Lucius Etruscus
Fuoco e Fango
Il braccio sinistro della vendetta
per Giona Sei-Colpi
Crediti
Collana: Giona Sei-Colpi Prima edizione digitale: dicembre 2015
In copertina: elaborazione grafica dell’autore
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Questa è una storia di pura finzione, quindi ogni riferimento a persone realmente esistenti è del tutto casuale e non voluto. Luoghi e nomi, quand’anche fossero realmente esistenti, sono stati piegati ai fini narrativi e perciò slegati da qualsiasi pretesa di veridicità.
Trama
Dopo lo scontro a piazza San Pietro, visto in “Fratelli di fuoco”, Giona Sei-Copi e i suoi uomini tornano alla base per organizzare la prossima missione, raccontata in “Anita Nera”: nel frattempo un brigante locale ha la malaugurata idea di rapire La Sfregiata e Carlo Pisacane, ospiti di Giona. La furia di Giona sarà di quelle che lasciano molti cadaveri in giro, anche perché ora ha trovato un validissimo alleato: il suo nuovo... braccio sinistro! Questo racconto rientra nel progetto di scrittura collettiva “Risorgimento di Tenebra”, ideato dal gruppo Moon Base.
L’autore
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog, come “Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ogni genere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serie Z), il “CitaScacchi” (citazioni scacchistiche da ogni forma di comunicazione) ed altri ancora. Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha raccontato le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena (ed altro ancora) sono narrati nel blog “NonQuelMarlowe”.
Dello stesso autore
Romanzo 0,99 euro: Le mani di Madian. Il romanzo di Marlowe, non “quel” Marlowe
Racconti lunghi in vendita a 0,99 euro: True Marlowe e il Re in Giallo. Un’indagine di Marlowe La notte dei risorti viventi (Risorgimento di Tenebra). Giona Sei-Colpi 1 Fratelli di fuoco (Risorgimento di Tenebra). Giona Sei-Colpi 2 Anita Nera (Risorgimento di Tenebra). Giona Sei-Colpi 3 Voglio la testa di Garibaldi (Risorgimento di Tenebra) Anita Nera 2 Chi muore per primo, muore due volte (Risorgimento di Tenebra). Giona SeiColpi 4 Malanotte. Un’indagine di Marlowe La variante di Marlowe. Un’indagine scacchistica di Marlowe De Marlowe Mysteriis. Mistero Marlowe 1 La caduta degli Uscieri. Mistero Marlowe 2 Platone, lo schiavo filosofo. Commedia breve in quattro atti di quando i libri non si leggevano
Racconti brevi scaricabili gratuitamente:
I racconti di Marlowe. Le prime undici indagini
Saggi in vendita a 0,99 euro: Ninja. Storia di un mito cine-letterario Gynoid: a forma di donna. Duecento anni di donne artificiali Alla conquista del Monte Athos. 400 anni di caccia al libro Notovitch e la vita segreta di Gesù. Storie da non credere 1 Petronio e la Cena di Trimalchione. Storie da non credere 2 Arpe e il Trattato dei Tre Impostori. Storie da non credere 3 Ireland, il ragazzo che fu Shakespeare. Storie da non credere 4
Saggi scaricabili gratuitamente: 21 grammi. L’insostenibile (e fumosa) leggerezza dell’anima Da Samarra a Samarcanda. La storia della Morte inevitabile Mangiare libri. La più antica forma di lettura L’apprendista stregone. La Parola Creatrice orale Geremia, il Golem e Ruby Sparks. La Parola Creatrice scritta Dieci contro mille. Il grande cinema di assedio La Falsa Novella. Viaggio tra i falsi vangeli inventati dai romanzieri Tradurre l’incubo. Da Shakespeare a Goethe Lupin contro Holmes. Scontro fra titani del pulp
Mistero Shakespeare. Analisi inedita di un mistero inestricabile Spaghetti Marziali. Quando gli italiani inventarono il kung fu western
Avvertenza
Questa è un’opera di pura fantasia, e sebbene sia una rivisitazione di veri eventi storici con protagonisti e luoghi reali, tutto quanto raccontato non ha alcuna pretesa di validità storica né tanto meno di verosimiglianza: è solo una rielaborazione fantasiosa di fatti reali. I caratteri descritti di personaggi reali sono anch’essi frutto di fantasia: non è intenzione dell’autore dileggiare o dissacrare figure di alto livello della storia italiana, bensì renderle più “caratterizzate” all’interno di una storia fantasiosa che non ha alcun rapporto con la vera storia d’Italia.
Fuoco e Fango
– Il suo nome? – Vuoi saper anco il mio? Egli è Delitto, Punizion son io.
Rigoletto
1.
Lago di Castel Gandolfo (Roma), 20 luglio 1849 cinque giorni dopo gli eventi di “Fratelli di fuoco”
Il morto ondeggia lentamente nell’arena mentre la luce delle torce dipinge ombre inquietanti sul suo volto rugoso. Quando un lambire di fiamma illumina i suoi occhi vuoti, lo spettacolo diventa davvero raccapricciante... perché potrei esserci io al suo posto. Io sono morto, è inutile far finta di niente, e anche se i miei nuovi amici mi trattano come una persona normale non vuol dire che io lo sia. Per prendermi in giro ogni tanto mi chiamano “Simone il Morto”, e sono sicuro che abbiano le migliori intenzioni quando, scherzando con me, dimostrano di considerarmi uno di loro. Sappiamo tutti che sono diverso da loro, che sono più diverso di quanto qualsiasi altro essere vivente possa essere diverso da loro... perché io non sono un essere vivente. Un tizio mi urta e mi strappa a questi pensieri tristi, pensieri che ogni giorno mi tengono compagnia e amareggiano quella che dovrebbe essere una seconda vita: non credo che dopo essermi venuto addosso lo sconosciuto mi abbia chiesto scusa. «Sai cosa dobbiamo fare?» mi chiede invece, come se avessimo un qualsiasi tipo di rapporto. Non sono dell’umore e continuo a fissare il morto che rantola quando rispondo allo sconosciuto: «Immagino che dobbiate ammazzare il morto.» Forse il tizio replica qualcosa, magari chiede spiegazioni in merito a quella mia risposta vaga, ma già vedo Giona raggiungere la sua solita posizione centrale e quindi tanto vale aspettare il suo discorso.
«Signori, benvenuti all’Hexagon» tuona l’uomo per sovrastare il fastidioso vociare nell’ampia sala. Non so se fosse prevista nelle intenzioni di chi ha costruito questo posto, ma l’acustica è perfetta e per un’arena di combattimenti illegali è un valore aggiunto: chi viene qui a scommettere sull’esito di uno scontro duro, spesso all’ultimo sangue, vuole sentire ogni colpo, ogni osso che si rompe e ogni schizzo di sangue che imbratta il pavimento. Per ora, ad arena vuota, sentiamo solo Giona che parla con voce tonante: quanto gli piace avere l’attenzione su di sé... «Vi ringrazio di aver partecipato numerosi a questa iniziativa, ma voglio mettere subito in chiaro che sto cercando gente tosta, senza paura e che sia disposta ad affrontare pericoli sconosciuti. Quello che vi offro non è un impiego ma una missione: il salario sarà buono ma rischierete la vita.» La lentezza con cui estrae un sigaro dalla tasca e se l’accende con uno dei suoi trucchi serve, credo, ad assicurarsi che il messaggio entri bene nelle teste dure degli uomini che stanno affollando i bordi dell’arena. Mi fa effetto vedere vuoti i tre piani superiori, le balconate da cui la gente mi gridava contro la prima volta che sono stato qui: il caldo umido ed opprimente, invece, è lo stesso di come lo ricordavo. Forse sarà perché siamo tre piani sotto terra. «Se non siete disposti a rischiare la vita» continua Giona, «è inutile che rimaniate qui, perché la prova che ora vi chiederò di superare è già di per sé un rischio altissimo. Se non siete più che sicuri, evitatevi una brutta esperienza e soprattutto evitate di farmi perder tempo: quella è la porta e addio.» Per salvare le apparenze Giona alza una mano ad indicare l’uscita dell’arena, tre piani più in alto, ma dubito che nel caso qualcuno voglia andarsene ci riuscirebbe sul serio: l’Hexagon non è proprio un segreto inviolabile, ma lasciare che dei farabutti vadano in giro a raccontare l’incredibile struttura sotterranea che si nasconde sotto un’osteria di Castel Gandolfo – località estiva del papa! – non è proprio una buona idea. Mi chiedo cosa succederebbe se qualcuno mostrasse l’intenzione di andarsene, ma per fortuna nessuno ci prova. Ad occhio mi sembrano tutti disperati che non hanno nulla da perdere, e non so se Giona voglia circondarsi sul serio di questa canaglia. «Bene, speravo foste così ben determinati» riprende il mio nuovo capo. «Non mi resta che presentarvi il signor Mazzini» ed indica con un ampio gesto delle braccia il morto che ondeggia a poca distanza da lui, tenuto fermo da una catena al collo. «Ovviamente non è proprio “quel” Mazzini, è un simpatico nomignolo che gli ho dato in onore del terrorista che quei pazzi degli insorti avevano eletto
a condottiero.» Giona ride, ma può dire queste cose impunemente solo perché la sua amica Sfregiata non è presente, altrimenti gli farebbe rimangiare questi commenti da papista. «Quanti di voi hanno già avuto modo di affrontare un morto vivente? » chiede Giona. Quando qualcuno chiede cosa voglia dire quell’espressione, sbuffa sonoramente. «Non ho voglia di spiegarvi tutta la storia, vi basti sapere che da diversi giorni può capitare che una persona defunta torni in vita, trasformandosi in un lento ebete come il nostro signor Mazzini. Visto che a Roma e dintorni si sono verificati troppi avvistamenti perché io mi senta sicuro, ho bisogno di aumentare la vigilanza della mia base operativa a Castel Gandolfo: mi servono uomini che pattuglino le rive del lago e che tengano gli occhi aperti, e che all’occorrenza siano in grado di affrontare uno o più morti viventi qualora se li ritrovassero davanti. Bando dunque alle chiacchiere e diamo inizio alla prova.» Giona con i rapidi gira intorno al morto e stacca dal collo la catena che lo immobilizzava. «Chi rimane in piedi, senza essere stato morso, avrà il lavoro.» Mentre Giona si allontana rapidamente dal centro dell’arena, gli uomini si guardano l’un l’altro senza capire, finché uno chiede ciò che in fondo pensano tutti: «Chi deve iniziare?» Giona ride con un rumore gutturale sgradevole ed occhi cattivi. «Tutti.» Mentre alcuni si chiedono che accidenti di prova sia, qualcuno prende l’iniziativa e salta addosso al morto. Colpi scomposti e strane grida si susseguono, mentre le fiaccole creano strane ombre intorno ai corpi che si accavallano: il morto non sembra intenzionato a morire di nuovo. «Dimenticavo», tuona divertito Giona a distanza, «l’unico punto debole è la testa: staccatela dal tronco o maciullatela e il gioco è fatto.» È davvero un bastardo, il mio capo Giona: si era dimenticato un particolare da niente! E non ha ancora informato gli sventurati che un solo morso di quella creatura li condannerà a morte... anzi, peggio della morte. Ignari del pericolo, altri uomini si avventano sul morto finché uno sgradevole rumore echeggia nell’arena, testimoniando che la testa della creatura si è spezzata. Il suo corpo smette di divincolarsi e si accascia per terra. «Tutti vivi!» grida immotivatamente uno degli uomini, tenendosi un braccio perché era stato chiaramente morso. Giona tira lentamente una profonda boccata di fumo, e dopo averla sbuffata con
altrettanta lentezza affossa l’umore di quei poveracci dicendo finalmente la verità. «Sapete perché ho scelto Mazzini?» Silenzio, tutti pendono dalle labbra di Giona proprio come piace a lui. «Mazzini... un nome plurale... perché ce ne sono tanti.» Con un rapido gesto della mano fa scattare una leva e, con gran fragore, si solleva la porta delle segrete dell’arena. E un’orda di morti viventi inizia a riversarsi, lentamente ma inesorabilmente, sugli uomini: questa è la prova. Se non fossero tutti spaventati a morte, potrebbero sentire in sottofondo lo sgradevole rumore gutturale di Giona che ride. «Occhio ai morsi, ragazzi.»
2.
