicano. Non riescono a capire come sia possibile viverci.

Gli uomini, soprattutto gli anziani, ci stanno addosso, ci minacciano con i loro sguardi, qualcuno di loro tiene un coltello tra le mani. Comincio a temere per la sorte di queste due persone che hanno rischiato tanto solo per venirmi a parlare. E non sto più in me dalla gioia. Vorrei far loro un sacco di domande: se i miei amici si ricordano di me, se le strade sono sempre tanto trafficate, se i miei professori sono disposti a riammettermi a scuola, se sono venuti a portarmi via... Ma sono loro invece a dare il via ad una serie di interrogatori che mi fanno girare la testa. << Abbiamo bisogno che tu ci dia quante più informazioni possibili >>. Non so davvero da che parte cominciare. Come posso riassumere in poche parole più di due anni di sofferenze, torture di ogni tipo, umiliazioni e violenze sessuali? Inoltre, Laila e Carlos non sembrano rendersi conto di quanto possano essere pericolosi gli uomini che ci stanno sorvegliando, danno per scontato che possa parlare tranquillamente senza aspettarmi poi delle ritorsioni. Loro se ne andranno via, ma io dovrò restare qua. Li faccio accomodare dentro casa di Araf. Se avessi saputo del loro arrivo avrei provveduto a raccogliere più acqua. In questo periodo dell'anno non ne basta mai. Araf li guarda silenzioso, senza mostrarsi per niente spaventato. Comunque non ci perde di vista. Laila si dimostra paziente e vorrebbe scattarmi delle fotografie ma Carlos, che pian piano capisce gli stati d'animo della mia gente, le dice di lasciar perdere per il momento perché non vuole noie. Descrivo a grandi linee le mie giornate, mostro loro il bagno, il fuoco, vorrei portarli alla sorgente ma temo che non ce la possano fare ad arrivarci. A metà pomeriggio mi consegnano un quaderno ed una penna e mi chiedono di trascrivere tutto ciò che mi ricordo in modo che poi possano renderlo pubblico.

Non riesco quasi a crederci. Anni ed anni di silenzio e poi addirittura la Stampa Americana. Vogliono diffondere la mia storia, parlare al Governatore della città di Oaxaca e soprattutto mi assicurano dicendo che la loro prima mossa sarà quella di contattare un medico disposto a seguirli alla loro prossima visita. Ma bisogna sbrigarsi perché gli uomini del campo non danno segno di tollerare la loro presenza, ed allo stesso tempo fare le cose con cautela, perché c'è il rischio che mi nascondano in una zona inaccessibile. O peggio ancora che mi uccidano. In un momento che Araf è assente mi ritrovo ad implorarli. << Portatemi via con voi. Vi prego, vi prego. Se resto qua morirò comunque >>. Carlos mi guarda afflitto. Vorrebbe fare qualcosa ma non sa come. << Si potrebbe tentare. Ma non credo che tuo marito sia disposto a lasciarti venire via con noi >>. << Lui non è mio marito. Fa schifo, io non lo voglio. Preferirei morire che restare qua con lui. E comunque non esistono documenti che dimostrano il nostro legame. E' tutta una montatura, una loro strategia per tenermi schiava in questo maledetto posto >>. << Non possiamo interferire in questo modo. Noi non abbiamo potere al riguardo. Se ora ti portiamo via sarebbe come un sequestro di persona. Potremmo are dalla parte del torto >>. << E allora chiamate la polizia. Così posso denunciarlo >>. << Lyral tu capisci che attualmente contro quest'uomo non ci sono prove attendibili? Il fatto stesso che non possediate documenti lo scagionano. Sarebbe la tua parola contro la sua. Devi sforzarti ed avere pazienza >>. Pazienza? Non è la pazienza che devo avere mentre li guardo andarsene, mentre vedo le loro figure scomparire all'orizzonte.

Loro se ne vanno. Io resto qua. Non è con la pazienza che sono sopravvissuta in tutti questi mesi. Avevo creduto davvero di andarmene. Mi ero già immaginata con mia madre, in una piccola casetta con giardino e veranda, l'acqua corrente e limpida, le tende verdi alle finestre, il caminetto nelle notti d'inverno.... Mi sento annientata mentre ritorno nella mia stanzetta, consapevole di ciò che mi aspetta appena sarò faccia a faccia con Araf. Ma almeno ora so che ci sono delle persone che sanno di noi, che hanno rischiato per aiutarmi e che vogliono un colloquio col Governatore. Cerco di seguire il consiglio di Carlos e mi diverto sotto il naso di Araf a scrivere tutto ciò che ricordo di questi ultimi anni. Sa bene che non ho più paura di lui, glielo dimostro mostrandogli tutta la sete di libertà che sento in corpo. Ma è anche abbastanza furbo da non colpirmi e a non reagire alle mie deliberate provocazioni. Carlos prima di andarsene gli aveva detto: << La vedi questa ragazza? Se quando tornerò non troverò questa persona o la troverò in condizioni peggiori di quelle in cui la sto lasciando, riterrò te il diretto responsabile >>. Araf non si era lasciato intimidire sul momento ma poi si era ben guardato da lasciare segni sul mio corpo che potessero essere usati come prova contro di lui. Tre giorni più tardi arriva mia madre che mi sta urlando di recarmi al bar. Mi lascio scortare lungo il sentiero che attraversa il campo. Al bar sono radunati una ventina di uomini e appena mi vedono cala un silenzio carico di mormorii. Capisco ciò che sta succedendo solo quando intravedo Pier, uno degli anziani del campo. Mi fa cenno di avvicinarmi. A quanto pare questa storia dell'assistente sociale sta cominciando ad avere il giusto effetto. E' la prima volta che ho il permesso di entrare nel bar, mi fa accomodare in un angolo e fa segno agli altri di allontanarsi. Senza tanti giri di parole arriva subito

