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Volume Edizioni
Titolo: Il Drago e il poeta Titolo originale: Ryū to shijin
Autore: Miyazawa Kenji
Tradotto e curato da Massimo Cimarelli
1° edizione marzo 2009 2° edizione settembre 2011
ISBN 9788897747017
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MIYAZAWA KENJI: VITA E OPERE di Massimo Cimarelli
“Lo scopo del lavoro di tutta la mia vita è stato di consegnare questo libro sacro nelle tue mani, e di renderti capace di entrare nel Nobilissimo Sentiero mettendoti in contatto con l’insegnamento del Buddha.”[1] Questa la nota che nel letto di morte Kenji chiede al padre di scrivere sulle copie, destinate ai suoi amici, della traduzione giapponese del Sutra del Loto. Riecheggiano le parole di Śākyamuni “…io faccio ciò solo perché essi possano acquisire l’ Unico Veicolo del Buddha e la conoscenza di ogni modalità…”[2]. L’ intera vita di Miyazawa Kenji è la vita di un bodhisatva di shakke che agisce per il bene delle persone utilizzando completamente le proprie capacità individuali, consacrando generosamente il proprio talento ad aiutare gli altri e contribuendo al progresso sociale[3]: “D’ora in poi l’arte sarà religione, la religione sarà l’arte”[4] scriveva lo stesso Kenji nel 1914 all’amico Seki Tokuya.
Miyazawa Kenji nasce il 27 agosto 1896 a Hanamaki, prefettura di Iwate, nel Tōhoku, regione all’estremo nord dell’Honshū dove le coltivazioni, massima fonte di sostentamento per la popolazione del luogo, sono sotto la minaccia costante di un clima affatto ospitale. Kenji è il primo dei cinque figli di Masajirō e della moglie Ichi che insieme gestiscono un banco di pegni. Le traduzioni di opere letterarie e scientifiche occidentali introdotte dalla politica del bunmei kaika (civiltà e progresso) arrivano anche nella quasi isolata Iwate e Kenji, che dal 1903 al 1909 frequenta la scuola elementare, ne resta notevolmente influenzato. Sulla sua formazione ha una forte peso anche l’atmosfera religiosa di casa: il padre, devoto praticante del jōdōshinshū[5], dal 1898 aveva fondato un’associazione che organizzava raduni estivi a cui intervenivano monaci e studiosi del pensiero buddhista. Kenji cominciò a prendervi parte sin da bambino insieme alla sorella Toshiko, di due anni più piccola di lui. Nel 1911, all’età di quindici anni, inizia a comporre tanka[6] e per diversi anni si dedicherà esclusivamente alla stesura di questa forma poetica classica tanto da
scriverne un migliaio in pochi anni. Questi lavori sono pregevoli ma risentono dell’influenza di Ishikawa Takuboku (1886-1912), nativo della stessa prefettura, e non hanno la forza delle successive opere in versi ed in prosa: per lo sviluppo della poetica di Kenji debbono ancora maturare alcuni eventi. E’ il 1914: Kenji, ottenuto il diploma di liceo, si vede costretto a lavorare nel banco di pegni dei genitori quando il padre, dapprima contrario, acconsente alla sua iscrizione alla facoltà di agraria dell’Università di Morioka. L’anno seguente mentre sta preparando gli esami d’ammissione all’università si imbatte nel Kanwa taishō myōhōrengekyō, la traduzione giapponese di Shimaji Taitō del Sutra del Loto anche detto Sutra della Legge Meravigliosa (Saddharmapuņdarīsūtra). Per lui, già istruito al Buddhismo sia dal padre che dalle letture personali tra cui il Tannishō[7], è un’esperienza decisiva che causa un’istantanea conversione alla dottrina di Nichiren[8]. Il Buddhismo ha uno straordinario impatto sulla sua scrittura, Kenji entra in contatto con un sistema dotato di un immenso apparato iconografico con il quale dar vita alla sua visione; inoltre l’ideale salvifico è congeniale alla sua partecipazione della sofferenza degli altri esseri, per primi di quei contadini in difficoltà che sin dall’infanzia ha visto affollare il banco di pegni del padre. E’ proprio la sensibilità verso i contadini che lo indirizzerà negli studi universitari di agraria e post-universitari di geologia, natura del suolo ed