«Ancora non ho capito se il tuo capo è un criminale al servizio del bene, o al servizio di chi paga meglio.» Bella domanda, a cui non so proprio cosa rispondere. «Lo conosco solo da due settimane», rispondo senza guardare il mio interlocutore, «non l’ho ancora capito neanch’io.» «Quello che davvero mi stupisce è che una donna eccezionale come te sia al servizio di un furfante come Giona.» Per fortuna il mio volto sfregiato dal fuoco nasconde un altro tipo di fiamme: quelle generate dall’imbarazzo, un rossore che sento divamparmi dentro come reazione al complimento di Carlo Pisacane. Dopo la missione a San Pietro l’abbiamo incontrato per caso – o almeno così lui ha voluto far sembrare la cosa – e l’ho subito invitato a are qualche giorno di riposo al “covo” di Giona: Carlo ha tentennato, ma appena scoperto che si trattava della residenza pontificia che i romani chiamano Castel Gandolfo ha subito accettato. Qualche giorno immerso nella natura rigogliosa, magari con qualche gita in barca sul lago, è un’offerta che non si può rifiutare. Durante il viaggio sono dovuta stare vicino a Giona per convincerlo a cedere al suo istinto, cioè sparare a Pisacane per togliersi di mezzo un pericoloso testimone, un uomo di lettere che ama lasciare testimonianza scritta dei maggiori eventi del suo tempo: gli ho ripetuto che aveva dato la propria parola e che avrebbe taciuto qualsiasi riferimento a morti viventi e agli strani tizi che ha visto combatterli, e grandi uomini come Carlo Pisacane hanno una sola parola. Giona era rosso di rabbia e, sebbene non lo ammetterà mai, ha accettato l’ospite sgradito solo per farmi un piacere. L’ho ringraziato più volte, durante il viaggio e qui al lago, e continuerò a farlo per evitare ripensamenti pericolosi. «Sono una donna qualunque» rispondo al complimento senza alzare lo sguardo. «Non sono eccezionale in nulla.» So che in un’altra occasione Pisacane non mi avrebbe mai degnato di uno sguardo, anzi: magari a causa del mio volto sfregiato avrebbe avuto occhi pietosi per me, il che sarebbe stato anche peggio.
Pensandomi come una soldatessa di Giona forse mi idealizza o semplicemente mi fa dei complimenti gratuiti giusto per ringraziarmi dell’invito. Qualunque sia il motivo, non posso negare che mi faccia piacere. «Andiamo, Rosina, non fare la modesta.» Il cuore mi sussulta e sono contenta che Carlo stia guardando altrove, perché ho strabuzzato gli occhi a sentir pronunciare il mio nome. Il nome che finora solo Giona conosceva, perché per tutti gli altri sono solo la Sfregiata, e così dev’essere. Ma quando un grande eroe d’Italia come Pisacane ha voluto sapere come mi chiamassi... ho ceduto alla vanità e gli ho rivelato quel nome che pochi uomini hanno conosciuto. Carlo scambia il silenzio che segue come una mia concentrazione e riprende la parola. «Hai fatto grandi progressi, ma ora non spaccarti la testa: già avere imparato a giocare a scacchi in così poco tempo fa di te una donna eccezionale, non devi strafare.» Ride, e il suo riso è contagioso. Sollevo lo sguardo e rido insieme a lui... maledicendomi un attimo dopo. Mi è stato detto che quando rido le cicatrici sul mio volto diventano più mostruose del solito: non so se è vero, ma mi capita così poco di ridere che non me ne sono fatta un problema. Farmi vedere però da Carlo ancora più orribile di quanto già io sia... non è una cosa che mi vada. Non è civetteria: è dignità. «È stato facile imparare perché sei bravo ad insegnare» rispondo abbassando di corsa il volto sulla scacchiera, sperando che il mio volto non sia stato troppo inguardabile. Carlo sghignazza mentre cambia posizione sulla sedia di paglia. È incredibile quanto sia scadente il mobilio di Giona, sebbene abbia apparentemente un grande patrimonio a disposizione. Siamo su una veranda della villa papale, affacciata ad uno scorcio di lago così bello che non sembra nemmeno far parte di Roma, eppure non è stato possibile trovare altre sedie se non due sgabelli malmessi. Temo che Giona ci abbia presi tutti in giro e che questa non sia affatto proprietà pontificia... «Pensavo che nella vita di una donna d’azione come te non ci fosse spazio per atempi statici come gli scacchi.» Sento i suoi occhi su di me, mentre sposta lentamente una pedina sulla scacchiera traballante, poggiata sull’unico tavolinetto che abbiamo trovato in
casa. «In realtà non è un atempo: imparare a giocare è stato un ordine del mio allenatore.» «Hai un allenatore personale?» È bello stuzzicare la curiosità di un grand’uomo, per questo mi lascio andare a rivelazioni che dovrei invece tacere. Se Giona fosse qui mi prenderebbe a pedate. «Qui vive un discendente dei cosacchi che conosce tecniche di combattimento incredibili: è lui che si sta occupando del mio addestramento e mi ha imposto almeno una conoscenza base del gioco degli scacchi.» «L’ho visto in azione, quel cosacco: è un grande combattente» risponde Carlo, denunciando se stesso: come ha fatto a vedere Boyka in azione se ci siamo divisi prima dello scontro a piazza San Pietro? Evidentemente ci ha spiati di nascosto, e la cosa mi fa sorridere. «Però continuo a non capire: cosa c’entrano gli scacchi con il combattimento?» Muovo una pedina e guardo Carlo negli occhi: non sto ridendo, quindi non devo essere più inguardabile del solito. «Mi è stato spiegato che esiste il combattimento di forza bruta e quello strategico: essendo io una donna, con una forza limitata, devo concentrarmi sul secondo. Combattere con una strategia significa avere la consapevolezza del territorio su cui sono io e il mio avversario, per sfruttarlo a mio vantaggio: visto che, a quanto pare, questo è uno degli aspetti fondamentali degli scacchi, ecco che imparare a giocare mi renderà una combattente migliore.» Inarco le spalle con un gesto ampio, come a dire “Non so se è vero, mi limito a riportare quanto mi è stato detto”. Ci scappa da ridere e non distolgo lo sguardo: per un attimo dimentico il mio volto, ed è bello fingere di essere una donna normale. «Non ci avevo mai pensato» risponde Carlo allungandosi per muovere un pezzo sulla scacchiera. «E come ti senti, ora che sai le regole di base del gioco? Sai combattere meglio?» Ridiamo di nuovo. Non va bene, significa che starò malissimo quando se ne andrà: avevo giurato che mai un uomo mi avrebbe fatto soffrire ancora. Allungo una mano e, con la testa piena di pensieri sbagliati muovo un pezzo. «Ah!» mi sgrida dolcemente Carlo. «Non puoi metterti lì, ti ricordi che il
Cavallo si muove ad L?» Sbuffo, stizzita. «È un pezzo stupido: perché deve muoversi in modo così strano? A che serve?» Carlo sorride. «Il Re degli scacchi è come il tuo Giona: si circonda di guerrieri diversi tra loro, ognuno con il proprio stile e ognuno con le proprie capacità. Non conta ciò che sono singolarmente, ma ciò che diventano quando combattono insieme.» Scuote divertito le spalle. «Vedi? È facile trovare similitudini con gli scacchi: e pensa che non sono neanche un cosacco!» Ridiamo di cuore, e non è un bene. Perché solo all’ultimo secondo mi arriva alle orecchie un rumore che non riconosco. Un rumore che capisco subito essere ostile...
3.
Che inutile spreco di vite umane. E che scocciatura, per me, dover ripulire questo ammasso di carne fumante e pulsante, che schizza sangue ovunque. Capisco che Giona voglia creare un’armata di sacrificabili da usare come cuscinetto di fronte ad una eventuale avanzata di morti viventi, ma cercare tra gli sbandati e i morti di fame mi sembra sia solo una gran perdita di tempo. Di sicuro nessuno farà domande sulla scomparsa di questi tizi, ma vederli affrontare i morti ha reso chiaro che servono mercenari, non carne da macello. I primi hanno cercato di aggredire i morti viventi con un minimo di tecnica, qualcosa che certamente hanno imparato in tanti anni di risse per strada e nelle bettole. Ma un cadavere che ti si avventa addosso per mangiarti non è un rissoso ubriacone, anche se la capacità di ragionamento è probabilmente la stessa. Qualcuno di questi poveracci ad un certo punto ha capito che tirare pugni, in pancia o in faccia, non serviva proprio a niente, ed è stato drammaticamente chiaro che non aveva altra idea su come aggredire un morto vivente: figuriamoci su come ucciderlo. Mi avvicino lentamente alla massa di corpi che tappezza l’arena, pensando a quale onore mi abbia dedicato Giona: usare i miei poteri per neutralizzare le creature rimaste in piedi e dare il colpo di grazia ai volontari morsi o comunque feriti a morte. Che gran bel lavoro... Alzo gli occhi e vedo che si avvicinano gli inservienti dell’Hexagon con stracci e scope, pronti all’ingrato compito di ripulire sangue e budella da per terra: in fondo, c’è sempre chi ha un lavoro peggiore del tuo. «Conti di farne molte, di queste carneficine?» chiedo a Giona mentre ammiro sconsolato lo spettacolo macabro di tutta quella carne umana massacrata. Il mio amato capo non risponde, intento com’è nella principale attività della sua vita: accendersi uno dei suoi sigaracci puzzolenti. Inutile farla lunga e perdere tempo in lamentele che nessuno ascolterà: mi rimbocco le maniche e mi preparo a dare una morte caritatevole agli uomini morsi e un riposo eterno alle creature che...
Mi guardo più volte intorno prima di capire cosa mi stia sfuggendo, eppure continuo a non crederci: vedo diversi vivi che rantolano, feriti in vari modi, ma non riesco a vedere una sola creatura rimasta in piedi. La luce delle fiaccole è debole e tremolante, e l’essersi mossi tutti insieme ha reso confuso lo scontro fra gli straccioni e i morti, eppure sono sicuro che nessuno dei “volontari” fosse in grado di uccidere una sola creatura... Dove sono dunque i morti viventi? Faccio scorrere più volte lo sguardo per l’arena, ma a parte il dimenarsi rantolante dei feriti umani non sembra esserci un solo brandello di carne morta in movimento. «Qualcosa non torna.» Il tempo che questa frase mi sfugga di bocca, ed ecco che un movimento assurdo attira la mia attenzione. Ci metto alcuni istanti per capire quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi: è come se il tappeto di carne umana iniziasse ad alzarsi. Il tempo di trovare le parole per spiegare il fenomeno, che il movimento si focalizza in un punto centrale, dove alcuni corpi si sollevano pur restando morti. Alzandosi scivolano e alla fine lasciano visibile l’unica causa di quello strano effetto: un uomo, rimasto sepolto dai cadaveri che, alzandosi con evidente grande forza, si è scostato di dosso ciò che resta dei suoi compagni. «Che mi venga...» sussurra Giona. L’uomo è completamente ricoperto di sangue, e si a la mano sinistra sul viso per cercare di togliersi un po’ di carne morta di dosso. Il braccio destro appare sin da subito rigido, e diventa presto chiaro il motivo: c’è una creatura putrefatta avvinghiata coi denti al braccio dell’uomo. «Peccato» grugnisce Giona mentre sbuffa un po’ di fumo del suo sigaro. «L’unico che è rimasto in piedi toccherà abbatterlo, visto che è stato morso: davvero un gran peccato.» L’uomo scuote vigorosamente la testa per liberarsi di altro sangue, guarda poi in basso e solo allora sembra accorgersi del morto che lo sta azzannando al braccio. Un incredibile sorrisino appare sulla bocca dell’uomo, che inizia lentamente a slacciarsi la camicia. In un paio di rapidi gesti si ritrova a torso nudo, e tutti noi nell’arena non possiamo che emettere un rumoroso sussulto di sorpresa. L’uomo è illeso, la creatura che gli ha morso il braccio destro non gli ha procurato alcun male... perché il braccio destro non c’è! «Incredibile...» sta gongolando Giona mentre si avvicina lentamente al centro
dell’arena, dove l’uomo sta scavalcando i cadaveri dei vivi e dei morti con o sicuro. Rapito dalla curiosità mi avvicino anch’io, e d’un tratto sono al fianco di Giona, proprio quando lo straniero lo guarda con un ghigno sulla bocca. «Divertente: quando lo rifacciamo?» Giona scoppia in una fragorosa risata, lanciando anche indietro la testa in modo sguagliato: si rende conto che ha trovato un pazzo del par suo. «Come ti chiami, ragazzo?» Il suo tono è estasiato ma controllato, è quello di chi ha trovato un tesoro ma fa finta di niente. È il tono con cui si è rivolto a me la prima volta che mi ha visto combattere... prima che mi affidasse compiti di pulizia. Il sangue che ricopre quasi interamente l’uomo non fa capire la sua età, non so se Giona l’ha chiamato “ragazzo” per scherzo o perché ha capito che è giovane. Malgrado si continui a ripulire il volto con il polso sinistro, sembra non avere fine la lordura che lo ricopre. «Quella puttana di mia madre mi ha fatto battezzare come Wolfango, ma visto che per fortuna mi ha abbandonato che ero bambino, dopo avermi reso storpio, mi sento libero di presentarmi con un nome che sento più mio.» Sputa in terra. «Chiamatemi solo Fango.»