al dunque ed il fatto che non si dimostri ostile è la prova che per la prima volta, dopo una vita intera, sono loro ad aver paura di me. << Non sapevo che avevi problemi con Araf. Se me l'avessi detto avrei cercato una soluzione >>. Devo stare calma davanti ad una simile ipocrisia. Tutti sapevano come venivo trattata, tutti sentivano le mie urla. Devo stare calma. << Araf mi considera poco più di un insetto fastidioso. La vita con lui è un inferno >>. Nel pronunciare a voce alta queste parole mi sento libera come non mai. Finalmente posso dare sfogo alle mie lamentele senza temere poi di venire picchiata. So bene che Pier è dalla parte di Araf, ma quantomeno si sforza di ascoltarmi senza interrompermi ed a nascondere dietro un abbozzo il fastidio che prova nel vedermi seduta accanto a sé. Mi offre del tè, mi chiede se ho superato il dolore della perdita del bambino, cerca di capire da cosa provengono le cicatrici che ho sulle braccia. Ma non fa parola sull'increscioso avvenimento di pochi giorni prima, non sembra voler essere coinvolto in nulla in quella specie di rapimento che mi ha portata a vivere come un animale braccato in una grotta a mezzo metro da uno strapiombo profondo centinaia di metri. Io gli racconto tutto sommariamente, con la stessa umiltà che si richiede ad una donna. Tengo gli occhi bassi, il cuore mi batte forte perché non ho idea di quali potranno essere le sue conclusioni. << Tutti noi pensavamo che ormai ti fossi abituata alla tua nuova condizione >>. << Essere una moglie temporanea non è una condizione permanente, è quindi inutile che mi ci abitui. Inoltre Araf non mi ha dato mai modo di attaccarmi a lui >>. << Eppure, le uniche ferite che vedo sul tuo corpo sono quelle che tu stessa ti sei procurata. A meno che ora tu non mi smentisci affermando che queste cicatrici è stato Araf a fartele >>. << Le ferite di Araf non sono visibili agli occhi degli altri >>.

Mi sorride, beve del tè, riflette a lungo ed annuisce. Io resto con la bocca chiusa mentre mi rammenta quali sono le nostre tradizioni. << E non hai mai pensato di meritare certe ferite? >> << Come? >> Sento che la situazione mi sta sfuggendo di mano. Mi dimeno sul pavimento duro, incrocio le gambe e mi sistemo il foulard. << Araf ti ha scelta tra tante, ti ha ospitata in casa sua, tra l'altro la miglior casa di tutto il campo, ti ha nutrita, ti ha offerto dei vestiti e dei gioielli. E per quanto ne so tu l'hai ripagato ritraendoti al suo tocco, per mesi interi non ti sei concessa a lui, gli hai mentito sulla tua verginità, hai rifiutato di accompagnarlo al fuoco serale, hai ripudiato la sua stessa famiglia, hai ucciso suo figlio >>. A questo punto esplodo! << Volete ficcarvi in testa tutti quanti che io non ho ucciso nessuno? Era figlio mio quanto lo era suo. Araf mi ha torturata per farmi rimanere incinta, mi ha portato a dubitare di ciò che sono. Mi ha abbrutita ed ora non venirmi a dire che me lo sono meritato. Perché nessuno merita tutto questo. E' chiaro? >> Pier scuote la testa infastidito da questo mio scatto emotivo. Nessuno si è mai rivolto a lui in questo modo e chiaramente teme possa nascere un precedente. Vorrebbe colpirmi, glielo leggo in quei piccoli schifosissimi occhi grigi. E allora che si decida a farlo! Quell'assistente sociale voleva delle prove: sono pronta a morire per fornirgliene una su un piatto d'argento. Sono stufa di questi giri di parole, di questa loro capacità di mettere noi donne su un piano inferiore e di continua ed assoluta colpevolezza. Da quando sto a casa di Araf ho dovuto lottare per sopravvivere, per vedere mia madre anche soli cinque minuti al giorno, per mangiare. Ho dovuto abbandonare la scuola per poter diventare una “brava moglie”, mi sono trascinata giorno dopo giorno occupandomi di lavori elementari come la raccolta dell'acqua, della legna, cucinando per un uomo brutale, dormendo con lui, sfamando le sue voglie a qualunque ora del giorno e della notte. E mi fa imbestialire che davanti a tutto questo, la loro ottusa mentalità continui a

spingerli a vedere Araf come una vittima e me come una carnefice. Sono stufa marcia, mi hanno logorato i nervi, la personalità. Ma resto una persona, e la loro mentalità non mi plagerà a tal punto da mentire a quella giornalista ed all'assistente sociale. Essere vittima è sfiancante, ma è da stupidi mollare tutto proprio ora che la libertà è a portata di mano. << Ho avuto modo di parlare con Araf e mi ha assicurato che voi due andate d'accordo >>. << Lo odio soltanto e mi ripugna andare a letto con lui >>. Torna alla carica diverse volte e devo fare un notevole sforzo mentale per non lasciarmi confondere dalle sue contraddizioni. Ho capito ormai di che pasta sono fatti: cercano di raggirarmi, di creare caos nella mia testa e nei miei ricordi, in modo tale da farmi ammettere cose non vere. Il tè è finito ed anche il gin comincia a scarseggiare. Qualcuno ha chiamato mia madre e l'ha fatta venire qua davanti. Nel vederla scoppio a piangere. Anche lei sta piangendo, circondata da una dozzina di uomini che le impediscono di avvicinarsi troppo a me. Il motivo delle sue lacrime mi arriva con una notizia a ciel sereno da Pier. << Dovresti sforzarti di adattarti alla tua nuova situazione. Se continuerai con questo atteggiamento finirai con l'ammalarti >>. << Non ho nessuna intenzione di farlo >>. << Ma dovresti >>. << Non ne vedo l'utilità dato che è tutta una questione di tempo >>. << Non più. Araf ti ha chiesto in moglie. Ha versato un'ingente somma di denaro per averti, nonostante come anziano avesse tutti i diritti di prenderti senza pagare nulla >>. Il cuore mi si ferma per qualche attimo.