uso dei fertilizzanti, nella consapevolezza che la loro condizione di vita possa essere migliorata con l’aiuto della scienza. Il linguaggio di Kenji ne risulterà nuovamente arricchito: su uno sfondo modellato da immagini, atmosfere e tematiche buddhiste risalteranno termini, mai inappropriati, di chimica, botanica e mineralogia che renderanno reale il favoloso. Nel 1918, dopo essersi laureato ed essere stato nominato assistente del professore di agraria Seki Toyotarō, deve recarsi insieme alla madre a Tōkyō dove sua sorella Toshiko, che sta studiando all’università, si è ammalata gravemente. Kenji rimarrà con lei finché, all’inizio del 1919, Toshiko si rimette. Il 1918 è anche l’anno dei primi dōwa[9]. Durante l’estate, costretto a letto da una pleurite, scrive Kumo to namekuji to tanuki (Il ragno, il lumacone e il tanuki[10]) e Futago no hoshi ( Le stelle gemelle ): sono le prime di una lunghissima serie, parallela a quella in versi. Nello stesso anno ascolta per caso l’ouverture del “Guglielmo Tell” di Rossini: Kenji, compositore dilettante ed amante di musica popolare, diviene un accanito collezionista di dischi. La musica è l’ultimo elemento per la sua poetica: numerosissime le onomatopee che rendono i testi, sia in versi che in prosa, melodici; come lo definirà il critico Yōrō Takeshi uno “scrittore d’orecchi” ( mi no sakka )[11]. Takao Hagiwara
noterà che queste onomatopee sfiorano il non-sense come nei sutra[12], come i mantra[13] del Sutra del Loto il cui titolo originale Saddharmapuņdarīsūtra fu considerato da Kukai (774-835), il fondatore della setta giapponese Shingon, come un vero e proprio mantra e dunque la parte più importante di tutta l’opera, anticipando Nichiren di quasi quattrocento anni. Nel 1919 la sorella compila una raccolta di 662 tanka del fratello da pubblicare. Kenji nel frattempo cura un volume con brani estratti dagli scritti di Nichiren e l’anno successivo entra a far parte della “Società Buddhista di Nichiren”. L’inverno dello stesso anno attraversa le strade della città gridando l’invocazione Namu myōrengekyō. Tornato a casa, nel gennaio 1921 cerca di convincere i famigliari a convertirsi alla dottrina di Nichiren ma suo padre è decisamente contrario e, durante la lite tra i due, di colpo esplode la tensione che era sempre stata latente. Nello stesso mese un altro evento cambia definitivamente la sua vita: due volumi contenenti il Sutra del Loto improvvisamente cadono da uno scaffale e lo colpiscono violentemente alla schiena. Kenji, interpretando l’accaduto come un segno, decide di partire per Tōkyō per svolgere una parte più attiva nella diffusione dell’insegnamento del Sutra. Quaranta minuti dopo aver preso questa decisione il ventiquattrenne Miyazawa Kenji è sul treno e con sé porta solamente una copia del Sutra del Loto, un ombrello e i soldi per il viaggio. Appena arrivato nella capitale si reca alla Kokuchūkai ( Società “Pilastro della nazione”)[14], di cui era divenuto membro l’anno precedente, offrendo il suo aiuto per la divulgazione della dottrina di Nichiren. Inizialmente la sua richiesta viene rifiutata ma presto professerà la sua fede nelle strade di Tōkyō. Durante il soggiorno nella capitale si mantiene con lavori di copiatura e correzione di bozze. Nonostante i molti impegni non rinuncia a scrivere anzi, la consapevolezza buddhista della brevità della vita lo spinge a dedicarsi con assiduità alla prosa; scrive un enorme numero di dōwa ad un ritmo di trecento pagine al mese e riesce a venderne uno per cinque yen: saranno gli unici soldi che riceverà per i suoi scritti durante tutta la sua vita. Sono di questo periodo “molte delle sue fiabe migliori”[15] permeate in maggioranza da elementi buddisti. La stesura definitiva, nell’agosto 1921, di Ryū to shijin ( Il drago e il poeta ) è una di queste. Nel settembre 1921 ritorna ad Hanamaki per assistere la sorella Toshiko gravemente malata. Nella città natale viene assunto come docente alla Scuola di agricoltura.