4
«Sicuro che non ti abbiano morso?» Giona sta chiocciando intorno al suo nuovo guerriero preferito, con gli occhi che gli brillano davanti allo spettacolo di un monco così abile. Qualsiasi cosa questo Fango sappia fare è nulla in confronto ai miei poteri, eppure pare che ormai io sia solo lo sguattero della casa. «Certo che mi hanno morso» risponde sorridendo il giovane agitando il moncherino, «ma hanno affondato i denti nel mio braccio finto, che agitavo apposta davanti alle loro bocche. Appena addentavano, zac!» e fa volare davanti alla faccia di Giona un qualcosa di brillante, che solo quando si ferma capiamo essere un piccolo coltello. «Colpo deciso alla gola e fine dei giochi.» «Potrebbe non bastare, il taglio della gola» gracchia Giona. Il giovane si guarda intorno soddisfatto, e non ha bisogno di una mano per indicare il mucchio di cadaveri che lo circonda. «A quanto pare invece sì», chioccia divertito. «Il mio coltello è piccolo ma affilato, mi segue da quando ho memoria e ne ho cura come fosse mio fratello. So usarlo bene: posso farti un taglietto che neanche te ne accorgi, o aprirti la gola finché non ti casca a terra la capoccia.» Il silenzio che segue è imbarazzato: ma chi si crede di essere questo tizio per fare così tanto il gradasso? Certi discorsi smargiassi vanno bene nelle sere all’osteria, ma qui... «Perfetto: sei dei nostri» sibila Giona con un ghigno sul volto. Spalanco la bocca allibito e sto per dire qualcosa di indignato quando vedo un’ombra materializzarsi accanto a noi: a stento riesco a reprimere un sussulto. Si tratta di Ugo, l’oste che cura il ristorante che nasconde l’entrata all’Hexagon: credo sia la prima volta che lo vedo fuori dal locale, ma in fondo non sono qui da tanto tempo.
«Giona, devi salire: il tizio che ha rapito la Sfregiata vuole vederti.» Tutti lo fissiamo negli occhi ma il volto dell’oste non tradisce alcun indizio. «Da quando in qua sei diventato uno che fa gli scherzi?» chiede Giona. «Comunque non sei divertente.» L’oste scuote leggermente la testa. «Non è uno scherzo, mi ha detto che vuole vederti subito.» La tensione comincia a farsi palpabile, mentre Giona si avvicina ad Ugo. «Quindi stai parlando seriamente», sibila andosi il sigaro da una parte all’altra della bocca, «mi stai dicendo che qualcuno si è introdotto in casa mia, nel mio covo, nel mio regno, e ha rapito una mia ospite... e me lo dici in questo modo?» L’oste dondola incerto sulle gambe. «Come te lo dovevo dire?» Giona sbuffa seccato. «Con un po’ di empatia.» «E che diavolo è l’empatia?» Con un pugno veloce e preciso alla mascella, Giona stordisce il possente oste, decisamente più alto e massiccio di lui ma incapace di reagire. «Questa è empatia. Forza, ora» e gli molla una sonora pedata, «andiamo da questo tizio che vuole vedermi.» La scena è troppo ridicola e sembra irreale, con Giona che stritola il suo sigaro con i denti mentre procede dietro l’oste prendendolo a pedate. «Pensi che la Sfregiata sia stata rapita sul serio?» gli chiedo avvicinandomi. «Ero qui con te, maledizione: cosa ti fa pensare che ne sappia di più?» è la sua risposta acida. «Magari è un gioco che fai con il tuo amico oste...» «Certo, guarda che bel gioco» e assesta un altro sonoro calcio al sedere del povero Ugo, che seppure si presenti come un omone si sta dimostrando incapace di qualsiasi reazione. «Ogni due chiappe si vince un calcio: non conosco il nome, ma mi piace il rumore che fa il mio piede quando affonda il colpo.»
Non può essere una situazione seria, noi che saliamo le scale dell’Hexagon al suono delle chiappe di Ugo prese a calci: sarà uno scherzo. Di cattivo gusto, sicuramente, ma comunque uno scherzo. Arrivati in cima e varcata la soglia delle cucine della locanda, mi rendo conto che non è un gioco: un uomo dagli occhi crudeli e il volto butterato ci guarda ghignando, seduto ad uno dei tavoli del locale. «Tornatene in cucina, tu» e Giona congeda Ugo, che senza dire una parola sparisce nel suo ambiente naturale. «Perché prendi a calci il tuo oste?» chiede ridendo lo sconosciuto seduto. «Ha eseguito solamente i miei ordini: volevo incontrare il padrone del locale.» Giona sputa il suo sigaro lontano, come non gli ho mai visto fare, e si avvicina lentamente al suo nuovo ospite. «Quell’oste è una delle persone che mi sono più care al mondo: hai visto come l’ho preso a calci?» Si ferma nel punto esatto in cui sovrasta minaccioso lo sconosciuto. «Immagina cosa posso fare ad uno sconosciuto come te, schifoso insetto.» Lo sconosciuto esplode in una risata di gusto. «Si conoscono?» Mi volto di soprassalto, rendendomi conto questa domanda mi è stata sibilata all’orecchio dal giovane sbruffone senza un braccio: mi ero totalmente dimenticato di lui e non avevo fatto caso che fosse salito insieme a noi. «No», rispondo. Ma in fondo che ne so io di chi conosce Giona? «O almeno non credo», rettifico. «Magari sì, sono vecchi amici...» «Ho capito», interviene il monco mettendomi l’unica sua mano sulla spalla. «Ne sai meno di me, non ti domando più niente.» È sarcastico? Intanto l’ospite sconosciuto continua a ridersela di gusto. «Prima che tu faccia qualcosa di avventato, Giona amico mio...» Allora si conoscono? «ti ricordo che i tuoi ospiti sono nelle mani di mio fratello. Sai come funziona, no? Mettimi un dito addosso e riceverai per giorni pezzi dei tuoi amici tagliati fini fini.»
Rabbrividisco, soprattutto perché Giona ha tutta l’aria di voler mettere tutte e dieci le dita addosso all’uomo. «Basta con le chiacchiere», esplode, «e dimmi quanto vuoi per riscatto.» L’uomo seduto ride mentre si a le mani dietro la testa, mettendosi comodo. «Così mi piaci, vecchio mio. Tranquillo che ti farò un prezzo di favore: non si dica che uno Sparafucile infierisca sulle proprie vittime.» «Sparafucile!» sussulta il monco al mio fianco. «Brutta storia: se anche solo la metà di quello che si dice in giro è vera...» «Perché stai infestando l’aria con le tue chiacchiere?» chiede Giona all’ospite. «Ho chiesto quanto vuoi, vediamo di sbrigarci.» L’uomo continua a ridere sornione. «Perché tutta questa fretta? Non vuoi rassicurazioni che mio fratello non abà della tua amichetta?» «Non la chiamano Sfregiata per caso: con quella faccia sono sicuro che quel debosciato di tuo fratello neanche la guarderà. Allora, il riscatto?» Questa è davvero cattiva: se lo sapesse la Sfregiata... L’uomo si fa corrucciato. «Perché debosciato? Noi Sparafucile siamo una famiglia di onesti criminali, chiedi a tutte le nostre vittime e saprai che siamo sempre stati ai patti.» D’un tratto Giona si fa silenzioso e comincia, con movimenti lenti e misurati, a prendersi un sigaro dalla tasca del panciotto e ad armeggiare con uno dei suoi pirofori puzzolenti. «Stai prendendo tempo...» Pronuncia la frase lentamente, mentre si accende il sigaro, e fa in modo che si capisca chiaro che non è una domanda: è un’affermazione. «Non mi piace la fretta, è sempre cattiva consigliera» risponde sorridendo lo sconosciuto, allungando la schiena sulla sedia e addirittura intrecciando le mani dietro la testa. «Stai dando tempo a tuo fratello di allontanarsi dalla zona...» Un silenzio imbarazzato cala nella sala finché il monco si spazientisce e chiede: «Cosa stiamo aspettando?»
Nessuno risponde, ma poi sentiamo chiaramente in lontananza un’esplosione. «Questo!» sibila Giona, poi estrae velocemente la sua rivoltella e apre il fuoco contro lo straniero: l’uomo crolla all’indietro con ancora le mani intrecciate dietro la nuca e un sorriso stupido sul volto, mentre da un perfetto piccolo cerchio sulla sua fronte fuoriesce fumo e sangue. «No!» grido. «Ora il fratello ucciderà la Sfregiata!» Senza degnarmi di una risposta, Giona scatta in avanti e si getta fuori dal locale: il tempo di seguirlo e lo vediamo partire al galoppo del suo cavallo. Senza capire cosa stia accadendo, io e il monco cerchiamo un cavallo e proviamo a raggiungerlo, ma certo non è né facile né veloce: non essendoci a prima vista un altro cavallo, il monco sale sul mio. Cerchiamo di seguire Giona e dopo diversi minuti lo vediamo in lontananza. Mentre ci avviciniamo cominciamo a capire. «Questo posto è disseminato di mine esplosive» dico quasi sottovoce, cercando di non ricordare che proprio una di queste mine al fosforo rosso mi ha riportato in vita con degli strani poteri. «I rapitori fuggendo sono inciampati in una di queste: ecco cosa stava aspettando Giona, di capire in quale direzione stessero fuggendo.» Al nostro arrivo troviamo dei resti fumanti di una carrozza, Carlo Pisacane che si massaggia il collo e Giona che sta prendendo a calci un uomo a terra. «Parla, cane!» gli sta gridando. Appena scendiamo da cavallo Carlo ci raggiunge. «L’esplosione è stata provvidenziale: il carro si è sventrato, il cavallo è fuggito terrorizzato ed io ho potuto liberarmi. Purtroppo la Sfregiata non viaggiava con noi.» Indica il punto da dove vengono dei gemiti. «Giona sta... ehm, chiedendo al bandito dove l’hanno portata.» «Chi è questo?» sento chiedermi all’orecchio: perché questo monco mi ha preso come angelo custode? Sbuffo e, controvoglia, o alle presentazioni. «Signor Carlo Pisacane, le presento... Fango.» Non credo sia necessario il “signore” con lui. Carlo, confuso, annuisce e allunga la mano. «Piacere» dice, rendendosi conto troppo tardi che non c’è alcuna mano destra da stringere.
Il monco sorride del vistoso imbarazzo dell’uomo. «Non si preoccupi, succede spesso. Non le porgo la sinistra che porta male: consideriamoci salutati.» «Parla, miserabile!» Giona sta dando segno di voler consumarsi gli stivali a forza di calci, ma non sembra ottenere alcun effetto. «Ora basta, Giona!» interviene Carlo. «Così lo uccidi e da morto non ci serve davvero a nulla.» Lanciandosi contro Giona per fermare i suoi calci, si rivolge a noi. «Qualcuno di voi è abile nella tortura?» Mentre ci guardiamo sorpresi, a rispondere è il bandito a terra. «Fatemi parlare, vi dirò tutto, ma tenete a bada quel criminale.» Carlo e Giona si fissano stupiti negli occhi, poi Pisacane torna a rivolgersi al bandito in terra: «Lo terrò a bada solo finché parlerai, e bada di dire la verità, altrimenti ti tortureremo fino...» «Ma piantala!» sbotta l’uomo a terra. «Le vostre torture mi farebbero il solletico: se parlo è perché lo voglio io. Quei due idioti di Sparafucile hanno voluto esagerare, hanno voluto colpire Giona Sei-Colpi al cuore, e chi se ne frega se era un’impresa chiaramente votata al fallimento: si erano messi in testa di rapirgli la donna e...» «La Sfregiata non è la mia donna!» L’urlo di Giona è stato potente e vibrante: mi stupisco come non gli sia esplosa la gola dallo sforzo. «Ha negato troppo di cuore», mi sussurra Fango all’orecchio. Gli faccio cenno di tacere. «Meno chiacchiere» interviene Carlo. «Dove l’avete portata?» «Ve lo dico ma voglio la vostra parola che mi lascerete andare e che farete finalmente fuori la famiglia Sparafucile: se siete qui, vuol dire che il primo fratello è andato. Per fortuna l’Italia è piena di criminali, la trovo subito un’altra banda in cui entrare, ma se poi qualche Sparafucile vuole vendicarsi...» «Oh insomma», lo interrompe Carlo mentre Giona dietro di lui smania. «Siamo d’accordo: parla e ti lasceremo andare.» Ci rivela finalmente il nascondiglio degli Sparafucile e, con gran dispiacere di
Giona, lo lasciamo andar via, zoppicando e gemendo ma comunque vivo. «E ora che facciamo?» chiede Carlo guardandoci. «Noi?» lo riprende Giona. «Che c’entri tu? Già hai visto più di quanto avresti dovuto: ora te ne torni alla tua bella vita e ti dimentichi di averci mai incontrati.» Il tono duro non lasciava spazio a discussioni. «Tornerò di sicuro alla mia “bella vita”, ma non lascerò mai Roma sapendo che una amica è in pericolo.» «La conosci a malapena, non è una tua amica», infierisce Giona con voce aspra. Pisacane lo guarda in modo strano. «Sei per caso geloso?» Giona non è tipo da stare al gioco: se non si trovasse davanti ad una figura nota probabilmente erebbe Pisacane per le armi. Si contiene ma sprizza rabbia da tutti i pori. «E va bene, sei dei nostri. Ma io non sono quel fanfarone di Garibaldi, io faccio sul serio, quindi farai meglio a starmi dietro perché non mi fermerò ad aiutarti.» Carlo sorride, capisce evidentemente che sono parole acide e basta, solo frutto di rabbia momentanea. «Parti pure, che ti sono dietro.»