La pelle del mio volto diventa bianca come la luna. << Perché? Perché? Vi prego lasciatemi tornare dalla mia mamma. Araf potrebbe avere tutte le donne che vuole, senza neanche pagare. Perché io? Perché io? Aiutami, ti prego, a te ascolterà senz'altro >>. << Quale uomo si disferebbe di una donna come te? Bionda, con gli occhi color smeraldo, giovane, forte e bellissima. Io non posso fare nulla per te. In più tua madre ha accettato la somma >>. << Stai mentendo. Sei uno sporco bugiardo. Sei mille volte peggio di Araf, mi fai più schifo di lui. Merda! Merda! Sei una lurida merda! >> Devono intervenire due uomini per allontanare le mie mani dal collo di Pier. Mi trascinano di peso lungo il sentiero e mi gettano dentro casa di Araf. Appena chiudono la porta sento la chiave girare due volte nella toppa. Sono prigioniera. Hanno trovato un sistema ancor più eccellente per tenermi in gabbia. L'hanno studiata bene: una volta sposata con Araf non potrò muovere nessuna accusa contro di lui per violenza. Mi ero illusa che Pier fosse stato davvero interessato alla mia situazione, che mi avesse mandata a chiamare per aiutarmi. Non aveva mai avuto paura di me, nessuno si era spaventato per la presenza di due estranei nel campo che minacciavano di far intervenire il governo. Certo, avevano preso delle misure cautelari in modo che legalmente non avessero nulla da temere, tuttavia restavano fermi nella convinzione che le nostre tradizioni avrebbero costituito un insormontabile freno per chiunque avesse tentato di farmi allontanare dal campo o di denunciare la nostra situazione di vita. E la mamma? Come aveva potuto accettare i soldi di Araf? Possibile che la fame e la miseria l'avessero persuasa a dare la sua unica figlia in pasto ad un rivoltante cinquantenne? Chiusa in questa minuscola stanza cerco di riordinare le idee appena l'ira comincia a sbollire.

Ho bisogno di credere ancora in lei per non impazzire del tutto. Ho semplicemente bisogno di credere in qualcosa in questo tempo ormai fermo, di smettere di considerarmi orfana di casa e d'amore. Tra tanta indifferenza e dolore, deve esserci un qualcosa che ricordi agli uomini il significato di libertà. Continuare a lottare, a sperare, non serve più a niente? Scrivere su questo quaderno che mi ha dato Carlos mi farà saggiare la libertà? Forse no, ma conto sul fatto che forse un giorno qualcuno lo troverà ed allora non sarò la sola che piangerà per me. E quindi scrivo, scrivo, scrivo. Una parola dopo l'altra, una riga dopo l'altra, una preghiera e un'altra ancora: Ma dove sei mio Dio? Ti prego, Ti prego, fa tramontare il mio sole, lascia che sia la Tua luce ad illuminare la mia anima. Io sono così stanca... Fammi riposare. Tu hai creato questo Mondo... Mostrami il perché! Questa sera, mentre mi corico tra le braccia di Araf, non piango né mi dimostro disgustata dal suo tocco. Questa sera, per la prima volta, smetto di lottare. 9 Carlos e Laila hanno mantenuto la promessa e dopo neanche una settimana sono ritornati al campo accompagnati da un uomo sulla cinquantina che parla pochissime parole in spagnolo. Da quel che ho capito è un medico di un piccolo villaggio alle porte del deserto di Sonora e questo implica necessariamente una certa retrograda mentalità. Domando loro il perché non abbiano fatto intervenire un medico serio, con anni e anni di esperienza in un qualunque ospedale attrezzato di Oaxaca.

La risposta è chiara: nessuno vuole affrontare le spese di un viaggio simile né vuole immischiarsi in faccende riguardanti qualche villaggio sperduto dell'entroterra messicana col rischio di mettere a repentaglio la propria vita. Ad ogni modo, da quel che Laila mi racconta, sembrerebbe che il direttore del Portal non le abbia concesso un grande spazio per parlare della mia storia, spaventato all'idea di solleticare gli animi degli uomini del mio campo. Mi racconta anche che poco tempo fa c'è stato un attacco terroristico ad un altro giornale e che da quel momento molti articoli vengono censurati. Anche Carlos non mi da notizie incoraggianti: quando si è recato a Città del Messico chiedendo un incontro con il Governatore, quest'ultimo si è mostrato notevolmente seccato per il fatto che si sia rivolto a lui anziché a dei funzionari militari. Quindi Carlos ha fatto rapidamente dietrofront e si è recato alla stazione militare mettendosi in contatto con il capo della polizia. Come testimone oculare, Carlos ha esposto i fatti con rigorosa esattezza, eppure l'unica risposta che ha ottenuto è stata una porta chiusa in faccia ed una minaccia d'arresto. << Temo non sarà facile convincere il Governo a fornire a voi minoranze un valido o giuridico per l'affermazione dei vostri diritti in quanto non sembra desiderare di imporre a voi culture indigene modelli estranei ai vostri usi e costumi >>. Il o successivo è dunque quello di far rimbalzare sul più alto numero possibile di giornali la mia storia perché solo in questo modo lo Stato non può più fingere di non saper nulla. Per fortuna questa volta nessun uomo del campo si oppone impedendo a Laila di scattarmi qualche fotografia. Me ne scatta una davanti casa chiedendomi di tenere in mano i secchi d'acqua, poi me ne scatta un'altra con Araf e un'altra ancora con mia mamma. Inoltre fa un'intera panoramica al campo. Non ho avuto difficoltà a farmi fotografare con mamma dal momento che ho scoperto che per farle accettare quei soldi sono servite sette notti intere di minacce. << Mi hanno detto che ti avrebbero uccisa, Lyral, che altro potevo fare? >> Con quest'unica frase si era riguadagnata tutta la mia stima. Per la stanchezza e il tormento ero arrivata a dubitare di lei, anche se in fondo al cuore non avevo mai