Del 1922 sono le sue prime poesie moderne in versi liberi: Kussetsuritsu ( Il grado di rifrazione ) e Kurakakesan no yuki ( Le nevi del monte Kurakake) che costituiscono il primo nucleo della futura raccolta Haru to shura ( La primavera e gli asura[16] ). Kenji si autodefinirà uno shura in costante lotta con il proprio orgoglio, con l’invidia e con la lussuria. Nei lavori di questo periodo si riflette il suo amore per la musica. Il 27 novembre 1922 la sorella Toshiko muore; per Kenji è un colpo fortissimo e lo stesso giorno compone tre delle sue poesie più famose con le quali esprime tutto il suo dolore: Eiketsu no asa ( Il mattino della separazione eterna), Matsu no ari ( Aghi di pino ) e Musei dōkoku ( Lamento muto). Nel 1924 pubblica a proprie spese, in un’edizione di mille copie di cui ne saranno vendute circa cento, la prima raccolta di Haru to shura con sottotitolo shinzō suketchi ( sketch mentali ). Nello stesso anno scrive anche Kaze no Matasabuō ( Matasaburō, il fanciullo del vento ) uno dei suoi dōwa più lunghi, Porāno no hiroba ( Piazza di Polano ), More ( Utopia ), La citta del sole, altre poesie per la seconda raccolta di Haru to shura e delle teorie sociali di Ruskin[17]. Di alcuni suoi dōwa, tra cui Porāno no hiroba, allestisce anche una trasposizione teatrale nella scuola dove insegna; inoltre, nello stesso periodo, progetta i giardini della stazione termale di Hanamaki. Nel dicembre 1924 pubblica la raccolta di dōwa , illustrata da Kikuchi Takeo, Chūmon no ōi ryōriten ( Un ristorante pieno di richieste) e scrive la prima stesura di Ginga testudō no yoru ( Una notte sul treno della Via Lattea). Nel 1925 viene notato da Kusano Shinpei con il quale inizia una corrispondenza che sfocerà con una collaborazione assidua nella rivista Dora ( Gong ). L’anno successivo Kenji decide di dedicare tutta la sua vita ai contadini del nordest. Abbandonato l’insegnamento e lasciata la casa paterna, si reca a vivere da solo in campagna conducendo lui stesso una vita da contadino: coltiva i campi, crea aiuole fantasiose, organizza gruppi di ascolto di dischi con i suoi exstudenti e si esercita con vari strumenti musicali. Simpatizza per il Rōdōnōmintō ( Partito popolare degli operai e contadini ) offrendo agli attivisti sostegno economico e collaborazione ma senza mai entrare personalmente in politica. Nei primi mesi del 1926 pubblica su una rivista tre dōwa tra cui Otsuberū to zō ( Ozbel e l’elefante ), una parabola sullo sfruttamento del lavoro, e scrive il saggio Nōmin geijutsu gairon kōyō ( Elementi essenziali di arte agraria ) con il quale esprime il suo progetto per migliorare le condizioni di vita dei contadini:
aumentare lo sfruttamento del suolo ed innalzare, tramite l’arte, la loro qualità di vita. Ed è a questo scopo che nell’agosto dello stesso anno fonda la Rasuchijin Kyōkai ( Società Rasuchijin[18] ) con la quale offre consulenze specializzate e gratuite sui metodi di coltivazione, organizza incontri di lettura e di musica. Purtroppo queste iniziative erano spesso guardate con sospetto dalle stesse persone che Kenji intendeva aiutare: lo accusavano di essere un uomo di città che giocava a fare il contadino e lo disprezzavano se i suoi fertilizzanti non producessero l’effetto desiderato. La società durerà solo due anni durante i quali Kenji gli dedica tutto se stesso ma trova comunque il tempo per scrivere numerose opere tra cui il suo racconto più lungo Koiwai Nōjō ( La fattoria di Koiwai ). I racconti di questo periodo descrivono la dura vita degli stessi contadini e molto spesso contengo informazioni sulle irrigazioni e sull’uso dei fertilizzanti. Continua anche la sua produzione di poesia classica accanto ai numerosissimi interessi personali tra i quali si aggiungono la lingua tedesca e il collezionismo di opere pittoriche in stile ukiyo-e[19]. Durante l’estate del 