5.
Essere rapita ancora mi mancava: dopo l’assedio del Gianicolo e lo scontro a San Pietro, credevo di aver raggiunto il massimo delle esperienze che una donna romana possa vivere. Anzi, al confronto venir rapita da un brigante è roba banale, qualcosa che capita spesso in un paese come il nostro. La testa mi esplode, il maledetto rapitore ci è andato giù pesante nel colpire, ed essendo io distratta dal gioco degli scacchi non ho avuto neanche una minima possibilità di reagire: mi sono beccata il colpo e basta. Ora mi sono risvegliata ma cerco di non darlo a vedere, così magari riesco a capire dove ci sta portando il brigante. Non mi azzardo ad aprire gli occhi, temendo ci sia qualcuno sul carro che mi controlla mentre il criminale guida il cavallo. La luce che avverto indica che il carro non è coperto, e mi chiedo come possa fidarsi a procedere così in pieno giorno senza temere di incappare in qualche truppa se: probabilmente queste strade sono dominio di briganti e ci si muovono con disinvoltura. Finalmente il viaggio finisce e le mie costole tirano un sospiro di sollievo, visto che il dannato carretto mi ha sbatacchiato in ogni direzione per tutto il tempo. Cosa fare, ora? Appena sento delle mani afferrarmi scatto e colpisco duro? Va bene il fattore sorpresa, ma se davanti mi ritrovo un energumeno il mio colpo non farà che infuriarlo e basta. Non ho avuto tempo di vedere chi mi ha rapito, per quel che ne so può trattarsi di una banda di muscolosi scaricatori di porto: a cosa serviranno i miei pugnetti? Se avessi con me la mia picca... Una voce mi strappa ai pensieri. La voce stridula di una donna infuriata che grida: «Quando ti dico ammazza il gobbo... devi ammazzare il gobbo!» Contando sull’eventuale distrazione dei miei rapitori socchiudo gli occhi e cerco di abituarmi velocemente alla forte luce del sole, che sembra fiondarsi con violenza tra le mie palpebre. Non sento la presenza di nessuno, sul retro del carro dove mi trovo, quindi mi azzardo a voltarmi leggermente per capire cosa stia accadendo: con gli occhi ancora semichiusi riesco a intravedere il rapitore che ha guidato il carro scendere e cominciare a gridare seccato. «Neanche
“Bentornato”? Mi aggredisci così, come se io stessi tornando da una eggiata? E poi di che gobbo vai cianciando?» Il tempo che l’uomo scende a terra e la donna si è voltata, in modo che anche dalla mia posizione si capisca il motivo della sua rabbia. «Che mi venga...» sibila il brigante. «Lo sai che hai un gobbo attaccato alla schiena?» La donna comincia a sputare bestemmie su bestemmie. «È mezz’ora che me lo porto sul groppone, ed è tutta colpa tua!» «Mia? Che diavolo c’entro, io?» Mentre i due litigano, il gobbo continua a tenere saldamente il suo braccio intorno al collo della donna: credo la voglia strangolare ma evidentemente non ha la forza sufficiente. Poi d’un tratto interviene anche lui nella discussione. «Avete ucciso mia figlia, carogne maledette: pagherete entrambi con la vita!» «Ah... è lui.» L’affermazione sottovoce del mio rapitore fa intendere che ora abbia capito di cosa si tratti. «Sì, proprio lui», grida tagliente la donna. «L’uomo che ti avevo consigliato di uccidere per tenerci i suoi soldi ed evitare altri problemi. Ma tu no, tu sei un brigante gentiluomo, non uccidi chi ti paga però non ti fai problemi ad uccidergli la figlia.» «Tecnicamente la figlia non mi pagava, quindi non avevo vincoli di sorta con lei...» Altre bestemmie e insulti, finché il gobbo deve aver ritrovato un briciolo di forza ed assesta un bel pugno nelle costole della donna, mentre continua a tenerla per il collo. «Voglio sapere una sola cosa: chi di voi due ha pugnalato la mia Gilda?» Cala un silenzio denso di tensione, che il mio rapitore – ancora fermo sul posto sin da quando è sceso dal carro – prova a stemperare. «Ragioniamo, signor Punizione...» «Idiota!» esplode il gobbo. «Credi davvero che quello sia il mio nome?» «Ma...» «Quella sera, quando mi hai chiesto il nome dell’uomo che ti avevo pagato per
uccidere, ho voluto prendermi la soddisfazione di una frase ad effetto così ti ho risposto che Delitto era il suo nome, e Punizione il mio. Capisci?» La donna sputa sangue in terra. «Quando lor signori hanno finito di chiacchierare mi facciano sapere.» A questo punto sento che la situazione sta per esplodere e credo di aver recuperato abbastanza forze per... Un grido acuto cattura la mia attenzione: il gobbo cade pesantemente a terra, seguito dalle imprecazioni della donna, mentre alle sue spalle appare un uomo armato di bastone. «Ce ne avete messo di tempo a tornare», sento dire al mio rapitore, e spero che il ritorno di altri briganti non voglia dire... Faccio appena in tempo a voltarmi che il mio cuore salta nel petto: un uomo è salito velocemente sul carro e mi colpisce forte...
6.
L’uomo sembra più giovane di me, ma che sia un brigante è abbastanza chiaro da come sta trascinando quel povero gobbo. Anche dalla mia postazione nascosta si capisce che sta cercando il posto adatto per farlo fuori. Giona temeva che il rapitore potesse non rispettare il piano e fermarsi in qualche casolare sperduto, invece ci ha aiutato tornando proprio alla tenuta degli Sparafucile dove sono arrivato correndo velocemente: questo ragazzo dev’essere uno dei tanti criminali della famiglia, quindi sono nel punto giusto e non devo tornare indietro ad avvertire Giona. È comodo avere uno come me, che può muoversi più veloce di qualsiasi essere vivente, per missioni come questa, e vorrei vedere il nuovo pupillo Fango a cosa sarebbe servito in questo frangente... Il giovane brigante, che sto spiando in lontananza, si ferma davanti al tronco di un albero e afferra l’accetta che in esso era conficcata. Adagia il gobbo a terra e si prepara a sferrare un colpo deciso alla testa, quindi mi sembra arrivato il momento di intervenire: faccio esplodere il calore nel mio corpo, mi lancio nella mia corsa, raggiungo il giovane senza che se ne renda conto e lo colpisco al petto, con un calcio laterale che mi ha insegnato il mio amico cosacco Boyka. Devo dire che mi viene particolarmente bene e la mia velocità è tale che il giovane assassino vola via che è un piacere, lasciando sul posto l’accetta che cade in terra: vedo la figura scalciante andare a finire in un granaio lontano chilometri. Mi “raffreddo” e torno alla velocità normale mentre cerco di capire se il gobbo sia ancora vivo. Un rantolo dimostra che si sta svegliando. «Egli è Delitto: Punizion son io...», credo stia delirando. «Tranquillo, sei tra amici», cerco di tranquillizzarlo, e quando mi sembra abbia ripreso conoscenza continuo: «Io e i miei compagni stiamo cercando la tenuta di Sparafucile: sai dirmi se siamo nel posto giusto?» Il gobbo si agita e sbarra gli occhi. «Sì ma... sono quelli i tuoi amici?» Volto leggermente la testa e vedo che sono stati veloci nel raggiungermi.
Pisacane e Boyka sembrano quasi persone normali, a cavallo, mentre Giona e il suo grande carro pieno di morti viventi ha un aspetto decisamente infernale, e le decine di braccia con le mani contratte che fuoriescono dalle grate del carro non fanno che peggiorare l’immagine. «Non farti impressionare», dico all’uomo tornando a guardarlo, con un sorriso. «Sono anche peggio di come sembrano.» Il gobbo mi fissa sorridendo. «Anche a te piacciono le frasi ad effetto, eh?»
7.
Quando rinvengo provo di nuovo a fare la furba e a fingermi ancora svenuta. Sento di essere all’interno della casa, adagiata su della paglia. Credo che nel modo di pensare di questi briganti possa definirsi un trattamento di favore: che abbiano intenzione di chiedere un sostanzioso riscatto per me? Sarebbe davvero la cosa più assurda mai sentita. Dov’è mai Pisacane? Non c’era sul carro insieme a me, forse è stato trasportato altrove e questo è un guaio: non vorrei mai succeda qualcosa ad uno dei rari eroi che hanno lottato per l’Italia unita. «Ora ti sei calmata?» sento dire al mio rapitore, ma non può avercela con me. Sento i i di un’altra persona e capisco che è la donna aggredita dal gobbo. «Neanche per sogno, idiota. Se tu avessi ammazzato quel gobbo quando te l’ho detto, non avremmo avuto alcun problema.» «Non ne abbiamo in ogni caso: a quest’ora Arnaldo l’avrà tagliato a pezzi e sepolto in giro. Abbiamo ancora i suoi soldi e nessuno verrà a cercare vendetta: perfetto, no?» Sento che la donna sbatte un pugno sulla tavola. «Perfetto? Hai visto di che colore è il mio collo? Ti sembra perfetto? Per fortuna quel buffone non aveva abbastanza forza o intelligenza per usare un’arma, altrimenti sarei bella che morta: doveva sapere che ero rimasta sola e se fosse stato un minimo più in gamba avrebbe avuto la sua vendetta.» «Non l’ha avuta e tu sei sana e salva: è questo che conta, no?» Potrei sbagliare, ma il mio rapitore non sembra poi così felice che la donna sia sana e salva. «Pensa che Ignazio sta per tornare con la risposta di Giona: sei pronta a cambiare vita per sempre?» «Risposta?» sibila la donna. «Volevi dire oro: deve tornare con l’oro di Giona...» L’uomo ride. «Io e Ignazio abbiamo avuto un’idea geniale: invece del solito
riscatto chiediamo a Giona che ci faccia assumere nello Stato Pontificio, dove lui conosce gente di alto livello: allora vedrai quanto oro ci cadrà addosso.» «Gesù mio...» bisbiglia la donna. «Io non ho due fratelli: ho due malati di mente col mio stesso sangue...» «Maddalena!» ora è l’uomo che sbatte il pugno sul tavolo. «Ti proibisco di paragonarci a nostro padre: noi siamo criminali di alto livello, mica due pazzi come lui. E una donna che faccia il tuo mestiere è l’ultima che può giudicare.» «Spiegami, criminale di alto livello, come funziona l’assunzione nello Stato Pontificio?» Il tono è chiaramente sarcastico ma l’uomo non sembra badarci. «Giona ci mette in contatto con il suo superiore: di uomini capaci di combattere ce n’è sempre bisogno, e una volta firmato il contratto gli restituiamo la sua donna.» La sua... cosa? Spero che con “donna” non intenda “amante”. «Davvero un piano di alto livello», continua ad essere sarcastica la donna. «E spiegami, cosa impedisce a Giona di spararti in fronte non appena riavuta quel mostro di femmina?» Questa me la paghi, sorella... «Be’...» si sente che l’uomo tentenna. «Ma allora saremo colleghi e lavoreremo per il Signore... non potrebbe più spararci, no?» Un rumore mi fa pensare che la donna si sia seduta, prima di continuare con tono falsamente calmo. «Quindi a quest’ora Ignazio ha già la risposta di Giona, e tornerà a casa con un contratto da firmare, giusto?» «Giusto.» «E appena firmato tu gli consegnerai la donna, giusto?» «Giusto.» «E gli consegnerai anche l’altro uomo che avete rapito da casa sua, giusto?»