smesso di amarla. Ad ogni modo è troppo tardi per respingere l'offerta di Araf, primo perché entrambe sappiamo che potrebbero benissimo arrivare ad uccidermi soprattutto ora che delle persone estranee sono venute a conoscenza della mia vita, secondo perché io temo troppo che possa essere lei a pagarne le conseguenze al posto mio. Sono diventata un fascio d'odio quando ho sentito dire da alcune donne che a mia madre era stata inflitta la “punizione della strega” per far sì che accettasse Araf come genero. Da noi un tempo si credeva che l'anima di una strega fosse corrotta e sporca e per pulirla queste donne venivano forzate a ingerire acqua calda o carbone. Ora questa tortura, visto e considerato che gli anziani hanno dimostrato una certa “modernizzazione” nel loro modo di ragionare, viene usata solo a scopo di estorsione o vendetta. Ciò che io riesco a sopportare lei non ne sarebbe mai in grado. Per certi versi mi sembra quasi che ci siamo scambiate i ruoli. La tratto io da figlia, la sprono ad andare avanti. Già, proprio io che ho smesso di lottare! Non ci resta che sperare che Carlos e Laila riescano a portarmi via prima che venga celebrata questa atrocità che qua chiamano “matrimonio”. Ma come continuano a ripetermi bisogna avere pazienza. Io ribatto che in questo campo non vengono rispettati i più elementari diritti umani. Sono diventata un disco rotto, mi costringo a ripetere le stesse frasi, le stesse parole. Ma è come se gridassi al vento. Carlos, anche se mi ascolta, anche se mostra interesse, cerca di calmarmi: << Capisco che tu voglia andartene ma io non posso fare nulla senza l'autorizzazione del Governo >>. << Quindi non esiste un modo per far allontanare me e mia madre da qui? >> << Oaxaca è un stato pluri–etnico nel quale vige una legge indigena basata sul

rispetto verso gli usi e i costumi delle diverse culture che lo abitano. E' stata riconosciuta la loro autonomia e finora tutto ciò non ha portato alcun problema >>. Nemmeno la mia idea di entrare in contatto con un altro stato americano sembra buona. La risposta è sempre la stessa. E' sempre lo stesso cane che si rincorre la coda. << I governi temono per lo più un collasso sociale e non hanno mezzi per giustificare la propria responsabilità su ciò che sta accadendo non solo a te ma a centinaia di persone >>. In poche parole, se il Mondo venisse a conoscenza di come viviamo, il Governo perderebbe la sua identità nazionale e non avrebbe alcuna giustificazione per il suo ripetuto disinteresse razzista, mascherato dietro un falso interesse per la conservazione delle nostre tradizioni. E le conseguenze per loro sarebbero incalcolabili. Ecco perché Laila sta puntando tutto quanto sui giornali, spera che la nostra storia possa raggiungere proporzioni tanto ampie da raggiungere non solo l'intera America ma anche l'Europa. Solo in questo modo le indagini insabbiate, questa perenne congiura del silenzio, tutte le coperture misteriose verrebbero messe alla luce. Ma per il momento io resto qua, a pazientare. << Vedi Lyral, come assistente sociale non posso fare molto perché voi come clan avete dichiarato la vostra autonomia. Nell'articolo 39 della Costituzione Politica degli Stati Messicani, c'è scritto che il popolo ha in qualsiasi momento il diritto di scegliere la forma del proprio governo. Voi, come popolo indigeno, avete deciso di governarvi con Libertà, Democrazia e Giustizia. Inoltre l'esistenza dei Municipi Autonomi è stata accettata dal Governo Federale e Statale negli Accordi di San Andrés. Pertanto sono legali >>. Il medico mi fa domande ma non mi visita in quanto nella sua mentalità è severamente vietato guardare le donne d'altri. Mi sembra di aver capito che sia musulmano, ma non ne so assolutamente nulla sulle sue tradizioni. L'unica cosa che intuisco è che la sua presenza non servirà a me né tanto meno a Carlos. Se l'intento era quello di guarirmi o di fare delle indagini più approfondite per trovare delle prove della violenza di Araf, sicuramente non

riuscirà a trovarle nei miei racconti. In pratica la situazione ristagna, Laila e Carlos si stanno facendo in quattro per aiutarmi, ma hanno le mani legate e non sono così in alto come avevo creduto sulle prime. Inoltre hanno paura, lo stesso medico non vede l'ora di andarsene. << Continueremo la nostra lotta in città, Lyral. Faremo di tutto per contattare i migliori reporter e a divulgare la faccenda. Vedrai che a quel punto il Governatore non potrà più tirarsi indietro e tu potrai venire in città >>. Prima di salutarli ho strappato le prime pagine del mio quaderno, in modo tale che potessero avere una documentazione scritta. Ancora una volta li ho guardati allontanarsi e poi mi sono voltata per tornare nella mia prigione. Non so se è una loro strategica mossa per tenermi buona e per mostrarsi magnanimi nei miei confronti, sta di fatto che mamma ha ottenuto il permesso di poter alloggiare con me in casa di Araf. Tra l'altro non potrebbero nemmeno mostrarsi troppo contrari in quanto tra poco saremo una famiglia unica a tutti gli effetti. Mi viene la pelle d'oca se penso che Araf avrà una suocera più giovane di lui. Cerco di non pensarci per quanto mi è possibile. Da quando lei è venuta da me, Araf divide il pagliericcio con suo figlio Sadir accanto al braciere, mentre mia madre dorme con me nella mia stanzetta. La sua presenza è per me di conforto. Soffro ancora di insonnia ma il solo respiro di mia madre è la miglior compagnia. A volte capita che parliamo fino a quando sorge il sole dietro le montagne ed il caldo comincia a farci appiccicare i vestiti e i capelli. E' un sollievo immenso dividere il letto con lei anziché con Araf. Eppure allo stesso tempo è un tormento. Non riesco a sopportare di assistere impotente alla sua arrendevolezza. Questo suo estenuante attaccamento alle proprie origini mi fa andare di volta il cervello e devo darmi una calmata se non voglio schiaffeggiarla. E' sempre la stessa storia:

<< Dimmi mamma, cosa ne pensi di quello che sta succedendo? Dimmi qualcosa >>. << Mah, non lo so. Sai bene che sono nata e cresciuta qua. Il mio unico desiderio è morire tra la mia gente >>. Tocca sempre a me spronarla, raccontando le meraviglie che i miei occhi hanno visto quando andavo a scuola. Non voglio farle sapere che non ho intenzione di andare da nessuna parte senza di lei perché equivarrebbe a costringerla a fare una scelta. Se non altro questa brutta esperienza mi ha fatto capire il giusto valore della parola “libertà”. Quando la guardo dormire, mi pongo sempre la medesima domanda: come posso, io che tanto apprezzo la libertà, condannare la persona che più amo al mondo ad una vita che non desidera? Questa volta Laila è stata brava nel trovare qualcuno di abbastanza importante. Questo qualcuno si chiama Carmen Lopez ed è un avvocato. Li faccio accomodare dentro casa di Araf perché fuori c'è tanto caldo da rischiare di svenire, in più non sembra che questa donna vestita di una semplice canottiera gialla sia ben vista dagli uomini. Col are dei giorni ho cominciato seriamente a temere che gli anziani possano far accadere qualcosa di brutto a tutte queste persone che entrano ed escono dal campo. Carmen Lopez si rivolge prima ad Araf e lo fa senza tanti preamboli: << Si tolga di mezzo. Ho bisogno di parlare a quattrocchi con la mia cliente >>. Araf se ne va chiudendo la porta. Vedere una donna parlargli in questo modo è la più grande soddisfazione che ho mai provato. << Io non posso pagarla >>.

<< Ci penserà l'assistente sociale >>. Comincio a delineare lentamente la figura di Carlos. Prima d'ora non avevo mai sentito parlare di assistenti sociali perciò, quasi divertita dal mio candore, è la stessa Laila che mi spiega. In sostanza apprendo di essere in buone mani quando capisco che il compito primario dell'assistente sociale è quello di acquisire elementi di conoscenza delle condizioni di vita delle persone e dei loro nuclei di appartenenza per potere predisporre un progetto di intervento che consiste sia nell’elargizione di aiuti diretti, sia nell’attivazione di presidi esistenti sul territorio, e di reti di solidarietà. Deve quindi salvaguardare gli interessi ed i diritti delle persone interessate e deve adoperarsi per contrastare e segnalare situazioni di violenza o di sfruttamento nei confronti di minori, anche se ciò implica mettersi in contatto con altri professionisti per offrire una prestazione integrata e pertanto più comprensiva della pluralità dei bisogni. O almeno è questo che Leila mi ha detto, ma spiega perfettamente la presenza di un avvocato, che si mostra sconvolto per la precarietà in cui viviamo. Continua a scrollarsi di dosso le mosche e non osa toccare l'acqua fangosa che le ho offerto. << Sarò molto chiara con te, Lyral. Allo Stato non importa un accidente se tu sei sposata o meno. Se vogliamo fare uno scandalo non dobbiamo puntare sulla qualità di vita in questo campo bensì sulla tua situazione in questa casa. Capisci cosa intendo? Devi essere pronta a vedere il tuo stupro e le altre torture a cui vieni sottoposta ormai da anni stampate in prima pagina su tutti i giornali >>. Ma è da qui che nasce l'altro problema, come ho modo di apprendere più tardi. Il problema sta nel fatto che lo stupro differisce dagli altri reati per la sua natura psicologica e non reale. Costituisce di per sé un rapporto sessuale la cui criminosità non sta nell'atto ma nella mancanza di consenso da parte di una delle due parti. E come mi ha spiegato Carmen Lopez: << Come si fa a stabilire se c'era o non c'era consenso tra le due parti? Se arriveremo ad un processo la difesa farà ogni sforzo possibile per discolpare Araf, utilizzando qualsiasi mezzo per raggiungere lo scopo >>. Per tutto il resto del pomeriggio Carmen non fa altro che porgermi domande che mi gettano nello sconforto più totale ed a delinearmi una situazione futura che a volte mi sembrerà più dura di quella che sto vivendo adesso.

Ad un certo punto esplodo: << Mi avete stancato tutti quanti! Siete persone adulte, sapete come va il Governo. E allora trovate una soluzione perché se mi lasciate qua mi ammazzo >>. Carmen mi guarda come se le avessi detto “dammi un pò d'acqua che ho sete con tutto questo caldo!” E' una donna abituata ad avere a che fare con i casi più disperati e sa bene che parole usare per calmarmi. Eppure non riesco a capire il perché stia facendo di tutto per scoraggiarmi anziché spronarmi a lottare. Non è forse venuta qua per aiutarmi? E allora che lo faccia. Essere costantemente gettata dentro questa situazione in cui non so nulla di ciò che sta succedendo mi sta portando alla follia. Sono stufa marcia di questi tira e molla. Mi dispiace parlare così con le persone che giudico i miei salvatori ma è tremendamente snervante toccare la libertà e poi vederla sfuggire dalle mani come granelli di sabbia. Quest'avvocato mi avverte di cosa dovrò sentire in un eventuale processo: << Il fatto stesso che lo stupro che tu dichiari è stato fatto da tuo marito spingerà le persone a non dare importanza al tuo caso e molti sosterranno che un pò è anche colpa tua, arrivando a giustificare Araf ed a discolparlo giudicandolo depresso, malato o sotto l'effetto del Gin. Capisci? Potrebbe trasformarsi nel giro di poche ore da criminale a candidato per il premio nobel per la pace ed il rispetto dei diritti umani. Tutti saranno felici di strumentalizzarti per realizzare piani politici razzisti e fascisti contro tutti gli altri villaggi autonomi presenti nell'entroterra messicana >>. Ma in tutta questa arringa non si è mai degnata di dirmi che sto facendo la cosa giusta. Comincio addirittura a dubitare della sua buona fede, pensando che sia stato lo stesso Governo ad inviarla per convincermi a tenere la bocca chiusa. Quando non si ha più fiducia in sé stessi è difficile fidarsi di qualcun altro. Mentre la saluto dall'alto e la guardo scendere per il sentiero che percorrevo per