1928 Kenji si ammala e alla fine dello stesso anno le sue condizioni peggiorano: soffre di una grave polmonite. La sua convinzione buddhista che lo aveva portato ad adottare un’alimentazione vegetariana rende la sua guarigione ancor più difficile e spinge i famigliari a cercare espedienti, mai andati a buon fine, pur di fargli mangiare carne a sua insaputa. Durante la sua malattia scrive poesie in lingua classica finché nel 1933 guarisce e viene assunto da una compagnia di produzione mineraria del Tōhoku come ingegnere responsabile dei settori di ricerca, vendita, diffusione e in più il compito di sovrintendere all’apertura di una filiale ad Hanamaki. Si occupa del miglioramento dei metodi di produzione di carbonato di calcio e calce. Il lavoro lo porta a viaggiare in diverse località del Giappone ma, a settembre, mentre si trova a Tōkyō, viene assalito da una forte febbre. Kenji è consapevole della gravità delle proprie condizioni e scrive un testamento che invia ai genitori ed una lettera d’addio ai fratelli. Quando torna ad Hanamaki le sue condizioni sono gravissime. Pochi giorni dopo, il 3 novembre del 1931, avverte dei segni di ripresa e di getto scrive nel suo quaderno di appunti quella che diventerà la sua poesia più famosa: Ame ni makezu (Senza arrendersi alla pioggia). Questa poesia, che sicuramente non è la migliore del poeta e che ha nuociuto alla conoscenza di Kenji, a lungo identificato solo con questi versi imparati a memoria da generazioni di scolari, descrive l’uomo indifferente alle intemperie ed alle ioni, generoso e comionevole che Kenji stesso avrebbe voluto
diventare. La dottrina di Nichiren e l’ideale del bodhisatva ritornano anche in questi versi divenuti però famosi per la strumentalizzazione che subirono dallo stoicismo eroico dominante durante la propaganda bellica. Le condizioni di salute di Kenji migliorano nel 1932 ma rimane comunque convalescente. Continua a scrivere poesie, a studiare, principalmente matematica e calligrafia, e a consigliare i contadini. Nel febbraio dello stesso anno pubblica il racconto Gusukōbudori no denki ( Vita di Guskōbudori ) che è la sua autobiografia in chiave fantastica. Nel 1933 le sue condizioni vanno peggiorando ma il 20 settembre si sente abbastanza bene da poter assistere, dall’uscio della porta di casa, alla processione del locale santuario Shintoista che a lì innanzi. Alcuni contadini vedendolo pensano che si sia completamente rimesso e iniziano una lunga conversazione sui fertilizzanti alla quale, Kenji, nonostante sia esausto, partecipa con gioia. Lo stesso giorno esprime il desiderio al fratello Seiroku che i propri manoscritti siano pubblicati, cosa che lo stesso realizzerà nel 1934-35. La mattina seguente, il 21 settembre 1933, ad un tratto inizia a recitare la formula Namu myōhōrengekyō che si interromperò solo nel momento in cui dalla sua bocca uscirà del sangue. Kenji trova la forza per chiedere al padre di far pubblicare mille copie del Sutra del Loto nella traduzione giapponese e di distribuirle. Poco più tardi, all’età di trentasette anni, Miyazawa Kenji si spegne.
Nel 1934-35 il fratello Miyazawa Seiroku insieme a Takamura Kōtarō, Kusano Shinpei ed altri pubblica per la prima volta tutte le sue opere. Numerosissime saranno le ristampe fino all’edizione critica in quattordici volumi pubblicata dal 1973 al 1977. Nel 1986 il regista Sugii Gisaburō dirige il lungometraggio animato Una notte sul treno della Via Lattea basato sulle illustrazioni di Masamura Hiroshi. In Italiano sono stati pubblicati Una notte sul treno della Via Lattea, La pera selvatica, Il dio della terra e la volpe, Le gru e le dalie, Gli orsi del monte Nametoko [20], Allarme, allarme! [21], Il violoncellista Gōshu[22], Le stelle gemelle, Il bambino oca [23], I gigli di Gadolf e il saggio Dei pareri sul luogo candidato a parco nazionale [24] .