«Giusto.» «E dove accidenti è quell’uomo?» «Giusto. Cioè, non so dove sia, ce l’ha in carico Ludovico a cui ho raccomandato di prendere altre strade per non dare nell’occhio. Io mi sono dilungato per sentieri sicuri e probabilmente lui avrà fatto lo stesso, anche se per altre vie: arriverà a momenti.» La finta calma della donna finalmente si infrange: un rumore inequivocabile indica che ha appena mollato al fratello un sonoro schiaffone. «Certo che arriverà a momenti, cretino: ma non Ludovico, bensì Giona.» Un altro ceffone. «Corri a prendere il fucile, idiota.» Da un’altra stanza arriva il rumore di un’esplosione fragorosa, e non posso che essere d’accordo con Maddalena: Giona è arrivato.
8.
«Per quindici anni sono riuscito a mantenere il segreto», mi racconta singhiozzante il gobbo, mentre si riprende dallo spavento, «finché uno dei cortigiani non ha visto la mia Gilda venirmi incontro al mio rientro in casa. In un attimo quelle canaglie si sono ati la voce che anche un gobbo come me aveva una amante, e il duca ha deciso che fosse estremamente divertente concupirla. A nessuno di loro però è venuto in mente che Gilda non era la mia donna bensì mia figlia: la figlia segreta del buffone di corte.» Guardo fisso l’uomo che mi sta aprendo il cuore con le lacrime agli occhi. «Fammi capire... tu per mestiere fai ridere la gente?» Il gobbo si infuria. «Solo questo ti ha colpito del mio racconto? Non ti ribolle il sangue al pensiero di mia figlia ghermita da un uomo laido e vizioso?» «Perdonami, sono stato indelicato. Tua figlia, dunque... a proposito, ma non era morta?» Il gobbo è sempre più furente e si agita pur se rimane sdraiato all’ombra dell’albero che doveva fargli da tomba. «È morta, grazie per averlo sottolineato: è stata uccisa da quei maledetti fratelli Sparafucile. Li avevo contattati perché volevo che uccidessero il duca, colpevole d’aver strappato l’innocenza dalla mia Gilda, ma non sapevo che avessero intenzione di truffarmi uccidendo il primo viandante che capitava loro a tiro, e consegnandomelo in un sacco fingendo fosse il duca.» «E il primo viandante capitato a tiro...» «Sì, sì, hai capito bene», mi previene l’uomo: «era mia figlia.» Fischio sonoramente. «Sei proprio iellato, amico mio: eppure si dice che la gobba porti fortuna.» Trovo esagerate le offese che mi getta addosso il gobbo, dimenticandosi che gli ho appena salvato la vita: capisco che gli Sparafucile volessero togliersi di
mezzo velocemente questa scocciatura. «Ehi, Simone, se hai finito di riposarti col tuo nuovo amico, qui siamo pronti.» Scuoto le spalle senza voltarmi e, visto che il gobbo ha smesso di insultarmi, allungo una mano verso di lui. «Come hai appena sentito, mi chiamo Simone. Piacere.» L’uomo tentenna poi mi stringe la mano. «Piacere. Io mi chiamo Triboletto...» «Tri...?» «... e sono molto sensibile riguardo il mio nome, quindi ti pregherei di evitare frizzi e lazi a riguardo.» Mi alzo spolverandomi i pantaloni. «E il nome no, e la figlia morta nemmeno: temo che non abbiamo molti argomenti di cui parlare.» Senza far caso alla risposta del gobbo, mi avvicino a Giona. «Non siamo qui per fare colazione sul prato», mi dice appena mi vede. «Hai capito il piano?» Sbuffo e indico l’apparecchiatura che Giona ha appena finito di montare sul suo carro, rivolto all’entrata della tenuta degli Sparafucile. «Prima che apri una breccia nella casa con la fiondona...» «Non è una “fiondona”, è una cerbottana con proiettili al fosforo rosso», mi corregge acido. «Prima di usare la cerbottona», ripeto schernendolo, «vuoi essere sicuro che la Sfregiata non sia appoggiata alla porta d’ingresso. Lanciandomi all’alta velocità di cui sono capace – io, e nessun altro al mondo – farò ora il giro della casa e spierò dalle finestre per assicurarmi che la nostra amica sia in un punto sicuro. Il tutto prima che i morti viventi che hai liberato assaltino la tenuta e mangino tutti, briganti e Sfregiata compresi.» Giona mi fissa con un’espressione a metà tra il serio e il divertito. «Vuoi che ti faccia i complimenti perché puoi correre veloce veloce? O perché sai ricordarti di un piano che ti ho detto mezz’ora fa?»
Lo guardo con sfida divertita. «Solo di una cosa devi farmi i complimenti: che sopporto la puzza micidiale di quella robaccia che fumi.»
9.
Subito dopo aver sentito l’esplosione spalanco gli occhi, terrorizzata: possibile che Giona abbia aperto il fuoco con il rischio di farmi rimanere sotto le macerie? Una rapida occhiata in giro mi fornisce la spiegazione: dietro lo stipite di una porta vedo Simone che mi fa segno di tacere. Sfruttando la sua grande velocità deve essersi intrufolato nella tenuta e, visto dove ero io, l’avrà riferito a Giona che ora potrà aprire il fuoco tranquillamente. Cerco di forzare le corde che mi tengono serrate le mani ma il nodo è troppo stretto e ben fatto per scioglierlo. Intanto la consapevolezza di essere sotto attacco in grande stile sta rendendo isterico il mio rapitore. «Ma queste sono cannonate... Stanno bombardando casa nostra!» Non ha tempo di accorgersi che sto cercando di liberarmi, è troppo impegnato a prendere schiaffi dalla sorella. «Mentecatto! Se avessi chiesto oro, Giona te l’avrebbe dato: gli esce dalle orecchie. Invece ecco cosa succede a cambiare il gioco in corsa.» Maddalena per tutto il tempo ha armeggiato con il cassetto di una scrivania, la sento esultare quando alla fine riesce ad aprirlo. «Che ci fai con una tromba?» chiede il brigante. La donna gli assesta una manata su una spalla. «Per fortuna in famiglia ci sono io, che penso alla sicurezza. Tu va’ a tenere occupato Giona, mentre io chiamo aiuto.» «Aiuto? E da chi? I nostri sono tornati, siamo tutti qui nella tenuta.» «Temevo che tu e quell’altro genio di nostro fratello avreste combinato qualche guaio, così ho chiesto aiuto al mio amante, il Duca: ha messo a mia disposizione un manipolo di suoi mercenari, che da ieri sono nascosti qui vicino in attesa di un mio segnale.» Alza la tromba davanti al viso. «Ora è decisamente il momento di lanciare quel segnale.»
Devo impedire alla donna di avvisare i mercenari, così mi alzo e anche se ho le mani legate mi scaravento su di lei. Spero che l’elemento sorpresa mi favorisca e che riesca a farle cadere la tromba e a scacciarla lontano, ma Maddalena non appare stupita quando le piombo addosso: scansa la tromba e, spostandosi velocemente, lascia che io crolli addosso alla scrivania. «Non sai neanche immobilizzare una donna», sibila Maddalena al fratello e d’un tratto sento che delle mani mi afferrano e mi spingono in avanti. Con terrore mi rendo conto che siamo al primo piano e la scrivania affaccia sull’androne della casa: in un lampo mi ritrovo a volare giù, scalciando in aria. Il panico mi serra la gola: qui rischio di spaccarmi la testa! Per fortuna agitandomi riesco a ruotare il corpo e atterro di spalle, con un dolore lancinante che mi spezza il fiato ma almeno rimanendo con la testa intatta. Sento il rumore di colpi ripetuti e attraverso le lacrime che mi velano gli occhi vedo ombre agitarsi in direzione della luce, luce che mi sembra di capire provenga da una breccia nel muro aperta da Giona. Sono ancora stordita quando vedo degli occhi fissarmi: sbaglio o li conosco, questi occhi? «Tutto bene? Qualcosa di rotto?» È Simone, che vedendomi cadere dev’essermi corso incontro. Sento che vuole trascinarmi. «Sono tutti occupati a rispondere al fuoco dei nostri, ma dobbiamo cercare di uscire prima che ci vedano.» Non riesco a ragionare, per via del dolore che mi afferra in ogni fibra, ma quando Simone mi libera le mani riesco a chiedere, con gran fatica: «Hai... hai fermato la donna?» «Fermato?» La domanda mi fa capire che Simone non abbia sentito le intenzioni di Maddalena, e a quest’ora avrà avuto il tempo di... «Che diavolo è?» Anche Simone sente il rumore di tromba che proviene dal soffitto: il segnale è lanciato.
«È il suono dei problemi che arrivano», bisbiglio.
10.
Il rumore di problemi che arrivano? Sono circondato da persone che mi snocciolano frasi ad effetto ma si guardano bene dallo spiegarmi cosa succeda in realtà. Sto per chiedere spiegazioni alla Sfregiata, con la spiacevole sensazione che non me ne darà, quando sento delle grida disumane. Mi volto a guardare. Nell’androne della casa ci sono solo i tirapiedi della famiglia Sparafucile che rispondono al fuoco di copertura che Giona sta riversando sulla casa per darmi modo di salvare la Sfregiata. Credo che Giona non stia fisicamente premendo il grilletto, lasciando a Pisacane e a Boyka il compito di tempestare di proiettili la breccia appena fatta, così da tenere tutti i briganti occupati. Ora però evidentemente è entrato in ballo l’altro elemento di disturbo: i morti viventi. Non so perché Giona abbia voluto sguinzagliarli contro la casa da tutte le direzioni, ma ora rumori di vetro e grida umane mi fanno pensare che le creature stiano penetrando all’interno. «Giona deve sempre strafare», dico alla Sfregiata, che non mi sembra ancora tornata perfettamente in sé. «Ora dobbiamo sbrigarci ancora di più.» Faccio per alzare la mia amica ma lei non dà segno di reagire: non posso trascinarla, ci beccheremmo qualche pallottola. Anzi, è già un miracolo che i briganti non si siano ancora accorti di noi, occupati come sono con la breccia e con i morti viventi. I mugugnii delle creature si fanno sempre più vicini, quindi non possiamo aspettare un solo secondo di più. «Sfregiata, devi alzarti!» grido, mentre aumento il battito del mio cuore e sento il petto cominciare a scaldarsi. «Sfregiata, mi senti?» grido ancora, cercando di raggiungere la massima potenza nel minor tempo. «Mi senti?» grido con quanto fiato ho in corpo. Comincio a vedere rosso mentre la mia amica non fa che rantolare a terra, con nessuna intenzione di alzarsi. Alzo gli occhi appena in tempo per vedere due creature che si stanno
avvicinando a noi con la bocca aperta e i denti pronti a mordere. Mi alzo a sono pronto a scatenare su di loro la mia furia... quando d’un tratto la testa di entrambi i morti vola via, e il loro corpo si affloscia a terra. Non faccio a tempo a chiedermene il motivo che vedo una lama sfavillare in aria, roteando fino a tornare al punto di origine: la mano sinistra di Fango. Ancora questo maledetto monco. Non dice niente, mi guarda con un sorriso come se fossimo amici. Non lo siamo. Il fuoco dentro di me esplode furioso e il tempo rallenta. Parto alla volta dei briganti più vicini e sferro loro un colpo di taglio alla gola, uccidendoli così velocemente che non ricorderanno mai d’esser stati vivi. o ad altri, li colpisco tranquillamente, alla mia velocità, mentre nel tempo normale devo star muovendomi così veloce che nessuno può vedermi. Sposto i briganti in modo che vengano colpiti dalle pallottole dei moschetti di Pisacane e Boyka. Mi volto per assicurarmi che la Sfregiata stia bene e che Fango mi stia guardando, ma lui è già partito per andare a colpire altri morti: mentre sistemo i briganti, lo vedo tagliare teste con la sua lama legata al polso tramite una lunga catena. Roteando su se stesso imprime una gran velocità alla lama rendendola davvero letale. Dovrei ammirarlo per la destrezza, frutto sicuramente di grande esercizio, visto poi che io non ho nulla di cui vantarmi dato che uso poteri di cui ignoro l’origine, ma non ce la faccio a provare per Fango altro che diffidenza. Finisco di mettere fuori gioco gli sgherri di casa Sparafucile e non ho tempo di chiedermi se ce ne siano altri nelle stanze della casa: è ora di trascinare fuori la Sfregiata. Mi volto e vedo Fango che, finito di tagliar teste, si sta avvicinando alla donna per sollevarla da terra: se lo può anche togliere dalla testa! Mi getto sulla Sfregiata e, con una velocità assurda per gli altri “normali”, la afferro e la tiro su. Una volta che sono saldamente in piedi, rallento il mio battito finché non torno al tempo degli altri: che gran soddisfazione vedere l’espressione allibita del monco, che vede materializzare qualcuno dove un secondo prima non c’era nessuno. «Ma... come diavolo...?» «Magia», rispondo velocemente indicando poi la breccia. «Ed ora usciamo, prima di morirci, qua dentro.»