andare a scuola, non posso evitarmi di chiedermi fino a che punto sono disposta ad arrivare per denunciare Araf e se questo porterà effettivamente a qualcosa di buono. Questo avvocato, che è una donna come me, non ha fatto alcuno sforzo per capire e migliorare la mia situazione, non si è preoccupata di farmi scappare da tutti questi fottuti uomini che mi girano attorno come avvoltoi in attesa che il mio cadavere torni loro utile per raggiungere altri disumani scopi. 10 Qualche giorno più tardi ricevo un'altra visita inaspettata. Alle prime luci dell'alba, quando il sole fa capolino sulle cime dorate dei monti e mentre il sonno sta vincendo la sua battaglia contro la mia insonnia, sento Nadir urlarmi direttamente dal sentiero di aver visto un uomo elegante venir cacciato in malo modo dagli uomini del campo. Col cuore in gola indosso il mio vestito sgualcito e mi copro i capelli alla meno peggio. Prima di uscire di casa Araf apre un occhio e impreca: << Bada a quello che fai ragazzina. Una volta sposati te le scorderai certe libertà >>. << Dì quello che ti pare. A me non importa più >>. L'aver sfiorato il senso di libertà mi ha reso ostile e temeraria. Ho sempre paura di lui, arrivo perfino a sognare le sue mani che si accaniscono su di me, lo temo addirittura anche quando è fuori dal campo per lavoro. Ma questa paura non basta più a tenere la mia lingua a freno. Ora che ho avuto modo di apprezzare quanto possa essere liberatorio aprire la bocca e lasciar uscire tutto quello che mi a nel cervello, non posso fare a meno di parlare. Lui è cattivo? Ebbene io lo sono più di lui. Se mi vuole in moglie, è bene che capisca da subito che si è scelto una bella gatta da pelare. Corro lungo il sentiero seguendo Nadir e quando giungo all'entrata del campo trovo Carlos circondato dai pugni protesi verso l'alto di due uomini. Sono alquanto sorpresa di vederlo, in quanto eravamo rimasti d'accordo di incontrarci solo una volta che Laila e Carmen avessero trovato una qualunque strada da percorrere che ci avesse permesso di raggirare le estenuanti trafile

burocratiche e governative, a costo di ricorrere a metodi non troppo legali. Nell'avvicinarmi mi rendo conto che deve aver camminato gran parte della notte per arrivare tanto presto e la cosa non promette niente di buono tanto per cambiare. Appena i due uomini si sono calmati, questa volta è stato però impossibile convincerli a far entrare Carlos all'interno, lo conduco sopra alcuni massi erosi dal tempo sotto l'ombra di un misero arbusto. Al limitare più estremo del campo, sorvegliata a vista da quattro occhi maligni e sospettosi. Nadir si offre di andare a chiamare mia madre. Intanto che l'aspettiamo, Carlos mi spiega tutto ciò che sa sulla campagna stampa di Laila, mi espone tutti i problemi che sono insorti quando ha tentato di sensibilizzare l'interesse da parte dei medici dell'ospedale di Oaxaca, cita a memoria l'intero articolo riportato sul “Portal”. A quanto pare è stato pubblicato un breve estratto del mio quaderno ma il Governatore di Stato ha soffocato lo scandalo minacciando il direttore del giornale di farlo chiudere ed arrivando addirittura a dubitare sulla veridicità dell'intera vicenda.. << Lo Stato non accoglierà facilmente la tua denuncia, Lyral. In poche parole abbiamo fallito e dobbiamo cercare un'altra strada ancora >>. Resto senza fiato qualche secondo. << Cosa ci rimane da fare? >> << Essendo tu quasi maggiorenne, possiamo provare ad allontanarti da questo campo senza per forza venir denunciati di sequestro di persona. E' un rischio ma si potrebbe tentare >>. << Sai bene che non me ne andrò senza mia madre >>. <<E tu sai bene quanto è rischioso per me e per Laila farti sparire nel nulla. Devi decidere Lyral. Devi decidere ora. Ti sto proponendo la libertà, ma dobbiamo agire alla svelta, prima che gli uomini si insospettiscano ulteriormente >>. Mia madre arriva, gli uomini non le permettono di avvicinarsi al confine del campo perciò mi allontano da Carlos per raggiungerla e metterla al corrente di ciò che ho appreso.