[1] D. Keene, Dawn to the west. Japanese Literature in the Modern Era. Poetry, Drama, Criticism, New York, Rinehart and Winston,1984, p.284
Drama, Criticism, New York, Rinehart and Winston,1984, p.284 [2] P. Williams, Il buddismo Mahayana, Roma, Ubaldini, 1990, p.172 [3] Bodhisatva di shakke ( forma contratta di shakumon): bodhisatva che secondo la dottrina di Nichiren e secondo il Sutra del Loto con il loro talento o con le loro capacità sono di aiuto agli altri; esempi significativi sono Kannon con la capacità di intuire le tendenze della società, Myo’o con la musica, Miroku con la comione, Yakuo con la medicina. Anche noti come bodhisatva transitori si differenziano dai bodhisatva della Terra secondo la dottrina di Nichiren perché solamente a questi ultimi è possibile divulgare nella società il Nam myoho renge kyo, la Legge Universale. Sempre secondo tale dottrina si può are dallo stato di bodhisatva transitorio allo stato di bodhisatva della Terra nel momento in cui si comprende che la direzione degli sforzi nel mondo è di vivere sulla base di Nam myoho renge kyo propagandolo tra gli uomini . Per un approfondimento: Daisaku Ikeda, La vera entità della vita.Lezioni sugli scritti di Nichiren Daishonin,Milano,Esperia edizioni,1996, cap.1. [4] Miyazawa Kenji zenshū, Tōkyō, Chikuma shobō,1986,vol.10, lettera n.195, pp.270-72 [5] “Vera setta della Terra Pura”: setta amidista del buddismo giapponese che si ispirò agli insegnamenti di Shinran (1173-1262). Si sviluppò tra le classi popolari al punto da divenire la più numerosa setta del buddismo giapponese. [6] Tanka: genere di poesia classica giapponese composta di 31 sillabe ripartite in 5 versi: 5-7-5-7-7. [7] Testo che racchiude il pensirero di Shinran, è attribuito al suo discepolo Yuinen. [8] Nichiren (1222-1282) autore del terzo grande movimento di riforma del buddhismo nell’epoca Kamakura. Considerava il Sutra del Loto il testo supremo del Buddismo: la fonte di salvezza e conoscenza per il praticante. Cambiò il nembutsu da “Namu Amida Butsu” (Onore al Buddha Amida) in “Namu myōhōrengekyō” ( Onore al Sutra della Legge Meravigliosa ). La sua dottrina proponeva inoltre come esempio per i praticanti l’ideale del bodhisatva. Integralista a favore del proprio insegnamento fu due volte condannato all’esilio e per due volte graziato. Morì a Ikegami , oggi inglobato nella città di Tōkyō. [9] Dōwa: letteralmente “racconti per bambini”, traduce sia il termine favola che
[9] Dōwa: letteralmente “racconti per bambini”, traduce sia il termine favola che il termine fiaba. [10]Tanuki: (Nyctereutes procyonoides) animale della famiglia dei procioni. Le leggende gli attribuiscono poteri soprannaturali e scherzi che fanno sbagliare strada ai viaggiatori. E’ considerato di buon augurio per negozianti e ristoratori. [11] G. Leone, Futago no hoshi come allegoria buddhista, in Il Giappone XXXVII,1997, p.120 [12] ibid. [13] Mantra: formule magiche del Buddhismo esoterico composte da parole il cui suono richiama il linguaggio inteso come Vero linguaggio e Vera parola, contenente in sé il Principio Originale. Se recitate produrrebbero benessere o aiuterebbero l’adepto negli stati meditativi. [14] Associazione fondata dal monaco e studioso Tanaka Chigaku (1861-1939) che si occupa di diffondere l’insegnamento di Nichiren. [15] K. Miyazawa , a cura di G. Amitrano, Una notte sul treno della via lattea e altri racconti,Venezia, Marsilio Editori,1994, p. 32. [16] Shura o ashura: nipponizzazioni del termine indiano asura. Solitamente tradotto come demoni in realtà sono semi-dei in costante lotta con gli dei e la loro esistenza, non demoniaca, è considerata più felice di quella umana. [17] Ruskin John ( 1819-1900 ): inglese, critico d’arte e disegnatore che sostenne il valore morale e religioso dell’arte e muovendo dall’estetica condusse una critica sociale alla civiltà industriale. [18] Lo stesso Kenji precisò che il nome Rasuchijin non ha un significato particolare ma che nel momento della sua scelta probabilmente hanno influito i termini chi ( terra ) e jin ( uomo). [19] Ukiyo-e: letteralmente “ dipinti del mondo fluttuante”. Il termine comprende sia dipinti sia stampe su matrici di legno che prosperarono dal 1680 fino al 1850 circa. I soggetti principali ritraggono il mondo dei quartieri di piacere, del teatro Kabuki, le bellezze femminili, le vedute di Edo, del monte Fuji e del Tōkaidō. [20] Una notte sul treno della Via Lattea, La pera selvatica, Il dio della terra e
[20] Una notte sul treno della Via Lattea, La pera selvatica, Il dio della terra e la volpe, Le gru e le dalie, Gli orsi del monte Nametoko in K. Miyazawa , a cura di G. Amitrano, Una notte sul treno della via lattea e altri racconti,Venezia, Marsilio Editori,1994. [21] Titolo originale: Asa ni tsuite no dōwateki kōzu pubblicato nella collana “Giunti ragazzi universale under 7”, Firenze, Giunti, 1994. [22] In La vita felice, a cura di M. Muramatsu, 1996. [23]Rispettivamente in Il Giappone XXXVII,1997 e in Il Giappone XXXVIII,1998, a cura di G. Leone. [24]In A Oriente!, 8-Giapponese,2002,rispettivamente a cura di M. Soumaré e T. Fuchino.