Beccati questo, monco! Ecco cosa penso mentre usciamo, ma non riesco a gustarmi questa soddisfazione che per un attimo, perché quando siamo a pochi i dall’uscita e già Fango grida di cessare il fuoco, sento un rumore sgradevole. Un rumore che non avrei voluto sentire. Un rumore che proviene dalle nostre spalle. Un rumore di moschetto che viene caricato. «Pensavate di andarvene così facilmente?» Mentre giro la testa già so che è il rapitore, il capo di casa, lo Sparafucile per eccellenza, ed io sono incastrato con la Sfregiata... L’uomo è rimasto al primo piano e da lì ci sta tenendo sotto il tiro del suo moschetto: se potessi liberarmi della mia amica potrei scattare a gran velocità e neutralizzarlo, ma appena lasciassi cader via la Sfregiata lui sparerebbe. Forse sarebbe stato meglio lasciarla al monco... «Questo è per la mia casa» grida il brigante e fa fuoco con il suo moschetto. Io però vedo solo il lampo di luce seguito da un movimento fulmineo al mio fianco e in un attimo mi chiedo due cose. La prima è: quando sentirò il proiettile di Sparafucile? La seconda è: cosa ha tirato Fango alla volta del brigante?
11.
«Chissà perché lo chiamavano Sparafucile.» Finalmente torno pienamente cosciente: la caduta dal primo piano è stata più rovinosa di quanto credessi, e anche se non ho perso i sensi di sicuro sono rimasta fuori fase per un po’. Mi ritrovo sdraiata sul carro di Giona e vedo Simone che si sta sbracciando a raccontargli qualcosa. «Era a non più di dieci metri di distanza e mi teneva ben saldo nel mirino, è assurdo che abbia sbagliato il colpo.» Giona ride gracchiando. «Sembra che ti dispiaccia.» «Per carità, sono contento che quel brigante fosse una schiappa a sparare, ma mi chiedo come sia nata la fama della famiglia criminale degli Sparafucile, se era questo il loro livello.» «Magari le voci hanno esagerato e loro hanno vissuto di fama immeritata. Per fortuna ora Fango ha messo fuori combattimento l’ultimo della famiglia.» Anche dalla mia postazione vedo la smorfia sul volto di Simone, quando vede accanto a lui un ragazzo che non conosco, che si prende sorridente i complimenti di Giona: non conosco la storia ma qualcosa mi dice che è il suo nuovo “giocattolo”, e ovviamente Simone ci soffre. Temo che ci stiamo affannando invano ad ottenere attenzione da Giona, una persona troppo mutevole e facile agli entusiasmi eggeri. «È stata una reazione automatica», sta spiegando con falsa modestia il monco, «l’ho visto ed è partito il colpo. L’avrei colpito anche prima che premesse il grilletto, ma ho perso tempo a staccare la catena dalla lama, così da scagliarla a quella distanza.» «Certo però che non l’hai ucciso», sottolinea acido Simone. Il giovane annuisce. «L’ho fatto apposta: l’ho lasciato a quel povero gobbo, che ho incontrato qui fuori. Ora potrà prendersi la vendetta per la figlia uccisa.»
Povero Simone, il monco ne è uscito di nuovo bene. «Ma quanto ci mette a far fuori il brigante?» chiede, ansioso di cambiare argomento. «La Sfregiata parlava di problemi che stanno arrivando...» «Cos’è che ha detto?» chiede Giona, ma ormai non lo sento più: sento solo il ribollire del sangue mentre mi torna alla mente il pensiero dei mercenari chiamati da Maddalena. «Giona!» grido tutto d’un fiato, alzandomi a sedere nel carro. «Stanno arrivando i rinforzi degli Sparafucile!» Giona mi guarda stupito per un solo secondo, perché subito dopo la sua attenzione è catturata da alcuni rumori che si sentono in lontananza. Rumori inequivocabili di cavalli al galoppo, e non è un buon segno. «Perché ogni mio piano deve finire in vacca?» grida Giona calciando a terra. «Forza, tutti voi: entrate nella casa e cercate un riparo.» «Ma...» sento obiettare da Pisacane. «Dentro ci sono i morti viventi...» Giona lo fulmina con lo sguardo truce. «Presto lo saremo anche noi.»
12.
Pisacane e Boyka sono i primi ad entrare nella casa, pronti a coprirci con i loro moschetti se dovesse arrivare qualche nemico malintenzionato. Io e Giona torniamo al carro, e mentre lui lo avvicina all’entrata io mi assicuro che la Sfregiata stia bene. «Sono mercenari del Duca con l’ordine di proteggere la famiglia Sparafucile», spiega la mia amica. «Maledizione, ci mancava anche questa: dei professionisti», sento lamentarsi Giona, che appena il carro è vicino alla breccia della casa scende e comincia ad armeggiare con il suo carico. «Perché non saliamo sul carro e scappiamo?» chiedo. Un proiettile mi fischia dannatamente vicino alla testa: sono già qui! «Ti basta come risposta? Forza, porta dentro la Sfregiata. E voi», grida agli altri, «via dall’entrata e dal carro: tra poco farà caldo.» Non so cosa voglia dire esattamente, ma è sempre meglio allontanarsi dai giocattoli di Giona, e ne ho intravisti parecchi nel retro del carro. La Sfregiata sembra ormai tornata perfettamente in sé, così con pochi i siamo di nuovo al centro dell’androne di casa Sparafucile. «La casa è un colabrodo», sento gridare Pisacane, «possono entrare da dove vogliono.» «Allora ognuno trovi un riparo e protegga un settore», risponde calmo Giona. «Per ora si stanno dirigendo all’entrata», e senza aggiungere altro estrae uno dei suoi zolfanelli e ci si accende il sigaro, lasciandolo poi cadere. «Quel carro davanti all’entrata non basterà a fermarli», continua Pisacane mentre gli altri invece eseguono gli ordini. «È come con gli scacchi», sento dire lentamente alla Sfregiata. «Mostri il tuo
punto debole perché l’avversario ci si avventi alla cieca, così da non rendersi conto che era una trappola.» Nel silenzio che segue sentiamo forte e chiaro un rumore friccicante: lo zolfanello che Giona ha lasciato cadere ha una miccia, che ora sta bruciando portando la fiamma fino al carro. Qualcosa di grande sta per accadere, e come gli altri cerco un riparo dietro qualcosa di solido. «Ehi, voi!» grida qualcuno dall’esterno mentre già degli uomini armati si affacciano, unendo le proprie forze per spostare il carro. «State solo rendendo più dolorosa la vostra morte...» Un attimo dopo l’aria esplode e tutto diventa bianco, stordendo i nostri sensi: ma quanto esplosivo c’era sul carro? Non capisco nulla per qualche secondo, e quando la polvere si dirada e riacquisto i miei sensi mi rendo conto che ormai la casa non ha più un ingresso... nel senso che non ha più una parete! C’è solo una voragine variopinta dove le schegge del legno del carro si fondono con pezzi indistinti di corpi umani, e ci metto qualche istante a capire che tutto l’androne è ricoperto di pezzi di mercenari... «Adoro le esplosioni ben fatte», sento gracchiare Giona, soddisfatto. Mentre controlliamo di essere ancora tutti interi, sentiamo una voce sconosciuta fendere l’aria: «Cosa avete fatto a casa mia?» Ci voltiamo e in alto, sul balconcino del primo piano da cui era caduta la Sfregiata, vediamo Sparafucile che ci fissa con sguardo allibito e le mani sporche di sangue. Giona digrigna rumorosamente i denti. «Sbaglio o mi avete detto che quel buffone era ferito e sarebbe morto per mano del gobbo vendicatore?» chiede. «Intendi questo gobbo?» risponde Sparafucile sollevando il corpo inerte di Triboletto e appoggiandolo alla ringhiera. «Ci ha provato, ma non ero così ferito da lasciarmi sopraffare da un menomato: ne ho approfittato per pareggiare i conti.» Lancio uno sguardo a Fango, come a dire “davvero un bel lavoro”, ma lo trovo in procinto di raggiungere il criminale con occhi di fuoco. «Perché non ci provi con me? Sono menomato anch’io, come vedi.»
Sparafucile lo fissa divertito. «Prima un gobbo e ora un monco: è arrivato il circo in città?» Detto ciò lascia cadere la testa della sua povera vittima e brandisce il suo lungo coltello alla volta di Fango, che gli si fa sotto velocemente, sciogliendo la catena legata alla sua mano sinistra. Il rapitore tenta un fiacco affondo che il monco evita ruotando su se stesso, e così facendo carica anche la sua lama che parte alla volta di Sparafucile, che però se l’aspettava: si tira indietro, sfugge alla lama e contrattacca. Il combattimento sembra ad armi pari, ma non possiamo rimanere a guardare perché vediamo affacciarsi dei loschi figuri: non serve molto a capire che non tutti i mercenari sono morti nell’esplosione. Senza perdere tempo Pisacane apre il fuoco, sfruttando l’elemento sorpresa e cogliendo in pieno un mercenario che stava avvicinandosi di soppiatto, mentre Boyka si ritrova molto vicino ad un soldato già pronto a far fuoco: non farà in tempo ad imbracciare il moschetto. Sto per scattare e cercare di essere più veloce della pallottola, ma incredibilmente il cosacco mi batte sul tempo: fa scattare una gamba in avanti a colpire lo stomaco del nemico, e poi subito dopo parte l’altra a falciarne la testa. Il risultato è che il mercenario non riesce a sparare e si ritrova per di più tramortito a terra. È chiaro che la situazione è più caotica del previsto, ma tutto sembra arrestarsi quando con un grido vediamo Sparafucile crollare giù dal primo piano e cadere proprio addosso al mercenario atterrato da Boyka. Alziamo gli occhi e vediamo Fango massaggiarsi il viso sporco di sangue. «Non è sangue mio, se ve lo state chiedendo.» Quell’attimo di curiosità viene sfruttato da Sparafucile, che essendo caduto sopra un mercenario armato si ritrova un moschetto per le mani: quando torniamo a fissarlo l’ha già impugnato ed apre il fuoco contro Giona. Nel silenzio che segue a malapena ci accorgiamo di Fango che si catapulta dall’alto su Sparafucile, immobilizzandolo e tagliandogli la gola in profondità. «Hai sparato il tuo ultimo colpo», gli sibila nelle orecchie. Ma la nostra attenzione è per Giona. La sua espressione non è sorpresa, è più da rimprovero e sembra dire “Perché i miei piani vanno sempre in vacca?” Lentamente si guarda il corpo e comincia a massaggiarsi.
«Senti qualcosa?» chiede la Sfregiata. Giona scuote la testa, finché Pisacane risolve la situazione. «Ti ha detto bene, guarda dietro di te: il proiettile si è infilato nella parete.» Giona si volta poi emette un inquietante rumore gorgogliante con la bocca, che potrebbe essere un riso soffocato. «Incredibile, era il criminale con meno mira della storia: mi chiedo davvero chi mai gli abbia dato il soprannome di Sparafucile.» «Non l’hanno dato a lui», grida d’un tratto una voce femminile, «l’hanno dato a me.»
13.