Mentre percorro questi pochi i verso di lei mi viene voglia di ballare. In meno di mezzo secondo ho dimenticato più di due anni di torture. La gioia e l'ansia mi soffocano. Carlos mi ha appena proposto la libertà ed io non so se accettarla perché in cambio dovrò perdere l'affetto di mia madre. Sembra una congiura: per ogni attimo di mia felicità qualcuno deve soffrire. Lei mi guarda senza dire nulla, tiene lo sguardo basso come se non volesse vedermi. Mi separano pochi secondi dalla libertà, non riesco a pensare ad altro. E' come se mi trovassi con un piede fuori dal campo e l'altro all'interno. A seconda di come tirerà il vento precipiterò da una parte. Le racconto del piano assurdo di Carlos, stando ben attenta a non permettere alla gioia di farmi gridare, perché gli uomini che ci stanno sorvegliando potrebbero intuire quello che stiamo architettando in gran segreto e intervenire prima ancora che io prenda una decisione. << Non me ne andrò senza di te. Tu sei la mia mamma, l'unica forza che mi ha tenuta in vita per tutto questo tempo. Se andarmene significa perdere te, allora no. Non lo accetto. Resterò qua, sopporterò tutto. Ma tu sei mia madre e io sono tua figlia! >> < >. << Non senza mia madre>>. << Anche se resterai qui sarai senza una madre >>. << Quello che dici non ha senso >>. << Ha senso, Lyral, ha senso >>. << Ma non ha senso per me >>. Guardo Carlos. Dall'altra parte di questa prigione senza sbarre che ha il potere di tenere le persone imprigionate mentalmente, mi sorride teso, tamburellando con

la punta della scarpa. Più a il tempo, più cresce la massa di persone attorno a noi. Non sembrano sospettare di nulla perché sotto un certo punto di vista si sono quasi abituati alla presenza assidua di questo assistente sociale. Tuttavia non c'è rimasto molto tempo. Bisogna escogitare qualcosa subito, prima che giri male e la situazione precipiti. Torno alla carica con mia madre. Il pensiero di abbandonarla mi strazia. << Carlos ci aiuterà a scappare >>. << Renditi conto, Lyral, che è una pazzia. Un suicidio. Tu da sola hai qualche possibilità, io non riuscirei a stare al vostro o. Ci raggiungerebbero in meno di due ore. E anche ammesso che riusciremo a raggiungere la città, credi davvero che nascondere due donne sarà tanto facile? Non abbiamo documenti, non abbiamo soldi. Tu sei giovane, hai la possibilità di trovarti un lavoro, finire la scuola, sposarti... Ma io? >> << Non me ne andrò senza di te >>. << Invece andrai. E quando sarai in città avrai più possibilità per aiutare tutti noi. Qui non puoi fare niente >>. Mi abbraccia forte e mi toglie il foulard dai capelli. Ci sforziamo di non piangere mentre i nostri cuori si stanno dicendo addio. << Scappa Lyral... Non avrai un'altra opportunità. Scappa ora, se non vorrai morire tra questa gente mediocre ed ignorante. Io ho fiducia in te... So che non ti dimenticherai di me >>. Mia madre mi bacia ancora. Devo fare in fretta. Carlos mi fa cenno di muovermi. Torno verso di lui. Sola. Smarrita. Sto abbandonando tutto. Ma a che prezzo? I due uomini stanno tenendo a bada le donne che nel frattempo, incuriosite dalla presenza di Carlos, si sono avvicinate silenziose; le minacciano, imprecano tra i denti, le spintonano per farle allontanare dal confine. Quelle donne sono la miglior distrazione, senza volerlo fungono da barriera tra gli sguardi di quei due

uomini e me. Cosa devo fare? Cosa devo fare? Mio Dio, dammi la forza di non guardare gli occhi di mia madre, l'unica mia famiglia. Un o ancora è forse toccherò per la prima volta la libertà. Soltanto un o ancora e dovrò dire addio a mia mamma. Un o, un misero o e sarò definitivamente sola, orfana. Ed è quindi con le lacrime che il mio piede tocca il suolo “americano” e mi catapulta verso un futuro di solitudine e di sotterfugi. Vivrò fuori di qui, ma vivrò per sempre come un evasa, col pericolo di essere nuovamente riacciuffata. E' questa la libertà che l'America mi sta offrendo? Appena Carlos si avvia verso il sentiero nascosto che si congiunge dopo pochi chilometri alle risaie, gli faccio capire a gesti che è senza di me che deve percorrere nuovamente quel ripido sentiero che porta alla vita. Mi guarda stravolto, quasi arrabbiato ed offeso per la mia decisione. Poi se ne va, mentre dentro di me si fa strada prepotentemente questa strana sensazione che mi suggerisce che questa, è l'ultima volta che ci saremo visti. Dietro di me sento le urla di mia madre. << Lyral, bambina mia, fa come ti ho detto. Vai... Vai...Vai!>> Piange sommessamente nel vedermi ripercorrere la strada verso la carcerazione, si dimena come una folle mentre gli uomini cercano di acciuffarmi per le spalle finalmente consapevoli di quello che avevo avuto in mente di fare. << Perché, Lyral? Perché? >> Mi getto a fatica tra le sue braccia, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime. << Non sarò mai libera. Ma almeno sarò sempre tua figlia >>. << Tu sarai sempre mia figlia. Sono io che non potrò mai essere tua madre! >> Gli uomini ci strappano l'una dall'altra e ci spingono a calci verso le nostre