IL DRAGO E IL POETA
Il drago Chanata ondulando il corpo uscì dall’acqua che stava salendo all’interno della caverna. Il sole del mattino penetrava brillante attraverso la fessura della caverna, e metteva in risalto per mezzo delle ombre le irregolarità delle rocce sul fondale e rivelava i molti animali, rossi e bianchi, che ancora erano attaccati a quelle rocce. Chanata rimase incantato nel vedere quell’acqua blu leggermente velata. Dopodiché guardò fuori la fessura della caverna e vide l’acqua del mare brillare come il fuoco e il trono dell’Imperatore del sole: una palla di fuoco alta nel giallo chiaro dell’orizzonte. “ Io che posso sguazzare liberamente in quel mare per moltissimo tempo, io che posso volare in alto avvolgendo le nere nubi respirando a fatica l’aria pura, io ,nonostante ciò, non posso andare via da qui. “La fessura che conduce al mare all’esterno di questa grotta impedisce a malapena di poter sbirciare fuori. “ Sacro Dio Drago, sacro Dio Drago: perdona i miei crimini e togli la mia maledizione.” Chanata, triste, si voltò di nuovo a guardare l’interno della caverna. Allora una colonna di luce solare brillò sulla coda immersa nell’acqua e si riflesse di una luce viva sia blu che bianca. In quel momento il drago udì la voce giovanile di una persona fuori dalla caverna. Il drago guardò fuori. “Anziano e venerabile drago Chanata! Facendo affidamento sul sole del mattino sono venuto a chiederti il perdono.” Un magnifico giovane, che portava una spada lunga dorata e metteva in mostra una collana, era seduto fuori [ dalla caverna ] sul muschio verde delle pietre selciate.
“Cosa dovrei perdonare?” “O drago! Nella competizione di poesia scritta di ieri anche io, partecipando, ho composto una poesia e tutti si sono complimentati molto con me. Alta, il più importante poeta, ha lasciato il trono e, facendomi un inchino, mi ha fatto salire sul suo posto d’onore. Poi, mettendomi la pianta rampicante […][25] , ha recitato un Sutra di quattro versi nei quali mi lodava e si è ritirato ai piedi della montagna innevata ad oriente. Mi hanno fatto salire sulla carrozza ed era come fossi ubriaco di sakè per la bellezza della poesia che avevo recitato. Mi batteva il petto per l’entusiasmo delle lodi delle persone e per la pioggia di fiori che mi ricopriva. Ma a tarda notte ho lasciato la casa del ricco Ludas e mentre tornavo dalla mia povera madre calpestando le gocce di rugiada sull’erba che luccicava, volsi lo sguardo in alto dato che le nuvole, di [ colore e forma simili all’] agata, improvvisamente oscurarono il trono dell’imperatore della luna, e udii qualcuno dalla foresta di Milda dire sottovoce così: “ Il giovane Suldatta avendo ascoltato di nascosto la poesia del vecchio drago Chanata ,che è rinchiuso nella caverna, l’ ha recitata nella gara di poesie di oggi ed hai costretto Alta, che è un vecchio poeta, a ritirarsi nei paesi ad oriente.” Non so perché mi tremassero le gambe e non potei camminare. Così, per tutta la scorsa notte, mi sedetti sul primo prato nei dintorni e fui angosciato. Mi ricordai che tutti i giorni andavo a sedermi sul promontorio che si trova proprio sopra questa grotta, senza sapere che tu fossi qui, riflettevo sul recitare poesie e per la stanchezza mi addormentavo. Ho quindi l’impressione di aver ascoltato quella poesia mentre facevo un sonnellino pomeridiano in una giornata di vento e nuvole. O venerabile drago Chanata; da domani mi verserò la cenere, siederò nella piazza della città e chiederò perdono a te e a tutte le persone. O mio onorato maestro drago che hai cantato quella magnifica poesia, potrai perdonarmi?” “Alta, il poeta che si è ritirato verso est , con quale Sutra ti ha lodato?”