Un colpo di fucile echeggia nell’aria, e il sigaro di Giona salta via dalla sua bocca. Mi è difficile riconoscere la sorella del mio rapitore nella donna che si sta affacciando dal balconcino del primo piano, tanto è diversa da quando l’ho vista mentre ero sdraiata fingendo d’essere svenuta, eppure è proprio lei: è Maddalena. Con i pantaloni al posto dell’ampia gonna di prima, e un corpetto che le fa da cartucciera per avere sempre carico il fucile che stringe in mano. «Immagino sia tu la vera Sparafucile», commenta Giona sputando il mozzicone rimastogli in bocca, e scattando subito dopo da un lato: mentre è ancora in volo già ha estratto la sua rivoltella e ha aperto il fuoco. Maddalena si è spostata velocemente e la sentiamo ridere. «Tu morirai per ultimo, Giona: prima voglio spazzare via i tuoi insetti da casa mia.» La situazione sta per diventare esplosiva, eppure non riesco a muovermi... neppure quando vedo Maddalena saltare giù e spararmi addosso... Quando mi rendo conto di non essere morta né ferita, capisco che è stato Simone: grazie alla sua incredibile velocità deve aver deviato il proiettile. Non ho tempo di pensare altro e mi getto addosso alla donna. Maddalena è stupita: perché i suoi colpi precisi non vanno a segno? Sente Boyka alle spalle, si volta e gli spara... ma evidentemente Simone devia anche quel proiettile, così il cosacco ha tutto il tempo di ruotare sul busto e sferrare un calcio potente al volto della donna: lei riesce a pararsi grazie anche al fucile, ma si vede che incassa male il colpo. Le sono addosso col mio peso e, mentre cadiamo, le assesto due pugni alle costole, ma appena a terra lei mi scalcia via e spara di nuovo. Sia io che Boyka cerchiamo di sovrastarla, ma è abile e ci sguscia da sotto i piedi, continuando a sparare: per quanto Simone riuscirà a deviare i proiettili? Giona le assesta un calcio alle mani cercando di toglierle l’arma, ma Maddalena resiste, dimostrando di essere dannatamente dura. Con una piccola giravolta è in piedi e spara a Giona, che però è più veloce di lei: si era scansato già mentre la donna premeva
il grilletto e riesce a sparare piazzandole un proiettile in corpo. Il colpo della rivoltella di Giona la prende ad un fianco ma Maddalena non sembra neanche accorgersene. Con un grido strozzato e il sangue sulle labbra continua a sparare, mentre tutti cerchiamo di non stare davanti al suo fucile. «Perché non cadete?» grida disperata la donna. «Non sbaglio mai un colpo.» «Stavolta l’hai sbagliato.» A parlare è stato Fango, che al contrario di noi, se ne sta in piedi immobile davanti a Maddalena, a roteare la propria lama pronta a colpire. È impossibile che la sua catena sia più veloce del colpo di fucile che la donna sta per sparare. Maddalena, stuzzicata dalla frase, spara prendendo bene la mira, mentre la lama di Fango scatta implacabile. Quindi cala il silenzio. «Non posso... averti... mancato», sussurra la donna, che non si è accorta di aver perso il braccio che reggeva il fucile, tagliato dall’affilata lama del monco. «Ora ne ho abbastanza», gracchia Giona, puntando la sua rivoltella alla testa della donna e facendo fuoco. Una esplosione di sangue e cervello inonda la stanza, dopo di che l’ultimo esponente degli Sparafucile si affloscia senza un lamento.
14.
Quando Simone si rende visibile, tornando ad una velocità normale, ha un sorriso soddisfatto sul volto. Siamo tutti vivi grazie a lui che ci ha evitato le pallottole di Maddalena, ed è pronto a far pesare questa freccia al suo arco. «Sei una forza della natura, amico», gli dice entusiasta Fango. «Ad essere onesti per un attimo ho temuto che non bloccassi le pallottole dirette a me, ma sapevo che sei troppo buono per lasciare un compagno in difficoltà.» «Tu non sei mio compagno», risponde serio Simone, allargando poi le labbra in un sorriso. «Sei mio fratello di fuoco.» Giona esplode in una sonora risata. «Non dirmi che ora anche tu lanci frasi ad effetto.» Ridiamo e poi non posso fare a meno di chiedere: «Ma come facevi a fermare le pallottole, le afferravi con le mani?» Simone mi sorride. «No, le deviavo con questo pezzo di metallo che ho trovato in terra, e per non rischiare che colpissero qualcuno di rimbalzo le ho mandate tutte verso l’alto.» «Tutte verso l’alto?» sottolineo. Non finisco di parlare che dei pezzi di intonaco cadono proprio in testa a Giona, che mostra di aver perso tutto il buonumore, mentre noi invece scoppiamo a ridere. Giona fissa Simone per nulla divertito. «Ringrazia solo di essere già morto.»
15.
Milano, un mese dopo
Il locale è fumoso e pieno di uomini che parlano a diverse intensità di voce, ma sco Maria Piave non ci bada: ha riservato un angolo del locale, lontano da sguardi ed orecchie indiscrete, per il suo incontro con lo strano personaggio che ha appena finito di raccontare la sua storia. «Dunque sarebbe questo il finale?» chiede il poeta. «Che lei da solo ha ucciso tutti i briganti di casa Sparafucile?» Il gobbo annuisce con forza, fingendo di sorridere per mascherare il dolore che ancora gli provocano le ferite infertegli da Sparafucile, che l’hanno tramortito ma non ucciso. «È andata così. Avevo ragione nella mia lettera, quando le ho scritto che avevo una storia perfetta per lei?» Il poeta storce la bocca, per nulla convinto. «Sui combattimenti finali ci sarà da pensare, ma quello che mi è piaciuto è la parte iniziale: quella del Duca che insidia la figlia del giullare e quest’ultimo organizza una vendetta che gli si ritorcerà contro. Un soggetto molto drammatico.» «E poi il giullare, distrutto nell’animo per la perdita della figlia, porta a termine una sanguinosa vendetta», incalza il gobbo. «Mmmm no, mi sembra che si spezzi il dramma: la lirica dev’essere tragica e la storia deve finire nel peggiore dei modi. O almeno è così che vuole Verdi.» «Almeno tenga la frase ad effetto, quella del Delitto e della Punizione.» «Sì, quella mi piace» sorride il poeta. «Poi certo, bisognerà scegliere nomi migliori. Il suo, per esempio... Capisce? Non è un nome che stia bene in cartellone.» Il gobbo innalza le spalle per la sorpresa. «Insomma, vuole togliere i
combattimenti, vuole cambiare i nomi... ma così non è più la mia storia: io voglio che il mondo sappia dell’ingiustizia che ho vissuto e di come mi sono riscattato. Così che tutti i potenti sappiano che non possono distruggere le vite dei loro sottoposti, perché ogni Delitto troverà la sua Punizione.» Il poeta non lo sta più ascoltando, si limita a fissarlo mentre sorride. Ha già trovato alcune idee da sottoporre al suo committente, Giuseppe Verdi. «Sì, caro amico, è proprio così che andrà. Però bisogna cambiare i nomi per evitare scandali, così... Ecco, le propongo una piccolissima modifica del suo nome. L’opera si chiamerà... Rigoletto.»
FINE
Nota dell’autore
La buon’anima del poeta e librettista sco Maria Piave vorrà perdonare il mio divertimento nel tirarlo in ballo, ma la coincidenza delle date era una tentazione troppo forte: la saga di Giona si svolge nell’estate del 1849 e la prima del Rigoletto di Verdi è andata in scena l’11 marzo 1851: tutto il tempo perché il librettista Piave prendesse spunto dalla tragedia del povero gobbo Triboletto. È ovviamente un gioco, il noto librettista per scrivere Rigoletto si è in realtà basato sul dramma teatrale Le Roi s’amuse (1832) di Victor Hugo, noto autore di ben due gobbi: quello di Notre Drame e appunto Triboulet, il giullare la cui figlia è insidiata dal Re. Infinitamente più umile, anch’io ho voluto creare due gobbi: quello che segue le avventure di Anita Nera ed ora questo Triboletto. Mi piacerebbe che fosse scontato, ma è necessario ricordare che Fango è un mio personale omaggio a Fang, il celebre spadaccino monco che il genio Chang Cheh creò nel 1967 per il film Mantieni l’odio per la tua vendetta (Du bei dao / One-Armed Swordsman) interpretato da Wang Yu, attore di scarso valore marziale ma che, grazie al successo del suo personaggio con un braccio solo, divenne all’epoca tra i più famosi nomi di questo genere filmico. Più e più volte Hong Kong ha prodotto remake e reboot delle imprese di Fang, e ora... eccolo apparire nel Risorgimento di Tenebra!
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Torna il “TG Mistero” nato dal libro Il treno di Moebius di Alessandro Girola: stavolta con un servizio esplosivo su un antico palazzo che finalmente viene aperto al pubblico. L’edificio, appartenente alla antica famiglia degli Uscieri, ha fama di essere una vera e propria “casa maledetta”: sarà vero? Di sicuro il giorno dell’inaugurazione avvengono strani fenomeni... come per esempio la presenza fra i visitatori dell’investigatore bibliofilo Cristoforo Marlowe. Non è che l’inizio dei problemi.
eBook in vendita: Alla conquista del Monte Athos L’incredibile ma vera storia di 400 anni di caccia al libro
Sin dal Quattrocento l’Europa è stata attraversata da un mito senza fondamento, che cioè gli antichi monasteri del Monte Athos in Grecia siano pieni di libri preziosissimi e manoscritti rari, dimenticati e a rischio di distruzione a causa dell’ignoranza dei monaci. È un’idea assolutamente campata in aria, ma per quattro secoli ardimentosi esploratori di tutta Europa sono partiti entusiasti e fiduciosi... alla conquista del Monte Athos. Dopo secoli di fallimenti nel trovare un qualsiasi testo di valore sul Monte Tracio (come lo chiamava Omero), nel 1837 giunge il turno di un tipo diverso di esploratore ed avventuriero: quella misteriosa figura che sin dal Quattrocento tutta Europa chiama con un’espressione italiana, «Cacciatore di libri». Questa è la storia vera e documentata dell’incredibile avventura del britannico Robert Curzon, cacciatore di libri per ione, che partì alla conquista del Monte Athos per salvare dall’oblio dei suoi monasteri e riportare in Inghilterra preziosi manoscritti greci e latini, scoprendo che nulla era come l’Europa credeva. Per la prima volta un saggio tira le fila di quattrocento anni di “caccia al libro” con l’Athos protagonista, per la prima volta è raccontata in italiano l’avventura di Robert Curzon e per la prima volta vengono presentati i molti “strani” ritrovamenti fatti dopo di lui, alcuni in odore di falso e di truffa: quando Curzon mette piede sul Monte Sacro, non sa di essere l’ultimo “innocente” che prova a conquistarlo.
eBook in vendita: Storie da non credere 1
Notovitch e la vita segreta di Gesù La nascita del mito di Gesù in India
Da esattamente 120 anni molti sono convinti che Gesù Cristo ò l’infanzia in India, o che comunque i suoi insegnamenti arrivarono subito in questa terra grazie ai mercanti che “sparsero la voce”. Chi crede questo, in buona o cattiva fede, di solito non si rende conto che l’idea circola appunto da soli 120 anni: nei secoli precedenti alla data del 1894 non si pensava affatto a questa “ipotesi indiana”. Cosa è successo in quella data? Perché da quel momento la tesi di Gesù in India è argomento di discussione, visto che è totalmente campata in aria? Semplicemente nel 1894 apparve l’opera di un fantomatico giornalista russo che raccontava una storia incredibile... nel senso che è da non credere. La collana “Storie da non credere” si occupa di truffe librarie o comunque di vicende legate a fenomenali ritrovamenti accompagnati da storie più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà. Da secoli libri incredibili sono accompagnati da storie incredibili... che spesso sono appunto da non credere.
eBook in vendita: Storie da non credere 2 Petronio e la Cena di Trimalchione La nascita del mito del Satyricon completo
Uno dei più apprezzati e basilari autori latini è in realtà noto all’Occidente da poco tempo, ritrovato per caso e rimasto frammentario fino ad oggi. E se esistesse una copia completa del Satyricon di Petronio? Guarda caso, esiste... o
meglio, ne esistono diverse: bisogna però capire quale sia vera. Nel Seicento sono avvenuti diversi ritrovamenti “misteriosi” dell’opera di Petronio, tutti inerenti la celebre Cena di Trimalchione, ed ogni ritrovamento si è presentato con la sua storia incredibile... cioè da non credere: ecco le più sorprendenti di queste storie. La collana “Storie da non credere” si occupa di truffe librarie o comunque di vicende legate a fenomenali ritrovamenti accompagnati da storie più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà. Da secoli libri incredibili sono accompagnati da storie incredibili... che spesso sono appunto da non credere.
eBook in vendita: Storie da non credere 3 Arpe e il Trattato dei Tre Impostori Il mito del “vero” esemplare trovato in Europa nel ’700
Dalla fine del Cinquecento fino ai nostri giorni l’Europa è attraversata da un mito irresistibile: l’esistenza di un Trattato sovversivo che osa scagliarsi contro i tre profeti delle principali religioni monoteistiche (Mosè, Gesù e Maometto) accusandoli di essere tre “impostori”. Dopo più di un secolo di bisbigli e sotterfugi, di avvistamenti e fraintendimenti, finalmente agli inizi del Settecento qualcuno afferma a gran voce di averlo trovato, ma prima di presentarlo al giudizio degli esperti racconta l’immancabile roboante storia del suo ritrovamento, una storia incredibile... una storia cioè da non credere. La collana “Storie da non credere” si occupa di truffe librarie o comunque di vicende legate a fenomenali ritrovamenti accompagnati da storie più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà. Da secoli libri incredibili sono accompagnati da storie incredibili... che spesso sono appunto da non credere.