rispettive case. Per non so nemmeno quanti minuti resto immobile, con la mano sul legno della porta, l’aria incastrata tra la gola e lo stomaco. Nella mia testa si accavallano due rumori: i i lenti di Carlos che si fanno via via sempre più lontani fino a diventare un sordo eco, e le imprecazioni di Araf. La porta si spalanca e la sua mano attorno al collo mi obbliga ad entrare. Cado distesa sul pavimento e prima ancora di avere il tempo di sollevare lo sguardo da terra una raffica di colpi indirizzati ai miei reni mi lasciano stordita, privandomi quasi completamente dei sensi. Impiego un pò a capire di essere circondata dall’intero consiglio degli anziani. Sei persone che guardano ammirevoli il modo in cui Araf si sta accanendo su di me. La sua giusta punizione per aver tentato di fuggire. Ed in tutto questo delirio, nella mia mente si fa strada la spiacevole e terrificante sensazione che la vera punizione, quella più atroce, deva ancora arrivare… Quella è stata l'ultima volta che ho visto Carlos. La mia libertà se ne è andata e con lei diciassette anni della mia vita. Non ho mai considerato questa mia scelta come un errore. Nemmeno quando gli anziani, dopo che Araf aveva sfogato sul mio corpo tutta la sua rabbia, mi avevano raccontato la vera storia del campo. Le leggende che ci raccontavano attorno al fuoco erano tutte menzogne; noi non siamo un popolo nomade, nessun nostro antenato ha affrontato un lungo viaggio per arrivare fin quassù. Semplicemente alcuni uomini, stanchi della vita caotica della città, si sono trasferiti in questo posto per creare una comunità fondata sulle proprie leggi, fatte a loro piacimento e discrezione. Hanno abusato della libertà che ha elargito lo stato messicano per toglierla definitivamente a noi generazioni future. Non l’ ho considerata un errore nemmeno quando Araf, al termine della spiegazione, aveva aggiunto: << Ti lamenti di me che ho dovuto comprarti per averti in moglie ma non hai mai disdegnato il fatto che tua madre ti abbia rapita per averti >>. << Sei un bugiardo! Un verme! Menti, menti e basta! >>

<< Ti abbiamo tolta ad una donna quando avevi poco più di un anno d'età e ti abbiamo portata qui, a crescere in questo campo dove i valori ed i doveri esistono ancora. Chiedilo a lei se non mi credi >>. Nei giorni successivi non ho mai avuto il coraggio di porgere questa domanda a mia madre né tantomeno l’occasione per farlo. Comunque la mia pelle e il colore dei miei capelli mi hanno fornito la risposta che più tra tutte temevo; non sono il frutto del suo ventre, non sono il frutto dell’ amore tra i miei genitori. Sono solo la conseguenza di un suo atto egoistico, di uno sfizio così prepotente e arrogante che mi ha trasformata in un’orfana prima del tempo. Sono rimasta in questo campo per lei! Non sono fuggita con Carlos per l’amore che provo verso una donna che non posso chiamare “mamma” ma che tuttavia continuo a reputare tale. Da quel giorno, ogni sera mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se non mi avessero rapita. Forse avrei avuto anch'io la possibilità come tutte le mie vecchie compagne di classe di studiare, sposarsi con l'uomo che si ama, avere una vera casa, avere una vita... Mi arrampico su per il sentiero, che attraverso il cimitero conduce ai canyon, mi siedo su un masso col quaderno aperto sulle ginocchia e ripenso alle parole di mia madre: << Un giorno te ne andrai di qui >>. L'amore che provavo e che provo tuttora per lei mi ha reso ingenua. Le ho sempre creduto, non ho mai sospettato di nulla. E tutti sapevano, lei sapeva. Voleva allontanarmi da questo posto ma era stata lei a scaraventarmici dentro. Se non fossi stata tanto vicina alla libertà, probabilmente non ne sarei mai venuta a conoscenza. La tanto agognata America mi ha tradito allo stesso modo. Anelavo per una libertà che mi era stata tolta da quando ero nata, speravo nella mia bandiera che si regge verso il cielo col sangue di noi tutti cittadini. Mi è stato tolto tutto, tra pochi giorni andrò in moglie ad Araf, e per la prima volta entrerò effettivamente a far parte di questa comunità con un legame di sangue. Tra queste montagne è morto mio figlio, lo porto dentro di me ogni istante della mia vita.

Tra queste montagne aride presto una donna morirà se qualcuno non farà nulla per lei. Forse... Comunque morirà! Non è Lyral che sta guardando verso il basso di questo canyon dove tante volte si è inginocchiata per pregare. Non è Lyral che sta allargando le braccia, come ali di un angelo, pronte ad abbracciare la libertà del vento, pronte a volare nel vento. E' una donna ferita a morte. La libertà è solo un' utopia ma a me sarebbe comunque piaciuto capirne il vero significato. Seguire Carlos non avrebbe avuto alcun senso perché ci sono solo due modi per lasciare questo campo e voglio farlo in modo tale che il mio cuore non resti sempre imprigionato qui.... Le prime pagine di questo quaderno sono andate strappate e consegnate alla stampa. Chissà se torneranno mai ad unirsi con queste altre? Ormai ne restano poche da riempire... Mi piacerebbe scrivere che sono cresciuta, che ormai sono una donna che ha imparato che la vera libertà è solo dentro di noi. Mi piacerebbe semplicemente continuare a scrivere... Ma lascerò a voi il tempo, il desiderio e la fantasia per continuare. Siete voi i veri scrittori di questa storia, illudetemi di essere una semplice lettrice che sta per chiudere questo libro e che non può capire come si sente veramente la protagonista. Che può solo commuoversi per lei. Sono davvero troppo stanca per continuare, voglio solo che queste pagine finiscano. Ho bisogno di una fine, ho bisogno che la mia vita diventi una semplice pagina bianca. Bianca, come le ali di un angelo. So che per alcuni di voi il mio ricordo resterà a lungo nascosto nell'ombra, pronto a manifestarsi al minimo cambiamento di luce. Ed è a voi che mi rivolgo:

Andate avanti per me. Cambiate questo mondo, ma fatelo tutti insieme. Fatelo al posto mio. Amatevi, amatevi sempre. Amatevi con tutto l'amore che a me è mancato. E non preoccupatevi per me né per quello che sto per fare perché... Ve lo ricordate?... La mia mamma un giorno mi disse: se hai bisogno di me e non mi trovi, cercami nei tuoi sogni. Io sarò lì ad aspettarti, e tu non sarai mai più sola. Ma dove sei mio Dio? Ti prego, Ti prego, fa tramontare il mio sole, lascia che sia la Tua luce ad illuminare la mia anima. Io sono così stanca... Fammi riposare. Tu hai creato questo Mondo… Mostrami il perchè!