“Il mio animo era troppo turbato e non ho potuto imparare a memoria quei sublimi versi; credo però recitassero così: Suldatta recita quella poesia e subito
Il vento canta le nuvole fanno eco e la risacca delle onde batte il tempo. O architetto Suldatta, profeta che realizzerà il mondo per il quale hai deciso di creare un modello di verità e bellezza possibile nel mondo di domani con il quale [ si realizzerà ] Il volere delle stelle e la terra potrà assumere la nuova forma che desidera.”
“Sia felice il rispettabile poeta Alta. Suldatta: quella poesia è in egual misura sia mia che tua. Come hai potuto pensare che io, essendo in questa grotta, abbia cantato? E davvero hai creduto d’aver ascoltato quella poesia perché eri sopra questa grotta? Oh Suldatta! A quel tempo ero il vento e le nuvole e quindi anche tu eri il vento e le nuvole. Se a quel tempo il poeta Alta avesse meditato probabilmente avrebbe recitato la stessa poesia. Però Suldatta: Il linguaggio di Alta e il tuo sono diversi, e il tuo linguaggio è diverso dal mio e , probabilmente, anche i versi lo sono. Perciò quella poesia è una tua poesia; inoltre è una poesia dello spirito che ci permette di domare a nostro piacere le nostre nuvole e il nostro vento.” “Oh drago, allora mi avete perdonato?” “Chi perdona e chi è perdonato?
Noi siamo acqua, nuvole e vento. Suldatta: se potessi uscire fuori e se tu non avessi paura , avrei voluto accarezzarti e abbracciarti, ma poiché adesso questo non è possibile, voglio almeno farti un piccolo dono. Allunga le braccia qui!” Il drago vomitò una piccola perla rossa nella quale accese un fuoco [composto] di molte migliaia [di fuochi]. “Usa la perla consacrare quando entrerai nel mare per cercare tutti i Sutra che sono stati nascosti.” Suldatta si inginocchiò, prese la perla e disse al drago: “Oh, drago; da quanto tempo pregavo per questo! Non so come posso ringraziarti. Possente drago, perché non esci da [questa] vecchia caverna?” “Suldatta: mille anni fa, quando per la prima volta ottenni le nuvole ed il vento, per provare a me stesso la mia potenza causai la morte delle persone e fui imprigionato dal Dio Drago […][26] in questa caverna per centomila anni e fui costretto a sorvegliare il confine tra l’acqua e la terra ferma. Ogni giorno che sono qui mi pento e chiedo perdono al Dio per il [mio] crimine.” “Oh drago! Io ho una madre e se con successo rinascerà in cielo , allora senza perder tempo entrerò nel mare e cercherò il Grande Sutra. Tu aspetterai in questa caverna fino a quel giorno?” “Oh, mille anni umani sono per i draghi non più di dieci giorni.” “ In questo caso drago potrai tenere la perla fino a quel giorno! Verrò qui ogni giorno che potrò e guarderò il cielo , guarderò l’acqua, osserverò le nuvole e parlerò con te delle direttive per la costruzione del nuovo mondo.” “Oh, potresti far felice un vecchio drago.” “Addio!” “Addio.” Suldatta con spirito sereno calpestò le rocce e andò via. Il drago Chanata si nascose nell’acqua profonda all’interno della caverna e silenziosamente iniziò a recitare il Sutra della confessione.
[25] Nell'originale manca del testo [26] Nell'originale manca del testo