eBook in vendita: Storie da non credere 4 Ireland, il ragazzo che fu Shakespeare Il mito delle carte legali e di un’opera inedita
Il 1° aprile del 1796 il dramma “Vortigern and Rowena” viene programmato al Drury Lane Theatre, il celebre teatro londinese da poco restaurato ed ampliato: visto che alcuni autorevoli critici hanno sollevato un polverone gridando al falso, sottolineando cioè che quel dramma di William Shakespeare miracolosamente ritrovato nella soffitta di un gentiluomo misterioso solleva più dubbi che certezze, si preferisce spostare la prima al successivo 2 aprile. Mettere in scena un’opera dal forte odore di falso proprio il giorno simbolo dello scherzo e della burla sarebbe stato l'apoteosi della beffa: il risultato però non cambia. Per circa due anni, alla fine del Settecento, Londra ha creduto ciecamente a William Henry Ireland: il ragazzo di 17 anni che fu Shakespeare. Questa è la sua incredibile storia. La collana “Storie da non credere” si occupa di truffe librarie o comunque di vicende legate a fenomenali ritrovamenti accompagnati da storie più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà. Da secoli libri incredibili sono accompagnati da storie incredibili... che spesso sono appunto da non credere.
eBook in vendita: Platone, lo schiavo filosofo Commedia breve in quattro atti di quando i libri non si leggevano
Un aneddoto riportato da alcuni storici dell'antichità ci racconta di un incidente occorso al celebre filosofo Platone, che avendo fatto infuriare il tiranno Dionigi come punizione venne venduto come schiavo. La storia (semmai sia vera) si conclude velocemente con la liberazione del pensatore ma... e se invece chi doveva salvarlo non l'avesse riconosciuto? Cosa sarebbe successo se Platone fosse rimasto uno schiavo? Questo breve testo teatrale si diverte a prendere elementi storici rigorosamente reali – personaggi, libri, eventi, idee – e a giocare con essi immaginando di quali eventi sarebbe stato protagonista Platone, lo schiavo filosofo. In appendice una nota al testo che spiega i fatti salienti riportati e indica le fonti storiche.
eBook in vendita: Ninja Storia di un mito cine-letterario
Gli eventi “caldi” degli anni Cinquanta giapponesi spingono alcuni autori a rispolverare una figura storica poco apprezzata, e anche poco studiata, per trasformarla e distorcerla fino a creare un personaggio immaginario totalmente slegato da quello storico. Il successo dell’operazione, dichiaratamente faziosa, esplode e in pochissimo tempo il fenomeno sfugge di mano agli stessi autori: nasce così quello che noi ancora oggi chiamiamo ninja, del tutto alieno a ciò che nei più di mille anni precedenti è stato per le cronache storiche. Contagiando i media di USA, Cina e sud-est asiatico, e quindi anche l’Europa, il fenomeno in pochi anni ha conquistato il mondo e ancora oggi la parola “ninja” ha acquisito significato internazionale. Questo saggio, assolutamente unico nel suo genere, ripercorre dati alla mano il contagio dell’idea nata fra un ristretto gruppo di scrittori ed esplosa in ogni forma di comunicazione – dalla TV ai fumetti, dai libri ai videogiochi, ma
soffermandosi in maniera particolareggiata sul cinema, grande veicolo di contagio in questo caso – sottolineando ovviamente le differenze che ha assunto in ogni Paese in cui è arrivata. Per portare luce su un fenomeno ancora oggi pressoché ignoto per cui una spia ed assassino del Giappone medievale è diventato un eroe moderno e mondiale. Il saggio è completato da una Guida al cinema ninja internazionale, una luce nell’ombra che ricopre un genere pluridecennale.
eBook in vendita: Gynoid: a forma di donna Duecento anni di donne artificiali
Nel 1815 E.T.A. Hoffmann scrive di getto la bozza di un racconto destinato a fama imperitura, in cui dà vita alla più inquietante delle donne artificiali: Olympia, la bambola di legno che irride chi ancora non ha capito che il Romanticismo è finito e siamo tutti nell’Era della Macchina. Dopo cento anni Thea Von Harbou crea la sua Maria meccanica proprio mentre l’invenzione della catena di montaggio sta trasformando gli uomini in robot, e da allora le Donne Artificiali sono state piegate ad ogni tipo di preconcetto maschile, nel tentativo di neutralizzare la loro potenza. Bambole, manichini, ballerine, robot, mogli, amanti, assassine... Molti i ruoli assunti dalle ginoidi, esseri “a forma di donna” creati dagli uomini per dare sfogo alla propria contorta creatività: ecco un breve viaggio... che dura duecento anni.
eBook gratuito: 21 grammi
L’insostenibile (e fumosa) leggerezza dell’anima
21 grammi è una famosa misura dell’“anima” umana: leggenda vuole che quando una persona muore il suo corpo, subito dopo l’ultimo respiro, si alleggerisce di 21 grammi. Il peso dell’anima che abbandona il corpo. Ecco la storia del nebuloso esperimento che ha portato a questo risultato e dei vari millenni di cultura umana in cui è esistita un’idea di “pesatura spirituale”: peccato che a seconda delle culture... il peso cambia. L’unica costante è una operazione matematica: togliete ciò che resta a quel che era ed avrete ciò che manca. Peccato però che i risultati siano sempre diversi...
eBook gratuito: Da Samarra a Samarcanda La storia della Morte inevitabile nella sua versione corretta e ampliata
La storia la conosciamo tutti. Un uomo si accorge che la Morte lo sta fissando con occhi cattivi e chiede un cavallo veloce per sfuggirle; cavalca tutta la notte per arrivare in un luogo lontano, solo per scoprire che la Nera Signora era proprio lì che lo aspettava. È una storia molto nota e tutti hanno la convinzione sia di origine persiana o araba, comunque mediorientale: la verità è che tutti hanno sentito questo racconto citato da un occidentale, non da un mediorientale. E se la storia della Morte inevitabile fosse molto più europea e moderna di quanto pensiamo?
eBook gratuito:
Mangiare libri La più antica forma di lettura
Dopo aver dato un rotolo scritto ad Ezechiele, l’ordine di Dio è inequivocabile: mangialo! Sin dall’antichità è esistito un rapporto strettissimo tra leggere un testo e divorarlo (non solo metaforicamente), e tracce di quest’idea si ritrovano nei punti più disparati e impensabili: ecco un piccolo viaggio biblo-gastronomico alla ricerca di uno dei personaggi più influenti e meno studiati del mondo letterario: il mangialibri.
eBook gratuito: L’apprendista stregone Viaggio fra le varie versioni di una storia antica
Siamo noi che creiamo le parole o sono piuttosto le parole a creare il mondo che ci circonda? La nostra cultura è nata dalle parole che, pronunciate a voce alta, hanno creato oggetti e concetti che sopravvivono tutt’oggi, come per esempio la celebre storia dell’Apprendista Stregone: nata duemila anni fa e più viva che mai. Ecco un viaggio nelle varie versioni di una stessa storia, sul sentiero tracciato dalla parola creatrice.
eBook gratuito: Geremia, il Golem e Ruby Sparks Un viaggio dal dito di Dio
al Word Processor degli Dei
Ne L’apprendista stregione abbiamo conosciuto la Parola Creatrice nella sua accezione orale, ma nella storia occidentale un grande peso ha avuto ad un certo punto anche quella scritta. Sebbene i grandi profeti e maestri di pensiero non l’abbiano amata, la parola scritta ha in breve tempo conquistato l’immaginario collettivo andando a scalzare il predominio di quella orale. Partiamo dunque per un viaggio dal dito di Dio... fino al Word Processor degli dei.
eBook gratuito: Dieci contro mille Il grande cinema di assedio
Esiste un genere particolare di film, nato quasi cento anni fa, che si potrebbe chiamare tanto “d’assedio” quanto “di barricate”, ed indica una storia che veda alcuni personaggi costretti in un singolo luogo da un nemico che li circonda: le storie di questo genere non si focalizzano sul nemico esterno bensì sui problemi interni al gruppo di protagonisti. Questi infatti si ritrovano impegnati non già a resistere agli attacchi del nemico esterno, bensì a fronteggiare il nemico interno: problemi di razza, religione, politica, estrazione sociale e mille altre questioni, unite alla paura e alla convivenza forzata, creano una situazione esplosiva. Ecco un viaggio fra i migliori film che affrontano l’argomento.
eBook gratuito: La Falsa Novella Viaggio tra i falsi vangeli
inventati dai romanzieri
Falsi profeti dotati di falsi vangeli sono esistiti da sempre, in ogni dove, ma nella metà del Novecento la riscoperta di antichissimi vangeli ritenuti apocrifi (nonché persi per sempre) ha infiammato la fantasia degli scrittori più disparati, che hanno cominciato ad inventare storie da romanzo con protagonisti vangeli inventati. È uno stratagemma che ha permesso agli autori di stuzzicare tanto la curiosità dei lettori quanto la pazienza della Chiesa, magari togliendosi anche qualche soddisfazione personale. Ecco un viaggio fra questi vangeli palesemente inventati che fanno il verso a quelli verissimi ma semplicemente non riconosciuti dalla Chiesa. Non sempre le intenzioni sono meramente letterarie, e questo renderà il viaggio più interessante.
eBook gratuito: Tradurre l’incubo Da Shakespeare a Goethe
C’è stato un momento ben preciso, a metà Ottocento, in cui gli italiani si ritrovarono a dover tradurre il termine “nightmare”, scoprendo che quel termine antico era poco chiaro anche agli inglesi. Inizia dunque un viaggio alle radici dell’incubo per scoprire cosa esso sia veramente... e come si possa tradurlo nella nostra lingua.
eBook gratuito: Lupin contro Holmes Le origini del personaggio
che osò farsi beffe di Sherlock Holmes, facendo infuriare Conan Doyle ma dando vita al noir se
«Perché non provi a scrivere un racconto sul genere di Sherlock Holmes?» Questa proposta indecente dell'editore Pierre Lafitte al giovane Maurice Leblanc dà vita al personaggio di Arsène Lupin, nato sulle pagine della rivista “Je sais tout” il 15 luglio 1905. Quello che all'inizio è una divertita parodia di Holmes, si attira ben presto le ire di Arthur Conan Doyle quando il suo segugio si ritrova nelle storie di Leblanc e nasce così una doppia sfida: Conan Doyle diffida Leblanc ad utilizzare ancora Sherlock Holmes nelle sue storie... e Lupin in persona sfida il segugio inglese a batterlo. Ecco la storia di uno scontro letterario epico.
eBook gratuito: Spaghetti Marziali Quando gli italiani inventarono il kung fu western
In un breve lasso di tempo, agli inizi degli anni Settanta, registi e produttori italiani decisero di mettere in atto qualcosa di completamente inedito: utilizzare attori e tematiche cinesi, un argomento molto “caldo” dell’epoca, e fonderli con i più classici schemi del genere western, anch’esso di grande attualità. Qualcuno chiama il genere “soja western”, ma visto che si parla di un prodotto completamente italiano che fondeva l’autorevole spaghetti western con la
ione per i film marziali asiatici (dai samurai giapponesi al kung fu di Hong Kong), ho ribattezzato il genere spaghetti marziali. Ecco un viaggio inedito in un genere troppo poco noto al grande pubblico.
eBook gratuito: Mistero Shakespeare Analisi inedita di un mistero inestricabile
William Shakespeare è probabilmente il più noto autore di lingua inglese mai esistito, quindi nessuno biografo serio si azzarderebbe a fare una domanda all’apparenza semplice: quali prove concrete abbiamo che un drammaturgo di nome Shakespeare sia realmente esistito? La risposta non è rassicurante: a dispetto della grande fama del personaggio, le prove della sua reale esistenza sono pochissime e molto nebulose. Questo saggio non darà risposte su questioni su cui è impossibile darne: si prefigge solamente di offrire una panoramica quanto più “inedita” della questione shakespeariana, cioè studiandola attraverso quello specchio deformante che spesso dice il vero, percorrendo quel territorio che raramente viene preso in considerazione: la letteratura, la più vera delle menzogne. In appendice, un’intervista con John Underwood – pseudonimo di Gene Ayres ed autore del controverso Il libro segreto di Shakespeare – e l’imperdibile saggio L’uomo che fu Shakespeare di Chiara Prezzavento, blogger intrigante oltre che grande apionata della narrativa che circonda il Mistero Shakespeare, che non solo ci fornisce delle indispensabili coordinate per capire il mondo elisabettiano dell’epoca, ma ci guida anche in una panoramica frizzante e precisa sulla narrativa che si occupa dell’argomento: visto che si tratta di romanzi inediti in Italia, è un’occasione imperdibile.